Ritrovo Toscano della Pipa

La pipa nella letteratura => Gli autori ispirati dalle volute di fumo.... => Topic aperto da: Aqualong - 28 Febbraio 2006, 22:18:38

Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 28 Febbraio 2006, 22:18:38
Ho deciso di continuare quindi meglio fare un 3d unico dove tutti possono aggiungere roba del genere.
 :D  :D
Titolo: Roger Zelazny
Inserito da: Aqualong - 28 Febbraio 2006, 22:21:27
Roger Zelazny (1937-1995)
Uno dei più brillanti autori di S.F. americani degli anni sessanta,settanta,ottanta, specialista e innovatore ai limiti del fantastico puro,il suo genere in particolare è stato definito "Fantasy jazz" un jazz molto freddo ma con molti ritornelli.
Fumatore di pipa dei più accaniti,credo abbia fumato anche del tabacco,si narra che sia nato con la pipa in bocca,nelle sue storie la pipa c'è sempre,non per rafforzare il carattere dei personaggi,già molto coloriti e veri in storie sempre fantastiche, ma come una presenza quasi protagonistica,per fare un paragone come la musica in un'opera lirica.
Ho scritto anche troppo,mi spiace molto per chi non ha mai letto niente delle sue opere,però può sempre rimediare e correre in libreria.


-Konstantin Nomikos-

Un mucchio di morbide poltrone stavano poggiate nell'alcova formata per due lati dai muri a nord della stanza, e per il terzo dalla telinstra. La suonatrice di telinstra era una vecchia signora con occhi sognanti. Lorel Sands, il Direttore della Terra, stava fumando la sua pipa...
Insomma, la pipa è una delle facce più interessanti della personalità di Lorel. È una vera Meerschaum, e non è che a questo mondo ne siano rimaste poi molte. Per il resto, la funzione principale di Lorel consiste nel fare da anticomputer: gli fate ingurgitare tutti i possibili tipi di fatti accuratamente vagliati, percentuali e stati­stiche, e lui li trasforma in spazzatura. Pungenti occhi neri, e un lento, minuzioso modo di parlare mentre quei suoi occhi vi tengono incatenati; piuttosto parco nei gesti, ma estremamente efficace quando taglia l'aria con l'ampia destra o punzecchia immaginarie signore con la pipa;

 

Hasan, accucciato contro il muro di destra, fumava una pipa dal lungo cannello e dal fornello piccolo. Sembrava in pace.
Mamma Julie, immagino fosse lei, cominciò a cantare. Altre voci la seguirono:

Papà Legba, ouvri bayé!
Papà Legba, Attibon Legba ouvri bayé pou pou passé! Papà Legba...

Il coro continuava, e continuava e continuava. Co­minciai a sentirmi assonnato. Bevvi dell'altro rum e mi venne ancor più sete, così ne bevvi dell'altro.
Non sono sicuro di quanto tempo fosse passato, quando successe. I danzatori avevano baciato il palo e cantato e scosso zucche e versato dell'acqua, e un paio di hounsi erano posseduti e parlavano con completa in­coerenza, e il disegno fatto a farina sul pavimento era tutto confuso, e c'era un mucchio di fumo nell'aria, e io stavo appoggiato contro il muro e immagino che gli occhi mi si erano chiusi per un minuto o due.
Il suono nacque da un angolo inaspettato.
Hasan gridò.
Un lungo urlo penetrante che mi spinse in avanti, mi fece perdere l'equilibrio, e mi ributtò di nuovo contro il muro con un tonfo.
Il tamburo continuò a risuonare, senza perdere una sola battuta. Però alcuni dei danzatori si fermarono a guardare.
Hasan era balzato in piedi. Aveva i denti scoperti e gli occhi ridotti a fessure, e sul suo viso si leggevano, sotto la pellicola di sudore, i segni evidenti d'uno sforzo enorme.
La sua barba era una punta di lancia arroventata.
Il suo mantello, disteso alto contro certe decorazioni murali, era un paio d'ali nere.
Le sue mani, in un'ipnosi di lenti movimenti, stavano strangolando un uomo inesistente.

Angelsou - ripeté. - È un dio nero, un dio da temere. Il tuo amico è posseduto da Angelsou.
- Spiegati, per favore.
- Viene raramente al nostro hounfor. Non è deside­rato, qui. Coloro che egli possiede diventano assassini.
- Penso che Hasan stesse provando una nuova misce­la per pipa. Oppio mutante o qualcosa del genere.
- Angelsou - disse lei di nuovo. - Il tuo amico di­venterà un assassino, perché Angelsou è un dio della morte, e fa visita solo ai suoi simili.
- Mamma Julie - replicai, - Hasan è un assassino. Se tu avessi un pezzo di gomma per ogni uomo che ha ucciso e tentassi di masticarli tutti, sembreresti uno scoiattolo. È un assassino professionista; nei limiti con­sentiti dalla legge, di solito.



Mi sedetti su un tronco dinanzi al fuoco, e Hasan s'infilò nella Gauzy. Ne riemerse un minuto dopo con la pipa e un blocchetto di roba dura dall'aspetto resinoso, che procedette a spezzare e ridurre in polvere. La mi­schiò con un pizzico di tabacco, e poi ne riempi la pi­pa. Dopo averla accesa con un tizzone raccolto dal fuo­co, si sedette a fumare al mio fianco.
- Non voglio ucciderti, Karagee - disse.
- Condivido questo sentimento. Non voglio essere ucciso.
- Ma domani dovremo combattere.
- Sì.
- Potresti ritirare la sfida.
- Potresti andartene in Lancia.
- Non lo farò.
E io non ritirerò la sfida.



Hasan succhiava sempre la sua pipa. Annusai. Sentii un profumo come di legno di sandalo.
- Cosa stai fumando?
- Viene dalle mie parti. Ci ho fatto un salto recente­mente. È una delle nuove piante che prima non cresce­vano. Provala.
Aspirai diverse boccate nei polmoni. Dapprima non successe nulla. Continuai a tirare, e dopo un minuto una progressiva sensazione di calma e tranquillità comin­ciò a penetrare nelle mie membra. Aveva un sapore amaro, ma rilassava. Gli restituii la pipa. La sensazione rimase, divenne più forte. Era molto piacevole. Non mi sentivo tanto calmo, tanto rilassato da diverse settima­ne. Il fuoco, le ombre, e il terreno attorno a noi diven­nero d'improvviso più reali, e l'aria della notte e la luna distante e il rumore dei passi di Dos Santos mi giunge­vano più chiaramente della vita stessa. Sul serio. La no­stra battaglia sembrava così ridicola! Alla fine avremmo perso. Stava scritto che l'umanità fosse destinata a fare da cane e gatto e scimpanzé ammaestrati per l'unica ve­ra razza, i vegani; e da un certo punto di vista non era poi un'idea tanto cattiva. Forse avevamo bisogno di qualcuno più saggio che ci sorvegliasse, che dirigesse le nostre vite. Avevamo fatto strage del nostro pianeta du­rante i Tre Giorni, e i vegani non avevano mai avuto una guerra atomica. Reggevano un governo interstellare perfettamente efficiente, controllando dozzine di piane­ti. Tutto quello che facevano era esteticamente piacevo­le. Le loro stesse vite erano meccanismi ben regolati, al­legri. Perché non lasciargli la Terra? Probabilmente se ne sarebbero serviti meglio di quanto avessimo fatto noi. E perché non essere i loro cuccioletti, anche? Non sarebbe stata una brutta vita. Dargli questa vecchia palla di fango, piena di piaghe radioattive e popolata da esseri menomati e deformi.
Perché no?
Accettai di nuovo la pipa e inalai altra pace. Era così piacevole non pensare per niente a cose del genere, co­munque! Non pensare a nulla per cui non si potesse fa­re niente. Era abbastanza stare lì seduto e respirare l'aria notturna ed essere tutt'uno col fuoco e col vento. L'universo stava cantando il suo inno di cosmica unio­ne. Perché aprire il vaso del caos proprio nella cattedra­le?
Ma io avevo perso la mia Cassandra, la mia nera stre­ga di Kos, per colpa delle forze insensate che governano la Terra e le acque. Nulla poteva uccidere il senso di perdita che provavo. Sembrava nascosto in fondo, isola­to dietro pareti di vetro, ma era ancora dentro di me. Nessuna pipa orientale avrebbe potuto placarlo. Non vo­levo conoscere la pace. Volevo l'odio. Volevo strappare tutte le maschere dell'universo: la terra, l'acqua, il cielo, Taler, il Governo Terrestre, e l'Ufficio, per trovare die­tro una di esse la forza che me l'aveva rubata, e com­battere anche quella, provare un vero dolore. Non vole­vo conoscere la pace. Non volevo essere tutt'uno con le cose che avevano fatto del male a lei, che era mia per sangue e per amore. Per cinque minuti buoni desiderai essere nuovamente Karaghiosis, e osservare tutto quello da dietro il mirino d'un fucile.
Oh, Zeus, tu che reggi l'universo, pregai, concedimi di abbattere la Forza nel Cielo!
Tornai nuovamente alla pipa.
- Grazie, Hasan, ma non sono ancora pronto per il mondo dei sogni.
Mi rialzai e mi diressi verso la mia tenda.
- Mi spiace di doverti uccidere domattina - mi gridò dietro lui.

(http://www.itmm.com/scott/zelazny/gif/roger_sm.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 01 Marzo 2006, 14:46:14
Mi fai uomo felice.

Riesci a trovare e trascrivere qui i brani del Giardino dei Finzi Contini in tema pipario?
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Marzo 2006, 15:00:01
Lancio la ricerca.
 8)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Marzo 2006, 16:53:52
Una faticaccia!
 :D  :D  8)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Marzo 2006, 16:54:58
Biografia di Giorgio Bassani
(1916 - 2000)
"Come scrittore ho sempre guardato più all'800 che al '900": in queste parole, è racchiusa la chiave di volta per accedere all'universo di Giorgio Bassani e, anche, per comprendere la non positiva accoglienza riservata da parte della critica ai suoi lavori, all'epoca dell'uscita. L'opera dello scrittore bolognese, infatti, nell'ambito della narrativa nostrana tra il 1945 ed i primi anni '60, segna l'inizio d'una fase di restaurazione, il transito dal modulo neorealistico al registro elegiaco: un ripiegamento nel privato, in definitiva, un tuffo nella nostalgia e nel ricordo, indice d'un palese distacco dalla dimensione dell'impegno.
 - ha inteso rappresentare abitudini e mentalità della comunità israelitica benestante di Ferrara. Detta località è centrale nei suoi scritti.
Grande fumatore di pipa.


"Il Giardino dei Finzi Contini"  



Quando, quel sabato pomeriggio, sbucai in fondo a corso Ercole I (evitati la Giovecca e il centro, provenivo dalla non lontana piazza della Certosa), mi accorsi immediata-mente che davanti al portone di casa Finzi-Contini sostava all'ombra un piccolo gruppo di tennisti. Erano in cinque, anche loro in bicicletta: quattro ragazzi e una ragazza. Le labbra mi si piegarono in una smorfia di disappunto. Che gente era? Tranne uno che non conoscevo neppure di vista, un tipo più anziano, sui venticinque, con pipa fra i denti, calzoni lunghi di lino bianco e giacca di fustagno marrone, gli altri, tutti quanti in pullover colorati e in pantaloncini corti, avevano proprio l'aria di essere frequentatori abituali dell'Eleonora d'Este. Arrivati da qualche momento, aspettavano di poter entrare. Ma siccome il porto-ne tardava ad aprirsi, ogni tanto, in segno di allegra protesta, cessavano di parlare ad alta voce e di ridere per mettersi a suonare ritmicamente i campanelli delle biciclette.

 Comunque sia, mai che le sue assenze durassero più di due giorni filati. E d'altronde era anche l'unico, lui, oltre a me, che a giocare a tennis non mostrasse di tenere eccessivamente (per la verità giocava piuttosto male), talora accontentandosi, quando compariva in bicicletta verso le cinque, dopo il laboratorio, di arbitrare una partita odi sedere in disparte con Alberto a fumare la pipa e a conversare.

Era un bel musone, va' là: e neanche tanto originale come aveva l'aria di ritenersi. Volevo scommettere che, opportunamente interrogato, a un certo punto sarebbe uscito fuori a dichiarare che lui in abiti da città si sentiva a disagio, ad essi in ogni caso preferendo la giacca a vento, le braghe alla zuava, gli scarponi degli immancabili week-ends sul Mortaione o sul Rosa? La fedele pipa, a questo proposito, era parecchio rivelatrice: valeva tutto un programma di austerità maschile e subalpina, tutta una bandiera.

Era un bel musone, va' là: e neanche tanto originale come aveva l'aria di ritenersi. Volevo scommettere che, opportunamente interrogato, a un certo punto sarebbe uscito fuori a dichiarare che lui in abiti da città si sentiva a disagio, ad essi in ogni caso preferendo la giacca a vento, le braghe alla zuava, gli scarponi degli immancabili week-ends sul Mortaio-ne o sul Rosa? La fedele pipa, a questo proposito, era parecchio rivelatrice: valeva tutto un programma di austerità maschile e subalpina, tutta una bandiera.

Stava sprofondato in una poltrona. Se ne sollevò puntando entrambe le mani sui braccioli, si mise in piedi, posò il libro che stava leggendo, aperto e col dorso in alto, sopra un basso tavolinetto accanto, infine mi venne incontro.
Indossava un paio di pantaloni di vigogna grigi, uno dei suoi bei pullover color foglia secca, scarpe inglesi marrone (erano Dawson autentiche, ebbe poi modo di dirmi: le trovava a Milano in un negozietto vicino a San Babila), una camicia di flanella aperta sul collo senza cravatta, e aveva fra i denti la pipa. Mi strinse la mano senza eccessiva cordialità. Intanto fissava un punto oltre la mia spalla. Cos'era ad attirare la sua attenzione? Non capivo.
«Scusa» mormorò.

Ciò nondimeno, a partire dalla prima volta che m'ero seduto dinanzi a lui, nello studio di Alberto, avevo avuto un desiderio solo: che mi stimasse, che non mi considerasse un intruso fra sé e Alberto, che infine non giudicasse mal assortito il trio quotidiano nel quale, certo non per sua iniziativa, si era trovato imbarcato. Credo che l'adozione anche da parte mia della pipa risalga proprio a quell'epoca.

Sono persuaso tuttavia che a diffondere nella stanza quel senso di vaga oppressione che vi si respirava fosse proprio lui col suo ordine meticoloso, con le sue caute iniziative imprevedibili, coi suoi stratagemmi. Bastava, non so, che nelle pause della conversazione cominciasse a illustrare le virtù della poltrona sulla quale sedevo, il cui schienale «garanti-va» alle vertebre la posizione «anatomicamente» più corretta e vantaggiosa; oppure, offrendomi aperta la piccola borsa di pella scura del tabacco da pipa, che mi ricordasse le varie qualità di trinciato a suo parere indispensabili perché dalle nostre Dunhill e GBD si ricavasse l'ottimo dei rendi-menti (tanto di dolce, tanto di forte, tanto di Maryland); ovvero che per motivi non mai ben chiari, noti a lui solo, annunciasse con un vago sorriso, alzando il mento verso il radiogrammofono, la temporanea esclusione del suono di qualcuno degli altoparlanti: in ciascuna di tali o simili circo-stanze lo scatto di nervi era da parte mia sempre in agguato, sempre lì lì per scoppiare.

«Comunque, quest'inverno niente» soggiunse sorridendo: «potrei anche giurartelo. Non ho fatto altro che studia-re e fumare, tanto che era la signorina Blumenfeld, proprio lei, a spronarmi a uscire».
Tirò fuori da sotto il guanciale un pacchetto di Lucky Strike, intatto.
«Ne vuoi una? Come vedi, ho cominciato dal genere forti.»
Indicai in silenzio la pipa che tenevo infilata nel taschino della giacca.
«Anche tu!» rise, straordinariamente divertita. «Ma quel vostro Crampi gli scolari li semina!»
«E tu che ti lamentavi di non avere amici a Venezia!» deplorai. «Quante bugie. Sei anche tu come tutte le altre, va' là.»

Mangiavamo sempre molto lentamente. Restavamo a tavola fino a tardi, bevendo Lambrusco e vinello di Bosco e fumando la pipa. Nel caso però che avessimo cenato in città, a un certo punto posavamo i tovaglioli, pagavamo ognuno il proprio conto, e quindi, tirandoci dietro le biciclette, cominciavamo a passeggiare lungo la Giovecca, su e giù dal Castello alla Prospettiva, oppure lungo viale Cavour, dal Castello fino alla stazione. Era poi lui, in genere sulla mezzanotte, a offrirsi di riaccompagnarmi a casa. Dava un'occhiata all'orologio, annunciava che era tempo di filare a dormire (anche se la sirena della fabbrica per loro «tecnici» non suonava che alle otto - soggiungeva spesso, solenne - i piedi giù dal letto bisognava sempre metterli alle sei e tre quarti «come minimo ....), e per quanto insistessi, a volte, per riaccompagnarlo io, non c'era mai modo che me lo permettesse. L'ultima immagine che mi rimaneva di lui era invariabilmente la medesima: fermo in mezzo alla strada a cavallo della bicicletta, stava lì ad aspettare che gli avessi chiuso ben bene il portone in faccia.

Fece con la mano un gesto vago, e uscì in una breve risata.
«Non pensare a me» soggiunse. «Va' pur su, che ti aspetto.»
Tutto si svolse molto rapidamente. Quando tornammo da basso, Malnate stava chiacchierando con la tenutaria. Aveva tirato fuori la pipa: parlava e fumava. Si informava del «trattamento economico» riservato alle prostitute, del «meccanismo» del loro avvicendamento quindicinale, del «controllo medico», eccetera e la donna gli rispondeva con pari impegno e serietà.
«Bon» disse infine Malnate, accortosi della mia presenza, e si alzò in piedi.
Passammo nell'anticamera, diretti verso le biciclette che avevamo accostato una sull'altra alla parete di fianco all'u-scio di strada, mentre la tenutaria, diventata ormai molto gentile, correva avanti ad aprire.
«Arrivederci» la salutò Malnate.
Mise una moneta sul palmo proteso della portinaia, e uscì fuori per primo.
Gisella era rimasta indietro.

(http://www.comune.codigoro.fe.it/bassani/images/gbassani.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 01 Marzo 2006, 21:44:17
Citazione da: "Aqualong"
Una faticaccia!
 :D  :D  8)
ma ne è uscito un manifesto programmatico... la austerità subalpina mi piace assai
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 02 Marzo 2006, 21:02:32
un piccolo segno di apprezzamento per l'opera che sta facendo Enzo

http://www.cristianociani.splinder.com
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Marzo 2006, 09:45:10
Honoré de Balzac

Nato a Tours nel 1799 da una famiglia della media borghesia. Solo nel 1830 aggiungerà il "de" al cognome. Il padre era stato segretario del consiglio del re durante l'Ancien régime, fu poi capo della sussistenza della XXII divisione militare di Tours. La madre proveniva da una famiglia di commercianti.
Iniziò gli studi di giurisprudenza, e si impiegò come scrivano prima presso un avvocato, poi da un notaio.Come scrittore segue la moda e il gusto piccolo-borghese. Si prova con romanzi rocamboleschi e fantastici, senza firmarli. Tutti i suoi tentativi commerciali fallirono, si ritrovò a trent'anni al punto di partenza e coperto di debiti. Il successo giunse grazie a "Gli Sciuani" (1829) e allo scandalo del saggio "La fisiologia del matrimonio" (1830). Da allora si affermò stabilmente sulla scena pubblica francese, come giornalista e romanziere.Si sposò il 14 marzo 1850 sopravvisse solo qualche mese alle nozze. Morì a Parigi, nella lussuosa casa di rue Fortunée (ora rue Balzac), la sera del 18 agosto 1850.

Nei sue narrazioni simili ad affreschi la pipa compare spesso ,ma come elemento di atmosfera.

Il medico di campagna

Il medico e il comandante si guardarono attentamente intorno, ma videro soltanto il badile, la zappa, la carriola, il pastrano militare di Gondrin vicino a un mucchio di melma nera. Nessuna traccia dell'uomo nei solchi sassosi della montagna lungo i quali scorrevano le acque simili a rughe capricciose seminascoste tra bassi cespugli.
   «Non può esser molto lontano. Ohe, Gondrin!», chiamò Benassis. Genestas vide allora in mezzo alla vegetazione di una frana un filo di fumo che si alzava da una pipa e lo indicò col dito al medico, che ripeté il suo richiamo. Il vecchio pontiere sporse allora il capo in avanti, riconobbe il sindaco e venne giù per un viottolo.
   «Ehi là, vecchio mio», gridò Benassis atteggiando la mano come a formare una specie di cornetto acustico, «qui c'è un tuo compagno d'armi, un «Egiziano» che vuole conoscerti».
   Gondrin alzò prontamente la testa verso Genestas con quello sguardo rapido e investigatore che i veterani hanno preso dall'abitudine di rendersi rapidamente conto del pericolo. Vista la rossa coccarda del comandante, portò in silenzio il dorso della mano alla fronte.


«Se il «pelatino» vivesse ancora», disse l'ufficiale, «avresti la tua croce e una bella pensione, perché hai salvato la vita a tutti quelli che oggi portano spalline e che il 1° ottobre del 1812 erano dall'altra parte del fiume. Senonché, amico mio», aggiunse smontando da cavallo e prendendogli la mano con improvvisa commozione, «io non sono il ministro della guerra».
   A queste parole, il vecchio pontiere, dopo aver vuotato e riposto la pipa, si drizzò sulla schiena e disse scuotendo il capo: «Ho fatto solo il mio dovere, signor comandante, ma gli altri non hanno fatto lo stesso con me. Mi hanno chiesto i documenti! I miei documenti, ho detto, sono il ventinovesimo bollettino».

Aveva diciassette anni, era bianca come la neve, occhi di velluto, sopracciglia nere come code di topo, capelli lucenti, folti, che facevano venir voglia di scompigliarli, una creatura davvero perfetta! Fui io il primo ad accorgermi di quella magnifica roba nascosta in cantina, una sera che, mentre tutti mi credevano a letto, passeggiavo sulla strada fumando tranquillamente la pipa. Quei ragazzi brulicavano, l'uno addosso all'altro, come una cucciolata, una cosa buffa! Il padre e la madre mangiavano insieme a loro. A forza di guardare, scoprii, in mezzo alle nuvole di fumo che faceva il padre con le sue zaffate di tabacco, la giovane ebrea che se ne stava là come un napoleone nuovo in un mucchio di soldoni. Io, caro Benassis, non ho mai avuto il tempo di riflettere molto sull'amore. Tuttavia, quando vidi quella fanciulla, capii che fino ad allora non avevo fatto altro che assecondare la natura, mentre quella volta era in giuoco tutto, il cervello, il cuore e il resto. Presi dunque una formidabile cotta, oh, sul serio! Restai là a fumare la pipa e a guardare l'ebrea fino a quando ella non soffiò sulla candela e se ne andò a letto. Impossibile chiudere occhio! Passai la notte a caricare la pipa e a fumare, camminando su e giù per la strada. Una cosa che non mi era mai accaduta! Fu l'unica volta in vita mia che pensai al matrimonio.

«Quando tornai nella mia camera, trovai Renard tutto indaffarato. Credendomi ucciso in duello, stava pulendo le pistole, con l'intenzione di piantar grane a chi mi aveva mandato all'altro mondo... Oh, ma vedete che razza di tipo! Confidai a Renard il mio amore e gli mostrai la cuccia dei ragazzi. Poiché Renard capiva il dialetto di quei cinesi, lo pregai di aiutarmi a fare la mia richiesta ai genitori e a mettermi in contatto con Judith. Lei si chiamava Judith. Insomma, fui per quindici giorni il più felice degli uomini, perché tutte le sere l'ebreo e sua moglie ci fecero cenare insieme alla ragazza. Voi sapete come vanno queste cose e non occorre dica più niente; ma se non vi piace fumare, non potete immaginare il gusto che prova un galantuomo a fumare tranquillamente la pipa col suo amico Renard e il padre della fanciulla, contemplando la sua bella.

Mentre io andavo in estasi e navigavo sulle nuvole guardandola, il mio Renard, che non per niente aveva quel nome, state bene a sentire, faceva il lavoro sotto terra; il vigliacco se l'intendeva con la ragazza, e così bene, che si sposarono secondo le usanze locali perché i permessi avrebbero tardato troppo a venire, ma promise di sposarla secondo la legge francese se per caso il matrimonio non fosse stato riconosciuto. Fatto si è che più tardi, in Francia, la signora Renard ridiventò la signorina Judith. Se io avessi saputo tutto questo affare avrei fatto fuori subito Renard, senza dargli il tempo di fiatare; ma padre, madre, figlia e il mio maresciallo di sussistenza, tutti se l'intendevano come una mafia. Mentre io fumavo la pipa, mentre adoravo Judith



(http://www.french-ital.ucsb.edu/classes/images/balzac-2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 03 Marzo 2006, 13:59:10
proverei Thomas Mann e Remarque
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Marzo 2006, 14:58:32
La scelta è molto ampia piano piano faccio una "cernia".
Cerco di fare in modo che dalle spigolature si intraveda un po' la storia,come quella chicca di Balzac,che altrimenti non avrei messo perche mi è sempre stato sulle '.
 :D  8)  :D
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Marzo 2006, 22:18:21
Charles Baudelaire

E’ stato un poeta e un grande critico, tra i maggiori studiosi dei problemi estetici del suo tempo. La sua arte poetica è  molto complessa, non facilmente racchiudibile o esauribile in formule.
Ricorre di frequente all'hashish e all'oppio in mancanza all’assenzio.
Ma nei rari momenti di lucidità è stato un fine intenditore di pittura e un abile traduttore dei racconti di Edgar Allan Poe.
Fumatore sporadico di pipa,il che ulteriormente dimostra che la pipa è un piacere e non un vizio
Nato nel 1821 morì a 46 anni nel 1867.




LA PIPA


Sono la pipa d'un autore. S'indovina, a guardare la mia faccia d'Abissinia o di Cafra, che il mio padrone è un gran fumatore.
Quand'è carico di dolori io fumo come la capannuccia in cui si prepara il pasto pel ritorno dell'aratore.
Stringo e cullo la sua anima nella rete azzurra e mobile che sale dalla mia bocca di fuoco
e svolgo un dittamo potente che incanta il suo cuore e guarisce le pene del suo spirito.



LA PIPA DELLA PACE


Ora Gitche Manito, Signore della Vita, il Possente, discese la verde prateria, l'immensa prateria dai poggi montagnosi, e là, sulle rocce della Cava Rossa, dominando lo spazio, bagnato di luce, si ergeva diritto, in piedi, grande e maestoso.

Così, convocò le genti senza fine, più numerose delle erbe e delle sabbie. E con la terribile mano spezzò un pezzo di roccia e ne ricavò una pipa superba: poi, in riva al ruscello, in un fascio enorme di canne ne scelse una lunga per farsene un cannello.

Per empirla cavò da un salice la scorza; e lui, l'Onnipossente, il Creatore della Forza, ritto in piedi, accese, come fosse un divino fanale, la Pipa della Pace. Alto sulla Cava, fumava, eretto, superbo e intriso di luce. Era per tutte le genti il segnale supremo.

Lentamente saliva quel fumo divino nell'aria mattutina, odoroso, ondeggiante. Fu, dapprima, nient'altro che una tenebrosa striscia; poi il vapore s'azzurrò e ispessì, e sbiancò: e salendo e ingrandendo incessantemente andò a spezzarsi al duro soffitto del cielo.

Dalle più lontane cime delle Montagne Rocciose, dai laghi del Nord di onde rumoreggianti, da Tawasentha, valle impareggiabile, sino a Tuscoloosa, profumata foresta, videro tutti il segnale, il fumo alzarsi immenso e quieto nel mattino vermiglio.

Dicevano i Profeti: «Vedete la striscia di vapore che, simile a mano imperante, oscilla e in nero si distacca tremando contro il sole? È Gitche Manito, Signore della Vita, che dice ai quattro cantoni della prateria immensa: «Vi chiamo tutti, guerrieri, al mio consiglio.»

Per vie d'acqua, per strade di pianura, dai quattro angoli da cui soffiano i venti, tutti i guerrieri, di ciascuna tribù, tutti, accolto il segno della mobile nube, vennero docili alla Cava Purpurea ove Gitche Manito gli fissava l'incontro.

I guerrieri stavano nella verde prateria, in assetto e cipiglio di guerra, maculati come fogliame d'autunno; e l'odio, che porta a combattere gli uomini, l'odio che ardeva un tempo gli occhi dei loro padri, incendiava ancora le loro pupille d'un fuoco fatale.

I loro occhi erano pieni d'un odio ereditario. Or Gitche Manito, Signore della Terra, li guardava con pietà, così come un buon padre, nemico del disordine, che vede i figli combattersi e mordersi. Tale Gitche Manito per tutti quei popoli.

Steso egli su di essi, la sua destra possente per soggiogare il loro cuore e la loro angusta natura, per smorzare la loro febbre all'ombra della sua mano; poi disse loro, con la voce maestosa, simile a quella d'un'acqua tumultuante, che cadendo manda un suono mostruoso, sovrumano!


«O mia posterità, deplorevole e amata! O figli miei, ascoltate la divina ragione. È Gitche manito, Signore della Vita, che parla, colui che portò nella vostra patria l'orso, il castoro, la renna ed il bisonte.

Io vi ho reso caccia e pesca agevoli; perché mai, però, il cacciatore si fa assassino? Fui io a rendere la palude ricca d'uccelli; perché, indocili figli, non v'accontentate? Perché l'uomo dà la caccia al vicino?

Sono stanco, stanco delle vostre orribili guerre. Le vostre preghiere, persino i vostri giuramenti non sono che misfatti. C'è un pericolo in voi: sta nei vostri umori opposti, mentre nell'unione sta la vostra forza. Fraternamente dunque vivete in pace fra di voi.

Riceverete presto, dalla mia mano, un Profeta, che verrà ad istruirvi e a soffrire con voi. La sua parola farà della vita una festa; ma se disprezzerete la sua perfetta saggezza, sarete destinati, poveri figli reprobi, ad essere distrutti.

Cancellate nei flutti i colori delittuosi. Sono fitte le canne e la roccia dura: ognuno può cavarne la sua pipa. Ma, più guerre né sangue. Vivete ormai da fratelli e uniti fumate la Pipa della Pace!»


D'improvviso, gettate le armi a terra, lavano nel ruscello i colori di guerra che lucevano sulle loro fronti crudeli e trionfanti. Ognuno si fa una pipa e coglie sulla riva un lungo cannello che abilmente abbellisce. Lo Spirito sorrideva ai suoi poveri figli.

Ognuno, l'anima in pace, estatica, riprese la strada, e Gitche Manito, Signore della vita, risalì, per la porta dischiusa dei cieli. - Attraverso lo splendido vapore della nube, l'Onnipossente saliva, contento di sé, immenso, profumato, sublime e radioso!


Paradisi artificiali


I suoni hanno un colore, i colori una musica. Le note musicali sono numeri e risolvete con rapidità fulminea via via che la musica fluisce nel vostro orecchio calcoli aritmetici che hanno del prodigio. Siete seduti e fumate; credete di essere seduti sulla vostra pipa, e siete voi che la vostra pipa fuma; siete voi che vi esalate sotto forma di nuvole azzurrognole.
   Vi trovate bene, una sola cosa vi preoccupa e vi inquieta. Come farete ad uscire dalla vostra pipa? Questa fantasia dura un'eternità. Con grande sforzo un intervallo di lucidità vi permette di guardare il pendolo. L'eternità è durata un minuto. Siete presi in un'altra corrente di idee; sarete presi per un minuto nel suo vivente gorgo, e questo minuto sarà ancora una eternità. Le proporzioni del tempo e dell'essere sono disturbate dall'innumerevole moltitudine e dall'intensità delle sensazioni e delle idee. Si vivono parecchie vite d'uomo nello spazio di un'ora.

Allo stesso modo l'uccello che si libra in fondo all'azzurro rappresenta prima l'immortale desiderio di librarsi sopra le cose umane, ma poi già siete l'uccello stesso. Vi penso seduti a fumare. La vostra attenzione planerà un po' troppo a lungo sulle volute azzurrine che si innalzano dalla vostra pipa. L'idea di un'evaporazione lenta, successiva, eterna, diverrà padrona della vostra mente e applicherete presto quest'idea ai vostri pensieri e alla vostra materia pensante. Per uno strano equivoco, per una specie di trasposizione o qui-pro-quo dell'intelletto, vi sentirete divenir voi stessi fumo


(http://opioids.com/opium/charles-baudelaire.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2006, 00:38:24
La relazione del viaggio che fece il capitano Fernando Pizarro per ordine del governatore suo fratello, da che partì dal popolo di Caxamalca per andare a Xauxa finchè ritornò.


Il dí della Epifania, a' sei di gennaro del 1533, partí il capitano Fernando Pizarro dalla città di Caxamalca con venti da cavallo e con certi schiopettieri a piedi, e quel dí stesso andò a dormire in un certo luoghetto cinque leghe indi lungi. Il secondo giorno andò a mangiare ad una terra chiamata Ychoca, dove fu ben ricevuto, e v'ebbe tutto quello che e per sé e per le sue genti li faceva di bisogno.


E in tutto quel paese s'imbriacano con certo fumo, che danno ciò che hanno per averne. Beono similmente un'altra cosa che cavano delle frondi degli arbori, come d'elci, e le cuocono in alcune botti al fuoco, e dipoi che l'hanno cotta empiono la botte d'acqua, e cosí lo tengono sopra il fuoco, e quando ha bollito due volte la buttano in alcuni vasi e la raffreddano con una mezza zucca: e quando sta con molta schiuma, la beono quanta piú calda la posson soffrire, e finchè la cavano della botte e finchè la beono stanno gridando "chi vuol bevere". E quando le donne sentono questi gridi, subito si fermano senza aver ardir di muoversi, se ben si trovassero d'esser molto cariche: e se per sorte alcuna d'esse si movesse, la svergognano e danno delle bastonate, e con molto sdegno e colera essi gettan via quell'acqua o bevanda che hanno fatta, e se ne hanno bevuta la vomitano fuori, il che essi fanno molto agevolmente. La ragione di questa loro usanza essi dicono che è questa, che se, quando essi vogliono bere di quell'acqua, le donne si muovono da dove le prende quella voce, in quella bevanda si mette una cosa trista, la quale entrando nel corpo in breve spazio gli fa morire. E tutto il tempo che quell'acqua si cuoce, il vaso ha da star bene turato e chiuso, e se per sorte stesse scoperto e venisse a passare alcuna donna, la gettano via e non ne beono piú.

Similmente hanno grande abondanza di melloni grossi, cocomeri, zucche, piselli, fave, e d'ogni colore, ma non della sorte delle nostre. Nascevi anco una certa erba, della qual fanno gran munizione tutto il tempo della state per l'inverno, la qual apprezzano e stimano grandemente, e ne usano solamente gli uomini nel modo e forma che seguita. La fanno seccare al sole e la portano al collo rivolta in una picciola pelle d'animale, in modo di sacchetto, con un cornetto di pietra o di legno; poscia a tutte l'ore fanno polvere di detta erba e la mettono in uno de' capi di detto cornetto, e disopra pongono un carbone di fuoco, e dall'altro canto e capo del cornetto succiano tanto che s'empiono di tal maniera il corpo di detto fumo, che poscia ne esce per la bocca e per le nari sí come per una tromba di camino: e dicono che questo effetto li tien caldi e sani, né mai vanno senza detta polvere. Noi avemo esperimentato detto fummo, e avendonelo posto in bocca ne parve aver posta tanta polvere di pepe, di cosí fatta maniera è caldo.
(http://www.isognatori.com/img_palato/storia_s.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Marzo 2006, 11:00:20
Ripropongo quì alcune patent di Alfred e utilizzo il posto anche per  cataloghi d'epoca pdf.
http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/1341418.pdf
http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/KatalogDE.pdf
http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/Petersonpipes.pdf
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 06 Marzo 2006, 13:53:56
sei immENZO
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Marzo 2006, 15:46:53
Frammenti: acuni autori parlano poco di pipe,pur amandole,perchè a volte il loro genere letterario poco s'adatta,ma appena possono infilano una pipa nel racconto per uno scopo preciso.




La pipa come allegoria per spiegare il carattere di un fanullone

Kafka

Il Castello


 Lei non è mai stato nella nostra sala a mezzogiorno, non conosce i nostri clienti del mezzogiorno, allora ce n'erano anche di più, in seguito ne abbiamo persi parecchi. E il risultato fu che non solo siamo riusciti a pagare regolarmente l'affitto, ma dopo qualche anno abbiamo acquistato tutto e oggi non abbiamo quasi più debiti. L'altro risultato, però, è che io mi sono distrutta, mi sono ammalata di cuore e ormai sono una vecchia. Lei crederà che io sia molto più anziana di Hans, ma in realtà lui ha solo due o tre anni meno di me e certo non invecchierà mai, perché con il lavoro che fa - fumare la pipa, stare ad ascoltare i clienti, poi svuotare la pipa e qualche volta andare a prendere una birra -, con il lavoro che fa non s'invecchia».
   «Quello che lei ha fatto è ammirevole», disse K., «non c'è dubbio, ma stavamo parlando del periodo precedente al suo matrimonio, allora sarebbe stato strano che la famiglia di Hans spingesse al matrimonio facendo dei sacrifici finanziari o quanto meno assumendosi un rischio così grande come quello di affidarvi la locanda, sperando nella sua capacità di lavoro, che ancora non conosceva, e in quella di Hans, di cui doveva essersi già accorta che era inesistente».
   «Ma sì», disse l'ostessa stanca, «so dove vuole andare a parare e anche quanto si sbaglia. In tutto questo





La pipa e un corno come elementi centrali di una scenografia,oggetti simili con forti analogie ma non uguali nella sostanza,tutto intorno,colore,dialoghi,la gente,i personaggi


(perdonate,specialmente gli autori,per dovere di cronaca correggo)

Luigi Illica e Giuseppe Giacosa

Bohème

Un crocicchio di vie che al largo prende forma di piazzale; botteghe, venditori di ogni genere; da un lato, il Caffè Momus.
La vigilia di Natale.
Gran folla e diversa: borghesi, soldati, fantesche, ragazzi, bambine, studenti, sartine, gendarmi, ecc. Sul limitare delle loro botteghe i venditori gridano a squarciagola invitando la folla de' compratori. Separati in quella gran calca di gente si aggirano Rodolfo e Mimì da una parte, Colline presso la bottega di una rappezzatrice; Schaunard ad una bottega di ferravecchi sta comperando una pipa e un corno; Marcello spinto qua e là dal capriccio della gente. Parecchi borghesi ad un tavolo fuori del Caffè Momus. È sera. Le botteghe sono adorne di lampioncini e fanali accesi; un grande fanale illumina l'ingresso al Caffè.

Schaunard
(dopo aver soffiato nel corno che ha contrattato a lungo con un venditore di ferravecchi)
Falso questo Re!
Pipa e corno quant'è?
(Paga .)


Marcello
(tutto solo in mezzo alla folla, con un involto sotto il braccio, occhieggiando le donnine che la folla gli getta quasi fra le braccia)
Io pur mi sento in vena di gridar:
Chi vuol, donnine allegre, un po' d'amor!
Facciamo insieme a vendere e a comprar!
Un venditore
Prugne di Tours!
(Entra un gruppo di venditrici.)
Marcello
Io dò ad un soldo il vergine mio cuor!
(La ragazza si allontana ridendo.)
Schaunard
(Va a gironzolare avanti al caffè Momus aspettandovi gli amici: intanto armato della enorme pipa e del corno da caccia guarda curiosamente la folla.)
Fra spintoni e testate accorrendo
affretta la folla e si diletta
nel provar gioie matte... insoddisfatte...

Musetta
(ad Alcindoro, ribellandosi)
Io voglio fare il mio piacere!
Voglio far quel che mi par,
non seccar! non seccar!
Mimì
Quell'infelice
mi muove a pietà!
Colline
(Essa è bella, io non son cieco,
ma piaccionmi assai più
una pipa e un testo greco!)
Mimì
(stringendosi a Rodolfo)
T'amo!
Quell'infelice mi muove a pietà!
L'amor ingeneroso è tristo amor!
Quell'infelice mi muove a pietà!
Rodolfo
(cingendo Mimì alla vita)
Mimì !
È fiacco amor quel che le offese
vendicar non sa!
Non risorge spento amor!

Schaunard
(Quel bravaccio a momenti cederà!
Stupenda è la commedia!
Marcello cederà!)
(a Colline)
Se tal vaga persona,
ti trattasse a tu per tu,
la tua scienza brontolona
manderesti a Belzebù!





La pipa come ultimo e supremo desiderio e sua trasformazione in nemesi


Hans Cristian Andersen
 

l'acciarino

Appena fuori dalla città era stata innalzata una grande forca, circondata da soldati e da molte centinaia di migliaia di persone. Il re e la regina erano seduti sul trono proprio di fronte al giudice e al consiglio.
Il soldato si trovava già in cima alla scala, ma prima che gli legassero il laccio intorno al collo, disse che si deve concedere sempre un ultimo desiderio al condannato, e lui desiderava tanto fumarsi la pipa; in fondo sarebbe stata la sua ultima fumata di pipa in questo mondo!
Il re non volle negargli il permesso; il soldato prese il suo acciarino, fece fuoco e, un, due, tre comparvero i tre cani, quello con gli occhi grandi come tazze da tè, quello con gli occhi come ruote di mulino e quello i cui occhi sembravano la Torre Rotonda.
"Aiutatemi perché non venga impiccato!" gridò il soldato e subito i cani si precipitarono tra i giudici e il consiglio, afferrarono uno alle gambe e uno per il naso e li lanciarono in aria, così in alto che, ricadendo, si ruppero in mille pezzi.
"Non voglio!" gridò il re, ma il cane più grosso prese sia lui che la regina e li gettò dietro tutti gli altri. In quel momento i soldati si spaventarono e la gente gridò: "Soldatino, tu devi diventare nostro re e sposare la graziosa principessa!".
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Marzo 2006, 23:00:28
Emilio Salgari
nasce a Verona nel 1862 lo scenario dei suoi romanzi è fatto di mari e nature lontane e selvagge. Il cuore pulsante della narrazione è l’avventura,forte fumatore di pipa,si dice che senza pipa in bocca,spenta o accesa non scrivesse.
Usa la pipa nei romanzi per sottolineare il carattere del personaggio e l'atmosfera del momento.

Alla conquista di un impero


Il pirata prese da una mensola una splendida pipa adorna di perle lungo la canna, la riempì di tabacco, l'accese e si sdraiò su uno dei divani, come un pascià turco, mettendosi a fumare con studiata lentezza.


Il pirata  fumava placidamente il suo cibuc, gettando in aria, con lentezza misurata, delle nuvole di fumo, fece col capo un cenno affermativo.


Caricò rabbiosamente la pipa, l'accese e si mise a fumare con furia, guardando la jungla che fiammeggiava sempre dietro gli elefanti.
Tremal-Naik gli batté su una spalla.
- Quel giorno, - gli disse, - spero che mi avrai per compagno.
- Ti accetto fin d'ora, - rispose la Tigre della Malesia.


Accese il suo cibuc e si sedette sulla murata di prora, lasciando penzolare le gambe sul fiume che rumoreggiava intorno alla bangle. Il sole stava allora tramontando dietro le alte cime dei palas, quei bellissimi alberi dal tronco nodoso e massiccio, coronato da un fitto padiglione di foglie vellutate, d'un verde azzurrognolo, donde partono degli enormi grappoli fiammeggianti, dai quali si ricava una polvere color di rosa, adoperata dagli indù nelle feste di Holi.

Caricò il suo cibuc, lo accese e si mise a fumare flemmaticamente, mentre il suo amico arrotolava una foglia di betel dopo d'avervi messo dentro un pizzico di calce ed un pezzetto di noce d'aracchiero per cacciarsela poi in bocca, droga splendida, affermano gli indiani, che conforta lo stomaco, fortifica il cervello, cura l'alito cattivo, ma che invece annerisce i denti e fa sputare saliva color del sangue.


(http://www.jornada.unam.mx/2002/oct02/021006/Images/sem-porta396.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2006, 11:04:06
Stephen King

E' una figura imponente: alto un metro e novantatré centimetri, pesa circa un quintale ed è un po' curvo, forse per tutto il tempo speso alla macchina per scrivere e al computer. Ha gli occhi azzurri e folti capelli nero corvino. Porta occhiali da vista, sin da quando era bambino, ma talvolta mette le lenti a contatto. Si fa crescere la barba d'inverno per proteggersi dal freddo del Maine. Ama le gite in canoa, nuotare, la chitarra (ma confessa di non saperla suonare) e il videoregistratore. E' un tifoso accanito della squadra di baseball di Boston, i Red Sox, per i quali scrive articoli sui giornali più importanti d'America.
Fumatore di pipa, la pipa nei suoi "pochi" romanzi o racconti c'è sempre,naturalmente inserita alla Stephen King.

Cose Preziose

Così Brian guardò. C'erano solo cinque articoli nella vetrinetta
più grande, che avrebbe potuto comodamente contenerne un'altra
ventina o più. C'era una pipa. C'era una foto di Elvis Presley nella
sua tuta bianca con la tigre sulla schiena e un fazzoletto rosso. Il Re
(così lo chiamava sempre sua madre) si teneva un microfono davanti alle labbra da putto.

La osservò con gli occhi castani vibranti di ansia premurosa con
il forte impulso ad assecondare che hanno molti cani. Pete Jerzyck
aveva imparato precocemente e bene. Aveva anche lui i suoi mo-
menti di sbadataggine, ma era passato molto tempo dall'ultima vol-
ta in cui entrando l'aveva trovato sul divano con le scarpe ai piedi
e più tempo ancora dall'ultima volta che aveva osato accendere la
pipa in casa; e sarebbe stata una giornata di neve in pieno agosto
quando si fosse dimenticato di riabbassare l'asse del water dopo aver orinato.


Era la coda di volpe. La coda di volpe parlava. E Hugh aveva
riconosciuto subito la voce. Era la voce di Leland Gaunt. Aveva
preso la coda, assaporandone come sempre la sontuosa morbidezza,
una sensazione che era un po' come la seta e un po' come la lana e
in realtà come niente altro che il suo misterioso se stesso.
Grazie, Hugh, aveva detto la coda di volpe. Là dentro si soffo-
ca. E hai lasciato sulla mensola una vecchia pipa. Non ti dico come puzza. Puh!
Vuoi andare da qualche altra parte? aveva chiesto lui. Si senti-
va un po' stupido a parlare a una coda di volpe, anche se era solo un sogno.


Everett Frankel, l'assistente di Ray Van Allen, sognò di infilarsi in bocca la pipa nuova solo per scoprire che il bocchino si era trasformato in una lama di rasoio che gli aveva tranciato la lingua.


Normalmente Everett avrebbe accolto male la prospettiva di
una visita a domicilio di primo mattino, specialmente così fuori
mano in mezzo alla campagna, ma, considerata
la temperatura eccezionalmente alta, vi si dispose di buon grado.
E poi c'era la pipa.
Appena a bordo della sua Plymouth, abbassò lo sportellino del cruscotto e la prese.
 Era una Meerschaum, con un fornello largo e
profondo. Era stata creata dalle mani di un mastro artigiano, quella
pipa; intorno al fornello s'intrecciavano uccelli in volo e fiori e
rampicanti in un disegno che sembrava cambiare a seconda dell'angolazione
dalla quale lo si guardava. Aveva lasciato la pipa nel vano
del cruscotto non solo perchè in ambulatorio era proibito fumare,
ma perchè non gli andava l'idea che la gente lo vedesse e con gente
intendeva in particolare quella ficcanaso di Nancy Ramage. Prima
avrebbero voluto sapere dove l'aveva presa, poi avrebbero preteso
di sapere quanto l'aveva pagata.
E qualcuno avrebbe potuto invidiargliela al punto da tramare di fregargliela.
S'infilò il cannello fra i denti e di nuovo si meravigliò di quanto
se la sentisse comoda, di quanto perfettamente fosse al suo posto.
Inclinò lo specchietto retrovisore per rimirarsi e approvò senza riserve
ciò che vide. Gli sembrava che la pipa gli desse un'aria più
matura, lo facesse apparire pi- saggio e attraente. E quando aveva
la pipa stretta fra i denti, con il fornello rivolto all'insù giusto di quel
tanto che era segno di disinvoltura e mai di arroganza,
si sentiva più maturo, più saggio, più attraente.
Parcheggiò, fece per scendere e ricordò di avere la pipa ancora
stretta fra i denti. Se la tolse di bocca (con una lieve fitta di rimpianto)
e la chiuse a chiave nel cruscotto.
Aveva già compiuto i primi
passi sul marciapiede, quando ci ripensò e tornò alla Plymouth a
bloccare anche gli sportelli. Con una bella pipa come quella, meglio
non correre rischi. Chiunque avrebbe potuto sentire la tentazione di
rubare una pipa come quella. Chiunque.


Appena seduto di nuovo al volante, la prima cosa che fece fu di
aprire il vano del cruscotto, riporvi la busta con scritto Amore e
prendere la pipa. Un particolare che ricordava era che il signor
Gaunt l'aveva preso in giro, sostenendo che quella pipa era appartenuta
a Conan Doyle. E lui quasi ci cascava. Che scemo. Bastava
mettersela in bocca e chiudere i denti sul cannello per avere la
risposta giusta. Il vero proprietario era stato Hermann Goring.

Avviò il motore e ripartì. Durante il tragitto sino alla fattoria
Burgmeyer dovette accostare almeno due volte per fermarsi ad ammirare
il bell'aspetto che gli rendeva la pipa.

(http://www.veinotte.com/king/images/KING.JPG)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Psicoblu - 07 Marzo 2006, 13:22:01
Citazione da: "Aqualong"



Leoncavallo

Bohème

Un crocicchio di vie che al largo prende forma di piazzale; botteghe, venditori di ogni genere; da un lato, il Caffè Momus.




Mi sa che non è Leoncavallo....il musicista era Puccini, e i librettisti erano Illica e Giacosa.
Non me ne volere.. :wink:
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2006, 14:01:34
Io ha citato Leoncavallo come scrittore e ho tirato fuori la sua Boheme che è una piccola rarità,allego una recensione della sua vita.

La vita di Ruggero Leoncavallo
 
 

Compositore italiano: figlio di un magistrato, inizia privatamente a studiare il pianoforte, per poi entrare nel 1866 al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, dove si diploma nel 1874.

Contemporaneamente si iscrive alla facoltà di lettere dell'università di Bologna e segue i corsi del Carducci; si laurea all'età di 20 anni, dopo aver anche compiuto la partitura dell'opera storica "Chatterton", che verrà rappresentata solo nel 1896 a fama raggiunta.

Si mantiene insegnando privatamente il pianoforte e suonando nei caffè concerto in Francia e in Inghilterra, quando uno zio, direttore della Stampa al Ministero degli Esteri, lo invita in Egitto dove dal 1882 è attivo per qualche anno presso la corte.

Ma la guerra anglo-egiziana costringe Leoncavallo a lasciare l'Egitto e a trasferirsi in Francia: qui, grazie al baritono Maurel, entra in contatto con l'editore Ricordi, da cui ottiene la commissione per una trilogia, il "Crepusculum", che nelle intenzioni del compositore deve comprendere "I Medici", "Savonarola" e "Cesare Borgia".

Leoncavallo riuscirà solo a comporre "I Medici", che andrà in scena senza troppo successo nel 1893.

Nel frattempo, stimolato dal successo di "Cavalleria rusticana" di Mascagni, Leoncavallo si dedica febbrilmente alla stesura di una nuova opera.

In 5 mesi di lavoro a Vacallo, in Svizzera, mette a punto musica e testo dei "Pagliacci".

Il libretto è tratto da un processo tenuto dal padre durante l'infanzia del musicista: i "Pagliacci" si presenta così non come una vicenda verosimile, ma vera.

Inoltre si presta a far rivivere il vecchio trucco del teatro nel teatro: Leoncavallo, non ancora soddisfatto, fa precedere l'opera da un prologo dove si enuncia un vero e proprio manifesto del verismo musicale; l'opera, presentata nel 1892 al Teatro Dal Verme di Milano con la direzione di Toscanini,è un clamoroso successo.

Da quel momento in poi il nome del compositore si diffonde anche all'estero e questo nonostante il fatto che il musicista non riesca a replicare quella fortunata combinazione.

Prova anche a scrivere una sua "Bohéme", diversa da quella pucciniana nella sua conduzione verista e nell'attenzione maggiore posta sui personaggi di Marcello e Musetta: il risultato è ottimo, ma la fortuna della "Bohéme" di Puccini mette in ombra quella di Leoncavallo.
 
 :D  :D  :D  8)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Psicoblu - 07 Marzo 2006, 14:28:22
Citazione da: "Aqualong"
Io ha citato Leoncavallo come scrittore e ho tirato fuori la sua Boheme che è una piccola rarità,allego una recensione della sua vita.




Si ho capito....ma il libretto da te riportato è quello musicato da Puccini...
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2006, 14:49:45
Purtroppo no, per sua sfortuna quel libretto non lo ha mai musicato nessuno e secondo me valeva la pena di farlo,in quanto molto vivo ha un chè di quadro impressionista,probabilmente era meno attuale per quei tempi.
Anzi per vivacizzare un po'lo allego il link



                               



http://www.karadar.com/Librettos/leoncavallo_boheme.html
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Psicoblu - 07 Marzo 2006, 15:18:16
Enzo, QUESTA è la Boheme di Puccini!!!!!

E' proprio lei, parola per parola, forse è sbagliata l'hai fonte dai cui la presa, prova anche ad ascoltare l'inizio e sentirai che è proprio LEI!!


Comunque...clicca http://opera.stanford.edu/Puccini/LaBoheme/libretto.html
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2006, 15:48:51
Vero! c'è un errore alla fonte ed i libretti sono molto simili,urge correggere,haimè.
 8)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2006, 16:20:48
Se trovate altre imprecisioni segnalatelo,io sono un po' zuccone ma alla quinta volta che me lo dicono mi accorgo dell'errore.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2006, 23:43:27
 Guy de  Maupassant

La narrativa di Maupassant consiste in una serie di 'tranche de vie', stese in modi naturalistici veri e propri affreschi o palcoscenici dove vanno in scena piccoli drammi.
Sono storie che hanno temi ricorrenti: le crudeltà della guerra, l'indifferenza dei più, la mediocrità della vita borghese. L'atteggiamento dello scrittore è quello dello spettatore di una realtà banale o tragica in cui ognuno è condannato a subire.
Probabilmente sul suo umore letterario influì una malattia venerea congenita,di cui alla fine morì.
Fumatore di pipa come molti uomini del suo tempo,usava la pipa nei suoi racconti per scolpire personaggi caratteristici ma veri

 Una Vita

Ma poi c'erano le gite a Yport col barone. Una sera che si trovavano sulla spiaggia si fece avanti papà Lastique con la pipa.
Senza pipa papà Lastique sarebbe parso un papà Lastique senza naso.

Giovanna, tenendosi in bilico, un po' stordita dal dondolio delle onde, guardava lontano lontano e le sembrava che al mondo ci fossero tre sole cose belle: la luce, l'acqua, lo spazio. Non parlava, e nessun altro parlava. Papà Lastique teneva la barra e la scotta, ma di quando in quando beveva un sorso da una bottiglia nascosta sotto la panca, e fumava senza tregua in quel suo moncherino di pipa che sembrava inestinguibile. La pipa di Lastique! Ne usciva sempre un sottile filo azzurrognolo mentre la stessa spira di fumo sfuggiva a lui dall'angolo della bocca: né mai lo si vedeva occupato col suo fornello di terra, più nero dell'ebano, per accenderlo o per ricaricarlo di tabacco. Solo qualche volta egli avvicinava la mano alla pipa, se la toglieva di bocca, e dallo stesso angolo donde usciva la spira azzurrognola lanciava il suo sputo nero al mare.

L'oceano, paralizzando voce e pensiero li aveva fatti silenziosi:
ora la tavola li mutava in ciarlieri. Erano tutti come scolaretti in vacanza. Una gaiezza interminabile saliva fino a loro dalle cose più semplici. Ecco papà Lastique che prima di sedersi a tavola nasconde la sua pipa: e la nasconde, ancora fumante, nel suo berretto e ne ride! Il suo naso rosso attira una mosca che viene a posarvisi sopra, e quando egli la scaccia con un gesto troppo lento per poterla afferrare, ecco la mosca posarsi su una tenda di mussolina che porta i segni delle sue sorelline, e di lì adocchiare avidamente il lucido naso e tornar subito dopo a installarvisi. A ogni viaggio dell'insetto scoppiavano pazze risate; ma l'ilarità fu smodata quando il vecchio si infastidì del solletico: "Ma è maledettamente ostinata!"






(http://gallica.bnf.fr/themes/Illustrations/MaupassantNadarDet.jpg)
Foto di Nadar
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Marzo 2006, 10:00:34
Ecco un bel maiale con la pipa in bocca,uno dei tanti  :D .

 George Orwell

Il  vero nome è Eric Arthur Blair
Il suo nome è legato soprattutto alla pubblicazione di Animal Farm (La fattoria degli animali) e Nineteen Eighty-Four (1984), due opere pubblicate (la prima nel 1945, la seconda nel 1949) quando l'atteggiamento dell'opinione pubblica occidentale nei confronti dell'ex alleato sovietico stava mutando. Orwel divenne così un autore di culto, anche se letterariamente le sue opere presentano moltissimi problemi per essere accettate come capolavori.

 La Fattoria degli Animali

“La mia vista si indebolisce” disse infine. “Anche quando ero giovane non riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che la parete abbia un altro aspetto. I Sette Comandamenti sono gli stessi di prima, Benjamin?”
Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro. Non vi era scritto più nulla, fuorché un unico comandamento. Diceva:


TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI MA ALCUNI SONO PIÙ UGUALI DEGLI ALTRI

Dopo ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero fruste nelle loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano comperati per loro uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un telefono, che avevano fatto l'abbonamento al “John Bull”, al “Tit-Bits” e al “Daily Mirror”.
Non sembrò strano vedere Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica con la pipa in bocca; no, neppure quando i maiali presero dal guardaroba gli abiti del signor Jones e li indossarono e fu visto Napoleon in giacca nera, pantaloni e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa favorita vestiva l'abito di seta che la signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò strano.
(http://www.studentsfororwell.org/orwell.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Marzo 2006, 12:46:08
Herbert George Wells
 nacque il 21 settembre 1866 a Bromley, ora
sobborgo meridionale di Londra ;scrittore anche di testi scientifici,e prolifico di letteratura fantastica dell'epoca,fumatore di pipa e sigarette.
Quando negil anni '50 per radio diedero la notizia dell'arrivo degli alieni sulla terra si scatenò il panico generale negli USA ma nessuno sapeva che era solo l'adattamento radiofonico del libro di H.G. Wells. Regista ed interprete de "La Guerra dei mondi"radiofonica Orson Welles anche lui fumatore di pipa


L'uomo invisibile e altri racconti

Quando andò a sparecchiare la tavola, la signora Hall si
convinse che anche la bocca doveva essere stata ferita o
sfigurata nell'incidente che, secondo lei, era capitato al
forestiero; egli, infatti, stava fumando la pipa e, per tutto il
tempo in cui ella rimase nella stanza, non scostò mai la sciarpa
di seta che si era avvolto intorno alla parte inferiore del
viso, neppure per portare il bocchino alle labbra. Eppure non
era distratto, perché lo vide guardare il tabacco che si
consumava. Era seduto in un angolo con la schiena rivolta verso
le imposte e, ora che aveva mangiato e si era riscaldato ben
bene, parlava in un modo meno aggressivo e conciso di prima. Il
riflesso del fuoco conferiva ai suoi occhiali una specie di
calda animazione.
Le dispiace darmi dei fiammiferi?  - chiese l'ospite in tono
molto secco.  - Si è spenta la pipa.
 La signora Hall fu interrotta bruscamente. Era davvero
maleducato da parte sua, dopo che lei gli aveva raccontato tutto
ciò che aveva fatto. Lo guardò per un attimo a bocca aperta, poi
si ricordò delle due sovrane e andò a cercare i fiammiferi
L'ospite restò nel salottino fino alle quattro, senza offrire
alla signora Hall il minimo appiglio per andarlo a cercare.
Rimase immobile per quasi tutto il tempo, pareva che stesse
seduto nell'oscurità che aumentava, fumando alla luce del fuoco,
forse sonnecchiando.

Dopo qualche
esitazione, il forestiero si appoggiò contro uno stipite del
portone, tirò fuori una corta pipa di terracotta e prese a
riempirla. Gli tremavano le dita. L'accese con una certa
difficoltà e, incrociate le braccia, incominciò a fumare con
un'aria languida (smentita però dalle fuggevoli occhiate che
ogni tanto lanciava in cortile).
Il forestiero, all'improvviso, si scosse e si mise la pipa in
tasca. Poi scomparve in cortile

Si siede in una poltrona, riempie
lentamente una lunga pipa di argilla e, intanto, guarda i libri
con avidità. Poi ne tira uno vicino a sé e incomincia ad
osservarlo, girando e rigirando le pagineDopo un po' di tempo,
si appoggia allo schienale e guarda
attraverso il fumo cose che per gli altri sono invisibili.
Pieno di segreti  - dice,  - segreti meravigliosi! Una volta
trovato il bandolo... Mio Dio! Non farei come lui; vorrei
solo... Mah  - e tira una lunga boccata.

Una cosa bizzarra, quand'ebbe una voglia matta di fumare, fu che
gli mettemmo in mano la pipa (quasi se la ficcò in un occhio) e
gliela accendemmo; ma non sentì nessun sapore. In seguito ho
scoperto che lo stesso accade a me, e a tutti, può darsi: il
tabacco non mi dà nessun piacere se non vedo il fumo.

  (http://www.monsterwax.com/tm21b.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Marzo 2006, 18:51:07
Raymond Carver (1938-1988)

Carver nei suoi primi scritti si presenta con uno stile asciutto e capace di entrare nella drammaticità del quotidiano per approdare, nei testi successivi e più autentici, a un'apertura alla speranza e alla comunicazione. Ma è nella poesia la radice profonda della sua ispirazione letteraria: uno spaesamento esistenziale, la paura della morte, il bisogno di comunicare in modo sincero, di essere amato e salvato.
Forte fumatore di sigarette convertosi poi alla pipa.

LA PIPA

La prossima poesia che scriverò avrà legna da ardere
Proprio al centro, legna da ardere così intrisa
Di resina che il mio amico si lascerà dietro
I guanti e mi dirà: «Mettiti questi quando
Maneggerai questa cosa». La prossima poesia
Avrà dentro anche la notte e tutte le stelle
Dell'emisfero occidentale; e un immensa massa
D'acqua scintillante per miglia sotto la luna nuova.
La prossima poesia avrà una stanza da letto
E un salotto tutti per sé, lucernai,
un divano, un tavolo e sedie vicino alla finestra,
un vaso di violette appena tagliate un'ora prima di pranzo.
Ci sarà una lampada che brucia nella prossima poesia;
e un caminetto dove pezzi di abete impregnati
di resina andranno in fiamme, consumandosi tra loro.
Oh, la prossima poesia farà scintille!
Ma non ci saranno sigarette in quella poesia.
Comincerò a fumare la pipa.

(http://www.antoniospadaro.net/raymond_carver.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Marzo 2006, 21:08:41
Artur Rimbaud 1854  1891

Arthur Rimbaud, considerato l'incarnazione del poeta maledetto volle rinnovare la poesia e, con l’audacia dei giovani, fece tabula rasa di tutta la retorica precedente, rinnegando persino Baudelaire – giudicato a suo avviso trop artist, e poiché non gli restava alcun mezzo che non fosse falsato, non si fidò che della sua sensazione pura. Inventò quindi la poesia della sensazione, traducendo in poesia quello che si potrebbe chiamare lo stato psicologico da cui nascono, senza alcuna interferenza, i nostri atti. Al pensiero puro corrispose un ugual linguaggio ed un ugual ritmo che riassume tutto: profumi, suoni e colori. Rimbaud si trovò così alla punta estrema di ogni audacia letteraria e poetica, dove né i simbolisti né i surrealisti riuscirono a seguirlo. Rimbaud non ebbe discepoli e neppure imitatori, nondimeno fu allora come oggi il punto di partenza di ogni audacia poetica. Grande fumatore Anche di pipa e a volte di tabacco.

Poesie

ALLA MUSICA
Piazza della Stazione, a Charleville.

sulle panchine verdi, gruppi di droghieri in pensione
che attizzano la ghiaia con i loro bastoncini,
discutendo serissimamente i contratti,
poi uno sniffo di tabacco, e riprendono: “Insomma!…”
Allungando sulla panchina i suoi fianchi rotondi,
un borghese coi bottoni lustri e il buzzo fiammingo,
si gusta la sua pipa preziosa da cui il tabacco a fili
trabocca – sa, è preso a contrabbando; -
lungo le verdi aiuole sghignazzano i ragazzacci;
e, in brodo di giuggiole per il canto dei tromboni,
gli ingenuotti soldatini, fumando le rose,
carezzano i bebè per abbindolare le bambinaie…

I DOGANIERI


La pipa tra i denti, lama in mano, profondi, affatto scocciati,
quando l’ombra sbava nei boschi come un muso di vacche,
se ne vanno, portando i loro mastini al guinzaglio,
a esercitare nottetempo le loro terribili gaiezze!


ORAZIONE DELLA SERA

Io vivo seduto, come un angelo nelle mani di un barbiere,
impugnando una coppa con forti scanalature,
l’ipogastro e il collo incurvati, una pipa Gambier
tra i denti, sotto l’aria gonfiata d’impalpabili venti.
Come i caldi sterchi di una vecchia colombaia,
mille sogni dentro me mi ardono dolci:
poi d’un colpo il mio cuore triste è come un alburno
che insanguina l’oro giovane e tetro delle colatura.
Poi, quando ho ringoiato con cura i miei sogni,
mi volto, dopo trenta o quaranta boccali,
e mi raccolgo, per rilassare il mio aspro bisogno.
Amabile come il Signore del cedro e degli issopi,
io piscio verso i cieli bruni, altissimo e lontanissimo,
con il consenso dei grandi eliotropi.

ACCOVACCIAMENTI
(Accroupissements)

Molto tardi, quando lo stomaco si rivolta,
il frate Milotus xliii, un occhio al lucernaio
da dove il sole, chiaro come un paiolo ripulito,
gli irraggia un’emicrania e gli intontisce lo sguardo,
e sposta nelle lenzuola la sua pancia di prete.
Si dimena sotto la sua grigia coperta
e scende, le ginocchia contro il ventre in tremito,
stravolto come un vecchio che mangia la sua presa;
perché lui deve, la mano al manico del pitale,
largamente rimboccare sui suoi fianchi la camicia.
Ora, s’accovaccia, tra i brividi, le dita dei piedi
ripiegate, battendo i denti nel sole chiaro che pianta
dei gialli di broscia sui vetri di carta;
e il naso dell’omino dove brilla la lacca
tira su tra i raggi, come un carnale polipaio.
L’omino s’arrostisce al fuoco, braccia torte e labbra
al ventre: sente le sue cosce nel fuoco,
e sente bruciare i suoi calzoni, e spegnersi la pipa;
qualcosa come uccello un po’ svolazzante
sul suo ventre sereno come un mucchio di trippa.
Intorno, dorme un ammasso di mobili abbrutiti
tra stracci di sporcizia e sopra sudici ventri;
sgabelli, strani rospi, sono rannicchiati
in angoli bui: le credenze hanno gole di cantori
che le apre un sonno ricolmo d’appetiti orribili.
Il calore mefitico riempie la cameretta;
il cervello dell’omino è imbottito di cenci.
Ascolta i peli spuntargli nella sua pelle umidiccia,
e talvolta, in singhiozzi forti gravemente buffoneschi
erompe, scotendo il suo sgabello che zoppica…

E la sera, ai raggi della lune, che gli fanno
al contorno del culo delle sbavature di luce,
un’ombra con dettagli si accovaccia, su uno sfondo
di neve rosa che somiglia un malvone…
Bizzarro, un naso insegue Venere nel cielo profondo.



(http://www.art4net.com/rimbaud.jpg)
Titolo: Autori con ...
Inserito da: coureur-des-bois - 08 Marzo 2006, 21:22:06
Con i rami di salice dello spessore di un pollice facevamo delle pipe. Si tagliava un pezzo di ramo della lunghezza di circa venti centimetri, lo si batteva a lungo con il coltellino da tasca, finchè la corteccia si staccava, così si poteva estrarre il legno vero. Su questo pezzo si intagliava innanzi tutto il bocchino, si faceva un'incisione nella corteccia, poi si inseriva di nuovo il legno nella corteccia. Chi era bravo riusciva a costruirsi addirittura un flauto in questo modo.
Marion Donhoff  "Infanzia prussiana" Neri Pozza editore 2005

- Bernardo -
ps. oggi ci dobbiamo ricordare della nostra metà.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 08 Marzo 2006, 21:25:25
Prince strikes back!
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Marzo 2006, 21:34:58
Mark Twain

(Samuel Langhorn Clemens)
1835 -1910  fu un famoso e popolare umorista, scrittore, lettore universitario e conferenziere americano
Al massimo della sua notorietà egli fu con molta probabilità la maggiore celebrità americana del suo tempo.Faulkner  scrisse che fu il "primo vero scrittore americano". Il suo pseudonimo secondo alcuni deriva dall'urlo usato per segnalare la profondità delle acque nella navigazione fluviale by the mark, twain (Dal segno, due braccia) che indica una profondità di sicurezza (circa 3,7 metri). Altri lo fanno derivare dalle sue cattive abitudini nel bere alcolici. La pipa ha avuto in lui uno dei soui adepti più illustri.


