Frammenti di atmosfere fumose..
SHAUN HUTSON
MASSACRO INFERNALE Attraverso le finestre dell'ufficio di Mayfair si facevano strada vividi raggi di sole, in cui galleggiavano granelli di polvere come se fossero magnetizzati.
La luce del sole brillava sul lucido ripiano della scrivania di Jeffrey Donaldson. Lui stava appoggiato allo schienale della poltrona girevole e fumava soddisfatto la pipa. Il fumo saliva in piccole nuvole e si dissipava in alto sopra la sua testa, vorticando attorno all'enorme lampadario di cristallo appeso al centro del soffitto.
Mentre si muoveva avanti e indietro, la poltrona faceva poco rumore. In realtà tutta la stanza sembrava silenziosa in modo innaturale; anche i passi dell'altro uomo che vi si trovava erano soffocati dallo spesso tappeto.
Tom Westley attraversò l'ufficio e depose un bicchiere di cristallo vicino a Donaldson, che alzò lo sguardo dal dossier che stava consultando e ne esaminò il contenuto.
«È un po' presto per questa roba, non ti sembra, Tom?» osservò sorridendo.
Heinrich Mann
L’angelo azzurro La musica era ripresa; i suoi vicini le andavano dietro cantando. Unrat si pulì gli occhiali e cercò di orizzontarsi. Tra il fumo denso delle pipe, i vapori dei corpi e dei bicchieri di grog vide un numero infinito di teste, tutte possedute dalla stessa torpida beatitudine, che oscillavano qua e là come voleva la musica. Capelli e visi erano rosso fuoco, gialli, bruni, color mattone; quei cervelli che ondeggiavano ricacciati dalla musica nel mondo dell’istinto occupavano tutta la sala come un gran campo di tulipani variopinti mossi dal vento, che nel fondo s’ingolfava tra i fumi. Laggiù, tra il fumo, si distingueva solo una cosa scintillante, un oggetto vivacissimo, qualcosa chiara illuminata a giorno da un riflettore, e spalancava una gran bocca nera. Quella creatura cantava, le parole però erano soffocate dal pianoforte e dalle voci del pubblico.
CORNELL WOOLRICH
APPUNTAMENTI IN NERO Vi siete imbarcati a San Francisco.
— Esatto.
— La vostra destinazione?
— Prima Yokohama. E poi...
I due ufficiali guardavano attentamente la donna che, al suo tavolo da toilette, continuava indifferente a curarsi le unghie con meticolosa precisione.
— Sigarette? — chiese Allen allungando una scatola.
Martine si voltò subito sorridendo. — Joe! Mai offrire una sigaretta a un fumatore di pipa! È tempo sprecato, vero? — E volse lo sguardo nella direzione di dove era venuta la voce più profonda.
Allen esclamò: — Come fai a sapere che fuma la pipa? Non potevo immaginarlo!
— Ma se ne ha una che gli spunta dal taschino della giacca!
Vi fu una pausa. L'agente si guardò il taschino e sorrise.
— Infatti — disse. — Fumo solo la pipa.
LA NOTTE HA MILLE OCCHI Era seduto davanti a un tavolo, in piena luce, e armeggiava con i vari pezzi di una pipa smontata sparsi su un giornale. Stava pulendo il cannello con uno strofinaccio, e vidi che di tanto in tanto lo asciugava passandoselo sulla gamba dei pantaloni.
Fu così che ci apparve la prima volta.
Era come se si fosse alzato il sipario su un palcoscenico dopo grandi squilli di tromba e giochi di luce solo per rivelare... nulla. Una scena vuota, dove un macchinista trascurato da tutti batteva un chiodo su un'asse qualsiasi.
Dopo una preparazione così estenuante, il dramma si era sgonfiato subito.
Lui alzò lo sguardo verso di noi per un attimo. L'attimo successivo era già tornato a occuparsi della pipa.
