Autore Topic: Autori con la pipa in bocca  (Letto 339107 volte)

Offline Aqualong

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #405 il: 23 Gennaio 2010, 20:27:04 »
LA SCOTENNATRICE

Osservato l'orizzonte per vedere se qualche pericolo li minacciava,
accesero le loro pipe e si gettarono a gambe all'aria, mentre le stelle fiorivano
in cielo scintillando vagamente. - Io mi domando - disse John, dopo aver lanciato in aria quattro o cinque nuvolette
di fumo - se sia proprio vero che io sia ancora vivo o non mi trovi invece
fra le deliziose praterie del grande Manitou, nel paradiso delle pellirosse.
Che cosa dici tu, Hany? - Che questo tabacco non mi è mai sembrato cosl ottimo come questa sera -
rispose lo scorridore, il quale fumava come una vaporiera. - Se gusto il tabacco
vuol dire, mi pare, che sono ancora vivo.

Si erano lasciati cadere al suolo, col capo stretto fra le mani,
oppressi da una cupa disperazione. Tumer si tolse da una tasca la pipa, la caricò
cogli ultimi rimasugli di tabacco che ancora possedeva, aprì la lampada e
l'accese, borbottando:
- Se vi è ancora del grisou, niente di meglio. Almeno salteremo tutti in aria e
le volte ci schiacceranno ben bene. Non si possono sempre raggiungere i
cent'anni, specialmente da parte di chi abita la prateria, che diamine! ...
E si mise a fumare tranquillamente, approfittando degli ultimi sprazzi di luce
che mandava ancora la morente lampada.


I CORSARI DELLE BERMUDE

- Possiedi una vecchia pipa alla quale tieni molto?
- La comprò mio nonno a Smirne, centocinquantanni or sono.
- Benissimo, - disse il baronetto. - Se riuscirò nel mio giuoco, mi regalerai quel vecchio
ricordo di famiglia; se perderò ti darò cento ghinee, che andrai a raccogliere in fondo al mare dopo
la battaglia, perché il baronetto William Mac Lellan morrà sul ponte di comando, ma non si
arrenderà. Va', Testa di Pietra.

In quel momento Testa di Pietra comparve sul ponte di comando tenendo fra le callose mani,
dentro un astuccio di legno tutto tarlato, una pipa nera come un pezzo di carbone e che puzzava
orribilmente di tabacco.
- Capitano, disse, facendo un goffo inchino - avete vinto la scommessa e vi consegno la pipa
dei miei avi.
Il baronetto proruppe in una gran risata.
- È vero; ho vinto - disse poi. - Avrei il diritto di prenderti la famosa pipa di schiuma dell'Asia
Minore, ma non fumerò mai in quell'anticaglia inzuppata di nicotina. Tienila pure e prendi invece
questa ghinea con la quale potrai bere alla mia salute sotto le mura di Boston.
- Per il borgo di Batz! - esclamò il vecchio lupo di mare, mettendosi precipitosamente in una
delle sue profondissime tasche il ricordo di famiglia ed il pezzo d'oro insieme. - Quando vi sarà
necessaria una pelle da marinaro per l'altro mondo, pensate alla mia, capitano.
- Per una pipa!
- Ricordi di famiglia, sir William, - disse il luogotenente. - È il blasone della sua stirpe.
- Sì, della tribù dei pipardi, - rispose gravemente il mastro.


I PESCATORI DI BALENE

- Temo che si scateni un uragano - disse il capitano abbordando il tenente che passeggiava, in
coperta colle mani in tasca e la pipa in bocca.
- Danzeremo! - si accontentò di dire il flemmatico uomo.

- Guadagneremo la scogliera che ci è vicina.
- E là moriremo probabilmente di freddo e di fame.
- Dietro la scogliera vi sarà la costa americana, Koninson, ne sono certo. Sei stanco?
- Stanco no, ma ho le membra quasi irrigidite e le vesti così pesanti che fatico assai a mantenermi a
galla. Ah, se potessi levarmele di dosso!
- Non farlo, Koninson. Come resisterai dopo a questo freddo?
- Ma se non troviamo da asciugarci…
- Bah! Sulla costa americana gli alberi non mancano.
- Ma chi li accenderà?
- Ho la mia pipa e il mio tabacco, Koninson, e tu sai che assieme a queste due cose va sempre unito
l'acciarino.
- E anche un pezzo d'esca, spero.
- Nella mia scatoletta ho anche l'esca. Ora bada a non romperti le costole contro la scogliera; siamo a
meno di una gomena dai primi scogli. Avanti, fiociniere!

Leva dal fuoco il fegato, che mi
pare sia cotto a puntino.
Il fiociniere obbedì e lo depose su di un sasso ben levigato.
II tenente lo divise per metà e tutti e due cominciarono a lavorare di denti e così bene, che in cinque
minuti più nulla restava.
- Ora, - disse il tenente - facciamo una pipata e poi una dormita.
- E non pensate al «Danebrog»? - chiese Koninson.
- La tempesta continua, Koninson, e il «Danebrog» non tornerà finchè non sarà finita.
- Ma sperate che ritorni?
- Ne sono certo; ti ho detto che il capitano Weimar non è uomo da abbandonare i suoi marinai,
II tenente accese la pipa che aveva ritrovata in una tasca della sua giacca assieme alla scatola del
tabacco che era rimasto perfettamente asciutto, si sdraiò sullo strato di licheni e si mise a fumare.
Eccoli tutti là, stretti accanto alla stufa che funziona senza posa e che non abbandonano se non spinti
da un motivo imperioso e dopo molte preghiere e anche minaccie dei loro superiori. Hanno i visi pallidi, gli
occhi infossati, le barbe ispide e coperte sempre di ghiacciuli; i loro movimenti sono incerti, le loro parole
sono mozzate da un incessante tremolio delle labbra, la loro volontà è paralizzata, i loro pensieri sono tardi.
Il freddo li ha piombati tutti in una specie di torpore che invano cercano di vincere.
L'acquavite che bevono già è gelata formando un blocco color del topazio, la carne e il pane che
mangiano più non si spezzano che a colpi di accetta, poichè hanno acquistato la durezza del ferro; la legna
che bruciano è diventata così resistente dal non potersi quasi rompere, le ferramenta, le armi, gli attrezzi di
metallo di cui si servono sono diventati, per l'eccessivo freddo, così roventi che posandovi sopra la mano
nuda la pelle vi rimane aderente e la carne riporta dolorosissime bruciature; i bicchieri sono diventati pure
tali, e a segno che per servirsene bisogna vuotare il liquido in gola onde le labbra non li tocchino; persino le
pipe non funzionavano più, poichè a poco a poco la bocca di chi le fuma si riempie di ghiaccio; persino l'aria
che respirano cagiona dolorose sensazioni alla gola e ai polmoni

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Offline Aqualong

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #406 il: 23 Gennaio 2010, 21:35:24 »
IL LEONE DI DAMASCO

Subito due uomini le portarono il caffè su un vassoio d'oro, scolpito a rimbalzo,
ed un narghilk coll'acqua profumata di rose e la pipa ben carica del biondo
tabacco di Morea, essendo allora permesso anche alle donne di fumare. Pochi
lustri prima però, una favorita di Murad, il quale aveva proibito l'uso del tabacco
in tutti i suoi stati, sotto pena di morte, per poco non era stata strozzata
dai muti del Serraglio, perché sorpresa a fumare lo scibouk. La terribile donna
sorseggiò lentamente il cafm, mentre il capitano d'armi piombava in acqua,
con un sinistro tonfo, si fece accendere la pipa e si mise a fumare tranquillamente,
come se fosse coricata su una soffice ottomana del suo meraviglioso castello.

LA SOVRANA DEL CAMPO D'ORO

Parevano calmissimi; però lo sguardo che lanciarono sui tre prigionieri non
era tale da sperare da essi un po' di compassione.
In mezzo al circolo, su di un rialzo di terra battuta, stava il calumet, la gran pipa
della tribù, di terracotta, con una canna lunga due metri ed un camino capace
di contenere una libbra di tabacco.
- Si direbbe che questa è la tribù dei fumatori - disse Blunt che si sforzava di
mostrarsi indifferente. - Che facciano fumare anche noi? Non mi rincrescerebbe
ora che non ho più nemmeno un sigaro.
I tre prigionieri furono spinti in fondo alla sala e la scorta si mise ai loro fianchi,
tenendo i tomuhawaks in pugno.
Victoria scambiò coi vegliardi qualche parola, poi si sedette al posto d'onore,
su una enorme testa di bisonte dalle corna smisurate.
Subito un giovane indiano, l'hacksto, ossia il portatore di pipa, entrò nel circolo
portando una torcia d'ocore, accese il tabacco e porse la gigantesca canna
a Victoria, il quale aspirò quattro boccate, gettando il fumo verso i quattro lati
dell'orizzonte e pronunciando il nome di Quazicoatl, il Grande Spirito delle
tribù apaches.
I dodici vecchi fumarono alla loro volta, con lentezza studiata, poi l'hachesto
sparse al suolo il tabacco rimasto e ricollocò al suo posto la pipa.