Le avventure di Tom Sawyer


I due ragazzi tornarono indietro allegramente e ricominciarono a divertirsi con entusiasmo, cicalando a
non finire del piano stupendo di Tom e ammirandone la genialità. Dopo un pranzo squisito con uova e
pesci, Tom disse che adesso voleva imparare a fumare. Joe, contagiato dall’idea, disse che anche a lui
sarebbe piaciuto provare. Così Huck costruì due pipe e le caricò. I due novizi non avevano mai fumato
altro, prima di allora, che sigari fatti con foglie di vite, che “pungevano” la lingua e per giunta non erano
considerati “virili”.
Ora si distesero bocconi, appoggiati ai gomiti, e cominciarono ad aspirare circospetti, con scarsa fiducia.
Il fumo aveva un sapore sgradevole, e tossirono un po’, in preda alla nausea, ma Tom disse:
«Oh, ma è facilissimo! Se avessi saputo che era tutto qui, avrei imparato già da un pezzo.»
«Anch’io» approvò Joe. «È proprio una cosa da nulla.»
«Pensa un po’, molte volte ho guardato la gente fumare dicendomi: “Piacerebbe anche a me”, ma ho
sempre creduto che non ne sarei stato capace» soggiunse Tom. «Io sono fatto così, non è forse vero,
Huck? Me lo hai sentito dire un mucchio di volte, non è così, Huck? Huck può confermarlo che l’ho
detto.»
«Sì, un mucchio di volte» disse Huck.
«Oh, sicuro» continuò Tom. «Oh, centinaia di volte. Una volta al macello. Non te ne ricordi, Huck?
C’erano Bob Tanner, e Johnny Miller, e Jeff Thatcher, quando lo dissi. Non ti rammenti, Huck, che dissi
proprio così?»
«Sì, è vero» disse Huck. «Fu il giorno dopo che avevo perduto una bilia bianca... anzi no, fu il giorno
prima.»
«Ecco, vedi?» disse Tom. «Huck se ne ricorda.»
«Credo che potrei continuare a fumare la pipa per tutto il giorno» disse Joe. «Non mi dà affatto la
nausea.»
«Nemmeno a me» disse Tom. «Potrei fumarla anch’io tutto il giorno, ma sono pronto a scommettere che
Jeff Thatcher non ne sarebbe capace.»
«Jeff Thatcher! Figurarsi, cadrebbe svenuto dopo due boccate. Facciamolo provare, una volta; e se ne
accorgerà!»
«Sì, credo anch’io, e così Johnny Miller... vorrei vederlo, Johnny Miller, provarci una volta sola.»
«Ah, e io no?» esclamò Joe. «Senti, sono pronto a scommettere che Johnny Miller non riuscirebbe a
farcela, come non riesce in nessun’altra cosa. Una sola boccatina lo concerebbe per le feste!»
«Credo proprio di sì, Joe... Senti, vorrei che i ragazzi potessero vederci in questo momento.»
«Anch’io!»
«Ehi, senti, non diciamolo a nessuno che abbiamo imparato, e un giorno o l’altro, quando ci saranno
tutti, io salterò su a dire: “Joe, non hai mica la pipa? Voglio farmi una fumatina!”. E tu, noncurante, come
se niente fosse, risponderai: “Sì, ho la mia vecchia pipa, e ne ho anche un’altra, però il tabacco non vale
un granché”. Allora io dirò: “Oh, non importa. Purché sia forte abbastanza”. Dopodiché tu tirerai fuori le
pipe, e le accenderemo, calmi come se niente fosse, e vedrai allora la faccia che faranno!»
«Mamma mia, sarà divertente, Tom! Vorrei che fosse già quel momento!»
«E io no? E quando gli diremo che abbiamo imparato a fumare facendo i pirati, come vorranno essere venuti con noi!»
Continuarono a chiacchierare in questo modo, ma, di lì a poco, la conversazione cominciò a procedere
un po’ a rilento e divenne sconnessa. I silenzi si allungarono sempre più; le espettorazioni divennero
mirabilmente abbondanti. Ogni poro sulla superficie interna delle gote dei ragazzi si tramutò in una
fontanella ed essi quasi non riuscirono a svuotare lo scantinato sotto la lingua abbastanza rapidamente per
impedire un’inondazione; nonostante tutti i loro sforzi, si determinarono piccoli traboccamenti nella gola,
cui fecero seguito, ogni volta, improvvisi conati di vomito. Entrambi erano ormai pallidissimi e sconvolti.
La pipa cadde dalle dita snervate di Joe. Quella di Tom la imitò dopo. Le fontanelle di tutti e due
funzionavano furiosamente e le pompe dell’uno e dell’altro risucchiavano a più non posso. Joe disse
fiocamente:
«Ho perduto il temperino. Sarà meglio, credo, che vada a cercarlo.»
Tom disse, con le labbra tremule e la voce incerta:
«Ti darò una mano. Tu va’ da quella parte e io cercherò intorno alla sorgente. No, non è necessario che
venga anche tu, Huck... riusciremo a trovarlo.»
Così Huck si rimise a sedere e aspettò per un’ora. Poi trovò quell’attesa snervante e andò in cerca dei
compagni. Erano molto lontani l’uno dall’altro nei boschi, entrambi pallidissimi, ed entrambi
profondamente addormentati. Ma qualcosa gli fece capire che, se avevano sentito un peso allo stomaco,
erano riusciti a liberarsene.
Non furono loquaci a cena, quella sera; avevano un’aria umile. E quando Huck si preparò la pipa, dopo
il pasto, e si accinse poi a caricare le loro, dissero che non volevano fumare; non si sentivano troppo
bene... non erano riusciti a digerire qualcosa che avevano mangiato a pranzo.

(http://www.yorku.ca/twainweb/gifs/slc-reading.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Marzo 2006, 21:40:53
Citazione da: "Cristiano"
Prince strikes back!


Bene! apriamo un po' di dibattito e portiamo un contributo,siamo sulla rotta giusta (A Ovest di Paperino)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Marzo 2006, 12:01:03
Conan Doyle, Arthur (1859-1930)


Studio' presso lo Stonyhurst College in Austria e poi all'Universita' di Edimburgo, dove si laureo' in medicina nel 1885. Dopo avere lavorato come medico di bordo su di una baleniera decise di stabilrsi in Inghilterra e di aprire uno studio a Southsea. Non divenne mai un medico di successo, e di questo possiamo essere grati, fu infatti durante le lunghe ore di inattivita' tra la visita di un paziente ed il successivo che iniziò a scrivere le storie di Sherlock Holmes.
Scrisse soltanto 5 romanzi e tantissimi racconti,sempre di genere fantastico od horror,fumava la pipa e la pipa che mette in bocca a SH non è mai una Calabash.
In due estratti,infatti parla di una vecchia pipa di terra e di una vecchia pipa di radica,poi ne parla solo come di una pipa.



Uno Studio in Rosso
   
    Lei mi ricorda il Dupin di Edgar Allan  Poe.  Non  avevo  l'idea  che
    simili  persone esistessero nella vita reale." Sherlock Holmes si alzò
    e accese la pipa
    Senza dubbio,  crede di farmi un complimento paragonandomi  a
     Dupin"
    osservò.  Ora,  secondo la mia opinione,  Dupin era un mediocre. Quel
    suo trucco di "intervenire" nei pensieri del suo amico, dopo un quarto
    d'ora di silenzio, è pretenzioso e superficiale.

    La sua richiesta di aspettarlo era stata superflua, poichè‚ sentivo che
    non avrei mai potuto dormire prima di conoscere i risultati della  sua
    avventura.
    Erano  quasi le nove quando era uscito,  e non avevo un'idea di quanto
    potesse tardare, ma mi armai di pazienza e mi sedetti a fumare la pipa
    e a sfogliare la "Vie de Bohème" di Henri Murger.


Il Mastino di Baskerville

La mia prima impressione nell'aprire la porta fu che fosse scoppiato un incendio, poiché la stanza era talmente
impregnata di fumo che la luce della lampada posata sul tavolo ne era offuscata. Nell'entrare però le mie ansie si
placarono, poiché era solo l'acre esalazione del tabacco fortissimo, ordinario, che mi aveva preso alla gola e mi aveva
fatto tossire. Nella foschia ebbi una vaga visione di Holmes in veste da camera, raggomitolato in una poltrona, con la
pipa di terra nera tra le labbra. Vari rotoli di carta lo circondavano.
- Raffreddato, Watson? - mi chiese.
- Macché. É quest'atmosfera puzzolente.
- Già; adesso che me lo dice mi accorgo che è piuttosto densa.
- Densa? Ma è irrespirabile!
- E apra la finestra, allora! Vedo che è stato al circolo tutto il giorno.
- Ma Holmes!
- Sono nel giusto?
- Certo, ma come mai?...
Egli rise della mia espressione attonita.
- C'è in lei, Watson, un'ingenuità così deliziosamente fresca, che esercitare a sue spese le mie modeste facoltà mi
procura un vero piacere. Un gentiluomo se ne va a spasso in una giornata piovosa e fangosa. Se ne ritorna a sera lindo e
pulito, col cappello e le scarpe assolutamente immacolate. Perciò non può che essersene rimasto fermo come una
cariatide per tutta la giornata. Non è un uomo che abbia amici intimi. Dove può essere stato, dunque? La cosa non le
sembra ovvia?
- Effettivamente sì.
- Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si dà mai pena di notare. Dove crede lei che io sia stato?
- Fermo e immobile anche lei come un gatto di marmo.
- Niente affatto: sono stato nel Devonshire.
- In ispirito?
- Esattamente. Il mio corpo è rimasto in questa poltrona e ha consumato in mia assenza, mi spiace di doverlo
constatare, due enormi caffettiere e un'incredibile quantità di tabacco.

Il Segno dei Quattro

- La mia clientela, in questi mesi, si è estesa anche sul Continente - riprese Holmes dopo una
breve pausa, mentre riempiva la vecchia pipa di radica.

Già, mi sono reso colpevole di alcune monografie:
trattano tutte di argomenti tecnici. Eccone qui una, per esempio: Sulla distinzione tra le ceneri dei vari
tipi di tabacco. In essa elenco centoquaranta tipi di sigari, sigarette e tabacco da pipa, con tavole
colorate illustranti le varie differenze fra le ceneri dei diversi tipi. Si tratta di un particolare che ricorre
continuamente nei processi penali, e che può essere talvolta di importanza capitale come indizio.

- Perché? Tutt'altro - replicò Holmes, sprofondandosi ancor piú comodamente nella poltrona,
mentre dalla sua pipa uscivano dense volute azzurrognole. - Poniamo un esempio: l'osservazione mi
dimostra che lei stamane si è recato all'ufficio postale di Wigmore Street, mentre la deduzione mi
permette di capire che ha spedito un telegramma.


- Che donna interessante - esclamai, volgendomi verso il mio compagno.
Questi aveva riacceso la pipa, ed era tornato ad adagiarsi nella sua poltrona, le palpebre
socchiuse. - Trova? - disse languidamente. - Non lo avevo notato.
- Ma lei non è che un automa... una macchina calcolatrice! Francamente, a volte, mi sembra un
essere quasi inumano!



L'ultimo saluto di S.H.


Ecco i due uomini che irruppero bruscamente nel nostro salottino quel martedì sedici marzo, poco dopo la nostra prima colazione, mentre stavamo facendo una fumatina preparatoria per la nostra quotidiana passeggiata sulle lande.

"Signor Holmes", disse il vicario con voce agitatissima, "si è verificato durante la notte un fatto straordinario e spaventosamente tragico. Si tratta di un avvenimento inaudito, e possiamo considerare come un dono speciale della Provvidenza che lei si trovi qui in un simile frangente, dato che in tutta l'Inghilterra lei è proprio l'uomo di cui abbiamo bisogno".

Fissai il vicario con occhi tutt'altro che amichevoli; ma Holmes si tolse la pipa di bocca e si tirò su dritto sulla seggiola come un vecchio cane da caccia che senta squillare l'hallalì. Con un gesto della mano indicò il sofà, dove il nostro visitatore ansante e il suo esagitato compagno sedettero a fianco a fianco. Il signor Mortimer Tregennis appariva più composto del parroco, ma il tremito delle sue mani sottili e la lucentezza febbrile dei suoi occhi scuri rivelavano quanto condividesse l'emozione che sconvolgeva il suo padrone di casa.


Fu solo molto tempo dopo, quando fummo rientrati a Poldhu Cottage, che Holmes ruppe il suo lungo e ostinato silenzio. Si era tutto raggomitolato nella sua poltrona, la sua faccia magra e ascetica quasi spariva tra le azzurrognole spire della pipa, le sue nere sopracciglia erano contratte, la fronte solcata di rughe, gli occhi assorti vagavano nello spazio. Improvvisamente posò la pipa e balzò in piedi.

Il dottor Sterndale alzò la sua figura gigantesca, si inchinò gravemente e uscì dalla pergola. Holmes si accese la pipa e mi tese la sua sacca del tabacco.
"Un po' di vapori non velenosi saranno un diversivo gradito", disse. "Io spero che lei sarà d'accordo con me, Watson, che questo non è un caso in cui noi abbiamo il diritto d'intrometterci. La nostra inchiesta è stata indipendente, e indipendente resterà anche la nostra azione. Lei non denuncerebbe quest'uomo, non è vero?".
"Certamente no", risposi.






  (http://esperanto.org/Ondo/Doyle.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Marzo 2006, 22:21:20
 Stevenson Robert Louis 1850-1894

Appartenne a quel complesso movimento letterario che reagì al naturalismo e al positivismo. L'originalità della sua narrativa è data dall'equilibrio tra fantasia e stile chiaro, preciso, nervoso. Artista estremamente versatile, affrontò i generi letterari più diversi, dalla poesia al romanzo semi- poliziesco, dal romanzo storico al racconto esotico. Il nucleo della sua opera è morale. Sfruttando la libertà narrativa consentita dal racconto fantastico e dal romanzo d'avventure, espresse in forma mitico-simbolica altamente suggestiva idee, problemi e conflitti, proiettandole nelle circostanze più insolite e inattese. Luoghi e fondali si pongono quasi come matrici dell'azione e del dramma. Quì una pipa per sottolineare coraggio e nervi saldi.

 L’Isola del Tesoro

Una volta soltanto il nostro uomo trovò chi gli tenne testa, e fu verso la fine, quando il mio povero padre era già molto minato dal male che doveva condurlo alla tomba. Il dottor Livesey giunse a sera a veder l'infermo; si fece servire un boccone da mia madre, poi se ne andò a fumare una pipata nella sala, in attesa che il suo cavallo gli fosse ricondotto dal villaggio, giacché al vecchio "Benbow" non avevamo stallaggio. Io ve lo seguii, e rammento ancora lo stridente contrasto che faceva il lindo e rilisciato dottore con la sua parrucca candida come neve, i suoi neri e scintillanti occhi e le sue compite maniere, con la rustica plebaglia e soprattutto con quel sudicio torvo e ripugnante spauracchio di pirata, acciaccato laggiù in quell'angolo dal rum, con le braccia sulla tavola. D'improvviso costui - dico il capitano - intonò la sua eterna canzone:
"Quindici sulla cassa del morto,
Yò-hò-hò, e una bottiglia di rum!
Satana agli altri non ha fatto torto,
Con la bevanda li ha spediti in porto.
Yò-hò-hò, e una bottiglia di rum!"
Io avevo da prima creduto che la "cassa del morto" fosse la stessa grossa cassa ch'egli teneva di sopra nella stanza davanti; e questa idea s'era fusa nei miei incubi con l'immagine del marinaio dalla gamba sola. Ma da lungo tempo ormai noi avevamo cessato di far attenzione al ritornello; solo agli orecchi del dottor Livesey quella sera giungeva nuovo; ed io m'accorsi dell'impressione tutt'altro che gradevole ch'egli ne riceveva, giacché alzò gli occhi e guardò per un momento con aria irritata prima di decidersi a continuare col vecchio giardiniere Taylor il suo discorso intorno a una nuova cura delle affezioni reumatiche. Frattanto il capitano s'andava accendendo della sua musica e alzando il tono; e alla fine schiaffò sulla tavola con la palma quel tal colpo che noi tutti sapevamo significava: Silenzio! Nessuna voce fu più udita, ad eccezione di quella del dottor Livesey, che continuò a parlare come prima, chiaro e cortese, tirando tra una frase e l'altra una vistosa boccata di fumo. Il capitano lo fissò bieco un istante, batté un nuovo colpo con la palma, gli lanciò un'altra occhiataccia, e, accompagnando la frase con una triviale bestemmia, gridò:"Silenzio, laggiù a prua!" "E' a me che il signore intende parlare?" disse il dottore; e non appena il ribaldo gli ebbe, con un'altra bestemmia, risposto affermativamente, "io non ho che una cosa da dirvi" replicò il dottore "ed è che se voi continuate a tracannare rum, il mondo sarà presto liberato da uno schifoso miserabile." Spaventevole fu lo scoppio d'ira del vecchio gaglioffo. Scattò in piedi, trasse e aprì un coltello a serramanico, e bilanciandolo sulla palma della mano, stava per inchiodare al muro l'avversario.


(http://www.readprint.com/images/authors/robert-louis-stevenson.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 09 Marzo 2006, 22:51:58
suerte davvero!
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Ramingo - 09 Marzo 2006, 23:46:05
Enzo, stai davvero compiendo un lavoro ciclopico, interessantissimo ed encomiabile!!!!
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2006, 00:17:53
Citazione da: "Cristiano"
suerte davvero!

In attesa di trattare con tutto il merito che gli spetta questo autore, allego questa chicca,convinto che probabilmente la apprezzerai.
http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/050903_IBL_Lettere_Guareschi.pdf
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2006, 20:21:18
Umberto Saba (1883-1957)

Vittima della persecuzione razziale per via della sua origine ebraica, cerca rifugio prima a Parigi, poi a Roma sotto la protezione di Ungaretti ed infine a Firenze ospite di Montale.Trieste rappresenta  l’espressione del suo stato d’animo, possiamo dire che egli si rende compartecipe dei sentimenti da lui espressi nelle sue stesse poesie; egli è infatti legato a ciò che racconta da una forte affettuosità.Tutti gli aspetti della vita giornaliera e della sua stessa vita entrano nella sua poesia attraverso parole domestiche.Da vivo fumò e amò  la pipa , da morto gli Uliganazziantifumo l'hanno rubata due volte dalla sua statua a Trieste.


Il Canzoniere


In Treno


Guarda gli alberi spogli,la campagna
deserta,a tinte invernali.A te penso
che ti allontani,che lasciai da poco.
Mette la sera come un roseo fuoco
sulle cassette,sugli armenti: il treno
in fuga volge nella corsa folle
qualche animale giovane e galline
versicolori.

Straziato è il mio cuore come sente
che più non vive nel tuo petto.Tace
ogni altra angoscia per questo.Ed appena
la dura vita a tanti mali regge.

Ma tu muti conforme la tua legge
e il mio rimpianto è vano.
Alberto
uno morendo m'hai lasciato in dono
fiasco di vecchio vino e la tua pipa

da quella fumerò nell' ore dense
di memorie pensendo la dolcezza
che si sparse da te come la vita
ti si fece impossibile
quel vino


Cielo

La buona la meravigliosa Lina
spalanca la finestra perchè vede
il cielo immenso.
Quì tranquillo a riposo,dove penso
che ho dato invano,che la fine approssima,
più mi piace quel cielo, quelle rondini,
quelle nubi.Non chiedo altro.
Fumare
la mia pipa in silenzio come un vecchio
lupo di mare.


 (http://www.italica.rai.it/immagini/libri/saba/saba3.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Psicoblu - 10 Marzo 2006, 20:30:27
Citazione da: "Aqualong"
Umberto Saba (1883-1957)


Cielo

La buona la meravigliosa Lina
spalanca la finestra perchè vede
il cielo immenso.
Quì tranquillo a riposo,dove penso
che ho dato invano,che la fine approssima,
più mi piace quel cielo, quelle rondini,
quelle nubi.Non chiedo altro.
Fumare
la mia pipa in silenzio come un vecchio
lupo di mare.


 (http://www.italica.rai.it/immagini/libri/saba/saba3.jpg)




Davvero bella, grazie!! :D
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2006, 21:41:48
Tchi Ch'ong Tzu  

Taoista cinese 300 a.C.più o meno

Il Giusto Comportamento

Il discepolo Tsai Wo si recò una volta nel villaggio di Kiang-han per acquistare una pipa d'avorio da portare in dono al maestro Ch'ong (essendo questi appena ritornato da un lungo viaggio).
L'artigiano Ku Bo Yu , abile fabbricante di pipe, magnificò a lungo al discepolo Tsai Wo una pipa dal bocchino ricurvo, sostenendo con parole dolci come miele di favo e penetranti come un pungiglione d'ape che allorquando il maestro avesse fumato le sue erbe aromatiche con quella speciale pipa, certo ne avrebbe ricavato un piacere così perfetto da non desiderare altro che di tornar a fumare, scordando addirittura la via che travalica il Compasso dagli otto Orizzonti e l'esercizio della Virtù.
Il discepolo Tsai Wo comperò a peso d'oro la pipa prodigiosa e s'incamminò per fare rientro alla città di Yuan-ping (dove abitava in quel periodo Tchi Ch'ong Tzu).
Lungo la strada provò stanchezza. Sedette dunque sul ciglio della via e provò a fumare la pipa d'avorio scolpita dall'artigiano Ku Bo Yu, maestro nell'arte di fabbricare pipe.
Fu in questo modo che il discepolo Tsai Wo dimenticò per sempre il maestro Ch'ong, il Compasso dagli otto Limiti, l'esercizio della Virtù e si smarrì nell'illusione delle mille incarnazioni.
Quando riferirono al maestro l'increscioso incidente egli, dopo aver considerato a lungo la questione in ogni suo dettaglio, disse: "Una pipa valeva forse un discepolo come Tsai Wo? Ahimè: ora non ho più né discepolo né pipa. In un volo di calabroni ho perduto la certezza dell'uno e la possibilità dell'altra!"
E per tutto il giorno e tutta la notte non volle prendere cibo né acqua ritirandosi in solitudine a meditare le cronache Cento autunni ove si narrano le gesta del duca di Tui P'eng di cui è scritto: "Perse trecento battaglie ma non rimase sconfitto neppure in una delle tremila dispute che sostenne con la madre della sua sposa."


 (http://www.cigv.it/ilviaggio/tao.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2006, 23:50:25
William M. Thackeray (1811-1863)
La sua attività di scrittore inizia con una serie di articoli su periodici, e di romanzi pubblicati su vari giornali. Tra essi la serie di bozzetti Le carte di Yellowplush (The Yellowplush papers, 1838) per la rivista «Fraser's magazine», e "The Paris sketchbook" (1840). Nel 1840 . Nel 1842 inizia la collaborazione con il giornale umoristico «Punch», con una serie di articoli e schizzi satirici intitolata Gli snob inglesi visti da uno di loro (The snobs of England by one of themselves), raccolti poi nel volume Il libro degli snob (The book of snobs, 1855) che rappresentano una spietata e minuziosa denuncia delle menzogne sociali e dei difetti umani. E' Thackeray che dà al termine snob il significato che ne diamo oggi noi.

LE MEMORIE DI  BARRY LYNDON
SCRITTE DA LUI MEDESIMO


I primi giorni di matrimonio sono abitualmente molto difficili; ed io ho conosciuto coppie, che hanno vissuto insieme come colombi per tutto il resto della loro vita, ma che sono state sul punto di cavarsi gli occhi durante la luna di miele. Io non sfuggii alla sorte comune; nel nostro viaggio verso ovest Lady Lyndon stabilì di bisticciarsi con me perché tirai fuori una pipa (avevo preso l'abitudine di fumare in Germania, quando ero soldato nell'esercito di Bulow, e non ho mai potuto liberarmene) e mi misi a fumare in carrozza; e Sua Signoria decise anche di prendersela a male tanto ad Ilminster che ad Andover perché la sera, quando ci fermammo, io volli invitare gli albergatori della "Campana" e del "Leone" a stappare una bottiglia con me. Lady Lyndon era una donna altera, ed io invece odio la superbia; ma vi assicuro che in tutti e due i casi domai questo suo difetto. Nel terzo giorno del nostro viaggio mi feci accendere la pipa da lei con le sue stesse mani, ed essa me la consegnò con le lacrime agli occhi; e alla "Locanda del Cigno" ad Exeter l'avevo sottomessa così completamente, che ella mi chiese umilmente se non volevo invitare anche l'albergatrice, oltre all'albergatore, a cenare con noi. Io non avrei avuto obiezioni a questa proposta, perché, per la verità, la signora Bonnyface era proprio una donna di bell'aspetto; ma aspettavamo una visita da Sua Signoria il Vescovo, che era un parente di Lady Lyndon, e le "bienséances" non permettevano di appagare la richiesta di mia moglie. Io feci la mia comparsa con lei al servizio della sera, per porgere i miei complimenti al nostro molto reverendo cugino, e misi la firma di mia moglie per venticinque ghinee, e la mia per cento alla sottoscrizione per il famoso organo nuovo che stavano allora fabbricando per la cattedrale. Questo modo di comportarmi, proprio all'alba della mia carriera in quella contea, mi rese non poco popolare; e il canonico residente, che mi fece il favore di cenare con me alla locanda, se ne andò dopo la sesta bottiglia, formulando fra i singhiozzi i più solenni voti per la felicità di un gentiluomo così p-p-pio.

La Fiera delle Vanità

Era lecito presumere che, una volta in camera da letto, non facesse nient'altro atto ad aggravare la situazione. E invece lo sciagurato giovanotto ci riuscì. La luna splendeva lucente sul mare, e Jim, affascinato dalla romantica visione del mare e del cielo - e di conseguenza attratto al davanzale della finestra - pensò che avrebbe potuto gustarsi maggiormente lo spettacolo facendosi una fumatina con la pipa. Nessuno, pensò avrebbe potuto percepire l'odore del tabacco se avesse avuto la precauzione di tenere la pipa e la testa fuori della finestra, all'aria libera. Così fece, infatti; ma dato il suo stato di eccitazione Jim aveva dimenticato aperta la porta della camera, cosicché la brezza che entrava dalla finestra stabiliva una corrente perfetta portando nuvole di fragrante tabacco al piano di sotto, ove si trovavano Miss Crawley e Miss Briggs.
   Questa pipa e questo tabacco furono la goccia che fece traboccare il vaso, e la famiglia di Bute Crawley non seppe mai quante migliaia di sterline gli siano costati. La Firkin si precipitò da Mr. Bowls, che in quel momento era impegnato a leggere con voce possente e cavernosa al suo aiutante di campo qualche pagina de La padella e la brace. L'orrendo segreto gli venne rivelato dalla Firkin con uno sguardo talmente sconvolto dallo sgomento, che a tutta prima Bowls e il suo giannizzero pensarono a un'incursione ladresca e che la Firkin avesse scorto le gambe del malfattore sotto il letto di Miss Crawley. Ad ogni modo Bowls, una volta informato dell'avvenimento, senza por tempo in mezzo corse di sopra salendo i gradini a quattro a quattro ed entrò nella stanza dell'ignaro James gridando con voce soffocata dall'indignazione: «Mr. James, per l'amor del cielo, smettete subito di fumare quella pipa! Oh, Mr. James, che cos'avete fatto!» Poi con voce patetica e profondamente addolorato, mentre gettava l'abominevole oggetto dalla finestra aggiunse: «Miss Crawley non sopporta assolutamente il fumo!»
   «Chi obbliga Miss Crawley a fumare la pipa?» rispose James scoppiando in una risata clamorosa e del tutto inadatta alla circostanza, convinto com'era che si trattasse di uno scherzo bello e buono. Ma fu costretto a cambiare bruscamente idea quando l'indomani mattina l'aiutante di Mr. Bowls, il quale gli puliva gli stivali e gli portava l'acqua calda per radersi quei quattro peli che ambiva tanto a togliersi dalle guance, gli consegnò mentre ancora giaceva fra le coltri un bigliettino pugno di Miss Briggs.


  (http://www.geocities.com/eyre_crowe/thackeray_turkish.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Marzo 2006, 07:20:53
Federigo Tozzi (1883-1920)

Il mondo, per lo scrittore, prima d'essere oggetto di ripresentazione letteraria fu essenzialmente oggetto di sofferenza personale, di un pessimismo che in ultima analisi non risultò più né verista né decadentista, da cui scaturì una prosa che, oltre a un efficacissimo uso del lessico dialettale, rimase essenzialmente 'scarna e violenta'.



- Dunque, né meno una cicca?
Rebecca, spazzando la trattoria, metteva in serbo le cicche trovate, e lo incaricava di portargliele.
Masa intervenne un'altra volta:
- Non fuma mica il padroncino!
E ne rise insieme con lui come di una burla. Dopo avere riso, storceva le labbra e se le mordeva. Il vecchio cavò dal taschino una pipa sbocconcellata, con una cannuccia corta quanto il palmo della mano.
- Grazie a Dio, ci ho sempre quello che la sua mamma mi dette la settimana passata. Guardi se non è vero!
Batté la pipa in proda alla tavola: schizzò fuori una specie di polvere incenerita. Egli la radunò insieme, la mescolò e la rimise dentro. Poi prese, dal focolare, un fuscello acceso. A stento, gli uscì di bocca un poco di fumo, azzurro chiaro. Ed egli, guardandolo, disse:
- Oh, c'è poco trinciato, oggi!
Indi con il pollice che aveva l'unghia mozzata da un taglio fattosi da giovine, pigiò dentro il pezzetto di brace rimasta nella pipa.
Pietro vide un'altra volta quel fumo, e, dentro di sé, come una cosa reale, che gli dette un malessere, la mamma che andava a un cassetto, in casa, e voleva prendere qualche cosa. Ma tutti s'erano allontanati da lei! E mentr'ella si ostinava, il cassetto spariva nel muro. Allora gli parve di sentire sul volto le sue mani, come un grande bacio, come se le mani lo baciassero.
Masa, meravigliata della sua espressione sbigottita, gli chiese:
- A che pensa?
Il vecchio si avvicinò all'uscio, e disse:
- Bisogna che vada a governare le vacche. Dammi la fune.


Nel cielo cominciavano quegli immensi chiarori, che vengono dall'alba ancora lontana; le strade erano tetre ed umide.
Di solito, soltanto poche persone passavano, camminando in fretta; e si udiva bene quel che dicevano: le voci risuonavano come le scarpe con i chiodi su le pietre. E qualcuno, per lo più facchini che si recavano all'arrivo dei treni, accendeva la pipa, coprendo con ambedue le mani il fiammifero.
Domenico, quasi a metà della strada, entrava in un bar dov'era una ragazza con una veste così scollacciata che Pietro aveva paura si aprisse tutta.
Ella rideva agli avventori; e allora le sue gote incipriate, sode e rotonde, si gonfiavano fino a farle socchiudere gli occhi. Dava quel sorriso come le tazzine di porcellana filettate d'oro.

Seguitando la china, sentivano i loro passi risonare; perché la strada si fa più stretta tra i suoi muri sempre più alti. La poggiaia fuori di Porta Romana s'appiana, aprendosi con le sue campagne sparse da per tutto. Più in là, ma come della stessa altezza, i poggi azzurri, dopo una striscia violacea; con le file nere dei cipressi.
Giunsero, quasi senza più parlare, ad una villa con la facciata scolorita dall'umidità; con una finestra finta e le persiane verdi; con rappezzature fatte a calce, come patacche bianche.
Incontrarono un portalettere sciancato; con la pipa in bocca; volta in giù; con la borsa logora a tracolla ed una fazzolettata di chiocciole in mano.
Chiarina e Lola fecero le boccacce. Poi, incontrarono due preti: uno basso, tarpagno; e un altro secco come un nocciolo d'oliva. E alle due sorelle venne da ridere.


 (http://www.unisi.it/ricerca/dip/dip_fcl/CentriRicerca/Tozzi.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Marzo 2006, 22:15:32
George Simenon

Nasce a Liegi (Belgio) il 12 febbraio 1903. Sebbene non si consideri un autore di romanzi polizieschi e abbia pubblicato numerosissimi romanzi d'altro genere, è conosciuto da tutti, grazie anche a complicità cinematografiche e televisive, come il creatore di Maigret, ispettore della polizia parigina, ed una delle figure più popolari della narrativa poliziesca contemporanea. Maigret non è né un duro alla Dashiell Hammet né l'ennesima riincarnazione di Sherlock Holmes: è semplicemente un uomo,con la sua pipa che ama la birra e il calvados.

Maigret a new york

 Nell'istante in cui le macchine si fermavano, Maigret si era buttato
 sul pigiama un pesante cappotto ed era salito sul ponte, dove ombre
 andavano e venivano zigzagando ed apparivano, per il beccheggio, in
 un'altalena di oscure immagini. La pipa in bocca, si era fermato a
 guardare le luci delle altre navi all'ancora che aspettavano la visita
 sanitaria.
 Maigret continuava a fumare la pipa nel piovischio e guardava una
 piccola imbarcazione grigia, che le onde sollevavano e abbassavano
 ritmicamente, eseguire ardite manovre per accostare il barcarizzo.
 Alcuni agenti salivano in fretta a bordo del piroscafo e sparivano
 nella cabina del capitano.

Poco più tardi i due uomini si infilavano in un taxi, e il
 capitano diede un indirizzo all'autista. Fumavano la pipa, in
 silenzio. Poi, come per caso, entrambi aprirono la bocca
 contemporaneamente e si volsero l'uno verso l'altro, sorridendo della
 coincidenza.

 Maigret, che era rimasto seduto, vuotò lentamente la pipa in un
 portacenere che aveva a portata di mano. Poi estrasse un'altra pipa da
 una tasca della giacca e si mise a caricarla guardando, ora l'uno ora
 l'altro, i due uomini che gli stavano davanti. Finalmente si alzò, e
 pareva volesse imporre la sua mole. Sembrava più alto e più massiccio
 del solito. «Vi saluto» disse semplicemente, con una voce così
 inattesa che il tagliacarte si spezzò fra le dita di Little John.

 «Pronto... Il capitano O'Brien?... Sono Maigret.»
 Sorrideva. Tirava piccole boccate dalla pipa e guardava la tappezzeria
 a fiori un po' scolorita che ricopriva la parete della camera.
 «Come?... No, non sono più al "Saint-Régis"... Perché?... Per svariate
 ragioni. La più importante è che non mi sentivo più a mio agio.
 Capisce? Bene Ma sì, ho trovato un altro albergo. Il "Berwick". Lo
 conosce? Non ricordo più il numero della via. Non ho mai avuto memoria
 per i numeri, e in questo paese siete ben noiosi con tutte queste
 strade numerate, come se non poteste chiamarle via Victor Hugo, via
 Pigalle o via del Presidente pinco pallino... Pronto?... Si ricorda
 che a Broadway, non so a che altezza, c'è un cinema che si chiama
 Capito? Bene. La prima o seconda via a sinistra. E'; un alberguccio
 piuttosto modesto, dove credo diano le camere anche a ore. Come? A New
 York non è permesso? Tanto peggio per voi!»

la Quinta Strada e con i suoi lussuosi negozi. Restò per parecchio
 tempo fermo davanti a una vetrina a contemplare alcune pipe, poi,
 sebbene quello fosse il regalo della moglie a ogni festa o ricorrenza,
 decise di acquistarne una.
 Uno strano e buffo particolare. La pipa costava parecchio. Uscendo dal
 negozio, Maigret si ricordò di quanto aveva pagato il taxi la sera
 prima e si ripromise di economizzare.

 Maigret aveva lasciato spegnere la pipa, ma ora per tornare nella
 realtà sentiva il bisogno di riaccenderla. La teneva in mano
 impacciato, finché con un sorriso di bambola le vecchia gli disse:
 «Fumi pure. Anche Robson fumava la pipa. E l'ho fumata anch'io gli
 anni subito dopo la sua morte. Forse non capisce, ma era come una
 parte di lui.»
Ora Maigret fumava beatamente la pipa, come un uomo che ascolta da un
 ragazzo una storiella divertente.

 Stringeva persino la pipa fra i denti in un modo diverso, fumava a
 brevi boccate, si guardava intorno con aria sorniona; ma in verità era
 completamente assorbito dalla propria attività interiore. I personaggi
 del dramma avevano finito di essere entità, pedine, marionette:
 diventavano uomini.

Gli fu chiesto cosa desiderasse, e lui tranquillamente,
 battendo con aria distratta la pipa contro i tacchi: «Nulla».
Dopo di che scese allegramente con la pipa in bocca e scelse
 un ristorantino come si deve. Ordinò i suoi piatti preferiti, del vino
 vecchio e un cognac riserva; esitò fra sigaro e pipa, optando alla
 fine per quest'ultima e si ritrovò fra le luci chiassose di Broadway.

Maigret fissava davanti a lui il tappeto della tavola, e ora evitava
 di ripetere le parole. Stringeva le mascelle con tanta forza che a un
 certo punto il bocchino della pipa gli si spezzò fra i denti.
 Nessuno si muoveva intorno a lui. Si alzò pesantemente, raccolse il
 fornello della pipa andata in pezzi, lo posò sulla tavola.

Dieci giorni dopo, la signora Maigret domandava al marito: «Insomma,
 che cosa sei andato a fare di preciso in America?». «Assolutamente
 nulla.»
 «Non ti sei preso nemmeno una pipa, come ti avevo scritto...» Fece il
 tonto, e riprese: «Laggiù, vedi, sono molto care... E poi sono poco
 solide...»



(http://web.tiscali.it/brunop/images/simenon.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Marzo 2006, 23:51:27
Cronaca antica:

Il Grande Bardo ,un mito più che un uomo,che si è fatto da solo.(a quanto dice la CNN a volte anche in compagnia) :D  8)
http://archives.cnn.com/2001/WORLD/europe/UK/03/01/shakespeare.cannabis/index.html
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Marzo 2006, 14:24:31
Ernest Hemingway (1899-1961)
E' lo scrittore simbolo del Novecento letterario, colui il quale ha saputo rompere con una certa tradizione stilistica riuscendo ad influenzare successivamente generazioni intere di scrittori.La pipa nei suoi scritti è soltanto per aggiungere una distinzione ad un personaggio,lui stesso fumava pochissimo avendo  la bocca occupata dal bicchiere.


Addio alle armi
 
 - Sei andato ancora molto a pesca? -
  - Qualche bel pesce l'ho preso. In autunno fa piacere quel che si prende. -
  - E il tabacco che t'ho mandato l'hai avuto? -
  - Sì. E lei ha avuto la mia cartolina? -
 Mi misi a ridere. Non era andata bene col tabacco. Gli avevo promesso del tabacco da pipa americano, ma avevano smesso di spedirmelo oppure era stato sequestrato, fatto sta che non l'avevo ricevuto.
  - Riuscirò a trovartene da qualche parte - dissi.  -  Senti. Hai visto due ragazze inglesi in città? Devono esser qui dall'altro ieri. -
  - Qui in hotel non ci sono. -
  - Due infermiere. Saranno in un altro albergo.


- Senti caro, sarò stupida ma perchè il barman resta nel nostro bagno? -
  - Sccc! Sta aspettando le valige. -
  - E' proprio gentile. -
  - E' un vecchio amico - dissi.  - Dovevo mandargli tabacco per la sua pipa, una volta. -

I 49 racconti

Macomber scoprì che di tutti gli uomini che aveva odiato, ed erano molti, Robert Wilson era quello che odiava di più.
«Dormito bene?» chiese Wilson con la sua voce gutturale, riempiendosi la pipa,
«E lei?»
«Ottimamente» disse il cacciatore bianco.
Bastardo, pensò Macomber, bastardo insolente.


Wilson si alzò e tirando boccate di fumo dalla pipa si allontanò, per dire qualche parola in swahili a uno dei portatori di fucile che, in piedi, lo stava aspettando. Macomber e sua moglie rimasero seduti. Lui fissava la sua tazza di caffè.
«Se fai una scenata ti lascio, tesoro» disse Margot a bassa voce.
«No, non è vero.»
«Provaci e vedrai.»

La donna urlò proprio nel momento in cui Nick e i due indiani seguirono suo padre e zio George nella capanna. Giaceva nella cuccetta inferiore, grossissima sotto una coperta. Aveva la testa voltata da una parte. Nella cuccetta superiore c'era suo marito. Si era tagliato un piede in malo modo con un'ascia tre giorni prima. Fumava la pipa. C'era una gran puzza, nella stanza.
Il padre di Nick ordinò di mettere dell'acqua sul fornello, e mentre l'acqua si scaldava gli parlò.
«Questa donna sta per avere un bambino, Nick» disse.


Due svizzeri erano seduti accanto alla stufa con la pipa e un bicchiere di torbido vino nuovo. I ragazzi si tolsero la giacca e si misero a sedere contro il muro di là dalla stufa. Nella stanza accanto una voce smise di cantare e una ragazza con un grembiule azzurro venne a vedere cosa volevano da bere.
«Una bottiglia di Sion» disse Nick. «Per te va bene, Gidge?»

Tirò fuori dalla tasca della giubba un libro coperto di carta e lo apri; poi lo depose sul tavolo e si accese la pipa. Si sporse sopra il tavolo per leggere e tirò qualche boccata di fumo dalla pipa. Poi chiuse il libro e lo rimise in tasca. Aveva troppe scartoffie da passare.


(http://www.pku.edu.cn/life/xuehui/yasp/pic-sheyingdashi/yousuf%20karsh/Ernest%20Hemingway,.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Marzo 2006, 15:01:42
Mi sono deciso ad affrontarlo oggi,non poteva assolutamente mancare.

Herman Melville (1819-1891)

Il mare, omerico e biblico, diventa il regno dei mostri, del terrore, delle immense profondità che sfuggono all'intelligenza umana. La balena bianca contro la quale lotta ostinatamente e inutilmente il capitano Achab è un abbagliante simbolo del male e dell'assurdità del mondo. La nave diventa un microcosmo della società, e la caccia maniacale alla balena riflette la determinazione dell'uomo a imporre la propria volontà sulla natura, di possederla. La conclusione tetra getta una luce fatale sul senso dell'avventura umana. La narrazione è densa di significati simbolici: essi scaturiscono a ogni passo dalla ricchezza del testo, mossi dalla visione tragica della vita che ebbe Melville, dal suo senso della disperante ambiguità del bene e del male, tra cui l'uomo oscilla senza possibilità di scelte definitive.

Moby Dick
 

«Ma credevo che lo sapessi... non ti ho detto che era fuori a smerciar teste? Be', un altro colpo di pinne, e torna a dormire. Queequeg, senti: tu capisci me, io capiscio te: questo uomo dorme te. Capisci me?

«Me capire molto,» grugnì Queequeg tirando alla pipa e alzandosi a sedere sul letto.

«Tu dentro,» aggiunse facendomi cenno con la scure di guerra e buttando da un lato la sua roba. E in realtà lo fece in una maniera non solo civile ma veramente cortese e caritatevole. Stetti a guardarlo un momento. Con tutti i suoi tatuaggi, era in complesso un cannibale pulito e di aspetto gradevole. Che è tutto questo chiasso che ho fatto, dico a me stesso: costui è un essere umano proprio come me, ed ha tanto motivo di temermi come io di temere lui. Meglio dormire con un cannibale sobrio che con un cristiano ubriaco.

«Padrone, digli di mettere via l'ascia o pipa o quello che sia, insomma digli di smettere di fumare e andrò sotto con lui. Non mi piace avere a letto uno che fuma. È pericoloso. Per giunta non sono assicurato.»

Glielo disse, e Queequeg subito consentì, e di nuovo mi accennò gentilmente di mettermi a letto, rotolandosi tutto da una parte come per dire: Non ti sfioro nemmeno una gamba.»

«Buona notte, padrone,» dissi, «puoi andare.»

Mi ficcai sotto: mai dormito meglio in vita mia.

 Ma sorvoliamo su tutte le stravaganze di Queequeg a colazione: come scansava il caffè e i panini caldi e concentrava tutta la sua attenzione sulle bistecche al sangue. Basti dire che, finita la colazione, si ritirò con gli altri nella sala comune, accese la sua scure-pipa, e rimase lì seduto a fumare e digerire beatamente col suo cappello inseparabile in testa, mentre io uscivo a farmi due passi.



 Allora cominciammo a sfogliare assieme il libro, e mi sforzai di spiegargli lo scopo dei caratteri a stampa e il significato delle poche vignette che c'erano. Così catturai presto la sua attenzione, e di lì passammo a ciarlare bene o male sulle varie cose che c'erano da vedere in quella famosa città. Gli proposi una fumata sociale; lui tirò fuori l'ascia e la borsa del tabacco e mi offrì tranquillamente una boccata. Dopo di che ci mettemmo a scambiare boccate da quella sua pipa selvaggia, facendola passare regolarmente dall'uno all'altro.
Adesso niente mi piaceva di più che vedere Queequeg che mi fumava vicino, anche a letto, perché allora mi pareva pieno di tanta serena gioia casalinga; ormai la polizza d'assicurazione del padrone di casa non mi preoccupava eccessivamente. Ero solo sensibile alla soddisfazione intima e intensa di dividere una pipa e una coperta con un vero amico. Coi nostri giacconi pelosi tirati sulle spalle facevamo circolare l'ascia, finché sulle nostre teste crebbe un pendulo azzurro baldacchino di fumo, illuminato dalla fiamma del lume che avevamo riacceso.

 Finita la sua storia con l'ultimo sbuffo della pipa, Queequeg mi abbracciò, pigiò la fronte contro la mia, e spenta la luce ruzzolammo via uno da un lato e uno dall'altro e ben presto ci addormentammo.

Queequeg colse uno di questi coglioncelli a fargli il verso alle spalle. Temetti che per quell'idiota fosse giunta l'ora del giudizio. Il robusto selvaggio si sbarazzò del rampone, prese l'amico tra le braccia e lo buttò in aria di peso, con un'abilità e una forza quasi da miracolo. Poi con una leggera bussata in poppa a metà del salto mortale, lo fece atterrare in piedi, coi polmoni che gli scoppiavano, mentre Queequeg voltandogli le spalle accendeva la sua pipa di guerra e me la passava per una boccata.

«Hapitano, hapitano!» strillò quel fesso correndo verso l'ufficiale. «Hapitano, hapitano, c'è il demonio!»

 Ma si è mai visto un uomo così incosciente? Non parve pensare affatto di essersi meritata una medaglia al valore civile. Domandò solo un po' d'acqua, dell'acqua fresca, qualcosa per levarsi di dosso il sale. Ciò fatto indossò vestiti asciutti, accese la pipa, si appoggiò alla murata, e dando un'occhiata tranquilla a chi gli stava attorno pareva dire a se stesso: «Questo mondo è una mutua, una società per azioni, sotto tutti i climi. E a noi cannibali tocca aiutare questi cristiani.»

Lasciai dunque, come dicevo, Queequeg a digiunare sulla sua pipa di combattimento, e Yojo a scaldarsi alla fiamma lustrale dei trucioli, e salpai per i moli. Dopo lunghi giri e rigiri e molte domande a destra e a manca, venni a sapere che c'erano in allestimento tre navi per crociere di tre anni: la Diavolessa, il Bocconcino e il Pequod. Diavolessa non so dove l'abbiano pescato; Bocconcino è ovvio; e Pequod, come ricorderete senza dubbio, era il nome d'una famosa tribù di indiani del Massachusetts, ora estinti come gli antichi Medi. Mi misi a girare occhieggiando e scrutando attorno alla Diavolessa, da quella feci una capatina al Bocconcino, e finalmente salii a bordo del Pequod, detti qualche occhiata attorno e decisi che questa era la nave fatta per noi.

 Queequeg, mentre raccontava queste cose, ogni volta che riceveva da me la pipa mannaia, ne faceva roteare quest'ultima faccia sulla testa di quello che dormiva.

«Perché fai così, Queequeg?»

«Molto facile ammazzare, oh, molto facile!»

 «Ohé!» esalò finalmente, «chi siete, pipaioli?»

«Dell'equipaggio,» dissi, «quando si parte?»

«Già, già. Partite con questa, vero? Salpa oggi. Il capitano è salito ieri notte.»


 Ciò che forse, tra l'altro, faceva di Stubb un uomo così strafottente e senza paure, che se la trottava con tanta allegria col peso della vita addosso, in un mondo pieno di merciai tetri, tutti piegati a terra dai loro fagotti; ciò che lo aiutava a portarsi attorno quel suo buonumore quasi empio, doveva essere la sua pipa. Perché, come il suo naso, la sua corta pipetta nera era una delle fattezze ordinarie della sua faccia. Era quasi più probabile vederlo saltar fuori dalla cuccetta senza naso, piuttosto che senza pipa. Lì dentro aveva tutta una fila di pipe cariche infilate in un portapipe a stretta portata di mano, e ogni volta che andava a letto le fumava tutte di seguito, accendendole l'una dall'altra fino al termine della raccolta, e poi ricaricandole perché fossero di nuovo pronte. Perché per prima cosa, quando Stubb si vestiva, invece di cacciare le gambe nelle brache, si cacciava la pipa in bocca.

Io credo che questo eterno fumare dev'essere stata almeno una delle cause della sua indole speciale. Ognuno sa infatti che a questo mondo l'aria, in terra o in mare, è terribilmente infetta dalle miserie indicibili del numero sterminato di uomini che sono morti cacciandola dai polmoni; e come in tempo di colera qualcuno va in giro con un fazzoletto canforato sulla bocca, allo stesso modo il fumo del tabacco di Stubb può avere operato come una specie di disinfettante contro tutti i triboli umani.


 Quando Stubb se ne andò Achab rimase per un poco curvo sulla murata; poi, come soleva fare di recente, chiamò uno della guardia e lo mandò giù a prendergli lo sgabello d'avorio, e anche la pipa. L'accese alla lanterna della chiesuola, piazzò lo sgabello a sopravvento e si sedette a fumare.

Al tempo degli antichi norvegesi i troni dei re di Danimarca appassionati di mare erano fatti, dice la tradizione, con la zanna del narvalo. Come si poteva guardare Achab, allora, seduto su quel treppiedi d'ossa, senza pensare alla regalità di cui quel sedile era simbolo? Un Khan del tavolato, un re del mare e un gran signore di balene: questo era Achab.

Passò qualche minuto. Il fumo denso gli usciva di bocca in sbuffi continui e fitti, che il vento gli risoffiava in faccia. Alla fine si levò la canna di bocca e cominciò a parlare da solo: «Ma come, il fumo non mi rasserena più. Deve andarmi proprio male, cara pipa, se il tuo incanto è sparito! Sono stato qui a stancarmi senza rendermene conto, invece di provare piacere. Proprio così, e per tutto il tempo ho fumato controvento come un idiota; controvento e tirando coi nervi, come una balena in agonia, ché le mie ultime sfiatate sono le più forti e le più tormentose. Ma perché uso questa pipa? È una cosa fatta per chi è sereno, per mandare il suo fumo bianco e gentile in mezzo a dei quieti capelli bianchi, e non tra ciuffi spelacchiati, grigi come il ferro, come questi miei. Non voglio più fumare...»

Buttò in acqua la pipa ancora accesa. La brace fischiò tra le onde. E nello stesso momento la nave, con un balzo, si lasciò dietro la bolla che la pipa fece affondando. Achab si tirò il cappello sul naso e cominciò a misurare il ponte come un ladro.

 Ma il terzo ufficiale Stubb non mostrava simili smanie di guardare al largo. Le balene potevano aver fatto uno dei loro regolari scandagli, non un tuffo momentaneo per semplice paura. E se era così, Stubb, al suo solito, era deciso ad alleviare con la pipa l'attesa snervante. Se la tolse dal nastro del cappello dove la teneva sempre infilata di sghembo come una piuma. La caricò, e ne pressò la carica con la punta del pollice. Ma aveva appena acceso il fiammifero sulla ruvida cartavetrata della mano, quando il suo ramponiere Tashtego, che aveva tenuto gli occhi piantati a sottovento come due stelle fisse, dalla sua posizione eretta ricadde sul banco di colpo, rapido come la luce, e gridò freneticamente: «Tutti giù, tutti giù, forza ai remi! Eccole!»

 «Signor Stubb,» dico, voltandomi a quell'illustre, che abbottonato nel suo giaccone impermeabile si fumava calmo la pipa sotto la pioggia: «Signor Stubb, se non sbaglio vi ho sentito dire che il nostro primo ufficiale, il signor Starbuck, è di gran lunga il più cauto e prudente tra tutti i balenieri che avete conosciuto. Immagino allora che buttarsi a piombo con tutte le vele spiegate su una balena che scappa, in mezzo alla tempesta e alla nebbia, è per un baleniere il colmo della prudenza.»


Ed ecco, a poca distanza a sottovento, nemmeno a quaranta tese, un capodoglio gigantesco andava rollando nell'acqua come lo scafo capovolto di una fregata, col vasto dorso lucido di un bel colore moro che scintillava come uno specchio ai raggi del sole. E mentre fluttuava così pigra nel trogolo del mare, e di tanto in tanto, tranquilla, sfiatava il suo zampillo di vapori, la balena somigliava a un solenne borghese che si fa una pipata in un pomeriggio caldo.

 «Laggiù coda!» si gridò, e subito Stubb tirò fuori un fiammifero e si accese la pipa, perché ora c'era un momento di riposo. Quando il tempo del tuffo fu passato, la balena riemerse. Adesso era davanti alla barca di Stubb il fumatore, e molto più vicina a essa che a tutte le altre barche: sicché Stubb contò sull'onore della cattura. Era ovvio, ormai, che la balena si era finalmente accorta degli inseguitori. Ogni cauto silenzio dunque non serviva più a nulla. Gettammo le pagaie e mettemmo rumorosamente in azione i remi. E sempre tirando alla pipa, Stubb incitava con grida la sua ciurma all'assalto.


 E il rampone partì. «Tutto indietro!» I rematori sciarono; nello stesso momento qualcosa sfilò caldo e fischiante sui polsi di ciascuno. Era la magica lenza. Un momento prima Stubb, svelto, le aveva dato altre due volte attorno al ceppo; e da questo, per il vorticare sempre più rapido, si levò un fumo azzurro di canapa e si mescolò alle spire che uscivano costanti dalla sua pipa.

E se non sarà alla fine sterminato nelle acque, finché l'ultima balena come l'ultimo uomo fumerà la sua ultima pipa e poi svanirà essa stessa nella boccata finale.


(http://www.absolutearts.com/portfolio3/c/cdregan/Herman_Melville-968884094t.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 12 Marzo 2006, 21:08:58
Arnaldo Fusinato, "Il Cor Contento" (da Poesie Complete, Ed. Carrara di Milano, 1880 - frammento pubblicato da Andrea Stoppioni su Amici della Pipa anno XX n° 2, marzo/aprile 1997)

Cinquant'anni ho sulla schiena,
e sono grande, grasso e grosso;
ho un faccion da luna piena,
tondo tondo, rosso rosso,
e la gola ho seppellita
sotto un lardo alto sei dita.

Ogni dì, quando ho pranzato,
io mi sdraio un'ora buona
sul cuscino sprimacciato
di una morbida poltrona,
e al dormir l'occhio velando
la mia pipa vo fumando.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 12 Marzo 2006, 21:14:59
Mallarmè:

Ieri, sognando una lunga serata di lavoro, quel bel lavoro d'inverno, ho trovato la mia pipa. Ho buttato via le sigarette, e con esse tutte le gioie infantili dell'estate, la memoria di foglie azzurrine illuminate dal sole, di abiti leggeri, e ho ripreso la mia pipa severa, da uomo serio che vuol fumare senza distrazioni, per lavorare meglio: ma non ero preparato alla sorpresa che stava approntandomi la povera abbandonata: avevo appena fatto il primo tiro, e subito dimenticavo i grandi libri da fare, stupito, intenerito, respiravo l'inverno passato che tornava..."
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Marzo 2006, 08:43:10
La pipa come oggetto per allungare il tempo di una veglia,o di una attesa.

Giulio Verne

Viaggio al centro della terra

Mi misi al lavoro. Ripulii, misi
l'etichetta e disposi nella loro vetrina tutte quelle pietre cave, dentro le
quali vibravano minuscoli, infiniti cristalli. Ma questo lavoro non mi distraeva
dai miei pensieri. La faccenda di quel vecchio documento continuava stranamente
a preoccuparmi; mi ribolliva in testa, mi sentivo un non so che, presentivo una
catastrofe molto prossima.
Dopo un'ora i geodi erano perfettamente in ordine nella vetrina. Mi buttai
allora io, nella vecchia poltrona di Utrecht, con le braccia penzoloni e la
testa all'indietro. Accesi la pipa dal lungo cannello ricurvo, che aveva
scolpita sul cannello una voluttuosa najade sdraiata con indolenza; mi divertii
poi a seguire con lo sguardo la carbonizzazione che lentamente trasformava la
najade in una negretta. Ogni tanto mi mettevo ad ascoltare se si sentiva rumore
di passi su per le scale. Ma niente. Dove sarà stato lo zio in quel momento? Me
lo immaginavo mentre correva sotto gli alberi del bel viale di Altona.



James Joyce

Dubliners

    "No,  non direi che fosse proprio...  ma c'era qualcosa  di  strano...
    qualcosa di misterioso in lui. Vi dirò la mia opinione..."
    E  cominciò  a tirare boccate dalla pipa,  senza dubbio rimuginando la
    sua opinione tra sè e sè. Vecchio sciocco noioso! All'inizio quando lo
    avevamo conosciuto, aveva suscitato in noi un certo interesse parlando
    di scarti di distillazione e di  alambicchi,  ma  ben  presto  mi  ero
    stancato di lui e delle sue storie senza fine sulle distillerie.

    "Ho  una  mia  teoria  al riguardo," riprese.  "Penso sia stato uno di
    quei... particolari casi. Ma è difficile dire..."
    Ricominciò a fumare la pipa senza dirci  la  sua  teoria.  Lo  zio  si
    accorse del mio sguardo fisso e mi disse:
    "Be', così il tuo vecchio amico se ne è andato; ti dispiacerà"
    "Chi?" chiesi.
    "Padre Flynn."

    "Dio accolga la sua anima," fece la zia, pietosa.
    Il vecchio Cotter mi osservava.  Sentivo su di me lo guardo  acuto  di
    quegli  occhietti scuri e pungenti,  ma non gli diedi la soddisfazione
    di alzare i miei dal piatto.  Tornò alla sua pipa e infine  sputò  con
    disprezzo nel fuoco,

Nikolai Vasilievic Gogol

Racconti

Declamava magnificamente i versi del "Dmìtrij Donskòj" e di "Che disgrazia l'ingegno", possedeva l'arte speciale di emettere dalla pipa il fumo in forma di anelli con tanta maestria da poterne infilare lì per lì una decina uno dietro l'altro. Sapeva narrare piacevolmente la storiella della differenza che c'è fra il cannone e il rinoceronte. E' difficile, insomma, enumerare tutti i pregi di cui la sorte aveva dotato Pìrogov.

Intanto Pìrogov, fumando la pipa nella cerchia dei suoi compagni - giacché così ha disposto la provvidenza: che dove ci sono ufficiali, ci sono anche pipe - fumando dunque la pipa nella cerchia dei suoi compagni, alludeva significativamente e con un piacevole sorriso al suo intrigo con la graziosa tedeschina, con la quale, a sentire lui, era già prossimo a concludere, mentre in realtà aveva già quasi perduto la speranza di tirarla a sé.

In nessun posto al mondo si ferma tanta gente come davanti alla bottega di quadri dello Scukìn Dvor. Questa bottega conteneva infatti la più eterogenea collezione di cose strane e rare: i quadri per la maggior parte erano dipinti a olio, ricoperti da vernice verde cupo, inseriti in cornici pretenziose color giallo scuro. Un inverno con i suoi alberi bianchi; un tramonto tutto rosso, simile al bagliore di un incendio; un contadino fiammingo con la pipa e il braccio spezzato, più simile a un gallo indiano con i polsini che a un uomo.
"Eh," disse, puntando il dito su una tela dov'era raffigurata una donna nuda, "un soggetto, direi... giocoso. E perché qui è così scuro? Si rimpinzava di tabacco, forse?" "E' un'ombra," rispose severamente Cartkòv senza rivolgergli lo sguardo.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 13 Marzo 2006, 16:11:17
I 49 racconti

Macomber scoprì che di tutti gli uomini che aveva odiato, ed erano molti, Robert Wilson era quello che odiava di più.

Per forza, gli trom...va la moglie! :D
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Marzo 2006, 17:51:30
A volte succede.
 :D
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Marzo 2006, 17:18:12
Jerome K Jerome (1859 - 1927)

Fu dapprima impiegato delle ferrovie, poi insegnante, attore, e giornalista. Nel 1892 fu tra i fondatori della rivista "The Idler" e nel 1893 del settimanale "Today". Nel 1888 si sposò ed ebbe una figlia. Conobbe il primo successo letterario nel 1889 con la pubblicazione di Pensieri oziosi di un ozioso e di Tre uomini in barca. Seguirono: Tre uomini a zonzo (1900), Loro e io (1909) e numerose opere per il teatro, tra le quali Il passeggero del terzo piano (1908).Fumò  la pipa ma in modo poco  serio,come tutto il resto.



Tre Uomini in Barca


Mi opposi al viaggio di mare con tutte le mie forze. Un viaggio di mare fa bene se può durare per un paio di mesi; una crociera di una settimana soltanto è una tragedia. Al lunedì tu parti con l'idea radicata nel cervello che vuoi divertirti. Accenni un disinvolto saluto agli amici sul molo, accendi la tua pipa più voluminosa e te ne vai a fare lo sbruffone in coperta, come se fossi un concentrato del Capitano Cook, di Francis Drake e di Cristoforo Colombo. Al martedì ti auguri di non esserti mai imbarcato. Al mercoledì, giovedì e venerdì preferiresti essere all'altro mondo. Al sabato riesci a mandar giù un po' di brodo magro, a star seduto in coperta e a rispondere con un sorrisino dolce e stanco alle persone gentili che vengono a chiederti se ora ti senti meglio. Alla domenica ricominci a passeggiare e a mangiare cibi normali. E al lunedì mattina tutto comincia a piacerti, ma tu, valigia e ombrello in mano, stai già presso il barcarizzo in attesa di sbarcare

Comunicai a George e ad Harris questa realtà e dissi loro che era meglio lasciassero a me il lavoro dei bagagli. Essi accettarono il mio consiglio con una prontezza che direi impudente. George si sistemò sulla sedia a sdraio e accese la pipa; Harris appoggiò i piedi sul tavolo e si accese un sigaro.

E' un posticino grazioso; una radura coperta d'erba che si stende lungo la riva del fiume sotto i salici. Avevamo appena attaccato la terza portata - pane e marmellata - quando arrivò un signore in maniche di camicia e con la pipa in bocca il quale disse che voleva sapere da noi se ci risultava che lì era vietato il transito. Gli rispondemmo che non avevamo considerato la cosa al punto da poter trarre una conclusione definitiva ma che, ad ogni modo, se lui sulla sua parola di gentiluomo ci avesse assicurato che lì il transito era proibito, noi gli avremmo prestato fede senza esitare.


Un'ora e mezzo dopo vi sentite in vena di andarvi a fare una fumatina di pipa nella serra. Lì c'è una sola sedia e su di essa c'è seduta Emilia mentre Gianni Eduardo, se si deve aver fiducia nel linguaggio dei vestiti, evidentemente era stato seduto per terra. I due non parlano ma vi lanciano uno sguardo che dice tutto quello che può essere detto tra persone civili, e a voi non rimane che battere in ritirata e chiudervi la porta alle spalle.

L'ordine della processione era il seguente:
Montmorency che portava un bastone tra i denti.

Due bastardi, spregevoli amici di Montmorency.

George, carico di coperte e pastrani, fumando la pipa.


Uomo di fatica, con valigia.

Amico inseparabile dell'uomo di fatica con le mani in tasca, e la pipa di coccio in bocca.


Secondo me lo stufato lo aveva messo di cattivo umore; egli non è abituato alla gran vita, e perciò io e George lo lasciammo nella barca per andarcene a spasso per le vie di Hanley. Lui disse che avrebbe bevuto un whisky, si sarebbe fatto una pipata e poi avrebbe messo in ordine tutto per la notte. Al ritorno avremmo dovuto gridare e lui sarebbe venuto a prenderci dall'isola con la barca.


Egli entra tranquillamente con il cappello in testa, si sceglie la sedia più comoda, accende la pipa e comincia a mandar buffetti in silenzio. Lascia che i giovani si sfoghino a dir spacconate per un poco e poi, durante una momentanea pausa si toglie la pipa dalla bocca e mentre scuote la cenere dal bocciuolo dice:

- Be'! martedì sera feci una retata di quelle che forse è meglio non parlarne con nessuno.
- Oh! e perché? - gli si chiede.
- Perché sono certo che se lo dicessi nessuno mi crederebbe, - risponde pacatamente il vecchio senza nessun accenno di amarezza nella voce. Poi si mette a ricaricar la pipa e chiede all'oste di portargli tre dosi di whisky con ghiaccio.


Entrammo nel bar e ci sedemmo. C'era solo un vecchio che fumava la pipa di gesso e, naturalmente, cominciammo a chiacchierare con lui.Ci disse che oggi era stata una bella giornata e noi gli dicemmo che ieri era stata una bella giornata e poi ci dicemmo l'un l'altro che credevamo che domani sarebbe stata una bella giornata; George aggiunse che il raccolto pareva promettere molto bene.
Dopo di ciò fra una chiacchiera e l'altra venne fuori che noi eravamo forestieri e che saremmo ripartiti il giorno seguente.


(http://www.rockymusic.org/zachman/images/postcard.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Marzo 2006, 23:29:12
Ritorno su un autore che và trattato più degnamente,infatti più di cento anni fà ha descritto il futuro e tantissime invenzioni,allora fantastiche,che oggi sono di uso abbastanza comune,parlò di carri armati,energia nucleare,elicotteri etc.
Amò tantissimo la pipa,nei suoi romanzi c'è sempre un attimo dove è celebrata.

Giulio Verne

L'Isola Misteriosa



Oh,  me ne sono guardato bene.  Soltanto,  capirai, con tutti quegli
    scossoni che abbiamo subito,  è facile che un oggetto così piccolo  si
    sia smarrito.  Anche la mia pipa,  vedi,  è sparita. Maledizione! Dove
    può mai essersi cacciata quella diabolica scatola?
    - Guarda,  il mare sta ritirandosi.  Andiamo sul  posto  dove  abbiamo
    preso terra.

Ciò fatto piegò il foglio in forma di
    imbuto,  come  fanno  i  fumatori  di pipa per difendere la fiamma dal
    forte soffio del vento,  e  lo  cacciò  sotto  le  foglie  secche.  Si
    trattava  ora  di accendere quell'unico zolfanello.  Pencroff sospirò,
    prese un ciottolo ben  asciutto,  vi  sfregò  contro  piano  piano  lo
    zolfanello;  ma  la  fiamma  non sprizzò.  Il marinaio aveva tenuto lo
    zolfanello troppo  leggero,  timoroso  di  rovinare  la  capocchia  di
    fosforo.

Era la vera «terra di pipa»,  con la quale
    vennero fabbricate le pentole, le tazze, i piatti,  degli orci e delle
    anfore  per  l'acqua.  La forma di questi oggetti era piuttosto goffa,
    difettosa;  ma,  quando furono cotti a un'alta temperatura,  la cucina
    della  Camminata  si  trovò  ricca di una stoviglieria più preziosa di
    tutte le porcellane di Sèvres!
    Qui bisogna aggiungere che Pencroff,  curioso di controllare se quella
    terra  meritava  davvero  il  nome  di  terra  di pipa,  se ne costruì
    qualcuna, piuttosto grossolana ma che egli definì bellissima.  

Harbert - la scorza del bambù,  tagliata in liste flessibili,  serve a
    fabbricare dei panieri e delle ceste;  ridotta in pasta e macerata, ti
    dà la carta;  la parte superiore delle canne ti  dà  dei  cannelli  da
    pipa,  oppure  dei  condotti  per  l'acqua;  le  canne  grosse sono un
    eccellente materiale di costruzione,  che gli insetti non toccano mai.

- Un'idea,  signor Spilett,  non diciamo niente a Pencroff; prepariamo
    come si deve queste foglie, e un bel giorno presentiamo a Pencroff una
    pipa già carica di tabacco.
    - D'accordo, Harbert. E quel giorno, il nostro bravo compagno non avrà
    proprio più niente da desiderare quaggiù.
    Il giornalista e il ragazzo fecero un'abbondante provvista  di  quelle
    foglie,  e  tornarono  al  Palazzo  di  Granito  dove  introdussero di
    contrabbando, non visti da nessuno, il tabacco. Cyrus e Nab,  ai quali
    venne  comunicata  la  scoperta,  furono  d'accordo  nel  mantenere il
    segreto,  e Pencroff ignorò tutto per il tempo necessario a seccare le
    foglie,  a trinciarle,  a lasciarle esposte ai raggi del sole, distese
    sopra delle lisce pietre calde. Ci vollero,  insomma,  due mesi buoni;
    ma  Pencroff,  tutto  preso  nella  costruzione  del battello,  non si
    accorse di tutte quelle operazioni.

- Un momento, Pencroff. Non si scappa con tanta furia. Voi dimenticate
    la frittata.
    - No, grazie; io torno al lavoro.
    - Una tazza di caffè, almeno...
    - Nemmeno.
    - Una buona fumatina, allora...
    Pencroff si era alzato di scatto e  la  sua  onesta  faccia  impallidì
    quando  vide  che  il  giornalista  gli offriva una pipa ben carica di
    tabacco e Harbert uno zolfanello acceso.  Non riuscì ad articolare una
    parola;  ma,  ghermita la pipa,  se la cacciò in bocca,  poi, preso lo
    zolfanello, aspirò, una dietro l'altra,  cinque o sei boccate di fumo.
    Una nuvoletta azzurrina e profumata si levava dalla pipa,  e da questa
    nuvoletta uscì una voce rauca e delirante che mormorava strozzata:
    - Del tabacco! Del vero tabacco!
    - Sì, Pencroff; e del tabacco abbastanza buono.
    - Oh,  Provvidenza divina!  Oh,  divino Autore d'ogni cosa!  Che  cosa
    manca mai, ora, in questa nostra isola benedetta?
    E  Pencroff  fumava,  fumava fumava.  Poi volle sapere chi aveva fatto
    quella scoperta e quando seppe che era stato Spilett se lo strinse tra
    le braccia, sul largo petto, e il giornalista non aveva mai immaginato
    che si potesse essere stretti così...
    - Sì,  Pencroff - disse Spilett  quando  riuscì  a  divincolarsi  e  a
    riprendere la sua respirazione normale.  - L'ho scoperto io. Ma dovete
    essere riconoscente anche ad Harbert perché è lui che ha  riconosciuto
    questa  pianta,  e anche a Cyrus,  perché è lui che l'ha preparata;  e
    anche a Nab,  perché ha durato tanta fatica a  conservare  il  segreto
    fino a oggi...
    -  Amici miei - esclamò il marinaio,  - un giorno vi dimostrerò la mia
    gratitudine. Ormai, è per la vita e per la morte!