«Jerry, io... io vorrei farti conoscere due amici miei» balbettò Eileen.
Lui non rispose, continuando sempre ad armeggiare col cannello della pipa.
«Il signor Reid e sua figlia...»
Lui guardò Eileen, non noi.
«È la famiglia presso cui lavoravi, no?»
Lei terminò le presentazioni in tono quasi disperato. «Il signor Tompkins, un nostro vecchio conoscente.»
Qualcuno doveva pur dire qualcosa. Mi decisi. «Possiamo sederci?»
Lui prese tempo. Prima ci guardò, poi rivolse di nuovo la sua attenzione al cannello della pipa. «Accomodatevi» disse alla fine, quasi a malincuore.
«Mi... mi pare di aver sentito la mamma chiamarmi» disse Eileen. «Meglio che scenda a vedere cosa vuole. Torno subito.» Sparì all'istante.
Noi restammo soli con lui. Io stavo per aprire bocca, ma vidi lo sguardo di mio padre e mi bloccai subito. Voleva che fosse Tompkins a parlare per primo. Eravamo in casa sua, dopotutto. Ecco perché cercava di sfruttare questo tenue vantaggio psicologico. Per quello che valeva, naturalmente.
Per alcuni minuti, ci fu un pesante silenzio. Tompkins, intanto, ebbe
tempo di rimontare la pipa. Quando parlò, lo fece senza alzare la voce, ma con una ruvidezza quasi sconcertante.
«Avete finito di guardarmi?»
Io mi sentii mozzare il respiro. «Non avevo intenzione di guardarla.»
«Siete venuti qui in spirito d'amicizia o per soddisfare la vostra curiosità? Se fossi per caso zoppo o monco, mi fissereste in quel modo?»
«Chiedo scusa se le è parso che la fissassimo» disse mio padre con molta dignità.
«Siamo venuti qui per ringraziarla...» mormorai premurosamente.
Lui continuò, rivolgendosi a mio padre: «Lei è venuto qui per prendersi gioco di me. Voleva smascherarmi per offrire uno spettacolo istruttivo a sua figlia e impedirle di riflettere troppo su quanto è accaduto.»
«Le assicuro che mio padre non ha mai...» cominciai amaramente.
«Non lo ha detto a lei, forse. Ma lo pensa.»
Mio padre arrossì violentemente. Era quella la risposta alle accuse di Tompkins.
Quest'ultimo gli si avvicinò, guardandolo duramente. «Lei crede di potermi sottoporre a un piccolo test, vero? Bene, io rifiuto il suo esame. Non intendo competere in astuzia con lei. Non sono sotto processo.»
Noi non facemmo commenti.
All'improvviso, lui batté un pugno sul tavolo con rabbia incontenibile. Le labbra gli sbiancarono e le mascelle divennero rigide per la tensione.
«Ma lei è un uomo molto più intelligente di quel tipo» dichiarò con amarezza. «E ha manovrato l'intera faccenda con una perizia tale che mi ha praticamente costretto a raccontare l'unica cosa che non volevo dirle.»
Lanciai uno sguardo furtivo in direzione di mio padre, sinceramente sorpresa, e notai le minuscole rughe agli angoli della bocca che conoscevo ormai da un pezzo. Anche quella era una risposta.
«Non l'ho affatto costretta» ribatté gentilmente lui.
«Be', le conviene approfittarne, già che c'è. Vada da tutti i suoi amici e dica loro che vengano qui a fare la coda e ad avvelenarmi l'esistenza. Tanto, non è più una novità per me.» La sua angoscia e la sua emozione sembravano sincere. Stava cercando di accendersi la pipa, ma la sua mano tremava talmente nell'operazione che faticò non poco a condurla a buon fine.
«Ora potete pure andarvene, se non vi dispiace» riprese dopo un po' con voce stanca. «Avete visto il vostro fenomeno da baraccone e soddisfatto la vostra curiosità. Non c'è più niente che vi trattenga, no?»