L'UOMO DI FUOCO

- Che cosa avete scoperto?
- Una cuia colma di parità!
- Che C O S è
-Una polvere assai inebbriante che gl'indiani estraggono dal seme d'una pianta
leguminosa, l'inga, e che aspirano attraverso due penne d'avvoltoio.
- Ed a che cosa serve quella polvere? - Fa diventare allegri come il buon vino.
Ad un tratto mandò un grido di trionfo:
- Del tabacco! Era un bel pezzo che non ne fumavo! - Del tabacco! - esclamb Alvaro che non capiva nulla.
- Ah! Già, mi scordavo che in Europa non si sa ancora che cosa sia. Mandiamo
giù la colazione poi faremo una pipata, giacche vedo che il proprietario di
questa tettoia ha una collezione di pipe.
Non era da stupirsi che Alvaro si fosse mostrato altamente sorpreso a udir parlare
di tabacco, foglia che in quell'epoca era assolutamente sconosciuta a tutti
gli europei e anche agli asiatici.
Anche Cristoforo Colombo era rimasto assai stupito vedendo gl'indiani delle
terre da lui scoperte, gettar fumo dalla bocca, cib che gli aveva fatto supporre
dapprima che quegli uomini mangiassero il fuoco.
Quantunque i suoi marinai a più riprese e anche i navigatori spagnoli che continuarono
più tardi le scoperte, l'avessero provato, pure il tabacco rimase sconosciuto
in Europa fino al 1580, epoca in cui Nicoti, ambasciatore di Francia
alla corte del Portogallo, lo rese popolare, introducendolo alla corte francese
dove fu subito apprezzato non per fumarlo bensì per fiutarlo.
Fu Caterina de' Medici, regina di Francia, che per la prima diede a quell'aromatica
foglia una certa celebrità che divenne ben presto mondiale.
Sir Walter Raleigh, l'eploratore dell'orenoco, l'aveva però già fatta conoscere
in Inghilterra.
Vedendo gli indiani a fumare quelle foglie si provò ad imitarli e ne contrasse
presto l'abitudine.
Si narra anzi un grazioso aneddoto che dimostra la sorpresa che provarono i
primi europei nel vedere del fumo a uscire dalla bocca d'un uomo.
Tornato Raleigh in Inghilterra, stava un giorno seduto nella sua sala da pranzo,
dinanzi al caminetto, fumando in una pipa regalatagli da un capo indiano,
quando entrò improvvisamente un suo vecchio e devoto servo.
In vita sua, ed era da credervi, il brav'uomo non aveva mai veduto una cosa simile
ed attribuendo quel fumo che usciva dalla bocca del suo padrone, ad un
fuoco interno, corse nella camera vicina, afferrò una brocca d'argento piena
d'acqua e gliela rovesciò addosso gridando: - Al fuoco! Al fuoco!
Chi avrebbe detto che cent'anni più tardi quella pianta, ignorata dal mondo
intero e nota solo agl'indiani dell'America del Sud, avrebbe portata una vera
rivoluzione nei costumi e nelle abitudini di milioni e milioni d'uomini e che
tutti i governi ne avrebbero approfittato per arricchire le casse dello Stato?
Alvaro e Diaz avevano gih divorata la colazione e stavano provando il tabacco
dell'indiano, quando verso la riva udirono un cozzo come se due barche si fossero
urtate.

LA MONTAGNA D'ORO

Passarono sotto la porticina, infilarono uno stretto e buio corridoio e giunsero
in un bellissimo cortile di forma quadrata e del piiì puro stile orientale.
Tutto all'intomo vi era un porticato sorretto da colonnette corinzie di marmo,
col pavimento a mosaico ed in mezzo al cortile, fra quattro superbi banani che
spandevano un'ombra deliziosa, s'ergeva una grande fontana di marmo rosso,
la quale lanciava molto in alto un getto d'acqua.
Una tenda immensa, a svariati e brillanti colori, copriva tutto il cortile stendendosi
anche sopra le terrazze che correvano in giro.
Steso su alcuni cuscini di seta, all'ombra di uno dei quattro banani, i due europei
videro un vecchio arabo, dalla lunga barba bianca, dalla pelle molto bmna,
con un naso a becco di pappagallo e vestito di lanina bianca.
Teneva in mano una lunga pipa colla canna adorna di perle e di placche d'argento
e fumava placidamente, godendosi il fresco prodotto dal getto d'acqua.
Quell'uomo era El-Kabir, uno dei più noti commercianti di Zanzibar, che si diceva
possessore d'immense ricchezze.
Narravasi che nella sua gioventù aveva viaggiato moltissimo in Africa, facendo
il trafficante di came umana, ossia il negriero, accumulando un vistoso patrimonio,
raddoppiato o triplicato piiì tardi col commercio dell'avorio e dei
tappeti persiani. Vere o false quelle voci, si sapeva che era ricchissimo e questo
era bastato per creargli una posizione invidiabile in tutta l'isola.
Vedendo comparire il greco, l'arabo aveva deposta la pipa e s'era prontamente
alzato, dando mostra di un'agilità veramente giovanile, non ostante i suoi sessanta
anni.

LE MERAVIGLIE DEL DUEMILA

Uscito dalla cinta, il piccolo cavallo aveva preso una via abbastanza larga che costeggiava l'oceano,
slanciandosi ad un trotto rapidissimo, senza che il dottore avesse avuto bisogno di eccitarlo colla frusta.
Brandok era ridiventato taciturno, come se lo spleen lo avesse ripreso; il notaio pure non parlava, tutto
occupato a fumare la sua pipa che eruttava un fumo denso come la ciminiera d'un battello a vapore.
Il dottore badava che il poney filasse diritto e non mettesse le zampe in qualche crepaccio o s'avvicinasse
troppo alla scogliera, che in quel luogo cadeva a picco sull'oceano.


Parecchie persone, assai barbute, avvolte in pelli d'orso bianco, si erano raccolte intorno al tramvai parlando
diverse lingue: spagnolo, russo, inglese, tedesco e perfino italiano.
Quasi tutti fumavano enormi pipe di porcellana, gettando in aria delle vere nuvole di fumo.
"Siamo al polo, amici miei" disse Holker, prendendo i bagagli.
"E chi sono questi uomini che ci guardano di traverso?" chiese Toby.
"Anarchici pericolosi, provenienti da tutti i paesi del mondo e condannati a finir qui la loro vita."
"Che triste esistenza devono condurre fra queste nevi!"
Dovettero constatare, e ne furono molto lieti, che quegli uomini, un giorno così pericolosi, erano diventati
assolutamente pacifici e mansueti come agnellini.
Era l'influenza del freddo o l'isolamento che aveva operato quel prodigio su quei cervelli esaltati?
Probabilmente l'una e l'altra cosa insieme.
Certo non ci trovavano più gusto a parlare di bombe, d'incendi e di stragi, con un freddo di 45° sotto zero!
Preferivano fumare la pipa accanto ad una lampada a radium, godendosi il calore che essa mandava.
Come si vede, i governi d'Europa e d'America avevano avuto una eccellente idea a mandarli in quel clima,
perché... si raffreddassero.



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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #407 il: 24 Gennaio 2010, 14:11:09 »
I MISTERI DELLA JUNGLA NERA.

Hider in quel frattempo era sbarcato. Era un bell'uomo di alta statura, sui quarant'anni, con una barba
nerissima e folta, occhi lucentissimi e membra muscolose. Tra le labbra teneva una corta pipa e fumava
vigorosamente.
- Amici miei, - disse, avvicinandosi, - qui succedono delle cose assai gravi.
- Lo sappiamo, - disse Tremal-Naik.
- Chi sei tu? - chiese il quartier-mastro, con diffidenza.
Tremal-Naik gli mostrò l'anello che portava in dito. Il marinaio cadde in ginocchio.
- Ordina, inviato di Kâlì, - disse con voce tremante.
- Conosci il capitano Macpherson?
- Forse più di te.
- Sai dove conduce la fregata?
- Nessuno sa ove vada la Cornwall, ma io ho un sospetto.
- La conduce a Raimangal.
- Il quartier-mastro scagliò la pipa a fracassarsi sui sassi.
- A Raimangal!... - esclamò egli. - A Raimangal hai detto?

Caricò la pipa e discese nella camera della macchina.
I tre affiliati erano al loro posto, dinanzi ai forni, discorrendo a voce bassa.
L'ingegnere fumava, seduto su di una scranna e leggeva un libriccino. Hider con un'occhiata avvertì gli
affiliati di tenersi pronti, e s'avvicinò alla lanterna sospesa alla volta, proprio sopra il capo dell'ingegnere.
- Permettetemi, sir Kuthingon, d'accendere la pipa, - gli disse il quartier-mastro.- Sopra tira un ventaccio che
spegne l'esca.
- Con tutto il piacere, - rispose l'ingegnere.
S'alzò per tirarsi indietro. Quasi nel medesimo istante lo strangolatore lo afferrava per la gola e così
fortemente, da impedirgli di emettere il più lieve grido, poi con una scossa vigorosa lo rovesciò sul tavolato.
- Grazia, - poté appena balbettare il povero uomo che diveniva nero sotto il ferreo pugno del quartiermastro.
- Sta zitto e non ti verrà fatto alcun male, - rispose Hider.
Gli affiliati ad un suo cenno lo legarono e lo imbavagliarono, trascinandolo dietro un grande ammasso di
carbone.
- Che nessuno lo tocchi, - disse Hider. - Ed ora andiamo a vedere se il capitano ha bevuto il narcotico.
- E noi?- chiesero gli affiliati.
- Non vi muoverete di qui, sotto pena di morte.
- Sta bene.
Hider accese tranquillamente la pipa e salì la scala.

I PREDONI DEL SAHARA

Dopo avergli offerta una pipa colma di eccellente ta
bacco, che non fu rifiutata dal santone, e dopo d'aver parlato con lui del deserto
e dei Tuareg, gli chiese a bruciapelo.
- Sicché voi avete assistito certamente alla distruzione della colonna francese
guidata da Flatters?
Udendo quelle parole il santone aveva levata dalle labbra la pipa, guardando
il marchese con profondo stupore.

Terminato il magro pasto, ognuno si stese sui tappeti,
cercando d'ingannare la sete colle pipe. Una tranquillità assoluta regnava
sul deserto ed un silenzio perfetto. Nessun rumore si notava in alcuna direzione,
nè alcun alito di vento soffiava da quegli sconfinati orizzonti. Era la
gran calma del Sahara, quella calma che infonde negli animi dei viaggiatori
un senso di strano benessere e che tuttavia non è disgiunto da una profonda
tristezza.
Si sente fortemente l'isolamento, si sente l'immensità, si sente la paura
dell'ignoto. La luna si era alzata in tutto il suo splendore e seguiva silenziosamente
il suo corso, attraverso miriadi di stelle, prolungando indefinitamente
le ombre proiettate dalle dune, dalle tende e dai cammelli. I suoi raggi azzurrini,
d'una grande trasparenza si riflettevano vagamente sulle sabbie, le quali
avevano degli strani scintillii. Pareva che l'astro si specchiasse nelle acque
d'un lago stendentesi attorno all'orizzonte. I1 marchese aveva lasciata cadere
la sua pipa, e guardava, rapito da quella scena meravigliosa, a fianco di Esther,
la quale si era sdraiata sul tappeto, fuori della tenda.

IL RE DEL MARE

Il valoroso marinaio anzi si era seduto tranquillamente su una sedia a dondolo, che aveva fatta
portare sul ponte di comando e si era messo a fumare la sua pipa, con una calma che aveva stupito
gli stessi malesi.
Alle minacce di Yanez di farlo imbarcare colla violenza, egli aveva risposto con una semplice
scrollata di spalle.
Addio, signore, siete un coraggioso.
- Addio comandante e buona fortuna, - rispose l'inglese, un po' ironicamente. - Ah! vi pregherei
di un favore.
- Dite pure.
- Di far avvertire i miei armatori di Bombay, se ne avrete l'occasione, che John Kopp è morto a
bordo della sua nave, come un vero uomo di mare.
- Lo farò, ve lo prometto. Fra dieci minuti avrò l'onore di cannoneggiarvi.
- Per quel momento avrò terminata la mia pipata.