    Il 25 agosto, Nab chiamò a gran voce i compagni.
    - Signor padrone, signor Spilett, signor Harbert, Pencroff! Venite!
    I coloni,  che  si  trovavano  riuniti  nella  sala,  accorsero  nella
    stanzetta di Jup, dalla quale veniva quell'appello.
    - Che succede? - chiese il giornalista.
    - Guardate! - esclamò Nab, scoppiando a ridere.
    Guardarono. Jup stava fumando tranquillamente una pipa appoggiato alla
    porta del Palazzo.
    -  La mia pipa!  - urlò Pencroff.  - Ha preso la mia pipa!  Mio ottimo
    Jup, te la regalo, e fumaci tutto il tabacco che vuoi!
    Jup lanciava gravemente delle grosse nuvole di fumo e  pareva  che  ne
    godesse immensamente.  Da quel giorno, mastro Jup ebbe la sua pipa, la
    sua pipa personale,  quella che  era  stata  del  marinaio;  e  gliela
    appesero sopra la sua cuccetta,  nella sua stanzetta,  insieme con una
    buona provvista di tabacco. Aveva imparato a caricarla,  ad accenderla
    con un pezzo di carbone, e Pencroff ne era sempre più estasiato.
    - Sai - disse un giorno a Nab,  - e se fosse un uomo? Che cosa diresti
    se un bel momento si mettesse a parlare?
    - Io non mi stupirei - gli rispose il negro.  - Mi stupisce  piuttosto
    che non parli.
    -  Sai  che  emozione  se  lo sentissi dire: «Ehi,  mio buon Pencroff,
    vogliamo scambiare le nostre pipe?».
    - Proprio peccato che sia muto sin dalla nascita!

(http://www.fucine.com/archivio/fm24/images/gai-15.jpg)
Titolo: autori con...
Inserito da: coureur-des-bois - 17 Marzo 2006, 21:39:28
Siamo sempre sul bozzettistico toscano, ma questo è di un mio concittadino. Libro raro e di recente ristampato in anastatica:
Giovanni Ugolini- Benvenuto, storie di caccia- Sansepolcro 2005.

Bista, che si era seduto su di un masso, domandò a Benvenuto se non sentisse freddo.
Questi intanto aveva acceso la pipa, una pipetta di radica dalla cannuccia ricurva, e sedutosi sui calcagni, dopo essersi legato il guinzaglio dei cani ad una gamba, mandava certe nuvole di fumo che si sentivano puzzare un miglio lontano. Un sorriso scosse la sua larga bocca, e senza smettere di fumare rispose:......
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Marzo 2006, 13:31:10
Fucini Renato

Fucini assunse lo pseudonimo-anagramma di Neri Tanfucio, di professione muratore. Negli anni successivi ottenne prima un posto come insegnante e poi come ispettore scolastico, un incarico che gli permise di vagabondare per quei paesetti della Toscana che tanto amava e dai quali traeva ispirazione per i suoi bozzetti di vita campagnola.La pipa è amata e protagonista in quasi tutte le sue macchiette,come fù fedele compagna nella sua vita.

Le veglie di Neri


Il Matto delle Giuncaie

«Ah, sì ha ragione! c'è quelle donne; eppoi a quest'ora, verso le Svolte, troverà il Matto di certo.»
Una mezz'ora dopo, aiutandomi col forcino  a sfondare le foglie di copripentole e quei viluppi foltissimi di alghe d'ogni genere che nell'estate permettono appena la navigazione negli stretti fossi del padule, avevo già vuotato sul pagliòlo  una dozzina di libbre di pesce fra lucci, tinche e anguille, quando, non sapendo dove trovare chi mi indicasse il canale traverso, mi alzai in piedi per vedere se potevo scorgere anima viva da domandarglielo...
«Che ci ha una pipata di tabacco?»
A quella voce che si partiva da un folto cespuglio di salci, mi scossi quasi impaurito e, voltomi indietro, vidi una figura semiselvaggia che, mostrandomi una pipa spenta, aspettava la mia risposta.
«Tabacco non ne ho», risposi. «Se vuoi un sigaro...».
«E allora lo ringrazierò. Lo butti, lo butti.»
«Non vorrei che andasse nell'acqua.»
«O aspetti, veh.»
Così dicendo si alzò e reggendosi con la destra ad un ramo, si spenzolò tenendo nella sinistra il cappello, e:
«Lo butti, lo butti qui; se va nell'acqua lo ripiglio io».
Tirai il sigaro nel suo cappello; lo prese e mi ringraziò di nuovo, mettendosi subito a stritolarlo nella pipa.



La pipa di Batone

Lo scoppio d'una tempesta di grida e di tonfi sulla tavola, che partiva da un gruppo di quattro allegri giovinotti, l'uno figlio di Batone e gli altri amici di casa, era la chiusa obbligatoria d'ogni partita di calabresella; ma questa volta il baccano fu tanto forte che il vecchio Batone, mezzo addormentato nel canto del fuoco, fece un tale scossone che, battendo la nuca nella mensola della cappa, gli cadde la pipa che gli ciondolava dalla bocca, andando a rompersi in cento pezzi sul piano del focolare.
«Eh! maledetto voi altri e la vostra calabresella!», gridò Batone, buttandosi carponi a raccattare i frammenti della pipa; ma la sua imprecazione restò affogata sotto un nembo di:
«Tutte nostre, se buttavi l'asso quando ti ci ho chiamato!».
«E della napoletana a còri che te ne volevi fare?»
«Te, piuttosto...»
«Ha ragione lui!»
«Nossignore, perché quando gli ho calato l'asso terzo...»
«Ma allora mi ci dovevi battere!»
«Sì, sì!»
«No, no!»
E giù, un altro diluvio di tonfi, urli e imprecazioni più grosso del primo.
«Benedetto voi altri e le vostre gole intremotate! Vi volete chetare, sì o no? Ecco, guardate che bel sugo!», esclamò la Carlotta, nuora del vecchio Batone. «Questa povera creaturina dormiva che era un amore, e ora sentite che bella musica! E ninna e ninna e nanna...» E così canterellando si mise a cullare sulle ginocchia una bella bambocciona grassa e fresca come una rosa, la quale sbertucciandosi lo scuffiotto di lana gialla univa i suoi strilli alle grida dei giocatori, formando un casa del diavolo da sgomentare un campanaro di professione.
Finalmente si chetarono, ma dopo avere esaurito affatto la questione durante la quale ognuno aveva detto o creduto di dire un sacco d'eccellenti ragioni, lasciando però nella mente dei compagni precisamente il tempo che vi avevan trovato.
«O di che cercate costì nella cenere, babbo?», domandò Cencio che nel voltarsi aveva visto il vecchio razzolare a capo basso, inginocchiato sul sodo del camino.
«Di che cerco, eh?», rispose Batone, fra il desolato e lo stizzito, «di che cerco, eh? Eran diciott'anni che ci fumavo!»
«Vi s'è rotta la pipa! o come mai?», domandò uno degli amici.
«Diciott'anni!», brontolò Batone con un sospiro; «grumata che era una delizia!»
«Povero nonno! o com'è andata?», domandò anche la Carlotta, sospendendo la sua ninna-nanna.
«Com'è andata! È andata che se vi si seccasse la gola a quanti siete, non sarebbe il vostro avere... Eh, sie! Il pezzo più grosso eccolo qui! Va' all'inferno anche te!» E con un calcio mandò nel fuoco gli avanzi della pipa e si rincantucciò di nuovo taciturno nel fondo della sua panca.
La bambina aveva ripreso sonno, la ninna-nanna era cessata, ed al rumore di pochi momenti fa era succeduto un profondo silenzio. I quattro giovani si guardavano fra loro, guardavano il vecchio e quindi la Carlotta, quasi interrogandola con lo sguardo sulla catastrofe della pipa. Alle quali mute interrogazioni la Carlotta rispondeva con un movimento della testa e degli occhi che voleva dire:
«Non ne so nulla nemmen'io; stiamo zitti, se no si fa troppo dispiacere a questo pover'omo».
Tutti tacquero per alcuni altri momenti, e Batone mandò fuori a breve intervallo due lunghi sospiri, dopo i quali, quasi rispondendo a una domanda del suo pensiero, esclamò con tristezza:
«Se ci ero affezionato!». Eppoi rivolgendosi agli amici: «Vedete, giovinotti; se mi fosse cascato un tegolo sulla testa, sarei crepato, sì, ma avrei patito meno».
«Eh, lo capisco!»
«Io mi metto ne' vostri piedi.»
«Anch'io.»
«Figuratevi io!», rispondevano uno dopo l'altro i quattro giovani che, sentendo un certo solletico di riso, avevano però nel fondo dell'animo una certa compassione del vecchio, perché fino da bambini erano avvezzi ad amare quella mite e robusta natura di popolano, e perché, correndo col pensiero alla pipa che tutti avevano in bocca, comprendevano abbastanza il suo dolore.
«Non vi starò a dire, perché tutti fumate e ve lo figurerete», riprese Batone, «se in una pipa di diciott'anni ci si fuma bene! Ma quello che più di tutto m'addolora è di dover dire addio a un oggetto che mi rammentava troppe cose... troppe! La comprai l'anno della piena, e la rinnovai per l'appunto quella mattina... 'Gnamo, 'gnamo, guardate dove mi fate entrare; Noe, noe, via, lasciatemi stare; accidenti alla calabresella, a chi l'ha inventata e a' vostri urlacci dannati!»
«Giù, giù, Batone, raccontate, raccontate!», chiesero ad un tempo i tre amici.
«Che volete che vi racconti, ragazzi miei? Son vecchio, ecco quello che vi posso raccontare; son vecchio, e non son più bono a nulla. Ma quand'ero ne' mi' cenci... Un gigante non son mai stato, si vede ancora; ma con queste braccia che ora paion du' ossi vestiti di pelle, ho fatto qualche cosa anch'io, e a que' giorni, omo per omo, ve lo giuro sul capo di quella creatura, a Batone, non gli ha fatto mai paura nessuno, mai! Prepotenze no; ma mosche sul naso, per grazia di Dio e del mi' fegato, mi ce ne son lasciate posar sempre poche, ma poche davvero. E dite pure che quando voi altri sarete arrivati a fare la metà di quel che ho fatto io... Basta; ho fatto quello che ho potuto, e quel che ho fatto, Dio mi vede nel core, l'ho fatto sempre a bòn fine, e per aver voluto bene a tanti, che poi se m'hanno potuto far del male, se ne sono ingegnati». Si guardò le braccia, scosse la testa sorridendo malinconicamente, e con voce stanca continuò: «Mòio povero, ma se non mi fosse toccato altro, di questo me ne vanto, all'età di settant'anni sonati che mi trovo sul groppone, posso portare il cappello alto e dimolto; e tanti signori, ma proprio di quelli di garbo, quando m'incontrano per la strada non hanno scrupolo né punto né poco a fermarmi e a stringer la mano, come dicon loro, al vecchio galantòmo».
I quattro giovani a poco a poco si erano tirati con le seggiole intorno al focolare, fissando in silenzio con aria mista di curiosità e di trista compiacenza, l'abbronzata faccia del vecchio, ne' cui occhi, allorché riandava i tempi passati, guizzava agile e fiera un'ultima scintilla di fuoco giovanile. Ed anche la Carlotta, che dopo aver posata la bambina nella culla si era accostata al camino per mettere una palettata di fuoco nello scaldino, sentendo le ultime parole del vecchio, partecipò all'attenzione degli uomini, adagio adagio si pose a sedere sull'altra panca del camino, facendo macchinalmente la calza, e guardò il vecchio silenziosa ed attenta.
Batone, che aveva alquanto rallegrata la faccia rammentando gli anni della sua robustezza, ritornò cupo ad un tratto, e dopo esser rimasto alcuni momenti con la testa fra le mani, triste e silenzioso come coloro che si preparavano ad ascoltarlo, alzò la faccia sgomenta, e fissando lo sguardo sopra una seggiola disoccupata che era rimasta in un canto della stanza, parlò:
«L'Agnese voi altri l'avete conosciuta tutti».
«Se l'abbiamo conosciuta!»
«Era una buona creatura; ma si vede che era nata sotto cattiva luna. E su' primi tempi era stata anche fortunata. Sposò quel maniscalco, Giacinto delle Morette, che poi gli morì tisico: ma quando lo prese aveva fior di quattrini, salute da vendere e la bottega sempre piena, perché ferrava che, come lui, bisognava girare dimolte miglia eppoi fermarsi lì. E che bella sposa s'era fatta!»
«Bella!», disse Tonio.
«E che belle creature che aveva!», osservò la Carlotta.
«Povera figliola! era destinato che non se le dovesse godere», continuò Batone. «E quel che è vero bisogna dirlo, che per la su' bimbina maggiore ci aveva un gran debole; e si vede che Gesù benedetto la volle visitare, perché sul più bello, quando se la teneva come una reliquia, perché cominciava già a saper leggere quasi come il sor Annibale e a mettere in carta anche una lettera, la bolla gliela portò via come uno ruberebbe la pisside di sull'altare.»
Una zanzara s'era posata sulla fronte della piccina, la quale senza destarsi, alzò una manina e si percosse dove sentiva pinzare. E siccome la Carlotta si voltò a guardarla riscotendosi come se una vipera le fosse passata tra i piedi, Batone le disse:
«Dio voglia che tutti i su' mali somiglino a quello che gli ha fatto quell'animale».
«Dio lo voglia!», rispose la Carlotta, e si chinò sulla culla a respirare il fiato della sua creatura.
«Dunque, già», riprese Batone, «quella bambina gli morì... gli morì com'essere alle nove e mezzo di stamattina... Che giornata fu quella, ragazzi miei! voi altri eri a lavorare foravia e non ve lo potete mai figurare... Gli morì alle nove e mezzo, come dicevo, si messe subito a pulirsela e a vestirsela da sé, che Dio guardi a avergli detto: "Lasciate fare a noi"; alle due aveva finito d'accomodarla co' su' fiori del su' orto e ogni cosa, e mezzo minuto dopo la raccattavano giù nel mezzo di strada con la testa fracassata, che venne di sotto in un àmmenne a capo fitto a sbacchiare sulla breccia stesa d'allora. Il Signore abbia misericordia dell'anima sua!»
Batone tacque; nessuno degli ascoltatori disse parola, perché ognuno conosceva l'accaduto; soltanto si voltarono tutti in un tempo verso la porta contro la quale una folata di scirocco frustava la pioggia che veniva giù a torrenti. Si voltò anche Batone, e dopo aver dato un'occhiata alla solita seggiola:
«Era una serata come questa», proseguì. «Eccola laggiù! mi par d'averla sempre davanti agli occhi, Cencio, la mi' Rosa, la tu' povera mamma. Pareva che da un momento all'altro ci dovesse cascare la casa addosso... un vento! un'acqua! un buio!... Lei era lì in un cantuccio su quella seggiola laggiù colla spalliera troncata, che fra uno sbadiglio e l'altro dava de' punti alle toppe del mi' pastrano vecchio, e a ogni ventata più forte si scoteva e mi guardava e mi diceva: "Batone, o che sarà di noi? Dio ce la mandi bona! senti l'Arno come muglia! ho paura" E aveva ragione, poverina, perché in tempo che si discorreva aveva già strappato in du' posti e aveva già portato via la capanna di Natalino e tutte le cataste del sor Ippolito, che ci perse quasi più di trecento monete. "Lascia piovere, lascia", gli dissi; "siamo a mezzo novembre, e se non si sfoga ora sarà peggio poi. Piuttosto, guarda, mi viene in mente una cosa: se invece di rassettare cotesta calìa tu volessi ripigliar du' maglie alla bilancia, domattina di levata vorre' andar a far du' cale a bocca di rio per vedere se mi riesce buscare un par di paoli...". Allora c'era i paoli.
Si alzò, povera donna, prese la bilancia, si messe a riguardarla, e quando io che m'ero appisolato qui nel canto mi svegliai e sentii sonare la mezzanotte, lei era sempre lì che taroccava perché la rete era tanto vecchia che per ogni maglia ripresa gli se ne strappava due. "Lascia andare, Rosa", gli dissi, "se hai rassettato le buche più grosse me n'avanza; basta che mi regga le lasche d'oncia: in quanto alla frittura minuta, se ne piglierà quando avrò qualche paolo da comprare una bilancia nova." E ci avviammo a letto.
La mattina andai. Per la strada mi fermai all'Appalto a comprare una crazia di tabacco e quella pipa... Arrivo sul puntone, do un'occhiata all'Arno: faceva paura! Monto la mi' bilancia, accendo la mi' pipetta, e tutto contento mi metto a calare lì dalla farnia vecchia dell'arginello.
Avevo già fatto quattro o se' cale quando mi parve... Dio del cielo! altro che parere! Sentii una vocina sottile sottile come d'una ragazzetta che urlava: "Aiuto, aiuto! aff... affogo!" , e mi vedo venir contro, lesto come una saetta, un fagotto bigio che si svoltolava nell'acqua. Lasciare la fune della bilancia, levarmi gli scarponi e la cacciatora fu un baleno e, giù... Aaah! l'acqua era troppo ghiaccia. Per un momento mi sentii tutto come rattrappito dal granchio e almanaccavo di qua e di là, tanto per tenermi a galla, ma senza quasi sapere quello che mi facessi; quando a un tratto risento: "Aiuto, aiuto!", e ti vedo forse a un mezzo tiro di schioppo lei, in mezzo a un rèmolo che se la frullava in tondo come una penna, e che urlava da schiantare il core: "Oh, moio! oh, moio! mamma, mamma, moio!". Batone, hai sangue nelle vene? Tiralo fòri fino all'ultima gocciola perché ora è tempo.
Mi sentii una vampata al cervello; tutto il freddo che m'intirizziva si mutò in un bollore che mi pareva di prender foco, e mi sentii tornare nelle braccia la forza d'un liofante. Notavo com'un pesce e in quattro palate gli fui addosso. Lei che s'accorse d'avermi vicino, ricominciò a urlare più disperata che mai: "Salvatemi, salvatemi", e si storceva e allungava le mani per agguantarmi...».
«Vergine santissima!», esclamò la Carlotta rabbrividendo. Gli uomini tacevano e guardavano fissi la faccia del vecchio.
Nel calore del racconto, Batone si era alzato dalla sua panca e, ritto nel fondo del camino, sulla cui parete affumicata campeggiava la sua bruna figura scabra e robusta come il tronco d'un vecchio cerro, con una mimica più eloquente della rozza parola, così proseguiva il suo racconto:
«Subito che gli fui sopra: "Ferma!" gli urlai... "Ferma, ti salvo... Se non mi lasci andare, s'affoga... Per carità... ahi! ma fai male... mi strozzi!". Chi gli avesse dato quella forza non lo so. Con un braccio mi si avviticchiò al collo tanto strinta che mi faceva schizzar gli occhi di testa, e con quell'altra mano mi s'agguantò alla barba e me la tirava da farmi vedere le stelle. Per fortuna avevo sempre le braccia libere e alla peggio mi tenevo a galla.
In questo tempo la corrente ci aveva ripresi e ci volava via come fulmini. Io con quanta forza avevo, lavoravo per staccarmela, ma non c'era verso; la staccavo da una parte e mi si riattaccava da quell'altra; mi levava l'unghie dalla barba, e me le ficcava nelle gote e ne' capelli... A un tratto m'avvedo che la corrente ci portava a sbacchiare nella sassaia delle grotte! "Dio eterno! ecco la mi' ora, son morto, son morto!" E nello stesso tempo, come se fossi entrato nel ritrécine d'un mulino, mi sento svoltolato e sbatacchiato giù attraverso alle palafitte... E quella a stringermi più che mai! Nell'abbaruffarci mi s'imbrogliarono anche le gambe fra le sottane e in un batter d'occhio mi sentii tirare a capo fitto nel fondo, come se m'avessero legato una màcina al collo».
«Dio del cielo! e voi, babbo?», domandò Cencio spaventato.
«La disperazione mi prese; non vi saprei dire bene quello che feci; ma ho un barlume d'idea che gli strappai i vestiti, la morsi, mi spellai le mani e la faccia nelle pietre... A un tratto eccoci daccapo a galla! "Lasciami!" Dio eterno... nulla! Ebbi appena tempo di ripigliar fiato e daccapo giù... Quello che mi passò per la testa in que' momenti, non lo pòl sapere altro che chi ci s'è ritrovato. Mi pareva di scoppiare; sentivo un buratto negli orecchi e un frizzore negli occhi e nel naso come se mi ci fosse entrato dello zolfo. Pensai alla mi' Rosa, al mi' Cencio, al mi' cane, alla mi' bilancia, al mi' orto... Dio, Dio! che momenti, che momenti son quelli! Volevo urlare aiuto anch'io, ma tutte le volte che mi provavo mi pareva che mi tirassero una martellata nel capo, e sentivo la morte che veniva... Faccio un ultimo sforzo per liberarmi da quelle tenaglie... Angioli del paradiso! sento le braccia di quella creatura che m'abbandonano cionche...»
«Era morta?!»
«...e mi scivola via e non me la sento più accanto! Cercai, annaspai colle mani e co' piedi, ma nulla! Allora poi cominciai a sentire che non resistevo più; le forze se n'andavano, la memoria m'abbandonava e, Dio mi perdoni, non pensai più a lei; cercai di tornare a galla e mi riescì, ma rovinato e sfinito com'un moribondo, raccomandandomi l'anima perché ormai m'ero fatto perso.
A un tratto mi sento strisciar roba sul petto, l'agguanto, era un vergone di vétrice della ripa. Comincio a tirarmi su con quel po' di fiato che mi dava la disperazione quando mi vedo rammulinare d'intorno un ciuffo di capelli. Dio onnipotente! era lei, lì, a fior d'acqua, accanto a me! Agguantarla, rammucchiare quel po' di sangue che mi restava e tirarmela dietro sulla ripa fu tutt'una... Quello che feci dopo non lo so. La sera verso le sette mi trovai in casa di Bagnolino delle Steccaie sopra uno strapunto vicino al foco, e lì mi resero ogni cosa: le mi' scarpe, la cacciatora, la bilancia e quella pipa, ché avevan ritrovato tutto sul puntone, e mi dissero che era viva anche lei.»
«Ah! ma dunque?...»
«Era viva anche lei, povera Agnese!...»
«Agnese!»
«Lei; proprio lei! Che bella carità gli feci a salvarla, eh? Ma Dio c'è per tutti e avrà pensato anche a quell'anima sconsolata!», disse Batone, e ritornò a sedere in fondo alla sua panca, brontolando: «Com'è finita male! com'è finita male! e non se lo meritava... Il destino, il destino!». E per alcuni minuti rimase immobile col capo alto appoggiato alla mensola a guardare le faville che si perdevano crepitando su per il buio della cappa.
In questo tempo la Carlotta, dietro un cenno di Cencio, s'era alzata camminando in punta di piedi, e dopo aver messo sulla tavola sei bicchieri e un fiasco di vino, era ritornata al suo posto.
Batone la guardò, e:
«Carlotta, accèndimi il lume; voglio andare a letto».
«No, no!», dissero tutti insieme. «Un momento, Batone, cinque minuti soli; si vòl bere un bicchier di vino alla vostra salute, e voi dovete bere con noi, se no ci fate torto.»
E gli si accostarono porgendogli ognuno il proprio bicchiere colmo.
Batone non voleva parere, ma era commosso, e ricusò di bere finché, vinto dalla affettuosa insistenza dei giovani, prese in mano un bicchiere, lo alzò per guardarne la limpidezza attraverso al lume, ma il suo braccio tremava e nel portarselo alla bocca se lo versò mezzo giù per la barba.
«Ah! lo vedete?», disse indispettito, «non sono più bono a nulla. Lasciatemi stare, lasciatemi stare, giovinotti.»
«È allegria, Batone, è allegria! alla vostra salute!», e bevvero battendo insieme i bicchieri.
«Sì, sì; voi altri chiamatela allegria, e io la chiamo vecchiaia. Carlotta, il lume.»
Lo prese e, accompagnato dagli sguardi de' suoi giovani amici, con passo vacillante si allontanò nel fondo della stanza, grattandosi il capo e brontolando: «Eran diciott'anni che ci fumavo... E anche lei è finita... Com'è finita male! com'è finita male!».

(http://www.liberliber.it/biblioteca/f/fucini/immagini/ritratto.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Marzo 2006, 13:03:37
Tolstoj Lev Nikolaevic

L'influenza di Tolstoj non solo come scrittore, ma come pensatore fù immensa. Comunità di "tolstoiani" si formarono allo scopo di vivere secondo i suoi precetti (ma saranno violentemente dispersi dopo la rivoluzione). In questo affresco sulle miserie della guerra la pipa rappresenta una breve parentesi di pace

I Racconti Di Sebastopoli

Un po' più in là si trova la grande piazza, sulla quale giacciono in disordine alcune travi di grosse dimensioni, supporti di cannoni, soldati immersi nel sonno; vi si trovano cavalli, carri, pezzi d'artiglieria verdi e casse di munizioni, cavalletti di fanteria; si muovono soldati, marinai, ufficiali, donne, bambini, mercanti; passano carri che trasportano fieno, sacchi e botti; qua e là passeranno un cosacco e un ufficiale a cavallo, un generale su una piccola carrozza. A destra la strada è cinta da una barricata, sulla quale, nelle feritoie, stanno ritti alcuni piccoli cannoni, e vicino ad essi siede un marinaio che fuma la pipa.
Forse incontrerete di nuovo, lungo questa trincea, una barella, un marinaio, dei soldati con badili, vedrete veicoli di mine, rifugi nel fango nei quali, chine, possono entrare solo due persone, e là vedrete i cosacchi esploratori dei battaglioni del Mar Nero, che vi si cambiano i calzari, mangiano, fumano la pipa, abitano.

Anzi, è molto probabile che l'ufficiale della marina, per vanagloria o semplicemente per togliersi una soddisfazione, vorrà sparare qualche colpo in vostra presenza. «Mandare l'artigliere e l'aiutante al cannone», e quattordici marinai, con sollecitudine, allegri, chi ficcandosi la pipa nella tasca, chi finendo di masticare una galletta, picchiettando con gli stivali ferrati sulla piattaforma, si recheranno al cannone e lo caricheranno.

All'uscita del padrone Nikita accese la pipa, chiese alla ragazza del padrone di casa di andare a prendere della vodka e, molto in fretta.

Vi trovò quattro soldati che fumavano la pipa, seduti su piccoli massi.
   «Che cosa fate qui?», gridò loro.
   «Stiamo portando via un ferito, vostra signoria, ci siamo seduti per riposarci un po'», rispose uno di essi, nascondendo la pipa dietro la schiena e togliendosi il cappello.

Ecco, l'audace soldato di fanteria, con la camicia rosa e il cappotto sulle spalle, accompagnato da altri soldati, che, mani dietro la schiena e volto allegro e curioso, stanno dietro di lui, si avvicina ad un francese e gli chiede del fuoco per accendersi la pipa.
   «Tabacco bun», dice il soldato con la camicia rosa, e gli spettatori sorridono.
   «Oui, bon tabac, tabac turc», dice il francese, «et chez vous tabac russe? Bon?».
   «Rus bun», dice il soldato con la camicia rosa, e alle sue parole i presenti scoppiano dalle risate. «Franse non è bun, bonžur, musjé», dice il soldato con la camicia rosa, esaurendo tutto il suo repertorio di conoscenze linguistiche, e dà colpetti in pancia al francese e ride. Anche i francesi ridono.
Tolstoj Lev Nikolaevic

L'influenza di Tolstoj non solo come scrittore, ma come pensatore fù immensa. Comunità di "tolstoiani" si formarono allo scopo di vivere secondo i suoi precetti (ma saranno violentemente dispersi dopo la rivoluzione). Resta tuttora uno degli autori più letti al mondo ,in questo affresco sulle miserie della guerra,la pipa significa un attimo molto breve di pace.

IRacconti Di Sebastopoli


Il soldato che passava scosse il capo pensieroso, fece uno schiocco con la lingua, poi prese la piccola pipa dal gambale, senza caricarla, grattò via il tabacco bruciato, accese un pezzettino di esca dal soldato che stava fumando e sollevò il berretto.
   «Non ci resta che Dio, signori! Addio!», disse e, dando uno scossone al sacco dietro la schiena, si incamminò per la strada.

L'attendente sedeva sotto il portico d'entrata e fumava la pipa. Andò a riferire al comandante del battaglione e introdusse Volodja nella camera. Qui, tra due finestre, sotto uno specchio rotto, stava un tavolo, riempito da carte dello stato, alcuni seggiolini ed una branda di ferro con lenzuola pulite e vicino un piccolo tappetino.

   «Dov'è il comandante del reggimento?», domandò Kozel'cov.
   «Nel rifugio, da quelli della marina, vostra signoria!», rispose il soldatino premuroso. «Prego, vi accompagno».
   Da una trincea all'altra il soldato condusse Kozel'cov al fossato di una trincea. Nel fossato sedeva un marinaio che fumava la pipa; dietro di lui si vedeva una porta, nella cui fessura si intravvedeva un lume acceso.
   «Si può entrare?»
   «Ora riferisco», e il marinaio oltrepassò la porta.
   Dietro la porta due voci parlavano. «Se la Prussia continuerà a restare neutrale», diceva una voce, «allora anche l'Austria...».
   «Ma che Austria», diceva l'altra, «quando i paesi slavi... su, prego».

   «Vlang, portatemi la mia pipa e riempitela», si rivolse allo junker, che subito corse con piacere a prendere la pipa. Kraut animò tutti, raccontò del bombardamento, domandò che cosa avessero fatto senza di lui, e chiacchierò con tutti.
               «Chiedete per voi Storno, Vladimir Semenyè», disse Vlang, tornato con la pipa di Kraut, «è un cavallo stupendo».

Volodja, invece, quando tutti i soldati si furono disposti lungo il muro sul pavimento, e alcuni ebbero acceso la pipa, piantò il proprio letto in un angolo, accese una candela e, dopo essersi acceso una sigaretta, si sdraiò sulla branda. Sopra il rifugio si udivano incessantemente gli spari, ma non molto rumorosi, a parte quelli di un cannone che era vicino e faceva tremare il rifugio in tal modo che dal soffitto cadeva la terra. Nel rifugio regnava il silenzio; solo i soldati, evitando ancora il nuovo ufficiale, di tanto in tanto si rivolgevano la parola, dicendosi di farsi da parte o chiedendo del fuoco per accendere la pipa; un topo raschiava da qualche parte fra le pietre.






(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/sk/8/84/LeoTolstoy.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Marzo 2006, 22:36:29
EDMONDO DE AMICIS

E anche se ormai il suo nome, nella mente di ogni lettore, è legato quasi esclusivamente al famigerato libro Cuore, De Amicis svolse anche una lunga e prolifica attività giornalistica, che lo portò ad analizzare con occhio attento e critico la realtà a lui contemporanea.
Una descrizione ed un'adorazione di pipe in bella mostra.

Costantinopoli

Per liberarsi da queste idee, non c’è che a svoltare nel bazar delle pipe. Qui l’immaginazione è ricondotta a desiderii più tranquilli. Sono fasci di cibuk di gelsomino, di ciliegio, d’acero e di rosaio; bocchini d’ambra gialla del mar Baltico, levigati e luccicanti come il cristallo, d’innumerevoli gradazioni di colore e di trasparenza, ornati di rubini e di diamanti; pipe di Cesarea, colla cannetta fasciata di fili d’oro e di seta; borse da tabacco del Libano, a losanghe di varii colori, rabescati di ricami splendenti; narghilè di cristallo di Boemia, d’acciaio e d’argento, di belle forme antiche, damaschinati, niellati, tempestati di pietre preziose, con tubi di marocchino scintillanti di dorature e d’anelli, fasciati nella bambagia, e perpetuamente custoditi da due occhi fissi, che all’avvicinarsi d’ogni curioso si dilatano come occhi di civetta, e fanno morir sulle labbra la richiesta del prezzo a chiunque non sia almeno vizir o pascià e non abbia dissanguato per qualche anno una provincia dell’Asia Minore. Qui non viene a comprare che il messo della Sultana che vuol dare un pegno di gratitudine al gran vizir arrendevole, o l’alto dignitario di Corte che, prendendo possesso della nuova carica, è costretto, per suo decoro, a spendere cinquanta mila lire in una rastrelliera di pipe; o l’ambasciatore del Sultano che vuol portare al Monarca europeo un ricordo splendido di Stambul. Il turco modesto dà uno sguardo malinconico e passa oltre, parafrasando, per consolarsi, la sentenza del Profeta: - il fuoco dell’inferno tuonerà come il muggito del cammello nel ventre di colui che fuma in una pipa d’oro o d’argento.

(http://www.educared.org.ar/guiadeletras/images/Edmundo_deamicis.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Marzo 2006, 22:51:14
Paolo Mantegazza

nacque a Monza nel 1831.
Studiò in un primo tempo a Milano, dove nel '48 partecipò alle Cinque Giornate. Seguì gli studi di medicina prima a Pisa, poi a Milano e quindi a Pavia. Una volta laureato viaggiò per l'Europa, poi nel 1854 si recò in Argentina dove esercitò la professione medica e dove si sposò.
Rientrato in Italia nel 1858, prestò dapprima servizio ospedaliero, e nel 1860, dopo un concorso per titoli ed esami, divenne ordinario di patologia generale presso l'Università di Pavia. Dieci anni dopo passò all'Istituto di Studi Superiori di Firenze come professore di antropologia, fondando il Museo antropologico-etnografico.
Nel 1865 fu eletto deputato al Parlamento e nel 1876 fu creato senatore del Regno.


Elogio della Vecchiaia

La pipa

Felice il vecchio, che non ha mai fumato e non invidia i fumatori; ma pur troppo gli amici del tabacco son molti, e tutta la popolosa schiera degli infelici, dei malcontenti, degli annoiati trova nella nicoziana un conforto, una sorgente feconda di piccole gioie.
Fra i fumatori, nessuno fuma meglio né con arte più epicurea del vecchio.
Se preferisce la pipa, ha per essa un culto, un'adorazione, che non si suole avere che per le cose più sante.
Nessuno l'ha a toccare fuori che lui, nessuno la deve ripulire e tener tersa e lucente fuor di lui.
La pipa è per lui quasi una creatura viva, appunto perché vive con lui, accompagnandone i pensieri, i ricordi, le voluttuose sonnolenze.
È anche per questo, che preferisce fumare nella solitudine della sua cameretta o della sua passeggiata.
Due quadri della vita umana ho veduto spesso, in apparenza molto diversi, in sostanza molto simili: una mamma che lava il proprio bambino, un vecchio che ripulisce la propria pipa.
E le mamme non gridino al sacrilegio, perché nel mondo dei viventi non v'ha fibra o cellula, che non si con leghi per nervi invisibili alle fibre e alle cellule le più lontane.
La mamma amorosa contempla il suo angioletto e lo ammira e ne segue con l'occhio e con la mano purificatrice i rosei contorni, palleggiandone le soavi rotondità, giuocherellando con le membra minute, che guizzano e saltellano nell'onda amica. È una tempesta di carezze e di baci che copre il ciangottar dell'acqua; è una profonda sensualità delle mani, che accarezzano, che palpano e direi quasi che parlano con le carni tenerelle e fresche. Carni belle e palpitanti di vita e che son carni della mamma, perché le ha fatte lei e le ricordano tutto un mondo di voluttà ardenti, di lunghi dolori, di lunghissime trepidazioni.
E il vecchio ha la sua pipa, che per quanto fragile, ha già dieci anni di vita vissuti senza ferite e senza accidenti, ma con molto onore; dacché le zone del tempo che fu vi hanno scritto la loro storia in tante ondette, che dal bianco dorato vanno fino al nero dell'ebano. Quanto fumo è passato attraverso i pori di quella lucidissima pietra e quante dolci meditazioni hanno accompagnato quel fumo! In quelle tinte di ambra, di magogano, di noce, il vecchio ripensa mille pensieri giocondi e le tante ore vissute senza dolore e senz'ira.
E quando la cava dal suo astuccio e la ripulisce cautamente, pazientemente, rispettando le carezze del tempo, ma levando ogni granello di cenere e passando e ripassando per il fornello, per il tubo e levigando l'ambra e rimettendola in assetto di guerra, prova un gran piacere, che ai non fumatori può sembrare puerile, ma ai veri artisti della nicoziana è tutto un poema.
Chi ha veduto nella buvette del Senato il generale Durando con la sua eterna pipetta di gesso in mano e l'ha seguito nelle amorose cure che le prestava, può intendere le infinite compiacenze del vecchio fumatore, i suoi tanti e lunghi colloqui con la sua cara compagna di schiuma o di gesso.
Anche per il sigaro il vecchio può aver moine e carezze, ma la poesia è molto minore, perché si rivolge a una creatura che vive un quarto d'ora.
Il sigaro è un amore di passaggio, la pipa è un'amante, anzi una moglie; ma una moglie rimasta sempre amante.
La mano alquanto tremula, che sfila un Virginia e vi passa e ripassa la fida paglia, che gli ha tenuto lunga compagnia, è una mano che gode.
La mano che taglia la punta di un biondo e nervoso Avana, è una mano felice, perché promette al vecchio epicureo sogni e profumi.
Ma Virginia e Avana sfumano fumando e di loro ahimé non rimane che un po' di cenere; mentre la pipa, dopo averci offerto l'olocausto del suo altare, rimane nel nostro taschino accanto al cuore; tiepida dell'ultimo fiato, promettitrice di altre gioie future, fino all'infinito.

(http://www.liberliber.it/biblioteca/m/mantegazza/immagini/ritratto.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Marzo 2006, 22:55:39
GIACOSA

COME LE FOGLIE

NENNELE seduta alla tavola del mezzo sta leggendo. TOMMY, a cavalcioni di una seggiola presso la finestra, fuma una pipa corta di legno all'inglese. GIOVANNI entra dalla comune.

GIOVANNI.

Nennele.

NENNELE.

Papà.

GIOVANNI.

Mi avevi domandato dei danari ieri sera, ti avevo pregato di ricordarmelo stamattina.

TOMMY.

Dovevo anche rinnovare la guardaroba? Bell'affare.
Torna a sedere presso la finestra.
Per lei e per me voglio un lavoro conforme....

MASSIMO.

A che cosa?

TOMMY.

Alle nostre attitudini.

MASSIMO.

Tu l'hai bell'e trovato. Una pipa inglese, del buon tabacco inglese, una seggiola presso la finestra e sei a posto.

NENNELE.

Non ti permetto di parlare così a mio fratello.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Marzo 2006, 23:22:40
Kipling, Rudyard (1865 - 1936),

Precursore della fantascienza moderna (con le sue storie che trattano di viaggi aerei, nuovi sistemi di comunicazione, guerre future), Kipling ha immaginato - nei suoi racconti fantastici - mondi sconosciuti che proiettano ombre inquietanti sulla nostra esistenza quotidiana. Nelle sue creazioni convivono Scienza e Magia, passato e futuro, sogno e Realtà, determinismo occidentale e fatalismo orientale.
Fumatore accanito,dai suoi racconti non si capisce bene che tabacco usasse,probabilmente un blend di Latakia
in quanto lo chiama,spesso, fumo nero,o nero di quello buono.


Racconti


Si trova tra il Vicolo del Calderaio e il quartiere dei venditori di cannucce da pipa, a non più di un centinaio di metri
in linea d'aria dalla Moschea di Wazir Khan. Non mi faccio scrupolo di fornire questi dettagli, anche perché sfido chiunque,
per quanto creda di conoscere la città, a trovare la Porta. Potreste anche attraversare cento volte il vicolo stesso su cui si
affaccia senza tuttavia riuscire ad orientarvi. Noi eravamo soliti chiamarlo "Il Vicolo del Fumo Nero", ma ovviamente il nome
originario è del tutto diverso. È talmente stretto che un asino imbastato non riuscirebbe a passare; e in un punto, proprio
prima della Porta, la facciata di una casa che sporge obbliga la gente a camminare a sghembo.


Alla fine della terza pipa i draghi iniziavano a muoversi e a lottare tra loro. Ho trascorso parecchie notti a guardarli.
Ero solito regolare il mio fumo su di loro, e ora ci vogliono dodici pipe per farli muovere. E poi sono tutti laceri e sporchi,
come le stuoie, e il vecchio Fung-Ching è morto. Morì un paio d'anni fa e mi lasciò la pipa che uso sempre ora... una pipa
d'argento, con strani animali che strisciano su e giù per il serbatoio sotto il fornello. Prima di questa usavo, credo, un grosso
cannello di bambù con un fornello di rame, molto piccolo, e un bocchino di giada verde. Era un po' più spesso di una canna
da passeggio, e il fumo veniva su dolce, molto dolce. Pareva che il bambù se lo succhiasse, il fumo. L'argento no, e devo
pulirlo di quando in quando, il che è un grosso fastidio; ma ci fumo lo stesso per amore del vecchio.

Il Fumo Nero non è più buono come una volta. Spesso ho trovato della crusca bruciata nella pipa. Il vecchio sarebbe morto
se ai suoi tempi fosse accaduta una cosa simile. Per di più la stanza non viene mai pulita, e tutte le stuoie sono lacere e
sfilacciate. La bara se n'è andata... è ritornata in Cina con dentro il vecchio e due once di fumo, in caso ne avesse bisogno durante il viaggio.

Uno di questi giorni spero di morire alla Porta. Il persiano e quello di Madras sono diventati molto deboli: hanno un
ragazzo che accende loro le pipe. Io continuo a farlo da solo. Molto probabilmente li porteranno via prima di me. Non credo,
però, di poter sopravvivere alla Memsahib o a Tsin-ling. Le donne durano di più degli uomini col Fumo Nero, e Tsin-ling ha
molto sangue del vecchio nelle vene, anche se fuma roba scadente. La donna del bazar seppe che stava per morire due
giorni prima che venisse il momento; e morì su una stuoia pulita con il guanciale ben imbottito, e il vecchio appese la sua
pipa proprio sopra il Joss. Credo che le abbia sempre voluto bene.

Mi piacerebbe morire come la donna del bazar - su una stuoia fresca, pulita, con una pipa di roba buona tra le
labbra. Quando sentirò giungere il momento, chiederò a Tsin-ling queste cose, e lui poi potrà riscuotere le mie sessanta rupie
mensili, fresche fresche, fin quando vorrà. Allora mi coricherò, comodo e tranquillo, a osservare i draghi neri e rossi
combattere la loro ultima, grande battaglia; e poi...




Quella sera Gisborne sedette in veranda sotto le stelle, a fumare e riflettere. Una voluta di fumo si levò dalla caldaia
della pipa e, mentre si dissolveva, egli si accorse della presenza di Mowgli, seduto con le braccia conserte al limite della
veranda. Un fantasma non sarebbe potuto apparire più silenziosamente. Gisborne trasalì e lasciò cadere la pipa.
"Non c'è nessuno con cui parlare, là fuori nel rukh", disse Mowgli; "così sono venuto qui". Raccolse la pipa e la
restituì a Gisborne.

Poi il tabacco della pipa un po'
sporca iniziò a ronzare, e lui la gettò via. Ora, a parte il respiro notturno del rukh, tutto taceva.

"Son tutte sciocchezze", brontolò Hobden, ma si caricò la pipa.
"La gente del Marsh lo chiama l'Esodo di Dymchurch", proseguì Tom lentamente. "Ne hai sentito parlare?"
"La mia donna me ne ha parlato centinaia di volte. Non so se finii per crederci anch'io... qualche volta".
Così dicendo Hobden attraversò la stanza e andò ad accendere la pipa alla fiamma gialla della lanterna. Tom
appoggiò il grosso gomito al grosso ginocchio, seduto sul mucchio di carbone.




(http://www.pbs.org/wgbh/masterpiece/railway/age/images/kipling.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 24 Marzo 2006, 23:44:06
savio, savio Giacosa
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Marzo 2006, 22:30:07
Conrad Joseph(1857-1924)

Il suo tema fondamentale è la solitudine dell'individuo, in balia dei ciechi colpi del caso di cui il mare è spesso eletto a simbolo. L'eroe solitario di Conrad è quasi sempre un fuggiasco o un reietto, segnato dalla sventura o dal rimorso, stretto parente dell'angelo caduto caro ai romantici, conquista la sua identità affrontando con stoicismo le prove che il destino gli ha riservato. La pipa è sempre una compagna,un unico momento di di pace


La Linea D'Ombra

Il signor Burns, che restava ancora a letto con quell'aria di segreta determinazione, aveva sempre da lamentarsi di qualcosa. I nostri colloqui erano affari di cinque minuti, ma piuttosto frequenti. Mi tuffavo continuamente sotto coperta alla ricerca di fuoco, anche se non consumavo molto tabacco in quel periodo, ma la pipa mi si spegneva sempre perché, in verità, non avevo la mente abbastanza tranquilla nemmeno per concedermi una fumata decente. Eppure, durante quasi tutte le ventiquattr'ore, avrei potuto accendere i fiammiferi sul ponte e tenerli accesi finché la fiamma non mi avesse bruciato le dita. Invece correvo sempre giù. Era un cambiamento. Era l'unico diversivo in quella tensione incessante; e, naturalmente, attraverso la porta aperta, il signor Burns ogni volta mi vedeva andare e venire.

Lord Jim

E peggio che veder affondare una nave. Potrei guardare le navi che affondano e fumare la pipa tutto il giorno. Perché non mi restituiscono la pipa? Farei una fumatina guardando questi rospi.


«Diede enfasi all'ultima parola abbassando improvvisamente la voce, e lentamente distolse gli occhi dal mio sguardo. Cominciò a caricare in silenzio e con grande concentrazione una pipa dalla lunga canna, quindi, tenendo fermo il pollice sull'apertura, rialzò gli occhi su di me con aria significativa.
   «"Sì, amico mio. Quel giorno avevo realizzato tutti i miei desideri; avevo dato una grande delusione al mio principale nemico; ero giovane e forte; avevo amici; avevo l'amore (che pronunciò come "amoore") di una donna e della mia bambina, e tutto ciò mi riempiva il cuore - e persino ciò che una volta avevo sognato la notte ora era fra le mie mani!".
   «Accese un fiammifero, che emise un vivo bagliore. La sua faccia placida e pensosa si contrasse in una smorfia.
   «"Amici, moglie, figli", disse lentamente fissando la fiammella - "pfuu!".

   «Mi ascoltò con attenzione fino alla fine, seduto con le gambe accavallate. A volte la sua testa spariva completamente in un grande sbuffo di fumo e da quella nuvola usciva un grugnito di simpatia. Quando finii, raddrizzò le gambe, depose la pipa e con aria di grande serietà si piegò verso di me, con i gomiti appoggiati sui braccioli della sedia e le punte delle dita riunite insieme

Ci giungevano anche le voci, meravigliose nella loro chiarezza distinta e immateriale. Jim sedette sul tronco di un albero abbattuto, e tirata fuori la pipa cominciò a fumare. Si vedevano erba e cespugli nuovi che stavano spuntando, mentre sotto una massa di rovi si scorgevano tracce di scavi. "È cominciato tutto da qui", disse dopo una lunga e silenziosa riflessione. Sull'altra collina, separata da duecento metri di tenebroso precipizio, vidi la linea di un alto steccato annerito e qua e là abbattuto - i resti dell'imprendibile campo di Sherif Ali.
   «E tuttavia erano riusciti ad espugnarlo. L'idea era stata sua. Aveva fatto montare tutta la vecchia artiglieria di Doramin sulla cima di quella collina; due arrugginiti cannoni di ferro da sette libbre, e parecchi cannoncini di ottone - di quelli che ora sono trasformati in moneta, che però, benché rappresentino ricchezza, sono anche in grado, se caricate scrupolosamente fino alla bocca, di mandare solidi proiettili a una certa distanza. Il problema era come farli arrivare fin lassù. Mi mostrò dove aveva assicurato i cavi, mi spiegò come aveva preparato un improvvisato argano con un tronco vuoto infilato in un palo appuntito, mi indicò col fornello della pipa la linea dello scavo.

Cuore Di Tenebra

Io fumavo tranquillamente la pipa vicino al mio battello in disarmo, e li vedevo da lontano far le capriole fra i bagliori, con le braccia in aria, quando, a rotta di collo, arrivò al fiume l'uomo robusto dai baffi neri, con un secchio di latta in mano. Dopo avermi assicurato che "tutti si comportavano magnificamente, magnificamente", attinse un paio di litri d'acqua e ripartì correndo. Notai che nel fondo del secchio c'era un buco.

Assurdo, dice? Va bene, assurdo. Signore Iddio! Un uomo non deve mai... Basta, datemi del tabacco.»
   Ci fu una pausa di profonda quiete, poi, alla luce di un fiammifero, apparve il magro volto di Marlow, consunto, svuotato, le pieghe cascanti, le palpebre abbassate, l'aria attenta e concentrata; e mentre dava vigorose tirate alla sua pipa, nello sfavillio regolare di quella piccola fiamma, sembrava emergere dalla notte per poi sprofondarvi. Il fiammifero si spense.

Agitò il braccio e in un batter d'occhio si trovò sprofondato nell'abisso dello scoraggiamento. D'un balzo però ne riemerse, si impossessò delle mie mani e senza smettere di stringerle, farfugliò: "Fratello marinaio... che onore... piacere... gioia... mi presento... russo... figlio di un arciprete... patriarcato di Tambov... Cosa! Del tabacco? Del tabacco inglese? L'eccellente tabacco inglese! Ah, questo sì che è da fratello. Se fumo? E qual è il marinaio che non fuma?"
   «La pipa lo sedò, e poco a poco colsi che era scappato da scuola, si era imbarcato su una nave russa, era scappato di nuovo, aveva servito per un po' su delle navi inglesi e poi si era riconciliato con l'arciprete. Attribuiva grande importanza a questo fatto

(http://www.erbzine.com/mag12/conrad.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 29 Marzo 2006, 23:42:34
Alexander Puskin1799-1837
Nei suoi scritti mise a fuoco lo "spirito russo"fu ucciso in duello da uno dei tanti amanti  della moglie ,aveva un carattere scorbutico e la pipa gli si spengeva sempre.


LA FIGLIA DEL CAPITANO


Annoiatomi di guardare dalla finestra nel sudicio vicolo, me n'andai vagando per tutte le stanze. Entrato nella sala del biliardo, vidi un signore alto, sui trentacinque anni, dai lunghi baffi neri, in veste da camera, con la stecca in mano e la pipa tra i denti. Giocava col pallaio, il quale a ogni vincita beveva un bicchierino di vodka, e a ogni perdita doveva ficcarsi carponi sotto il biliardo. Presi a guardare il loro giuoco. Più a lungo durava, più le gite carponi si facevano frequenti, finché in ultimo il pallaio restò sotto il biliardo.


Tutte le opinioni si mostrarono contrarie alla mia. Tutti i funzionari parlavano di poca sicurezza delle truppe, d'incertezza di riuscita, di prudenza e simili cose. Tutti opinavano che fosse più savio restare sotto la protezione dei cannoni, dietro un solido muro di pietra, che non in campo aperto tentare la sorte delle armi. Infine il generale, sentiti tutti i pareri, scosse la cenere dalla pipa, e pronunciò il seguente discorso:
- Signori miei! debbo dichiararvi che per parte mia concordo pienamente con l'opinione del signor alfiere: perché tale opinione è fondata su tutte le norme di una sana tattica, che quasi sempre preferisce le mosse offensive a quelle difensive.
Qui egli si fermò e prese a riempire la sua pipa. Il mio amor proprio trionfava. Guardai orgogliosamente i funzionari, che bisbigliavano tra loro con aria di malcontento e d'inquietudine.
- Ma, signori miei, - egli continuò, emettendo, insieme con un profondo sospiro, uno spesso getto di fumo di tabacco, - io non oso prendere su di me una così grande responsabilità, quando si tratta della sicurezza delle province a me affidate da sua maestà imperiale, la mia graziosissima sovrana. E così, son d'accordo con la maggioranza dei pareri, la quale ha deciso esser più di tutto saggio e meno rischioso aspettare l'assedio dentro la città, e respingere l'assalto del nemico con la forza dell'artiglieria e (ove riesca possibile) con sortite.
I funzionari a loro volta con aria canzonatoria guardarono me. Il consiglio si sciolse. Non potei non rimpiangere la debolezza del venerando guerriero che, a dispetto della propria convinzione, si era deciso a seguire le opinioni di uomini ignoranti e inesperti.


Il generale andava avanti e indietro per la stanza fumando la sua pipa di schiuma. Vedendomi, si fermò. Probabilmente il mio aspetto lo colpì: si informò premurosamente sulla ragione della mia frettolosa venuta.

(http://home.arcor.de/berick/illeguan/images/puskin.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 30 Marzo 2006, 00:26:39
Ancora frammenti:

Agatha Christie

Non c’è Più Scampo

«Ditemi, dottor Reilly, qual è, sinceramente, la vostra esatta opinione sulla signora Leidner?»
Il dottor Reilly si appoggiò alla spalliera della poltrona e trasse una lunga boccata di fumo dalla sua pipa.
«Sinceramente. Era intelligente, simpatica... diciamo pure piena di fascino. Non aveva alcun vizio antipatico, non era pigra e neppure vana, in fondo. L'ho sempre giudicata invece (non ne ho prove!) una perfetta mentitrice.
Lui girò il capo e mi vide. Si tolse la pipa di bocca, e disse:
«Oh, signorina! Siete tornata da Hassanié?»
«Sì, signor Carey. Ancora al lavoro? Gli altri si son coricati presto, a quanto pare.»



Victor Hugo


I Miserabili

Fumava in una gran pipa, indossava un camiciotto e, sotto, un vecchio abito nero; aveva qualche pretesa letteraria e materialistica, e v'erano nomi ch'egli pronunciava spesso, in appoggio delle cose che andava dicendo, come Voltaire, Raynal, Parny e, bizzarra cosa, sant'Agostino; oltre a ciò, affermava d'avere un «sistema».

Quell'esserino è giocondo. Non mangia tutti i giorni e va a teatro, se gli garba, ogni sera. Non ha la camicia indosso, non ha scarpe ai piedi né un tetto sul capo, è come le mosche del cielo, che non hanno nulla di tutto ciò. Ha da sette a tredici anni, vive in gruppi, va a zonzo, dimora all'aria aperta, porta un vecchio paio di calzoni di papà, che gli scendono sotto i talloni, un vecchio cappello di qualche altro papà, che gli ricopre le orecchie, una sola bretella di stoffa gialla, corre, spia, cerca, perde il tempo, fuma la pipa come un turco, bestemmia come un dannato, frequenta la taverna, è amico dei ladri, dà del tu alle sgualdrine, parla in gergo, canta canzoni oscene e non ha nulla di cattivo nel cuore. Gli è ch'egli ha nell'anima una perla, l'innocenza, e le perle non si sciolgono nel fango. Finché l'uomo è fanciullo, Dio vuole che sia innocente.

Fumava la pipa. Non v'era più pane nello stambugio, ma v'era ancora tabacco. Stava scrivendo, probabilmente, una lettera come quelle che Mario aveva letto.

Jondrette aveva lasciato spegner la pipa, grave segno di preoccupazione, ed era tornato a sedersi. La candela faceva risaltare i lineamenti selvaggi e fini del suo volto; aveva un aggrottar di ciglia e un brusco allargar della mano, come rispondesse agli ultimi consigli d'un sinistro monologo interiore. In una di quelle oscure risposte che dava a se stesso, aperse con vivacità il cassetto della tavola e ne trasse un lungo coltello da cucina, provandone il filo sull'unghia. Ciò fatto rimise il coltello nel cassetto, che richiuse con impeto.
Mario, da parte sua, afferrò la pistola del suo taschino destro e, toltala di là, l'armò. Il grilletto, nell'armarsi, emise un lieve suono limpido e secco.


Jack London

IlVagabondo delle Stelle

Ma la forza delle onde rendeva impossibile l'attracco; e dopo parecchi tentativi, i marinai che la governavano mi fecero segno che dovevano ritornare a bordo.
Potete immaginarvi la mia disperazione! Afferrai il mio remo (che avevo deciso di offrire al Museo di Filadelfia, se mi fossi salvato) e mi buttai in acqua. La mia buona stella e la mia abilità, con la protezione di Dio, fecero sì che riuscissi a raggiungere l'imbarcazione.
Dopo mezz'ora ero a bordo, di nuovo tra i miei simili...
Il mio primo impulso fu di lasciarmi andare a una delle mie più irresistibili passioni. Immediatamente, al secondo ufficiale, domandai un pezzo di tabacco da masticare, di quel tabacco che sognavo da otto anni. Mi porse la sua pipa, carica di ottimo tabacco di Virginia.
Cominciai a fumare. Ma dopo cinque minuti soltanto, la testa cominciò a girarmi, e mi sentii svenire. Non c'era da stupirsene.
Il mio organismo si era totalmente purificato del fatale veleno, il quale ora agiva in me come fa di solito con un ragazzo alla prima fumata.


Hoffman


Racconti

Io e le mie sorelle, eccettuato il tempo di pranzo, vedevamo molto poco nostro padre durante il giorno. Egli doveva essere molto occupato con il suo impiego. Dopo la cena, che secondo l'uso antico era alle sette, andavamo tutti con la mamma nella stanza di lavoro del babbo e ci sedevamo intorno a una tavola rotonda. Il babbo fumava e poi si beveva un grosso bicchiere di birra. Spesso ci raccontava storie meravigliose e si accalorava tanto, che nel raccontare gli cadeva giù la pipa e io dovevo sempre riattaccarvi il fuoco con della carta accesa, ciò che per me costituiva ogni volta un divertimento di prim'ordine. Ma spesso ci dava anche in mano libri illustrati e se ne stava muto e rigido nella sua poltrona, soffiando intorno a sé nuvole di fumo così dense, che noi sembravamo nuotare nella nebbia. La mamma era molto triste in sere così e l'orologio batteva appena le nove, che ci diceva: "Via, bambini, a letto, a letto!

"Su, ormai ci conviene rinunciare al sonno: fumiamoci una buona pipa, che si porterà via queste due orette che ci rimangono di notte e di buio!".
Così dicendo prese dall'armadio una pipa d'argilla, la caricò, canticchiando una canzonetta, con lentezza metodica: poi andò cercando tra le molte carte, finché trovò un foglietto, che arrotolò e con quello accese. Soffiando via davanti a sé le dense nuvole di fumo, disse tra i denti:

Indossò la veste da camera, accese la pipa, si sistemò nella sua poltrona e si mise a parlarmi della caccia del giorno precedente deridendo la mia goffaggine e i miei colpi mancati.
Senti me, cugino, - disse il vecchio, mentre andava vuotando la pipa contro il camino, - è proprio una bella cosa che non ti sia successa nessuna disgrazia con il lupo prima e poi con il fucile carico!".
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Aprile 2006, 00:31:17
Michael Swanwick
Per chi ama il genere ,fantastico,fantasy,fantascienza,questo è         un libro da leggere assolutamente ,anche se può sembrare strano il brano che segue

Domani Il Mondo Cambierà

Vincitore del premio Nebula 1991 assegnato dall'Associazione degli Scrittori Americani di Fantascienza (SFWA), Domani il mondo cambierà è un romanzo affascinante e ricco d'azione, ma che si presta a molte letture.



Tre uomini sedevano attorno al fuoco.
La notte era fredda. Il burocra­te fumava hashish nero tagliato con anfetamina affinché l'effetto non risultasse troppo soporifero. Gregorian gli teneva la pipa fra le labbra, esortandolo a inspirare profondamente e a tenere il fumo nei polmoni più a lungo possibile. Il fumo fece ronzare il cervello del burocrate. I suoi piedi erano in­credibilmente distanti, ad almeno un giorno di cammino lungo l'au­tostrada delle sue gambe. Pur es­sendo ormai arenato sulla monta­gna, per quanto strano potesse ap­parire, si sentiva incredibilmente calmo e attento, sintonizzato al te­legrafo celestiale in contatto diret­to con l'antica saggezza sepolta al­la base del suo cranio. Perse un at­timo il contatto con la realtà ester­na, tuffandosi nelle profondità delle caverne sottomarine della percezione come una nave pirata in cerca di bottino. Espirò. Oceani di fumo si liberarono nel mondo.
Ormai la neve aveva smesso da parecchio.
Gregorian finì la pipa, svuotò la brace battendo il fornello sul tac­co di uno stivale, quindi pulì lo strumento con cura meticolosa.



Alice Sebold



Amabili Resti


La mente gli si affollò di cose senza senso: il rumore della gomma dura dei pattini sul marciapiede, l'odore di tabacco della pipa di suo padre, il sorriso di Abigail quando si erano conosciuti, una luce che aveva trafitto il suo cuore confuso... Poi la torcia si spense e tutto divenne buio e uguale.
Fece qualche passo, poi si fermò.
«Lo so che sei lì» disse.




Anne Rice
(La creatrice di Lestat,quello di Intervista col vampiro)
forse lei centra poco con le pipe,ma non sono tanto sicuro.


IL SIGNORE DI RAMPLING GATE


- Come posso dimenticarmene? - disse Richard. - Come potrei? Fu una cosa così bizzarra; non in carattere con nostro padre, per di più. - Si appoggiò all'indietro, succhiando lentamente la pipa. - C'era stato quello strano incidente a Victoria Station, quando aveva visto quel giovanotto.
- Sì, proprio così - dissi, adagiandomi all'indietro nella sedia di velluto e osservando le fiamme che danzavano sulla grata. - Ricordi come era sconvolto?

- Allora è deciso. Scriverò immediatamente alla signora Blessington. Le dirò che stiamo arrivando e che non sappiamo quanto ci fermeremo.
- Oh Richard, sarebbe proprio meraviglioso! - Non potei fare a meno di abbracciarlo, benché ciò lo imbarazzasse e si fosse messo a tirare la pipa esattamente come avrebbe fatto nostro padre.

Mise la mano in tasca per estrarne l'immancabile fiammifero per accendere la pipa, che si era spenta. - In verità, Julie, non so proprio come esaudire l'ultimo desiderio di nostro padre di radere al suolo questa casa.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Aprile 2006, 00:39:59
Al Sarrantonio
Possiede la capacità di rendere plausibile anche l’assurdo grazie a un sottile senso dell’umorismo che pervade le storie ,fumatore di pipa molto classico,lo si capisce bene dai suoi scritti.

Scheletri

Un vecchio con il costume del villaggio si avvicinò a noi, fumando una pipa. Sasha gli mostrò subito deferenza. «Maestro Yuri,» disse, inchi­nandosi.
Il vecchio agitò la pipa. «Non ce n'è più bisogno,» disse, e rivolse a me la sua attenzione. Improvvisamente, e sorprendendomi, si inchinò.
«Sono io che dovrei inchinarmi,» dissi.

Gli occhi dell'uomo brillavano di interesse. Indossava una giacca spor­tiva di tweed con le toppe sui gomiti, e la sua cravatta era perfettamente annodata. Ha tirato fuori di tasca una pipa e ha cercato di accenderla, ma senza successo.
«Lawrence, continui a dimenticarti che hai finito il tabacco,» gli ha detto sua moglie con dolcezza.
Sul volto di Lawrence è apparsa un'espressione di disappunto. Ha ab­bassato gli occhi sulla via sotto di noi.
«E il negozio di pipe Petersen era a solo pochi isolati di distanza...»
La moglie gli ha battuto affettuosamente la mano sul braccio.

«A questo punto è l'unica scelta logica. Se volete arrivare in Pennsylvania, non vedo quale altro modo ci possa essere.» Si fermò per tirare fuori la pipa di tasca, metterci un pizzico del prezioso tabacco nel sac­chetto di plastica, e accenderla
«Intendete restare qui?» ha chiesto la signora Garr.
Lawrence ha annuito, sbuffando una nuvoletta di fumo.
«Ma perché?»
«Katherine ed io, coscientemente, abbiamo preso una decisione, al­cuni giorni fa. Non siamo giovani, e il nostro amore per la vita non è le­gato a cose giovani. Io sono affascinato da ciò che mi sta succedendo attorno. E voglio studiarlo per quanto posso. Quindi...»
Tirò una boccata dalla pipa.

«Addio,» ha detto Lawrence.
«Addio,» ha detto la signora Garr. «Buona fortuna.»
Le porte si sono chiuse sull'immagine di Lawrence che fumava la sua pipa e ci seguiva pensierosamente con lo sguardo.

Non era ben vestito, ma aveva molta considerazione per la sua pipa, e il sorriso addolorato sotto il grigio cespuglio arruffato dei capelli me lo fece piacere immediatamente.

Annuì, si infilò la pipa in bocca, e la tolse di nuovo. «Vorrei davvero aver portato una lavagna.»
Si mise a ridere, caricò la pipa e la accese. «Sa cosa volevo più di tut­to quando sono... ritornato? Fumare questa pipa.»
Gli battei una mano sulla schiena. «Bene, continuate pure.»



(http://www.iblist.com/images/portraits/1831.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Aprile 2006, 23:47:40
S.S. Van Dine 1888 - 1939

Considerato da gli americani un precursore e maestro del giallo,fumatore di pipa,la infilava un po' dappertutto,con scarsi risultati.

Philo Vance e L'Enigma dell'Alfiere

Il personaggio e unico protagonista di tutti i suoi gialli è un investigatore che fuma pipa e sigari,molto "affettato"
ha un amico che è il suo biografo,nulla di nuovo sotto il sole.



Quella mattina ero arrivato prima che Vance si alzasse e, avendo terminato di controllare i conti del primo del mese, ora sedevo fumando oziosamente la mia pipa mentre Vance faceva colazione.

Vorrei che cominciaste, signore, a dirmi tutto ciò che sapete di questa tragedia. In seguito vi farò le domande che riterrò essenziali.
Il professore prese dal tavolo una grossa pipa di schiuma e, caricatala, l'accese e si sistemò più confortevolmente nella sua poltrona.

- Forse. - Il professore trasse alcune pensierose boccate dalla pipa. - D'altra parte, se io vi rispondo, potrei darvi un'impressione errata e fare un grave torto ai rimasti.

- Ah! Non ho ancora affrontato l'equazione. - Arnesson estrasse una vecchia pipa di radica e la caricò amorevolmente.

Arnesson fece una pausa per riaccendere la pipa.

Riuscì finalmente a tirare dalla pipa e affondò nella sedia. - Possiamo ritenerci d'accordo?
- Sarei lieto di raccontarvi tutto ciò che sappiamo, Arnesson - replicò Markham dopo una breve pausa.

- Davvero interessante - disse Vance passando la sua scatola di fiammiferi a Markham, che stava riempiendosi la pipa.

Arnesson si tolse la pipa dalla bocca e sogghignò.
- L'Alfiere X. Dobbiamo trovarlo. È una persona bizzarra, con un perverso senso dei valori.

- Oh, no. Andate pure avanti - disse, cominciando a riempirsi nuova­mente la pipa.

- Bene, lasciatemi pensare... - Il professore estrasse la sua pipa di schiuma e cominciò a riempirla.

Il professor Dillard si tolse lentamente la pipa di bocca e la sua espressione si fece risentita.

Pensavo di essere stato accettato come collaboratore, ma vedo che volete nuovamente tenermi all'oscuro dei fatti. - Sospirò con enfasi ed estrasse la pipa. - Abbandonare il pilota! Io e Bismarck. Gesù!
Vance se ne era rimasto a fumare con aria sognante vicino alla porta, apparentemente incurante delle rimostranze di Arnesson, ma ora entrò nella stanza.

Arnesson ascoltò con molta attenzione. Notai che l'espressione ironica scomparve gradualmente dal suo viso, lasciando il posto a uno sguardo di calcolata serietà. Restò seduto in silenzio per qualche minuto, con la pipa in mano.

Arnesson portò una sedia vicino alla finestra ed estrasse la pipa.
Si accese la pipa. - Come può questo racconto emozionante spiegare la morte di Drukker?
Arnesson tirò dalla pipa, riflettendo.

- Non esattamente una tensione. - Il professore tirò dalla pipa, corrugan­do la fronte. - Sembrava depresso, quasi malinconico.
- Avete pensato che avesse paura di qualcosa?

- Prendete una sedia e accendetevi un sigaro. Voglio parlarvi, ma avrò bisogno di tutto il tempo necessario. È molto difficile... - La sua voce scemò, mentre cominciava a riempirsi la pipa.


(http://neptune.spaceports.com/~queen/images/oval_vandine.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Aprile 2006, 22:25:01
E' curioso come la letteratura di genere gialla e noire pulluli di pipe,anche se la spiegazione è logica,la pipa crea atmosfera.
C'è poi  quell'attimo di suspence ,quando in una narrazione,o dialogo, un personaggio fà una pausa per accendere la pipa,ecco alcuni autori contemporanei e loro variazioni sul tema:

STEPHEN LAWS

Colpa del party

«Sono piacevolmente sorpreso dal tuo preventivo, ragazzo». Fromme fece un tiro dalla pipa, lasciando salire la spirale di fumo. Il fumo aveva la stessa sfumatura pallida dei suoi capelli, e la stessa ondulazione. Nella luce fioca, sembrava che i capelli abbandonassero la testa, disperdendosi nell'aria sot­tile.

«Sì, siamo molto fortunati qui». Fromme smosse le ceneri della pipa con un pigiatore d'avorio, osservando Buss e me. «Chelsea, perché non mostri a Mr. Buss una stanza al piano di sopra? Quella davanti, accanto al bagno, an­drà bene».


BRIAN MOONEY

Anima di lupo

Secondo l'antica usanza, una pipa veniva passata di mano in mano, di boc­ca in bocca, una pipa contenente qualcosa di più che semplice tabacco, qual­cosa che dilatava gli occhi e rendeva leggeri mente e arti.
Quando ciascuno ebbe tirato dalla pipa più volte, essa fu posata al suolo con riverenza dal più rugoso dei tre uomini nudi. Questi si voltò poi verso l'uomo inquieto rivolgendo a lui, il più anziano dei visitatori, la parola.
«Tu dici che il bianco, Nugent, ha offeso le leggi della caccia?».
Jackson si sentì imbarazzato. «Non ho detto così. Quell'uomo non cono­sceva le nostre usanze. Non voleva offendere».