Mio padre si alzò di scatto, come se quell'insulto velato lo avesse preso alla sprovvista costringendolo a balzare meccanicamente dalla sedia. Poi fece qualche passo un po' di lato e si piazzò per un momento vicino a un cassettone traballante, immerso in qualche profonda meditazione. Dava le spalle al padrone di casa e io lo vedevo sfiorare un barattolo di tabacco e
altri oggetti, come se pensasse a cosa doveva dire.
Alla fine, si voltò. «Mi dispiace se siamo stati importuni» disse dolcemente. «Noi non siamo venuti qui per sottoporla a un test, e tantomeno per prenderla in giro. Siamo venuti qui per mostrarle tutto il nostro apprezzamento e porgerle i nostri più sinceri ringraziamenti.»
«Non è necessario» disse Tompkins, sempre più accigliato. «Non ho fatto nulla.» Fumava la pipa e teneva lo sguardo basso, lontano da noi due.
«Noi invece pensiamo di sì» disse mio padre. «Quanto a dirlo ai nostri amici, posso assicurarle che non ne faremo parola con nessuno, se è questo che desidera. E so di poter parlare anche a nome di mia figlia.»
Poi lui si avvicinò a Tompkins e gli tese la mano.
«Se c'è qualcosa che posso fare per lei... Se posso essere d'aiuto in qualsiasi modo...»
«In nessun modo» replicò testardamente Tompkins. «Io non voglio niente da nessuno. Non chiedo nulla, solo di essere lasciato in pace.»
Mi domandai se, alla fine, avrebbe stretto la mano che gli veniva tesa. Lo fece, in effetti, ma con aria burbera, contrariata, ritraendo subito la mano.
Per un attimo, mentre guardavo la scena, mi capitò di pensare che lui, a prescindere dai poteri che aveva o non aveva, fosse per natura un povero di spirito, un tipo sordido e meschino. Lo aveva rivelato proprio in quel banale episodio. Meglio che non avesse accettato affatto quella mano, invece che stringerla in un modo così poco amichevole. Non era altro che un miserabile campagnolo, un povero disadattato che era stato costretto a portarsi sulle spalle per tutta la vita un fardello che era troppo pesante per lui.
Vidi che guardava la mano di mio padre per un istante, prima di lasciarla andare, e io mi ricordai delle parole che lui aveva detto una volta alla madre di Eileen quando era un ragazzo. Erano ancora fresche nella mia memoria: "Tutte le volte che noi pensiamo a qualcosa, nella nostra mente si crea un'immagine ben precisa dell'oggetto delle nostre fantasticherie".
«Non abbiamo niente in comune, lei e io» disse Tompkins in tono caustico. «Non sono stato io a chiederle di venire qui, non lo dimentichi. Ma ora che è venuto, la prego solo di non tornare. Qualche giorno finirà per crearmi un sacco di guai, se non mi lascia in pace. Ora se ne vada. Torni alla sua vita di sempre e lasci me alla mia. Se ne torni nella sua bella casa, sempre piena di ospiti che portano orologi con brillanti persino alle ginocchia. Se ne torni dai suoi agenti di cambio e pensi ai suoi acquisti azionari. E cerchi di non investire nessuna ragazzina mentre si dirige verso casa...»
«Andiamo, Jean» disse rapidamente mio padre, aprendo la porta per farmi passare.
Lo vidi voltarsi e scoccare un'occhiata a Tompkins, prima di chiuderla. Non riuscii a vedere cosa ci fosse in quello sguardo, perché la sua faccia era girata, ma dal modo rigido in cui teneva la testa capii che era molto seccato per la scortesia gratuita mostrata dal padrone di casa.
Anch'io feci in tempo a lanciare un'ultima occhiata all'uomo che eravamo venuti a vedere prima che la porta si chiudesse definitivamente. Se ne stava seduto davanti al tavolo con la pipa in bocca, la testa leggermente china in avanti .