La SCIMITARRA DI BUDDA

I1 bandito si scusò di non essersi procurata una compagnia drammatica, senza
la quale un gran pranzo non è completo, accoppiando i cinesi e i tonchinesi
alla soddisfazione del palato quella della vista e dell'udito.
- Non importa - disse l'americano che faceva crepitare la sua sedia tanto era
diventato grosso. - Io preferisco una pipa e una bottiglia di liquore a una compagnia
drammatica.
I1 generoso bandito capi a volo ciò che desiderava l'insaziabile convitato, e fece
portare parecchie caraffe piene di spiritosi rosoli, delle pipe e un vaso di tabacco
odoroso. Tosto la conversazione cominciò animatissima.

L'americano, felicissimo di trovarsi finalmente sul dorso di un buon cavallo,
chiacchierava per dieci facendo sbellicare dalle risa i compagni. I1 burlone
parlava nientemeno di fondare una colonia americana in quei luoghi, facendole
adottare la religione di Fo, religione che, al suo dire, cominciava ad attirarlo
e molto seriamente.
- Uditemi - diceva egli. - Diventato bonzo, condurrei una vita patriarcale,
una vita alla No& Diventerei tanto grasso da mettere spavento a un ippopotamo;
peggio ancora, diverrei una vera balena. A dispetto di tutti i Fo del globo,
comincerei con l'ammazzare un bue al giomo per fame beef-steak, col riempire
la grotta del tempio di pipe e di tabacco e col mettere una botte di whisky sulla
cima della rupe, al posto occupato da quel brutto idolo. Mi incaricherei di
adorarla ogni giomo.

Appena in strada, malgrado i prudenti consigli del Capitano e del cinese, accesero
le pipe, rialzarono i baffi, si tirarono il cappello sull'orecchio e cominciarono
a farsi largo, l'americano distribuendo calci e scappellotti e il polacco
cacciando le dita negli occhi a quei cinesi che si ribellavano a quel brusco trattamento.
Orsù, cerchiamo una taverna.
- Eccone là una che fa per noi. A dire il vero mi sembra un po' oscura e...
- Meglio, ragazzo - l'interruppe l'americano. - Potremo torcere qualche collo
e strappare qualche coda senza essere visti.
I due valentuomini entrarono nella taverna che, a giudicarla dall'aspetto, doveva
essere la peggiore della città. Era vastissima, assai bassa, a mala pena illuminata
da otto o dieci lanterne di talco, ingombra di tavoli di bambù zoppicanti
e inzuppati di liquori e di grasso, attorno ai quali dimenavansi e urlavano
facchini, barcaioli, ladri, banditi, borsaioli e soldati, ingoiando enormi tazze di
forti bevande. Tutt'all'intorno si vedevano tazze infrante, lanterne sfondate,
pipe rotte, sgabelli fracassati, montagne di ossami, ubriachi stesi sotto i tavoli
e tralicci di bambù sui quali russavano fragorosamente e si agitavano convulsamente
schiere di fumatori d'oppio.
L'americano e il polacco, soffocati dal fumo delle pipe e dalle esalazioni dei liquori,
assordati dalle urla, dai canti, dal baccano di tutti quei bevitori, in orgia
forse da due o tre settimane, si misero a girare cercando un posticino per sedersi.

AL POLO AUSTRALE IN VELOCIPEDE

- Calmatevi, signor Linderman - disse una voce. - Volete diventare idrofobo?
- E vi prego di non rovesciare le nostre tazze - disse un'altra. - Che diavolo! ...
Metterete in subbuglio tutto il club! ...
Un secondo scroscio di risa, più fragoroso e più allegro di prima, echeggiò intomo
al tavolo dinanzi al quale stavano sedute otto o dieci persone, fumando
nelle pipe monumentali o dei puros o dei veri londres.
- Volete farmi scoppiare? - gridò il signor Linderman.
- C'è del tempo! - esclamò il signor Wilkye. - Un inglese non scoppia così
presto! ...
- Ma quali sono dunque i vostri progetti? Noi tutti li ignoriamo.
- SI, spiegatevi - dissero tutti.
- Servite quel punch che fiammeggia, - disse Wilkye a Bisby - poi accendete le
pipe e vi spiegherò ogni cosa.
Riempite le tazze dell'ardente bevanda e accese le pipe, Wilkye spiegò sulla
tavola una carta del Polo Australe.

I FIGLI DELL'ARIA

Fortunatamente, fra una portata e l'altra, vi era un intervallo passabilmente
lungo, durante il quale tutti potevano liberamente fumare. Dei giovani valletti,
messi a disposizione dei convitati, erano pronti offrire le pipe, gia accese
prima ancora che venissero richieste.
Sing-Sing ne dava l'esempio. Quando però fumava, Fedoro che lo osservava di
frequente, lo vedeva immergersi come in dolorose meditazioni. Pareva che allora
dimenticasse perfino i suoi convitati, non sorrideva pih e rimaneva parecchi
minuti silenzioso.
Fingeva di assaporare il delizioso e profumato tabacco che bruciava nella pipa;
ma realmente un pensiero tetro lo tormentava perché la sua fronte si annuvolava
e nei suoi occhi si vedeva passare un lampo di terrore. Nondimeno, deposta
la pipa, riacquistava prontamente il suo buon umore, sorrideva ai convitati
e li incoraggiava incessantemente a far onore alla sua modesta cucina.

- E fumandolo, invece? - chiese il capitano.
- I fenomeni sono quasi identici, tuttavia meno intensi. Volete fame la prova?
I1 tartaro non mancherà di pipe, n6 di oppio; devo avvertirvi, innanzi a tutto,
che le prime volte quel narcotico produce nausee e acuti dolori di testa.
- Non ne ho alcun desiderio. Ho udito a raccontare che si beve anche col
caffe.
- SI, nel Turkestan e quella bevanda eccitantissima si chiama koknar. È anzi
tale l'abitudine che hanno ormai quegli abitanti, che non potrebbero farne
a meno. Per loro è diventata una vera necessita, come per la maggior
parte degli europei il vermouth, l'assenzio o la birra. L'uomo che volesse rinunciarvi,
non potrebbe resistervi a lungo; diverrebbe presto un infelice,
privo di qualsiasi energia, apatico, svogliato e non saprebbe imprendere
qualsiasi lavoro.
-Al diavolo l'oppio! - esclamb Rokoff. - Preferisco mille volte la mia pipa carica
di buon tabacco.
Aveva mangiato con buon appetito, senza mai parlare o limitandosi a rispondere
con dei semplici cenni al cosacco ed al russo e facendo loro comprendere
che conosceva male la loro lingua, poi aveva accesa una vecchia pipa di porcellana,
simile a quelle che usano i tedeschi e gli olandesi e non si era più mosso
dal suo posto.




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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #408 il: 25 Gennaio 2010, 14:56:58 »
Mi stupisce quando dopo battaglie,nufragi,incendi,terremoti etc..
i protagonisti tirano fuori pipe delicatissime,intarsiate di perle etc..
vabbè succede,anche se in mano ad un fiero pirata,vedrei bene una pipa curva,bocchino flock. ;D 8)

SULL'ATLANTE

Seguirono poi un mezzo agnello arrostito convenientemente, croccante, accompagnato
da certe pallottoline di frumento che fino a un certo punto potevano
surrogare il pane, quindi i due schiavi servirono un eccellente ca& e
portarono pipe e tabacco.
- Grazioso questo beduino, quantunque abbia una faccia da birbante - disse
Enrico caricando la pipa e sdraiandosi sul tappeto. -Come sono ospitali questi
ladri!
- Ci tengono a esserlo - disse Hassi il quale aveva pur egli accesa la pipa.
- Possiamo fidarci poi di questi carissimi ladroni?
-Tutto dipende dal non lasciar capire che possediamo degli zecchini. Se Si immaginassero
che i miei forzieri nascondono una fortuna considerevole, non risponderei
più di nulla. L'avidità del beduino è proverbiale e questi sono in numero
bastante per metterci subito fuori di combattimento.
- Diremo loro che i nostri forzieri non racchiudono che palle e polvere da regalare
ai briganti dell'Atlante
Lasciarono consumare i fuochi, poi, rassicurati dalla grande calma e dal
profondo silenzio che regnava nella pianura, si cacciarono sotto la tenda.
11 toscano era rimasto invece sdraiato presso i mahari ed i cavalli, con la pipa
in bocca ed il fucile sulle ginocchia.

I MINATORI DELL'ALASKA

Salutarono il Gran Cacciatore con un A' hu prolungato, poi sedettero tutti attomo
al fuoco, mentre un giovane guerriero portava il calumet, una pipa colla
scodellina di terra dura e nera, e con una canna lunga oltre un piede, i1 tutto
scolpito con figure grossolane rappresentanti due uomini, un canotto e una
scure.
Nube Rossa la caricò con tabacco già precedentemente bagnato con acquavite
e quindi seccato, aspirò gravemente alcune boccate sperdendo il fumo ai quattro
lati dell'orizzonte e pronunziando alcune parole misteriose, e la passò a
Bennie, il quale la fece circolare.
Quando tutti ebbero fumato e che la pipa fu riportata nella tenda della medicina,
il cow-boy prese la parola fra il più profondo silenzio.

SANDOKAN ALLA RISCOSSA

Sandokan trasse dalla sua larga fascia una ricchissima pipa adorna di perle e di
piccoli smeraldi, la empì di tabacco e l'accese con un tizzone che ancora fiammeggiava
dinanzi ad una capanna in rovina.
Quattro uomini camminavano dinanzi a Sandokan, il quale non aveva spenta
la pipa, per segnare la via ed evitare qualche sorpresa da parte degli abitanti
delle foreste.
Per il momento credo che non vi sia alcun pericolo. Anche
i dayaki devono essere stanchissimi, e poi la foresta e la montagna stanno
dietro di noi.
Si sedette su una roccia caduta dal picco, si mise la sua splendida carabina fra
le ginocchia, caricò di nuovo la sua pipa e cominciò a fumare tenendo gli sguardi fissi
sulla tenebrosa pianura.

LA RICONQUISTA DI MOMPRACEN

- Stop in macchina!
I1 capitano, che era salito sul ponte per fumare liberamente una pipata di acre
tabacco inglese, udendo quel comando si era precipitato giù dalla passerella
urlando.