MANLY WADE WELLMAN

Il dramma nero

«Mi darebbe un fiammifero, signor Connatt?», chiese una voce che avevo già sentito. Gli occhi azzurro pallido del mio compagno erano rivolti verso di me, e lui si stava infilando sotto i baffi biondi una pipa dall'aspetto fidato.
«Giudice Pursuivant!», esclamai, con un piacere che non cercai di nascondere. «Lei qui! Sembra una di quelle commedie che si leggo­no sul Grand Hotel.»
«Non è proprio una coincidenza di quel genere», sorrise lui, pren­dendo il fiammifero che avevo trovato. «Vede: sono ancora per­plesso per il paradosso di cui abbiamo parlato l'altra sera; voglio dire l'enigma circa il tempo e il modo della stesura di Ruthven. Si dà il caso che un mio amico abbia una casetta vicino al teatro di Lake Jozgid, e io ho bisogno di un po' di vacanza.» Sbuffò una nuvola di confortevole fumo. «Ho giudiziosamente accettato il suo invito a recarmi là. Lei e io saremo vicini.»
«Buoni vicini, spero», fu la mia calda replica, mentre accendevo una sigaretta con il fiammifero che lui aveva ancora in mano.

«Stiamo insieme fin dai tempi dell'Università.»
Pursuivant si appoggiò al bastone e tirò fuori la sua pipa d'erica ben stagionata.
«Mi conforta sentirglielo dire. Voglio dire, che un tempo il signor Varduk sia andato all'Università. Stavo cominciando a chiedermi se non avesse qualche migliaio di anni.»
Davidson scosse lentamente la testa.
«Senta: perché non ci sediamo sulla riva e non parliamo? Forse posso raccontarvi una storia.»
«Ottimo!», assentì Pursuivant, e si sedette.
Io feci lo stesso, e fissammo ambedue Davidson con aria di attesa. Lui rimase in piedi, con le mani in tasca, finché Pursuivant non ebbe acceso la sua pipa e io la mia sigaretta.

Allora il mio compagno alzò una pesante scarpa da passeggio e batté contro la spessa suola la pipa per farne cadere i residui di tabacco.
«Che impressione le ha fatto quell'allegra storiellina?», mi chiese.
FRANCIS MARION CRAWFORD
Il sangue della vita

Il mio amico accese la pipa e restò seduto a guardare verso un punto sul fianco della collina. Sapevo che lo stava guardando, e mi stavo chiedendo, infatti, quando finalmente si sarebbe deciso a parlare. Io cono­scevo bene quel punto, e mi risultò chiaro che il mio amico s'interessava vivamente a esso.

Holger attizzò la pipa con la punta del coltello, poi schiacciò il tabacco con le dita. Quando la brace attecchì, si alzò in piedi.
«Se non ti dispiace», disse, «vado giù a darci un'occhiata».

Riempii nuovamente la pipa e mi versai un bicchiere di robusto vino del Sud; un minuto dopo, Holger era nuovamente seduto accanto a me.
«Naturalmente, non c'è niente laggiù», commentò. «Ma è ugualmente qualcosa che ti dà i brividi. Sai... mentre tornavo, ero convinto che ci fosse qualcosa dietro di me, al punto che stavo per girarmi a guardare. Ho dovu­to lottare per non farlo».
Ridacchiò, vuotò il fornello della pipa e si versò un po' di vino.

«Una cosa simile non potrebbe accadere in nessun altro luogo», com­mentò Holger, caricando di nuovo la sua eterna pipa.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Aprile 2006, 23:52:09
Clifford D. Simak (1904-1988)

La vocazione professionale che manifesta fin da giovane è quella per il giornalismo, tanto che a venticinque anni è già redattore di un giornale locale del Michigan. Passione mai esaurita dato che, malgrado i successi letterari e i libri tradotti in tutto il mondo, dal 1949 sino alla pensione lavorerà stabilmente per il "Minneapolis Star".
I paesaggi agresti della fattoria del nonno paterno torneranno frequentemente nelle ambientazioni bucoliche e nei personaggi rurali dei suoi romanzi. Si fece seppellire con la sua collezione di pipe.

City


- Può darsi - convenne, poco convinto, Winslowe.
Estrasse la pipa dalla tasca e si mise a riempirla lentamente, mentre il motore della macchina continuava a emettere scricchiolii d'assestamento. Il sole splendeva nel cielo senza nuvole; la vegetazione che costeggiava la strada era grigia di polvere e mandava un odore acre.
- Ho sentito dire che il tizio che cerca ginseng è tornato - riattaccò il
postino con fare noncurante, ma incapace di nascondere un tono da cospi-ratore. - È stato via tre o quattro giorni.
- Probabilmente è andato a vendere l'erba che ha raccolto.
- Secondo me quello non cerca ginseng, ma qualcos'altro.
- Cosa te lo fa supporre?
- Prima di tutto - spiegò Winslowe - nessuno vuole più ginseng al giorno d'oggi e, del resto, non se ne trova. Una volta sì che era ricercato; credo che i cinesi lo usassero come medicinale. Ma adesso non si commer-cia con la Cina. Ricordo che da bambino ne andavo in cerca, ma anche al-lora non era facile trovarlo. Un po' veniva fuori, comunque.
Si appoggiò allo schienale del sedile, tirando soddisfatto grandi boccate dalla pipa.


Grant trovò il vecchio Dave Baxter appollaiato in cima alla staccionata, intento a lanciare grandi sbuffi di fumo dal­la pipa corta che quasi scompariva tra i baffi folti e cespu­gliosi dell'uomo.
Dave si tolse di bocca la pipa, sputò, e se la infilò di nuovo in bocca. I baffi rinchiusero la pipa in un abbraccio affettuoso, e pericoloso, bruciacchiati com'erano dal calore del fornello.
Il vecchio Dave si tolse la pipa di bocca, e la impugnò per indicare il campo, muovendola lentamente per abbraccia­re l'intera sinfonia di colori e di autunno e di piccole cose felici che scorrevano, crescevano, guizzavano, stormivano in­torno.

Il vecchio scese agilmente dalla staccionata, vuotò il for­nello della pipa, e piegò il capo per guardare la posizione del sole.
La campana suonò di nuovo, e quel suono fu come un boato nella silenziosa immobilità dell'autunno dorato.
«È Ma' che chiama,» disse il vecchio Dave. «È pronto da mangiare.





(http://www.fantasticfiction.co.uk/images/0/2671.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Aprile 2006, 00:44:21
Cesare Pavese(1908-1950)
"Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome - ripeto - sono ambizioso, volevo girare per tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti: 'Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là'". «Ho imparato a scrivere, non a vivere», «Quando scrivo sono normale, equilibrato, sereno».

Il Carcere

- Adesso fumiamo, - disse Giannino, sedendosi.
Raggi di sole filtravano obliqui, e si riempirono di fumo come seta marezzata. Giannino schiudeva appena le labbra e il fumo azzurro usciva adagio, quasi il fresco dell'aria lo condensasse: sentiva di salice amaro.
- Lo sapete che cos'è da noi la quaglia? - disse Giannino socchiudendo gli occhi. Stefano lo fissò per qualche istante. - Vado anch'io a questa caccia, - rispose impassibile.

Quel giorno nell'acqua c'era una banda di ragazzini: due, specialmente, che si contendevano a spruzzi lo scoglio. Stefano seduto sulla sabbia li guardava svogliato. Strillavano nel loro dialetto, nudi e bruni come frutti di mare; e di là dalla spuma tutto il mare appariva a Stefano un paesaggio vitreo, clamoroso a vuoto, davanti a cui tutti i suoi sensi si ritraevano, come l'ombra sotto le sue ginocchia. Chiuse gli occhi, e gli passò innanzi la nuvoletta della pipa di Giannino. La tensione divenne cosí dolorosa, che Stefano si alzò per andarsene. Un ragazzo gli strillò qualcosa. Senza voltarsi Stefano risalí la spiaggia.

Alta, sul poggio dalla cima bianca, c'era una nuvoletta. La prima nube di settembre. Ne fu lieto come di un incontro. Forse il tempo sarebbe cambiato, forse avrebbe piovuto, e sarebbe stato dolce sedersi davanti all'uscio, guardando l'aria fredda, sentendo il paese attutirsi. In solitudine, o con Giannino dalla buona pipa. O forse nemmeno Giannino. Starsene solo, come dalla finestra del carcere. Qualche volta Elena, ma senza parlare.

Gli aveva lasciato un sentore azzurrognolo di pipa, quasi pigiasse nel bocciuolo per fumarla la sua stessa barbetta. Misto al fresco della notte, quel filo diffuso sapeva d'estate trascorsa, mature, di afe crepuscolari e di sudore. Il tabacco era bruno, come il collo di Concia.

Era piantato sulla piazzetta fra Gaetano e due vecchiotti. Uno dei vecchi fumava la pipa. Gaetano, ascoltandoli, fece cenno a Stefano, che s'era fermato, di accostarsi. Stefano sorrise, e in quel momento la voce del capo brontolava ringhiosa: - Catalano potrà dire che ce n'è di puttane ma come le donne!

Rientrare coi capelli bagnati dal breve cortile era come si rientra in un giorno di pioggia dal passeggio, nella cella vuota. E Stefano tornando a sedersi e accendendo la pipa, sorrise a se stesso, pieno di gratitudine per quel calore e quella pace, e anche per la solitudine che, al brusio della pioggia esterna, lo intorpidiva silenziosa.

- Però, - disse Stefano. - È la prima volta che scelgo una donna al buio.
Gaetano disse: - Noialtri si fa sempre cosí, - e gli strinse la mano con effusione.
Stefano fumava la pipa un mattino all'osteria e vide entrare guardinghi Gaetano e il meccanico. Vedendo il viso asciutto di Beppe, pensò a Giannino che aveva fatto con lui l'ultimo viaggio. Gaetano serio gli toccava la spalla: - Venite ingegnere -. Allora ricordò.
Il sarto, un ometto rosso, li accolse con mille cautele nella bottega. - Sta mangiando, - gli disse. - Ingegnere, riverito. Nessuno vi ha visti? Sta mangiando. Ha passato la notte con Antonino.
La porticina di legno del retro non voleva aprirsi. Stefano disse: - Andiamocene pure. Non vogliamo disturbare, - e spense la pipa.

Passeggiava quindi verso il tramonto sulla strada del poggio, si sedeva su un tronco che guardava una valletta presso la casa cantoniera, e fumava la pipa.


(http://www.rccr.cremona.it/stanga/pavese/img/pavese_pipa_bassa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Aprile 2006, 22:46:57
Letteratura da supermarket e varie pipe di cartapesta:

BRIAN LUMLEY
NECROSCOPE

Vi avrebbe trovato pro­babilmente qualche vecchietto, un pensionato, sopravvissuto alla miniera, intento a masticare tabacco o a tirare boccate dalla sua vecchia pipa - e a sputare, naturalmente.

La cena era finita. Il vecchio (se così si può dire in quanto le rughe del volto più che alla vecchiaia erano dovute ad una vita di fatiche) appoggiò le spalle allo schienale tenendo una pipa d'argilla piena di fragrante tabacco tra le labbra; Dragosani si accese una Rothmans, una della stecca di duecento sigarette che Borowitz aveva comprato per lui a Mosca, in un negozio «speciale» riservato all'élite del partito.

Kinkovsi si alzò, accese la fioca lampadina elettrica che pen­deva da un vecchio e sconnesso lampadario al centro del sof­fitto. Succhiò la pipa e continuò: «Studiosi, sì - professori pro­venienti da Colonia, da Bucarest, da Parigi. Sono tre anni che continuano ad arrivare. Tutti armati di blocchetti per appunti, fotocopie di antiche mappe ammuffite e documenti, macchine fotografiche, album per schizzi, e di ogni genere di armamenta­rio!»

BRIAN STABLEFORD

The Werewolves of London

Pigramente ma scrupolosamente, de Lancy fumava l'ultima pipata della giornata. Non si considerava in servizio di sentinella, perché non era stata presa formalmente nessuna decisione di effettuare turni di guardia, tuttavia non riusciva a sbarazzarsi del presentimento sinistro che l'opprimeva.

Di nuovo portò la mano alla fondina, come se essa si muovesse per volontà propria. L'aveva già ritirata di scatto più di una volta, ma in quel momento la sua disposizione mentale lo indusse ad agire di­versamente: sfoderò la rivoltella e cominciò a giocherellarvi, passan­dola da una mano all'altra. Era carica, ma la sicura era inserita.
Con la pistola in pugno, vuotò la pipa picchiando il fornello con­tro un sasso vicino. Nel buio, non vide la chiazza di cenere che vi la­sciò. Rimise la pipa in tasca e si alzò.
Completato il rituale, non aveva più nessun motivo per rimanere all'aperto.

Accanto al timone aspettava, fumando diligentemente una pipa ricurva, un barcaiolo che assomigliava tanto a Jesse Peat da sembra­re suo parente: come lui, aveva la chioma nera, ricciuta, e la carna­gione scura, però portava un folto paio di mustacchi neri e un orec­chino d'oro.

CLIVE CUSSLER
ALTA MAREA

Soltanto gli ottoni della chiesuola e del venerando telegrafo di macchina scintilla­vano sotto i lumi all'antica, che montavano ancora lampadine da sessanta watt.
Il presidente Cabrillo era in piedi su un'aletta del ponte di comando, con la pipa ben salda fra i denti.

Cabrillo batté la pipa sul parapetto per svuotarla, osservando le ceneri che finivano volteggiando nelle acque del porto, poi guardò soprappensiero l'ex fiore all'occhiello della flotta mer­cantile americana, con i due fumaioli dalla linea ardita illumina­ti come un set cinematografico.

«Ha una brutta ferita alla gamba», disse Pitt, strappandosi la camicia per legarla al di sopra della ferita in modo da arresta­re l'emorragia. «Il resto come va?»
Cabrillo sollevò i resti di una pipa spezzata. «Quei bastardi mi hanno rovinato la migliore pipa d'erica che avevo.»

Da un sostegno pendevano alcune bottiglie contenenti fluidi incolori che gli scorrevano nelle vene attraverso vari tubicini, ma, tenuto conto di quello che aveva subito, aveva un aspetto discreto, seduto sul letto con le spalle appoggiate ai cuscini, intento a leggere i rap­porti sui danni mentre fumava la pipa. Pitt rimase rattristato nel vedere che gli avevano amputato la gamba sotto il ginocchio; il moncherino era appoggiato su un cuscino, ma sulla fasciatura si era formata una macchia rossa.

Dan Simmons -
Il Grande Amante

La pipa che le mostro è la Ptehinčala Huhu Canunpa, la Pipa di Osso di Vitello di Bisonte. Da quindici generazioni appartiene alla mia famiglia della tribù degli Itazipcho della nazione Sioux. Le cose rosse appese qui alla pipa sono penne d'aquila; queste altre sono pelli d'uccello e piccoli scalpi. Ho vi­sto la sua smorfia. Sì, forse sono scalpi di bambini Wasicun, ma penso che siano semplicemente scalpi di Pawnee. I Pawnee hanno sempre avuto la testa piccola, perché hanno sempre avuto poco cervello.
Si dice che il custode delle pipe sacre arrivi sempre all'età di cent'anni, e lei sa che io sono nato prima che questo secolo iniziasse.
Quest'altra è la pipa sacra della mia tribù. Vede il fornello rosso? È fatto con un'argilla che viene da una sola cava, che si trova in un solo luogo al mondo. Dove è stata estratta questa argilla, molti bisonti sono stati spinti nel vuoto dall'alto della rupe che sovrasta la cava. In questa argilla c'è il sangue del bisonte. Ma non è quel sangue a renderla sacra alla mia gente.
L'argilla rossa è la carne dei Sioux. Non lo dico per fare quella che voi de­finite una metafora. L'argilla di questa pipa è la carne dei Sioux.
- La cosa detta dal prete dei Wasicun non è cattiva - disse il mio tunkashila. - Forse la carne del loro dio si è trasformata in pane, come la carne della nostra gente si è trasformata in argilla da pipe. Forse il sangue del loro dio si è trasformato in vino, come il sangue della nostra gente entra in noi attraverso la pipa della tribù e la Ptehinčala Huhu Canunpa.
E quella notte i vecchi assentirono con la testa e sputarono in terra, e io fe­ci come loro.
Così, adesso le mostro queste pipe e le dico che quando tocco il loro for­nello tocco la carne della mia gente, quando fumo la pipa della tribù mescolo il mio sangue a quello di tutti i Sioux venuti prima di me.
E c'è un'altra cosa. Fumerò questa pipa mentre le racconterò la mia storia. È certo che se dovessi dire una menzogna mentre fumo questa pipa, io mori­rei. Ci pensi, durante il mio racconto.

Cor­no Cavo Ritto riempì di kinnikkinnik la pipa e l'accese. Anche adesso Hoka Ushte si sorprese di essere incluso in quel rituale da adulti, e anche adesso pensò che era solo un preludio alla terribile punizione che lo attendeva. La medicina nera e il tabacco forte gli fecero girare la testa. Capì che era troppo stanco e troppo timido per andare in esilio per il resto dei suoi anni. Avrebbe optato per il suicidio.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Aprile 2006, 00:07:00
DENNIS LEHANE
Di origine irlandese, ha studiato letteratura inglese,
americana e scrittura creativa.
Dopo avere ricevuto prestigiosi premi letterari,
è considerato uno dei nuovi talenti del thriller americano.
La sua definitiva consacrazione è giunta con il romanzo
La morte non dimentica,
che è rimasto a lungo ai vertici delle classifiche americane
e da cui il regista Clint Eastwood ha tratto il film Mystic River.
Dopo il successo di questo film, molti altri titoli di Lehane
sono presi in considerazione per essere trasposti al cinema.
Insegna scrittura creativa avanzata all'Università di Harvard.
Attualmente vive a Boston, fuma la pipa probabilmente la carica
di tabacco.
UN DRINK PRIMA DI UCCIDERE

Abbassò lo sguardo sul silenziatore che premeva sul pomo d'Adamo. «Cosa credi, che sia scemo?» Ti­rò fuori dalla tasca una piccola pipa. «Sto solo cercan­do un po' di carica.» Feci un passo indietro e lui estrasse uno spesso bastoncino dall'altra tasca e lo in­filò nella pipa. La accese e cominciò a succhiare ad occhi chiusi. «Hai portato quel che mi serve?» chiese poi con voce gracchiante. Socchiuse le palpebre e il bianco degli occhi prese a vibrare come un televisore vecchio.
Angie era tornata accanto a me.
Socia esalò il fumo dai polmoni e sorrise. Porse la pipa a Eugene. «Aaah, che cosa avete da guardare, voi due? Piccoli ragazzini bianchi repressi, atterriti dal grande demone nero?» Ridacchiò.
«Non lusingare te stesso, Socia» ribatté Angie. «Non sei un demone. Sei un rettile da giardino. Ehi, non sei neanche un nero.»
«E cosa sarei, ragazzina?»
«Un'aberrazione» rispose Angie tirandogli la siga­retta addosso.
Socia si strinse nelle spalle, spazzolandosi la cene­re dalla giacca.
Eugene stava succhiando la pipa come se fosse un tubo respiratorio per immersioni. La passò nuova­mente a Socia e piegò la testa all'indietro.
Socia si avvicinò e mi batté sulla spalla. «Ehi, ami­co, dammi quello per cui sono venuto. Salvaci en­trambi da quel cane rabbioso.»
«Quel cane rabbioso? Socia, sei stato tu a crearlo. L'hai spogliato di tutto lasciandolo solo con il suo odio da quando aveva dieci anni.»
Eugene strisciò i piedi, guardando Socia.
Socia sbuffò sprezzante e fece un tiro dalla pipa. Il fumo prese a fluttuare morbido dagli angoli della bocca. «Ma che ne vuoi sapere, ragazzino bianco? Eh? Sette anni fa quella puttana mi ha portato via il mio ragazzo, cercando di inculcargli tutte quelle sciocchezze su Gesù e su come comportarsi per compiacere l'uomo bianco. Un piccolo bambino ne­ro del ghetto. Ha fatto emanare un ordine restrittivo contro di me. Di me! Per tenermi lontano da mio fi­glio in modo da riempirgli la testa con tutta quella merda sul Sogno Americano. Merda. Il Sogno Ame­ricano per un negro è come l'inserto centrale di una rivista porno appeso in una cella di prigione. L'uomo nero non è nessuno in questo mondo se non sa can­tare, ballare o lanciare un pallone. Qualunque cosa che faccia divertire i bianchi.» Tirò un'altra boccata.
«Le sole volte in cui vi piace guardare un negro è quando siete fra il pubblico. E Jenna ha cercato di inculcare tutte quelle stronzate da zio Tom nel mio ragazzo, dicendogli che Dio avrebbe pensato a lui. Che si fotta. Ognuno fa quel che deve fare in questo mondo ed è tutto. Non ci sono dei contabili che prendono nota lassù, non importa quel che chiedi nelle preghiere.» Batté con forza la pipa contro la gamba buttando la cenere e la resina, il volto alte­rato.

(http://dvdtoile.com/ARTISTES/15/15268.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Aprile 2006, 15:05:02
Italo Calvino1923-1985
Cesare Pavese  accennò alla sua mobilità stilistica soprannominandolo "scoiattolo della penna".
Calvino, libero da ogni falso modello interno, si presentava per quello che era, un enigma inconscio.Calvino aveva paura di esistere solo nei suoi libri. Contro questa crescente incertezza egli adottava due tattiche opposte: la proliferazione e la molteplicità delle identità.


Ultimo viene il Corvo


Mio fratello terminò con un gran gesto, dopo la frutta: uscì un pacchetto e offrì una sigaretta all’ospite. Se le accesero, senza chiedere permesso a nessuno, e questo fu il momento di solidarietà più piena che si creò in quel pranzo. Io ne ero escluso, perché i miei non mi permettevano di fumare finché ero al liceo. Mio fratello ormai era soddisfatto: s’alzò, tirò due boccate guardandoci dall’alto e zitto com’era venuto si girò e andò via.
Mio padre accese la pipa e la radio per le notizie. Il pastore se ne stava guardando l’apparecchio con le mani aperte sui ginocchi e gli occhi spalancati che s’arrossavano di lacrime.

. É una casa antica, con archi di volte che sembrano ponti, con sui muri simboli massonici messi dai miei vecchi per far scappare i preti. In casa c’è mio fratello, che è sempre in giro per il mondo anche lui ma torna a casa più spesso di me e io tornando ce lo ritrovo sempre. Torna e subito si dà d’attorno finché non scova la sua cacciatora, il suo gilecco di fustagno, i suoi calzoni col fondo di cuoio, e non sceglie la pipa che tira meglio, e fuma.


Intanto giro per le scale e le stanze, con mio fratello dietro che soffia nella pipa, per le scale e le stanze con appesi fucili antichi e nuovi e borracce per la polvere e corni da caccia e teste di camosci.

«Tu, vecchio, lo sai bene», aveva anche pensato, perché di certo il vecchio era un contrabbandiere e conosceva la frontiera come il fornello della sua pipa.



(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/thumb/3/39/Calvino-italo.jpg/180px-Calvino-italo.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Aprile 2006, 15:45:25
DOUGLAS PRESTON
La Toscana è  una regione che Douglas Preston conosce bene e dove abitualmente soggiorna per lunghi periodi. L'omaggio all'Italia non si limita alla terra, ma anche ai suoi scrittori, in particolare ai giallisti con cui Preston ha stretto amicizia,qualche fiorentino ha avuto la fortuna di vederlo in piazza del Duomo con la sua immancabile pipa.
Si narra che compri il suo tabacco in zona  8) ,chissà da chi?

IL CODICE

Svoltata l'ultima curva, Tom Broadbent scorse i due fratel­li, già in attesa in fondo alla strada tortuosa, davanti al gran­de cancello della proprietà di famiglia. Philip, irritato, scuo­teva la cenere dalla pipa battendola sulle inferriate, mentre Vernon suonava insistentemente il campanello. In cima alla collina, la casa si ergeva di fronte a loro come il palazzo di un pascià, scura e silenziosa. Le vetrate, i comignoli e le torri brillavano sotto l'intensa luce pomeridiana di Santa Fe, New Mexico.
«Strano che papà sia in ritardo», disse Philip, prima di chiudere i denti sulla pipa con un lieve click. Suonò a sua volta, controllò l'orologio e lo fece sparire sotto il polsino.
Era sempre lo stesso, pensò Tom: pipa di erica bianca, sguardo sardonico, guance ben rasate e profumate di dopo­barba, capelli pettinati all'indietro sopra la fronte alta, orolo­gio d'oro luccicante al polso, pantaloni di lana pettinata gri­gia e giacca blu marina. Il suo accento britannico sembrava leggermente più affettato del solito.

Philip si tolse la pipa di bocca. «Che ne dite? Pensate che ci abbia riservato un'altra delle sue sfide? Una specie di indovinello?»
«Io entro», decise Tom.

Philip guardò attraverso il vetro rotto. Tom gli lesse sul volto un pensiero improvviso. Imprecando, Philip scavalcò il davanzale e in un attimo fu all'interno, mocassini, pipa e tutto il resto.

Philip sfilò la pipa dai denti e, imitando perfettamente il tono di voce del sergente, replicò: «Ateo. Divorziato. Misogino».
Gli altri due fratelli scoppiarono a ridere.

Broadbent spense il fiammifero, lo lasciò cadere sulla scrivania e sorrise con i suoi denti candidi e perfetti. «Tanto muoio in ogni caso, perché non godermi i miei ultimi mesi? Giusto, Philip? Tu fumi ancora quella pipa? Fossi in te, smet­terei. ..»
Si voltò e fece qualche passo, sbuffando boccate di fumo azzurro nell'aria.

Philip era confuso. Accavallò le gambe e, senza chieder­ne il permesso, prese la pipa e cominciò a riempirla. Al che Hauser sorrise, spalancò il cassetto della scrivania e da un humedor estrasse un enorme Churchill. «Sono lieto che lei fumi», disse, facendo rotolare il sigaro fra le dita. Poi prese di tasca un tagliasigari d'oro con un monogramma e spun­tò un'estremità. «Non dobbiamo permettere ai barbari di conquistarci.»

Philip prese di tasca la pipa, ripulì il fornello e lo riempì col tabacco Dunhill che aveva immagazzinato nel suo com­pleto kaki di Barbour. L'accese con calma e soffiò una boc­cata di fumo verso la nube di zanzare. Il fumo si aprì la stra­da nell'ammasso ronzante, che si richiuse su se stesso appe­na fu passato.

Stava fumando una pipa di granturco, riempiendo l'ambiente di un sentore di catrame. Un machete giaceva a terra ai suoi piedi. Era piccolo e aveva un paio di occhiali che gli ingrandivano gli occhi, conferendo­gli una perenne espressione di sorpresa. Era impossibile immaginarlo come il capo del villaggio. Sembrava semmai l'ultimo dei poveri.

 Quel buono a nulla ha vissuto anche troppo a lungo. Se ne stava tutto il giorno seduto a fumare la pipa e a guardare le ragazze che passavano davanti alla sua capanna.»
«Hanno visto quanto al villaggio si vuol bene a Don Alfonso Boswas?» disse il vecchio, accovacciandosi a ridosso delle provviste. Prese la pipa, la riempì di tabacco e cominciò a fumare, con espressione pensosa.

«Che cosa sono questi insetti infernali?» domandò Sally, agitando invano le mani nell'aria.
«Mosche-tapiro», rispose Don Alfonso. Infilò una mano in tasca e ne prese un'annerita pipa di granturco, che le porse cortesemente. «Señorita, dovrebbe darsi al fumo, che scoraggia gli insetti.»
«No, grazie. Il fumo provoca il cancro.»
«Al contrario. Il fumo è salutare, favorisce la digestione e allunga la vita.»
«Credo che accetterò quella pipa», decise Sally. «Preferi­sco rischiare il cancro che sopportare tutto questo.»
Con un sorriso trionfante, Don Alfonso recuperò la pipa dalla tasca. «Vedrai: il fumo ti porterà una lunga vita felice. Io stesso fumo da più di cento anni.»





(http://www.triviana.com/books/preston.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Aprile 2006, 16:20:39
Herman Hesse 1877 1962

Poeta,pittore vincitore del Nobel per la letteratura nel 1946 Le sue opere, incentrate su personaggi alla ricerca di se stessi, hanno affascinato intere generazioni, conoscendo un vasto successo che dura ininterrotto sino ad oggi La pipa nelle sue storie è la grossa protagonista di alcune rarefatte e struggernti atmosfere.

Il Gioco delle Perle di Vetro e altri Racconti

Imparava diligentemente, sotto la guida del garzone, a maneggiare
gli attrezzi più importanti, a mungere e a dar da
mangiare alla capra, a zappare, a potare gli alberi da
frutta, a riparare lo steccato dell'orto, a tagliar ciocchi per
il focolare e a far fascine per la stufa, e se faceva freddo e
il tempo era brutto, in casa si riparavano pareti e finestre,
si facevano cesti e corde di paglia, si intagliavano manici
per la vanga e cose simili, il garzone fumava la pipa e dalla
sua nube di fumo raccontava una quantità di storie.

Si fecero le nove e le dieci,
una conversazione non venne fuori, ce ne stavamo seduti là
con le facce invecchiate, preoccupate, guardando il vino
diminuire nella grande brocca di vetro e il giardino
oscurarsi, poi ce ne andammo in silenzio, lui verso la porta
di casa, io in camera mia attraverso la finestra. Dentro
faceva caldo, mi sedetti in camicia su una sedia, accesi la
pipa e guardai agitato e malinconico nel buio. Ci sarebbe
dovuto essere chiaro di luna, ma il cielo era nuvoloso e da
lontano si sentivano azzuffarsi due temporali.
La pipa mi si era spenta, e io m'ero gettato straccamente
sul letto, con la testa piena di pensieri idioti. Ecco che sento
un rumore alla finestra. Lì davanti sta una figura, e guarda
cautamente nella camera. Neppur io so spiegarmi perché
rimasi sdraiato e non dissi parola.

Questa mattina, visto che spirava un venticello da nordest, ho issato
di buonora l'alta e stretta vela triangolare
sulla mia barchetta, ho acceso la pipa e mi sono lasciato
trasportare lentamente giù per il lago fra la nebbia. Il sole
doveva già essere sopra il monte, poiché il grigio metallico
dello specchio dacqua del primo mattino si andava a poco
a poco cangiando in un argento luminoso che ricordava vagamente
un debole chiaro di luna.
Delle rive vicine, di solito così familiari, coperte di fronde o canne, non si vedeva
nulla, e sprovvisto di bussola ho veleggiato come attraverso acque e mari di nubi    
assolutamente ignoti e privi di sponde.
 



(http://www.gss.ucsb.edu/projects/hesse/hesse-cole04.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Aprile 2006, 22:40:47
ELIZABETH GEORGE
"Ho cercato di descrivere una serie di donne molto diverse tra loro, alcune soddisfatte di sé, altre  in cerca di una realizzazione personale, anche a prezzo di rimettersi continuamente in discussione."
"A mio parere i film americani tratti dai libri risultano sempre falsati e banalizzanti. A me piacerebbe una trasposizione tipo quella dei film di Ivory. Ho accettato, però, che la BBC girasse uno sceneggiato da un mio romanzo, e il risultato è stato buono; oltretutto ha moltiplicato la lettura dei miei romanzi in Inghilterra..."
All'età di 8 anni si trasferisce in California. Ha insegnato lingua inglese alla scuola pubblica, mentre si laureava in psicologia. Attualmente vive fra Huntington Beach(California) e South Kensington (Inghilterra).
Ha partecipato a molti movimenti femministi,una delle rare scrittrici che fumano la pipa.



DICEMBRE È UN MESE CRUDELE

Allora lo vide, un'ombra in mezzo alle altre ombre. E annusò nell'aria il fumo di pipa che gli impregnava gli abiti.
Cosa ci sei venuto a fare qui?
Sembrò che lui interpretasse la domanda come un invito implicito, spontaneo. Con un salto, volteggiò sopra il muretto. Lei si tirò indietro. Brendan le si avvicinò con entusiasmo. Polly si accorse che stringeva in mano la pipa.
—   Sono stato fin su, a Cotes Hall. — Picchiò lievemente con il fornello della pipa contro la lapide di Annie, svuotandola dal tabacco bruciato che si sparpagliò come una manciata di lentiggini d'ebano sulla superficie coperta di ghiaccio della tomba. Ma sembrò che si rendesse subito conto della poca correttezza di quel che aveva fatto perché borbottò: — Oh. Accidenti. Mi spiace.
e si accosciò a ripulirla. Poi rialzandosi, si infilò la pipa in tasca e strusciò lentamente i piedi per terra. — Stavo tornando a piedi al villaggio per il sentiero. Ho visto qualcuno nel cimitero, e...


Si accorse che Leo aveva interrotto Power nel bel mezzo di una fumatina che si stava godendo seduto sul muretto, il che spiegava per quale motivo non avesse la torcia accesa in quel momento. La sua pipa emetteva ancora un tenue bagliore e quel po' che ancora vi rimaneva del tabacco bruciato esalava un odore di ciliegie.
"Tabacco da ragazzini" lo avrebbe chiamato il padre di Colin con una sbruffata. "Se hai intenzione di fumare, ragazzo mio, cerca di avere almeno tanto buon senso da scegliere qualcosa che ti faccia puzzare come un uomo."

Power si frugò nella giacca e tirò fuori una borsa di tabacco che aprì affondandovi la pipa, per riempire ben bene di tabacco fresco il fornello che non aveva svuotato da quello ormai consumato. Colin si mise a guardarlo con curiosità.

Poi tentò di accendersi di nuovo la pipa ma il suo successo fu breve. Il tabacco prese fuoco ma il fornello ingorgato non consentiva il passaggio dell'aria nel cannello. Vi rinunciò dopo un paio di tentativi e si mise di nuovo in tasca pipa, borsa del tabacco e fiammiferi. Con un salto, scese dal muro.

E si allontanò a passi concitati senza aggiungere una sola parola, fermandosi venti metri più in là a schiacchiare di nuovo il tabacco nel fornello e a riaccendere la pipa. Dal fiammifero si levò una fiammella, e dal riverbero successivo, fu evidente che il tabacco aveva preso fuoco.

Ogni trenta metri o poco più era picchiettato qua e là da tabacco abbrustolito. Chiunque fosse stato fuori a fare una passeggiata, doveva avere una pipa che non tirava molto meglio di quella di Brendan.
Lui invece, quella mattina, non fumava. Aveva la pipa con sé casomai si fosse trovato nella necessità di aver bisogno di occupare le mani con qualche cosa, ma fino a quel momento non l'aveva tirata fuori dal suo sacchetto di cuoio anche se ne poteva sentire il peso che gli batteva ritmicamente sul fianco e gli dava sicurezza.






(http://www.elizabethgeorgeonline.com/inprint/writersdigest-2-2002-cover_small1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Aprile 2006, 01:06:29
John Fante 1909,1983

Molti degli avvenimenti che hanno segnato la sua infanzia, come la violenza del padre, l’istruzione, ricevuta in scuole religiose (dalle suore prima e dai gesuiti poi), le difficoltà economiche, sono presenti nella maggior parte dei racconti che John scrive in seguito, oltre ad essere la fonte d’ispirazione primaria per la costruzione del suo alter ego Arturo Bandini, protagonista dei suoi romanzi.
L'opera di Fante è contemporanea e marginale non si inserisce in nessuna corrente narrativa, ma affronta temi ( disoccupazione, integrazione etnica...) rintracciabili nel romanzo sociale come in quello psicologico. Quello che sicuramente fa di lui un precursore con la carica umana, sincera e cinica, dei suoi personaggi tutti perdenti.

Sogni di Bunker Hill




    Di nuovo sola, spense la luce e continuò a pregare. Di tanto in tanto,
    in mezzo all'estasi tendeva l'orecchio ai rumori della casa.  La stufa
    singhiozzava  e gemeva in attesa di carbone.  Nel vicolo passò un tale
    che fumava la pipa. Lei lo fissò, certa che non avrebbe potuto vederla
    nel buio. Lo paragonò a Bandini: il tizio era più alto ma i suoi passi
    non avevano l'energia di quelli di Bandini.

    Un giorno, mentre camminavo lungo il corridoio del quarto piano,  vidi    un  uomo  seduto dietro la macchina per scrivere nell'ufficio di Frank    Edgington. Era un omone inglese che fumava la pipa.    Dissi: "Lei è Frank Edgington?"    "Sono io."    Andai verso la scrivania e gli porsi la mano.    "Io sono Arturo Bandini. Anch'io sono uno scrittore.  Lavoro per Harry

    Ci fermammo nell'area di parcheggio  dei  Liberty  Studios  e  andammo    verso l'ufficio di Jack Arthur passando per il corridoio.  Jack Arthur
    era un fumatore di pipa.  Baciò Velda sulle guance  e  mi  strinse  la    mano.

    Mi sedetti in macchina in    cima a Bunker Hill,  sotto la pioggia, e il sogno mi avvolse, e sapevo    cosa avrei fatto.  Sarei andato a Terminal Island e mi  sarei  trovato    una  baracca  da pescatori sulla spiaggia,  mi sarei seduto lì e avrei    scritto un romanzo su Helen Brownell e me.  Avrei passato dei mesi  in    quella  baracca,  accumulando  le pagine e fumando una pipa di schiuma    sarei diventato di nuovo uno scrittore nel mondo.





(http://digilander.libero.it/confratchianti/Foto/fante001.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: samael - 19 Aprile 2006, 02:12:55
Grazie Enzo!  :D

Andando a memoria ricordo altri brani in "La strada per Los Angeles", "Chiedi alla polvere" (il romanzo di Fante più famoso, mi pare fossero citate anche latte di Prince Albert in cui veniva riposta qualche sostanza poco lecita :) ) e "Full of life". Ma lascio a te queste future incombenze! ;)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Aprile 2006, 20:08:59
Lo scrivere e trasmettere i propri pensieri tramite la carta stampata ,non è legato soltanto alla letteratura:

Vittorio Giardino


Vittorio Giardino nasce il 24 dicembre del 1946 a Bologna, si laurea in ingegneria elettronica nel 1969 e, nove anni dopo, abbandona la professione per dedicarsi definitivamente ai fumetti. I primi lavori sono datati 1978 Il disegno che illustra il fumetto è molto dettagliato e realizzato con grande cura, e non passa certo in secondo piano la meticolosità con cui Giardino si è documentato nella ricostruzione delle ambientazioni. Il suo background culturale risulta molto ricco, da un punto di vista letterario, cinematografico e, ovviamente, fumettistico. La storia, pur trattando argomenti seri e rifacendosi ad avvenimenti realistici, si avvale di una costruzione narrativa che ne rende piacevole la lettura, a dimostrazione di come un buon autore, padroneggiando bene il mezzo oltre che la matita, può parlare di qualunque argomento, senza per questo risultare noioso. E' risaputa la sua passione per la pipa,ne ha disegnato anche alcuni modelli,ultimamente uno che porta il suo nome per un famoso club milanese

No Pasaran



(http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/00giard.jpg)

(http://www.comicus.it/images/specials/giardino/giardino1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Aprile 2006, 13:32:52
Frank De Felitta
Autore di storie tipo "Pulp" di origine tedesca,nonchè famoso  regista di films di serie c2 o addirittura "splatters"
fra i più famosi "Scissor-Forbici" con  Sharon Stone e il notevole “La banda dei doberman al servizio della legge”. Fuma pipe sicuramente con filtro di 9 e inserisce pipe in tutte le sue storie,con risultati in ogni caso deludenti.

Marcia Funebre Per Una Marionetta
e altre storie

La sabbia filtrò attraverso la rete, sulla quale rimasero sassolini, frammenti di una bottiglia rotta di birra, un pezzo di pipa, probabilmente da hashish, una stella marina morta e dura come un pezzo di legno e un unico popcorn ingiallito, un tempo probabilmente imburrato.
Il tecnico gettò il popcorn nel sacchetto di plastica verde insieme alla stella marina morta, al vetro e al pezzetto di pipa.

In rappresentanza dell'ufficio del sindaco, era presente anche Preston Wilkins, basso, snello e vestito severamente di scuro. Wallace Perry, capitano della divisione anticrimine per tutta Los Angeles, sedeva vicino alla Randolph su una poltrona dallo schienale diritto e fumava tranquillamente la pipa.

Il capitano Perry dette un colpetto alla sua pipa e scavò in una borsetta di pelle alla ricerca di altro tabacco.

Professoressa Quinn, desidero ringraziarla, da parte mia e di tutti gli altri, per l'aiuto e la collaborazione. E per la discrezione.
- Specialmente per la discrezione - aggiunse Perry, vuotando la pipa in un portacenere.



Il preside della facoltà approfittò di quell'attimo per svuotare il fornello della sua pipa picchiando contro una delle gambe della sedia. Un minuscolo residuo nero di tabacco bruciato cadde sul pavimento. La tensione si era finalmente attenuata. Aspirando lentamente Osborne riaccese la pipa.

Probabilmente una qualche madre che pregava perché suo figlio non venisse espulso dal corso di chimica, pensò Mario. La porta del preside si richiuse.
Un uomo tutto pelle e ossa con una pipa spenta tra le labbra si fece strada oltre Mario e senza farsi annunciare entro nell'ufficio del preside.

Prima o poi mi darà udienza - disse lentamente. - Glielo riferisca.
L'impiegata parlò un'altra volta nell'interfono. L'uomo ossuto con la pipa spenta in bocca uscì, annuì e sorrise, poi si avviò lungo il corridoio.

Osborne si sporse sulla scrivania puntandogli contro il bocchino della sua pipa. - Il tuo mondo è fatto di foglie di tè e cuscini ricamati. Di musica indiana e odore di incenso. E mi sta bene se è quello che vuoi. Ma non puoi farlo qui.
- E perché no?
- Perché questa non è scienza!



«Mi occupo dei modelli, a dire il vero. In camoscio e in altri tipi di pelli. Moda femminile.»
«Credevo che l'inverno fosse la stagione nella quale è più occupato.»
«Durante le festività, certo. Ma naturalmente quasi tutto il lavoro viene svolto con alcuni mesi di anticipo.»
McCracken stentò ad accendere la pipa. Aspirò energicamente, si accigliò, poi tornò a girarsi verso Phil.

«È giusto che mangiamo i pesci e cogliamo questa frutta» osservò il capitano, accendendo la grossa pipa nera che, notò Phil, era molto logora e consunta dagli anni.
«Come, scusi?»
«Le specie si sviluppano nel corso delle epoche. Un giorno, gli uomini non esisteranno più.»

«In che modo questo ci dà il diritto di nutrirci con pesci e frutta?» domandò lei. «Dal loro punto di vista deve essere criminoso.»
McCracken succhiò la pipa con un'espressione severa. Dopo aver constatato che si era spenta, la riaccese con un grosso fiammifero che si trovava sulla stufa. Aspirò soddisfatto alcune volte. Evidentemente non era abituato alle discussioni filosofiche, e l'improvvisa percezione che Tracey potesse essere più intelligente di lui parve dissuaderlo dall'esprimere un parere.

«Signor Williams» disse.
«Sì?»
«Le farò provare un po' del mio tabacco se salirà in coperta con me.»
«Benissimo.»
McCracken si recò nella sua cabina e tornò con una pipa dal bocchino d'avorio, che porse a Phil. Poi salirono in coperta.

Infilatosi nella riparata timoniera, Phil lasciò che McCracken gli accendesse la pipa. C'era qualcosa che rinvigoriva in quel tabacco secco e aspro. Phil pensò che sembrava emanare l'aroma di qualcos'altro, come se avesse contenuto neri alberi contorti. Faceva scorrere più rapido il sangue nelle vene ed era stimolante.
Phil aspirò un'altra boccata di fumo dalla pipa e finse di ammirarla. Sapeva di avere mentito spudoratamente, ma non capiva perché si fosse dato la pena di farlo. McCracken lo osservava affabile, scrutandolo con i piccoli occhi penetranti.

McCracken fermò i motori e accese la pipa. Adagio il panfilo perdette l'abbrivio e dondolò piacevolmente sull'acqua nera. Il capitano scambiò qualche parola con Penny, poi alzò gli occhi verso Phil e Tracey.
«Che cosa è successo, secondo te?» bisbigliò Tracey.

I due uomini tacquero. McCracken continuò a fumare la pipa. Phil si protendeva in avanti, come se si stesse concentrando. Tracey li osservò, sforzandosi di non tradire l'ansia crescente.

McCracken voltò le spalle a tutti e due, disgustato. Cominciò a pigiare tabacco nel fornello della pipa.
«Le batterie. Si sono screpolate e l'acqua di mare è penetrata all'interno. Sono rovinate.»
«È vero, capitano? Siamo su un relitto?»
McCracken si immobilizzò, si passò la punta della lingua sulle labbra, fece per accendere la pipa, tornò a immobilizzarsi, poi posò la pipa spenta. «Ci troviamo su una nave in difficoltà, non su un relitto. Una nave in difficoltà.»

Stiamo semplicemente andando alla deriva. È così?»
McCracken non rispose. Si limitò ad aspirare una lunga boccata di fumo dalla pipa. Poi si alzò adagio, voltò le spalle alle batterie e inarcò un sopracciglio.
«Alla deriva» ripeté. «Sì, stiamo andando alla deriva.»

Il capitano discese rapidamente nel salone e rapidamente risalì con una pipa diversa da quella solita, una pipa dal lungo bocchino, già caricata. A un tratto, i suoi movimenti divennero decisi, sicuri. Infilò meglio la camicia sotto i calzoni e si lisciò i capelli. Fece schioccare le dita. Penny venne avanti.

Gary Sneidermann sedeva nervosamente nello studio del primario. Il dottor Henry Weber sfogliò le pagine ancora una volta, non fece commenti, poi lasciò cadere la cartella sulla scrivania. Accese la pipa con la fiamma mostruosa di un accendino traslucido, tirando boccate vigorose.
«Va bene, Gary», disse. «Perché questa roba non può aspettare sino a mercoledì?».
Il dottor Weber ascoltava attentamente. Osservava il fumo della pipa alzarsi pigramente e gonfiarsi verso il soffitto. Sneidermann cercò di esaminare i fatti con gli occhi del primario.

Sneidermann si accorse improvvisamente che lo studio era insopportabilmente caldo. La camicia era zuppa. Si sentì debole. Per di più, il fumo della pipa l'aveva reso soffocante, per cui avvertì il desiderio di uscire, di correre alla spiaggia, respirare a pieni polmoni e dimenticare la tensione delle due ultime settimane.

Teneva in mano qualcosa che sembrava un rapporto battuto a macchina. La Cooley capì che si trattava della copia di una conferenza di Kraft e Mehan. Come l'aveva avuta? Qualcuno aveva orchestrato l'opposizione contro di lei. Guardò il dottor Weber, che fingeva di accendere una pipa già accesa.

Halpner impallidì. Weber fu colto con la pipa sospesa a metà strada dalla bocca. Non poteva credere alle sue orecchie.
«Non capisco», borbottò il primo.





(http://www.alohacriticon.com/images/elcriticonfotos/sstonemusa.jpg)
In mancanza di una sua foto decente,come prevedibile,ho trovato quella di Sharon Stone
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: ismaele - 24 Aprile 2006, 22:29:27
Ma non era meglio una foto indecente di Sharon Stone?  :wink:
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Aprile 2006, 23:39:58
L'avevo trovata,però sai la censura... :D  8)

Ancora un mitico autore(con la pipa) che narrava col pennello anzichè con la penna.

Alex RAYMOND 1909-1956

Nasce a New Rochelle (New York, USA) il 2 ottobre 1909.
Studia disegno alla Grand school of art e lavora come "negro"
per Russ Westover  (Tillie the toiler), per Lyman Young
(Cino e Franco) e per Chic Young (Blondie ) prima di esordire
alla grande nel gennaio 1934 con ben tre personaggi:
il fantascientifico Flash Gordon, l'esotico Jim della giungla
e il poliziesco Agente secreto X-9.
Non reggendo la mole di lavoro, nel novembre dell'anno successivo
abbandona quest'ultima serie nelle mani di Charles Flanders,
continuando le prime due sino all'inizio del 1944, quando le lascia
al suo assistente Austin Briggs per imbarcarsi come capitano
dei Marines sulla portaerei Gilbert Islands e partecipare ad azioni
belliche nel Pacifico.
Congedato col grado di maggiore all'inizio del 1946, pochi mesi dopo
dà vita a un nuovo personaggio, l'affascinante investigatore
privato Rip Kirb, il primo eroe con gli occhiali del fumetto,
che come il suo creatore fuma la pipa,personaggio elegantissimo,
che risolve i suoi casi,a forza di cazzotti,più che con lavoro
deduttivo.
All'apice della fama, però, il 6 settembre 1956 muore in un
incidente stradale a Westport (Connecticut, USA)
mentre prova un'automobile sportiva.

Le sue "tavole domenicali" sono finite,all'epoca, sui giornali di
mezzo mondo,in Italia invece erano pubblicate sui settimanali della
Casa Editrice Nerbini di Firenze,"L'Avventuroso" e "Giungla",fino
a quando nel 1938 il MINCULPOP ne proibì la pubblicazione.
Mentre Il personaggio Rip Kirby esordì sul settimanale "Robinson"
in una forma grafica spettacolare,nel 1948 49.
Rip Kirby
(http://www.normasabadell.com/scan/rip_kirby_1.jpg)

Jungle jim

(http://www.ergocomics.cl/imagenes/img/20041006230639.jpg)
(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/c/cf/AlexRaymond.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Aprile 2006, 21:30:11
H.P. Lovecraft ( 1890–1937)
Il solitario di Providence
Nonostante fumasse la pipa non ebbe mai una vita normale,raro ma capita,quello che scriveva era irreale metafisico,spesso realistico per passare poi al delirante.
Oppresso da incubi, sogni e visioni, e restìo ai contatti personali, Lovecraft condusse un'esistenza solitaria nel segno dell'instabilità psicologica.
Il paesaggio ed il retaggio culturale di Providence saranno sempre al centro della sua produzione letteraria, così come le atmosfere macabre e criptiche, la tematica di adorazione della morte, la degenerazione, gli illeciti connubi, la possessione psichica, le visioni e le immagini di altipiani deserti, di colossali rovine, di abissi senza fondo, popolati da deformi mutanti, aborti di una Scienza impazzita o di una Natura ancestrale, per un tipo di horror e fantastico più caratteristico del XIX secolo che della sua epoca. Tuttavia nulla poteva suggerirgli che il suo lavoro avrebbe influenzato tante future generazioni di scrittori,fino a farlo diventare famoso quanto Edgar Poe.


Orrore a Red Hook
e altri racconti

La maggior parte degli uomini era tornata a letto, ma il professor Dyer stava fumando la pipa davanti alla sua tenda. Vedendomi in quello stato deplorevole e al limite dell'isteria, chiamò il dottor Boyle e col suo aiuto mi mise sulla brandina e mi fece calmare.

In breve, credeva che il mondo fosse come il fumo del nostro intelletto: ben oltre le possibilità della gente comune, ma pronto a essere aspirato ed espirato dai saggi come una buona pipata di tabacco della Virginia.

Con quell'afa non mi avrebbe dato soddisfazione neanche fumare, così evitai di tirare fuori la pipa. Dopo aver finito di mangiare mi distesi sotto gli alberi, deciso a riposarmi un poco prima d'intraprendere l'ultima tappa del viaggio.

Dopo aver lavato i piatti della mia cena solitaria, rimasi seduto per un po' fumando la pipa. Il mio ospite mi rivolse qualche domanda sui villaggi vicini, ma si chiuse in un silenzio imbronciato quando apprese che ero forestiero.

Dopo essere rimasto seduto in silenzio per la durata di ben tre cariche di pipa, alla fine cominciai a sbadigliare.

Così, dopo aver sistemato le coltri in modo che sembrassero coprire un corpo addormentato, trascinai nell'oscurità non rischiarata della luna l'unica poltrona della stanza, caricai la pipa e mi sedetti, preparandomi a vegliare o a riposare, a seconda di quello che sarebbe accaduto.

Vuotai la pipa e la rimisi in tasca. Poi impugnai la pistola automatica, mi alzai, attraversai la stanza in punta di piedi e mi appostai nervosamente nell'angolo che la porta, aprendosi, avrebbe nascosto.






(http://www.graphicclassics.com/pics/allenk2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Aprile 2006, 22:19:22
Henning Mankell
Lo scrittore svedese Henning Mankell è un personaggio dalla tripla anima: la prima nordica, più fredda e spietata, che si esprime nella serie di gialli dedicata al celebre commissario di polizia Kurt Wallander. La seconda più calda e drammaticamente impegnata che lo spinge alla scrittura di romanzi di ambientazione africana. Infine, la terza che si manifesta attraverso i libri per bambini, la regia cinematografica e la drammaturgia,fuma pipe Svendborg
La Quinta Donna

Wallander si ricordò di avere portato con sé una fotografia di Holger Eriksson, che aveva trovato in uno dei cassetti della sua scrivania. Robert Melander studiò la fotografia a lungo. Preparò la sua pipa e l'accese senza staccare lo sguardo da quella foto. Wallander iniziava a sperare. Ma Melander posò la fotografia e scosse il capo.

«Runfeldt non è un cognome di queste parti» disse. «Non è neppure uno di quei nomi creati recentemente per evitare di chiamarsi Svensson come migliaia di altri.»
«Harald Berggren» disse Wallander. «L'altro nome.»
Melander posò la pipa sul tavolo.
Hamrén mise la mano in tasca e prese la sua pipa.
«Esco un attimo. Una fumata schiarisce sempre la mente» disse.

(http://www.zambezia.ch/images/henning.jpg)


Ira Levin
Ira Levin è uno degli autori più saccheggiati dal cinema e non possiamo dare torto a Hollywood: ogni romanzo di questo grande scrittore nasce già strutturato per una eventuale trasposizione cinematografica.

Rosemary's Baby

«Mi ha un po' allarmato il suo aspetto,» disse Hutch, guardando Rosemary e tirando fuori la pipa e una borsa del tabacco a strisce.

«Credo anch'io,» fece Hutch, riempiendo la pipa.
Rosemary disse: «La signora Castevet mi prepara ogni giorno una pozione ricca di vitamine, con un uovo crudo, latte e delle erbe fresche che coltiva lei stessa.»

«Lui non ha molta fiducia nelle pillole vitaminiche che sono in commercio.»
«Davvero?» disse Hutch, cacciandosi in tasca la borsa del tabacco. «A me non verrebbe mai in mente, in realtà sono fabbricate con il più rigoroso controllo.» Strofinò due fiammiferi insieme e succhiò la fiamma nella pipa, sbuffando nuvolette di fumo bianco e aromatico. Rosemary gli mise accanto un portacenere.

Lei si alzò, riempì una tazza e ne versò ancora a Hutch e a sé. Hutch tirava nella pipa, guardando assorto nel vuoto.
Guy tornò carico di pacchetti di Pall Mall. «Ho fatto razzia,» disse, rovesciandoli sul tavolo. «Hutch?»
«No, grazie.»



(http://www.inejacet.nl/iralevin/iralevinportret.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Maggio 2006, 14:11:00
CORNELL WOOLRICH (1903-1968)

La vita di Woolrich fu drammatica come i suoi romanzi. Proprio al culmine del successo, perse la voglia di scrivere e di vivere, anche per la malattia della madre, e incominciò a bere e a isolarsi, fino a non uscire più di casa.Aveva perso la fiducia nella pipa,per dedicarsi al bourbon.
I suoi personaggi non sono detective o poliziotti, ma individui fragili, ossessionati, vittime di minacce sconosciute, spesso immersi in contesti ai limiti del fantastico.
Con lui il "Noire"ha avuto il suo poeta, dai suoi scritti sono stati realizzati una quarantina di films.Il suo è stile incisivo e lacerante come un urlo,le sue invenzioni continuano a ispirare l'immaginario,uno dei suoi romanzi più famosi è "Finestra sul Cortile"


Poi c'era la stanza della guardia del corpo; Kittens, mi pare che si chiamasse. Quando arrivam­mo, si trovava disteso sul letto con una pipa nella sinistra, mentre nella destra teneva una pistola che stava esaminando.
Alla parete c'era una grande stampa a colori rappresentante una scena di caccia. Ma, sopra quella, Kittens aveva messo un nudo femminile ritagliato da qualche rivista.



- L'hawaiano ha una specie di cravatta verde. L'altro non l'ho notato.
- Fumavano?
- L'hawaiano, no. L'altro ha vuotato una pipa prima di entrare nella cabina e se l'è messa nel taschino della giacca.
- Si vede?
- Sì. Si vede...

- Sigarette? - chiese Allen allungando una scatola.
Martine si voltò subito sorridendo. - Joe! Mai offrire una sigaretta a un fumatore di pipa! È tempo sprecato, vero? - E volse lo sguardo nella direzione di dove era venuta la voce più profonda.
Allen esclamò: - Come fai a sapere che fuma la pipa? Non potevo immaginarlo!
- Ma se ne ha una che gli spunta dal taschino della giacca!
Vi fu una pausa. L'agente si guardò il taschino e sorrise.
- Infatti - disse. - Fumo solo la pipa.

Si presenta molto bene. Tipo tweed inglese, pipa a cannello curvo e un cane da caccia raggomitolato ai suoi piedi davanti a un caminetto fiammeggiante.
— Ha l'alluce valgo — sottolineò Jake.




(http://tralfaz-archives.com/comics/geary/Cornel%20Woolrich.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Maggio 2006, 22:30:49
Edgar Pierre Jacobs (1904-1987)

Edgar Félix Pierre Jacobs nasce a Bruxelles (Belgio) il 30 marzo 1904. A lungo indeciso tra la musica lirica e il fumetto, frequenta l'Accademia reale di belle arti di Bruxelles e contemporaneamente si diploma al Conservatorio. Inizia la carriera di baritono, ma resta senza lavoro all'inizio della Seconda guerra mondiale e nel 1942 incomincia a collaborare, con una serie di illustrazioni a colori, al settimanale Bravo Nel 1946, nascono Blake & Mortimer, insieme al loro arcinemico Olrik, con una lunga e inquietante avventura chiamata Il segreto dell'Espadon: si tratta davvero, come sostiene Henri Filippini nel suo celebre Dizionario del Fumetto, della "più favolosa serie di avventure mai pubblicata da una rivista di fumetti"? Veramente, come sostiene il critico belga D. Van Kerchove, l'esistenza di migliaia di giovani fu sconvolta dall'apparizione della storia chiamata Il marchio giallo, considerata la migliore avventura a fumetti di tutti i tempi? Sappiamo solo che sono storie bellissime e che Jacobs fumava Semois e Cordemoy in pipe Chacom e in billiard di marca italiana.

(http://www.danielmaghen.com/images/produits/9392.jpg)








(http://www.auracan.com/Collectors/2004/JACOBS-TimbreEPJ.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Maggio 2006, 23:37:28
Altri tre fantastici pionieri


Jack Williamson (nato il 1908)
Laureatosi in Letteratura Inglese alla University of Colorado, con una tesi su H.G. Wells,Williamson è stato, con Edmond Hamilton, uno dei più importanti «pionieri» della fantascienza moderna, tuttavia la sua produzione risulta, a differenza di altri scrittori attivi fin dalle origini, più incisiva e scientifica: Williamson si è infatti sempre adoperato per piegare la Scienza alle esigenze dell'invenzione letteraria e per creare ingegnose teorie con cui spiegare i fenomeni più importanti.Primo docente a ricoprire una cattedra di Letteratura Fantascientifica alla Eastern New Mexico University Williamson ha scritto per più di settant'anni.





Star Bright

Gli sforzi per inviarlo all'università, a una scuola di tecnica televisiva, e a un corso per parrucchieri, erano tutti immancabilmente falliti per totale mancanza di cooperazione da parte di William.
«Hellò, Capo». Si stava riempiendo una pipa nera da collegia­le. «Hellò, Mami. Pronta la cena?».
«Non chiamarmi Capo», richiese il signor Peabody, control­lando il tono di voce. «William!». Intanto, s'era alzato e diretto verso la finestra, e la sua voce divenne un tantino più acuta. «Di chi è quella sportiva rossa parcheggiata fuori?».

«Così, ti saresti comprato una macchina? E, scusa, chi do­vrebbe pagarla?».
William ondeggiò la pipa in aria, negligentemente.
«Soltanto un "venti" al mese», annunciò con voce strascicata. «Ed è un vero affarone, Capo.

«Grazie, Papi». Baciandolo sulla fronte, Beth gli bisbigliò: «Sei così caro!».
Svuotandosi la pipa nera, William lanciò un'occhiata alla ma­dre.
«Ecco la dimostrazione», borbottò. «Se fosse l'adorata sorelli­na a volere la macchina...».

«William, dimmi subito: cosa ne hai fatto?».
William si stava riempiendo di nuovo la pipa.
«Datti una regolata, Capo», gli consigliò. «Mami mi ha detto che non c'era nulla di male. Ed io avevo bisogno di grana per il primo pagamento della macchina. Non farti saltare un'arteria, ora. Ti darò lo scontrino del Monte dei Pegni».

«Ma... si può sapere cosa t'è successo, Wil­liam?».
William aspirò pigramente dalla pipa.
«Un tipo... un imbecille con una Buick nuova di zecca, mi è venuto addosso», rispose in tono lamentoso. «Pretendeva che io avessi invaso il suo lato della strada. Ha chiamato i vigili, e ha do­vuto ricorrere al carro-attrezzi.

«La macchina è tua e così sarà per la fattura. Non m'interessa come pensi di si­stemare la faccenda».
William si produsse in uno strano gesto di indolenza con la pipa.
«Sei in errore, come sempre, Capo. Vedi, non volevano vende­re a me la macchina. Così ho dovuto chiamare Mami perché ve­nisse a firmare i documenti. Non credo dunque che te la possa cavare tanto facilmente, Capo. Sei tu quello che paga qui dentro. Hai del tabacco?».
«Eccoti il tuo tabacco». Indicò gesticolando il centro nudo del­la tavola.

(http://www.enmu.edu/academics/excellence/williamson/nimages/photos/JW%20alone.jpg)

H. Beam Piper
Camminò intorno ai cavalli


Ieri, ero appena rientrato da un addestramento del mio plotone, quando l'attendente del colonnello Keitel mi ha in­formato che il colonnello voleva vedermi nel suo alloggio. Ho trovato il vecchio in bassa uniforme nel suo soggiorno, che fumava la pipa.
«Entri, tenente, entri e si sieda, ragazzo mio!»

Il vecchio ha tirato parecchie energiche boccate dalla sua fa­mosa pipa, soffiando il fumo attraverso i baffi. «Questa volta, Rudi, Hartenstein ha tirato fuori dalle ceneri una pa­tata bollente, e vuole passarla a suo zio prima che gli scotti le mani.

Ora, mi ascolti. Dovrà condurre questo diplomatico fantasioso, o questo pazzo, o qualunque altra stramaledetta cosa sia, a Berlino. È questo le sia ben chiaro». Mi ha puntato addosso la pipa come se fosse una pistola. «I suoi ordini sono di condurlo fin là e di consegnarlo al Ministero di Polizia. Niente è stato detto se deve consegnarlo vivo o morto, oppure metà dell'uno e metà dell'altro.

(http://www.sfbg.us/authors/h/h_beam_piper/H_Beam_Piper.jpg)

Charles L. Harness
Ha fatto per tutta la vita l'avvocato, nel Connecticut e poi a Washington D.C., ma nel tempo libero gli piaceva scrivere fantascienza. E, per forza di cose, molte sue storie avevano come sfondo il mondo dei tribunali.Charles L. Harness, nato in Texas nel dicembre del 1915, è morto il 20 settembre 2005. Aveva studiato chimica per poi scoprire la sua vera vocazione, la legge e il diritto.

La nuova realtà

Allungò la mano per dare un colpetto con la sua pipa nel grande portacenere circolare ac­canto alla scrivente, e stava dandone un secondo quando si arrestò a metà del gesto.Tirò fuori un metro a nastro dalla scrivania e lo distese di traverso sul portacenere. Venticinque centimetri e quattro millimetri. Poi lo dispose tutt'intorno alla circonferenza. Ot­tanta centimetri. Abbastanza preciso, tutto considerato. Era un risultato che qualunque scolaro curioso avrebbe potuto ottenere.

Poi, l'uomo alto e scarno gli indicò una sedia accanto alla scrivania. «Si sieda, signor Prentiss».Prentiss cominciò a rovistarsi in tasca alla ricerca della pipa.
Prentiss si stava concentrando nell'operazione di accen­dere la sua pipa.
Si chiese se fosse visibile il lieve tremito del fiammifero ac­ceso.
Il professore si girò verso la sua scrivania, aprì il cassetto più in alto, e e tirò fuori un libretto sottile rilegato in cuoio nero.
L'investigatore tossì, espellendo una nuvola di fumo.Oh, suvvia, non sia timido».Prentiss diede una profonda tirata alla sua pipa.


(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/ru/f/f2/Harness_Charles_L_001.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Maggio 2006, 21:14:43
Jerome Bixby
Passato a miglior vita il 28 Aprile aveva settantacinque anni, Quale migliore commemorazione che ricordarlo quì.
Anche se le tue pipe terrene sono spente ti auguro di fumare leggere pipe celesti con virginia paradisiaci.
Jerome Bixby deve la sua fama soprattutto al racconto It's a "good" life (tradotto anche in Italia e incluso in svariate antologie). Da questo racconto fu tratta una puntata del telefilm Ai confini della realtà, e un episodio del film omonimo diretto da Joe Dante nel 1983. Bixby ha diviso la sua attività fra la narrativa e le sceneggiature per il cinema e la televisione. Suoi molti episodi della serie classica di Star Trek e di Xfiles.


Una vita splendida

I Reilly gli offrirono un astuccio portaoggetti, da loro confe­zionato. Non dissero quali oggetti, ma Dan dichiarò che ci avrebbe tenuto i suoi gioielli personali. I Reilly l'avevano fatto utilizzando una scatola di sigari, dalla quale avevano tolto con cura la carta, imbottendola poi con del velluto. L'esterno era stato lucidato e intagliato da Pat con molta cura, anche se con mano poco esperta - ma anche questo lavoro si meritò i com­plimenti di tutti. Dan Hollis ricevette molti altri doni: una pipa, un paio di lacci per scarpe, una spilla per cravatta, un paio di calzini fatti a maglia, un po' di dolci caramellati, un paio di giarrettiere fatte con delle vecchie bretelle
Dan svolse dalla carta ogni regalo con immenso piacere, e si mise subito addosso tutti quelli che poteva, perfino le giarret­tiere. Si accese la pipa e dichiarò di non aver mai fumato me­glio in vita sua; ma questo non era del tutto vero, perché la pi­pa non era mai stata usata. Pete Manners l'aveva tenuta in casa da quando l'aveva ricevuta in regalo quattro anni prima da un parente di fuori, il quale non aveva saputo che lui aveva smes­so di fumare.
Dan caricò di tabacco con molta attenzione il fornello della pipa. Il tabacco era prezioso. Era stato un autentico colpo di fortuna che Pat Reilly avesse deciso di tentare di coltivarlo nel suo orto, appena prima che a Peaksville accadesse ciò che era accaduto. Il tabacco non cresceva troppo bene, e poi doveva venir essiccato e tagliato e tutto il resto, ma era ugualmente ro­ba molto preziosa. Tutti in città usavano dei bocchini di legno fatti dal vecchio McIntyre, per sfruttare proprio fino in fondo le cicche.

(http://publ.lib.ru/ARCHIVES/B/BIKSBI_Dreksel_Djerom_L'yuis/.Online/Biksbi_D._D._L.-1..jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Maggio 2006, 21:34:10
Michael Shaara
Fuma la pipa fino dai tempi del college.
Ha avuto  il premio Pulitzer per The Killer Angels, un'allucinante rievocazione della battaglia di Gettysburg. Professore di storia e ricercatore,scrive molto e dai suoi romanzi sono stati tratti molti films,fra cui "gioco d'amore" "Gods and generals"di cui Bob Dylan ha voluto curare la colonna sonora,tema conduttore la famosa canzone:
DALL'ALTRA PARTE DELLA VERDE MONTAGNA
parole e musica Bob Dylan
Vado al di là della verde montagna, mi siedo vicino alla corrente
Il paradiso arde nella mia testa, ho fatto un sogno mostruoso
E' venuto su qualcosa fuori dal mare
Si è mosso velocemente attraverso la terra dei ricchi e dei liberi
Guardo negli occhi del mio misericordioso amico
E poi mi domando, è questa dunque la fine?
Ricordi indugiano, tristi eppure dolci
E penso alle anime in paradiso che incontreremo
Gli altari stanno bruciando con alte fiamme lontane
I nemici sono passati dall'altro lato
Si toccano i berretti dalla cima della collina
Puoi sentirli arrivare per versare altro sangue di coraggiosi
Lungo il pallido confine atlantico
la terra devastata si estende per miglia indietro
La luce sta avanzando e le strade sono ampie
Tutto deve arrendersi al Dio vendicativo
Il mondo è vecchio, il mondo è grigio
lezioni di vita non possono essere apprese in un sol giorno
Guardo ed aspetto ed ascolto mentre sto in piedi
la musica che arriva da una lontana terra migliore
Chiudo gli occhi del nostro capitano, possa riposare in pace
la sua lunga notte è finita, il grande capo è stato abbattuto
era pronto a cadere, era pronto a difendere
ucciso al primo colpo dai suoi stessi uomini
E' l'ultima ora dell'ultimo giorno dell'ultimo anno felice
Sento che il mondo sconosciuto è vicino
l'orgoglio svanirà e la gloria marcirà
ma la virtù sopravvive e non può essere dimenticata
Le campane della sera hanno rintoccato
c'è blasfemia su ogni lingua
che dicano che ho camminato nella bella luce della natura
e che fui leale alla verità ed al bene
Servi il Signore e sii lieto, guarda verso l'alto al di là
al di là delle tenebre delle maschere, le meraviglie dell'alba
nell'erba verde e profonda e nel bosco macchiato di sangue
non si sono mai sognati di arrendersi,son caduti sul posto in cui erano
Stelle cadono sull'Alabama, le vedo una per una
stai camminando nei sogni chiunque tu sia
gelidi sono i cieli, pungente il freddo
il suolo gela ed il mattino è perduto
E' giunta una lettera alla madre oggi
ferita di fucile al petto, diceva
ma presto starà meglio, è in un letto d'ospedale
ma non starà mai meglio, è già morto
Sono a dieci miglia dalla città e sono sparito
in una luce antica che non è quella del giorno
erano tranquilli erano schietti, li conoscevamo tutti troppo bene
ci amavamo l'un l'altro più di quanto mai abbiamo osato dire



Giorno dell'elezione

Larkin scelse una morbi­da e profonda poltrona vicino alla lunga fila di cabine e si sedette. Rimase seduto a lungo fumando la sua pipa, osservando la gente che entrava e usciva dalle cabine con un'espressione tesa e ansiosa sul volto.
Il professor Larkin era un uomo magro, con un volto da ragaz­zo, sulla tarda quarantina. Con la pipa in mano appariva molto più serio e composto di quanto si sentisse abitualmente, e spesso lo seccava che la gente riuscisse quasi subito a indovinare la sua pro­fessione. Aveva la vaga idea che non fosse dignitoso sembrare un professore universitario, e spesso cercava di cambiare il proprio aspetto: una cravatta chiassosa qui, una giacca sportiva là, ma non sembrava mai fare nessuna differenza.