- Che cosa desiderate, signor Yanez?
- Sei sempre sicuro del tiro dei tuoi pezzi?
- Scommetterei di portare via con una palla la sigaretta che in questo momento
sta fumando il capitano.
- È una pipa.
- Niente di meglio, signor Yanez. Nello spezzarsi farà più fracasso. Non rispondo
però dei baffì.
- Non occuparti di quelli. A Varauni vi sono ancora dei bravi barbieri indù
che glieli rimetteranno a posto.
-Allora non chiedo altro. Mi date carta bianca?

IL TESORO DEL PRESIDENTE DEL PARAGUAI

I1 capo, che aveva assistito a quella scorpacciata con visibile soddisfazione,
quando vide che il figlio della luna aveva tenninato, gli offrì una pipa di legno
colla cannuccia d'argento, carica d'un eccellente tabacco, detto golk, che
il signor Calderon si affrettb ad accendere, servendosi del suo acciarino,
quantunque il previdente patagone gli avesse presentato il suo unitamente ad
un certo fungo che si raccoglie ai piedi delle Ande e che, ben seccato, serve
d' i esca. - Siedi, capo - disse il figlio della luna, dopo di aver aspirato alcune boccate - e se vuoi, discorriamo un poco.

- C'è pericolo che dopo diventino furiosi?
- Tanto peggio per loro, se vogliono prendersela con noi. Ho trovato i pacchi
delle cartucce che Hauka ci aveva presi quando ci fece prigionieri: possiamo
quindi mandare al diavolo tutti questi ubriaconi.. . E quattro!. . .
Infatti, altri due patagoni erano ruzzolati per terra, come se fossero morti. Gli
altri continuavano a immergere le loro manacce nei barili; ma non ne potevano
più e mantenevansi ancora in piedi per un prodigio di equilibrio.
Alcuni, diventati furibondi per le soverchie libazioni, altercavano già e si
scambiavano formidabili pugni, mentre altri cantavano a squarciagola e saltavano
disordinatamente coi capelli sciolti, i manti laceri, gli occhi strambuzzati,
e due o tre si dimenavano per terra in preda a violente convulsioni, mentre
nelle mani raggrinzate stringevano delle strane pipe, nelle quali avevano fumato
chissA mai quale strana miscela.
- Che si siano avvelenati? - chiese Cardozo, che si era alzato per meglio osservare
quegli strani fumatori.
-No: si divertono - rispose il mastro.
- Ma non vedi che si contorcono come se soffrissero?
- Ti ripeto che si divertono.
- Mi spiegherai un po' in qual modo.
- Osserva quel fumatore e non perderlo di vista.
Un patagone, che si manteneva in equilibrio per un vero miracolo, si era in
quel momento allontanato dai compagni, che continuavano a disputarsi accanitamente
gli ultimi sorsi di cana, tenendo in mano la sua pipa di pietra.
Sdraiatosi, o, meglio, lasciatosi cadere fra le erbe, la caricò con un pizzico di
tabacco, mescolandovi una certa sostanza che pareva avesse raccolto da terra.
- È sterco - disse il mastro, prevenendo la domanda di Cardozo: - sterco di cavallo,
che il fumatore ha mescolato al goik (tabacco).
Acceso il miscuglio, l'ubriaco si rovesciò sul ventre ed aspirò sette od otto vol.
te il fumo, inghiottendolo e rigettandolo solamente qualche minuto dopo dalle
narici e tutto in una sola volta. Un fenomeno strano si verificò allora in
quell'uomo: la pipa gli sfuggì dalle mani, stralunò gli occhi, mostrando solamente
il bianco, le forze improwisamente lo abbandonarono e ricadde lungo
e disteso agitando convulsivamente le membra, soffiando fortemente ed emettendo
dalle labbra semiaperte larghi getti di saliva.
- È ubriaco? - chiese Cardozo.
- Lo hai detto - rispose il mastro sorridendo.
- E tu mi assicuri che quell'uomo si diverte?
- Così dev'essere, poich6 i patagoni fumano quasi sempre in questo modo: essi
dicono che anche il loro dio ha partecipato a questo bizzarro godimento; anzi
prima di fumare offrono a lui qualche boccata e una preghiera.
- E durano molto quelle convulsioni?
- Pochi minuti, poiché ordinariamente i compagni dei fumatori le fanno cessare
con una lunga sorsata d'acqua.


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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #409 il: 04 Aprile 2010, 14:53:05 »
Una sorpresa trovata nell'uovo di Pasqua:

J.R.R. Tolkien  Racconti Incompiuti

3. Su Gandalf, Saruman e la Contea

Un altro gruppo di carte risalenti allo stesso periodo contiene un gran numero di resoconti incompiuti dei primi rapporti di Saruman con la Contea, soprattutto quelli riguardanti la «foglia dei Mezzuomini», argomento trattato in connessione con l'«uomo del Sud strabico» (v. pp. 461462). Il testo che segue è una delle molte versioni ma, per quanto più breve di altre, è la più compiuta.
Saruman ben presto divenne invidioso di Gandalf, e la rivalità alla fine si trasformò in odio, tanto più profondo perché tenuto nascosto, e tanto più violento perché Saruman in cuor suo sapeva che il Grigio viandante aveva molta forza e grande influenza sugli abitanti del
Terradimezzo, ancorché celasse il proprio potere e non aspirasse né a incutere paura né a essere riverito. Saruman non lo riveriva ma cominciava a temerlo, turbato più dai suoi silenzi che dalle sue parole. Per questa ragione, apertamente trattava Gandalf con minor rispetto di quanto facessero altri dei Saggi, ed era sempre pronto a contraddirlo o a tenerne in non cale i pareri; in pari tempo, prestava la massima attenzione a tutto ciò che Gandalf diceva, pesandolo attentamente e tenendone d'occhio, nei limiti del possibile, tutti i movimenti.
E così fu portato a riflettere sui Mezzuomini e sulla Contea, che altrimenti avrebbe ritenuto indegni di attenzione. In un primo tempo non aveva pensato che l'interesse del suo rivale per quella gente avesse un qualche rapporto con i grandi problemi del Consiglio, e men che meno con gli Anelli di Potere. In effetti, nessi del genere all'inizio non ce n'erano stati, e l'interesse di Gandalf era mosso semplicemente dal suo affetto per i Piccoletti  a meno che in cuor suo non avesse profonde premonizioni di cui non era chiaramente consapevole. Per molti anni, Gandalf si era recato a visitare apertamente la Contea, parlando dei suoi abitanti a chiunque fosse disposto a prestargli orecchio; e Saruman ne sorrideva come di vuote chiacchiere di un vecchio giramondo, anche se in realtà stava con gli orecchi bene aperti.
Resosi così conto che Gandalf riteneva che valesse la pena di visitare la Contea, Saruman lo fece a sua volta, ma travestito e nella massima segretezza, esplorando e rilevandone tutte le strade e le terre, finché non si persuase di avere appreso tutto quanto c'era da conoscerne. E persino quando non gli sembrò più né prudente né utile recarvisi, continuò ad avere spie e servi che vi entravano o che ne tenevano d'occhio le frontiere. Continuava comunque a restare sul chi vive. Era ormai caduto tanto in basso, da ritenere che tutti gli altri membri del Consiglio perseguissero diségni segreti e di vasta portata per il loro personale tornaconto, e che questo condizionasse tutto ciò che facevano. Sicché quando, molto tempo dopo, gli giunse all'orecchio qualche notizia del ritrovamento

dell'Anello di Gollum da parte del Mezzuomo, non potè non credere che Gandalf lo avesse sempre saputo; e questo era il suo massimo rodimento, perché riteneva che fosse di suo esclusivo monopolio tutto quanto riguardava gli Anelli. Che la diffidenza di Gandalf nei suoi confronti fosse fondata e giusta, non bastava minimamente ad attenuarne il risentimento.
In verità, però, l'attività spionistica e la grande segretezza di Saruman all'inizio non avevano avuto scopi malvagi: erano state semplicemente frutto di folle orgoglio. Ma piccole cose, apparentemente indegne di essere riferite, in fin dei conti possono rivelarsi di grande momento. Va detto che, notato l'amore di Gandalf per quella che chiamava «erbapipa» (per la quale, non foss'altro, bisognava, diceva, far tanto di cappello ai Piccoletti), Saruman aveva finto un atteggiamento di disprezzo per la sostanza, ma segretamente l'aveva provata e ben presto aveva cominciato a usarla; e per questo motivo la Contea aveva continuato a essere importante ai suoi occhi. Temeva però che la cosa venisse scoperta, che le sue beffe gli si rivoltassero contro e che si finisse per ridere di lui perché imitava Gandalf e lo si disprezzasse perché lo faceva di nascosto. Era questa dunque la ragione per la quale manteneva la massima segretezza sui suoi rapporti con la Contea, e ciò prima ancora che l'ombra di un dubbio lo sfiorasse e mentre la Contea era scarsamente vigilata, aperta a chiunque volesse entrarvi. Anche per questa ragione, Saruman cessò di recarvisi di persona; gli era infatti giunto all'orecchio che la sua presenza non era passata del tutto inosservata agli occhi acuti dei Mezzuomini, alcuni dei quali, scorgendo quella che sembrava la figura di un vecchio ammantato di grigio o di ruggine che si aggirava nei boschi o transitava al crepuscolo, l'avevano scambiato per Gandalf.
Saruman dunque non andò più nella Contea, temendo che voci simili si diffondessero e giungessero magari all'orecchio di Gandalf. Questi però era al corrente di quelle sue visite, ne indovinava la ragione e ne rideva, ritenendolo il più innocuo dei segreti di Saruman; ma non

ne disse nulla ad altri, poiché non gli piaceva che qualcuno fosse messo alla berlina, Ciò non toglie che, quando le visite di Saruman cessarono, non gli dispiacesse affatto, perché già cominciava a nutrire sospetti sul suo conto, sebbene non potesse ancora prevedere che sarebbe suonata l'ora in cui la conoscenza che Saruman aveva della Contea si sarebbe rivelata pericolosa e utilissima per l'Avversario, tanto da assicurargli quasi la vittoria.
In un'altra versione, un giorno Saruman si fece apertamente beffe dell'uso dell'erbapipa da parte di Gandalf:
A causa dell'antipatia e paura che provava per lui, da quel momento Saruman evitò Gandalf, e i due si incontravano di rado, quasi solo alle assemblee del Consiglio Bianco. Fu al grande Consiglio tenutosi nel 2851 che per la prima volta si parlò della «foglia dei Mezzuomini», allóra in tono scherzoso, sebbene in seguito la cosa apparisse sotto tutt'altra luce. Il Consiglio si riunì a Rivendell, e Gandalf se ne stette seduto in disparte, silenzioso ma intento a fumare sfrenatamente (cosa che mai aveva fatto prima in occasioni del genere) mentre Saruman parlava contro di lui dicendo che non bisognava seguire il parere di Gandalf e lasciare ancora tranquillo Dol Guldur. Ma il silenzio e il fumo di Gandalf parvero irritare assai Saruman, il quale, prima che il Consiglio sciogliesse, disse a Mithrandir: «Qui si discute di cose di grande momento, e mi meraviglia alquanto che tu ti balocchi con il tuo fumo e fuoco, mentre altri fanno discorsi seri».
Ma Gandalf rise e replicò: «Non te ne meraviglieresti, se usassi tu stesso quest'erba. Costateresti allora che sbuffando fumo la tua mente si libera delle ombre che contiene. E comunque, ti permette di avere la pazienza necessaria per prestare orecchio senza irritarti a propositi senza senso. Comunque, non è un mio balocco. Si tratta di un'arte dei Piccoletti che vivono laggiù all'ovest: gente degna e allegra, anche se forse ha scarso peso nei tuoi alti disegni»