(http://www.iblist.com/images/portraits/300.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 05 Maggio 2006, 12:50:37
mai sentito, in effetti
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Maggio 2006, 11:01:53
Giovanni Guareschi
«A noi uomini comuni i figli e i nipoti interessano più di ogni altra cosa. Più ancora di noi stessi, perché noi ci consideriamo il chicco di grano che si nutre dei succhi della terra per dar vita alla spiga e la nostra esistenza è in funzione della spiga.»

Don Camillo e i giovani d'oggi

Don Camillo nella chiesa deserta illuminata soltanto da due ceri dell'altare stava chiacchierando col Cristo crocifisso.
« Non è certo per criticare il vostro operato » concluse un bel momento. « Ma io non avrei permesso che un Peppone diventasse sindaco con una giunta nella quale soltanto due persone sanno correttamente leggere e scrivere. » « La cultura non conta un bel niente, don Camillo » rispose sorridendo il Cristo. « Quelle che contano sono le idee .
I bei discorsi non concludono niente se sotto le belle parole non ci sono idee pratiche.
Prima di dare un giudizio mettiamoli alla prova. » « Giustissimo » approvò don Camillo. « Io dicevo questo semplicemente perehé, se avesse vinto la lista dell'avvocato, avevo già l'assicurazione che il campanile sarebbe stato rimesso a posto.
Ad ogni modo se la torre crollerà, in eompenso sorgerà in paese una magnifica casa del popolo con sale da ballo, vendita di liquori, locale per il gioco d'azzardo, teatro per spettacoli di varietà... » « E serraglio per metterci dentro i serpenti velenosi come don Camillo » concluse il Cristo.
Don Camillo abbassò il capo.
Gli dispiaceva di essersi dimostrato così maligno.
Alzò la testa.
« Voi mi giudicate male » disse. « Voi sapete cosa significhi per me un sigaro.
Ebbene, ecco : questo è l'unico sigaro che io posseggo, e guardate quel che ne faccio. »
Trasse di tasca un sigaro e lo sbriciolò con l'enorme mano.
« Bravo » disse il Cristo. « Bravo don Camillo.
Accetto la tua penitenza.
Però adesso tu mi fai vedere a buttar via le briciole perché tu saresti capace di mettertele in tasca e fumartele poi nella pipa. » « Ma qui siamo in chiesa » protestò don Camillo.
« Don Camillo non ti preoccupare.
Butta il tabacco in quell'angolo. » Don Camillo eseguì sotto lo sguardo compiaciuto del Cristo, ed ecco si udì bussare alla porticina della sagristia ed entrò Peppone.
« Buona sera, signor sindaco » esclamò don Camillo con molta deferenza.
« Sentite » disse Peppone. « Se un cristiano ha un dubbio su una cosa che ha fatto e viene da voi a raccontarvela, se vi accorgete che quello ha commesso degli errori, voi glieli fate rilevare o potete anche infischiarvene? » Don Camillo si seccò.
« Come osi mettere in dubbio la dirittura di un sacerdote?
(http://www.sigarotoscano.it/IMMAGINI/Guareschi.jpg)
Titolo: autori....
Inserito da: coureur-des-bois - 06 Maggio 2006, 15:29:52
E con questo hai fatto felice il Segretario!
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Maggio 2006, 15:44:54
Speriamo,almeno si distrae un po'.

Allego i link dei 3d fuori dalla sezione:
http://www.toscopipa.com/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=431

http://www.toscopipa.com/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=430

http://www.toscopipa.com/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=402

http://www.toscopipa.com/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=384
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 06 Maggio 2006, 15:59:41
Sono pagine che ricordano antiche avvedutezze, periodi di miseria materiale ma di grandissima ricchezza spirituale.

Grande Guareschi (e anche grande Enzo)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Maggio 2006, 15:04:09
Milton Caniff 1907-1988
è stato definito il "Rembrandt dei fumetti" (c'è anche un libro così intitolato a lui dedicato) e, senza voler fare inutili classifiche, è sicuramente stato uno due o tre autori più importanti e più influenti della storia del fumetto mondiale. A lui si sono rifatti artisti del calibro di Jack Kirby, Romano Scarpa, Frank Miller e Hugo Pratt (per citarne solo alcuni). Caniff non era unico solo nello stile grafico, che in realtà deve anche molto al suo collega Noel Sickles, ma era assolutamente insuperabile come narratore, come creatore di plot intriganti e personaggi reali e moderni, che infatti rimagono leggibilissimi ancora oggi.
Le sue serie più famose Terry e i pirati 1930 circa Steve canyon e tantissime altre. sempre eroi americani alcuni con i pantaloni alla zuava tutti con la pipa in bocca,che salvavano il mondo a furia di cazzotti,le sue storie sono state pubblicate sui giornali italiani solamente dal 1946 uno di essi era il fù "Mattino" di Firenze.
Si autoritreva sempre con bellissime pipe inglesi e italiane in bocca,ma ci fumava tabacco alla melassa,o cavendish al gusto di Coca Cola.
(http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/2366-009.jpg)
(http://www.gasolinealleyantiques.com/cartoon/images/miscellaneous/caniff.jpg)
(http://www.rcharvey.com/images/caniff1.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Maggio 2006, 22:45:32
Carlo Bini 1806-1842

Alla fine del 1828 cominciò a collaborare all'Indicatore livornese, diretto da Guerrazzi, con articoli sull'educazione, la letteratura e alcune traduzioni da Sterne e Byron. Nel 1830 conobbe a Livorno Mazzini, col quale si creò subito un rapporto di stima reciproca. Mazzini gli affidò la diffusione del programma della Giovine Italia in Toscana.
Pur aderendo all'iniziativa politica, Bini non fu un attivista del movimento; tuttavia nel settembre del 1833 fu arrestato come elemento sospetto e scontò tre mesi di carcere all'isola d'Elba, durante i quali scrisse il dialogo Il Forte della Stella e il Manoscritto di un prigioniero.
Dopo il rilascio rinsaldò i legami di amicizia con Mazzini, allontanandosi invece da Guerrazzi. Nell'ultima parte della vita si dedicò ad un'intensa opera di traduzione. Le sue opere furono raccolte in una pubblicazione postuma, Scritti (1843) la cui prefazione Ai giovani fu scritta da Mazzini.



Manoscritto di un prigioniero

Che buon odor di caffè! Sentite, il profumo vien fino a noi; - come mi lusinga le nari! Questa volta il soprastante l'ha detta giusta; è un Levante legittimo, e carico per bene; oh! non si sbaglia; io non so come, ma me ne intendo.
Attenzione! Attenzione! Il Signore si fa inverso la finestra; ecco là fisso fisso; - ha dato uno sguardo verso di noi, e poi l'ha ritirato, come se noi non fossimo nessuno: - eh! ve l'ho detto sem­pre; saranno buoni, affabili come volete, ma, dàgli e ridàgli, il ticchio del Signore vien sempre a galla. Che bella pipa, eh! - bianca come il latte; - non è mica di gesso, che abbiate a credere! - è spuma di mare, e sarà costata le belle monete.   E il ta­bacco? è Latakia pretto pretto, come voi siete un uomo. - E che foglio legge? - che disgrazia l'esser miope! -

io noi farei, - soggiungeva Giorgio, - giusto appunto perché mi è venuto fatto di osservare che le opinioni, anche buttate là colla stessa insouciance colla quale soffio il fumo della mia pipa, possono cadere in frodo peggio del ta­bacco, e la multa non è lieve, ed è certa sempre la perdita della merce, e talvolta anche quella della persona; per questo io noi farei, e procurerei al summum di tenermele a mente per ridirtele poi testa testa nel giolito d'un simposio, nell'intervallo fra un bicchiere e l'altro


(http://www.jose-corti.fr/Images/photosauteurs/romantique/Bini.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Maggio 2006, 23:18:25
Giovanni Verga 1840-1922

Rappresenta un mondo di primitivi in lotta con il destino avverso cui inesorabilmente soccombono quando si staccano dalla religione, dalla famiglia e dal lavoro. Il linguaggio verghiano è arditamente innovatore: dando spazio al linguaggio dialettale riesce a raggiungere effetti di grandiosa coralità.

MALAVOGLIA


E' sta meglio di compare Bastianazzo, a quest'ora! ripeteva Rocco Spatu, accendendo la pipa sull'uscio.
E senza pensarci altro mise mano al taschino, e si lasciò andare a fare due centesimi di limosina.
- Tu ci perdi la tua limosina a ringraziare Dio che sei al sicuro, gli disse Piedipapera; per te non c'è pericolo che abbi a fare la fine di compare Bastianazzo.

Cipolla, per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un'occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volessero rubargliela. Finalmente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa

La Provvidenza l'avevano rimorchiata a riva tutta sconquassata, così come l'avevano trovata di là dal Capo dei Mulini, col naso fra gli scogli, e la schiena in aria. In un momento era corso sulla riva tutto il paese, uomini e donne, e padron 'Ntoni, mischiato nella folla, guardava anche lui, come gli altri curiosi. Alcuni davano pure un calcio nella pancia della Provvidenza, per far suonare com'era fessa, quasi non fosse più di nessuno, e il poveretto si sentiva quel calcio nello stomaco. - Bella provvidenza che avete! gli diceva don Franco, il quale era venuto in maniche di camicia, e col cappellaccio in testa, a dare un'occhiata anche lui, fumando la sua pipa.
- Questa ora è buona da ardere, conchiuse padron Fortunato Cipolla; e compare Mangiacarrubbe, il quale era pratico del mestiere, disse pure che la barca aveva dovuto sommergersi tutt'a un tratto, e senza che chi c'era dentro avesse avuto tempo di dire «Cristo aiutami!» perché il mare aveva scopato vele, antenne, remi e ogni cosa; e non aveva lasciato un cavicchio di legno che tenesse fermo.

Quelli sono carogne, che non gli importa un corno della patria! sbraitava don Franco, tirando il fumo dalla pipa come se volesse mangiarsela. Gente che non muoverebbe un dito pel suo paese.
- Tu lasciali dire! diceva padron 'Ntoni a suo nipote, il quale voleva rompere il remo sulla testa a chi gli dava della carogna; colle loro chiacchiere non ci danno pane, né ci levano un soldo di debito dalle spalle.
Lo zio Crocifisso, il quale era di quelli che badano ai fatti propri, e quando gli cavavano sangue colle tasse si masticava la sua bile dentro di sé, per paura di peggio,

Qui prese parte al discorso lo speziale, il quale veniva a fumare la sua pipa sulla riva, dopo desinare, e pestava l'acqua nel mortaio che così il mondo non andava bene, e bisognava buttare in aria ogni cosa, e rifar da capo

che certuni abbiano a rompersi la schiena contro i sassi, e degli altri stiano colla pancia al sole, a fumar la pipa, mentre gli uomini dovrebbero essere tutti fratelli, l'ha detto Gesù, il più gran rivoluzionario che ci sia stato.

Quando 'Ntoni Malavoglia incontrò don Michele per dargli il resto fu un brutto affare, di notte, mentre diluviava, ed era scuro che non ci avrebbe visto neppure un gatto, all'angolo della sciara verso il Rotolo, dove bordeggiavano quatte quatte le barche che facevano finta di pescar merluzzi a mezzanotte, e dove 'Ntoni andava a ronzare, con Rocco Spatu, e Cinghialenta, ed altri malarnesi, colla pipa in bocca, che le guardie le conoscevano ad una ad una quelle punte di fuoco delle pipe, mentre stavano appiattate fra gli scogli con le carabine in mano.
- Comare Mena, - aveva detto don Michele un'altra volta passando dalla strada del Nero; - ditegli a vostro fratello di non andarci di notte al Rotolo, con Rocco Spatu e Cinghialenta.

(http://www.akkuaria.com/catania/imm/verga.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Maggio 2006, 23:41:47
Daniel Defoe 1660-1731

Considerato tra i fondatori del giornalismo moderno. Intorno ai sessant'anni si distaccò progressivamente dall'attività pubblica e nel giro di pochi anni scrisse i romanzi per cui è rimasto famoso.
Non si hanno notizie su che marca di tabacco fumasse,ma suppongo un forte naturale, come il suo carattere
Meno famosi ,oggi,i suoi libelli riformisti ,scritti contro le ipocrisie del potere dell'Inghilterra del suo tempo,che lo portarono all'arresto e tre volte sulla gogna.
Il tema ricorrente nelle satire di Defoe: "la condanna che viene inflitta agli innocenti e l'impunità dei colpevoli"
 



Robinson Crusoe

Dopo aver risolto questo problema, che richiese un lungo lasso di tempo, cominciai a studiare la possibilità di procurarmi due cose di cui avevo assoluta necessità. Non disponevo di alcun recipiente adatto a contenere liquidi, ad eccezione di due barili ancora semipieni di rhum, e di qualche bottiglia di vetro; alcune di foggia comune ed altre impagliate, di forma quadra, per conservare acqua, liquori e altre bevande. Non avevo nemmeno una pentola per farvi bollire qualcosa, ad eccezione di una specie di calderone che avevo recuperato dalla nave, ed era troppo grande per gli usi che mi proponevo, cioè per farmi del brodo o cuocermi in umido un pezzo di carne. Inoltre mi sarebbe piaciuto avere una pipa per il tabacco, ma fabbricarla sembrava impresa inattuabile; alla fine, però, avrei trovato una soluzione anche per questo.

Feci progressi in tutte le attività manuali alle quali ero costretto a dedicarmi per soddisfare le mie necessità, e credo che all'occorrenza mi sarei rivelato un eccellente falegname, tenuto conto che avevo a disposizione pochissimi utensili. Raggiunsi inoltre un'insperata perfezione nell'arte della terracotta, elaborando allo scopo una ruota che facilitava il lavoro e migliorava i risultati; infatti ottenevo oggetti rotondi, suscettibili di essere sagomati, mentre prima risultavano sempre di forma né più né meno orrenda. Ma credo di non essermi mai sentito tanto fiero della mia abilità, o così contento di aver scoperto qualcosa, come mi sentii per esser finalmente riuscito a fabbricarmi una pipa. A lavoro ultimato risultò quanto mai grossolana e informe, del color rosso di tutti gli altri oggetti di terracotta, ma era solida e durissima, e tirava alla perfezione. Ne trassi la più viva soddisfazione, perché fumare mi era sempre piaciuto, e in principio, non sapendo che sull'isola cresceva spontaneamente il tabacco, avevo omesso di prelevare le pipe che si trovavano sulla nave; poi, quando avevo frugato nel relitto per la seconda volta, non ero più riuscito a trovarne una sola.

Dovetti assistere al doloroso spettacolo del cadavere di un giovane annegato venire a riva nel punto dell'isola più vicino al relitto della nave. Indosso non aveva altri indumenti all'infuori di una giubba da marinaio, un paio di brache corte di tela e una camicia azzurra. Nessun elemento mi consentì di ricostruire a quale nazione appartenesse. In tasca aveva solo due pezzi da otto reali e una pipa, e quest'ultima aveva per me un valore di gran lunga superiore al denaro.

(http://img.tfd.com/authors/defoe.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Maggio 2006, 09:02:27
Pirandello Luigi(1867-1936)

La crisi dell'uomo contemporaneo trova nell'arte di Luigi Pirandello un testimone e un'interprete d'eccezione. Con la sua intensa e spregiudicata attività letteraria, rappresentata soprattutto dalla sua opera di narratore e di drammaturgo, Pirandello compì una spietata esplorazione della condizione dell'uomo del suo tempo, del suo smarrimento, della sua dissipazione morale, della sua disperata solitudine.

Da:  Novelle Per un Anno

- Chi c'era mai stato! Nero, tutto nero, cielo e mare. Solo la vela, stesa, biancheggiava. Le stelle, fitte fitte, alte, parevano polvere. Il mare si rompeva urtando contro i fianchi della tartana, e l'albero cigolava. Poi spuntò la luna, e il bestione si abbonacciò. I marinai, a prua, fumavano la pipa e chiacchieravano tra loro; io, buttato là, tra le balle e il cordame incatramato, vedevo il fuoco delle loro pipe; piangevo, con gli occhi spalancati, senz'accorgermene. Le lagrime mi cadevano su le mani. Ero come una creatura di cinque anni; e ne avevo trentatré! Addio, Sicilia; addio, Valsanìa; Girgenti che si vede da lontano, lassù, alta; addio, campane di San Gerlando, di cui nel silenzio della campagna m'arrivava il ronzìo; addio, alberi che conoscevo a uno a uno... Voi non vi potete immaginare, come da lontano vi s'avvistino le cose care


-   Nel cuore? Eh, poveretto!
- No. - Don Saverio accenna alla guancia. - Come se ci avessi un cane addentato.
- Scherzi del dolore... - gli risponde uno degli amici.
E un altro gli propone, con esitanza:
- Per stordirlo, una fumatina...
Il terzo gli offre un sigaro.
- Ma che! No! - si schermisce il “Mago”, quasi offeso: - Fana è lì, morta; come faccio a fumare io qua?
Un quarto si stringe nelle spalle e osserva:
- Non vedo che male ci sarebbe, se non fumate per piacere...
E quell'altro gli offre di nuovo il sigaro (tentazione).
- Grazie, no... se mai, la pipa... - dice don Saverio, cavando, esitante, dalla tasca una vecchia pipa intartarita.
I quattro amici lo imitano.
- Come vi sentite adesso? - gli domanda uno, di lì a poco.
- Ma che! lo stesso... - risponde il “Mago”. - Arrabbio dal dolore.
- Forse, date ascolto a me, un goccetto di vino... - suggerisce il primo, rattristato e premuroso.

Andava il mortorio silenzioso per le vie della cittaduzza, a quell'ora deserte.
Il freddo era intenso, e andavano gli uomini stretti nelle spalle e con le mani in tasca, guardando il fiato vaporare nell'aria rigida invece del fumo della pipa che non accendevano per rispetto alla morta; andavano le donne avvolte negli scialli neri di lana o nelle mantelline di panno, conversando tra loro a bassa voce; e borbottando orazioni, le vecchie. Di tratto in tratto il mortorio s'arrestava, e i portantini si davano il cambio.

Ma poi, prima il Cleen, con qualche ritegno, lo pregò di tradurre per Venerina un pensiero gentile che egli non avrebbe saputo manifestarle; quindi Venerina, timida e accesa, lo pregò di ringraziarlo e di dirgli...
- Che cosa? - domandò don Paranza, sbarrando tanto d'occhi. E poiché, dopo quel primo scambio di frasi, la conversazione tra i due fidanzati avrebbe voluto continuare attraverso a lui, egli battendo le pugna su la tavola:
- Oh insomma! - esclamò. - Che figura ci faccio io? Ingegnatevi tra voi.
Si alzò, fra le risa dei due giovani, e andò a fumarsi la pipa sul divanaccio, brontolando il suo porco diavolo nel barbone lanoso.

Non più di due mesi dopo, nello studio del Pogliani, ingombro già d'un colossale monumento funerario tutto abbozzato alla brava, Ciro Colli, sdrajato sul canapè col vecchio camice di tela stretto alle gambe, fumava la pipa e teneva uno strano discorso allo scheletro, fissato diritto su per la predellina nera, che s'era fatto prestare per modello da un suo amico dottore


 Meno male che, da qualche tempo, era riuscito ad addormentarla un poco, col veleno, fumando da mane a sera in quella pipa dalla canna lunghissima, mentre con la mano si lisciava il fiocco del berretto da bersagliere

Invano il medico gli diceva che l'anima non c'entrava, non aveva che vederci, e che quella tosse gli veniva dai bronchi attossicati, e che smettesse di fumare o non fumasse più tanto, se non voleva incorrere in qualche malanno.
- Caro signore, - gli rispondeva, - consideri la mia bilancia! In un piatto, tutti i pesi della vecchiaja; nell'altro ci ho soltanto la pipa. Se la levo, tracollo. Che mi resta? Che faccio più, se non fumo?
E seguitava a fumare.



(http://www.pirandello-zentrum.uni-muenchen.de/pirandello.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Maggio 2006, 09:10:23
Antonio Fogazzaro (1842-1911)

Ingredienti della sua narrativa : l'ambientazione aristocratica, la rappresentazione macchiettistica e dialettale delle classi inferiori, i contrasti sentimentali di anime nobili e raffinate, la mescolanza di religione e sensualità, il tentativo di conciliare la fede con la scienza. In particolare su questo terreno Fogazzaro si impegnò in un'opera di propaganda anche teorica che la portò a discutere in numerose sedi le tesi della filosofia positivistica e dell'evoluzionismo darwiniano. Il suo programma di un rinnovamento cristiano lo portò a condividere le posizioni, guardate con sospetto dalla Chiesa Cattolica

Malombra

Da quel tempo gli era rimasta l'abitudine di svegliarsi ogni due ore per tutte le notti. Veniva alla finestra in camicia e fumava: guai se lo sapesse il conte! Egli era stato avvezzo a fumare virginia , quando serviva, come capitano, negli usseri austriaci, prima del 1848. Aveva passato poi qualche giorno senza mangiare, senza tabacco mai. Il regime del conte lo faceva soffrire, gli metteva i nervi sossopra.

Un colpo di vento sul viso strappò quella esclamazione a Steinegge che fu appena in tempo di gettare il sigaro e di chiudere la finestra. Il sigaro passò come una stella cadente sugli occhi di Silla, i vetri suonarono in alto, le foglie stormirono dietro la casa. Steinegge, tremando d'aver lasciato entrare una boccata di fumo, fiutando l'aria infida, tornò a letto, a sognar che usciva dalla galera turca e che il padischah sorridente gli offriva la sua pipa imperiale colma di buon tabacco di Smirne.

Diceva d'immaginare la Germania come una pipa, una enorme testa rotta di gesso, dal muso di borghese obeso, a cui bruci senza fiamma nel cervello aperto del tabacco umido, malsano, e n'escano spire di fumo denso, forme azzurrognole, mobili dal grottesco al sentimentale, nuvolette che diventano nuvole, nuvoloni; i quali poco a poco vi calano addosso, vi avviluppano, vi tolgono di vedere e di respirare.



(http://img.allpoetry.com/images/custom/GypsyDreamer/fogazzar.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Maggio 2006, 17:27:12
Per restare al top,un Fumatore fantastico sotto ogni aspetto.

Ray Bradbury

Uno dei temi ricorrenti anche se nascosti nelle sue opere è il diritto di ognuno ad essere ciò che è, senza per questo aver paura di offendere la sensibilità di altri, una sfida all’ipocrisia del "politically correct". È un manifesto di lotta alla omologazione collettiva, al tentativo, presente tuttora nelle grandi società multietniche e multirazziali, di dissolvere ogni tipicità in un grande minestrone insapore ed inodore; è la certezza che la Ragione, come unica vera fonte di tolleranza, non morirà mai.

Bradbury è, a volte, fin troppo cosciente delle sue possibilità dal punto di vista verbale e sintattico, va però riconosciuto che le immagini più folgoranti ed evocative gli nascono dall'inconscio, spontanee e sorprendenti come gemme. Bradbury è essenzialmente un narratore dell'inconscio e fuma soltanto tabacco !!

Cronache Marziane

"Sono vecchio ormai" ansimò il capitano "mentre tu sei ancora giovane. Del resto, anche allora mi battevi sempre, me lo ricordo benissimo!" Sulla soglia, la mamma, rosea, grassoccia e sorridente. Alle sue spalle, brizzolato, papà, la pipa in mano.
"Mamma, papà!"
E corse loro incontro sugli scalini della veranda, come un bambino.
"Sei stanco, figliolo" disse papà puntandogli contro la pipa. "La tua vecchia camera da letto ti aspetta, col solito lettino in ferro e tutto il resto."

Stavano nell'ombra soffocante del porticato, davanti alla porta del negozio di chincaglierie.
Uno degli uomini smise di accendere la pipa; un altro sputò lontano, nella polvere ardente.
"E' impossibile. Non possono andarsene.
"Possono, se lo stanno facendo."

Un uomo era seduto sulla soglia di casa, a fumare la pipa.
"Ciao, Mike."
"Hai forse bisticciato con la moglie? E sei uscito a passeggiare,   per
farti sbollire la rabbia?"

 Gli abbiamo offerto di venir via con noi, ma non ha voluto saperne. L'ultima immagine che abbiamo avuto di lui è stata quando lo abbiamo visto che, stravaccato su una poltrona a dondolo, in mezzo all'autostrada, la pipa in bocca, ci salutava sventolando la mano.

Il Popolo dell' Autunno

Dio, quando ci si sdraia, i pensieri diventano muffa. Diavolo!"
Will sentì uno scricchiolio, quando papà si levò a sedere nel buio. Un fiammifero acceso, una pipa veniva fumata. Il vento faceva vibrare le finestre.
"... un uomo con i manifesti sotto il braccio..."
"... luna park..." disse la voce della mamma. "... in questa stagione?"
Will voleva scostarsi, ma non poté.

Si tolse dalla tasca la borsa del tabacco, riempì la pipa, mentre stavano accanto all'edera, e i gradini nascosti porta­vano su verso i letti caldi, verso le stanze sicure; poi accese la pipa e disse: "Ti conosco bene. Non ti comporti da col­pevole. Tu non hai rubato niente".

Forse tutto sarebbe passato, forse... forse...
"Sì, Will?" disse suo padre, a fatica, mentre la pipa gli si spegneva tra le mani. "Continua."
Prese il braccio di Will, lo sospinse, lo fece sedere sui gra­dini del portico, riaccese la pipa. Poi disse:
"E va bene. Tua madre dorme. Non sa che siamo qui fuori, a conversare come gatti. Possiamo continuare. Senti, da quando in qua tu pensi che essere buoni significhi essere felici?"
"Da sempre."

La pipa di papà si era spenta di nuovo. Si interruppe per vuotarla e ricaricarla.
"No, papà," protestò Will.
"Sì," disse suo padre, "sarei uno sciocco se non sapessi di essere uno sciocco. La mia unica saggezza è questa: tu sei saggio."
"Farei e direi qualsiasi cosa che possa renderti felice, papà."
"Willy, William," papà riaccese la pipa e guardò il fumo dissolversi dolcemente, "dimmi soltanto che vivrò per sem­pre. Questo andrebbe bene."
La sua voce, pensò Will, non lo avevo mai notato. Ha lo stesso colore dei suoi capelli.
"Papà," disse, "non essere così triste."


E il padre di Will si alzò, riempì la pipa di tabacco, si frugò le tasche per cercare i fiammiferi, ne trasse una vecchia armonica, un temperino, un accendino che non funzionava e un taccuino su cui ave­va sempre pensato di scrivere grandi pensieri che non scri­veva mai, e allineò quelle armi per una guerra di pigmei che poteva essere perduta prima ancora di incominciare. Frugò tra quelle cose inutili, scuotendo il capo, e finalmente trovò una scatoletta di fiammiferi, accese la pipa e cominciò a ri­flettere, camminando su e giù per la stanza.

Il vecchio accese la pipa, ne trasse uno sbuffo di fumo e lo seguì con lo sguardo, attentamente. "No. Ma io credo che si serva della Morte come di una mi­naccia. La Morte non esiste. Non è mai esistita e non esisterà mai. Ma noi ne abbiamo tracciato tante immagini, per tanti anni, cercando di fissarla, di comprenderla, che abbia­mo cominciato a considerarla un'entità, stranamente viva e avida.

(http://www.fantasticfiction.co.uk/images/0/323.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Maggio 2006, 17:53:54
Philip José Farmer

Un autore capace di affascinare con avventure, paesaggi e situazioni inconsueti che tengono il lettore incollato alla pagina.C'è chi lo ama svisceratamente e chi non lo sopporta. C'è qualcuno che lo crede uno scrittore impegnato e difficile, chi un autore avventuroso e leggero, e qualcuno anche uno scribacchino pornografico. Hanno tutti ragione, e forse è proprio questo il punto davvero straordinario di Philip Jose Farmer. Un autore capace di infrangere tabù in epoca in cui i tabù sono ancora forti.

Il Fiume della Vita

L'odore era una peculiare combinazione di tabacco da pipa, di marijuana, di un pungente, non identificabile, sug­gestivo sapore di incenso, di sperma, di sudore macerato e, forse, di smog inalato e traspirato nuovamente.

E c'era dell'altro, ancor più gradito in quanto inaspettato. Una pic­cola pipa di radica. Un sacchetto di tabacco da pipa. Tre sigari grandi come grissini. Un involucro di plastica contenente dieci sigarette.
- Senza filtro! - esclamò Frigate.
C'era anche una piccola sigaretta color marrone che Burton e Friga­te annusarono dicendo all'unisono: - Marijuana!

Non si poteva far al­tro che dirigersi verso la «reggia» di Goering. Questi era seduto in una larga poltrona di legno, e fumava la pipa. Pregò i due di accomodarsi e offrì loro sigari e vino.
- Di tanto in tanto - disse - mi piace distrarmi un po' e parlare con qualcuno al di fuori dei miei colleghi, che non sono eccessivamente brillanti.

Goering agitò la pipa nell'aria. - Ah, gli ebrei! Questo è il guaio. Mi conoscono troppo bene. Quando cerco di parlare con loro diventano scontrosi.

Goering si alzò con un certo sforzo dalla poltrona e puntò la pipa ver­so Frigate.
- Tu menti! - gridò in tedesco. - Tu menti, scheisshund!

(http://www.educared.org.ar/tamtam/jmages/pjfarmer.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Maggio 2006, 14:54:57
Un mix di fantastici

Julian May

Questa scrittrice, che appartiene alla nuova "età dell'oro" della SF anglosassone, ha un passato di divulgatrice scientifica per i libri per ragazzi (ha scritto oltre 230 articoli in questo senso), qualità che le ha permesso di scrivere romanzi lunghi e articolati, dove però la chiarezza e il percorso globale della storia non si appannano mai. Probabilmente anche lei ha qualcosa a che fare con le pipe.



Dune Roller

«Ehi, Mac», lo chiamò con voce cordiale il dottor Thorne. «Stai attento al nuovo banco di sabbia creato dalla tempesta!»
Una figura sul ponte della barca agitò brevemente la mano e gridò qualcosa d'inintelligibile intorno ad una vistosa pipa infilata fra i suoi denti. Il cabinato girò su se stesso e il borbottio dei suoi motori si spense in un lieve sospiro. L'imbarcazione si fermò, oscillando sulle piccole onde a un centinaio di metri da riva. Dopo pochi minuti, un gommone d'un giallo vivace venne mollato in acqua da sopra la poppa.

La gialla fiancata del gommone raschiò contro la spiaggia petrosa. MacInnes, brizzolato sessantenne, una venerabile pipa di schiuma di mare stretta fra i denti, si arrampicò fuori dal gommone e gratificò Thorne della sua consueta stretta di mano stritolante.
«Ti ho portato un visitatore, stavolta, Ian. Una vera compagnia. Jeanne, questo gentiluomo in pantaloncini corti e cestino da pescatore, è il dottor Ian Thorne, il famoso scrittore e conferenziere.

(http://homepage.eircom.net/~davidspdsl/mayport.jpg)


H. Beam Piper

Onnilinguista

Il turco-tedesco, uno dei suoi due colleghi archeologi, seduto all'estremità del lungo tavolo addossato alla parete opposta, intento a fumare la sua grossa pipa ricurva mentre sfogliava un quaderno di appunti con tutti i fogli staccati.

Nessuna delle due donne aggiunse altro, e un attimo dopo Sachiko si reinfilò la lente e chinò di nuovo la testa sul libro.
Selim von Ohlmhorst sollevò lo sguardo dal suo quaderno di appunti, togliendosi la pipa di bocca.

Diede una lenta tirata alla sua pipa. «Martha, uno di questi giorni irromperemo in uno di quegli edifici e scopriremo che era quello in cui l'ultimo di questa razza è morto. Allora apprenderemo la storia della fine di questa civiltà.»
Esitò, senza esprimere il pensiero in parole. «Un giorno la troveremo, Selim,» disse, poi guardò il proprio orologio. «Farò ancora un po' di lavoro su quella lista, prima di cena.»
Per un istante il volto del vecchio s'irrigidì per la disapprovazione; fece per dire qualcosa, ci ripensò e si rimise la pipa in bocca.

Stese un altro foglio di plastica per chiudere la pagina come in un sandwich, poi prese su la pipa e la riaccese.
«Fare questo lavoro mi diverte, ed è un buon esercizio per le mie mani, perciò non pensare che mi lamenti,» disse, «ma, Martha, credi davvero che qualcuno riuscirà mai a tirar fuori qualcosa da questo?»

Terminò il cocktail e fissò la sua pipa come per chiedersi se doveva riaccenderla quando mancava così poco alla cena, poi se la rimise in tasca. «Un mondo completamente nuovo, ma io sono diventato vecchio, e non è per me. Ho passato la mia vita a studiare gli ittiti. Posso parlare la lingua ittita anche se, forse, re Muwatallis non riuscirebbe a capire il mio moderno accento turco. Ma le cose che dovrei imparare qui.....

(http://www.sfbg.us/authors/h/h_beam_piper/H_Beam_Piper.jpg)

John Farris

Ampiamente lodato dalla critica, ha al suo attivo numerosi romanzi che hanno riscosso un enorme successo di pubblico,i suoi tascabili sono nei supermarket.


Raptus

Quando la donna uscì di nuovo all'aperto il colorito del lord era riapparso; aveva tra i denti una pipa spenta e capovolta, come Ronad Colman in un film in cui pioveva ininterrottamente. A Luxton piaceva molto Ronald Colman.

Burgess dedicava la maggior parte della propria attenzione all'auto che procedeva a fatica e ansimava terribilmente a ogni minima pendenza. La dottoressa guardò parecchie volte lord Luxton mentre armeggiava con la pipa e si palpava distrattamente le tasche della giacca in cerca di fiammiferi, e finalmente borbottò: «Fumi pure, se deve farlo, non mi dà fastidio».

Un nero tarchiato era appoggiato a uno dei pilastri della veranda, accanto ai gradini, e fumava una pipa di pannocchia. Mentre Nhora si avvicinava si tolse lentamente il cappello di paglia e scoprì i denti ricoperti d'oro senza togliersi la pipa di bocca. Su un fianco aveva un rigonfiamento che doveva essere una rivoltella, e di grosso calibro.

Era tutto tranquillo, comunicò, sorridendo come uno che sa come si fa a mantenere la pace. Scroccò a Tyrone un fiammifero per accendere la pipa. Zia Clary Gene, senza scarpe, era seduta in poltrona vicino alle finestre della stanza dei giochi. Aveva gli occhi chiusi, e non li aprì, ma fece capire di averli sentiti entrare con un cenno del capo e un sorriso.

(http://www.fantasticfiction.co.uk/images/0/929.jpg)


Umberto Eco

Dopo L’Isola avevo individuato la Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino, di Giulio Granelli. Come mi era riemerso alla memoria qualche giorno prima, tranne che il libro mi narrava di una pipa ancora calda, abbandonata su un tavolo accanto alla statuetta in creta di un vecchietto, che decideva di dar calore a quella cosa morta per farla nascere, e ne nasceva un piccolo vegliardo. Puer senex, un luogo comune antichissimo. Alla fine Pipino muore infante in culla, e ascende in cielo a opera delle fate. Era meglio come me l'ero ricordato io, Pipino nasceva vecchio in un cavolo, e moriva lattante in altro. In ogni caso il viaggio di Pipino verso l'infanzia era il mio. Forse, tornando al momento della nascita, mi sarei dissolto nel nulla (o nel Tutto) come lui.

Mi passa accanto il tamburino col képi. Mi rifugio in braccio al nonno. Sento l'odore di pipa mentre metto la guancia contro il suo gilè. Il nonno fumava la pipa e sapeva di tabacco. Perché non c'era la sua pipa a Solara? L'hanno buttata via i maledetti zii, non gli sembrava importante, con la bocca smangiata dal fuoco di molti zolfanelli, via con le penne, le carte assorbenti, che so, un paio di occhiali e un calzino bucato, l'ultima scatola di tabacco ancora piena a metà.


(http://itech.dickinson.edu/blog/Images/ECO.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Maggio 2006, 12:59:17
Dick Moores (1909 - 1986)


Dick Moores studiò arte alla Chicago Art Academy e lavorò come assistente di Chester Gould, il creatore di Dick Tracy, durante i primi anni Trenta.

Nel 1936 creò la serie Jim Hardy, successivamente chiamata Windy and Padles.

Nel 1942 fu assunto ai Disney Studios, dove lavorò su diverse serie di fumetti e film di animazione.
Alla Disney illustrò numerose storie per gli albi di fumetti Dell, ma lavorò soprattutto sulle pagine domenicali di Fratel Coniglietto, del gallo Panchito e della canina Lilli , così come alle strisce quotidiane di Lilli e, come inchiostratore, a quelle di Topolino disegnate da Floyd Gottfredson.
Sono sue quasi tutte le Silly Symphonies autoconclusive.

(http://www.io.com/~norwoodr/data/gas.jpg)
(http://[img]http://www.lambiek.net/artists/m/moores_d/moores_dick_brabbit.jpg)

(http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/normal_dickmoores.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Maggio 2006, 21:21:20
Will Eisner(1917-2005)

Il detective mascherato apparve sui supplementi domenicali a colori dei quotidiani statunitensi nel 36: in appena sette pagine Eisner era in grado di concentrare un'intera avventura autoconclusiva, nella quale era in grado di concentrare non solo le atmosfere tipiche dei thriller o del noir, ma mescolandovi anche l'umorismo e l'ironia, il dramma ed i lutti della vita di ogni giorno. Ogni storia aveva un logo differente , era caratterizzata da un taglio altamente cinematografico e poteva anche succedere di leggere storie di Spirit senza che il protagonista vi comparisse mai


(http://webzine.anigate.net/img/2003/12dic/will_eisner-01.jpg)
(http://webcomicsnation.com/users/gaz/garydotcom/images/law_553x534.jpg)
(http://newyorkmetro.com/images/arts/05/01/books/books050117_1_300.jpg)
(http://www.cartoonart.org/images/EisnerASpiritedLife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Maggio 2006, 22:24:13
KEN FOLLETT

Esordisce nel professionale mondo dei romanzi nel 1978 con "La cruna dell'ago", un racconto eccitante, magistrale capolavoro di suspense, teso ed originale con un personaggio femminile memorabile nel ruolo di protagonista.
La cura dei particolari, lo stile semplice, la capacità di costruire storie credibili e sorprendenti hanno fatto di Ken Follett uno degli scrittori più letti in assoluto.



UN LUOGO CHIAMATO LIBERTÀ


L'ecclesiastico accese la pipa, aspirò il fumo e cominciò a tossire. Era evidente che non aveva mai fumato in vita sua. Con le lacrime agli occhi boccheggiò, sputacchiò e tossì di nuovo. I colpi di tosse lo squassarono al punto che la parrucca e gli occhiali caddero... e Jay si accorse subito che non era affatto un ecclesiastico.

Trovarono Peg seduta al bar con le gambe incrociate sotto di sé. Fu­mava tabacco della Virginia in una pipa di coccio. Viveva al Sun e dormiva sul pavimento in un angolo del bar. Lennox faceva anche il ricettatore, e lei gli vendeva gli oggetti che rubava. Quando vide Mack, sputò sul fuoco e disse al­legramente: «Come va, Jock... hai salvato qualche altra ra­gazza?».
«Oggi no» rispose lui con un sorriso.

Mack gli raccontò come aveva lasciato Heugh. Dermot e Charlie ascoltarono con attenzione: era una storia che non conoscevano. Gordonson accese la pipa e lanciò sbuffi di fumo, scuotendo ogni tanto la testa con aria disgustata. Il servitore portò il caffè mentre Mack stava terminando.

Molti ridevano della loro situazione e scherzavano sui loro reati. C'era un'atmosfera di allegria che irritava Mack. Si era appena svegliato quando qualcuno gli offrì una sor­sata di gin e qualcun altro una tirata di pipa, come se fosse­ro a un matrimonio.

Quando ebbero terminato, il servitore di Gordonson sparecchiò e portò pipe e tabacco. Gordonson prese una pipa, e anche Peg, che aveva quel vizio da adulta.

Il locale era buio e fumoso. Dieci o dodici persone, se­dute su panche o sedie di legno, bevevano dai boccali e dalle tazze di coccio. Qualcuno giocava a carte e a dadi, qualcuno fumava la pipa. Dal retro giungeva il rumore delle palle da biliardo.
Non c'erano né donne né negri.


(http://64.207.154.178/backend/speakers/172/Follett,%20Ken.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Maggio 2006, 22:47:44
LEIGH BRACKETT (1915-1978),
Leigh Brackett debutta nella fantascienza nel 1940 e qualche anno più tardi sposa un notissimo autore del settore, Edmond Hamilton,era lui che in casa fumava la pipa,mentre lei surclassava tutti gli scrittori di fantasy contemporanei.
Chi ama il genere e ancora non la conosce faccia una corsa in libreria,ne vale la pena.
Ha inoltre lavorato nel campo del cinema, scrivendo sceneggiature per Hollywood, tra cui ricordiamo, oltre alle sceneggiature di Il Lungo Addio e Il Grande Sonno, tratte dai romanzi di Raymond Chandler, per registi del calibro di Howard Hawks o Robert Altman, quella per il film L'impero colpisce ancora, suo ultimo lavoro che non ha fatto a tempo a vedere realizzato sul grande schermo.


LA CITTÀ PROIBITA

Hostetter si avvicinò, camminando lentamente nello spa­zio angusto lasciato libero a prua, seguito da una scia di aroma di tabacco, che veniva dalla sua vecchia pipa. Vide Len seduto in quell'angolo, e si fermò.

Lui desiderava le stesse cose che voi volete. Crescita, progresso, intelligenza, un futuro. Non avreste potuto aiu­tarlo?»
C'era una nota tagliente, nella voce di Len, ma Hostetter si limitò a togliersi la pipa di bocca, e a domandare, sommes­samente:
«Come?»

Hostetter si accigliò, scosse la cenere dalla pipa, spegnen­dola accuratamente sotto i tacchi. Disse a Len:
«Abbiamo chiesto a Collins di restare di guardia, per ogni evenienza. Lui abita su una casa galleggiante, ed è la nostra unità mobile. Be', andiamo. Ecco cosa succede a un cittadino di Bartorstown. Tanto vale che cominci ad abi­tuarti».

Si presentarono. Hostetter si era ritirato nell'ombra, e Len lo udì riempire la pipa.
Sherman disse a Esaù:
«Allora voi siete quello con la... ehm... con la madre in attesa».
Esaù cercò di spiegare la cosa, e Sherman lo interruppe.

Giù, ora, lungo il sentiero scolpito nella roccia, e là, a Bartorstown, nella stanza di controllo, qualcuno veglia. Non Jones, non è il suo turno, ma qualcuno c'è. Qualcuno che osserva le piccole luci che palpitano sul pannello. Qualcuno che pensa, Ecco, i pazzi Ismaeliti ritornano al loro deserto. Qualcuno che sbadiglia, e si accende la pipa, in attesa dell'ar­rivo di Jones, per poter ritornare a casa.

(http://scenar.online.fr/brackett.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Maggio 2006, 15:40:34
MARTIN CRUZ SMITH

Abile costruttore di trame, Martin Cruz Smith, si sperimenta anche nel romanzo d'ambientazione storica e, quasi, nel romanzo sociale, pur sapendo mantenere sempre viva la suspence e chiudendo le vicende con  imprevedibili colpi di scena che spiazzano il lettore e che potrebbero richiamare alla mente i temi classici della letteratura dell'Ottocento.Nei romanzi di Smith vengono raccontate tristi, crudeli e spiacevoli verità.. Dai sui libri sono stati tratti molti film,il primo Gorky Park
Fuma pipe curve e piccole.

LA ROSA NERA


Blair tirò fuori orologio, bussola, fazzoletto, temperino e monete; Leveret una pila più voluminosa d'oggetti: orologio, borsellino, portafoglio, medaglione, pettine, biglietti da visita, pipa di radica, tabacco, fiammiferi. Battie chiuse a chiave pipa, tabacco e fiammiferi nella sua scrivania.
«Qui non si fuma, signor Leveret. Vorrei che non le passasse nemmeno per la testa.»

Ci fu una scintilla. Qualcuno deve aver fatto qualcosa d'incredibilmente stupido. Qualche idiota ha magari forzato la sua lampada per accendersi la pipa. O ne ha sollevato il coperchio per poter picconare con un po' più di luce. E c'era gas. Un vero "sfiatatoio".

Aveva anche appetito e convinse Leveret a entrare in una trattoria di Scholes e a ordinare un pasticcio di coniglio e un'anguilla in salamoia.
L'aria all'interno era una nuvola di fumo di pipa così acre da far storcere il naso.

Hopton: Non è forse vero che in passato Greenall era stato rimproverato per aver acceso la pipa nella miniera?
Battie: Dieci anni fa.
Liptrot: Ma è vero?
Battie: Sì.
Nuttal: C'erano forti bevitori fra gli uomini sul fronte d'abbattimento?
Battie: Forti non direi.
Nuttal: Non è forse vero che, non più tardi di una settimana fa, John e George Swift sono stati richiamati dalla polizia per aver gozzovigliato nelle strade?

Esiste la possibilità che un minatore abbia avventatamente aperto la propria lampada per accendersi la pipa, ma non lo sapremo mai. Una scintilla, una fiamma, un barattolo di polvere pirica possono aver contribuito, singolarmente o collettivamente, allo scoppio dell'esplosione. La risposta è sepolta nel fronte d'abbattimento. L'aerazione era sufficiente a purificare l'aria?

«Mi faccio io le mie cariche e così vendendole guadagno qualche soldo in più.»
«Non vorrei mai interrompere un uomo che lavora.»
«Grazie» E tirò fuori una lunga pipa d'argilla, premendo il tabacco nel fornello con un tizzone preso dal focolare.
«Qui c'è polvere a sufficienza per far saltare mezza Wigan.»
«Tutta Wigan» disse Smallbone con orgoglio.
«Tutta?»
«Per via delle miniere abbandonate che ci sono sottoterra. Il metano s'insinua nei ripostigli e negli armadi. Dei nostri vicini sono saltati in aria per aver acceso una lampada nel loro ripostiglio. Ma l'affitto è basso.»

«Come va la sua gamba?»
«Prego?»
«Quella ferita nell'esplosione.»
«Io non sono stato ferito.»
«Prima dell'incendio.»
«Già, prima. Me n'ero dimenticato.» Smallbone si riaccese la pipa. Piccole scintille gli illuminarono le mani. «Adesso che ci penso, l'argomento di stasera erano le donne di facili costumi.

(http://publ.lib.ru/ARCHIVES/S/SMIT_Martin_Kruz/.Online/Smit_M._K.-1..jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Maggio 2006, 23:22:14
Avevo quasi deciso di non citare più testi di lirica,ma questo brano mi ha molto incuriosito,guardate da voi.

Giovanni Gherardini 1778 - 1861

L’incarico di comporre una nuova opera giunse a Rossini dal Teatro alla Scala di Milano, con il quale egli si impegnò prima del marzo 1817. Il libretto era fornito da un poeta «di fresca data», come scrive Rossini in una lettera alla madre, vale a dire Giovanni Gherardini, letterato di spicco della vita culturale milanese, direttore del ‘Giornale d’Italia’, autore di drammi giocosi per musica, commedie in prosa, traduttore di classici , importante filologo e fumatore di virginia e trinciati.
Gherardini era un medico anche se quasi nessuno lo sa,una lapide in suo ricordo stà a Milano presso Porta Magenta.



La gazza ladra

Ninnetta
Oggetto amato, deh, mi vieni a consolar!
Ah, momento fortunato! Oh, che dolce palpitar!

Pippo
Fuori, fuori! È ritornato: deh, venitelo a mirar!

Coro
Bravo, bravo! Ben tornato! Qui dovete ognor restar!

Giannetto
Vieni fra queste braccia… Mi balza il cor nel sen!
D'un ver amor, mio ben, questo è il linguaggio.
Anche al nemico in faccia m'eri presente ognor:
Tu m'inspiravi allor forza e coraggio e valor.
Ma quel piacer che adesso, o mia Ninnetta, provo,
è così dolce e nuovo che non si può spiegar.

Coro
Bravo! Bravo! Qui dovete ognor restar! Viva! Viva!
Mi sembrano due tortore: mi fanno giubilar! Caro, mi fanno giubilar!

Pippo
Tocchiamo! Beviamo a gara, a vicenda: il petto s'accenda di dolce furor!

Coro
Tocchiamo, e discenda la gioia nel cor.

Pippo
Il nappo è di Pippo la pipa e la poppa: il pecchero accoppa le pene del cor!

Tutti
Che pipa, che poppa, che pretto sapor!
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Maggio 2006, 22:44:45
Philip K. Dick 1928-1982

Dick è stato al centro, dopo la morte, di una clamorosa, quanto autentica, rivalutazione letteraria. Sottovalutato in vita, è emerso oggi nella critica e nella considerazione generale come uno dei talenti più originali e visionari della Letteratura Americana contemporanea, tanto da essere paragonato ai supremi Franz Kafka, F. M. Dostoevskij e J.L. Borges. La sua figura è divenuta oggi un simbolo per lettori giovani e meno giovani, affascinati dalle numerose sfaccettature di un'opera che si presta sia ad una lettura immediata che a più serie riflessioni, e parecchie delle sue opere sono ormai considerate degli autentici classici. I suoi scritti profondamente saturi di una spiritualità di tipo "gnostico", in cui l'autore intraprende la sua personale ricerca del Divino.Purtroppo nella vita reale è passato dalla pipa di legno a quella di vetro e poi alla siringa….


Si occupi di scovare Mayerson -. Si sedette alla sua familiare scrivania, provando sollievo per il fatto di essere tornato. «Al diavolo Palmer Eldritch» disse tra sé, e allungò una mano verso il cassetto della scrivania per prendere la sua pipa preferita in radica inglese e una confezione da mezza libbra di tabacco Sail, un cavendish olandese.
Era occupato ad accendersi la pipa quando la porta si aprì e apparve Mayerson, con aria servile e contrita.
- Be' ? - disse Leo e aspirò energicamente dalla pipa.

Lurine, raggomitolata su di una poltrona di fronte a lui, fumava una pipa di radica algerina, piena di un tabacco olandese prebellico e completamente secco. «Invece di prendere quelle pillole,» gli disse, «costruisci strumenti che registrino la presenza di ciò che cerchi. Qualunque cosa sia. Leggila su di un quadrante. È meno pericoloso.»

«Dimmi,» fece Lurine, continuando a fumare la sua modesta pipa di radica era tutto quello che aveva potuto comprare da un mercante: quelle inglesi erano troppo care. Lei continuò, scrutandolo intenta: «Com'è stato, quella volta che hai preso le metanfetamine e hai visto il Diavolo?»
Lui rise.

«Mi piace l'idea di essere tentata,» disse Lurine; riaccese la pipa che s'era spenta. «Piace a tutti. Quelle pillole ti tentano; e tu continui a prenderle.

vide Lurine che fumava la pipa, fiutò l'odore del tabacco... Si sentiva la testa come un pallone e si alzò, barcollando, sapendo che era trascorso solo un attimo di tempo reale, e che per Lurine non era accaduto nulla. Nulla era cambiato. E aveva ragione lei.

(http://www.vieartificielle.com/images_nouvelle/androdk2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Maggio 2006, 00:40:38
Quì rasentiamo il "Top"  :D

William Gibson

Se vi chiedete perché dovreste leggerlo, la risposta potrebbe essere, perché è riuscito a scrivere che "Il cielo sopra il porto aveva il colore di un televisore sintonizzato su un canale morto".Ha iniziato a descrivere un mondo verso il quale ci sentiamo inesorabilmente attratti, un mondo che ci appare dietro l'angolo e di cui possiamo sentire tutta la perfezione digitale o tutto il fetore del suo degrado...



La notte che bruciammo Chrome

Negli Urali,  un tecnico georgiano di mezza et… aveva troncato con  un morso  il  bocchino  della  sua  pipa di schiuma preferita.  Nel Nuovo Galles del Sud un giovane fisico aveva preso a pugni il  monitor  come un giocatore di flipper infuriato per un tilt.

- Ma mi ascolti o no?  - Nance appoggiò la pipa,  e un  po'  di  acqua marrone si rovesciò per terra.  - La roba con cui lavoro io è tre anni avanti a qualsiasi cosa si trovi in giro.

L'estate era arrivata, il cielo era azzurro e caldo sopra Parigi, e Marly sorrise all'odore del buon pane e del tabacco forte.

 
La Macchina Della Realtà
(con Bruce Sterling)

Mick si fermò accanto a un tavolo di legno, tenuto da una vedova strabica con un abito in seta pettinata, il cannello di una pipa di ter­racotta che le usciva dalle labbra sottili. Disposte di fronte a lei c'e­rano numerose fiale di una sostanza dall'aria viscosa, che Sybil im­maginò fosse una qualche specialità farmaceutica, perché ciascuna aveva incollata un'etichetta azzurra con l'effige sbiadita di un india­no selvaggio. - E questo cosa sarebbe, signora? - chiese Mick toc­cando un tappo sigillato in cera rossa con il dito guantato.
- Olio di roccia, signore disse quella, lasciando il cannello del­la pipa

Disraeli si infilò l'ultimo pezzo di aringa in bocca e cominciò a riempire la prima pipa della giornata. - Sa, lei è proprio la persona che fa per me oggi, Mallory. Lei se ne intende di Macchine, vero?
- Oh?
- È una dannata cosa che ho comprato mercoledì scorso. Il commesso mi ha giurato che mi avrebbe reso la vita più facile. - Di­sraeli lo condusse nel suo ufficio, una stanza che gli ricordava quella del signor Wakefield, all'Ufficio Centrale di Statistica, benché mol­to meno ambiziosa quanto a dimensioni, cosparsa di tabacco da pi­pa, riviste sensazionali e sandwich mezzi mangiati. Il pavimento era ricoperto di blocchi di sughero intagliati e mucchi di trucioli.

Disraeli agitò la pipa fumante. - "Ci sono tumulti della mente, quando, come le grandi convulsioni della Natu­ra, tutto sembra cadere nell'anarchia e tornare al caos; e tuttavia spesso, in questi momenti di vasto disordine, come nella lotta stessa della Natura, un nuovo principio di ordine, o qualche nuovo impul­so di condotta, si sviluppa, e controlla e regola e porta ad un'armoniosa conclusione passioni ed elementi che sembrano solo minaccia­re disperazione e sovversione."

Dicevano anche che mi avrebbe fatto risparmiare denaro! - Disraeli aspirò dal lungo cannello della sua pipa di schiuma.

Disraeli vuotò la pipa, e tornò a riempir­la da un contenitore sigillato, pieno di nero tabacco turco. - Io amo questa città, Mallory, ma ci sono occasioni in cui il giudizio deve aver la precedenza sulla devozione.

Ne saltò fuori un ometto grassoccio, calvo. Indossava una elegante giacca da caccia rossa e pantaloni a quadri, infilati in stivali da passeggio di vernice. Era senza cappello, la faccia rotonda e le guance rosse, sen­za maschera, e con sorpresa di Mallory fumava una grossa pipa dal­l'aria puzzolente.

Il Re passò un rotolo al vetturino, attraverso la botola. Poi, beata­mente, vuotò la sua pipa di schiuma, tornò a riempirla da un cartoc­cio di carta, e l'accese con un acciarino tedesco. Soffiò una nuvola di fumo puzzolente, con aria molto soddisfatta.

Si infila gli occhiali, carica una pipa, l'accende. Il suo segretario, Cleveland, è un uomo molto puntiglioso e ordinato, e gli ha lasciato due pacchi di documenti, bene ordinati sulla scrivania in cartellette di Manila con fermagli di ottone. Una cartelletta si trova alla sua de­stra, l'altra alla sua sinistra, e non si può sapere quale sceglierà.

Con un sibilo stridulo e flatulento di aria compressa, un piccolo panmelodium venne messo in funzione sul retro del café. Oliphant, voltandosi, incrociò gli occhi del mouchard Beraud, che stava fumando una pipa di gesso olandese, fra un gruppo di kinotropistes in animata discussione.

(http://www.cwrl.utexas.edu/~tonya/cyberpunk/papers/GIBSON.GIF)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Maggio 2006, 23:59:08
PATRICK McGRATH
Il padre lavorava come psichiatra nel manicomio criminale di Broadmoor, dove il giovane Patrick passa gran parte della propria infanzia.
Quello che più colpisce in Patrick McGrath è la capacità di cogliere un sentimento anche solo con una parola.

Grottesco

A parte la risata stridula e l'adesione al vegetarianismo, la cosa che più mi irritava in lui era, direi, la pipa. Sidney fumava una pipetta con un bocchino sottile di palissandro rossiccio, che non riusciva a contenere altro che un pizzico o due di tabacco delicatamente aromatizzato: non invento nulla, Sidney fumava sul serio tabacco aromatizzato! In effetti, ora che ci penso, può darsi che proprio quella sua delicatezza, quella sua esilità, avessero attirato Cleo. Avete mai fatto caso a quanto spesso capita che una femmina vivace sia attratta da uno smidollato?

In quel contesto particolare la presi come un saluto, sicché agitai allegramente la mano, e lui, levatosi il berretto, si strofinò la testa rapata e bitorzoluta con una mano enorme e sudicia, quindi si tastò le tasche della vecchia giacca a righine tutta lisa, in cerca della pipa.

Una volta trovata la pipa, venne avanti; aveva addosso un odore di terra e maiali e gli occhi scintillanti di un'ironia sobria e laconica che gli era abituale e che rifletteva perfettamente la sua natura.

Povero George, pensare a lui adesso mi addolora; non era un cattivo diavolo e me lo vedo ancora come se fosse ieri, al bancone accanto a me, che fumava zitto la sua pipa con un boccale di scura davanti, pestando di tanto in tanto uno scarpone chiodato sul pavimento di pietra che risonava di un forte rumore metallico.


Stava seduto sul pavimento con le spalle al muro, un gomito appoggiato sul ginocchio e la mano sulla testa, nell'altra mano un boccale di rum e la pipa fra i denti. Ma per quanto bevesse non riusciva a scacciare un brutto presagio sulle conseguenze di quello sbarco finito male. Chiuse gli occhi e s'addormentò con la mano ancora sulla testa. La pipa gli scivolò di bocca e si ruppe sul pavimento di pietra, spargendo brace di tabacco. Harry non si svegliò. Pochi istanti dopo, disse mio zio, la paglia iniziò a bruciare.
In silenzio pensammo a Harry stordito dall'alcol, mentre le braci della sua pipa attizzavano la paglia secca.

Per effetto del gin, lettere, parole intere e perfino interi versi, apparivano mescolati fra loro, al punto che era impossibile distinguere l'inizio di una parola dalla fine di un'altra; e la difficoltà era esasperata dagli sbaffi della cenere caduta dalla sua pipa, dai buchi prodotti dalla brace, e qua e là da grumi e rigagnoli, dove il gin, il sangue o le lacrime s'erano mischiati con l'inchiostro.


Joshua Rínd, gallo gottoso tra le galline, si godeva i momenti di potere come quello, e con calma caricò quella sua pipa bianca puzzolente con il poco tabacco che si concedeva ogni giorno in quel periodo di penuria. La accese con una candela sottile e inalò l'unica boccata decente che probabilmente sarebbe riuscito a trarne, poi fece girare lo sguardo intorno al tavolo

Brook Franklin stava riempiendo la pipa con il tabacco. Filamenti di trinciato nero pendevano dal fornello. Scosse la testa, tenendo gli occhi fissi sul piccolo braciere.

Gli odori della pipa del vecchio, della birra della sera prima, il crepitio del carbone che bruciava; sul banco un giornale piegato, chiuso alla pagina sportiva...

(http://www.bloomsbury.com/media/mcgrath1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Maggio 2006, 13:14:34
ELZIE CRISLER SEGAR
(1894 - 1938)

Elzie Crisler Segar nacque nell'Illinois, l'8 dicembre 1894 a Camptown o, secondo alcuni, l'8 settembre dello stesso anno a Chester. In gioventù fu suonatore di batteria e poi addetto alla macchina da proiezione in una sala cinematografica (si fece tatuare su un braccio le lettere MPO, iniziali di Motion Picture Operator). La passione per il cinema lo indusse ai “comics”: nel 1916 seguì un corso per corrispondenza per disegnatori del “Cartoonist W.L. Evan's System” di Chicago, città nella quale riuscì nel 1918, raccomandato da R. F. Outcault, a farsi pubblicare la sua prima storia, giornaliera e domenicale, “Charlie Chaplin 's Comic Capers”, cui fece seguito la pagina domenicale “Barry the Boop”. Notato e assunto da Hearst nella stessa Chicago, creò “Looping the Loop” e poi, trasferito a New York, “The Thimble Theater” (19 dicembre 1919), che allora veniva pubblicato ogni giorno tranne venerdì e domenica (la prima tavola domenicale è del 18 aprile 1925).
“The Thimble Theater” trattava temi teatrali, ma l'ingresso di Popeye  nella storia, realizzata da Segar sia nei testi che nei disegni, lo indusse a trasformarla in avventure di largo respiro, peraltro rese sempre in chiave prettamente umoristica. Il 24 dicembre 1920 nacque “The Five-Fifteen”, striscia che nel 1923 assunse il titolo di “Sappo” (dal nome del protagonista, un impiegato pendolare) e nel 1926 divenne il “top” della tavola domenicale di “The Thimble Theater”, cessando al contempo la cadenza giornaliera.



Braccio di ferro nasce così:
(http://www.lambiek.net/artists/s/segar/segar1.jpg)

(http://www.lambiek.net/artists/s/segar/segar.jpg)




(http://www.comicartclub.com/autori/segar/segar.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Maggio 2006, 01:01:26
E quì siamo veramente al top,chi conosce il libro sa di cosa parlo,spiacente per chi non lo ha letto,ormai è introvabile.

Jean Ray 1887 1965

Nella vita ha fatto tanti lavori: giornalista, trafficante, marinaio, contrabbandiere di rhum, domatore di leoni…poi la Caienna... Questa versatilità di esperienze è la sorgente che rende vividi i suoi racconti. Ecco perché Jean Ray possiede quel realismo che manca a quegli scrittori che sono solamente letterati.
I racconti di Jean Ray possiedono un’atmosfera cupa e kafkiana. C’è tutto il sapore della vecchia Europa, fatta di nebbie e di paure nelle gelide notti invernali accanto alle stufe di terracotta.
In compagnia di questo scrittore entriamo in vecchie case del Belgio, piene di segreti, rischiarate con lumi a petrolio e popolate di scarafaggi,profumate di semois e tabacchi olandesi. Insieme a Jean Ray incontriamo personaggi ricchi di uno strano mondo interiore. E quando le ombre della sera si allungano sui canali, lo scintillio dei liquori , il fuoco del camino e delle pipe, aiutano a tenere lontano gli ignoti terrori del buio.



Malpertuis

Davanti alla vetrina di'una panetteria,un garzone imopolverato di farina versò una gerlata di panini freschi,fumanti e alla finestra di una bettola dalle tende molto aperte due fumatori di pipa urtavano vigorosamente i loro boccali di gres blù traboccanti di birra fresca.
Pareva che tutte queste figure così semplici respirassero la vita a grandi boccate.

In un angolo del cammino.scoprii la pipa di marasco dell'abate Doucedame e il suo portatabacco laccato.
Avevo timore delle aspre gioie che dà il tabacco,ma un senso di commossa riverenza verso il mio eccellente maestro mi fece riempire e accendere quella pipa.Mi stupirò sempre del modo deciso con cui entrai nel paradiso dei fumatori.Non sentii nel mio essere alcuna ribellione e dopo le prime boccate,la mia gioia fu completa.
Fu il triplice piacere della libertà momentaneamente riconquistata,della dignità ritrovata e della solitaria iniziazione al fumo,a farmi dimenticare che aspettavo....


Elodie,ho portato la pipa dell' abate Doucedame e il suo portatabacco,credo di cominciare a provare un gran gusto a fumare.
Il dottor Sambuque,che stava entrando e che aveva udito,m'approvò: ragazzo mio mi fate molto contento.Adesso che fumate la pipa mi sembra che un uomo in più viva sotto il tetto di Malpertuis,e Dio sa se ne abbiamo pochi!


Seduto in fondo ai gradini,sperando che una qualsiasi cosa,ma senz'altro qualcosa di naturale,distraesse i miei pensieri dall'angoscia e dalla rassegnazione che gettavano un'ombra perenne sulla mia vita,tolsi dalla tasca la pipa dell'abate e domandai un po' di oblio alle tranquille delizie del tabacco. Durante questi attimi di relativa euforia si aprì con precauzione una porta e intesi un bisbiglio di voci. Ebbene! Sambuque mi sono sbagliato si o no? Era il cugino Philarete, che parlava con un tono ansioso.
E' si si direbbe,rispose il dottore, è l'odore del suo tabacco d'Olanda, è soltanto lui a fumarlo.
Ti dico che l'abate ronza quì intorno,bisogna diffidare di quel topo di fogna.
Pazienza ,amico mio,tutto considerato,non c'è più molto tempo da quì alla notte della Candelora. Sst!  'tore ,non dire cose tanto imprudenti,finchè quest'odore del suo detestabile tabacco gira per tutta la casa.


(http://pluq59.free.fr/image/timbrebelgegrand/2004/101.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 26 Maggio 2006, 19:49:53
segnalerei allo Spigolatore Mrs Dalloway di Virginia Woolf
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Maggio 2006, 00:41:39
Geroges Remi, in arte Hergé (1907-1983),

Nasce a Etterbeek (Bruxelles, Belgio)
Uno degli autori fondamentali nella storia del fumetto. E' stato un uomo dalla personalità complessa e sofferta, due matrimoni e nessun figlio, periodi di insofferenza totale nei confronti dei suoi stessi personaggi. Senza volerlo è diventato un riferimento assoluto per la “bande dessinée” e la sua opera è nell’immaginario collettivo tanto da essere citata negli ambiti più diversi.



(http://www.lambiek.net/artists/h/herge/herge_tintinfirst.jpg)

(http://news.bbc.co.uk/media/images/39969000/jpg/_39969683_tintin6.jpg)
(http://www.tegneserier.homepage.dk/html/opgave/images/tintin.jpg)
(http://perso.wanadoo.fr/yves.bernardi/tintinvivou/herge/hergetchang1981.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Maggio 2006, 15:13:06
NEIL GAIMAN
Giornalista, scrittore, sceneggiatore di fumetti, ma anche televisivo e radiofonico.
Nato nel 1960, a Portchester in Inghilterra, padre di tre figli e padrone di sette gatti, comincia la sua carriera come giornalista. Scrive racconti di fantascienza per riviste erotiche e sceneggiature per fumetti.
Ottiene la consacrazione come sceneggiatore di fumetti grazie a Sandman, noto personaggio della linea Vertigo, sotto-etichetta della DC Comics. Il numero 19 di The Sandman dal titolo A Midsummer Night's Dream vinse il premio Nebula nel 1990, come miglior racconto breve di fantascienza. Tra le sue opere piu' importanti c'e' The Book of Magic che ridefinisce i personaggi mistici e magici della Dc Comics che ha lanciato una serie spin off scritta da John Ney Reiber. Il suo ultimo lavoro è 1602 per la Marvel.
I fumetti di The Sandman, e gran parte di quelli di Gaiman, sono editi, in Italia dalla Magic Press, che ha anche edito una delle sue opere preferite: Mr. Punch, realizzata con Dave McKean. Da ricordare anche il suo ciclo di Miracleman (17-24) pubblicato dalla Eclipse di cui rimangono inediti gli ultimi numeri che Gaiman vorrebbe far pubblicare.
Gaiman ha scritto anche romanzi, sceneggiature televisive, favole e storie per l'infanzia (da segnalare I Lupi nei Muri, recentemente pubblicato anche in Italia), drammi radiofonici e testi per canzoni.


STARDUST etc.

Oltre a Johannes Alberic e a Meggot c'erano altri cinque membri dell'equipaggio, un gruppetto eterogeneo apparentemente felice di ascoltare il capitano che parlava, cosa che faceva tenendo il boccale di birra in una mano, mentre con l'altra si occupava della pipa e del cibo, il capitano tirava boccate dalla pipa. I suoi abiti erano coperti da una sottile coltre di cenere, e quando non fumava masticava il bocchino, oppure svuotava il camino della pipa con uno strumento di metallo appuntito, o la caricava con altro tabacco.

Tristran lo guardò fisso. — Conoscete un omino peloso, con un cappello e un'enorme valigia piena di cose?
Il capitano batté la pipa sul parapetto. Con un gesto della mano aveva già cancellato la figura del castello.

Ci era già stata una volta, lassù, con la sua vera madre che stava facendo una colletta di beneficenza. Erano rimaste ferme sulla porta aperta, in attesa che il vecchio pazzo dai grossi baffi trovasse la busta che la madre di Coraline gli aveva lasciato, e l'appartamento puzzava di cibi strani e di tabacco da pipa e di qualcosa di penetrante e formaggioso a cui lei non sapeva dare un nome. Non aveva voluto spingersi oltre la soglia.