«Tu stai scherzando, messer Mithrandir, secondo il tuo solito. Io so benissimo che sei divenuto un curioso esploratore delle cose piccole: erbe, creature selvatiche, popoli infantili. Del tuo tempo puoi disporre a tuo piacimento, se non hai niente di meglio da fare; e puoi fare amicizia con chi vuoi. A me, però, questi giorni sembrano troppo oscuri per prestare orecchio a racconti di vagabondi, e non ho tempo da dedicare a semplici contadini».
Questa volta Gandalf non rise e neppure rispose; ma, guardando ben bene Saruman, tirò sulla pipa, emettendo poi un grande anello di fumo seguito da molti più piccoli. Quindi allungò la mano quasi ad afferrarli, e gli anelli scomparvero. Dopodiché si alzò e lasciò Saruman senza più dir nulla; Saruman però rimase per qualche istante ancora in silenzio, rabbuiato in volto, in preda al dubbio e all'irritazione.
Quest'episodio appare in una mezza dozzina di manoscritti diversi, in uno dei quali si dice che Saruman era sospettoso,
e si chiedeva se aveva interpretato esattamente il significato del gesto di Gandalf con gli anelli di fumo, e soprattutto se esso era indicativo di un qualche nesso tra i Mezzuomini e l'importante questione degli Anelli di Potere, per quanto improbabile sembrasse; e dubitava che uno così grande si interessasse a un popolo come i Mezzuomini senza fini reconditi.

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #410 il: 06 Aprile 2010, 12:49:42 »
Le feste sono finite,proviamo ad andare sul "tosto"

Ingmar Bergman

nasce il 14 luglio 1918 a Uppsala, figlio del cappellano della corte reale. Facile dunque comprendere come il piccolo Ingmar fosse educato secondo i concetti luterani di "peccato, confessione, punizione, perdono e grazia", temi che in qualche modo saranno ricorrenti anche nei suoi film.
Come se non bastasse, non era infrequente che a scopo punitivo il bambino fosse rinchiuso nell'armadio luogo in cui, rannicchiato, maturava il suo odio per il padre e la sua rabbia contro il Dio-padrone falsamente inserito in quel clima culturale.


Come in uno specchio

DAVID: Poi sono partito mercoledì.
MARTIN: Allora non t’è arrivata.
DAVID: Già, ma era importante?
MARTIN: Si trattava di Karin.
David che era intento ad aggottare si raddrizza e guarda preoccupato Martin che è rimasto sul pontile con la rete in spalla.
DAVID: Di Karin, cosa vuoi dire?
MARTIN: Ma... non saprei. Ad ogni modo mi sembrò necessario scriverti, anche se in questo modo avrei potuto disturbare il tuo lavoro col romanzo.
Il tono di Martin è leggermente ironico. Sale sulla barca e afferra i remi. David osserva la pipa che sta spegnendosi e la mette nella tasca dell’accappatoio, poi scioglie gli ormeggi.


MINUS: Ci scommetto che papà si è ricordato dei regali quando era già a Stoccolma.
KARIN: È stato lo stesso un pensiero gentile.
MINUS: Avrei preferito dei soldi.
David si affretta verso la sua camera, chiude la porta e si ferma ansimante dopo qualche passo guardandosi attorno indeciso come se cercasse qualcosa. Si muove toccando diversi oggetti, incomincia a piangere senza lacrime, singhiozzando, prende fiato ed il pianto diventa sempre più convulso, batte ripetutamente il pugno sul tavolo cercando di reprimere la disperazione che lo travolge.
Alla fine riesce a dominarsi, cerca la scatola del tabacco e la mette sotto il braccio dopo essersi soffiato il naso ed asciugato gli occhi. Quando ritorna a tavola tutti con molto tatto lo colmano di ringraziamenti. Si siede e riempie la pipa, porge la scatola a Martin e sorride imbarazzato.

KARIN: Allora buona notte, papà.
DAVID: Buona notte, Karin.
MINUS: Buona notte a tutti.
Vengono scambiate alcune parole nella notte quieta, quasi immobile. David si è seduto accanto al tavolo e fuma la sua pipa. Osserva Karin e Martin che stanno mettendo in ordine la camera. Minus ha acceso la luce nella sua stanza, dall’altra parte dell’ingresso. Abbassa un avvolgibile rotto. David sospira e comincia a radunare i piatti.

DAVID: Malgrado ciò hai desiderato più volte che Karin morisse.
MARTIN: No. Assolutamente no. Soltanto a te può venire una simile idea.
DAVID: Puoi giurarmi di non averlo mai pensato? D’altronde sarebbe abbastanza logico. Sono sicuri dell’incurabilità del suo male e tu sei convinto che la vostra sofferenza sia senza scopo. In tal caso sarebbe meglio morisse.
MARTIN: Sei grottesco.
DAVID: Dipende solo da che punto di vista si considera la cosa.
David accende la pipa, le sue mani tremano ma per il resto appare assolutamente calmo.
MARTIN: È inutile parlare.
MARTIN: Ma tu hai il tuo conforto nella fede.
DAVID: Sì.
MARTIN: E nella grazia imperscrutabile.
DAVID: Sì.
MARTIN: È incomprensibile?
David solleva il capo e guarda il mare ventoso oltre l’insenatura che odora di resina e di alghe. La sua mano continua a tremare e la pipa si è spenta.
DAVID: Voglio che tu sappia che non intendo più salvare le apparenze. La verità non implica delle catastrofi: vedo me stesso.
Dà alcuni colpetti alla pipa soffiandoci dentro. Martin si china in avanti invaso da una profonda angoscia repressa.

KARIN: Ho visto Dio.
Lo dice completamente calma, ma dietro la calma si agita un nuovo e immenso terrore, che rapidamente avvolge le sue crescenti radici attorno all’anima di lei.
Si sentono delle voci provenienti dal cortile. Qualcuno bussa alla porta. David esce. Dopo alcuni istanti ritorna nell’ingresso.
DAVID: Aspettano accanto al pontile.
Martin tocca con cautela il braccio di Karin. Lei reagisce appena. Allora Minus la prende per mano e la conduce in camera, l’aiuta ad indossare il soprabito, la pettina e le porge la borsetta. Lei la apre, prende gli occhiali da sole e se li mette.
David la conduce fuori adagio fino al pontile, lei lo segue ubbidiente e completamente apatica. Di quando in quando si lamenta debolmente. Minus rimane nell’ingresso, si siede appoggiando la schiena alla stufa di ferro arrugginita e singhiozza senza lacrime. Quando sente avviare i motori si precipita sul declivio. L’elicottero si solleva e scompare rapidamente nella foschia. Laggiù in fondo c’è David con una lunga ombra nera sulla sabbia bianca. Minus corre attraverso il giardino fino all’angolo più remoto dove in una pietosa penombra si trova il padiglione. David è andato dove ci sono le reti e le esamina con attenzione mentre riempie la pipa. Poi la mette in bocca senza accenderla, e di volta in volta strizza gli occhi alla luce tagliente del pomeriggio, quasi volesse liberarsi da brucianti lacrime d’autocompassione.

Il posto delle fragole

ANNA: Guardate, arriva papà.
ZIA: Finalmente. Sigbritt, prendi il piatto di portata e va’ a scaldare il porridge. Charlotta, va’ a prendere dell’altro latte in cantina.
Ci fu un po’ di agitazione tra le donne, ma Sara corse fuori dall’ingresso e giù per la discesa, e scomparve dietro il piccolo pino che delimitava il giardino dal boschetto di betulle. La seguii con curiosità, ma la persi di vista e mi ritrovai di colpo solo nel posto delle fragole. Fui assalito da una sensazione di vuoto e di tristezza. Mi riscossi a una voce di ragazza che mi chiedeva qualcosa. Alzai lo sguardo.
Davanti a me c’era una giovane donna in pantaloncini corti e camicia a scacchi da uomo, era molto abbronzata e i capelli biondi erano schiariti e arruffati dal sole e dall’acqua salata. Succhiava una pipa spenta, aveva ai piedi degli zoccoli di legno e sul naso un paio di occhiali da sole.

Caricammo i bagagli, salimmo tutti in macchina e, piano, con la vettura che sobbalzava, abbandonammo il mondo dell’infanzia. Sara si tolse gli occhiali da sole e rise. (Era così incredibilmente lei!).
SARA: Devo naturalmente confidare a Isak che Anders e io stiamo insieme. Siamo
pazzi uno dell’altra. Viktor ci fa da chaperon, l’ha voluto papà. Anche Viktor è innamorato di me e controlla Anders come un demente. È stata una mossa geniale da parte del vecchio. Probabilmente sarò costretta a sedurre Viktor per metterlo fuori gioco. È meglio che spieghi a Isak che sono vergine. È per questo che sono così sfrontata.
La guardai nello specchietto retrovisore. Stava comodamente appoggiata all’indietro e aveva allungato le gambe sugli strapuntini. Anders le teneva un braccio intorno alle spalle con un gesto di possesso e sembrava un po’ seccato (difficile dargli torto). Viktor, al contrario, appariva del tutto distaccato e fissava con interesse la nuca di Marianne e tutto ciò che riusciva a vedere della sua figura.
SARA: Io fumo la pipa. Viktor dice che è più sano. Viktor è fanatico di tutto quello che è sano.
Nessuno rispose o ritenne opportuno commentare la diagnosi di Sara. Continuammo il nostro viaggio in un silenzio che non aveva niente di ostile, solo un po’ imbarazzato.