Secondo, si sarebbe asciugato, e poi avrebbe infilato l'accappatoio. Forse anche un paio di pantofole. L'idea delle pantofole gli piaceva. Se fosse stato un fumatore a quel punto avrebbe acceso la pipa, ma non fumava.



(http://www.brokenfrontier.com/img/2005/apr/DC/NeverwhereCv2.jpg)

PETER HØEG

Considerato uno dei romanzieri contemporanei più popolari della Danimarca, ha conseguito un master in letteratura presso l'Università di Copenhagen nel 1984. Prima di dedicarsi completamente alla Letteratura, ha svolto i mestieri più disparati: ha avuto esperienze di balletto classico, ha fatto l'attore e l'insegnante di drammaturgia, ha fatto parte di un gruppo di diportisti ed è stato campione di scherma; ha trascorso parecchio tempo in Africa ed ai Caraibi. Ultimamente ha fondato un'associazione per aiutare i bambini e le donne dei paesi del Terzo Mondo, la "Lolwe Foundation", alla quale ha assegnato tutti i profitti derivati dalle vendite del romanzo "La donna e la scimmia". Peter Høeg è un personaggio schivo che non ama la pubblicità e non ama viaggiare; vive a Copenhagen, in un piccolo appartamento, con la moglie e due figlie. Per un periodo della sua vita ha anche lavorato come marinaio dove ha imparato "la via della pipa".

IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE

Guarda oltre il tetto. Non ha tic, né l'abitudine di lisciare il cappello o di accendersi la pipa o di cambiare piede d'appoggio. Non tira fuori nessun blocchetto. È solo un uomo molto piccolo che ascolta e riflette a fondo.
«Interessante» dice infine. «Ma anche un po'... campato in aria. Sarebbe difficile convincere un profano. Difficile costruirci sopra qualcosa.»
Ha ragione. Leggere la neve è come ascoltare la musica. Descrivere ciò che si è letto è come spiegare la musica per iscritto.

Mia madre fumava una pipa fatta con il vecchio involucro di una cartuccia. Non diceva mai una menzogna. Ma se c'era una verità che voleva nascondere svuotava la pipa, si metteva in bocca la raschiatura, diceva mamartoq, "meraviglioso", dopodiché faceva finta di non poter parlare. Anche tacere è un'arte.

(http://www.um.dk/Publikationer/UM/English/Denmark/images/000174.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 28 Maggio 2006, 00:31:14
Hawthorne Nathaniel

Nato a Salem [Massachusetts] nel 1804, discendeva da un'antica famiglia puritana, che era stata protagonista nel XVII secolo della storia del New England: John, figlio del capostipite William, fu giudice nei processi alle streghe.Nei romanzi, che Hawthorne definì «romances» perché situati al confine tra reale e irreale, potenti proiezioni nel fantastico di eventi di ordine morale, metafisico, psichico, la storia passata o contemporanea fornisce scenari al confronto tra individuo e comunità, natura e cultura, tempo della colpa e tempo dell'espiazione.


Racconti Raccontati Due Volte

Un giovane venditore ambulante di tabacco era in viaggio da Morristown, dove aveva fatto molti affari col diacono dell'insediamento degli Shaker, verso il villaggio di Parker's Falls, sul fiume Salmon. Aveva un bel carretto verde, dov'era dipinta su ambedue le fiancate una scatola di sigari e l'immagine di un capo indiano sul retro, con la pipa in mano e una pianticella dorata di tabacco. Il venditore lo faceva trainare da una piccola giumenta, ed era un giovane di ottimo carattere, dotato di senso degli affari, ma nondimeno apprezzato dagli Yankee che, a quanto dicono, preferiscono essere rasati con una lama affilata piuttosto che con una smussata. Era benvoluto soprattutto dalle graziose fanciulle del Connecticut, di cui era solito accattivarsi i favori con doni del miglior tabacco da fumo della sua scorta, ben sapendo che le ragazze di campagna del New England sono in generale esperte fumatrici di pipa. E poi, come si vedrà nel corso del mio racconto, il venditore era un giovane curioso e un po' chiacchierone, sempre attento ad ascoltare le novità e impaziente di riferirle.

Raccontando queste notizie a beneficio del pubblico, e occupandosi nel frattempo dei propri affari, Dominicus perse tanto tempo, strada facendo, che decise di fermarsi in una taverna a circa cinque miglia da Parker's Falls. Dopo cena, acceso uno dei suoi sigari migliori, andò a sedersi nella sala del bar e anche lì riferì la storia dell'omicidio, divenuta ormai così corposa che impiegò una mezz'ora a raccontarla. Erano una ventina gli avventori del locale, e diciannove di loro la ascoltarono come vangelo. Il ventesimo era invece un anziano contadino, arrivato a cavallo poco tempo prima, che stava seduto in un angolo fumando la sua pipa. Una volta terminato il racconto, si alzò lentamente dal tavolo, portò la sua sedia davanti a Dominicus e lo guardò in faccia, alitandogli una zaffata del più pestilenziale tabacco che il venditore avesse mai annusato.

Era un uomo basso, fatticcio, piuttosto anziano, vestito d'un cappotto di taglio quasi militare; il cappello dalla falda alzata, secondo la moda di allora, piuttosto usato, di cui un'areola era d'aspetto più nuovo, essendone stata da poco strappata una coccarda; aveva in mano una pipa tedesca ben annerita e, camminando, se la recava alle labbra, emettendo volute di fumo, spargendo nel gradevole ponentino la fragranza d'un ottimo tabacco di Virginia. Avanzava con tutta lentezza .Lo straniero fissò Settimio intensamente, rivolse un saluto con noncuranza, alzando la mano e si tolse la pipa di bocca.
   «Il signor Settimio Felton, immagino» disse.
   «Questo è il mio nome» rispose Settimio.

«No» disse Settimio bruscamente, sospettando che questo bizzarro dottor Portsoaken non fosse del tutto sincero, e che lo stesse canzonando: «Siete stato male informato. Non so niente che valga la pena di conoscere».
   «Olà!» disse il dottore, facendo una gran fumata con la pipa. «Se ne siete convinto davvero, siete uno degli uomini più saggi che io abbia incontrato, nonostante l'età giovanile. Avevo due volte la vostra età allorché giunsi a codesto punto, e ancora adesso mi capita a volte d'essere così sciocco da mettere in dubbio l'unica cosa che abbia mai saputo con tutta certezza. Ma suvvia, mi invogliate tanto più a discorrere con voi. Se sommiamo le nostre due manchevolezze chissà che non formino una positiva conoscenza».

Così dicendo, zia Keziah prese un altro sorso dell'amato liquore, dopo aver vanamente invitato Settimio ad imitarla; poi, accesa la sua vecchia pipa di coccio, sedette nell'angolo del camino meditando, sognando, brontolando pie preghiere e giaculatorie e di tanto in tanto sbirciando su per la vasta cappa: e forse pensava quale delizia doveva essere, nei vecchi tempi, volarsene su per quella cappa, facendo un'escursione a mezzanotte nella foresta dove s'incontravano l'Uomo Nero .

Avvenne intorno a questo tempo che la povera zia Keziah, nonostante l'uso costante dell'amara sua mistura, stesse assai male di salute. Era d'uno sgradevole colore giallo, aveva gli occhi iniettati di sangue, si lamentava atrocemente di dolori interni. Nel muoversi era scossa da un sobbalzo reumatico e la si udiva borbottare che avrebbe voluto avere un manico di scopa per volarvi sopra, e si fasciava la testa con una tovaglia o con quel che sembrava una tovaglia, standosene seduta in cucina accanto al fuoco perfino nei giorni caldi, tutta curva, china come se volesse assorbirne la vampa nel suo povero vecchio cuore o stomaco intirizzito, con un rantolo dispettoso e risentito a ogni respiro, come lottando con le sue infermità; e continuamente fumava la pipa, come espellendo il soffio del suo male visibilmente in quel tanfo; e talvolta borbottava una preghierina, ma sempre la malvagità, l'amarezza, l'acredine.


«Setti caro, sento una gran pace e non credo che ci sarà motivo di turbamento per me nell'altro mondo. Non sarà certo tutto un lavoro domestico e un tenersi a posto e un fare come fanno gli altri. Immagino che non dovrò montare a cavallo d'un manico di scopa, lassù; questo sarebbe male in qualsiasi genere di mondo, ma ci saranno certo dei boschi dove passeggiare e una pipa con cui aspirare l'aria del paradiso e alberi nei quali stormirà il vento e che si potranno odorare, tutte cose naturali e felici; e poi spero di vederci anche te un giorno.

Non ne parlavano con gran rispetto, temo, né con gran dolore, né con la persuasione che la comunità soffrisse una gran perdita a causa della scomparsa di lei che era, a parere loro, una vecchia zitella beona, fumatrice di pipa, bisbetica e, secondo taluni, strega e, comunque, con troppo sangue indiano nelle vene per essere una qualcosa di buono.

«Non starà mai a paro con la zia Keziah nel preparare le cure d'erbe» disse una vecchia che fumava la pipa in un angolo, «anche se diventerà, credo, un buon medico. Povera Kezzy, dopo tutto, prese un goccio di troppo della sua mistura. Glielo dicevo io che sarebbe andata così, perché noi si era abbastanza buone amiche, prima che si facesse sentire in lei così fortemente la sua parte indiana; l'indigena e la strega le aveva tutt'e due nel sangue, povera vecchia Kezzy!».

(http://img.tfd.com/authors/hawthorne.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 28 Maggio 2006, 08:21:43
IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE



Mia madre fumava una pipa fatta con il vecchio involucro di una cartuccia. Non diceva mai una menzogna.....

Ecco da dove viene la Corsellini rtp 2005! :D  :D
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 28 Maggio 2006, 13:44:43
Citazione da: "coureur-des-bois"


Ecco da dove viene la Corsellini rtp 2005! :D  :D


 :D  :D  :D

Vediamo se ti piace questo maestro di vita e ho lasciato molte pipe per strada, da quante ne contiene.

Charles Dickens

Grazie a "Il circolo Pickwick", il ventiseienne Dickens diventò di colpo uno scrittore di successo. La sua popolarità aumentò con i romanzi successivi, usciti a dispense mensili, con le con ferenze, gli spettacoli teatrali da lui organizzati, in cui Dic kens si esibiva anche come attore.

Il circolo Pickwick

Era il fattorino di piazza. — Eccoci qua, signore. Ehi, a te, prima carrozzella!
Il primo cocchiere della riga fu subito scovato dalla bettola dove se ne stava fumando la sua prima pipa, e il signor Pickwick e la relativa valigia furono caricati nel veicolo.
— Golden Cross, — disse il signor Pickwick.
— Corsa d'uno scellino, Tommy, — gridò il cocchiere di malumore per informazione speciale dell'amico fattorino, mentre la vettura partiva.

Va bene, va bene, — disse il guercio alla ragazza che usciva dalla camera. — Vengo subito, Marietta, non dubitate. State allegra.
E così dicendo, compiè l'operazione punto difficile di strizzare il suo unico occhio alla compagnia con indicibile diletto di un vecchiotto dal viso sudicio e con una pipa di gesso fra i denti.
— Curiose creature le donne.
Ah sì! non c'è che dire, — esclamò di dietro al suo sigaro un uomo molto rosso in viso.
Dopo questo piccolo saggio di filosofia, vi fu un'altra pausa
— Badiamo però, ch'ei si danno a questo mondo dell'altre cose molto più curiose delle donne, — disse il corriere, l'uomo dall'occhio nero, caricando lentamente una grossa pipa olandese.

— Quando fui scaraventato la prima volta nel mondo per giocare a tira e molla coi suoi guai. Cominciai dal fare il garzone di carradore, poi di carrettiere, e poi feci il facchino e alla fine il lustrastivali. Adesso sono il domestico di un signore. Forse diventerò anch'io un signore, uno di questi giorni, con una pipa in bocca e un villino. Chi lo sa? non mi farebbe nessuna maraviglia.
— Siete un vero filosofo, Sam, — disse il signor Pickwick.
Credo ch'è un po' male di famiglia, signore. Pigliate mio padre, per esempio. La mia madrigna lo secca, egli si mette a fischiare. Essa monta in bestia e gli rompe la pipa; lui infila la porta e se ne va a comprarne un'altra. Essa allora strilla come un'oca e le vengono le convulsioni; e lui se la fuma comodamente aspettando che la torni in sè. Questa è filosofia, non vi pare, signore?

Con le lagrime non s'è potuto mai caricare un orologio o far correre una macchina a vapore. La prima volta che vi trovate in conversazione,bambino mio, caricatevi la pipa con questa riflessione.


Alla fine fu portato in tavola un boccone di cena, che s'era messo a scaldare, e il vecchio Lobbs vi si gettò sopra senz'altro; ed avendo in meno di un ette fatto repulisti, diè un bacio alla figliuola e domandò la sua pipa.
"Aveva la natura situato le ginocchia di Nataniele Pipkin in vicinanza strettissima; ma quando egli udì il vecchio Lobbs domandar la sua pipa, se li sentì battere l'uno contro l'altro come se a vicenda si volessero stritolare; imperocchè, proprio in quel camerino dov'egli stava nascosto, da una coppia di ganci pendeva una pipaccia dal fornello d'argento e dalla cannuccia nera, la qual pipaccia egli avea veduto per cinque anni di fila, ogni giorno e ogni sera, in bocca al vecchio Lobbs. Le due ragazze corsero giù a cercar la pipa, e poimontarono su a cercar la pipa, e poi guardarono dapertutto in cerca della pipa, meno che nel posto dove sapevano che la pipa si trovava, e il vecchio Lobbs nel frattempo strepitava e tempestava nel modo più mirabile e strabocchevole.

"Cinque minuti dopo le ragazze venivano fuori dalla camera da letto, tutte modeste e compunte; e mentre la giovane brigatella s'andava rallegrando cordialmente, il vecchio Lobbs spiccò la pipa dai ganci e se la fumò; ed un fatto notevolissimo a proposito di questa pipa fu questo, che una pipa più deliziosa e più saporita egli non avea fumato mai.

Pigliate esempio da vostro padre, bambino mio, e guardatevi sempre dalle vedove vita natural durante specialmente se hanno tenuto osteria o altra cosa così, Sam.
Ed emesso che ebbe questo consiglio paterno con gran tenerezza, il signor Weller seniore ricaricò la pipa con certo tabacco che prese da una scatola di latta che portava in tasca, e accendendo la novella pipa alle ceneri dell'altra, ricominciò a fumare a pieni polmoni.

Soffrite il fumo, signore? — gli domandò il suo vicino di destra, un signore in camicia a scacchi e bottoni a mosaico, con un sigaro in bocca.
— No certamente, — rispose il signor Pickwick; — mi piace anzi moltissimo, benchè non sia fumatore.
— Per me, mi dispiacerebbe assai di non esserlo, — venne su un altro signore dall'altro capo della tavola. — La pipa per me mi fa da tavola e alloggio.Il signor Pickwick guardò a quel signore, e pensò che sarebbe stato meglio per lui se la pipa gli avesse anche fatto da lavanda.

È tornato il signor Stiggins? — domandò la moglie.
— No, cara, non è tornato, — rispose il marito, accendendo la pipa con l'ingegnoso processo di tenervi sopra con le molle un pezzo di fuoco pigliato dal prossimo camminetto; — e quel ch'è più, anima mia, gli è ch'io cercherò di non morirne dal dolore, se mai non tornasse.
Weller vuotò d'un fiato il suo bicchiere e scosse le ceneri fuori della pipa con la sua naturale dignità.

Orsù, fatevi venir la pipa, ch'io vi leggo la lettera, ecco.
Non si può dire con precisione se la prospettiva della pipa o la riflessione consolante che una fatale inclinazione al matrimonio fosse radicata nella famiglia senza rimedio di sorta, calmasse i sentimenti del signor Weller e quetasse il suo dolore. Vorremmo credere piuttosto che il buon effetto fosse raggiunto dalle due sorgenti di consolazione combinate; perchè egli ripetette a bassa voce la seconda più volte, e nel tempo stesso suonò il campanello per ordinar la prima. Si tolse poi il pastrano; ed accesa la pipa e situandosi con le spalle al fuoco in modo da raccoglierne tutto il calore e da appoggiarsi alla mensola del camminetto, si volse dalla parte di Sam; e con una fisonomia molto rabbonita dall'azione calmante del tabacco, lo pregò che "desse fuoco".
Sam intinse la penna nell'inchiostro per trovarsi pronto ad ogni correzione, e incominciò in tono teatrale:
"Amabile...
Il signor Weller riprese fra i denti con solennità la sua pipa, e Sam ricominciò a leggere come segue:
"Amabile creatura, io mi sendo moldo vergognato...
— Cotesto non mi piace, — disse il signor Weller, togliendosi la pipa dalle labbra.
Weller dopo aver riflettuto per un momento, — Avanti, Sam.
"Mi sendo moldo vergognato e completamente abbagliato cuando vi vedo solo la veste perchè voi siete un bel toco di ragazza e voglio vedere chi dice di no".
— Cotesta è un'idea graziosa, — osservò il signor Weller seniore, staccandosi la pipa dai denti per dar luogo a questa osservazione.

la mi è morta Dio la benedica, com'io lo ringrazio! — fu preso da un colpo e se n'andò.
— Dove? — domandò Sam, che dopo i vari eventi della giornata andava pigliando sonno.
— Che volete ch'io sappia? — disse il ciabattino parlando col naso in una voluttuosa aspirazione della sua pipa. — Se n'andò all'altro mondo.
— Ah, capisco, capisco. E poi?
— E poi lasciò cinquemila sterline.
— Una cosa molto delicata da parte sua.


(http://www.charles-dickens.org/charles-dickens.jpg)
Titolo: autori con...
Inserito da: coureur-des-bois - 28 Maggio 2006, 15:04:21
Sappi che il Circolo Pickwick occupa un posto di riguardo nella mia biblioteca. Assolutamente britannico!
Bernardo
Titolo: Re: autori con...
Inserito da: Aqualong - 28 Maggio 2006, 15:36:17
Citazione da: "coureur-des-bois"
Sappi che il Circolo Pickwick occupa un posto di riguardo

Uno dei libri che in una biblioteca che si rispetti non deve mancare.

Un classico dell'avventura,pipe di frontiera.

James Fenimore Cooper 1789-1851

Cooper trovò i suoi temi nell'area conflittuale tra società e stato selvaggio; il suo mitico eroe Natty Bumppo sta tra i valori della civiltà bianca e le virtù degli indiani, offrendo un'immagine insostituibile dell'ambigua condizione del l'uomo di frontiera. Con Cooper siamo nel tema-mito tipico nordamericano della frontiera.

ULTIMO DEI MOHICANI

Dopo una breve e grave pausa, Chingachgook accese una pipa, dal fornello curiosamente scolpito in una di quelle pietre tenere che si trovano nel paese e il cui cannello era costituito da un tubo di legno, e cominciò a fumare. Quando ebbe aspirato abbastanza la fragranza del tabacco, passò l'arnese nelle mani dell'esploratore. La pipa aveva così fatto tre volte il giro nel più profondo silenzio, prima che uno della compagnia aprisse bocca. Poi il Sagamore, nella sua qualità di membro più vecchio e di rango più elevato, propose, con poche calme e solenni parole, l'argomento su cui deliberare.

Il mio fratello è un gran dottore,» disse l'astuto selvaggio, «proverà?»
            Un gesto di assenso fu la risposta. L'Urone si accontentò di quella assicurazione, e riprendendo la pipa aspettò il momento adatto per muoversi. L'impaziente Duncan, esecrando dentro di sé i freddi costumi dei selvaggi che richiedevano di sacrificarsi alle apparenze, si limitò ad assumere un'aria di indifferenza, uguale a quella mantenuta dal capo che era, a dire il vero, un parente stretto della donna spiritata. I minuti trascorrevano lentamente, e quando l'Urone mise da parte la pipa e si chiuse l'abito sul petto come stesse per fare strada verso la capanna della malata

Il ritorno di questo astuto e temuto capo ritardò la partenza degli Uroni. Parecchie pipe che erano state spente furono riaccese, mentre il nuovo venuto, senza proferire una parola, sfilò il tomahawk dalla cintura, e riempiendo il camino della pipa fino all'orlo, cominciò ad aspirare i vapori del tabacco attraverso la cannuccia, con la stessa indifferenza che avrebbe avuto se non fosse stato assente due interminabili giorni per una lunga e faticosa caccia. In tal modo passarono circa dieci minuti che a Duncan parvero altrettanti anni; e i guerrieri furono completamente avvolti da una bianca nube di fumo prima che qualcuno di loro parlasse.

Un silenzio profondo e terribile seguì la pronuncia del nome proibito. Ogni pipa cadde dalle labbra di colui che la stava fumando come se tutti avessero aspirato un'impurità nello stesso istante. Il fumo avvolse le teste in piccole volute, e arricciandosi in strette spirali, salì rapido verso l'apertura del tetto della capanna, lasciando l'aria pura al di sotto, e gli scuri visi chiaramente visibili. Gli sguardi della maggior parte dei guerrieri erano fissi al suolo,

Soltanto dopo un intervallo sufficiente scosse le ceneri dalla pipa, si rimise il tomahawk, allacciò la cintura e si alzò, gettando per la prima volta un'occhiata in direzione del prigioniero che si trovava dietro di lui.

Quando il capo che aveva sollecitato l'aiuto di Duncan ebbe finita la sua pipa, finalmente si mosse, questa volta con successo, per lasciare la capanna. Il cenno di un solo dito fu l'invito che fece al finto dottore di seguirlo; passando fra le nubi di fumo Duncan fu lieto, per più di una ragione, di poter finalmente respirare l'aria pura di una rinfrescante sera d'estate.

(http://www.beavervalleycampground.com/images/JAMES.JPG)
Titolo: Autori con...
Inserito da: coureur-des-bois - 28 Maggio 2006, 19:39:23
Anche questo è un classico che non manca nella mia libreria, ho anche il dvd del film " The last of the Mohicans " di Michael Mann anch'esso divenuto un cult, insieme alla sua colonna sonora.
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 28 Maggio 2006, 23:17:53
André Juillard
Nato a Parigi il 9 giugno 1948. Nel 1974 i suoi primi lavori, pubblicati su settimanali cattolici di Fleurus.
Disegnatore di fumetti,illustratore,pittore,creatore di scenografie
il continuatore più naturale della serie Black e Mortimer
un maestro della linea chiara che fuma la pipa.


(http://www.regart.ch/web/chapeau/bd/cahier-bleu/cahier-bleu1.jpg)(http://www.regart.ch/web/chapeau/bd/cahier-bleu/cahier-bleu2.jpg)(http://www.regart.ch/web/chapeau/bd/cahier-bleu/cahier-bleu3.jpg)



(http://perso.wanadoo.fr/ehl/bd/pfolio/pfINencart.jpg)
(http://perso.wanadoo.fr/ehl/bd/pfolio/pfIN6.jpg)
(http://perso.wanadoo.fr/ehl/bd/pfolio/pfIN7.jpg)(http://www.zanpano.com/images/contacts_illustration.jpg)

L'autore:

(http://perso.wanadoo.fr/ehl/bd/offset/bigimages/Off009.jpg)

(http://perso.wanadoo.fr/ehl/bd/offset/bigimages/Off008.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 30 Maggio 2006, 23:11:57
Theophile Gautier 1811-1872

Si dedicò molto giovane alla pittura, nell'atelier di Rioult. Partecipò con passione al dibattito letterario tra classicisti e romanticisti.Gautier come poeta anticipò l'impassi bilità e il perfezionismo nella fattura del verso che fu poi dei parnassiani. Costoro lo considerarono come un maestro. Ma anche Baudelaire nel dedicargli "I fiori del male", lo definì "poeta impeccabile" e "mago perfetto delle lettere francesi".
La sua fama di prosatore è legata al romanzo Il capitan Fracassa . Romanzo concepito in piena stagione romanticista, di qui il distacco e la tiepida ironia con cui è scritto e a cui deve il suo fascino.


LA PIPA D'OPPIO
 
 
 
            L'altro giorno ho trovato il mio amico Alphonse Karr seduto sul divano, con una candela accesa benché fosse pieno giorno. In mano teneva un cilindro di legno di ciliegio con un fungo di porcellana sul quale faceva sgocciolare una specie di pasta bruna che ricordava la ceralacca. La pasta bruciava e sfrigolava nel cannello del fungo ed egli aspirava attraverso un bocchino d'ambra gialla il fumo che poi si diffondeva nella stanza con un vago aroma di profumo orientale.
            Senza dire niente, presi l'apparecchio dalle mani del mio amico e avvicinai la bocca a una delle estremità. Dopo qualche boccata provai uno stordimento alquanto piacevole che ricordava le sensazioni della prima ubriacatura.

Mi ritrovavo dal mio amico Alphonse Karr - come effettivamente era accaduto in mattinata - e lui era seduto sul divano di lampasso giallo con la pipa e la candela accese. Il sole però non faceva volteggiare sulle pareti come farfalle variopinte i riflessi blu, verdi e rossi delle vetrate.
            Presi la pipa dalle sue mani, come avevo fatto qualche ora prima, e mi misi ad aspirare lentamente il fumo inebriante.
            Mi pervase ben presto una sensazione di beato languore, e mi sentii stordito come quando avevo fumato la vera pipa

Sicché hai fatto ridipingere il soffitto di blu», dissi a Karr, che sempre impassibile e silenzioso stava aspirando un'altra pipa ed emettendo più fumo del tubo di una stufa in inverno, o di un battello a vapore in una qualunque stagione.


DUE ATTORI PER UNA PARTE

Aquila a due teste era una di quelle felici taverne celebrate da Hoffmann, i cui gradini sono talmente consumati, unti e scivolosi che non si può posare il piede sul primo senza ritrovarsi in fondo, con i gomiti sul tavolo, la pipa in bocca, tra un boccale di birra e una misura di vino novello.
            Attraverso la spessa nuvola di fumo che appena entrati ti prendeva alla gola e agli occhi, dopo qualche minuto si delineavano ogni sorta di strane figure.

L'oriente era rappresentato da un grosso turco accoccolato in un angolo che se ne stava fumando tranquillamente latakia in una pipa che aveva il cannello di ciliegio moldavo, un fornello di terracotta e un bocchino d'ambra gialla.

Una nebbiolina, quasi impercettibile nella luce, incappucciava la cima tronca della montagna. In un primo momento era facile prenderla per una di quelle nuvole tra cui sfumano picchi più elevati anche nelle giornate serene, ma guardando
meglio si vedevano sottili volute di vapore bianco uscire dalla montagna come dai fori di un bruciaprofumi, per poi addensarsi in un vapore leggero. Il vulcano, quel giorno di umore bonario, fumava tranquillamente la pipa, e se non ci fosse stata Pompei sepolta ai suoi piedi, non sarebbe sembrato più pericoloso della collina di Montmartre.


(http://www.museedufumeur.net/caricaturesH400/PICT0153.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 31 Maggio 2006, 00:11:07
Henrick Ibsen 1828 -1906

Norvegese autore drammatico , che mise in scena personaggi in preda alla contraddizione tra le loro capacità e le loro ambizioni,Il suo teatro è stato definito di volta in volta naturalista, simbolista, anarchico... , la sua opera, basata su realtà vissute, enuncia teorie  audaci, calate in personaggi di una verità intensa. La sua norma : il rigore. Ibsen era convinto -  da seguace del pensiero di Kierkegaard - che il mondo intero è alla ricerca di una fede, di una vocazione.



SPETTRI


Ma basta, caro pastore, (illuminandosi di gioia) non avete sentito, non sentite? È Osvald... sta scendendo le scale, ora viene... Sì, è lui... Lasciamo stare tutto il resto, adesso che c'è lui, che siamo con lui... (Entra dalla porta a sinistra Osvald; indossa un leggero soprabito, tiene il cappello in mano e tira ampie boccate da una lunga pipa di schiuma)

OSVALD
Già. Mamma, a che ora si pranza?
 
SIGNORA ALVING
Subito, Osvald, subito. Fra una mezz'oretta, forse neanche... avete visto, pastore, che appetito? Dio sia lodato, ha un appetito...
 
PASTORE MANDERS
E anche voglia di fumare...
 
OSVALD
Beh, su in camera ho trovato la pipa di papà, e allora...
 
PASTORE MANDERS
Ah, ecco cos'era...



PASTORE MANDERS
Ecco... quando Osvald è entrato, così con quella pipa in bocca... mi è sembrato per un attimo di vedere suo padre, ma proprio in carne ed ossa...

OSVALD
Ma no, sul serio?
 
SIGNORA ALVING
Ma come potete dire una cosa simile! Se Osvald ha preso tutto da me...
 
PASTORE MANDERS
Ah questo sì, ma c'è qualcosa, non so, intorno alla bocca, là, verso gli angoli, o sulle labbra... qualcosa che mi ricorda, ma proprio tanto, il capitano... perlomeno adesso, così, con quel modo di fumare...
 
SIGNORA ALVING
Ma neanche per sogno. La bocca di Osvald è tutta diversa, ha un tratto spirituale, austero, direi quasi sacerdotale...
 
PASTORE MANDERS
È vero, è vero, anche tanti miei reverendi colleghi...
 
SIGNORA ALVING
Ma adesso metti via la pipa, tesoro mio. Qui dentro il fumo non lo posso proprio soffrire.

OSVALD (mette via la pipa)
Subito mamma, ecco. Volevo solo provare, siccome mi ricordavo che già una volta, da piccolo, avevo preso questa pipa, proprio questa, e tirato qualche boccata...

SIGNORA ALVING
Ma ti prego, cosa vuoi ricordarti di quegli anni! È impossibile, dopo tanto tempo, e poi eri appena un bambino...
 
OSVALD
E invece ricordo tutto, mamma, ho proprio qui la scena davanti agli occhi. Papà che mi prende sulle ginocchia e mi dice di fumare la pipa: «Fuma - mi par di vederlo - fuma, ragazzo, coraggio, ancora!». E io che mi metto a fumare, a tirare più che posso fino a sentirmi male, tutto pallido e col sudore che mi viene giù dalla fronte, e lui che allora ride, ride di gusto...



(http://www.go-regionen.org/upload/notice/henrik-ibsen-190x320.jpg)

 
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 31 Maggio 2006, 07:38:01
Carlo Collodi

Carlo Lorenzini, detto Collodi, nacque a Firenze, il 24 novembre 1826. Il famoso pseudonimo deriva dal paese natale della madre e lo scrittore inizialmente lo usò per firmare gli interventi su una rivista satirica, «Il Lampione», da lui fondata nel 1848, negli stessi giorni in cui stava partecipando con l’esercito piemontese alla seconda guerra d’indipendenza. La rivista venne chiusa dalla censura a pochi mesi dalla nascita, ma Collodi non si diede per vinto e nel 1853 fondò un altro periodico, «La scaramuccia», assai simile al primo per la verve e il piglio umoristico.Fin da queste prime esperienze, si può vedere come il padre artistico di Pinocchio guardasse la realtà da un’angolazione tutta particolare. Egli continuò a dedicarsi al giornalismo fino al 1859, quando si unì all’esercito di Giuseppe Garibaldi


Pipì.


1. Perché a Pipì fu dato il soprannome di “scimmiottino color di rosa”

Nel famosissimo bosco di Vattel'a pesca, c'era una volta una piccola famigliola composta di sette scimmie: il babbo, la mamma e cinque scimmiottini alti quanto un soldo di cacio.
Questa famigliola abitava fra i rami di un albero gigantesco, in mezzo a una foresta, e pagava quindici susine l'anno di pigione a un vecchio gorilla prepotente, che si era messo in capo di essere il padrone di casa.
Dei cinque scimmiottini, quattro avevano il pelame di un colore scuro come la cioccolata; ma il quinto, invece, ossia il più piccolo di loro, fosse scherzo di natura o altro, fatto sta che era tutto ricoperto, salvo il musino, da una finissima lanugine di color vermiglio carnicino, come le foglie della rosa maggese. Ed è per questa ragione che in casa e fuori di casa lo chiamavano tutti in canzonatura col soprannome di Pipì, parola che nella lingua parlata delle scimmie, vuol dire precisamente color di rosa.
Pipì non somigliava punto né a' suoi fratelli, ne agli altri scimmiottini del vicinato.
Aveva un musino vispo e intelligente; un par di occhietti furbi, che non stavano fermi un minuto: una bocchina che rideva sempre, e un personalino asciutto e flessibile, come un gambo di giunco. Era, insomma, come suol dirsi, uno scimmiottino fatto proprio col pennello.
Vedendolo così di prim'acchito, si poteva quasi scambiarlo per un ragazzino di otto o nove anni, per la gran ragione che Pipì faceva il chiasso e i balocchi, come un ragazzo: correva dietro alle farfalle e andava in cerca di nidi, come i ragazzi: era ghiottissimo delle frutta acerbe, come i ragazzi: mangiava ogni cosa e mangiava sempre, come i ragazzi: e dopo aver mangiato ben bene, si ripuliva la bocca con le mani, come fanno i ragazzi e segnatamente i ragazzi poco puliti.
Ma la più gran passione di Pipì volete sapere qual era?
Era quella di scimmiottare tutto quello che vedeva fare agli uomini.
Un giorno, fra gli altri, mentre andava per la foresta a caccia di cicale e di grilli, vide a poca distanza un giovanetto seduto a piè d'un albero, che se ne stava tranquillamente fumando la sua pipa.
A quella vista, Pipì spalancò tanto d'occhi e rimase come incantato.
"Oh!" diceva dentro di sé "se potessi avere una pipa anch'io!... Oh se potessi anch'io farmi uscire que' bei nuvoli di fumo dalla bocca!... Oh se potessi tornarmene a casa, fumando come un camminetto acceso! Chi lo sa con che occhi d'invidia mi guarderebbero i miei quattro fratelli!"
Mentre allo scimmiottino frullavano per il capo queste bellissime cose, ecco che il giovinetto, un po' per la stanchezza e un po' per il gran bollore della giornata, lasciò andare due sonori sbadigli, e posata la sua pipa sull'erba, si addormentò.
Che cosa fece allora quel birichino di Pipì?
Si avvicinò pian pianino, in punta di piedi, al giovinetto che dormiva: e rattenendo perfino il fiato... allungò adagino adagino una zampa... prese con una velocità incredibile la pipa che era posata sull'erba... e poi, via a gambe come il vento.
Appena arrivato a casa, chiamò subito, tutt'allegro, il babbo, la mamma e i fratelli; e in presenza a loro, infilatosi quel pipone fra i labbri, cominciò a fumare con lo stesso garbo e con la stessa disinvoltura, come avrebbe fatto un vecchio marinaio.
La mamma e i fratelli, a vedergli uscir di bocca quelle nuvole di fumo, ridevano come matti: ma il suo babbo che era uno scimmione pieno di giudizio e di esperienza di mondo, gli disse in tono di avvertimento salutare:
“Bada, Pipì! A furia di scimmiottare gli uomini, un giorno o l'altro diventerai un uomo anche tu... e allora! Allora te ne pentirai amaramente, ma sarà troppo tardi!”
Impensierito da queste parole, Pipì gettò via la pipa di bocca e non fumò più.
Eppure bisogna convenire che quella pipa rubata gli portò disgrazia.
Difatti, pochi giorni dopo, Pipì venne colpito da un orribile infortunio! Lo sciagurato perdé per sempre la sua bellissima coda: una coda così bella, che bastava averla vista una volta, per non potersela mai più dimenticare.
Come andò che Pipì perdé la sua magnifica coda?
È una storia crudele e dolorosa, che fa venire le lacrime agli occhi soltanto a pensarvi; e io ve la racconterò in quest'altro capitolo.

(http://www.museedufumeur.net/caricaturesH300/car04.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Giugno 2006, 00:23:28
Guillame Apollinaire

Guillaume Apollinaire (pseudonimo di Wilhelm Apollinaris de Kostrowitzky) nacque a Roma nel 1880. Trascorsa l'infanzia tra Roma, la Costa Azzurra e Lione, si stabilì a Parigi nel 1902; qui frequentò gli ambienti letterari di punta e le avanguardie artistiche, dai fauves ai cubisti, dai futuristi ai primi gruppi surrealisti.Fù un po' l'arbitro elegantiorum di quel mondo.Il poeta che narrava gli artisti,di lui ci sono qualche centinaio di ritratti fatti da: Dechirico,Max Ernst,Dalì,Picasso, Russò "Le duanier" Picabia etc, molti con la inseparabile pipa in bocca.Forse il massimo della gloria e della fama! La sua vita fù breve,come tutti i prediletti dagli dei,stroncato nel 18 dalla "Spagnola"
Le sue liriche narrano la vita che scorre nell'attimo presente.

QUE VLO-VE?

   
   La chitarra di Que vlo-ve? era un po' parte del vento che geme sempre nelle Ardenne del Belgio...
   Que vlo-ve? era la divinità di questa foresta in cui errò Geneviève de Brabant dalle rive della Mosa fino al Reno, attraverso l'Eifel vulcanico con i suoi mari morti, le lagune di Daun, l'Eifel dove zampilla la sorgente di Saint-Apollinaire, e dove il lago di Maria Laach è uno sputo della Vergine...
   Gli occhi di Que vlo-ve? lampeggianti e cisposi, con la pelle delle palpebre rossa come il prosciutto crudo, lacrimavano senza posa e le lacrime gli bruciavano le labbra come l'acqua delle fonti d'acqua acidula che abbondano nelle Ardenne.
   Era il compagno dei cinghiali, il cugino delle lepri, degli scoiattoli, e la vita scuoteva la sua anima come il vento dell'est scuote i grappoli arancioni dei sorbi selvatici...
   Que vlo-ve? - vale a dire: Que voulez-vous? - vallone vallonante di Vallonia era nato prussiano a Mont, luogo chiamato Berg in tedesco e situato vicino a Malmédy sulla strada che porta in quelle pericolose torbiere chiamate Hautes-Fanges o Hautes-Fagnes, o più precisamente Hohe-Venn, perché si è già in Prussia, come testimoniano dei pali neri e bianchi, sabbia e argento, color notte, color giorno, su tutte le strade.
   Que vlo-ve? preferiva il proprio nomignolo al proprio nome: Poppon Remacle Lehez. Ma se lo salutavano col soprannome, Li bai valet (il bel ragazzo), faceva risonare l'anima della chitarra e batteva sul ventre del suo interlocutore dicendo:
   «Suona vuoto come la mia chitarra, mormora che ha sete, non ha più péket da pisciare».
   Ci si prendeva allora a braccetto e senza darsi del tu, perché non ci si dà mai del tu in vallone, si andava - nome di Dio! - a bere del péket che è la più volgare delle acquaviti di cereali alla quale, parlando francese, si dà eufemisticamente il nome di ginepro.
   E sarebbe stata una cosa veramente straordinaria non scovare in un angolo della locanda Guyaume il poeta, che aveva il dono dell'ubiquità, perché lo si vedeva in tutte le rivendite di birra e di péket tra Stavelot e Malmédy. E quante volte era successo che dei giovanotti venissero alle mani perché uno diceva:
   «Ho bevuto ieri con Guyaume a tale ora alla stazione».
   «Bugiardo - diceva un altro - alla stessa ora Guyaume stava con noi al caffè del Colbacco e c'erano anche il ricevitore delle poste e l'esattore delle imposte».
   E, da una battuta all'altra, i giovanotti finivano col prendersi a sberle in onore del poeta.
   Guyaume era tisico e abitava all'ospizio, a Stavelot. Siccome gli offrivano dappertutto da bere gratis, Guyaume andava a bere dappertutto. E dopo aver bevuto ne raccontava di racconti incredibili, di storie di briganti, dell'altro mondo o che non stavano né in cielo né in terra!
   Declamava versi contro la famiglia protestante della piazza della Chiesa, contro il gobbo di Francorchamps, e contro la ragazza dai capelli rossi di Trois-Ponts che in autunno andava sempre a raccogliere funghi! Puah! i funghi fanno crepare le vacche e lei, la rossotta, se ne abbuffava senza morire! Ah! la strega!... Ma cantava anche le glorie dei mirtilli e il bene che fa agli intestini umani il latte coi mirtilli, e cioè l'arcidivino, ambrosio tchatcha. Componeva spesso versi per le serve che sbucciano le krompire, le buone patate, le magna bona...
Quel giorno Que vlo-ve?, sulla strada costeggiata da alberi forti e contorti, sfregava l'acciarino per accendere la pipa...
   Passarono quattro giovanotti. Erano Hinri de Vielsalm, Prosper il bracciante, che era stato operaio nomade ed aveva lavorato anche dalle parti di Parigi nelle raffinerie ed ora abitava a Stavelot, Gaspard Tassin il cacciatore, bracconiere di Wanne: il suo cappello di feltro era adorno d'un'ala di sparviero e fumava una puzzolente pipa di legno di ginepro, e infine Thomas il babo, cioè il coglione, operaio condatore di Malmedy. Aveva una moglie molto carina: ragion per cui lei andava a letto con ogni sorta di persone, borghesi o operai, e lui, da parte sua, ingravidava, quando poteva, operaie di fabbrica o serve tedesche alle quali, diceva, piaceva andare a letto con lui perché era bravo come nessuno a fare un lungo e duro pimpam.
   Accesa la pipa, Que vlo-ve? corse loro dietro gridando:
   «Bonjou, tertous!»
   Ed essi di rimando:
   «Bonjou, bai' valet!»
   Que vlo-ve? li guardò con aria allegra recitando la sua eterna domanda, origine del suo soprannome:
   «Que vlo-ve? Nom di Dio! Ascoltate la mia chitarra. La sentite?»
   E la fece risuonare battendole sopra due colpi.
   «Suona più vuoto d'un peto di diavolo. Nome di Dio! Scommetto che si va a bere del péket dalla Chancesse, qui vicino!... Oyez-ve!...»
   Ed accordata la chitarra attaccò la Brabançonne. Ma gli gridarono:
   «Tacete!»
   Allora intonò la Marseillaise, poi dopo la prima strofa gridò «Nom di Dio!» ed intonò:
   
   «Isch bin ain Preusse...»
   
   Ma il babo ripeté:
   «Tacete, siete un prussiano che non sa il tedesco... Tacete!... voglio andare a letto con la Chancesse».
   E i giovanotti cantarono in coro:
   «E se ne resta un pezzo sarà per la serva,
   se non ne resta per niente lei si darà botte sulla pancia!
   
   E zum zum zum Lisette, mia Lisette
   E zum zum zum Lisette, mia Lison».
   
   Entrarono dalla Chancesse. Questa diceva il rosario, seduta a gambe divaricate. Le sue poppe, sotto la camiciuola, sembravano rotolar giù come una valanga.
   In un cantuccio Guyaume il poeta parlava tutto solo davanti al suo bicchiere di péket. Entrando i giovanotti salutarono:
   «Bonjou vos deusses!»
   Guyaume e la Chancesse risposero:
   «Bonjou tertous!»
   Lei portò dei bicchieri e servì loro il péket mentre cantavano:
   
   Sento il fondo del bicchiere...
   
   S'avvicinò Guyaume:
«Que vlo-ve?» disse il chitarrista, riaccendendosi la pipa. Guyaume versò del péket in un bicchiere che s'era portato. Bevve, fece schioccare la lingua, poi lanciò un peto dicendo a Prosper:
   «Cerca d'acchiapparlo, tu che sei stato parigino».
E siccome s'era al tramonto davanti alla locanda passò lentamente e per un bel po' una lunga mandria di vacche, condotta da una ragazzetta con i piedi nudi.
   
   Bisogna ora prendere il coraggio a due mani, perché è arrivato il momento difficile. Si tratta di parlare della gloria e della bellezza del cencioso povero diavolo Que vlo-ve? e del poeta Guillaume Wirin, i cui stracci coprivano anch'essi un buon povero diavolo in miseria. Sù, forza!... Apollo! Patrono mio, tu sei sfiatato, vattene! Fa venire quell'altro: Ermes il ladro, degno più di te di cantare la morte del vallone Que vlo-ve? sulla quale piangono tutti gli Elfi dell'Amblève. Che venga, l'astuto ladro dai piedi alati,
   
   Ermes, dio della lira e ladro di greggi,
   
   che getti su Que vlove? e la Chancesse tutte le mosche ganniche che al nord si crede tormentino certe vite come una fatalità. Che porti con sé il mio secondo patrono, in mitra e piviale, il santo vescovo Apollinaire. Questo coprirà il calvario di legno dipinto che soffre al crocevia:
   E dei santoni venuti dagli ovili rattristati
   dai belati e dai dolci occhi di graziosi agnelli
   accompagneranno ogni sera alla croce di questo Cristo
   un lungo poetico gregge con un crâmignon.

Un vecchio contadino, sbarbato, aveva al braccio un cesto pieno di focaccine cosparse di chicche all'anice. Aveva venduto una parte della sua merce per strada e camminava a fatica fumando la pipa. Ricche contadine erano sedute sulle loro mule dal passo sicuro. Ragazze si tenevano a braccetto sgranando il rosario. Portavano in testa dei cappelli di paglia, quasi piatti, caratteristici delle donne della contea di Nizza e simili a quelli che portavano le donne greche, come si può vedere dalle statuette di Tanagra.
(http://www.remydegourmont.org/vupar/rub2/apollinaire/02.jpg)
(http://www.i-politismos.gr/dekiriko/love_song_1914.jpg)
(http://www.surrealisme.nl/graphics/apolinair.JPG)
(http://www.towson.edu/~sallen/COURSES/SURREAL/Chirico2.GIF)
(http://www.nonsolobiografie.it/personaggi/primopiano_guillaume_apollinaire.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Giugno 2006, 19:05:51
RAYMOND CHANDLER (1888-1959)

Considerato a lungo niente più di un brillante artigiano,anche se fu spesso lodato per il suo realismo. Chandler comincia a essere rivalutato come scrittore a tutto tondo; si è dedicata maggiore attenzione alla sua complessa biografia, che ne fa un vero e proprio intellettuale prestato al giallo.Le sue storie spesso non reggono ,ma le sue descrizioni di atmosfere surreali della "metropoli" spesso diventano delle liriche.I suoi personaggi non trovano mai piacere nel fumare la pipa.





ADDIO, MIA AMATA

Una striscia di sole scivolò lungo l'orlo della scrivania e cadde senza rumore sul tappeto. Semafori si accendevano e si spegnevano sul boulevard, passavano tram suburbani con fragore; nell'ufficio dell'avvocato oltre la parete sottile picchiettava una macchina da scrivere. Io avevo appena riempito e acceso la pipa quando il telefono squillò di nuovo.

«Vi faccio perdere tempo?».
«No».
«Pure non ho l'impressione che vi faccia molto piacere vedermi».
Riempii la pipa e l'accesi con cura. Lei mi guardò con aria d'approvazione. I fumatori di pipa sono persone serie. Ma le si preparavano delusioni sul conto mio.

Io non risposi. Accesi di nuovo la pipa. È un gesto che vi fa apparire pensosi quando non sapete a che pensare.


Dalla finestra guardai nel vicolo fra il mio palazzo e quello di fronte. Dal basso saliva un profumo di caffè tanto forte e resistente che ci si sarebbe potuto costruire una casa sopra. Tornai alla scrivania, rimisi nel cassetto la bottiglia del whisky, chiusi il cassetto e mi sedetti di nuovo. Per l'ottava o la nona volta riaccesi la pipa e osservai con attenzione, oltre il piano di cristallo impolverato della scrivania, la faccina seria e onesta di Miss Riordan.

Io me ne stetti seduto, tirando dalla pipa; ascoltavo il ticchettio della macchina da scrivere nell'ufficio vicino, il rumore ritmato dei semafori sul Boulevard Hollywood, la primavera che frusciava nell'aria come un involto di carta trasportato dal vento sul marciapiede.

Erano le sei meno un quarto quando arrivai in ufficio. Tutto il palazzo era molto tranquillo. La macchina da scrivere oltre la parete taceva. Io ac-cesi la pipa e mi sedetti ad aspettare.

ANCORA UNA NOTTE


Portava gli occhiali e lar-ghe orecchie gli spuntavano sotto il cappello di feltro grigio. Il bavero del cappotto era sollevato. Le mani erano nella tasca del cappotto. I capelli che si scorgevano erano grigio incrociatore. Aveva un aspetto solido, come ca-pita a molti uomini grassi. La luce che usciva dalla porta aperta alle mia spalle si rifletteva negli occhiali. Aveva in bocca una piccola pipa, di quel-le che sembrano un ossetto per mastini. Ero ancora intontito, ma qualcosa in lui mi disturbava.
«Bella serata» disse.
«Serve niente?»
«Cerco un tale. Non siete lui.»

IL LUNGO ADDIO

Accesi la pipa. Il tabacco era un po' troppo umido. Mi occorsero tre fiammiferi e un po' di tempo prima che si accendesse a dovere.
«Il tempo non mi mancava» disse Green «ma già ne ho adoperato parecchio aspettando che arrivaste. E dunque, fuori, amico. Sappiamo chi siete. E voi sapete che non ci troviamo qui per divertirci.»

«Un ufficio modesto» disse. «Molto modesto.»
Andai a mettermi dietro la scrivania e aspettai.
«Quanto guadagnate in un mese, Marlowe?»
Lasciai correre e accesi la pipa.
«Settecentocinquanta dollari al massimo» disse.
Lascia cadere il fiammifero spento nel posacenere e soffiai fuori il fumo.
«Siete una pulce, Marlowe. Siete un miserabile. Siete tanto piccolo che occorre una lente da ingrandimento per vedervi.»
Non aprii bocca.

Scosse il capo, adagio. «Era un vostro amico, signor Marlowe. Dovete esservi fatto un'opinione ben precisa. E penso che siate un uomo molto deciso.»
Schiacciai il tabacco nella pipa e la riaccesi. Me la presi con calma e la fissai al di sopra del fornello della pipa, mentre l'accendevo.
Scossi la cenere dalla pipa e la tenni in mano in attesa che il fornello si raffreddasse prima di rimetterla in tasca.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/8/8e/Chandler.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Giugno 2006, 21:51:29
Gustave Flaubert (1821-1880)

Protagonisti dei romanzi di Flaubert sono dei borghesi e delle casalinghe.Il denaro, la competizione economica, il successo, tutti gli ele menti della nuova società industriale ottocentesca con il loro risvolto tragico di bancarotte, fallimenti, truffe.La città di Flaubert non è più sede di palazzi e giardini, ma di botteghe, ristoranti, bordelli. Flaubert si limita a scegliere i fatti e a tradurli in linguaggio, convinto che la perfetta espressione di un fatto basti a interpretarlo.




L'EDUCAZIONE SENTIMENTALE

«Hai da fumare?» riattaccò Federico.
            Dussardier, dopo essersi frugato addosso, estrasse dal fondo della tasca i resti d'una pipa: una bella pipa di schiuma col cannello di legno nero, il coperchio d'argento e il bocchino di ambra.
            Erano tre anni che ci lavorava, per ricavarne un capolavoro. Aveva avuto cura di custodirne costantemente il fornello in una foderina di camoscio, di fumarla il più adagio possibile, di non appoggiarla mai sul marmo; tutte le sere, l'appendeva a capo del letto. Adesso se ne rigirava i pezzi fra le mani, con le unghie che gli sanguinavano, contemplando a bocca aperta - il mento sul petto, lo sguardo fisso e indicibilmente malinconico - le rovine del suo tesoro.

            Nell'uscire dalla corte Federico barcollava come un ubriaco; e aveva un'aria così interdetta che sul ponte della Boucherie un borghese, smettendo di fumare la sua pipa, gli chiese se stava cercando qualcosa. Conosceva, lui, la fabbrica di Arnoux: si trovava a Montataire.

            Era in piedi, la schiena appoggiata al camino. Gli altri stavan seduti, con la pipa in bocca, e l'ascoltavano dissertare sul suffragio universale, dal quale sarebbe certamente risultato il trionfo della Democrazia e l'applicazione dei principi evangelici

Le scariche di fucilate diventavan più fitte. Le osterie erano aperte: ci si andava ogni tanto a fumare una pipa, a bere un boccale di birra, poi si tornava a combattere. Un cane che s'era perso uggiolava; la gente, intorno, rideva

Dopo un giorno aveva già licenziato tre domestici, venduto i cavalli, s'era persino comprato, per avventurarsi nella strada, un cappello floscio; progettò di farsi crescere la barba; e se ne restava tappato in casa, accasciato, rileggendo amaramente i giornali più ostili alle sue convinzioni, incupito al punto che neanche le battute di spirito sulla pipa di Flocon riuscivano a farlo sorridere.

Poi lei passava in esame la stanza di lui, apriva i cassetti dei mobili, si pettinava con il suo pettine, si guardava nel suo specchio da barba. Spesso arrivava persino a mettersi tra i denti la cannuccia di una grossa pipa in mostra sul tavolino da notte.


(http://alfarrabio.org/media/1/20051008-flaubert_gustave-2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Giugno 2006, 15:29:59
Alessandro Dumas 1803 1870

Ognuno di noi ha letto qualche suo libro,magari nell'infanzia, e le sue opere gli saranno sembrate molto fantasiose,invece viene menzionato spesso nelle cronache dell'epoca,in situazioni che sembrano uscire dai suoi romanzi:
"Garibaldi era a villa Spinola. Oltre il muro di cinta giravano agenti segreti di Cavour, vestiti da frati. Riconosciuti, furono cacciati a pedate e a male parole. Si presentò anche Alessandro Dumas père, ma era un amico e fu accolto a braccia aperte. Dumas pubblicò articoli entusiasti su Garibaldi e i suoi volontari."
Molti  altri grandissimi autori si sono ispirati alle sue opere,es. Giuseppe Verdi.
Cosa fumasse non è arrivato sino a noi,ma avendo viaggiato molto in oriente,si può presumere miscele orientali e affumicate e lo si deduce anche dai suoi scritti.


IL CONTE DI MONTECRISTO

Montecristo aveva raccomandato di avere per Haydée
      i  riguardi che si sarebbero potuti avere per una regina.  Lei era
      nella stanza più remota del suo appartamento,  cioè in una  specie
      di  salotto  rotondo,  che prendeva lume soltanto dall'alto,  e la
      luce passava per cristalli colorati  in  rosa:  seduta  per  terra
      sopra cuscini di seta turchina broccata in argento,  circondava la
      testa col braccio destro  mollemente  rotondeggiante,  mentre  col
      sinistro  teneva alle labbra il bocchino di corallo,  al quale era
      attaccata la canna flessibile di una pipa turca,  che non lasciava
      giungere alla bocca il vapore,  se non dopo essere stato profumato
      dall'acqua di benzuino.
Montecristo s'avanzò.  Lei si  sollevò
      sul  gomito  del  braccio  con cui teneva la pipa,  e stendendo al
      conte la mano lo accolse con un sorriso.

      "Anzi semplicissima" riprese Montecristo. "Alì sa che prendendo il
      tè, o il caffè, ordinariamente io fumo, sa che ho domandato il tè,
      sa  che  sono  tornato  con  voi,  viene chiamato e non dubita del
      perché,  e siccome è di un paese in cui l'ospitalità  si  esercita
      particolarmente  con la pipa,  invece di un "chibouque",  ne porta
      due."

      Alì rientrò, portando il caffè e le pipe;  in quanto a Battistino,
      questa parte dell'appartamento gli era interdetta. Alberto rifiutò
      la pipa che gli presentava il moro.
      "Oh,  prendete,  prendete" disse Montecristo. "Haydée è incivilita
      quasi al pari di una parigina:  il  fumo  degli  avana  le  riesce
      ingrato,  perché non ama i cattivi odori,  ma come ben sapete,  il
      tabacco d'Oriente è un profumo."

Gli preparò l'acqua ghiacciata,
      che mio padre beveva ad ogni istante,  poiché dopo la ritirata nel
      palazzo era arso da febbre ardente; gli profumò la bianca barba, e
      gli  accese la pipa,  di cui,  qualche volta per ore intere,  egli
      seguiva con gli occhi il fumo a spire nell'aria.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/06/DUMAS_PERE.jpg/180px-DUMAS_PERE.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Giugno 2006, 00:10:16
Hans Theodor Storm  (1817-1888)

Come poeta, Storm subì l'influsso dell'amico Mörike. Le sue melodiose Poesie (Gedichte, 1852) nascono nella chiusa cerchia delle esperienze individuali, in una specie di isolamento nel tempo, parlano con toni di lieve malinconia. I temi sono l'amore, la vita coniugale, il paesaggio del mare del Nord. Gli argomenti patriottici sfumano nell'evocazione nostalgica di epoche remote.

ROSE TARDIVE

Mi ero così sistemato nella mia cameretta sopra al portone, con grandissima gioia di Dieterich; e le sere di festa sedevamo insieme sulla sua cesta da carico, e io, proprio come quando ero ragazzo, mi facevo narrare da lui. Egli fumava allora volentieri una pipa di tabacco, abitudine introdotta anche da queste parti dalla guerra, e tirava fuori ogni sorta di storie dalle tribolazioni che aveva dovuto patire dalle truppe straniere.   Il vecchio Heinrich se ne stava allora accanto a lui, la sua corta pipa in bocca, facendosi raccontare le sorti delle varie marionette, delle quali quasi ciascuna aveva una storia a sé; per esempio, come venne rivelato in una di quelle circostanze, quel Kasper scolpito con tanta efficacia, per il suo giovane intagliatore aveva addirittura avuto il ruolo di pronubo con la madre di Lisei.
Il vecchio mi dette un'occhiata furba, e si mise a tirar boccate dalla corta pipa con tanta lena, come se quell'erba preziosa gli crescesse nell'orto.

«Alcune sere dopo, servo e garzone si ritrovarono insieme davanti alla porta della stalla; il crepuscolo si spegneva dietro l'argine, e già la piana era tutta immersa nell'ombra; solo ogni tanto si sentiva il muggito di un bue spaventato o il lamento di un'allodola, la cui vita finiva sotto l'attacco di un uccello da preda, o di un topo di riviera. Il garzone se ne stava appoggiato alla porta e fumava una corta pipa, il cui fumo, per il buio, non si vedeva più: da un pezzo i due giovani non avevano parlato tra loro; il servo, però, aveva un peso sul cuore e non sapeva come fare a sfogarsi un po' con quel garzone tanto taciturno.

Dinanzi alla bella casa, sotto i tigli, su una collinetta in faccia alla porta a nord, che i due benefattori abitarono durante i loro ultimi anni, ora siedono tutti in fila quei giovanotti invecchiati, con i loro nasi bluastri; gli uni indossano vecchie divise militari rosse o blu, gli altri giacche da marinai tutte sformate; ma tutti hanno infilato in bocca il cannello della pipa, e una tabacchiera piena di schrot nella tasca del panciotto.

Nel mezzo stavano i partecipanti alla gara, circondati da giovani e vecchi, sia che abitassero nella bassa, sia che avessero casa o soggiorno nelle alture; i più vecchi, avvolti nei lunghi cappotti, fumavano la pipa pensosi; le donne, con tanto di giubbetto e di scialle, tenevano i bambini per mano o in braccio. Dai canali gelati, che venivano attraversati man mano, mentre il pallido raggio del sole pomeridiano scintillava in mezzo alle aguzze punte delle canne, veniva un freddo polare; il gioco, però, proseguiva instancabile e tutti gli occhi continuavano a tener d'occhio la palla che volava, perché da essa dipendeva quel giorno l'onore e la gloria di tutto il villaggio. Dei giudici di parte, quello del partito del polder aveva una mazza bianca, quello delle alture una mazza nera, ambedue con la punta di ferro; quando la palla aveva terminato la corsa, la mazza veniva piantata nel terreno gelato, tra il tacito riconoscimento o tra le risa di scherno della parte avversa, e la palla che era giunta al bersaglio per prima, assicurava la vittoria alla sua parte. Quanto a parlare, si parlava ben poco; solo quando si vedeva un lancio di quelli magistrali, si sentiva un grido dei giovani o delle donne; oppure uno dei vecchi si levava la pipa di bocca e la batteva sulle spalle del lanciatore dicendogli: "'Questo sì, che è un bel tiro!', disse Zaccaria scaraventando la moglie dalla finestra!".



(http://www.vorleser.net/assets/images/storm_k.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Giugno 2006, 13:32:28
Dario Fo
Un morto non morto ,una pipa che non pipa,ma Dario è sempre Dario

Un morto da vendere

MARIA (raccattando la pistola da terra) E adesso cambiamo musica...
UBRIACO Perché cambiar musica? Era così bella quella di prima... Oh! ma guardali... Tutti con le pistole... che bello... anch'io, anch'io con la pistola!... (Estrae da tasca la pipa e la impugna come se fosse un'arma) E adesso, cosa si fa?