Mi prese per mano e tutt’a un tratto ci trovammo sulla riva di uno stretto dalle acque buie e profonde. Il sole illuminava la riva opposta, che saliva dolcemente verso una macchia di betulle. Sulla spiaggia, al di là dell’acqua scura, era seduto un signore vestito di bianco, col cappello rigettato sulla nuca e una vecchia pipa in bocca. Aveva una morbida barba bionda e il pince-nez. Si era tolto scarpe e calze e teneva in mano una lunga e sottile canna da pesca di bambù. Un galleggiante rosso stava immobile sullo scuro specchio d’acqua.
Più in su, nella radura, era seduta mia madre, vestita di chiaro e con un grande cappello che le faceva ombra al viso. Leggeva un libro. Sara mi lasciò la mano e indicò i miei genitori.



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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #411 il: 06 Aprile 2010, 20:54:16 »
Andrea Camilleri

Il casellante

Quanno Minica 'ntistava... Attrovò il casello 'nserrato. E come avivano proveduto per il passaggio a livello?
A deci metri dal passaggio c'era la casa di 'Ntonio Trupia, un viddrano che aviva tri sarme di terra. Trupia era assittato fora della porta, supra a 'na seggia di paglia e fumava la pipa. Il fumo che nisciva faciva un feto da moriri.
«Bongiorno. Sono il casellante del...».
«V'accanoscio. Bongiorno».
«Mi potiti diri che è capitato?».
«Vinniro i carrabbineri e arristaro a Raffiele e a sò mogliere».
«Pirchì?».
«Boh».
«E il picciliddro?».
Raffiele aviva un figlio di otto anni.
«Si portaro macari a lui. M'hanno ditto che lo consegnano alla soro d'Assunta».
«E al passaggio a livello chi ci abbada?».
«Dissiro d'abbadaricci a mia. Cchiù tardo veni un casellante provisorio».
«Lo sapiti come si fa?».
«Me l'hanno spiegato. Quanno si metti a sonari il campanello che c'è fora del casello, abbascio le sbarre. Quanno passa il treno e il campanello finisci di sonari, le iso. Mi signaro macari l'orari».
«Scusate, livatimi 'na curiosità. Che ci mittite dintra alla pipa?».
«Trinciato forte e merda sicca di vacca».

Il campo del vasaio

Nella grutta faciva càvudo, c’era il foco addrumato dintra a un cerchio di pietre, un
lume a pitroglio da carritteri pinnuliava dalla volta e mannava ‘na luci bastevoli. Un
omo sissantino, la pipa ‘n vucca, e Mimì stavano assittati ognuno supra a uno
sgabello fatto di rami d’àrbolo e jocavano a scopa avenno ‘n mezzo un tavolinetto
fatto macari lui di rami. Ogni tanto, a turno, si vivivano un muccuni di vino da un
sciasco posato ‘n terra. Una scena pastorale. Tanto cchiù che del catafero non si
vidiva manco l’ùmmira. Il sissantino lo salutò, Mimì no. Da una misata Augello ce
l’aviva con l’universo criato.
«Il morto l’ha scoperto quel signore che joca col dottor Augello» disse Fazio
facenno ‘nzinga verso l’omo. «Si chiama Ajena Pasquale e questo terreno è suo. Ci
viene ogni giorno. E ha attrezzato la grotta perché qui dentro ci mangia, ci si riposa o
sinni sta a taliare il paesaggio».

Montalbano s’arricordava d’aviri viduto qualichi cosa di simile in una pittura
celebre. Bruegel? Bosch? Ma non era momento di pinsari all’arte.
Catarella, che era l’urtimo della fila, oltre che l’urtimo in ordine gerarchico, non
aviva coraggio d’appuiarsi a chi lo precedeva e accussì ogni tanto sciddricava supra il
fango, andava a sbattiri contro Fazio il quale sbattiva contro Augello il quale sbattiva
contro Montalbano il quale sbattiva contro Ajena e tutti arrischiavano di cadiri
abbattuti come birilli.
«Senta, Ajena» fici nirbùso Montalbano. «È proprio sicuro che il posto era
questo?».
«Commissario, qua è tutto mio e iu ci vegnu ogni jorno, acqua o suli».
«Allora vogliamo parlare?».
«Si vossia avi gana di parlari, parliamo» disse Ajena addrumandosi la pipa.
«Il cadavere, secondo lei, era qua?».
«Che è, surdo? E che significa secunno mia? Propio qua stava» rispunnì Ajena,
facendo ‘nzinga con la pipa verso il principio dei lastroni di crita, a picca distanza dai
so pedi.
«Quindi era allo scoperto».
«Dicemu di sì e dicemu di no».
«Si spieghi meglio»

« Ultima modifica: 06 Aprile 2010, 22:30:26 da Aqualong »
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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #412 il: 06 Aprile 2010, 21:24:51 »
Di lui abbiamo parlato in altri post



I SEGRETI DELLA NOTTE
 
Cornell Woolrich

Non c’era proprio ragione di allarmarsi; ma era una cosa
talmente incomprensibile... Ormai aveva abbandonato l’idea di tornarsene a letto,
finché la faccenda non fosse risolta. Continuò a passarsi una mano sulla nuca, dove i
capelli avevano urgente bisogno di una regolata.
Sapeva con certezza che non era sonnambula: per quanto potesse ricordare, non lo
era mai stata. Né era stata chiamata con urgenza da qualche parente, per il semplice
fatto che di parenti non ne avevano. E non se ne era certo andata di casa perché fosse
arrabbiata con lui, visto che andavano d’amore e d’accordo. Bastava pensare, per
esempio, a quella stessa sera, quando poco prima di andare a letto lui si era riempita
la pipa e lei aveva insistito per accendergliela: con quanta affettuosa premura lei
aveva tenuto il fiammifero finché il tabacco non era diventato rosso, e con quanto
gusto aveva fatto quel giochino che le piaceva tanto, di tenere in mano il fiammifero
finché non fosse completamente bruciato... Se tra loro le cose andavano così bene,
che cosa avrebbe potuto avere sua moglie contro lui? E poi, l’interesse che lei
mostrava nel sentirlo parlare del suo lavoro, alla sera; il modo con cui assorbiva
attenta ogni minimo particolare della sua routine quotidiana, chiedendogli delle case
che aveva ispezionato durante il giorno, e dei rapporti che aveva fatto per l’ufficio, e
mille altre cose: tutto questo non era solo una finzione, non poteva esserlo.

Uscì dall’ascensore, raggiunse il portone e si fermò lì a scrutare la strada deserta, in
su e in giù, in giù e in su. Avvertire la polizia gli sembrava ancora un po’ esagerato;
avrebbe creato altre complicazioni; ma se non fosse tornata al più presto... Si girò su
se stesso. «Da che parte è andata?» chiese al portiere.
«Giù verso la Terza Avenue.» E quella, delle due direzioni, era certamente la più
pericolosa. Che cosa mai doveva fare lei lì nel buio sotto il ponte della ferrovia, in
una zona in cui spesso nei portoni bivaccavano gli ubriachi? Si mise a passeggiare
avanti e indietro sul marciapiede di fronte all’ingresso illuminato. «Non riesco a
capire...» mormorò un paio di volte, senza curarsi del portiere che nel frattempo era
uscito e l’aveva raggiunto. Di solito fumava la pipa, ma questo non era proprio il
momento adatto. Tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca che si era
infilato sopra la maglia. Ne diede una anche al custode, poi si frugò in tasca alla
ricerca della bustina di fiammiferi. Non la trovò; l’aveva data a Marie quando lei gli
aveva chiesto di farle accendere la pipa, qualche ora prima, e probabilmente lei si era
dimenticata di restituirgliela.

Sentì la propria voce, come se fosse quella di un estraneo, dire al gioielliere che
dopo tutto preferiva non venderlo; uscì dal negozio come un automa, e si diresse
verso casa. Quando ci arrivò, non disse una parola, e si sedette a leggere e rileggere il
resoconto dell’incendio sul giornale del mattino, rabbrividendo un po’ di più ogni
volta. Alla fine, per smettere di tormentarsi, si alzò e si versò da bere.
«Da quale gioielliere hai lasciato il medaglione?» chiese con calma.
Stava rammendando una calza del bambino. Alzò gli occhi, e rispose senza esitare:
«Dal vecchio Elias. È l’unico che conosco, da queste parti».
Proprio dove lui era appena stato. Non disse nient’altro, in tutta l’ora seguente. Poi,
lentamente, verso le undici, tirò fuori la pipa come al solito, per l’ultima fumata della
sera. Dovette fare uno sforzo per tenere la mano ferma mentre prendeva la scatola di
tabacco e riempiva la pipa, premendola col pollice. Tenne gli occhi bassi per tutto il
tempo. Non era possibile capire dove stesse guardando. Tirò fuori di tasca una
bustina di fiammiferi. Subito lei gli andò vicino, col sorriso della brava moglie. «No,
no, questo è compito mio» disse. Gli accese la pipa, poi capovolse il fiammifero
tenendolo all’estremità, e lo lasciò bruciare fino alla fine. Lui continuò a tenere gli
occhi bassi, fissi sulla cavità della pipa, e sull’altra mano di lei. Adesso poteva vedere
solo un quarto della bustina di fiammiferi, perché la sua mano copriva tutto il resto.
Adesso era scomparsa del tutto, completamente nascosta. Lei si raddrizzò e si mosse
per la stanza. Si era dimenticata di restituirgli i fiammiferi, come la sera prima. Lui
aveva la faccia cosparsa di sudore, come se facesse troppo caldo nella stanza. Si alzò,
andò a letto e si infilò sotto le coperte tenendosi addosso le calze e i pantaloni.
Lei rimase in cucina qualche minuto, poi entrò in camera con una tazza fumante.
«Harry, prova a berne un po’, così sei sicuro di fare una bella dormita. Me l’ha
consigliata il farmacista con cui ho parlato ieri notte...»
«A quanto pare sei tu che ne hai bisogno, non io.»
«Io l’ho già bevuta di là» lo rassicurò.
Lui prese la tazza e si mise seduto, tenendo addosso le coperte con una mano.
«Be’, portami la scatola e fammi vedere che cos’è. A me piace sapere che cosa
mando giù.»

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #413 il: 06 Aprile 2010, 21:50:50 »
Avvocato ,poi famoso romanziere con la pipa.

Erle Stanley Gardner

Originario del Massachusetts, nato a Malden, Erle Stanley Gardner passò la sua infanzia nei campi minerari, dato che suo padre faceva il minatore. Ha compiuto i suoi studi al liceo di Palo Alto, in California e, dal 1909, all'Università dell'Indiana. Ammesso all'avvocatura nel 1911, a Oroville in California alternava la pratica legale presso lo studio di un vice procuratore distrettuale con l'attività di boxeur dilettante. Ha esercitato la professione di legale per numerosi anni a Oxnard, in California, spesso come avvocato delle minoranze messicane e cinesi.
Nel suo primo romanzo Perry Mason e le zampe di velluto del 1933 appare il celebre avvocato, capace di risolvere i casi più complicati con un'abilità legale diabolica e sconcertante. Mason sarà protagonista di una serie di ben 82 romanzi e pochi racconti, e determinerà l'incredibile successo mondiale del suo creatore. Fino al 1970 Gardner manterrà una produzione impressionante, con circa 130 opere poliziesche al suo attivo: una media di tre all'anno.

IL MONDO DI KK-KK



Una nebbiolina azzurra si stendeva all’intorno, e in alto l’aria era bianca per la
polvere del Sahara; ma giù l’odore della giungla restava appiccicato al terreno. Gli
uomini se ne stavano ancora intorno a me, nudi e silenziosi. Non uno si mosse.
Chi era l’orefice? E la ragazza?
Poi udii dei passi alle mie spalle e la giungla si aprì. Sentii un vago odore di
bruciato. Non era tabacco - perlomeno non come quello che fumiamo noi - ma ci
assomigliava un poco.
Un uomo entrò nel circolo, fumando una pipa.
«Come state?» domandò. E mi tese una mano.
Era un bianco (almeno in parte) e vestiva in modo buffo. Portava indumenti di
pelliccia, ma tagliati come avrebbe potuto farlo un sarto. Aveva perfino un cappello
con l’ala rigida, ricavato da una pelle verde da cui era stato raschiato il pelo.
Fumava una pipa d’argilla e aveva lo sguardo vacuo, indifferente, dell’uomo che
non sente più niente e che è diventato soltanto una macchina.
Gli strinse la mano.
«Non hanno intenzione di mangiarmi?» domandai.
Lui tirò qualche boccata prima di rispondere, poi si tolse la pipa di bocca e fece
cenno di sì con la testa.
«Ma certo» disse.
Non era incoraggiante.
«Sperate» venne la voce dalla giungla, la voce della ragazza. Sembrava che lei
fosse vicina, sempre nello stesso posto, ma non riuscivo a vederla.
Parlai al tipo con la pipa. Gli feci un bel discorso. Lui si voltò e riferì al circolo di
uomini, ma quelli non dissero niente.
Finalmente un vecchio grugnì e, come se quel grugnito fosse un ordine, tutti si
accoccolarono sui calcagni, rivolti verso di me.
Allora la ragazza della giungla emise dei suoni acuti e striduli. Il vecchio sembrò
ascoltarla. Gli altri, no. Mi fissavano soltanto, tutti con la stessa espressione in faccia:
una specie di curiosità. Non che gli interessasse il mio aspetto; sentivo che erano
curiosi di provare il mio sapore.
L’orefice ficcò un’altra foglia bruna nella pipa, sopra la cenere delle altre.
«La ragazza vi vuole come schiavo» disse.
«Chi è la ragazza?»
«Kk-Kk.»
Non capivo se quello fosse un nome o se con quel suono avesse voluto zittirmi.
Be’, pensai che era meglio diventare uno schiavo che finire arrosto, e me ne stetti
buono.
Poi l’uomo-scimmia, sull’albero, cominciò a ciarlare.
Gli altri non guardarono in su, ma capivo che stavano ascoltando. Quando lui
smise, la ragazza gridò con voce stridula qualche altra parola.
L’uomo-scimmia ricominciò a parlare e la ragazza rispose. II tipo con la pipa
espulse il fumo dal naso: gli occhi erano annoiati e socchiusi. Un uomo strano,
davvero.

Dopo un po’ udii dei passi e arrivò il vecchio orefice, fumando la sua pipa, uno
sbuffo ogni due passi. Aveva l’aria di una grossa locomotiva che arrancasse su per
una salita avanzando con ritmo regolare.
Non disse niente né a me, né agli insetti, ma questi lo sentirono venire e si divisero
in due colonne, agitando le antenne. L’uomo camminò in mezzo a loro fino alla
roccia dal filone d’oro. Una volta là, gettò altra legna sul fuoco, rastrellò un po’ di
cenere e scoprì il letto di brace.
Poi vidi che aveva un martello e un pezzo di metallo che pareva ferro rossastro.
Strappò via una pelle, scoprendo una quantità di grumi e frammenti d’oro. Era un oro
giallo, come freddo, così puro che luccicava.
Ne prese alcuni pezzi e cominciò a martellarli per ricavarne degli ornamenti.
«Che ne fate di quella roba?» domandai alla ragazza, con indifferenza perché non
capisse che ero molto interessato.
«Lo barattiamo con le tribù fanti» disse lei. «Quel metallo non serve a niente: è
troppo tenero per fare armi, troppo pesante per le punte delle frecce. Ma loro lo
portano intorno alle dita e alle caviglie. Ci danno molte pelli in cambio e a volte
cercano di invadere il nostro territorio per impadronirsi della rupe. Se stesse in me, la
smetterai di fare ornamenti. A noi il metallo non piace e non lo usiamo mai. E poi ci
procura un mucchio di guai. I Fanti sono un popolo feroce: stanno sterminando tutta
la nostra gente.»
Mi affrettai ad annuire, con profonda saggezza.
«Già» risposi «quella roba attira proprio i guai. Sarebbe meglio disfarsene.»
Il vecchio orefice alzò la testa, si rigirò la pipa in bocca e mi puntò addosso gli
occhietti cisposi; per un paio di minuti si comportò come se stesse per dire qualcosa,
poi tornò al suo lavoro.Dopo un po’ udii dei passi e arrivò il vecchio orefice, fumando la sua pipa, uno
sbuffo ogni due passi. Aveva l’aria di una grossa locomotiva che arrancasse su per
una salita avanzando con ritmo regolare.
Non disse niente né a me, né agli insetti, ma questi lo sentirono venire e si divisero
in due colonne, agitando le antenne. L’uomo camminò in mezzo a loro fino alla
roccia dal filone d’oro. Una volta là, gettò altra legna sul fuoco, rastrellò un po’ di
cenere e scoprì il letto di brace.
Poi vidi che aveva un martello e un pezzo di metallo che pareva ferro rossastro.
Strappò via una pelle, scoprendo una quantità di grumi e frammenti d’oro. Era un oro
giallo, come freddo, così puro che luccicava.
Ne prese alcuni pezzi e cominciò a martellarli per ricavarne degli ornamenti.
«Che ne fate di quella roba?» domandai alla ragazza, con indifferenza perché non
capisse che ero molto interessato.
«Lo barattiamo con le tribù fanti» disse lei. «Quel metallo non serve a niente: è
troppo tenero per fare armi, troppo pesante per le punte delle frecce. Ma loro lo
portano intorno alle dita e alle caviglie. Ci danno molte pelli in cambio e a volte
cercano di invadere il nostro territorio per impadronirsi della rupe. Se stesse in me, la
smetterai di fare ornamenti. A noi il metallo non piace e non lo usiamo mai. E poi ci
procura un mucchio di guai. I Fanti sono un popolo feroce: stanno sterminando tutta
la nostra gente.»
Mi affrettai ad annuire, con profonda saggezza.
«Già» risposi «quella roba attira proprio i guai. Sarebbe meglio disfarsene.»
Il vecchio orefice alzò la testa, si rigirò la pipa in bocca e mi puntò addosso gli
occhietti cisposi; per un paio di minuti si comportò come se stesse per dire qualcosa,
poi tornò al suo lavoro.



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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #414 il: 12 Aprile 2010, 18:20:25 »
Enzo, scusa, la fotografia non è di Erle Stanley Gardner ma di Raymond Chandler...non sono nemmeno sicuro che Gardner fumasse la pipa, di sue foto con pipa non ne ho vista nemmeno una. Questo era lui
« Ultima modifica: 12 Aprile 2010, 18:23:54 da ismaele »

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #415 il: 12 Aprile 2010, 18:49:15 »
Vero ho sbagliato foto,la pipa la fumava.


La foto è un po' datata ma questa di Life si vede meglio,la pipa è una Sasieni Army Mounted. 8)

« Ultima modifica: 12 Aprile 2010, 18:59:42 da Aqualong »
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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #416 il: 14 Aprile 2010, 00:32:18 »
Bella foto, dove l'hai trovata? Io non l'ho vista! Ma della Sasieni dove se ne parla? Mica si può vedere dalla foto! O stavi scherzando?  ;)

Offline Aqualong

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #417 il: 15 Aprile 2010, 22:21:21 »
Ho finito in questo momento di esaminare una trentina di titoli e sono arrivato alla conclusione,che i personaggi di Simenon non fumano veramente la pipa.
Ovvero : scelse una pipa,caricò la pipa, accese la pipa,pulì la pipa,comprà una pipa,etc..
Non esiste nessuna descrizione dello stato d'animo dei personaggi in relazione all'azione di fumare,la pipa è un complemento marginale che caratterizza un personaggio e lo segue in una lunga serie di romanzi,es. Maigret.
Non essendo la protagonista di uno stato d'animo,o di una atmosfera distesa, diventa meccanica e marginale come una sigaretta o complementare come il cappello di un comico anni 50,con pochissime eccezioni.

GEORGES SIMENON

Félicie

Era la prima volta, quell’anno, che usciva senza cappotto, la prima volta che si trovava in campagna alle dieci del mattino. Anche la grossa pipa sapeva di primavera. Faceva ancora fresco. Maigret camminava a passi pesanti, le mani nelle tasche dei pantaloni. Félicie gli camminava accanto, leggermente più avanti, costretta a fare due passi rapidi per ognuno dei suoi.