Parte un colpo. Marco e il Padre cadono di schianto. Dopo qualche secondo anche il Cliente stramazza al suolo ribattendo la testa contro la pianola che, questa volta, attacca a suonare una marcia funebre.
UBRIACO E no, non vale... Se si spara prima di fare la conta... Avanti, ricominciamo da capo...
MARIA Non facciamo scherzi... Qui ci sono due morti di troppo... Il colpo è stato uno solo... papà, papà... (Si getta sul corpo del Padre) Meno male, il cuore batte ancora. Su, papà, sveglia... non sei morto.
PADRE (sollevando appena la testa) No, no... tu dici così per tirarmi su il morale... ma io lo so che sono morto-Cosa credi, che non abbia sentito lo sparo? No, con me le bugie pietose non attaccano...
MARIA Smettila, papà... ti dico che è stato un colpo solo... non potete essere morti tutti e tre...
MARCO (sollevando la testa) Hai detto un colpo solo?... Allora se il morto sei tu, io sono vivo... Meno male! Maria, ti faccio le mie condoglianze più sentite. Povero Arturo. Eri così buono... Mi mancherai...
Intanto l'Ubriaco è andato vicino al corpo del Cliente ed ha cominciato a scuoterlo.
UBRIACO Su, giovanotto, su con la vita. Il morto l'abbiamo trovato... si alzi che ricominciamo da capo... Ma questa volta facciamo la conta... eh? (Il Cliente ricade). Ehi! Ma questo è morto sul serio...
MARIA L'abbiamo ammazzato...
PADRE Chi l'ha ammazzato?
MARCO Ah!... io no di sicuro... sarai stato tu o tua figlia...
MARIA Mascalzone! Spergiuro! Prima spara e poi finge di essere morto per buttare la colpa su di noi... E tu me lo volevi dare per marito!
PADRE Spergiuro! Avanti! Giura sui tuoi morti più stretti che non sei stato tu a far fuori il morto!
MARCO Che io possa essere morto... se il morto... Un momento. Ma chi vi ha detto che debba essere stato proprio uno di noi tre a farlo fuori? (Indicando l'Ubriaco) C'era anche lui al momento dello sparo.
PADRE È vero! Mi ricordo che ha detto: chi spara per primo?
MARIA Ma non dite sciocchezze... Mica ha potuto sparare con una pipa...
UBRIACO Eh no... io non sono capace di sparare con la pipa...
MARCO Quando uno è sbronzo non sa mai quello che fa... e non avete idea di cosa sanno fare questi ubriaconi quando perdono la trebisonda... sono capaci di tutto...
PADRE Perfino di sparare con la pipa come ha fatto lui...
UBRIACO Ma, a dir la verità, io non me ne sono neanche accorto della pipa che ha sparato...
MARIA Poveretto... Ma tu guarda che scherzi fanno certe volte le pipe...
MARCO Eh!... Sono aggeggi pericolosi... Io mi ricordo di un mio zio che con una sola pipata ha ammazzato cinque buoi e un mulo...
PADRE Con una sola pipata?
MARCO E... sì, era sbronzo naturalmente ed era andato a fumare la pipa proprio nel pagliaio sopra la stalla... Una pipata andata a male e... trac... tutti bruciati vivi, lui compreso...
MARIA Ne ho sentito parlare anch'io. È stata quella volta che hanno levato il porto di pipa a tutti gli ubriachi del paese...
PADRE A proposito... tu ce l'hai il porto di pipa?
UBRIACO (con l'aria del ragazzino che dice la bugia) ... Mi è scaduto!
PADRE E allora avrai delle grane con la polizia... Ti conviene dire che l'hai ammazzato con la pistola... Tieni la mia...
UBRIACO Grazie... Come è buono lei.
MARCO Potrai sempre dire che ti è scappato un colpo...
UBRIACO Come siete buoni voi... che mi aiutate... Be', non mi resta che andare alla polizia e raccontare com'è andata...
PADRE Sì, sì, ma vacci subito...
MARCO E mi raccomando... se non vuoi grane non dir niente della pipa...
UBRIACO No, no... non dico... dico che ero sul pagliaio a fumarmi la pistola, un tiro andato male... ho ammazzato tre buoi e un mulo... lui era sotto il mulo... è morto soffocato. Come siete buoni voi... (Esce).
I rimasti si buttano sul morto per cercare quattrini.
PADRE Giù le mani... dividi tutto per tre...
MARCO Perché, per tre?
MARIA Perché, fino a prova contraria, c'ero anch'io con la pistola in mano... E questo che cos'è? (Spiega un foglio e legge) «Taglia di mille marenghi d'oro a chi consegnerà vivo o morto il brigante Pietro Gambone detto il Magnaccio colpevole di ben trenta omicidi per rapina»... Oh, Dio!
MARCO Ma che c'è?
MARIA Guardate la fotografia!
PADRE (confrontando la foto col morto) È lui! Abbiamo ammazzato il Magnaccio!
MARCO Piano, abbiamo ammazzato il Magnaccio... L'avete detto voi che sono stato io a sparare... Quindi, il morto è mio e i mille marenghi me li becco io...
PADRE Tu non ti becchi niente... Giù le mani dal morto o sei morto! (Gli punta la pistola proprio mentre l'altro si sta caricando il morto sulle spalle).
MARCO No, non facciamo scherzi. (Facendosi scudo del
morto) Non vorrai far morto il futuro marito di tua figlia... per un morto estraneo. (Solleva le braccia del morto nella posizione di «mani in alto»),
MARIA Non farti incantare, papà... ammazzalo... con un morto come quello in dote troverò tutti i mariti che vuoi.
PADRE E chi ti dice che lo darò in dote proprio a te... per poi vedermelo sperperare dal primo cacciatore di dote che troverai...
MARCO Ben detto, Arturo... questo si chiama ragionare da uomo intelligente... (Fa gesticolare il morto manovrandolo dal di dietro) Se abbassi un momento la pistola... ti faccio una proposta saggia e onesta.
PADRE Sentiamo questa proposta...
MARCO (manovrando sempre le braccia del morto come fossero quelle di una marionetta) Giochiamocelo a carte: se vinco io tu mi dài tua figlia in moglie e vieni a vivere con noi... Se vinci tu io sposo tua figlia e veniamo a vivere con te... In ciascuno dei casi il morto rimarrà sempre in famiglia...
MARIA E se vinco io?...
PADRE Tu?!... No, tu non giochi... Queste son faccende da uomini... Avanti, Marco, dài le carte... E questo mettiamolo a sedere qui... (Afferra il morto per il colletto della giacca e lo fa saltellare fino all'altezza della sedia) Ci faremo un bel tressette col morto...
MARIA Ah, ah... adesso che ci penso... state giocando la pelle del morto prima ancora di averlo ammazzato...
MARCO Ma cosa stai dicendo?
MARIA Vi state dimenticando dell'ubriaco... Quello è già dal brigadiere a raccontare che il morto è suo...
PADRE Già... e pensare che siamo stari proprio noi a regalarglielo... con la bella trovata delle pipe che sparano... (Indica Marco).
MARCO (rispondendo a tono) E col porto di pipa!
PADRE Ci sarebbe proprio di che sputarci in faccia!
UBRIACO (appare sulla porta) Sputarsi in faccia? Cos'è un nuovo gioco, un gioco che si sputa? Ah, che bel gioco... anch'io, anch'io... Questa volta però facciamo la conta eh!
MARIA Un momento... e il brigadiere?
UBRIACO Quale brigadiere?
MARCO Ma come? Non sei andato dalla polizia?
UBRIACO (scoppiando in lacrime) Ecco, adesso lo so già che mi sgridate! Ma... ho avuto vergogna... Il brigadiere è così nervoso che se uno gli va a dire che ha ammazzato un altro... lui diventa nervoso... che mi fa diventare nervoso... così nervoso... che nervoso quel brigadiere... nervoso...
PADRE Come? Come?... Allora nessuno sa niente del morto...
UBRIACO No, nessuno... Ma vi prego... aspettiamo almeno fino a domani... perché oggi mi sento così buono-che se poi mi dicono che sono cattivo... (Piange).
MARCO No... nessuno... ti dirà che sei cattivo... ma santo... vieni, fratello. (Lo bacia sulla fronte).
PADRE Beati i poveri di spirito... beato il vino che ti ha fatto così beota... (Lo abbraccia).
MARIA Beota beato!
UBRIACO Come siete buoni voi: davvero mi perdonate?
PADRE Perdonarti? Sei tu che ci devi perdonare... Tu non immagini quale rimorso ci ha presi per averti lasciato andare solo e indifeso a costituirti... Ma adesso che sei tornato, figliol prodigo... ripareremo subito... Saremo noi a prenderci la colpa del delitto commesso...
UBRIACO Voi? No, non posso... Il morto è mio e il castigo me lo prenderò io...
MARCO No... il morto ce lo becchiamo noi...
UBRIACO Ma il castigo?
PADRE Non sarà un castigo, figliolo... ma un premio... il più bel premio della nostra vita...
UBRIACO No, non posso... se accettassi sarei un cattivo, e siccome io voglio rimanere buono...
MARCO Va a finire che comincio a diventare cattivo io, ma sul serio! (Lo afferra per il bavero).
L'Ubriaco reagisce mettendosi nell'atteggiamento del gatto aggredito dal cane... soffia e porta le mani ad artiglio all'altezza della faccia di Marco che molla la preda e indietreggia terrorizzato.
MARIA Adesso non trascendiamo... Piuttosto voi non stavate giocandovelo a carte? (Indica il morto).
PADRE (ha capito il suggerimento) Maria, sei una ragazza in gamba. Vieni qua, fratello, siediti... e gioca... deciderà la sorte...
MARCO Ben detto... ce lo disputeremo al gioco che abbiamo interrotto al tuo arrivo...
UBRIACO Ah, allora sì che ci sto... Chi comincia per primo?
PADRE Comincia pure tu...
UBRIACO (sputando in faccia al Padre e a Marcò) Sptu... sptuu! Ah, ah, che bel gioco questo di sputare!...
MARIA Ma che ti succede? Sei impazzito?
UBRIACO Perché? Quando sono entrato non stavate giocando a sputarvi in faccia?
MARCO Disgraziato! Io giocherei a staccarti la testa!... (Fa il gesto di colpirlo).
L'Ubriaco si rimette nell'atteggiamento da gatto arrabbiato soffiando e mostrando i denti.
PADRE Calma... calma!...
UBRIACO Ho vinto io... è mio il morto...
MARIA D'accordo... hai vinto tu... ma se permetti vorrei... parlarti da solo...
MARCO Come ha vinto lui? Ma sei rinscemita?
PADRE Sei tu rinscemito! Non hai ancora capito? Ci pensa lei... Su, vieni, andiamo di là.
I due escono e la ragazza scoppia in un pianto dirotto.
MARIA Lo sapevo... lo sapevo che sarebbe finita così!... Adesso non mi resta che andare in convento...
UBRIACO Ma signorina, perché piange?... Cosa le è successo? Perché deve andare in convento? (Afferra per il colletto della giacca il morto e lo appende per il colletto stesso all'attaccapanni).
Il morto scivola dentro la giacca e le braccia si sollevano fino a farlo sembrare uno spaventapasseri. Ha inizio una vera e propria competizione fra l'Ubriaco che vuole farlo stare diritto e il morto che si ritira dentro la giacca come una lumaca nel suo guscio.
MARIA (sempre tra i singhiozzi) Era l'ultima speranza, capisci... l'ultima...
UBRIACO Chi era l'ultima speranza?
MARIA Quel morto... Senza di lui non mi potrò più sposare...
UBRIACO Vuol sposarsi questo morto che si ritira?
MARIA Sì, cioè no... Vedi, quel giovanotto che sta di là... è il mio fidanzato che di mestiere fa il becchino...
L'Ubriaco non si dà per vinto, afferra un ombrello dall'attaccapanni, lo apre, e costringe il morto ad impugnarne il manico, così che l'ombrello funge da paracadute e il morto ora sta ritto.
UBRIACO (soddisfatto, facendo il gesto dei giocolieri al termine di ogni esercizio riuscito) Oplà!... sta' su. Cosa diceva? Il suo fidanzato fa il becchino? Oh! il becchino!...
MARIA Lo so, non è un lavoro molto romantico... ma quando l'ho conosciuto io era il più bravo becchino della provincia... Venivano anche dall'estero per farsi seppellire da lui... Aveva una palata così leggera...
UBRIACO E adesso non ce l'ha più la palata leggera?
MARIA No, ce l'ha ancora... è un po' giù d'allenamento, se vogliamo...
UBRIACO Come mai?
MARIA È proprio qui il fatto... In questo maledetto paese sono più di dieci mesi che non muore più nessuno... e così il Comune ha deciso di fare chiudere il cimitero e lui, poverino, verrà licenziato...
UBRIACO E già, per mancanza di clientela... Accidenti che tempi: adesso incominciano a fallire anche i cimiteri!
MARIA Purtroppo mio padre non mi permetterà mai di sposare un disoccupato...
UBRIACO Be'... un po' ha ragione... È già grave dare la figlia a un becchino... ma a un becchino disoccupato è troppo!... Piuttosto non ha provato a cambiare mestiere?
MARIA Sì, ha provato a fare il macellaio, ma era tanta l'abitudine che appena gli capitava di ammazzare qualche bestia, la seppelliva subito. È fallito in due mesi...
UBRIACO Quando si dice l'abitudine...
MARIA Capisci adesso perché quel morto era la nostra salvezza? Se fosse stato suo, avrebbe potuto seppellirlo... il Comune gli avrebbe rinnovato il contratto, avrebbe fatto riaprire il cimitero... e noi ci saremmo potuti sposare.
UBRIACO (commosso alle lacrime) Nella chiesetta del camposanto... coi fiori su tutte le tombe...
I due uomini che erano usciti rientrano proprio in quell'istante e rimangono perplessi davanti a quella scena di sconforto.
PADRE Che succede?...
MARCO Perché piangete?
UBRIACO Senti, becchino, mi devi scusare, ma io non sapevo. (Stacca il morto dall'attaccapanni e lo libera dell'ombrello) Prenditi il morto con tutti i miei auguri. È il mio regalo di nozze... E adesso scusatemi se me ne vado... ma mi sento così buono che se resto qui ancora va a finire che vi ammazzo il padre per darlo in dote alla figlia! (Afferra una pistola dal tavolo e la punta).
PADRE Grazie! Ma non è il caso che ti scomodi... (Gli toglie la pistola di mano).
MARIA Ah! grazie, grazie davvero...
MARCO Grazie, è davvero un bel regalo...
UBRIACO Si figuri! Morto più morto meno... E poi se certi regali non si fanno ai becchini... a chi si dovrebbero fare? (Esce).
MARCO Non ho capito con chi ce l'ha con 'sto fatto del becchino.
PADRE Evidentemente ce l'ha con te... Deve essere stata qualche trovata della mia Maria...
MARCO Ad ogni modo è una trovata che non mi piace.
MARIA Ma ti piacerà la taglia che riscuoterai!
PADRE Come, che riscuoterai? Che riscuoteremo, vorrai dire! Fino a prova contraria sei stata tu a fargli avere il morto...
MARCO E io le farò avere una bella casa!
PADRE Nella quale verrò a vivere anch'io, come d'accordo!
MARCO E no, caro! Quello era l'accordo nel caso l'avessi vinto a carte! Ma dal momento che mi è stato regalato!
MARIA Hai sentito, papà?... Bel farabutto mi volevi dare per marito... Fuori! Fuori di qui... Io gli faccio regalare il morto e lui ti sbatte fuori di casa.
PADRE Mascalzone, ladro... rompo il fidanzamento !... (Lo aiuta a caricarselo in spalla).
MARIA Avanti! Prenditi anche questa, è roba tua! (Gli consegna una busta).
MARCO Che cos'è?
MARIA Ah, non so proprio... Gli è cascata dalla giacca... Se è tuo il morto è tua anche questa.
Marco, che è riuscito a trascinare il morto sul piccolo ballatoio, incuriosito se ne libera mettendolo lungo disteso sulla pianola.
PADRE (afferrando la lettera e aprendola) Ah... ah... questa è bella... è proprio bella! Ah... ah... Oh, Dio! Mi fa morire... Non mi sono mai divertito tanto...
MARCO Cos'è? (Gli strappa la lettera di mano) No... non è vero! (Scoppia a piangere disperato) Non voglio morire!
MARIA (leggendo la lettera) «Al fortunato giustiziere che ammazzandomi avrà la possibilità di ritirare la taglia di ben mille marenghi... faccio tutti i miei complimenti e le mie più sentite condoglianze... poiché con quei soldi potrà pagarsi un magnifico funerale. Infatti i miei due fratelli Antonio e Gilberto non lasceranno trascorrere nemmeno un giorno dalla mia morte per vendicarmi. La morte sia con te. Arrivederci in cielo... tuo Pietro Gambone detto il Magnaccio». Ah... ah... è bella da morire! ... il becchino che si fa seppellire... È bella... è bella... e per aver accettato un morto non suo... ah... ah...
MARCO (riavendosi aggressivo) L'avete detto! Un morto che non è mio! Ma che è nostro! (Gira la manovella della pianola, il morto si risolleva come sospinto da un ingranaggio, fino a trovarsi seduto).
PADRE Ma sentilo!... Prima, quando valeva un sacco di marenghi era soltanto suo. Adesso che il morto scotta... lo vuole mettere in cooperativa...
MARCO E allora sentiamo; quando verrà il brigadiere quali prove avrete per dimostrargli che sono stato io ad accopparlo? E non dimentichiamo che la responsabilità di tutto quello che succede in un locale pubblico è sempre del gestore... E chi è il gestore qui dentro? Avanti, ridi adesso!
PADRE (fa qualche smorfia cercando di ridere) Non ce la faccio... (Si mette a piangere istericamente).
MARIA Di' un po', tu che poco fa parlavi di prove; mi sai dire chi di noi ha i soldi del morto?
MARCO Come chi li ha?... Li hai tu in tre parti, no?
MARIA Sì, ma a te ho dato quelli del morto e a noi due il resto del piatto...
MARCO Stai scherzando? Da quando in qua i marenghi si possono riconoscere da quelli di un vivo?
MARIA Eppure, certe volte, anche i marenghi fanno certi scherzi...
MARCO (nel frattempo ha estratto il malloppo dei quattrini) Ma sono falsi!... Tutti falsi... Che brigante... giocava con soldi falsi... Ci ha giocati! (Scaraventa il malloppo sul torace del morto che per il colpo solleva di scatto la testa in un atteggiamento minaccioso. Marco retrocede terrorizzato).
MARIA Be'? Che cosa ti aspettavi da un brigante? Era il minimo che potesse fare... Ad ogni modo la polizia non avrà difficoltà ad individuare il colpevole... cioè il meritevole... Ti beccherai un bel premio e anche una bella pallottola in testa... (Marco scoppia in lacrime sulla spalla del Padre che piange a sua volta). Ma non vi vergognate, grandi e grossi come siete? Smettetela! Va bene, vorrà dire che il morto me lo prenderò io.
PADRE Ma sei impazzita!...
MARCO Be'... non è poi un cattivo affare...
PADRE Nient'affatto! Non permetterò mai che mia figlia si sacrifichi per un mascalzone come te!,..
MARCO Ma non è detto che Maria si debba proprio sacrificare... Una volta denunciato il delitto... cioè l'atto di giustizia... potrà sempre squagliarsela...
MARIA Sì, ma senza ritirare il premio...
PADRE E già, se aspettasse la consegna della taglia... passerebbero sempre due o tre giorni... e i fratelli del Magnaccio avrebbero tutto il tempo... no... no... non posso permettere una cosa simile... tu te la squaglierai senza ritirare il premio.
MARIA D'accordo... però il premio me lo darete voi...
MARCO e PADRE (insieme) Noi???
MARIA E si, per squagliarmela come si deve, bisognerà che io me ne vada il più lontano possibile... Magari in America... e mi ci vorranno parecchi quattrini... mille marenghi e forse più...
PADRE Mille marenghi??
MARCO Facciamo cinquecento...
MARIA Mille.
PADRE Settecento...
MARIA Mille...
MARCO Novecento...
MARIA Mille!...
PADRE E va bene, mille...
MARIA ... e cinquecento !
PADRE Come... e cinquecento?...
MARIA E sì, mille e cinquecento... Intanto che contrattavate, mi è venuto in mente che mille erano pochi... e può darsi che ripensandoci... anche mille e cinquecento.
MARCO No! no... non ripensarci... Va bene così!... Avanti, Arturo, settecento cinquanta a testa! Accidenti, cosa ci costa 'sto morto!
PADRE È il morto più caro che abbia conosciuto… Mentre Marco conta i soldi il Padre solleva il sedile di una sedia e ne estrae un malloppo di quattrini.
MARIA Ah! Ecco dove li nascondevi... E piangevi miseria... (Rivolta a Marco) È inutile che conti quelli, te l'ho già detto che sono falsi! (Marco li scaraventa con forza contro la pianola che ricomincia a suonare. Quindi si sbottona la camicia e ne estrae un enorme pacco di banconote). E ti vantavi di avere il più bel torace del paese... Adesso capisco perché!
MARCO Sanguisuga!
MARIA (contando i soldi) Sicuro! Ma non pensi che con questo salasso ti salvo la vita? Piuttosto datevi da fare… andate a tirar fuori il cavallo e attaccatelo al biroccio se volete che vi tolga dai piedi questo impiastro...
PADRE Sì... sì... ci andiamo subito. Ma mi raccomando, non dire al brigadiere che lo hai accoppato nella mia osteria!
MARIA Stai tranquillo! Racconterò di averlo ammazzato sulla strada che va al convento per difendermi da una aggressione...
PADRE Grazie, figlia mia, sei un angelo!
MARCO Sì, sì, sei un angelo... Ma ti prego, una volta partita non ti far più viva... Neanche per lettera... Capirai, sarebbe pericoloso...
MARIA Già, pericoloso... soprattutto per voi... (Escono. Il morto, mentre Maria si affretta a mettere in una borsa il malloppo dei quattrini, solleva pian piano la testa, si alza in piedi e si avvicina quatto quatto alle spalle della ragazza con le mani protese per afferrarla. Vedendosi comparire le mani davanti al viso, la ragazza emette un grido soffocato) Ah!... (Poi si rivolge al resuscitato) Stupido! Mi hai fatto paura!...
CLIENTE Bravo tesoro! Sei stata formidabile! Se non fosse stato perché avevo paura di mandare tutto all'aria sarei sbottato a ridere chissà quante volte!... (L'abbraccia teneramente).
MARIA Però anche tu sei stato bravo... tanto da vivo che da morto! Ah... ah... come li abbiamo imbrogliati bene... Guarda che per riuscire a farsi pagare il viaggio di nozze dal promesso sposo e da un taccagno come mio padre bisogna proprio essere furbacchioni come noi due!
CLIENTE E che bel viaggio di nozze !... Ce n'è di che farlo durare tutta la vita!... Pensare che se tu non avessi avuto questa idea... Per colpa di tuo padre, non avresti mai potuto diventare mia moglie... (Fa per baciarla).
MARIA (scansandosi dolcemente) Oh, ti prego... togliti quella parrucca, che mi fa impressione... (Il Cliente si leva la parrucca rossa e i baffi, fanno per riabbracciarsi ma si fermano di colpo. Dall'esterno giunge il rumore di una carrozza). Il biroccio è pronto! Stiamo pronti anche noi!
MARCO (entra da sinistra seguito dal Padre; ma nello stesso istante, non visti, i due escono a destra) Ecco fatto, Maria, puoi partire!
PADRE Ma dov'è Maria?...
MARIA (la cui voce giunge dall'esterno) Sono qui, papà... (Rumore di ruote).
PADRE Aspetta, è troppo pesante... perché tu lo possa caricare da sola...
MARIA Ho già fatto... addio papà!
PADRE Addio, Maria, grazie!...
MARIA Grazie a voi...
MARCO Arrivederci! Mi raccomando... non scrivere...
PADRE (commosso) Che ragazza d'oro! Sacrificarsi per me!... Proprio non se lo meritava un padre simile...
MARCO Bando alle malinconie... L'abbiamo scampata bella... Avanti, porta qui una bottiglia e le carte... e crepi la miseria... Mi voglio rifare!
PADRE E ti vorresti rifare con me?... E va bene... a che gioco giochiamo?
UBRIACO (riapparendo in quell'istante) Giochiamo a quel gioco del mio cugino d'America?
MARCO Rieccolo un'altra volta...
PADRE Ah! Ma sei proprio un tormentone!
MARCO Fammi un piacere! Lasciaci in pace!
UBRIACO Ah, bella accoglienza che mi fate! E poi vai a regalare i morti agli amici!
MARCO Bel regalo davvero! Lo sai chi era quel tale che avevamo fatto fuori?
UBRIACO Chi?
PADRE Il Magnaccio!
UBRIACO Il Magnaccio? Ah... ah... questa è bella!
MARCO E allora, se è bella, guarda qui! (Gli sbatte sotto
gli occhi il manifesto della taglia).
UBRIACO Accidenti!
PADRE Come mai non ridi più, adesso? Ma stai tranquillo; il Magnaccio è morto!
UBRIACO (toccandosi dappertutto) No... no... sì... sì... Meno male, sono ancora vivo!
MARCO (scoppiando a ridere) Sì... sì... sei vivo, ma l'hai scampata bella anche tu!
UBRIACO (sempre rimirando la foto) Come assomiglia!... Però a pensarci bene, stavo meglio coi baffi... bisogna che me li faccia crescere...
PADRE Sì, a pensarci bene... se ti lasciassi crescere i baffi e ti tingessi anche i capelli di rosso...
UBRIACO (togliendosi il cappello che gli è rimasto calcato fino alle orecchie) Non ce n'è bisogno, io ce li ho già rossi...
I due alla vista dei capelli rossi hanno un attimo di terrore.
MARCO (riavendosi) Ah... ah... accidenti... quasi quasi mi sembravi davvero il Magnaccio resuscitato!...
UBRIACO Come resuscitato? Io non sono mai morto...
PADRE D'accordo, tu no, ma il Magnaccio sì!
UBRIACO No... se non è morto il Magnaccio... non sono morto neanch'io... Perché il Magnaccio, se non vi dispiace, sono io!...
PADRE Ma non dire stupidaggini!... E allora, quello che abbiamo accoppato prima, chi era?
UBRIACO Che accoppato, se l'ho visto poco fa sul biroccio che si sbaciucchiava con tua figlia. Da quando in qua i morti sbaciucchiano?... ridacchiano?... canticchiano? Li abbiamo fregati, cantavano, fregati tutti e due...
PADRE Fregati?... Adesso che ci penso... mi sembra che assomigliasse a qualcuno, quel morto...
MARCO Ma sicuro... assomigliava al figlio del calzolaio... quello che faceva la corte a tua figlia... Era lui! ...
PADRE E allora se era lui... lui... è... il Magnaccio!?...
MARCO Il Magnaccio!
Indietreggiano terrorizzati.
UBRIACO Il Magnaccio! Sicuro... e adesso che abbiamo fatto le presentazioni... facciamoci questa partita e beviamoci qualche cosa perché sento che mi sta ritornando la cattiveria... (Estrae dei soldi, catene d'oro ed orologi) ... E invece io voglio essere tanto buono...
MARCO (rimanendo sempre a rispettosa distanza) Sì, sì, buono, tanto buono... Ma da dove viene tutta questa roba?
UBRIACO Oh... niente, ho fatto pam pam a dei signori che ho incontrati...
PADRE Ma allora... anche quei soldi e quegli orologi di prima?
UBRIACO Sì, sempre pam pam...
MARCO Ma non diciamo sciocchezze!... Pam pam con la pipa!
UBRIACO Sì, con la pipa. (Punta la pipa contro la pianola e ne fa uscire un colpo fragoroso. La pianola si mette in moto).
PADRE e MARCO Una pipa che spara?
UBRIACO Sì, è stata una mia trovata. È una pistola camuffata da pipa. Così, anche se mi prendono di sorpresa, l'ultima sorpresa ce l'ho sempre io... E adesso, giochiamo... Avanti, mettetevi a sedere, ma vi avverto che il primo che fa scherzi gli arriva una pipata nel cervello!

(http://www.geocities.com/themetrand/dariofo3/dario_fo.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Giugno 2006, 01:22:44
Si può essere un poeta anche senza la penna o il pennello,lo dimostro.

John Ford (1894 - 1973)

ha svolto vari ruoli: trovarobe, assistente alla regia, comparsa, controfigura,attore, e poi regista ed è per questo che lo ricordiamo lui e la sua pipa.

(http://www.cinekolossal.com/star/d_e_f/decarlo/decarlo2.jpg)


(http://www.calabash.it/components/com_simpleboard/uploaded/images/24805t.jpg)

(http://www.calabash.it/components/com_simpleboard/uploaded/images/278ge7.jpg)


(http://www.lewrockwell.com/mcmaken/johnford.jpg)

(http://www.maine.info/upcoming/image004.jpg)



(http://www.rci.rutgers.edu/~wcd/quietman.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Giugno 2006, 23:26:12
Joe R. Lansdale

E' nato nel 1951. Una ventina di romanzi, una dozzina di raccolte di racconti e sceneggiature per fumetti dal 1980 ad oggi, dal giallo, al noir, all’horror, alla fantascienza, fino al romanzo storico. I suoi personaggi vengono dal cuore del Texas, dal cinema, dai fumetti, dalla TV, dalla musica e dalla cultura pop. Texano come il presidente Gorge W.Bush, di cui dice in questo link…: http://digilander.libero.it/confratchianti/libri_lansdale.htm Ironia, humour nero e grottesco le sue armi migliori. Attento ai temi sociali, i suoi romanzi sono spesso fotografie di ciò che non funziona negli USA, ma “se in Texas mi considerano un comunista sfegatato, temo che in California o a New York, le mie posizioni sarebbero considerate quelle di un liberal alquanto tiepido..”.


In Fondo Alla Palude

Papà sedeva in una sedia sotto la quercia. Quello era una specie di nostro albero delle riunioni, dove ci sedevamo a parlare e in estate si sbucciavano i piselli. Lui fumava la pipa. Potevo vedere la sua luce quando soffiava la fiamma del fiammifero verso il tabacco. Il profumo della pipa sapeva di legno e mi sembrava amaro. Lo raggiungemmo e ci fermammo sotto la quercia, accanto alla sua sedia.
- La mamma s'è spaventata da morire - disse. - Harry, tu lo sai che non si deve stare fuori così, e con tua sorella, per di più. Tu dovresti prenderti cura di lei.
Papà diede un tiro alla pipa. - Mi dicevi che hai una giustificazione.
- Sissignore. Sono stato a caccia di scoiattoli, ma c'è qualcos'altro. C'è un corpo giù al fiume.
Si sporse in avanti sulla sedia. - Cos'hai detto?


- È vero. - Papà fece una pausa per prendere la pipa dalla tasca, la riempì di tabacco e la accese. - Non sono sicuro che sia stata una buona idea, ma stavo facendo dei tentativi. Ho detto che era di colore e nessuno se ne è interessato. Se avessi detto che era bianca ci sarebbero stati linciaggi in tutta questa parte della contea. Ma lei ha una parte di sangue bianco, e allora la gente si ferma e comincia a pensare a lei come a un essere umano. D'altra parte non è abbastanza bianca da scatenare reazioni eccessive. È triste, ma così stanno le cose.

(http://www.darkecho.com/darkecho/horroronline/images/lansdale/master.gif)


Emily Bronte
La sua opera si inserisce in pieno nella letteratura vittoriana e ne costituisce uno dei suoi massimi esponenti.


Cime Tempestose

Gettato uno sguardo sinistro alla piccola fiamma da me attizzata, scacciò la gatta dal suo sedile elevato, vi si sedette lui, e cominciò a riempire di tabacco una grossa pipa. Evidentemente giudicava la mia presenza nel suo santuario una sfacciataggine troppo vergognosa per esser rilevata. In silenzio si portò la pipa alle labbra, incrociò le braccia e si diede a fumare sul serio. Lo lasciai indisturbato al suo godimento, e, quando fu all'ultima boccata di fumo si alzò con un profondo sospiro, indi si allontanò, solennemente come era venuto.

Non ho mai conosciuto una creatura tanto vile,» soggiunse la donna, «e tanto paurosa. Se per caso lascio la finestra un po' aperta la sera, comincia. Oh! è micidiale! un soffio d'aria notturna! E vuole il fuoco acceso sino a metà estate, e la pipa di Giuseppe è veleno.
Giuseppe sembrava starsene in beatitudine; solo, presso un gran fuoco, con la nera pipa in bocca e davanti a sè un boccale di birra e larghe fette tostate di torta d'avena.
«Giuseppe!» gridò in pari tempo una voce stizzosa dall'altra stanza. «Quante volte devo chiamarvi? Ora non c'è che poca brace. Giuseppe! venite subito!»
Vigorosi sbuffi di pipa mostrarono che lui non aveva orecchie per quell'appello.

Sotto il portico, una ragazza di nove o dieci anni stava seduta a far la calza, e una vecchia fumava la pipa in silenzio, sdraiata sui gradini.

Buttò via la pipa, e entrò rumorosamente in casa, seguita dalla ragazza, e io pure entrai; e vidi subito che quanto aveva detto era proprio vero. Per di più, la mia apparizione, non desiderata, aveva talmente scombussolato quella brava donna.

Togliti di qua,» ruggì egli con asprezza poco convinta.
            «Dammi quella pipa,» disse lei, avanzando cautamente una mano e togliendogli la pipa di bocca.
            Prima che lui facesse un tentativo per riprenderla, la pipa era rotta e dentro il fuoco. Hareton bestemmiò, e ne prese un'altra.
            «Fermati!» ella gridò, «prima devi ascoltarmi, e io non posso parlarti se mi soffi quelle nuvole in faccia.»


(http://www.edobarn.demon.co.uk/parlour/images/emily.jpeg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Giugno 2006, 23:42:42
ROBERT McCAMMON

E' uno dei più autorevoli e apprezzati scrittori statunitensi. Nato nel 1952 a Birmingham, Alabama, ha scritto numerosi romanzi e racconti, tradotti e pubblicati in molti paesi ed ispirati alle storie che da piccolo gli raccontava suo nonno ed ai film della sua adolescenza.Della sua vita si sa poco, se non la sua inclinazione a scrivere durante la notte,con la pipa in bocca, momento nel quale lui stesso è più turbato e riesce a tradurre in testo le migliori sensazioni, da trasmettere ai suoi lettori.


IL VENTRE DEL LAGO

Tirava sempre boccate da una pipa di radica, come una locomotiva che brucia car­bone su una salita particolarmente lunga e ripida, e portava calzoni dalla piega perfetta e camicie con le sue iniziali sul taschino.

Entrai nel suo ufficio. Tutti i mobili erano di legno scuro e lucido. L'aria odorava di tabacco dolce da pipa.

Mi è piaciuta la tua storia. Sissignore, meritava un premio. - Prese in mano una pipa di radica e aprì il barattolo del tabacco. - Sissignore. Tu sei il più giovane concorrente che abbia mai vinto una targa in quel concorso. - Osservai le sue dita mentre cominciò a riempire la pipa con piccole prese di tabacco.

Tirò fuori una scatoletta di fiammiferi dalla tasca, ne accese uno e lo avvicinò al tabacco nella pipa. Il fumo azzurrino sbocciò tut­to intorno alla sua bocca.

- Vorrei tanto saper scrivere - disse il sindaco. Fece girare la la­ma. All'altra estremità c'era un pezzo di metallo smussato, che usò per pigiare il tabacco nella pipa. - Mi sono sempre piaciuti i roman­zi gialli.

Voglio che mi aspetti qui un minuto - disse. - C'è una cosa che voglio farti vedere e che credo spiegherà tutto. - Attraversò la stan­za, con la pipa stretta tra i denti, lasciando dietro di sé uno scaraboc­chio di fumo, e andò nella stanza dove si trovava la scrivania della si­gnora Axford.

Un lampo scoccò sibilando. Nel bagliore che durò una frazione di secondo riuscii a vedere il sindaco, bianco come uno zombi, in piedi al centro della stanza, con il fumo della pipa tutto intorno a lui come un fantasma.

- Hmm... io credo... di sì, Vernon. Certo. Vieni su. - Il sindaco Swope fece un passo indietro, il fumo della pipa che gli saliva a spira­le intorno alla testa.

(http://booksense-stores.booksense.com/images/stores/1455/localauthors/mccammon_robert.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Giugno 2006, 00:25:01
SHIRLEY JACKSON

Scrittrice americana ormai famosa,per sapere se c'entra qualcosa con le pipe dovremmo chiederlo a lei,tratta temi molto legati a patologie mentali,in questo caso appunto scatenate da una pipa,succede.


COSÌ DOLCE, COSÌ INNOCENTE

Terminata la pulizia della casa, ritornammo in cucina. Charles sedeva al tavolo, fumava la pipa e guardava Jonas, che gli restituiva lo sguardo. In cucina, il fumo di pipa mi dava fastidio, e non mi piaceva il modo in cui Jonas guardava Charles.

Che ne direste se lo riparas­si, uno di questi giorni? Sarebbe un modo per sdebi­tarmi.»
«Sarebbe una vera gentilezza» disse Constance. «Quel­lo scalino ci dà fastidio da tempo.»
«E devo andare in paese a comprare del tabacco da pi­pa. Se vi serve qualcosa, posso andare a prenderlo.»

C'era poi la sua valigia, appoggiata su una sedia, ma era chiusa; sulla credenza, dove c'erano sempre state le cose di nostro pa­dre, c'erano alcuni oggetti appartenenti a Charles: vidi la sua pipa e un fazzoletto, tutte cose che lui aveva toccato e aveva usato per insudiciare la stanza di nostro padre.

Decisi perciò che la prossima cosa da fare era quella di chiedere a Charles di andarsene, prima che entrasse in tut­ta la casa e non lo si potesse più togliere.
Infatti, già la casa aveva preso la puzza della sua pipa e della sua lozione da barba e per tutto il giorno le stanze rintronavano dei suoi rumori; a volte trovavo la sua pipa sul tavolo della cucina; i suoi guanti, il suo sacchetto del tabacco e le sue eterne scatole di fiammiferi erano sparse in tutte le stanze.

Ogni pomeriggio scendeva in paese e ne riportava alcuni giornali che poi lasciava dappertutto, perfino in cucina do­ve Constance rischiava di vederli. Una favilla della sua pi­pa aveva lasciato una piccola bruciatura sul broccato di una sedia del salotto; Constance non se n'era ancora accorta e io avevo preferito non dirglielo, nella speranza che la casa, ferita da Charles, lo espellesse da sola.

Lo zio Julian si sforzò di rimanere sveglio e ascoltò la musica e sognò, e perfino Charles si guardò dal mettere i piedi sui mobili del salotto, anche se il fumo della sua pipa andò a insudiciare le decorazioni del soffitto e anche se lui continuò ad agitarsi tutto, mentre Constance suonava.

Charles si era accostato al caminetto per battere la pipa contro la griglia.
«Bella» disse, prendendo in mano una delle statuine di porcellana.
Constance smise di suonare, e lui si girò nella sua dire­zione.

Le lunghe tende erano sparite: forse erano nel cesto della biancheria sporca. Charles doveva essersi già sdraiato sul letto, perché sulle coperte c'era un'impronta, e la sua pipa, ancora accesa, era posata sul comodino accanto alla te­stiera.

Constance gli aveva perfino portato un piattino pulito per la pipa; a casa nostra non c'erano posacenere, e nel ve­dere che Charles continuava a cercare posti dove posare la pipa, lei aveva preso dalla dispensa un servizio di piattini spaiati e li aveva dati a lui.
Erano robusti, per­ché quello che si trovava adesso nella camera da letto non si era rotto, nonostante la pipa fosse accesa.
Per tutto il giorno avevo avuto l'impressione di poter trovare qualcosa in quella stanza; spinsi nel cestino il piat­to e la pipa, che caddero senza far rumore sui giornali por­tati in casa da Charles.

Risi, perché era chiaro che Charles aveva paura di salire le scale per seguire il fumo; poi Constance disse: «Char­les... la pipa...» e lui si avviò di corsa verso le scale.

Ma quando mi avviai verso le scale, vidi improvvisamen­te una lingua di fiamma scendere fino al tappeto dell'in­gresso, e sentii il rumore di qualche grosso oggetto che si schiantava nella stanza di nostro padre. Capii che lassù non rimaneva più niente di Charles; perfino la sua pipa do­veva essersi consumata.


(http://www.treasurehiding.com/lj/shirley/Shirley.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Giugno 2006, 16:07:00
Tanti e tanti anni fa,praticamente ieri,la fotografia non era ancora praticabile ,per immortalare i miti del momento,i rotocalchi e riviste di critica dell’epoca si affidavano alla matita dei caricaturisti.
Anche i miti da disegnare non erano così tanti,mancavano i campioni del calcio e le veline al seguito,per gli artisti del teatro e del cinema,doveva ancora nascere la “Dolce vita”.
Ma vi erano tantissime riviste specializzate in critica e sulle loro pagine ne uccideva più la penna e la matita che la spada,mi riferisco a testate tipo “Becco Giallo” “Fantasio” “La Sigaretta” poi “Il Travaso” e tantissimi che perdonatemi non ricordo.
Il lavoro di caricaturista è sempre stato un lavoro difficile,che richiedeva,richiede,arte creatività,genio,improvvisazione,fantasia,velocità di esecuzione.
Infatti oltre che fare un disegno riconoscibile del mito bersaglio,doveva venirne fuori il carattere,i difetti,e l’eventuale scorno del momento,tutto con 4 tratti di matita.
Uno dei più famosi artisti della matita dell’epoca è stato

Umberto Onorato (1898-1967)

Per quasi cinquant'anni il più grande caricaturista della scena italiana. Le sue caricature - i suoi "pupazzi", come egli li definiva - apparivano regolarmente su giornali umoristici, riviste specializzate e quotidiani. Quando entrava in un teatro,con l’immancabile matita ,taccuino e la pipa fra i denti,le compagnie si mettevano in allarme,anzi cominciavano a preoccuparsi al primo aroma lontano di trinciato bruciato,la sua regola era “famoli brutti”

Umberto Onorato: Autoritratto, 1952

(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/2625.jpg)
Aristide Baghetti, 1926
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5735.jpg)
Paola Borboni
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5757.jpg)
Marta Abba, 1936
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5723.jpg)
Laura Carli e Memo Benassi in Spettri di Henrik Ibsen, 1939
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5770.jpg)
Rina Morelli, Carlo Ninchi e Gino Cervi in Otello di William Shakespeare, 1940
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5890.jpg)
Milly, 1933
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/3308.jpg)
Margherita Bagni, Arnoldo Foà , Giancarlo Sbragia, De Filippo Peppino ne La patente di Luigi Pirandello,
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5738.jpg)
Gianni Santuccio
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5953.jpg)
Laura Adani e Carlo D'Angelo in Caterina Ivanova
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/5726.jpg)
Anna Proclemer ne La ragazza di campagna
(http://www.theatrelibrary.org/onorato/guida_file/2636.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Giugno 2006, 14:42:33
Subcomandante marcos

Non posso scrivere la sua biografia mi è stato caldamente sconsigliato

Morti scomodi

scritto a quattro mani, come le sonatine per pianoforte di Clementi, dall’esperto Paco Ignacio Taibo II insieme nientemeno che al Subcomandante Marcos. Sì. Proprio lui, il capo dell’Esercito Zapatista


Il Sup prese la pipa, l’accese e disse: “Allora ho chiesto a Tacho perché deve avere quella trave di traverso, se c’è un motivo scientifico o se si tratta solo di usi e costumi. Perché se è una questione scientifica vuol dire che c’è un motivo per mettere la trave lì, e lui mi ha risposto che non lo sa, che così gli hanno insegnato, altrimenti il tetto casca giù”.
Il comandante Tacho rideva a crepapelle. Anche il maggiore Moisés cominciò a ridere. Si vedeva che ne avevano discusso chissà quante altre volte.
Il Sup continuò a parlare mentre si arrampicava sull’impalcatura del tetto: “Io applicherò il metodo scientifico per verificare se la trave deve essere messa qui o no. Cioè userò il metodo per tentativi ed errori, che vuol dire: se ci provi e va male, la cosa non funziona, se ci provi e va bene, la cosa funziona. Allora, se io salgo su questa impalcatura e crolla tutto, vuol dire che così com’è non può reggere il peso del tetto”.
Il Sup a quel punto era seduto a cavalcioni sull’asse portante. Proprio come se fosse in sella al suo cavallo. Dondolandosi, mi chiese: “Allora, Elías, tu che dici? È scientifico o è per via degli usi e costumi?”
Io mi spostai da sotto l’impalcatura e riuscii a dire:
“ Per me dipende dagli usi…”.
Si sentì uno scricchiolio, l’asse si schiantò e il Sup precipitò giù, di schiena sul pavimento. Conclusi la frase: “… e costumi”.
Il comandante Tacho era piegato in due dalle risate. Il maggiore Moisés neanche riusciva a riprendere fiato. A quel punto arrivò di corsa la capitana Aurora che si fermò accanto al Sup e chiese, un po’ preoccupata: “ È caduto, compagno Subcomandante?”
“No, è una simulazione per vedere quanto tempo ci mettono a intervenire i servizi di pronto soccorso zapatista in caso di incidente” rispose il Sup senza rialzarsi. La compagna se ne andò ridendo pure lei.
Il Sup era ancora sdraiato sul pavimento, che cercava la pipa e l’accendino, quando arrivò una compagna miliziana: “Compagno Subcomandante Insorgente Marcos” disse scattando sull’attenti.
“Compagna Insurgenta Erika” rispose il Sup salutandola militarmente dal pavimento.
“Compagno Subcomandante, ho bisogno di parlarti” disse Erika stringendo nervosamente un fazzoletto tra le mani.
“Dica pure, compagna Erika” disse il Sup accomodandosi meglio sul pavimento, con un pezzo di asse rotta sotto la testa come cuscino e accendendosi la pipa.
“Non so cosa ne penserai tu però il compagno capitano Noè mi sta intorteggiando” disse Erika.
Al Sup andò di traverso il fumo della pipa e, tossendo chiese: “Ti sta chee…!?”
“Mi sta intorteggiando, cioè mi fa così con l’occhio” rispose Erika, facendo a sua volta l’occhiolino.
“Ah, ho capito, ma non si dice “intorteggiando”, semmai ti sta corteggiando o se preferisci, intortando” spiegò il Sup, riacquistando il respiro normale e riaccendendo la pipa.
“Vuoi che gli faccia un rimprovero?”
“No” disse Erika “l’ho chiesto solo per sapere se è permesso, perché se è permesso allora va bene. Se invece no, allora prima deve chiedere il permesso e poi mi intorteggia”.
“Si dice corteggia o intorta, non intorteggia” chiarì per la seconda volta il Sup.
“Sì, insomma, quella roba lì” disse Erika.
“Va bene, chiederò istruzioni e poi ti informo” disse il Sup fumando sul pavimento.
“È tutto, compagno Subcomandante Insorgente Marcos” disse Erika. Salutò e se ne andò.
Il Sup rimase lì a riflettere e a mordicchiare la pipa. Si sentì un altro scricchiolio, si tolse la pipa di bocca e sputò un pezzo di bocchino.
“Porcaputtana, mi sa che sono troppo vecchio per questo lavoro” disse infine il Sup, e non si sa se lo disse perché l’asse di legno si era rotta, o perché era caduto ed era rimasto sdraiato sul pavimento, o perché la pipa si spegneva di continuo, o perché Erika diceva intorteggiare anziché corteggiare, o perché aveva frantumato un altro bocchino a morsi, o per via dei suoi usi e costumi, cioè quelli del Sup.”

(http://www.radiohits.com.mx/notas/upload/img/marcos.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Giugno 2006, 00:03:29
Caleb Carr

Theodore è sottoterra.
Scrivo queste parole e mi sembrano senza senso, così come l'immagine della sua bara calata in una fossa di terra sabbiosa vicino a Sagamore Hill, il luogo che più amò nella vita. Lì, oggi pomeriggio, nel freddo vento di gennaio che soffiava dal Long Island Sound, pensavo fra me che doveva essere uno scherzo, che di lì a poco avrebbe forzato il coperchio e ci avrebbe folgorati con il suo straordinario sorriso, assordandoci con un'acuta risata. Avrebbe senz'altro esclamato che c'era da fare - "Al lavoro!"

Difficile classificare i suoi libri,o inquadrarli in una categoria,forse sociologici-futuribili,comunque stà diventando molto famoso negli states,ha pubblicato anche molti saggi,fuma dei panettoni ignobili.

L'Alienista

Dove­va avere circa venticinque anni. Indossava la cravatta e un gilet e stringeva in bocca una pipa che gli conferiva un'aria molto professorale, ma sulla testa aveva un copricapo enorme e piuttosto spaventoso fatto, mi parve, di penne d'aquila.

Wissler si riaccese la pipa, facendo attenzione a tenere il fiammifero lontano dalle piume. «I Sioux hanno una comples­sa serie di miti riguardanti la morte e il mondo degli spiriti.

Ed è possibile che abbia cercato di esasperarne la forma proprio perché il suo gesto sembrasse ancora più da indiano?»
Wissler soppesò l'idea e annuì, svuotando la pipa. «Sì, direi che potrebbe essere, dottor Kreizler.»

Dury posò la pala, si sedette su uno dei grossi sassi che aveva usato per reggere lo spargiconcime e tirò fuori una pipa e una borsa da tabacco. «In un certo senso sono stato più fortunato di Japheth, perché nei miei confronti mia madre dimostrò sem­pre la più assoluta indifferenza.

Tirò alcune boccate per avviare bene la pipa, poi scosse la testa e con rabbia esclamò: «Maledetta puttana! Sono parole dure, lo so, nei confronti di una madre, ma se l'aveste vista, signori! Sempre addosso, sempre addosso gli stava!
Con un moto di stizza improvviso e irrefrenabile, Adam Dury si mise a gridare parole incomprensibili e scagliò la pala contro la parete in fondo alla stalla. I polli starnazzarono spa­ventati, e Dury si tolse la pipa di bocca cercando di ricomporsi. Noi rimanemmo immobili, ma io dovevo avere gli occhi sbarrati per la sorpresa.

(http://www.randomhouse.com/modernlibrary/Images/people/carr_native.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Giugno 2006, 00:18:35
Carlos Ruiz Zafón

E' uno che fino a ieri ha scritto libri per ragazzi, e questo è un dato piuttosto significativo, perché di fantasia ne ha da vendere. Ha quarant'anni esatti, una carriera da sceneggiatore e collaboratore di "El Pais" e "La Vanguardia",


L'Ombra Del Vento


Gustavo Barceló, proprietario di una libreria cavernosa in calle Fernando, era il capo carismatico dei librai antiquari. Te­neva sempre in bocca una pipa spenta che effondeva nell'aria aromi orientali e amava definirsi l'ultimo dei romantici. Bar­celó si vantava di essere un lontano discendente di lord Byron.

Il cameriere si diresse verso il bancone strascicando i piedi. «Come si fa, dico io, a trovare lavoro in questo paese se non mandano in pensione neanche i morti?» commentò il li­braio. «Basta vedere il Cid. Non c'è niente da fare.»
Succhiò la pipa spenta mentre il suo sguardo d'aquila si posava sul libro che tenevo in mano. Nonostante quei modi da istrione, Barceló fiutava una buona preda come un lupo l'odore del sangue.

In quella casa nessuno fumava e la pipa di Barceló, sempre spenta, era solo un gingillo.
In effetti, nella sala da musica aleggiavano volute di fumo. Il coperchio del pianoforte era sollevato. Attraversai la stan­za e aprii la porta della biblioteca.
Barceló e io entrammo nello studio, una caverna odorosa di tabacco da pipa il cui fumo aleggiava tra colonne di libri e pile di carte. Ogni tanto arrivavano fin lì gli accordi stonati del piano di Clara. Le lezioni del maestro Neri, a quanto pa­re, erano state poco proficue, almeno in campo musicale. Il libraio mi indicò una sedia e si mise a trafficare con la pipa.Barceló accese la pipa e si appoggiò allo schienale della poltrona con l'aria di un mefistofele soddisfatto. Dall'altra parte della casa, Clara maltrattava Debussy. Il libraio alzò gli occhi al cielo.
«Che fine ha fatto il maestro di musica?» chiesi.
«L'ho licenziato. Abuso di cattedra.»

(http://www.alohacriticon.com/images/viajeliterariofotos/zafon00.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Giugno 2006, 22:39:42
Turgenev Ivan Sergeevic (Orël 1818 - Bougival, Parigi 1883)

Romanziere, poeta, drammaturgo e grande interprete del realismo russo.Trovò  presto la sua strada di letterato, vi contribuì molto l’amore per la cantante francese Pauline Garcìa Wardot (un amore che lo accompagnò per tutta la vita) e divenne, lui, l’occidentalista, uno dei più grandi cantori della terra russa.La sua riconosciuta validità di scrittore si ritrova nella capacità di descrizione degli ambienti, dei legami fra i personaggi centrali e l’atmosfera che li circonda.


Memorie Di Un Cacciatore   

«Ca-me-ie-e, una pipa!», pronunciò nel colletto un signore alto, dai tratti del viso regolari e dal portamento altero; aveva tutta l'aria di essere un baro.
   Il cameriere corse a prendere una pipa e quando tornò riferì a sua eccellenza che il vetturino Baklaga chiedeva di lui.

Vivevi presso il proprietario Gur Krupjanikov, della Grande Russia, insegnavi ai suoi figli Fofa e Zëzja, il russo, la geografia e la storia, sopportavi pazientemente gli scherzi pesanti dello stesso Gur, i complimenti volgari del maggiordomo, le birichinate continue dei perfidi ragazzini; con un amaro sorriso, ma senza un lamento, eseguivi le richieste bizzarre della signora annoiata; in compenso come ti ricreavi, come ti beavi la sera, dopo cena, quando, libero finalmente da tutti i doveri e da tutte le incombenze, ti sedevi davanti alla finestra, fumavi pensosamente la pipa oppure sfogliavi con avidità il numero mutilato e bisunto di una grossa rivista che ti aveva portato dalla città l'agrimensore, un poveraccio senza un tetto come te!

«No, fratello, grazie», disse lui, «mi è del tutto indifferente il posto in cui morirò. Infatti non arriverò all'inverno... A che scopo dare inutilmente fastidio alla gente? Sono abituato a questa casa. E vero che i signori qui...».
   «Sono cattivi, vero?» dissi per lui.
   «No, non sono cattivi! Sono gente di campagna. Ma io non posso affatto lamentarmi di loro. Ci sono i vicini: la figlia del proprietario Kasatkin è istruita, gentile, un'ottima ragazza... non si dà arie...».
   Sorokoumov si mise di nuovo a tossire.
   «Andrebbe tutto bene», continuò dopo aver ripreso fiato, «se solo mi lasciassero fumare la pipa... Ma io non morirò così, fumerò ancora la mia pipa!», soggiunse strizzando maliziosamente l'occhietto. «Grazie a Dio, ho vissuto abbastanza, ho conosciuto brave persone...»

«È così», mi interruppe, «possono mai esistere padroni come me? Ecco vedete», continuò, piegando la testa di lato e succhiando per benino la pipa, «guardandomi potreste pensare che io sia... e invece, vi devo confessare, ho ricevuto un'educazione mediocre, non avevamo mezzi. Mi scuserete, sono una persona sincera, e poi...».
   Ma non finì il suo discorso e agitò la mano con aria sconsolata. Gli assicurai che si sbagliava, che ero molto contento del nostro incontro e cosi via, e poi osservai che per mandare avanti un'azienda non era necessaria un'istruzione superiore.
   «Sono d'accordo», rispose lui, «sono d'accordo con voi. Tuttavia bisogna esserci portati! C'è chi strazia il contadino e non la paga! mentre io... Permettetemi di chiedervi siete di Piter o di Mosca?».
   «Di Pietroburgo».
   Emise dalle narici una lunga striscia di fumo.
   «Io prenderò servizio a Mosca».
   «In quale impiego?».
   «Non lo so ancora, come viene viene.

Venne a trovarmi il commissario di polizia con l'intenzione di richiamare la mia attenzione su un ponte crollato che si trovava nelle mie proprietà e che non avevo assolutamente i mezzi per riparare. Mangiucchiando pezzetti di storione innaffiati da bicchierini di vodka, questo indulgente tutore dell'ordine mi rimprovero paternamente per la mia incuria, del resto capì la mia situazione, mi consigliò di ordinare ai contadini di gettarci sopra del letame, si accese la pipa e attaccò a parlare delle imminenti elezioni. In quel periodo ambiva al titolo onorifico di maresciallo del governatorato un certo Orbassanov, un vuoto cialtrone, per di più corrotto. Tra l'altro non brillava né per patrimonio né per grado di nobiltà. Espressi la mia opinione sul suo conto persino con una certa noncuranza; devo ammettere che guardavo il signor Orbassanov dall'alto in basso. L'ispettore mi guardò, mi dette una pacca sulla spalla e disse bonariamente: "Eh! Vasilij Vasil'eviè non tocca a noi giudicare persone come quelle, noi chi siamo per farlo?... Ognuno di noi deve saper stare al suo posto". "Ma di grazia", obiettai stizzito, "che differenza c'è fra me e il signor Orbassanov?". Il commissario si tolse la pipa di bocca, strabuzzò gli occhi e scoppiò in una risata. "Che burlone", disse fra le lacrime, "che scherzo mi avete giocato... ah, come avete detto?", e fino alla partenza non fece che prendermi in giro, dandomi ogni tanto delle gomitate al fianco e passando già al tu. Finalmente andò via. Era la goccia che fece traboccare il vaso. Attraversai alcune volte la stanza, mi fermai davanti allo specchio, guardai a lungo, a lungo il mio viso stravolto e, tirata fuori la lingua, oscillai la testa con una smorfia di amarezza. Mi cadde il velo dagli occhi; vidi chiaramente, sempre più chiaramente com'era fatto il mio viso nello specchio, com'ero vuoto, insignificante, inutile, nient'affatto originale».

Il giorno dopo il suo ritorno Pantelej Eremeiè convocò Perfiška e, in mancanza di un altro interlocutore, si mise a raccontargli, senza certo perdere il senso della dignità personale e con voce di basso, in che modo era riuscito a trovare Malek-Adel'. Mentre raccontava, Èertopchanov sedeva di fronte alla finestra e fumava una lunga pipa turca; Perfiška invece in piedi sulla soglia della porta, con le mani dietro le spalle e guardando rispettosamente la nuca del suo padrone, ascoltava come, dopo molti inutili tentativi e viaggi, Pantelej Eremeiè era capitato alla fiera di Romen, da solo, senza l'ebreo Lejba, il quale, per debolezza di carattere, non aveva retto ed era fuggito via da lui. Ebbene, il quinto giorno del suo soggiorno a Romen, stava per andarsene quando, facendo un ultimo giro tra le file di carri, all'improvviso scorse, legato in mezzo ad altri tre cavalli, Malek-Adel'! Riconobbe subito il suo cavallo e, non appena quello riconobbe lui, si mise a nitrire, a scalpitare e a raschiare con lo zoccolo per terra.


(http://alenos.piranho.de/erbe/turgenev.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 30 Giugno 2006, 20:45:09
chi ricorda Spencer Tracy (o era Kirk Douglas?) ne "il padre della sposa"?

Altra indicazione: il regista Fritz Lang era accanito pipatore
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Luglio 2006, 23:48:17
Somerset Maugham  1874 -1965

"""A un pranzo di gala uno dovrebbe mangiare con saggezza ma non troppo bene, e parlare bene ma non troppo saggiamente.
È difficile essere allo stesso tempo uno scrittore e un gentiluomo.
Gli ideali hanno molti nomi, e la bellezza è uno di quelli.
Gli uomini hanno una concezione sbagliata del posto che occupano nella natura; e questo errore è ineliminabile.
I tasmaniani, presso i quali l'adulterio era sconosciuto, sono oggi una razza estinta.
Il grado di civiltà di una nazione è misurato dal suo disprezzo per le necessità dell'esistenza.
Il sentimentalismo è solo un sentimento che ti strofina contropelo.
L'amore è quello che succede ad un uomo e una donna che non si conoscono.
L'amore è solo uno sporco trucco ai nostri danni per raggiungere la perpetrazione della specie.
L'ipocrisia è un compito ventiquattr'ore su ventiquattro.
L'uomo elegante è quello di cui non noti mai il vestito.
La bellezza è estasi; è semplice come il desiderio del cibo. Non si può dire altro sostanzialmente, è come il profumo di una rosa: lo puoi solo odorare.
La gente mi ha sempre interessato, ma non mi è mai piaciuta.
La gente ti chiede una critica, ma in realtà vuole solo una lode.
La morte è una faccenda molto triste, molto noiosa, e il mio personale consiglio per voi è di non averci niente a che fare.
La perfezione ha un grave difetto: ha la tendenza ad essere noiosa.  
La tolleranza è un altro nome per l'indifferenza.
La verginità è qualcosa di molto prezioso che tutte le ragazze vorrebbero perdere.
Nella vecchiaia ci si pente soprattutto dei peccati non commessi.
Non c'è egoismo così insopportabile quanto quello del cristiano riguardo alla sua anima.
Non ricordo più chi sia stato a raccomandare agli uomini, per il bene della loro anima, di fare due cose gradevoli... È un precetto che ho sempre seguito scrupolosamente, perché tutti i giorni mi sono alzato e sono andato a letto.
Ogni produzione di un artista potrebbe essere l'espressione di una avventura della sua anima.
Tutti possono dire la verità, ma solo pochi possono comporre epigrammi.
Una donna si sacrificherà sempre, se gliene date l'occasione. È la sua forma preferita di auto-indulgenza."""


La luna e i sei soldi

Capii  che  qualunque  parola  di  condoglianza  sarebbe  stata
superflua e lo lasciai tranquillo.  Temendo  ch'egli  potesse  credere
spietato  da parte mia se mi fossi messo a leggere,  mi sedetti presso
la finestra a fumar la pipa,  aspettando  ch'egli  fosse  in  vena  di parlare.

Non era  mai  stato  in
casa mia prima d'ora,  ma non degnò di un'occhiata la stanza ch'io
avevo avuto tanta cura di rendere piacevole  allo  sguardo.  C'era
una scatola di tabacco sulla tavola e Strickland,  tratta di tasca
la pipa, cominciò a riempirla.  Quindi si sedette sull'unica sedia
senza bracciuoli, equilibrandola sulle gambe posteriori.
"Giacché  fate  come  se  foste  in casa vostra,  perché non avete
scelto una poltrona?" chiesi, irritato.
"Vi preoccupate tanto dei miei comodi?"
"Oh,  no davvero" ribattei,  "ma soltanto dei miei.  Sto a disagio
vedendo uno seduto così scomodo."
Ridacchiò,  ma non si mosse.  Si mise a fumare in silenzio,  senza
più occuparsi di me, immerso,  a quanto sembrava,  in una profonda
meditazione.

"Stroeve  m'ha  detto  che il vostro quadro di sua moglie è il più
bel lavoro che abbiate fatto."
Strickland si tolse la pipa di bocca e un sorriso gli illuminò gli occhi.
"E' stato un gran divertimento a farlo."
"Perché glielo avete regalato?"
"Lo avevo finito. Non avrei saputo che farmene."
"Sapete che Stroeve è stato lì lì per distruggerlo?"
"Il quadro aveva ancora parecchi difetti."
Tacque per qualche istante,  quindi si tolse nuovamente la pipa di
bocca e sogghignò

Ciò di cui soffrivano maggiormente era
la mancanza di tabacco, e il capitano Nichols, per parte sua,  non
poteva  farne  senza;  e  s'era  dato  alla caccia di mozziconi di
sigari e sigarette,  gettati via dai passanti la sera prima  sulla Cannebière.
"Ho  assaggiato  i  peggiori  miscugli  che si possano immaginare, nella mia pipa" 
disse,  con  una  filosofica  alzata  di  spalle prendendosi   due   sigari  dalla  scatola  che  gli  offrivo, mettendosene uno in bocca e l'altro in tasca.

IL VELO DIPINTO

Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1937.
Traduzione di Elio Vittorini.


Padre e figlia si erano ritirati nello studio.
Era l'unica stanza in cui si trovasse acceso il fuoco.
E meccanicamente egli tirò giù dalla mensola del caminetto la sua pipa, si mise a riempirla.
Ma gettata poi una dubbiosa occhiata alla figlia la posò.
Non volevi fumare? fece lei.
Tua madre non gradiva troppo l'odore della pipa dopo il pranzo, e dal tempo della guerra in poi non ho più fumato sigari.
La risposta suonò piuttosto penosa a Kitty.
Le sembrava terribile che un uomo di sessant'anni dovesse aver paura di fumare quello che voleva nel proprio studio.
Io lo trovo buono, l'odore della pipa disse, con un sorriso.
Una espressione di leggero sollievo passò sulla faccia del padre che riprese la pipa e l'accese.
Sedevano l'uno di fronte all'altra, ai due lati del fuoco.
Egli si mostrava, come al suo solito, gentile e sottomesso, ma grazie alla triste perspicacia che aveva acquistata nella sofferenza, essa gli leggeva nel cuore e vedeva che quel cuore, senza volerlo, senza confessarselo, si ritraeva, rifuggiva da lei.
Come la pipa non tirava egli si alzò a cercar qualcosa per frugarla.
Ma forse aveva solo bisogno di nascondere in qualche modo il suo nervosismo.
Tua madre desiderava che tu rimanessi qui sinché ti fosse nato il bambino e stava appunto rimettendo in ordine la tua vecchia camera.


(http://www.quotes4all.net/william_somerset_maugham.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Luglio 2006, 23:45:01
S.P. Somtow

Oltre ad essere uno scrittore è direttore artistico dell’ Opera di Bangkok
e direttore dell’Orchestra Filarmonica del Siam,non saprei quale dei ruoli sia un hobby ,naturalmente fuma la pipa.
Ha vissuto la sua infanzia negli “states”

La Danza Della Luna

L'uomo danzava, immerso nella luce dell'alba, i piedi nudi che battevano a terra con una forza che non teneva conto dei suoi anni. Dalle sue labbra usciva una canzone dei lupi.
Ben presto l'avrebbero invitato nel tipì di uno dei guerrieri, e le donne e i bambini sarebbero stati esclusi dal rituale della pipa. Piccola Donna Alce voleva ascoltare tutto ciò che poteva.
L'uomo danzava, e lei si avvicinò. Ora riusciva ad afferrare le sue parole, frammiste al ritmico eya-eya del ritornello: "Un lupo è nato. Io mi rallegro."
Ma per quale motivo era venuto al loro villaggio? I bambini lo osservavano assorti, immobili. Piccola Donna Alce non domandò loro nulla, perché sembravano essere completamente in un altro mondo.

Eccolo lì ora, che passava la pipa pronunciando le parole rituali na e ku. La tenda era piena di fumo, un fumo che puzzava così tanto che ti faceva venir voglia di vomitare, senonché vomitare era un'imperdonabile dimostrazione di scortesia, in una riunione importante come quella.

L'odore del tabacco si fece più forte. D'un tratto, Natasha vide che proveniva da una pipa Indiana, un lungo oggetto di pietra decorato da penne che veniva portato nella stanza su un vassoio. Il servitore depose la pipa. Dietro di lui c'era un Indiano.

Ovviamente, non sarebbe stato un bene avere una femmina presente durante la cerimonia della pipa.

"Ho portato il tabacco, e una pipa", disse Ishnazuyai. "Che regni la pace tra di noi

Con costernazione dei servitori, si accovacciò sul pavimento. L'insolita sofficità del tappeto lo turbò, ma Ishnazuyai cercò di adattarsi a quello strano ambiente senza lamentarsi. Accese la pipa e fumò, voltandosi ai quattro angoli dell'universo. Quindi la sollevò verso il letto, dicendo: "Possa il fumo che, unito al nostro respiro, si leva ai confini del mondo, essere gradito a Wakatanka."
E offrì la pipa, aspettando.
Il Conte sollevò debolmente la mano per prendere la pipa, sembrando trarre conforto dalle parole di Ishnazuyai.

Ma il Conte si limitò a incurvare le labbra nel fantasma di un sorriso, poi prese la pipa della pace, fece una rapida boccata e la porse nuovamente al vecchio.
E disse, con un filo di voce: "Ci sarà pace tra noi..."

"Washté", disse l'Indiano cortesemente. Si fidava, si fidava così tanto! Tirò fuori qualcosa dalla veste... Una di quelle pipe della pace! pensò Claggart... una pipa, ornata di penne d'aquila e tutta sghemba, e gliela offrì. Claggart accettò, sapendo che il Pellerossa non si sarebbe mai nemmeno sognato che lui potesse tradirlo dopo aver fumato insieme a lui.

Si era appena seduto e aveva appena finito di riempirsi a pipa con una manciata di Orcico's Brand, il tabacco locale, quando udì un altro lamento dal piano di sopra: "Valentin Nikolaievich!" Depose la pipa e andò di sopra dal Conte.

Una pipa veniva passata di mano in mano, e ogni persona che la offriva pronunciava la parola "Na", e chi la ricevava rispondeva: "Ku."
Il fumo della pipa era la fonte della nebbia. Il suo odore dolciastro si mischiava all'odore dell'erba fresca che spuntava dal terreno, all'odore delle foglie marcescenti dell'autunno, all'odore del caldo vento estivo delle pianure, all'odore delle tempeste cariche di neve dell'inverno... tutto ciò sembrava scaturire dal fornello della pipa sacra. E il tamburo solitario batteva senza sosta.

(http://content.answers.com/main/content/wp/en/thumb/0/0d/180px-Somsmall.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 14 Luglio 2006, 00:12:10
appena ho un po' di calma inauguro una serie di chicche di W.S. Maugham.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Luglio 2006, 22:34:46
Emile Zola  1840 -1902

Compose una serie di romanzi incentrati sulla realtà sociale del tempo, i cui personaggi ed ambienti sono osservati e descritti con attenzione spietata.

L'Assommoir

Due operai, a passo veloce, camminavano fianco a fianco a grandi falcate, parlando ad alta voce, senza guardarsi; altri, soli, in cappotto e berretto, camminavano sul bordo del marciapiede, a testa bassa; altri ancora procedevano a gruppi di cinque o sei, si seguivano senza scambiarsi neanche una parola, con le mani in tasca, gli occhi pallidi. Alcuni stringevano in bocca una pipa spenta.
A tratti, un operaio si fermava di colpo, riaccendeva la pipa, mentre attorno a lui gli altri continuavano a camminare, senza un sorriso, senza che una parola venisse detta a un compagno, le guance terree, il volto proteso verso Parigi che, uno a uno, li divorava.


Alla fine, quando vennero chiamati, mancò poco che non si potessero sposare: Bibi-la-Grillade era sparito. Boche lo ritrovò da basso, sulla piazza, che fumava la pipa. Erano proprio dei gran bastardi, in quel buco di sopra, a infischiarsene della gente, solo perché non aveva dei guanti gialli da metter loro sotto il naso! E tutte le formalità, la lettura del Codice, le domande che venivano poste, la firma di tutte quelle carte, vennero liquidate così in fretta che si guardarono l'un l'altro, sentendosi come defraudati d'una buona metà della cerimonia.

Il marito non si ubriacava, portava a casa le sue quindicine, si faceva una pipata alla finestra prima di mettersi a dormire, così, giusto per prendere una boccata d'aria. La loro gentilezza era sulla bocca di tutti. E poiché guadagnavano insieme quasi nove franchi al giorno, si calcolava che dovevano mettere da parte un piccolo gruzzoletto.

La sera, Coupeau scendeva adesso nella via, a fumare la pipa sulla soglia di casa. La strada era senza marciapiede e la carreggiata, sfondata, andava in salita. In alto, dalla parte di rue de la Goutte-d'Or, si vedevano delle botteghe tetre e dai vetri sporchi, dei calzolai, dei bottai, una drogheria poco invitante, un vinaiolo sull'orlo del fallimento e le cui imposte, sbarrate da settimane, erano ormai coperte di manifesti.

E finalmente se ne andarono. Coupeau avvicinò la sedia alla sponda del letto e finì la sua pipa, stringendo nella sua la mano della moglie. Fumava lentamente, concedendosi qualche frase fra uno sbuffo e l'altro, visibilmente commosso.

. Che bella agilità, che magnifica scioltezza di movimenti! Si sentiva perfettamente a proprio agio, come chi non si cura del pericolo. A cose del genere aveva ormai fatto il callo! Era piuttosto la strada ad avere paura di lui. Continuava a stringere fra le labbra la pipa, e di quando in quando si girava per scaracchiare tranquillamente nella via.

C'era un angolo, nella bottega, verso il fondo, che amava particolarmente: gli piaceva restar lì seduto a fumare, per ore e ore, immobile, stringendo fra le labbra la sua corta pipa. Certe sere, dopo aver cenato, una volta ogni dieci giorni, si faceva coraggio e si metteva a suo agio, ma senza perdersi in chiacchiere, ed anzi fin troppo silenzioso, con gli occhi fissi su Gervaise, limitandosi a togliersi di quando in quando la pipa di bocca per sorriderle ad ogni cosa che diceva. Quando le operaie si trattenevano a lavorare, ogni sabato, fino a sera, sembrava perdere la cognizione del tempo, si divertiva come se fosse stato a teatro.

Gli uomini si accendevano la pipa; e poiché le bottiglie di vino sigillato erano ormai vuote, tornarono ai litri: bevevano il vino fumando.
«Questa roba fa sempre bene quando la si manda giù», mormorò Bibi-la-Grillade.
   Ma quell'animale di Mes-Bottes ne stava raccontando una davvero comica. Il venerdì era così ubriaco che i suoi compagni gli avevano murato la pipa in bocca con una manciata di gesso. Un altro ne sarebbe crepato; lui alzava le spalle, si pavoneggiava.
Erano ormai completamente ubriachi. Mes-Bottes sbavava, la pipa fra i denti, l'espressione grave e
ottusa d'un bue addormentato.

(http://www.susa-literatura.com/emailuak/zola/irudiak/Zola-sarrera.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Luglio 2006, 16:25:12
Lewis  Carroll (Charles Lutwidge) 1832-1898

Di lui è stato detto di tutto,che subì abusi sessuali al college,balbuziente,epilettico,
pedofilo,massone,grande matematico,genio brillante,una fantasia creativa.
Bravissimo fotografo ,di fanciulli poco vestiti.
Nessuno ha mai detto che fumava la pipa,quindi non era considerato ne un difetto ,
ne un pregio,ma solo un piacere molto comune all'epoca.

Alice Nel Paese Delle Meraviglie

Si alzò sulle punte dei piedi, e sbirciò oltre il bordo, e subito incrociò lo sguardo di un grande bruco azzurro, che se ne stava seduto sopra il fungo, con le braccia conserte, fumando immobile un lungo narghilè, senza minimamente curarsi né di lei né di qualsiasi altra cosa.
Il Bruco e Alice si guardarono negli occhi per un po', in silenzio: infine il Bruco si tolse di bocca il narghilè e le rivolse la parola con voce languida e sonnolenta.
   «E tu chi sei?» domandò il Bruco.
   Non era promettente come apertura di dialogo. Intimidita, Alice rispose: «Io - a questo punto quasi non lo so più, signore - o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo di essere stata cambiata più di una volta».
   «Che vuoi dire con questo?» domandò il Bruco, severamente. «Spiegati!»
   «Vede, signore, non si può spiegare ciò che non si conosce» rispose Alice, «e io non mi conosco più, capisce?»
   «Non capisco» replicò il Bruco.
   «Mi dispiace, non glielo so dire meglio di così» disse Alice, «perché nemmeno io ci capisco niente, tanto per cominciare, e inoltre, a cambiare aspetto tante volte in un giorno, si finisce per avere una gran confusione in testa!»
   «Nessuna confusione» obiettò il Bruco.
   «Be', forse lei non ha ancora provato» disse Alice, «ma quando dovrà trasformarsi in crisalide - lo sa che le succederà un giorno o l'altro - e poi in una farfalla, allora vedrà che anche lei si sentirà un po' stranito».
   «Neanche per idea» rispose il Bruco.
   «Be', forse lei avrà delle sensazioni diverse» disse Alice, «tutto quello che so, è che io mi sentirei stranita».
   «Tu!» l'apostrofò il Bruco con disprezzo. «E tu chi sei?»
   Il che li riportò di bel nuovo all'inizio della loro conversazione. Alice era un po' irritata per le risposte brevissime che le dava il Bruco; si drizzò sulla schiena e disse con un tono molto grave: «Credo che spetti a lei dirmi per primo chi è».
   «Perché?» replicò il Bruco.
   Era un'altra domanda imbarazzante: e siccome non le veniva in mente una ragione valida e il Bruco era decisamente di cattivo umore, Alice si voltò per andarsene.
   «Stai qui!» la richiamò il Bruco. «Ho qualcosa di importante da dirti!»
   Questo lasciava presagire qualcosa di buono. Alice si girò di nuovo e tornò sui suoi passi.
   «Tieni i nervi a posto» sentenziò il Bruco.
   «Tutto qui?» domandò Alice, cercando di soffocare la stizza.
   «No» rispose il Bruco.
   Alice, che non aveva premura, pensò che tanto valeva aspettare: poteva ben darsi che il Bruco alla fine dicesse qualcosa che valeva la pena di ascoltare. Il Bruco espirò varie boccate di fumo senza parlare per qualche minuto, e infine liberò le braccia che teneva conserte, si tolse di bocca il narghilè e disse: «Allora, tu ritieni di essere cambiata, eh?»
   «Temo di sì, signore» rispose Alice. «Non ricordo più le cose che sapevo - e non riesco a mantenere la stessa statura per più di dieci minuti!»
   «Quali cose non ricordi più?» domandò il Bruco.
   «Be', ho provato a ripetere T'amo, o pio bove, ma mi è venuta tutta diversa!» rispose Alice con una voce carica di malinconia.
   «Recitami Sei vecchio, pa' Guglielmo» le ordinò il Bruco.
   Alice mise le braccia conserte, e cominciò:
   
   «Sei vecchio, pa' Guglielmo» - gli disse il giovanotto,
   «Ma coi capelli bianchi - vuoi fare il bel maschiotto.
   A capo in giù per terra - ti vedo ritto stare;
   È questo quel che a un vecchio - è conveniente fare?»
   
   «Quand'ero giovanotto» - rispose il vecchio al figlio,
   «temevo nel cervello - nascesse uno scompiglio.
   Ma ormai che so per certo - che in zucca non ho niente,
   Lo faccio e lo rifaccio - sì, spudoratamente».
   
   «Come ho già detto prima - tu sei di certo vecchio»,
   il giovane gli disse - «e ingrassato parecchio.
   Eppure t'arrovesci - in un salto mortale.
   Or, mi domando se - c'è una ragione. E quale?»
   
   «Quand'ero giovanotto» - il saggio gli rispose,
   scuotendo un poco il capo - «con abbondante dose
   mi ungevo dell'unguento - che i muscoli fa sciolti.
   Due lire tre vasetti - te li vendo, mi ascolti?»
   
   «Vecchio lo sei, papà - e fiacche hai le mascelle,
   Dovresti masticare - sol calde minestrelle.
   Pur ti mangiasti un'oca - con l'ossa e il becco intero».
   Soggiunse il giovanotto - «Or spiegami il mistero».
   
   «Quand'ero giovanotto - studiai l'avvocatura;
   Mia moglie mi faceva - la contropartitura;
   Ciò dette alle ganasce - tal forza muscolare,
   Che ora potrei anche i sassi - tranquillo divorare».
   «Sei vecchio, pa' Guglielmo» - riprese il ragazzino,
   «cogli occhi, come un tempo - non vedi più benino.
   Ma in punta del tuo naso - tieni ritta un'anguilla.
   Mi dici chi ti dà - del genio la scintilla?»
   