«Salga... la seguo».
Félicie apre la porta della sua stanza. Un letto rivestito di cretonne a fiori funge da divano e le pareti sono tappezzate da fotografie di attori.
«Ecco... Mi stavo togliendo il cappello e ho pensato: “To’! Ho dimenticato di aprire la finestra nella stanza del signor Jules...”. Ho attraversato il pianerottolo... Ho aperto la porta e ho gridato...».
Tirando una boccata dopo l’altra dalla pipa che ha ricaricato in giardino, Maigret osserva sul parquet lucido di cera il profilo tracciato con il gesso del corpo di Gambadilegno, così come è stato scoperto la mattina di lunedì.

L’aria è tiepida. Il cielo si sta facendo viola. Ventate di aria fresca arrivano dalla campagna e Maigret, con la pipa in bocca, si accorge di stare un po’ curvo, proprio
come Lapie. Mentre si avvia verso la cantina, strascica persino un po’ la gamba sinistra. Apre la spina della botte del rosé, sciacqua un bicchiere, lo riempie.

A cavalcioni sulla sedia di paglia, con i gomiti appoggiati allo schienale e gli occhi semichiusi, un filo di fumo che sale dalla pipa, sembra sonnecchiare. Quattro uomini giocano a carte davanti a lui.

Lucas se lo chiede, ma non osa fare commenti. Dunque morde il freno e fuma una pipa dietro l’altra; e qualche volta, tanto per combattere la noia, prende a calci i sassi del viale.

«L’armadio?».
L’ha nominato per ultimo apposta. È sulle spine e stringe fra i denti il cannello della pipa sino a farlo scricchiolare.

Lei fiuta il pericolo: si nasconde lì, sotto quelle domande insidiose. Mio Dio! Com’è difficile difendersi da quest’uomo tranquillo che fuma la pipa e la accarezza con sguardo paterno! Lo odia! Mai nessuno l’ha fatta soffrire quanto questo commissario che non le da un attimo di tregua e che le dice le cose più sorprendenti con un tono pacato, aspirando brevi boccate di pipa.


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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #418 il: 17 Aprile 2010, 15:30:36 »
Considerazioni su un giovane che fuma la pipa, da parte di una ragazzotta, con il dono di natura di essere un pochino ninfomane.



Tybor Fisher

I suoi genitori, giocatori di pallacanestro professionisti, lasciarono Budapest dopo la repressione russa seguita alla Rivoluzione ungherese del 1956. Cresciuto a Londra, ha studiato al Peterhouse College di Cambridge.

Il suo esordio letterario, nel 1992, con Sotto il culo della rana, ispirato alle vicende dei suoi genitori, è stato salutato da un meritato successo critico in Gran Bretagna: ha vinto il Betty Trask Award ed è stato nominato per il Booker Prize

Viaggio al termine di una stanza

Dopo essersi presentato, Janos si spogliò e io mi voltai dall’altro lato. Poi cavò di tasca una pipa e l’accese. Non era una pipa ad acqua, ma una pipa classica, con classico tabacco. Come quella che usavano i vecchi zii insignificanti quando eri piccola. Fumare la pipa è considerata una cosa da sfigati da almeno cent’anni e, nonostante l’aspetto ipervirile ed espansivo di Janos, gli dava un’aria comunque buffa. È importante essere fighi? Be’, sì che lo è. Perché stiamo al mondo, se non per
farci ammirare? La vita ti offre l’opportunità di scegliere tra il vestitino figo e il vestitino sciatto, tra la musica fatta da un musicista intelligente e impegnativo e quella fatta dall’imbecille con note stanche e rubate, e quelli che tra noi fanno la scelta giusta andrebbero applauditi. La vita non è forse fatta di una serie di scelte giuste per venire applauditi dalle persone giuste? Che altro ci stiamo a fare, se no? Mi dissi che forse Janos stava sdoganando la pipa tra i fighi, ma non riuscii a convincermi. Ma d’altronde, chi è perfetto?
Janos tirò una boccata profonda ed espirò uno straccetto ritorto di fumo. «Il jojo è buono qui» asserì. Non avevo idea di che significasse, ma avevo capito cosa intendeva.
Alzai gli occhi al paradisiaco cielo azzurro. Da qualche parte là fuori sei milioni di umani si calpestavano la faccia a vicenda. Ma io ero felice. Con tutto il trambusto del cercare lavoro e del viaggio fino a Barcellona non avevo avuto tempo per andare a caccia di uomini. Quel che mi mancava era un po’ di compagnia. Ero nel posto giusto.



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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #419 il: 20 Aprile 2010, 11:55:41 »
Pipe sempre più folli.

Ken Kesey

Nel 1959 alla Stanford University Ken Kesey prese volontariamente parte ad uno studio sulle sostanze psicoattive finanziato dalla CIA, noto con il nome di MKULTRA. Queste sostanze includevano LSD, mescalina e psilocibina. Kesey scrisse resoconti molto dettagliati su quest'esperienza, sia durante lo studio vero e proprio, sia negli anni in cui proseguì privatamente la sperimentazione. Il suo ruolo di cavia lo ispirò nel redigere l' opera Qualcuno volò sul nido del cuculo nel 1962. Il successo ottenuto con questo suo libro e la vendita della sua abitazione a Stanford gli permisero di trasferirsi a La Honda, in California, vicino a San Francisco. Spesso organizzava insieme agli amici delle feste, soprannominate "Acid Tests", durante le quali gli invitati assumevano Lsd in un'ambientazione psichedelica con musica dei Grateful Dead, il gruppo preferito dell'autore. Queste feste sono descritte in alcune poesie di Allen Gisberg e nei libri "The Electric Kool-Aid Acid Test" di Tom Wolfe e "Hell's Angels" di Hunter S. Thompson.

Qualcuno volò sul nido del cuculo

Il giovane si rende conto di aver superato i limiti e tenta di far passare la cosa per uno scherzo, ridacchiando e sogghignando: «Sapete, qualcosa di simile a 'Chi non marcia al passo ode un altro tamburo'», ma è troppo tardi. Il primo interno si volta verso di lui dopo aver posato la tazzina del caffè ed essersi tolto dalla tasca una pipa grossa come un pugno.
«Francamente, Alvin,» dice al terzo interno «mi deludi. Anche non conoscendo i suoi precedenti, basterebbe prestare attenzione al comportamento di lui nella corsia per capire quanto sia assurda questa tesi. Quell'uomo è non soltanto molto, molto malato, ma è altresì, a parer mio, senza alcun dubbio, potenzialmente pericoloso. Penso che sia quanto ha sospettato Miss Ratched nel chiedere questa riunione. Non riconosci l'archetipo dello psicopatico? Non mi è mai capitato un caso più chiaro. Quest'uomo è un Napoleone, un Gengis Khan, un Attila l'Unno.»
Un altro interno interviene. Ricorda quanto ha detto l'infermiera a proposito del reparto Agitati. «Robert ha ragione, Alvin. Non hai visto come si è comportato quell'uomo là fuori, oggi? Quando non ha potuto realizzare uno dei suoi progetti, è balzato in piedi sull'orlo della violenza. Ci dica lei, dottor Spivey, che precedenti ha in fatto di violenza?»
«C'è una netta noncuranza nei confronti della disciplina e dell'autorità» dice il primario.
«Esatto. I suoi precedenti dimostrano, Alvin, che ripetutamente egli ha manifestato le sue tendenze ostili contro chi rappresentava l'autorità... a scuola, sotto le armi, in carcere! E io credo che la sua esibizione, dopo il furore causato dal voto di oggi, sia un indizio, il più conclusivo possibile, di quanto ci si può aspettare in avvenire.» Si interrompe, fissa accigliato la pipa, se la rimette in bocca, accende un fiammifero e succhia la fiammella nel fornello con forti suoni schioccanti. Quando la pipa è accesa, sbircia furtivamente, attraverso la nuvola di fumo giallo, la Grande Infermiera; ovviamente, considera il silenzio di lei un assenso, poiché continua con più foga e sicurezza di prima.
«Immagina per un momento, Alvin,» dice, e il fumo sembra rendere morbide come cotone le sue parole, «immagina che cosa potrebbe accadere a uno di noi quando rimanesse solo con il signor McMurphy per la Terapia Individuale. Immagina di avvicinarti a un progresso decisivo ma particolarmente faticoso e che egli decida di averne avuto abbastanza di tutto il tuo... come potrebbe esprimersi?... del tuo 'stupido e dannato curiosare da universitario'. Gli dici che non deve comportarsi in modo ostile e lui risponde: 'vada all'inferno'. Gli dici di calmarsi, in tono imperioso, si capisce, ed ecco che lui ti si lancia contro, oltre il tavolo, con tutti i suoi novantacinque chili di irlandese testarossa psicopatico. Sei disposto - o è disposto uno qualsiasi di noi, del resto - a tener testa al signor McMurphy in momenti del genere?»
Rimette nell'angolo della bocca l'enorme pipa, appoggia le mani a dita aperte sulle ginocchia, e aspetta. Tutti stanno pensando alle grosse e rosse braccia di McMurphy, alle sue mani segnate da cicatrici, e a come il collo di lui emerga dalla canottiera, simile a un cuneo arrugginito. L'interno a nome Alvin è impallidito
pensandoci, come se il giallo fumo di pipa che il collega sta soffiando verso di lui gli avesse macchiato la faccia.
«Sicché loro pensano che sarebbe opportuno» domanda il primario «trasferirlo al reparto Agitati?»
«Credo che sarebbe per lo meno prudente» risponde il tipo con la pipa, chiudendo gli occhi.
«Temo che dovrò ritirare quando ho detto prima e trovarmi d'accordo con Robert,» annuncia a tutti Alvin «se non altro per tutelare me stesso.»
Gli altri ridono. Sono più rilassati, adesso, sicuri di essersi comportati come voleva Miss Ratched. Bevono tutti un sorso di caffè, tranne il fumatore di pipa, il quale ha un gran da fare perché la pipa seguita a spegnersi; consuma un gran numero di fiammiferi e succhia e sbuffa e fa schioccare le labbra. Finalmente la pipa tira di nuovo in modo soddisfacente ed egli dice, non senza una certa fierezza: «Già, il reparto Agitati per il vecchio McMurphy, temo. Sapete che cosa ritengo di aver notato in lui, in questi pochi giorni?».
«Reazioni schizofreniche?» domanda Alvin. Il fumatore di pipa scuote la testa.
«Omosessualità latente con tendenza reattiva?» dice il terzo.
Il fumatore di pipa scuote di nuovo la testa e chiude gli occhi. «No» risponde, e rivolge un sorriso all'intera sala. «Complesso edipico negativo.»
Si congratulano tutti con lui.




« Ultima modifica: 20 Aprile 2010, 20:29:39 da Aqualong »
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