   «Risposi a tre domande. - Mi par che basta, e avanza!
   E trovo disdicevole - questa tua arroganza!
   Credi che mi divertano - le sciocche tue questioni?
   Via, smetti, o per le scale - ti mando ruzzoloni!»
   
   «Non l'hai detta bene» osservò il Bruco.
   «Oh, no davvero! Credo» disse Alice, timidamente, «d'aver sbagliato qualche parola.»
   «Era tutta sbagliata, da cima a fondo» replicò il Bruco con tono deciso; e ci fu un silenzio che durò qualche minuto.
   Fu il Bruco a parlare per primo.
   «Di che statura vorresti essere?» le domandò.
   «Oh, non ci tengo molto alla statura» rispose prontamente Alice; «è solo che non fa piacere continuare a cambiare così spesso, capisce?»
   «Io non capisco proprio» replicò il Bruco.
   Alice tacque: mai era stata tanto contraddetta in vita sua, e sentiva che le stavano per saltare i nervi.
   «Ti va bene come sei adesso?» chiese il Bruco.
   «Be', preferirei essere un pochino più grande, signore, se non le spiace» rispose Alice. «Sette centimetri è davvero una miseria, come statura.»
   «È una statura bellissima!» replicò il Bruco, stizzito, ergendosi dritto in tutta la sua lunghezza mentre parlava (era alto esattamente sette centimetri).
   «Ma io non ci sono abituata!» si lamentò la povera Alice con tono piagnucoloso. Intanto, pensava fra sé: «Ma come sono suscettibili, queste creature!»
   «Ti ci abituerai col tempo» disse il Bruco, e, portatosi il narghilè alla bocca, riprese a fumare.
   Questa volta Alice aspettò pazientemente che l'altro decidesse di rimettersi a parlare. Nel giro di un paio di minuti, il Bruco si tolse di bocca il narghilè, tirò qualche sbadiglio, e si dette una scrollatina. Poi scivolò giù dal fungo e si allontanò strisciando in mezzo all'erba, dicendo solo: «Un lato ti farà diventare più grande, l'altro più piccola».
   «Un lato di che cosa? L'altro lato di che cosa?» pensò Alice fra sé e sé.
   «Del fungo» rispose il Bruco, proprio come se lei avesse fatto la domanda a voce alta, e in un attimo scomparve alla vista.
   Alice contemplò il fungo pensosamente per un minuto, cercando di indovinare quali fossero i due lati del fungo, e, siccome era perfettamente rotondo, il problema non era di facile soluzione. Comunque, alla fine allargò le braccia e tendendole il più possibile, abbracciò il fungo e ne staccò dal bordo un pezzettino per parte con ciascuna mano.
   «E adesso, quale pezzetto per quale direzione?» si chiese, e rosicchiò un angolino del pezzetto che teneva nella destra per provarne l'effetto. Fu questione di un attimo, e sentì un colpo violento sotto il mento: era andata a sbattere contro il proprio piede!


(http://www.fuoriluogo.it/eodp/img/alice.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Luglio 2006, 23:35:18
Terry Pratchett
Fisico giornalista addetto all'ufficio stampa per la Central Electricity Generating Board, con responsabilità per varie centrali nucleari

Nel 1987 si dedica a tempo pieno alla scrittura e lascia le centrali nucleari (dichiarando che su quella esperienza scriverebbe un romanzo, se pensasse che qualcuno gli crederebbe). Negli anni Novanta i suoi romanzi riscuotono un grandissimo successo, conquistando spesso il primo posto nelle classifiche di vendita degli hardcover e dei paperback. Dalla fine degli anni Novanta i suoi libri vendono complessivamente oltre un milione di copie l'anno.

È stato insignito del titolo di Ufficiale dell'Order of the British Empire (OBE) nel 1998 per servizi alla letteratura. Nel 1999 gli è stato conferito il dottorato honoris causa in Lettere dall'Università di Warwick.




L'Apprendista

Il Curry Gardens, che si trovava all'angolo fra la Via di Dio e il Vi­colo Insanguinato, era molto affollato, ma soltanto con la crema del­la società... almeno con quelle persone che si trovano a galleggiare sulla cresta dell'onda e che, di conseguenza, è estremamente saggio definire "crema". Cespugli profumati piantati fra i tavoli riuscivano quasi a nascondere l'odore di base della città stessa, che poteva esse­re paragonato al corrispettivo olfattivo di una fogna.
Morty mangiò come un lupo, tenne tuttavia a freno la propria cu­riosità e non si mise a osservare come potesse la Morte mangiare an­che un solo boccone. Inizialmente il cibo si trovava lì e alla fine non c'era più, quindi doveva evidentemente essere successo qualche cosa nel frattempo. Morty ebbe la sensazione che la Morte non fosse ef­fettivamente abituata a tutto questo ma che lo stesse facendo per mettere lui a suo agio, come uno zio scapolo un po' avanti negli anni che si trova a trascorrere una vacanza con un nipote ed è terrorizzato all'idea di fare qualcosa di sbagliato.
Gli altri commensali non li degnarono di grande attenzione, nem­meno quando la Morte si appoggiò all'indietro e si accese una bellis­sima pipa. È richiesto un certo sforzo per riuscire ad ignorare uno che emette fumo dalle orbite degli occhi, ma tutti ci riuscirono alla perfezione.
«È una magia?» chiese Morty.
«CHE INTENDI DIRE?» disse la Morte. «SE SONO DAVVERO QUI, RAGAZZO?»
«Sì» disse lentamente Morty. «Io... io ho osservato le altre persone. La guardano ma non la vedono, penso. Lei fa forse qualco­sa alle loro menti?»
La Morte scosse la testa.
«FANNO TUTTO DA SOLI» disse. «NON C'È ALCUNA MAGIA. LE PERSONE NON POSSONO VEDERMI, NON PERMETTEREBBERO MAI A SE STESSE DI FARLO. FINCHÉ NON È ARRIVATO IL LORO MOMEN­TO, OVVIAMENTE. I MAGHI MI POSSONO VEDERE E ANCHE I GATTI. MA L'UOMO MEDIO... NO, MAI.» Sbuffò un anello di fumo verso il cielo e aggiunse «STRANO MA VERO.»
Morty osservò il cerchio di fumo ondeggiare nell'aria e poi venire sospinto verso il fiume.


(http://www.geocities.com/Area51/1777/biker.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Luglio 2006, 23:54:44
Anche quì se non siamo al "top" vul dire che lo abbiamo superato.

Robert Bloch 1917 -1994

Nasce letterariamente sulle pagine della mitica rivista Weird Tales, nel lontano1935
Tra la vasta produzione letteraria spicca Psycho, un romanzo che deve anche la sua fama alla riduzione cinematografica di Alfred Hitchcock. Il maremoto provocato dal film di Alfred Hitchcock trasporta direttamente Bob tra le braccia tentacolari di Hollywood.Il coronamento della sua carriera di scrittore lo ottenne nel 1959 quando gli venne attribuito il Premio Hugo, per il racconto Un Treno per l’inferno.
Scrittore molto prolifico. Nella sua lunga attività di autore di storie fantastiche ha publicato centinaia e centinaia di racconti  e molti volumi, a partire dal primo, famoso Pleasant Dreams (1960), raccolta pubblicata dalla Arkham House e ancora parzialmente inedita in Italia. più di 220 racconti editi in oltre due dozzine di raccolte, ventiquattro romanzi, sceneggiature per una dozzina di film e tante puntate di serials.

"Robert Bloch ama dire che egli ha un cuore di fanciullo..... forse conservato nell’alcool sopra la scrivania.."
I.Asimov


La Sciarpa

Feci la conoscenza di Stephen Hollis il pomeriggio seguente. Era un pezzo d'uomo alto, con il vestito di tweed e una pipa infilata in mezzo a un sorriso compiaciu­to. Disse poche parole di cortesia su com'era contento che fossimo insieme in quell'impresa eccetera, ma non mi lasciai impressionare e non feci nessuno sforzo per im­pressionarlo.
Doveva andar bene, stavolta. Doveva: solo così sarei riuscito a dimenticare Hazel. Nessuno aveva il diritto di ridere di me, che fossero editori con la pipa, agenti che masticavano sigarette o ragazze che masticavano il po­steriore delle matite. Gli appunti di Kleeman mi aiutarono a imparare qualche trucco, ma fu soprattutto la disperazio­ne ad aiutarmi. È l'unica spiegazione che riesco a darmi.

Ha letto Un penny per quello che pensate, vero?»
«Oh, lei è quel Ruppert!» Ero effettivamente sorpreso. Il libro era stato un piccolo bestseller della passata stagio­ne e, a pensarci, l'aveva pubblicato Hollis.
«Sì, sono il colpevole» rispose Ruppert, giocherellan­do con una pipa.

«Se stai cercando un modo delicato per dirmi che è una schifezza non prenderti il disturbo» dissi.
Ruppert rise e riempì la pipa con estrema cura, come se usasse oppio.
«Sei un po' sulla difensiva o sbaglio?»
«Brillante analisi, dottore. Ma dopotutto quel libro è il mio primo bebè. Sarà un bastardino ma gli voglio bene.»
Rise di nuovo, ma la pipa fra le labbra guastò l'effetto.
Puntò su di me il cannello della pipa.
«Tu conosci a fondo le donne, vero, Dan?»
«Ho più di ventun anni, se è quello che vuoi dire.»
«Non è quello che voglio dire e lo sai. Seriamente, Dan: tu parli delle donne con obbiettività, e questa è una cosa rara nella narrativa contemporanea.
Non cercava di imbonirmi, sentivo che era sincero. Forse nel suo campo non era uno stupido e nel mio caso aveva colto nel segno... Comunque avevo bevuto molto Scotch e mi si sciolse la lingua.
«Si tratta di questo, Jeff: io ci campo, sulle donne.»
Lui sorrise e tirò una pipata.

Lo stereo suonava Stravinsky e qualcuno rideva. Sembrava il rumore di un'unghia che strappa un lenzuolo. La conversazione rimbalzava dalle piastrelle su di me, ma Ruppert ricaricò la pipa e continuai.

«Anzi, è per questo che sono qui. Mi serve il tuo acu­me.»
«Come posso aiutarti?» Sedette su una poltrona di cuoio. A me toccò il divano. «Sigaretta?»
«Grazie.» Poi cominciò a scavare nella pipa come un idraulico non iscritto ai sindacati.

«Mi rendo conto che la faccenda è delicata. C'è il segreto pro­fessionale, e poi è stata tua moglie e adesso...»
«È la tua amante.» Annuì di nuovo e una scintilla cad­de dalla pipa. «No, non devi preoccuparti di questo. I tuoi guai comincerebbero se non fosse così.» Schiacciò la scintilla sotto il piede. «Alludevo a questo quando ho detto che avrebbe tentato di ucciderti. Se avessi resistito alle sue... avances.»
Mi girai di scatto ma Ruppert era intento a trafficare con la pipa e non riuscii a vedere la sua faccia.

(http://www.uflib.ufl.edu/spec/belknap/composers/bloch.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Agosto 2006, 00:07:12
Emilio Praga 1839- 1863

Ebbe vita breve e burrascosa,  prima sotto il segno di :   Bacco Tabacco e Venere. Per poi convertirsi a  Oppio ,Laudano e Assenzio

Le condizioni agiate della sua famiglia gli permisero di compiere numerosi viaggi in Europa tra il 1857 e il 1859 durante i quali trascorse lunghi periodi a Parigi e si dedicò allo studio di Baudelaire, Hugo, De Musset, Heine.
Tornato a Milano cominciò a frequentare gli ambienti della Scapigliatura, divenendone uno dei maggiori esponenti.
Molto famoso anche come pittore e scrittore di libretti d'opera.


AL MIO EREDE

Io son povero al par di un fraticello;
ma tu sei vispo, rubicondo e bello,
l'avvenire tu sei,
l'ultima legge ormai dei giorni miei.

Ti lascio, amico mio, molte sciagure
di cui farai tesoro:
esse valgono - sai? - nell'ore oscure
oh! molto più dell'oro!

Ti lascio i sogni e le illusïoni,
mille imagini gaie, e le canzoni
che leggerai pensando
di chi visse di te, mio venerando.

Mio bel vecchietto dalle chiome bionde,
che già osservi e già pensi,
cui non giunsero ancor lemuri immonde
dall'anima nei sensi!

Ti lascio il meglio che mi resta ancora:
il pio desir di una celeste aurora,
dei pedanti il disprezzo,
e la manìa di cercar perle al lezzo.

Ti lascio - forse - alcune avite botti,
il vecchio Dante onde al cielo si arripa,
e, ausigliatrice di non vacue notti,
una eccellente pipa!

(http://www.liberliber.it/biblioteca/p/praga/immagini/ritratto.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Agosto 2006, 12:16:44
Ross MacDonald - 1915  1983

E' lo pseudonimo dello scrittore Canadese-Americano Kennetch Millar.
Nato a Los Gatos, California, vicino a San Jose. ha sposato Margaret Sturm nel 1938.
Cominciò la sua carriera scrivendo per riviste Pulp.
Mentre studiava all'università del Michigan, completò il suo primo romanzo, The dark storm, nel 1944.
A quel tempo scriveva con il nome John Macdonald, per evitare la confusione con sua moglie, che stava ottenendo il proprio successo con il nome Margaret Millar.
Dai suoi libri sono stati tratti alcuni films di successo interpretati Paul Newman:
Detective Story,Dalla Terrazza etc.
Si ignora cosa fumasse nella pipa,alcuni dicono sbriciolasse flake insieme a cordite.

Il Vortice

A Las Vegas rintracciai l'indirizzo che cercavo, una casupola a due piani, con una scaletta esterna di le­gno. Un vecchio se ne stava seduto in cucina con la pipa in bocca.
Gli chiesi dove abitasse la signora Schneider.
«Abita proprio qui» bofonchiò.
«È in casa, adesso?»
Si tolse di bocca la pipa vuota e sputò sul pavi­mento di cemento.
«Come faccio a saperlo? Non mi occupo degli an­dirivieni delle donne, io.»
Gli misi sulle ginocchia ossute una moneta da mez­zo dollaro. «Si compri un pacchetto di tabacco.»
La prese imbronciato e la mise nel taschino del panciotto. «È suo marito che la manda? Per lo me­no lei dice che è il marito, ma a me sembra più una magnaccia. Comunque non ha fortuna, caro il mio uomo. È uscita.»

Sentii il colpo di pistola echeggiare dall'altra parte. Quando raggiunsi il colonnello, lo trovai con l'arma ancora in bocca. Era come se si fosse addormentato fumando quella pipa di forma stra­vagante.


(http://hem.passagen.se/caltex/bilder/rmd.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Agosto 2006, 00:10:58
Alce Nero

nato tra il 1860 e il 1865 ed era stato testimone di molti dei più importanti eventi
che caratterizzarono la fine delle nazioni indiane e l’avvento del periodo delle riserve: aveva
cacciato i bisonti con il suo popolo prima che essi scomparissero a causa dell’uomo bianco, ed
aveva combattuto sul Little Big Horn e sul torrente Kwonded Knee; era cugino del grande caposacerdote Cavallo Pazzo

Estratto da "La sacra Pipa"

Quando si prega con la Pipa si prega  per e con ogni cosa e
ogni azione che si compie: “ogni alba che spunta è un sacro evento, e ogni giorno è sacro perché la
luce viene da vostro Padre Wakan-Tanka”; e tutto ciò che è sulla Terra, “gli esseri a due gambe e
tutti gli altri popoli che sono su questa Terra sono sacri.

La Pipa
quando viene riempita con il Kinnikinnik, una mistura rituale di tabacco e di scorza di ontano
rosso e corniolo rosso, rappresenta  l’intero universo: tutto lo spazio e
tutte le cose si concentrano in un unico punto il fornello, il cuore della pipa, tanto che essa è
anche l’uomo: colui che carica la Pipa si identifica con essa, stabilendo il centro dell’Universo ed il suo proprio.
Nel rituale della Pipa si distinguano tre fasi: la purificazione con il fumo di un’erba sacra;
l’espansione della pipa, per cui essa viene a contenere l’intero universo; l’identità, ossia il sacrificio dell’intero universo nel fuoco.

(http://www.usatomania.com/images/cimiero.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 21 Agosto 2006, 11:21:20
enzo ti segnalo E.M. Forster (autore di "camera con vista" e "casa howard") in "il viaggio più lungo", capp. 27, 28 e 30.

La pipa si accoppia al carattere del personaggio Stephen Wonham, coprotagonista.

Se lo trovi scaricalo, ne vale la pena.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 07 Ottobre 2006, 17:49:57
Dico, Enzo Ti sei fermato?

Protesto vibratamente!!! :lol:
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: PaperoFumoso - 08 Ottobre 2006, 17:06:50
Ken Follett

Sebbene, a mio avviso, non abbia scritto nulla di particolarmente interessante dopo "I pilastri della terra", in un suo romanzo intitolato "Un luogo chiamato libertà", il quale, a onor del vero, non sfigurerebbe minimamente nella collezione Harmony, narra di vicende che si svolgono in una piantagione di tabacco sul finire del '700. Interessante la breve digressione sulla necessità di approntare terreni sempre nuovi per la coltivazione del tabacco, mediante disboscamento, non essendo sufficiente la concimatura. Passi interessanti e, si spera, aderenti alla realtà.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Ottobre 2006, 22:59:11
Dopo una così accorata richiesta,cerco e trovo qualcosa. :D  8)

Ken Follett

Nato a Cardif nel 1949,scrittore molto prolifico,da buon gallese fuma pipe inglesi,ma predilige tabacchi italiani,soprattutto Cellini bianco.

Un Luogo Chiamato Libertà

«Per me, i virginiani sono anche peggio» disse Drome. «I piantatori di tabacco non pagano mai i debiti.»
«Come se non lo sapessi!» esclamò Sir George. «A me è appena capitato: un piantatore non ha pagato e mi ha la­sciato in mano una piantagione fallita. Un posto che si chiama Mockjack Hall.»
Un servitore arrivò con una bottiglia di porto, una sca­tola di tabacco e un assortimento di pipe di coccio. Il gio­vane ecclesiastico ne riempì una e disse: «Lady Jamisson è una gran bella donna, Sir George, se mi è permesso dirlo. Davvero una gran bella donna».

L'ecclesiastico accese la pipa, aspirò il fumo e cominciò a tossire. Era evidente che non aveva mai fumato in vita sua. Con le lacrime agli occhi boccheggiò, sputacchiò e tossì di nuovo. I colpi di tosse lo squassarono al punto che la parrucca e gli occhiali caddero... e Jay si accorse subito che non era affatto un ecclesiastico.

Mack e Dermot furono i primi ad arrivare. Trovarono Peg seduta al bar con le gambe incrociate sotto di sé. Fu­mava tabacco della Virginia in una pipa di coccio.

Quando ebbero terminato, il servitore di Gordonson sparecchiò e portò pipe e tabacco. Gordonson prese una pipa, e anche Peg, che aveva quel vizio da adulta.
Poi l'avvocato cominciò dal caso di Peg e Cora. «Ho par­lato col legale della famiglia Jamisson dell'accusa di bor­seggio» disse. «Sir George manterrà la promessa e chiederà clemenza per Peg.»
«Mi sorprende» commentò Mack. «I Jamisson non han­no l'abitudine di mantenere la parola.»

Uomini e donne erano al lavoro in tutti i campi, strappavano le erbacce tra i filari e toglieva­no i vermi dalle foglie del tabacco.

Camminarono per due o tre chilometri fra i campi fin dove c'era il tabacco pronto per il raccolto. Le piante cre­scevano in filari regolari distanti quasi un metro l'uno dall'altro e lunghi circa trecento metri. Erano alte più o meno quanto Mack, e ognuna aveva almeno una dozzina di grandi foglie verdi.
I braccianti ricevettero gli ordini da Bill Sowerby e Ko­be, e furono divisi in tre gruppi. Al primo furono distribuiti coltelli affilati per tagliare le piante mature. Il secon­do andò in un campo che era stato tagliato il giorno pri­ma. Le piante erano a terra e le grandi foglie erano avviz­zite dopo essere rimaste al sole per un giorno. Ai nuovi arrivati fu mostrato come incidere gli steli delle piante ta­gliate per infilzarle su lunghe aste di legno. Mack era nel terzo gruppo, che aveva il compito di portare le aste cari­che attraverso i campi fino all'essiccatoio, dove venivano appese al soffitto perché il tabacco si conciasse all'aria.
Poi sarebbero state legate di nuovo insieme, coperte con teli e lasciate a "sudare".

La raccolta del tabacco era terminata, ma la lavorazione del raccolto era ancora impegnativa: bisognava togliere gli steli e le nervature e pressare le foglie prima di poterle chiudere nei barili detti "musi di porco" per il viaggio fi­no a Londra o a Glasgow.

(http://wiredforbooks.org/images/KenFollett2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: PaperoFumoso - 09 Ottobre 2006, 19:42:34
Citazione da: "Aqualong"
Dopo una così accorata richiesta,cerco e trovo qualcosa. :D  8)

Ken Follett

Nato a Cardif nel 1949,scrittore molto prolifico,da buon gallese fuma pipe inglesi,ma predilige tabacchi italiani,soprattutto Cellini bianco.



Questo Follett mi ricorda qualcuno... ah, sì! Adesso rimembro! C'era un tizio qui su RTP, anni fa, che andava matto per il Cellini Bianco... sì, sì, lo ricordo bene... Ho dimenticato purtroppo il nick, adesso non mi sovviene.

Un tipo indubbiamente losco, a mio parere da evitare  8) .
Titolo: autori.....
Inserito da: coureur-des-bois - 09 Ottobre 2006, 20:00:03
E adesso non c'è più?
Peccato! Avrei un meraviglioso "nougat" da fargli assaggiare!
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Ottobre 2006, 21:48:48
E poi il Grousemoor,che sicuramente gli piace.
 8)  :D
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Ottobre 2006, 22:49:23
Swann Leonie
 
è nata nel 1975 nei pressi di Monaco di Baviera. Ha studiato filosofia, psicologia e letteratura inglese a Monaco e a Berlino. Glennkill è il suo primo romanzo. L’idea di un romanzo giallo, in cui il detective fosse una pecora, le è venuta a Parigi,forse non fuma a pipa,non si può mai sapere,ma nel suo best seller pecorine e pipe sono un'accoppiata perfetta


Glennkill

Il primo giallo risolto da Miss Maple, la pecora più intelligente del gregge, forse del villaggio, probabilmente del mondo


Lentamente si stava
facendo sera. George era seduto sui gradini del capanno e fumava la pipa.
Senza che lui li notasse, due turisti stavano passando sulla spiaggia,
gemendo sotto il peso di zaini giganteschi.

Verso mezzogiorno, Gabriel aveva finito con la recinzione. Si sedette sui
gradini del capanno, là dove si sedeva sempre George, e si mise a fumare
la pipa. Il fine odore di tabacco penetrò in modo strano nel naso delle
pecore. Un odore misterioso. Dietro il velo di fumo si nascondeva il vero
Gabriel, in un luogo in cui nessuna pecora riusciva a fiutarlo. Persino
Maude dovette ammettere che anche lei riusciva a distinguere ben poco di
Gabriel, sotto la sua lana di pecora e il tabacco.

Mentre pecore coraggiose come Othello, Cloud e Zora si avvicinarono
trotterellando.
"Josh," disse Gabriel senza togliersi la pipa dalla bocca. I suoi occhi
 fissarono il secco. Le pecore sapevano come si dovesse sentire
quest'ultimo. Lusingato in volto e un po' debole nelle ginocchia.
Il secco si rovistò nervosamente nella tasca della giacca. Trovò una
chiave e la porse con rispetto a Gabriel.

Le pecore lo capivano. Era semplicemente
una gioia fare un piacere a Gabriel.
"Gabriel?" Josh aveva fatto per andare, ma si voltò ancora una volta.
Gabriel spostò la pipa dall'angolo destro a quello sinistro della bocca e
guardò Josh in modo interrogativo.
"Certo che sei stato davvero bravo." Josh fece un ampio movimento con
la mano, che comprendeva Gabriel, il capanno, le pecore e tutto il pascolo,
e che si chiudeva in un solo punto.

Quella mattina Gabriel fece di nuovo la sua comparsa al pascolo -
prestissimo, molto prima dell'ora in cui George fosse mai arrivato. Senza il
bastone da pastore. Senza cani. Addirittura senza cappello. Ma con la pipa
all'angolo della bocca. E una scala. Le pecore erano orgogliose di essere
già al lavoro. Gabriel avrebbe certo notato che fra di loro non c'erano fannullone.

"Ecco che cos'è, tu hai paura. Di loro. Della mafia della droga. Se
riescono a non far perquisire il capanno dalla polizia, allora dev'essere una
cosa grossa. Quindi è vero che..."
"Io non ho paura," disse Gabriel. Mentiva. Fili di paura trovarono la
strada verso l'esterno persino attraverso il suo manto di lana di pecora,
completamente impregnato di fumo di pipa.

"Te ne intendi proprio tu," disse l'uomo, "di bestie. Meglio di me con le
serrature." Gabriel gli gettò uno sguardo ostile.
A un certo punto Gabriel fu soddisfatto dell'opera di distruzione. Si
infilò un unico filo d'erba fra i denti, là dove di solito teneva la pipa, e si
avviò al capanno per prendere la carriola. Eddie era ancora seduto sui
gradini del capanno. Aveva finito di mangiare il suo panino da un pezzo.
Gabriel non gli prestò attenzione. Portò l'erba alle sue pecore e la gettò
oltre il recinto. Le pecore di Gabriel avevano intonato di nuovo i loro
belati - "Cibo!" - belando a lungo, fino a quando anche l'ultima di loro non
riuscì a infilare il naso nell'erba morta.

Osservarono Gabriel, il quale, saldamente piantato, proprio come un
pino, se ne stava appollaiato sui gradini avvolto dal fumo della pipa.
Impensabile che una pecora - e nemmeno un gregge intero - potesse fare
qualcosa in proposito.
"Paura," disse Zora. "Gli dobbiamo fare paura."
Pensarono a che cosa facesse paura a loro: i cani grossi, le auto
rumorose, la pomata che bruciava, l'odore degli animali feroci. Ma niente
di tutto questo sembrava adatto a scacciare Gabriel.

Zora pensò a quello che aveva detto l'uomo con gli occhiali.
Specialità ovine. Pensò al montone sconosciuto. Perché tutta la carne era
come erba. La pascolavano come l'erba. Per questo avevano riso. Per
questo c'era il macellaio. Zora vide da tutti i volti che volevano vincere
delle specialità ovine. Un abisso che era sempre stato lì, dritto davanti a
lei, e che lei finora non conosceva. I gabbiani tacevano. Per la prima volta
nella sua vita Zora ebbe le vertigini.
Confusa, sbirciò in tutte le direzioni. Poi, all'improvviso, a pochi passi
da lei si alzò una piccola pecora nuvola, perfetta. Era uscita dalla pipa di
un uomo giovane in seconda fila. Zora chiaramente sapeva che non si
trattava davvero di una pecora nuvola. Ma quella nuvola le ricordò per
quale motivo esistesse l'abisso: l'abisso c'era per essere superato. Con
passo sicuro si arrampicò sulla tribuna dietro a Othello. Oggi Zora era il
pastore.

(http://www.daserste.de/cmspix/druckfrisch_buch/14122005170697.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Ottobre 2006, 00:10:41
E non poteva mancare....

Pennac Daniel

nato a Casablanca nel 1944 già insegnante di lettere in un liceo parigino, dopo un'infanzia vissuta in giro per il mondo, tra l'Africa, l'Europa e l'Asia, si è definitivamente stabilito a Parigi. Accanto all'attività di scrittore si dedica all'insegnamento ai ragazzi difficili. Quando comincia a scrivere scopre una particolare propensione per storie comiche, surreali ma ben radicate nelle contraddizioni del nostro tempo. Ha raggiunto il successo dopo i quarant'anni con la tetralogia di Belleville. Quattro romanzi, editi in Italia tra il 1991 e il 1995


Signor Malaussene

I tre uomini erano immersi in un odore di formolo e di pipa fredda. Le parole rimbalzavano sul pavimento e contro le pareti bianche dell'obitorio. Il medico legale Postel-Wagner parlava con prudenza. Un po' come uno che si rivolge a dei bambini prima che accendano la miccia di un candelotto di dinamite.
"E credete davvero che funzionerà?"
Titus e Silistri si scambiarono uno sguardo stanco.
"è un'ipotesi di lavoro, dottore," intervenne il commissario Rabdomant, "una diagnosi."
Il medico legale Postel-Wagner sorrise con gli occhi.
"Se le diagnosi fossero infallibili, gli obitori sarebbero meno pieni, signor commissario."
"E la medicina legale più rapida nelle sue conclusioni," osservò Titus.
Il medico legale si prese il tempo di caricare una pipa di schiuma dal fornelletto enorme. Il fiammifero fece scoppiare un incendio. I tre uomini si persero di vista. Rimaneva solo la voce del medico:
"I morti meritano la nostra pazienza, ispettore. Si trovano un sacco di cose degne di interesse nei loro corpi. Non ci sono solo le indagini di polizia nella vita. Ci sono le indagini vitali".
Quando ebbe cacciato il fumo della pipa con grandi mulinelli, il dottor Postel-Wagner scoprì senza piacere che i suoi interlocutori erano ancora lì.
"Se ho capito bene," riprese, "il corpo del vecchio Beaujeu farebbe la capra e io il paletto, è così?"
Il commissario Rabdomant tossicchi•.
"In un certo senso sì."
"Mi rifiuto."
Silenzio. Fumo.

"Un obitorio non è una stazione di smistamento," obiettò il medico legale Postel-Wagner. "E del resto non capisco cosa la autorizzi a trattare da flippati gli amanti dei tatuaggi," aggiunse sottovoce. "Non è una malattia, che io sappia."
"Chiaro. Ha un tatuaggio sul culo," pensò Titus.
"E io non ho nessun tatuaggio," mormorò il dottore tirando la sua pipa.
Il commissario di divisione Rabdomant riavviò la discussione.

"La ascolto, dottore."
Postel-Wagner dispiegò una lunga carcassa un po' curva, battè‚ la pipa contro il palmo della mano sopra una bacinella di zinco che gli fungeva da portacenere, e propose la soluzione.
Il medico legale riaccese una pipa pensoso. Da lontano, Titus domandò:
"Cosa ci mette, come moschicida, in quella pipa?"
Postel-Wagner dissipò la nube.

(http://lectures.elvenbook.com/blogs/media/pennac.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Ottobre 2006, 20:47:43
Per coloro che stavano in pensiero eccolo!

Andrea Camilleri

Sin dal 1949 Camilleri lavora come regista e sceneggiatore; in queste vesti ha legato il suo nome ad alcune fra le piu' note produzioni poliziesche della TV italiana, come i telefilm del Tenente Sheridan e del Commissario Maigret, e a diverse messe in scena di opere tetrali, sempre con un occhio di riguardo a Pirandello.
Col passare degli anni ha affiancato a questa attività quella di scrittore; è stato infatti autore di importanti saggi "romanzati" di ambientazione siciliana nati dai suoi personali studi sulla storia dell'isola.
La scrittura prende finalmente il sopravvento al momento dell'abbandono del lavoro come regista/sceneggiatore per sopraggiunti limiti di età (mai pensione fu più opportuna!).
ps.lui può fumare quello che vuole



Il re di Girgenti

Davanti alla porta inserrata ci stava un omo né
vecchio né picciotto assittato supra 'na petra, che si fu-
mava la pipa.
«Bongiorno» fece, aducato, Zosimo.
«Bongiorno» arrispunnì l'altro squatrandolo. «Cir-
cate qualichiduno?»
«Mi dissiro che qua ci abita la vidova Carlino.»
«Pricisamenti. La vidova abita qua. Io sono u maritu.»

«Pirchì ve ne andate?»
«Pirchì mi pari che la signora vidova non è in casa»
fece Zosimo taliando verso la porta inserrata.
«Mia mogliere c'è» disse l'omo. «Solo che per ora è
accupata. Ancora cinco minuti ed è libira.»
Zosimo principiò a sudare. Come avrebbe potuto di-
re alla vidova Carlino che voliva ficcare con lei in pri-
senzia del marito? Tuttu 'nzemmula la porta si raprì e
niscì un viddrano.
«Bongiorno» salutò senza taliare né a Zosimo né al-
l'omo assittato.
«Tocca a voi» fece l'omo con la pipa.

La vidova, una quarantina ruscia-
na, stava acculata in un cato pieno d'acqua e si lavava
in mezzo alle gambe. Era cummigliata a malappena da
un cammisone tutto spirtusato. Quanno finì, si ittò sui
sacchi, isò il cammisone arravugliandolo supra le min-
ne, raprì le gambe.
Zosimo intanto si era sentito passare la gana. Il fat-
to che fora ci stava il marito a fumarisi la pipa mentre
che lui ficcava con la mogliere non gli pareva cosa.


Fu proprio in quel silenzio che per Zosimo il tempu
si fermò. Ogni cosa viventi e no che c'era torno torno
a lui s'apparalizzò, le foglie non si smossero più al vin-
ticeddro della sira che avanzava. Persino una taddra-
rita che stava facenno il suo volo basso e tortuoso s'ar-
restò, le ali spiegate, sospesa in aria come se fosse ad-
disegnata in un quatro. E macari le nuvoli, oramà fer-
me, appartenevano allo stesso quatro. Fofò La Bella era
tanticchia calato verso Tanu Gangarossa e aviva la
vucca aperta come se gli parlasse, ma le labbra non si
cataminavano e non nisciva parola. Non c'era rumore,
nenti, non un sono. Il fumo della pipa di Gegè Co-
sentino era immobili metà fora e metà dintra al fornello.
Il cane, che stava saltando una staccionatella, stava con
le dù zampe di davanti a mezzaria.

L'omo scinnì, attaccò la vestia alla stacciunata,
avanzò fino a mittirisi 'n faccia a Zosimo.
«Mi chiamu Petru Montaperto» disse. «E sono l'aiu-
tanti del Capitano di Giustizia, Gnaziu Tarallo. E vù
siete Zosimo?»
«Sì.»
Montaperto lo taliò a longo, occhi negli occhi. Dop-
po si voltò, s'allontanò di quarchi passo, si misi a os-
servari una speronar a luntana supra il mari.
«Bello» disse.
«Vi posso offriri un vuccali di vinu?» spiò Zosimo.
«Sì, grazii.»
«Accomidatevi, mentri vi lo porto» disse Zosimo in-
dicandogli una panchina di petra allato alla porta.
Quanno tornò con dù vuccali, Zosimo lo trovò as-
sittato che s'era addrumato la pipa. Pariva uno che fa-
civa a modo so nella casa di un vecchiu amicu ch'era
venuto a truvari doppo tempu.

(http://www.ilfiorile.com/gli_appuntamenti/camilleri.JPG)

Frammento di intervista  a cammilleri:

A.C. Non c’è un uguale modo di condurre le indagini. C’è questa cosa splendida, nelle inchieste di Maigret, quella che lui si mette dalla parte del morto… lui arriva e si mette proprio disteso accanto al morto a guardare la realtà che lo circonda e da lì parte per le sue inchieste…
P.S. C’è da dire che erano anche tempi televisivi completamente diversi che forse lo permettevano, e per l’attore Cervi, che forse si prendeva poi i suoi tempi appunto teatrali, diluiti. Il suo rapporto con la pipa era fantastico… la tirava fuori, la nascondeva, la caricava…
A.C. …la caricava…
P.S. …la guardava, la lucidava…
A.C. …se la portava a letto…
P.S. …la nascondeva…
A.C. I tempi di Maigret sono tempi quasi cinematografici…

(http://www.carmillaonline.com/archives/cervi02.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Ottobre 2006, 22:47:58
Jefferson Bass

Un nuovo autore - Jefferson Bass (pseudonimo dell’antropologo forense Bill Bass e del giornalista Jon Jefferson) e un protagonista fisso — il dottor Bill Brockton, che guarda caso svolge la professione di antropologo forense. Ne scaturisce un personaggio profondamente autentico, proprio perché è il ritratto narrativo di una persona unica al mondo: i suoi autori.


Rigor Mortis



«Che c'è dentro quella roba, Waylon? Pensavo che il Copenaghen fosse soltanto tabacco, ma lì dentro c'era qual-cosa che mi ha travolto come un treno merci.»
Waylon sollevò un dito per interrompere la mia tirata, poi scese dal pick-up e ci girò attorno fino ad arrivare dalla mia parte. Protendendo verso l'al-to le braccia grosse come tronchi, mi prese e mi mise giù come un bambi-no e cominciò a farmi camminare per il parcheggio. «È solo tabacco, Doc, ma in qualche modo pompano la nicotina, non so come. Non se ne parla molto, però la nicotina può dare una bella botta se uno ne prende abbastan-za. Un labbro pieno di tabacco da masticare vale quanto dieci Camel senza filtro. Se non ci si è abituati ci si ritrova col culo per terra. Diavolo, lo sa-pevo; dovevo pensarci prima di sventolarle quella scatoletta sotto il naso.»
Scossi la testa. «Sono un ragazzo cresciuto, Waylon. Non ero costretto a prenderlo.» Passeggiare aiutava, ma mi sentivo ancora stordito. «Quand'e-ro bambino, mio nonno fumava la pipa. Prince Albert. Non mi è mai piaciuto il fumo di sigaretta, ma adoravo il profumo della pipa del nonno. Ogni volta che veniva a trovarci, lo imploravo di farmi fare una boccata con la sua pipa. Diceva sempre: 'No, ti sentirai male', ma lo supplicavo e piagnucolavo finché non capitolava. E invariabilmente mi sentivo male. Però non era niente in confronto a questo. Mi sorprende che questa roba sia legale.»
«Legale o no, non fa differenza. È come la droga, in qualche modo uno se la procura lo stesso. Proprio come i liquori di contrabbando, l'erba o i combattimenti di galli. Quello che mi spaventa è che vedo ragazzini di die-ci o dodici anni che già si fanno una scatoletta al giorno. Perderanno le labbra e la lingua prima di arrivare ai quarant'anni.» Si grattò il mento. «Io ho cominciato tardi e si può dire che mi modero. Probabilmente non mi cadrà la bocca fino ai sessantacinque anni.»

(http://www.artesur.com/jujuy/ARQ%20pipa%201%20bis%20Moralito.jpg)
Titolo: pipatrice
Inserito da: coureur-des-bois - 01 Febbraio 2007, 11:14:54
(http://www.feltrinelli.it/fs/author/agnello2.jpg)

Simonetta Agnello Hornby: vi posso assicurare che questa bella signora, avvocato e scrittrice, fuma la pipa.
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: ismaele - 01 Febbraio 2007, 11:36:08
Ho letto la sua biografia, interessante! Ma di' la verita', come sai che fuma la pipa? Conoscenza diretta?  :wink:
Titolo: Agnello Hornby
Inserito da: coureur-des-bois - 01 Febbraio 2007, 12:05:14
No! Ho visto una foto (se non era semplice posa), in cui sfoggia una dritta, foto che non ho trovato nel web.
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 10 Febbraio 2007, 12:40:36
Un grande italiano, Paolo Caccia Dominioni.

(http://www.geocities.com/arcigno2000/CacciaDominioni2.JPG)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Febbraio 2007, 12:29:41
Celebriamo la riapertura di rtp con:. :D  :D  :D

Marcel Duchamp (1887-1968)

Dal 1904 è a Parigi e qui si occupa di cose diverse: esegue caricature per i giornali, si interessa di teatro, gioca a biliardo,a scacchi,,fuma la pipa, lavora presso una biblioteca, viaggia in automobile.
Le sue prime esperienze pittoriche mostrano una facilità di assimilazione delle principali notivà stilistiche del momento: dal neoimpressionismo al fauvismo, dal simbolismo al futurismo.
Generalmente viene considerato uno dei maggiori rappresentanti del dadaismo, benché egli non abbia mai accettato l’appartenenza a questo gruppo. Ma è soprattutto nell’ambito del cubismo che egli si muoveva con maggior disinvoltura.
(http://www.mnstate.edu/gracyk/images/marcel2.jpg)

Successivamente insieme a Man Ray ha usato molto anche la foto per le sue coreografie espressive.
(http://www.ljudmila.org/scca/platforma3/fotoweb/duchamp.jpg)
(http://www.secrel.com.br/Jpoesia/ag44duchamp1.jpg)
La pipa e gli scacchi sono sempre al centro delle sue bellissime e geniali opere.
(http://www.msu.edu/~kraussma/duchamp_fountain.jpg)
(http://images.tentonhammer.com/WCN/News/EvansOnChess/MarcelDuchamp180x203.jpg)
(http://fatamorgana.romanesca.com/uploaded_images/MarcelDuchamp-735786.jpg)

(http://encontrarte.aporrea.org/imagenes/20/009%20dreier.duchamp.lg.jpg)
(http://www.arte.go.it/mostre/duchamp/images/img_10.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 26 Febbraio 2007, 16:40:52
Citazione da: "coureur-des-bois"
Un grande italiano, Paolo Caccia Dominioni.

(http://www.geocities.com/arcigno2000/CacciaDominioni2.JPG)
eh si, quello che onorò i nostri caduti di el alamein
Titolo: autori
Inserito da: coureur-des-bois - 26 Febbraio 2007, 18:24:02
Eh sì, Paolo Caccia Dominioni conte di Sillavengo (1896-1992) ingegnere, architetto, scrittore, progettista e pittore ( una grafica magnifica ).
A lui si deve il recupero delle salme dei soldati caduti nel deserto e la realizzazione del Sacrario di El Alamein.
Combattente volontario nella Grande Guerra e comandante del XXXI guastatori nel secondo conflitto è decorato al valore.
Consiglio la lettura della sua opera più conosciuta " El Alamein 1933-1962"
che è anche un famoso best seller.
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Ramingo - 27 Febbraio 2007, 23:33:57
Purtroppo, di uomini del genere han buttato lo stampo....
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Ottobre 2007, 14:48:01
Alan E. Nourse

"I Mercenari"

Il medico si mise a sederedi fronte a Jeff e offrì una sigaretta da una scatola sulla scrivania.
Jeff scosse la testa,no grazie disse,non fumo.
Tra l'altro penso che oggi siano leggermente illegali.
Il dottore sogghignò leggermente, grazie a noi,siamo noi quelli che hanno fatto includere il tabacco  tra le cose illegali.
Si appoggiò comodamente allo schienale della poltrona,riempì una pipa e l'accese.
Comunque a volte il tabacco aiuta,nella conversazione,calma i nervi dicono.

(http://bibliograph.ru/Biblio/N/Nourse/Nourse1.jpeg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 04 Ottobre 2007, 16:14:53
saluto con gioia la ripresa di quest'alma sezione del forum
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Ottobre 2007, 00:43:09
Giovanni Magherini Graziani

Fioraccio (1886)

Levammo le spine al carro, e adagio adagio c'incamminammo verso il camposanto.
La serata era brutta, voleva piovere.
Fuori del Camposanto non c'era da stare, perché ci avrebbero veduti.
«Dove ci riponiamo?».
«È meglio entrar dentro».
Cecco prese la chiave aprì il cancello ed entrammo. Ma richiudere di dentro non si poteva.
«Lascia accosto», diss'io, «tanto se vengono, non passano dal cancello,
scavalcano il muro».
«Ma ci vedono qui».
«Dov'è la buca?»
«Lì accosto alla stanza mortuaria».
«Allora stiamo nella stanza».
«Nella stanza?»
«E dove? Non c'è altro posto, mi pare».
C'era una panchetta ci mettemmo a sedere. Io accesi la pipa.
«Che ti metti a fare?», mi disse Cecco, «se vedono il fuoco se ne accorgono subito che siamo qui».
«Già, e tu credi che io voglia star qui tutta la notte senza neppur fumare? mi addormento».
Si fece qualche altra parola, e poi ci chetammo; non avevamo voglia di discorrere né lui né io. Non si sentiva altro rumore che quello dei pipistrelli, che entravano ed uscivano dalla porta; si udiva solamente qualche cane abbaiare da lontano, e friggere la pipa. Tirava vento acquaio e si sentiva veramente bene l'orologio di ***. Batterono le undici e poco dopo mi parve che ci fosse qualcuno a camminare nella strada.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Ottobre 2007, 00:52:25
La preda più pericolosa
Questo racconto si trova in centinaia di antologie,e ne è stato tratto una decina di film
Il brano che segue avvalora la tesi che il fumo fa male alla salute.
Richard Connell
Famoso oltre per i suoi trillers,per le scenografie dei film del regista Frank Capra e altri holliwoodiani dell'epoca,ad esempio le trame dei film di Abbott e Costello (Gianni e Pinotto)



Rainsford, steso sulla sedia a sdraio, continuò pigramente a fumare la sua pipa favorita. La sensuale sonnolenza della notte stava entrando in lui «È così buio» pensò «che potrei dormire senza chiudere gli occhi: la notte sostituirebbe le mie palpebre...».
Un rumore secco ed improvviso lo fece sobbalzare, Rainsford lo sentì sulla destra, e le sue orecchie, bene addestrate, non potevano ingannarlo. Di nuovo sentì il rumore, poi un altro ancora. Da qualche parte, nel buio, qualcuno aveva sparato tre colpi di fucile.
Allarmato, Rainsford balzò in piedi e si avvicinò rapidamente al parapetto. Tese lo sguardo verso il punto da cui erano arrivati gli spari, ma era come se tentasse di vedere qualcosa attraverso una coltre. Allora salì in piedi sul parapetto, tenendosi bene in equilibrio, per avere una visuale più ampia; la pipa urtò contro il sartiame, e gli cadde di bocca. Si allungò per afferrarla, ma un grido rauco gli uscì dalle labbra quando si accorse che il suo corpo si era troppo proteso in avanti, e che aveva perso l’equilibrio.
Il suo grido venne rubato dalle acque del mare caraibico, caldo come il sangue, che subito si richiuse sopra la sua testa.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 06 Ottobre 2007, 11:48:58
Grazie per Magherini Graziani, perla poco conosciuta
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Ottobre 2007, 13:16:39
Fred Vargas
(pseudonimo di Frédérique Audouin-Rouzeau) (Parigi, 7 giugno 1957) è una scrittrice francese.
Nata da madre chimica e da padre surrealista, Fred è il diminutivo di Frédérique; Vargas, è lo pseudonimo usato da sua sorella gemella, Joëlle (Jo Vargas), pittrice contemporanea che a sua volta lo ha mutuato dal cognome del personaggio interpretato da Ava Gardner nel film La contessa scalza.
È ricercatrice di archeozoologia presso il Centro nazionale francese per le ricerche scientifiche (CNRS), ed esperta in medievistica. Ha lavorato a lungo sui meccanismi di trasmissione della peste dagli animali all'uomo.
Vargas ricerca innanzi tutto la precisione e la "sonorità" delle parole. Poi sviluppa i suoi personaggi. Atipici, logorati dalla vita, ma sempre là, pronti a battersi. Fred Vargas ama dipingerli con cura, tanto fisicamente che psicologicamente. Offre loro un vissuto, un passato, e una consistenza, che rendono credibili i loro intrecci.
 
Sotto I Venti Di Nettuno

Nonostante i vetri anneriti dal sudiciume, il padiglione non era abbandonato, come aveva creduto la signora Coutellier. Come sperava Adamsberg, alcuni segni indicavano una presenza puntuale: la sporcizia del pavimento interrotta, una poltrona di vimini pulita e, sull'unica mensola, tenui tracce, probabilmente di qualche pila di libri. Lì andava a rintanarsi Maxime Leclerc durante le tre ore del lunedì e del giovedì, a leggere su quella poltro-na al riparo dagli sguardi della donna di servizio e del giardiniere. Poltrona e lettura solitaria che fecero venire in mente ad Adamsberg suo padre che apriva il giornale, con la pipa in mano. Un'intera generazione aveva fumato la pipa e ricordò con esattezza che il giudice ne possedeva una, di schiuma, diceva sua madre con ammirazione.
«Lo sente?» disse al giovanotto. «L'odore? L'odore di miele del tabacco da pipa?»

La venerazione è un'e-mozione di gioventù. Oggi potrebbe avere fra i trenta e i quarant'anni. Gli uomini di questa generazione non fumano la pipa, o molto di rado. L'occupante dello Schloss fumava la pipa e aveva i capelli bianchi.

(http://readingmachine.co.il/home/contribs/1148884045/fredvargas.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Ottobre 2007, 00:18:19
Pipe fantastiche
Questo pezzo ci dice che in un lontano futuro,ci sarà ancora chi fuma la pipa e chi è schifato dal fumo.

Gordon R. Dickson
1 novembre 1923 – 31 gennaio 2001

Nato in Canada, si trasferì a Minneapolis, Minnesota, all'età di 13 anni. Le sua opere più celebri sono il ciclo fantascientifico dei Dorsai e la serie del Cavaliere del drago. Nella sua carriera vinse tre premi Hugo.

Sul Pianeta Degli Orsi

L'Estremamente Onorevole Joshua Guy, Ambasciatore Plenipotenziario su Dilbia, stava fumando tabacco con la pipa: abitudine vecchiotta e volga-re per un gentiluomo tanto conservatore e rispettato. I fumi della pipa fa-cevano tossire John Tardy, gli toglievano il fiato. O, forse, erano i fumi combinati con ciò che l'Estr. On. Josh Guy gli aveva appena detto.
«Signore?», ansimò John Tardy.
«Chiedo scusa», disse il diplomatico, piccolo e arzillo. «Credevo che avessi già capito». Picchiettò la sua maledetta pipa su un posacenere, fatto a mano, di legno dilbiano. La brace continuò ad ardere, emanando un feto-re solo un tantino meno schifoso rispetto a pochi istanti prima. «Stavo dicendo che, ovviamente, non appena abbiamo saputo che tu eri disponibile per il lavoro, abbiamo fatto passare parola, sicché ora ai dilbiani risulta che sei molto attaccato alla ragazza. Che la ami, insomma».
Jhon inghiottì aria. Stavano parlando tutti e due in dilbiano, per miglio-rare la pratica di John, che aveva imparato la lingua per via ipnotica durante il viaggio dalla Cintura Stellare. Sulle labbra gli spuntò automa-ticamente il soprannome che i dilbiani avevano affibbiato alla sociologa terrestre scomparsa.
«Sarei innamorato di Faccia Unta?».
«La signorina Ty Lamorc», lo corresse Joshua, passando tranquillamente alla lingua comune terrestre per poi tornare al dilbiano. «Faccia Unta per gli indigeni di Dilbia, naturalmente.
«Qui», disse Joshua, «i nomi hanno un valore fondamentale, come indice di ciò che i dilbiani pensano di un individuo. A me è stata appioppata l'etichetta di Piccolo Morso; e non c'è dubbio che anche tu, tra non molto, riceverai il battesimo del soprannome».
«Io?», esclamò John, stupito. Poi pensò ai capelli rossi che gli coronava-no il corpo snello, da atleta. Gli aveva sempre fatto schifo sentirsi chiama-re «Rosso».
«Non sarà un nome troppo umiliante, ammesso che tu stia attento a non renderti ridicolo. Heinie, ad esempio...».
«Prego?»
«Oh, scusami», rispose Joshua, ricominciando a riempire la pipa. «Do-vevo usare il suo nome intero. Heiner Schlaff». L'ambasciatore lanciò nu-volette di fumo nell'aria dell'ufficio piccolo, lindo, con le pareti in legno. «Ha perso la testa la prima volta che è uscito per strada da solo. Un dilbiano di uno dei clan delle montagne, siccome non aveva mai visto un essere umano, lo ha sollevato da terra. Heinie ha perso completamente la testa. Dopo di che, non è più riuscito a ficcare il naso fuori di casa senza che un dilbiano lo alzasse in aria per sentirlo gridare. Lo hanno chiamato il Puzzone Che Urla. Una pessima pubblicità, per noi umani.
Per caso ti dà fastidio la pipa, ragazzo mio?».
«No, no», rispose John, tossendo discretamente. «Nemmeno per idea».
«Dovrò spegnerla, quando vedremo Papà Ginocchia di Marmellata e Due Risposte. I dilbiani sono molto sensibili agli odori umani, persino ai profumi delicati come quello della pipa.

(http://www.librarything.com/authorpics/dicksongordonr5664.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Ottobre 2007, 23:03:55
Vladimir Nabokov
Quando descrive le sue fumate e quando parla di pipe
evoca in chì legge il profumo dei tabacchi più aromatici.

Lolita

Quando frequentavo l'università, aLondra e a Parigi, mi bastavano
quelle prezzolate. I miei studi, anche senon particolarmente fruttuosi,
erano meticolosi e intensi. In un primomomento progettai di laurearmi
in psichiatria, come fanno tanti talentimanqués; ma io ero troppo
manqué anche per quello.
Un peculiare sfinimento, mi sento così oppresso, dottore, si impadronì di me, e passai
così alla letteratura inglese, dove vanno a finire, in qualità di professori
tutti pipa e tweed, tanti poeti frustrati. Parigi mi andava a genio.

Stavolta ho guadagnato una posizione strategica sulla sedia a dondolo della
loggia, con giornale obeso e pipa nuova, prima della comparsa di L. Con
mia cocente delusione è arrivata con sua madre, entrambe in due pezzi
neri, nuovi come la mia pipa. Il mio tesoro, la mia passione mi si è fermata
accanto per un attimo (voleva la pagina dei fumetti), e aveva quasi
l'identico odore dell'altra, quella della Costa Azzurra, ma più intenso, con
sfumature più crude – un torrido afrore che ha subito messo in moto la mia
virilità; ma già mi aveva strappato l'agognata rubrica e s'era ritirata sulla
stuoia, accanto a mamma foca.



(http://www.blindyouth.freeuk.com/lolita.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Ottobre 2007, 23:02:25
Dove si parla di altri autori con la pipa

Natalia Ginzburg
la volontà di scrivere "come un uomo", in modo che le sue frasi fossero per il lettore una continua e perenne frustata.

Lessico famigliare

Leggeva
però con la più viva attenzione; e intanto fumava la pipa, e spazzava via la
cenere dalla pagina. Quando tornava da qualche viaggio, aveva sempre con
sé romanzi polizieschi, che comprava sulle bancarelle delle stazioni; e
finiva di leggerli là nel suo studio, la sera. Erano, di solito, in inglese o in
tedesco: sembrandogli forse meno frivolo leggere quei romanzi in una
lingua straniera. – Un sempiezzo, – diceva alzando le spalle; e leggeva
tuttavia fino all'ultima riga. Più tardi, quando cominciarono a uscire i
romanzi di Simenon, mio padre ne divenne un lettore assiduo.
– Non è mica male Simenon, – diceva. – Descrive bene quella provincia
francese.

Pavese spiegava che veniva là non per coraggio, perché lui di coraggio
non ne aveva; e nemmeno per spirito di sacrificio. Veniva perché se no
non avrebbe saputo come passar le serate; e non tollerava di passar le
serate in solitudine.
E spiegava che non veniva per sentir parlare di politica, perché, lui, della
politica, «se ne infischiava».
A volte fumava la pipa, tutta la sera, in silenzio. A volte, avviluppandosi
i capelli attorno alle dita, raccontava i fatti suoi.

A mezzanotte, Pavese agguantava dall'attaccapanni la sua sciarpa, se la
buttava svelto intorno al collo; e agguantava il paltò. Se ne andava giù per
il corso Francia, alto, pallido, col bavero alzato, la pipa spenta fra i denti
bianchi e robusti, il passo lungo e rapido, la spalla scontrosa.

Pavese stava al tavolo, con la pipa, e rivedeva bozze con la
rapidità d'un fulmine. Leggeva l'Iliade in greco, nelle ore d'ozio,
salmodiando i versi ad alta voce con triste cantilena. Oppure scriveva,
cancellando con rapidità e con violenza, i suoi romanzi. Era diventato uno
scrittore famoso.

Balbo parlava, parlava, e Pavese fumava
la pipa, e s'arricciolava intorno al dito i capelli.
Pavese diceva: – Mi sembra una proposta cretina! Difenditi dai cretini!

Balbo, quando smetteva un momento di discutere con quei suoi amici,
esponeva a Pavese e a me le sue idee sul nostro modo di scrivere. Pavese
lo ascoltava seduto in poltrona, sotto il lume, fumando la pipa, con un
sorriso maligno: e di tutte le cose che Balbo gli diceva, lui diceva che già
le sapeva da lunghissimo tempo.
Ascoltava, tuttavia, con vivo piacere.
(http://www.quirinale.it/ex_presidenti/Pertini/fotografie/foto_gr/6PERTINI118gr.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Ottobre 2007, 00:22:50
Giulio Gianelli
La mia novella preferita di quando ero bambino

Storia di Pipino
nato vecchio e morto bambino


Sul tavolo c'erano due cose importantissime: una pipa e un piccolo bozzetto in creta, che raffigurava un vecchio. La notte era alta, forse scoccavano le tre del mattino quando la pipa notò la presenza del vecchietto immobile presso di lei appoggiato alla sua testa.
Regnava nell'ampia stanza un silenzio profondo, come pure sul tavolino ingombro di matite, penne, temperini, libri e fogli di carta. Due farfalle che avevano roteato per alcune ore intorno al lume ora dormivano, l'una dentro la vocale O sul frontispizio di un libro italiano e stava bene, l'altra sopra due sillabe di lingua greca e si trovava male.
Quella pipa era una pipa di buon cuore; come tutte le donne, un po' sentimentale. Il suo padrone aveva da poco smesso di fumare ed essa calda tuttora, pensando ai bei ghirigori di fumo usciti dalla sua bella testa durante il giorno, con la coscienza tranquilla del compiuto dovere, aspettava di prender sonno. Ma l'idea del vecchietto la distoglieva.
- Se lo riscaldassi? Se provassi a dargli la vita col mio calore? A cambiarlo da creta in carne umana?
Ci voleva un prodigio né più né meno. Ma chi desidera giovare al prossimo, può tutto: anche dal nulla deriva meraviglie.
La buona pipa trattenne il respiro, fece una mossa leggerissima per collocare la sua testa dove ardevano le ultime briciole di tabacco, vicino al cuore del vecchierello. Passò un'ora. Ed ecco cominciava a sciogliersi il torpore delle piccole membra. Prima di tutto il vecchio mosse un piede: un solletico forte, pungente, continuo, non gli permetteva più di tenerlo fermo. Il medesimo solletico dal piede destro si trasportò al sinistro con esito eguale.
Una mano che pendeva sull'orlo all'imboccatura della pipa, sentì scottarsi e si levò in alto; l'altra mano, venuta in soccorso della sorella per carezzarla sulla scottatura, si sentì viva, senza saperlo, solo per istinto d'amore.
Allora libero nei suoi movimenti, il vecchietto si stiracchiò, poi si stropicciò gli occhi, i quali si aprirono: due occhi un po' dolorosi ma belli e lucenti come due stelle.
Gli mancava la parola. Ma proprio in quell'istante il calore attraverso le vene giunse al suo cuore ed egli parlò:
- Io sono nato! Eccomi qui.
Pieno di meraviglia si passò la mano sulla barba bianca.
- Dove sono? Chi sono?
Una voce rispose: - Ti dirò tutto se prometti di ubbidirmi.
- Prometto di ubbidire, parola d'onore, ma chi mi parla?
      Io
Egli guardò intorno:
- Come, una pipa?
- Sicuro, io pipa ti parlo. Tu eri poco fa un semplice impasto di creta: io ti svegliai alla vita col mio calore. Credevo di farti piacere.
- Infatti, ne sono contento. Grazie, grazie; ti amerò come una mamma.
- Mi commuovi nel più profondo della mia cannetta:
tu senti la gratitudine. E io ti seguirò dovunque. Lasciami piangere di consolazione almeno per un minuto e mezzo.
- Fa pure, mamma pipa.


la buona pipa, a dirlo tra noi, desiderava di risentire il gusto del tabacco. Che belle ore passavano in famiglia, Pipa e Pipino! Dopo l'ovo della cena, egli diceva:
- Mamma, io fumo.
E la mamma gli volava in mano con tutta la sollecitudine premurosa che hanno le mamme, e rispondeva:
- Pipino, fumiamo.
Tabacco ce n'era in abbondanza, e quando la pipa era ben carica, diceva:
- Accendimi!
E Pipino, acceso il fiammifero, lo avvicinava alla testa della mamma con precauzione, badando a dar fuoco al tabacco senza sfiorare con la fiamma l'orlo di legno. Ci riusciva sempre, perché lo faceva proprio con delicato amore. Mai la pipa ebbe a gridare: «Ahi! mi bruci». Mai.
Il fumo usciva dalla bocca di Pipino e dalla bocca della pipa, allegro, vivace, azzurro; coronava l'uno e l'altra come di un'aureola, saliva, si stendeva nella camera formando una specie di cielo grigio pieno di nuvolette erranti. A quelle nuvole altre si aggiungevano, penetrandole, scacciandole scherzosamente.
Diceva mamma Pipa:
- Che buon tabacco! Soggiungeva Pipino:
- Guarda che belle nuvole, mi divertono un mondo.
Lo spettacolo era bello davvero. La luce proiettava a traverso il fumo dei piccoli raggi destando vivacissimi colori. Il fumo ora pareva lana bianca, ora seta celeste, ora un vetro appannato.
(http://www.jti.co.jp/Culture/museum/english/tabacco/images/meerschaum.gif)[/b]
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Ottobre 2007, 23:36:51
Fleming, Ian 


Moonraker


Entrando, Bond vide che M era seduto alla sua ampia scrivania e si stava accendendo la pipa. Fece un gesto vago col fiammifero acceso in direzione della poltrona che si trovava dall’altra parte della scrivania e Bond vi si sedette. M gli lanciò un’occhiata penetrante attraverso il fumo, poi gettò la scatola di fiammiferi sulla superficie di cuoio rosso di fronte a sé.
«Hai passato delle buone ferie?» chiese improvvisamente.
«Sì, grazie, signore,» disse Bond.
«Ancora abbronzato, vedo.» La sua disapprovazione era evidente. Non intendeva certo rimproverargli una vacanza che era stata, in parte, una convalescenza. La sfumatura di critica sorgeva da quel fondo di puritanesimo e di gesuitismo presente in tutti coloro che comandano uomini.
«Sì, signore,» disse Bond vagamente. «Fa molto caldo vicino all’Equatore.»
«É vero,» disse M. «Un riposo ben meritato.» Strizzò gli occhi ma senza ombra di umorismo. «Spero che l’abbronzatura non durerà a lungo. In Inghilterra, diffido sempre degli uomini abbronzati. O non hanno niente da fare o si procurano la tintarella con una lampada al quarzo.» Con un brusco strattone alla pipa, dichiarò chiuso l’argomento.
Se la rimise in bocca e aspirò con aria assorta. La pipa era spenta; prese i fiammiferi e gli ci volle un po’ di tempo per riaccenderla.
Per un momento ci fu silenzio. M fissava il fornello della sua pipa. Dalle finestre aperte entrava il frastuono lontano del traffico londinese. Un piccione si posò su uno dei davanzali con un vivace sbattimento d’ali e volò via quasi subito. Bond tentò di leggere qualcosa su quel viso segnato dalle fatiche che egli conosceva così bene e che si era assicurato la sua fedeltà. Ma gli occhi grigi erano tranquilli e la vena che batteva sempre sulla tempia destra di M quando era teso, non dava segno di vita. Tutt’a un tratto, Bond ebbe il sospetto che M fosse imbarazzato. Aveva la sensazione che non sapesse da dove incominciare. Volle aiutarlo; si mosse sulla poltrona e distolse gli occhi da lui. Li abbassò sulle proprie mani e, con fare indifferente, prese a rosicchiarsi un’unghia.
M alzò gli occhi dalla pipa e si schiarì la gola.



Una cascata di diamanti



M prese la pipa e cominciò a caricarla. «E ora ne sai quanto me, sui diamanti.»
Dalla sua poltrona, Bond guardò distrattamente le buste di carta velina e le pietre luccicanti sparse sulla superficie di cuoio rosso della scrivania, e si chiese dove M volesse arrivare.
M sfregò un fiammifero sulla scatola, calcò il tabacco combusto nella pipa, rimise in tasca la scatola e inclinò la poltrona nella posizione favorita che adottava per le riflessioni.
Bond consultò l’orologio. Erano le undici e trenta. Pensò con gioia alla pila di documenti contrassegnati «Segretissimo» che attendevano di essere evasi e che egli aveva abbandonato assai volentieri quando, un’ora prima, il telefono rosso lo aveva convocato. Ora era quasi certo che li avrebbe abbandonati definitivamente. «Credo che si tratti di una missione,» aveva risposto il Capo del personale alla domanda di Bond. «Il Capo ha dato ordine di non passargli nessuna telefonata fino all’ora di pranzo e ha preso un appuntamento per te alle due con Scotland Yard. Spicciati.» Bond aveva preso la giacca ed era entrato nell’ufficio della sua segretaria appena in tempo per vederla ricevere un’altra pila di scartoffie con la stampigliatura «Urgentissimo». «M,» spiegò Bond alla segretaria che gli rivolgeva uno sguardo interrogativo. «Bill dice che deve trattarsi di una missione. E così, non credere di avere il piacere di scaricare sul mio tavolo tutte quelle cartacce. Per quello che mi riguarda, potresti benissimo mandarle al Daily Express.» Le rivolse una smorfia. «Quel tale Sefton Delmer, non è forse un tuo amico, Lil? É proprio il genere di roba che fa per lui, immagino.» La ragazza lo esaminò. «Hai la cravatta storta,» disse freddamente. «E d’altronde, lo conosco appena.» Poi si curvò sul suo lavoro. Bond uscì nel corridoio pensando che era fortunato ad avere una segretaria così bella. La poltrona di M scricchiolò e Bond guardò l’uomo che si era conquistato gran parte del suo affetto e al quale aveva dedicato tutta la sua lealtà e la sua obbedienza. Gli occhi grigi lo osservavano pensierosi. M si tolse la pipa di bocca. «Da quanto tempo sei tornato dalla tua vacanza in Francia?» «Da due settimane, signore.» «Ti sei divertito?» «Mica male, signore. Ma alla fine mi stavo annoiando.» M non fece alcun commento. «Stavo dando un’occhiata al tuo curriculum. Sembra che tu te la sappia cavare, con la pistola. Anche per quanto riguarda il corpo a corpo senza armi, le tue prestazioni sono soddisfacenti. E per finire, l’ultimo referto medico indica che ti trovi in ottima forma.» M fece una pausa. «Il fatto è che ti dovrei affidare una missione piuttosto difficile. Volevo essere sicuro che saresti stato in grado di badare a te stesso.» «Naturalmente, signore.» Bond era stato punto sul vivo. «Non sottovalutare questa missione, 007,» disse seccamente M. «Quando dico che sarà una missione difficile, non ho intenzione di fare il melodrammatico. Ci sono molte persone scaltre che tu non conosci ancora, e qualcuna di queste può aver messo lo zampino nella faccenda. Forse, qualcuna tra le più scaltre. Per cui, non metterti a fare il permaloso, se ci penso due volte prima di farti intervenire.» «Chiedo scusa, signore.» «Va bene.» M posò la pipa e si chinò in avanti appoggiando le braccia incrociate alla scrivania. «Prima ti racconterò tutta la storia e poi mi dirai se vorrai interessartene o no.»


Vivi e lascia morire


M si fermò per riempire la pipa ed accenderla. Non invitò Bond a fumare, né egli osava certo farlo di sua iniziativa.
«E quale enorme tesoro deve essere. Negli ultimi due mesi sono apparse negli Stati Uniti quasi un migliaio di queste monete ed altre simili. E se la sezione speciale del Ministero delle Finanze e la F.B.I. ne hanno rintracciato un migliaio, quante altre saranno state fuse o saranno scomparse nelle collezioni private? E continuano a fluire, ad arrivare alle banche, ai commercianti in preziosi, ai negozi di antichità, ma soprattutto, naturalmente, alla gente che concede prestiti su pegni. La F.B.I. è in un bel pasticcio: se le monete vengono iscritte sui fogli di segnalazione della polizia sotto la denominazione “refurtiva”, sa che la sorgente dovrà finire per inaridirsi. Le monete verrebbero fuse in lingotti d’oro e incanalate direttamente verso il mercato dei preziosi: si sacrificherebbe il valore dei pezzi autentici in sé, come rarità, ma l’oro andrebbe a finire difilato nei canali della distribuzione clandestina. Così, invece, c’è qualcuno che si serve dei negri, dei facchini, degli inservienti dei vagoni letto, dei conducenti di autocarri, e attraverso questa catena di collaborazioni riesce a far circolare il denaro in tutti gli Stati Uniti. Ed è sempre gente innocente quella di cui si serve. Ecco un caso tipico».
M aperse una cartelletta di cuoio bruno, con la stella rossa che indicava «massimo segreto» e scelse un foglio. Mentre teneva sollevato il documento, Bond riuscì, dal rovescio, a decifrarne in trasparenza la testata: «Dipartimento di Giustizia. Ufficio federale di investigazione». M lesse:
«Zachary Smith, di anni trentacinque, razza negra, facente parte della squadra facchini addetti al servizio dei vagoni letto, indirizzo: 90 b West 126esima Strada, New York City». (M alzò gli occhi e lasciò cadere una parola: «Harlem».) «Il soggetto venne identificato da Arthur Fein della Fein Jewels Inc. 870 Lenox Avenue, per aver offerto in vendita il 21 novembre scorso quattro monete d’oro del sedicesimo e diciassettesimo secolo. (Accludiamo i particolari del fatto.) Fein offrì cento dollari che vennero subito accettati. Interrogato, più tardi, Smith dichiarò che le monete gli erano state vendute al Settimo Cielo, un bar molto noto ad Harlem, per venti dollari l’una da un negro che non aveva mai visto prima né più incontrato dopo.
«Il venditore gli aveva detto che valevano 50 dollari l’una da Tiffany, ma che lui, il venditore, voleva denaro in contanti e che comunque Tiffany stava troppo lontano. Smith ne comprò una per venti dollari e avendo scoperto che il padrone d’un banco di pegni delle vicinanze gli avrebbe dato venticinque dollari, ritornò al bar e comperò le rimanenti tre monete per sessanta dollari. Il mattino seguente le portò a Fein. Il soggetto non ha precedenti penali».
M ripose il foglio nella cartelletta marrone.
«È tipico», osservò. «Parecchie volte sono riusciti ad arrivare fino al secondo anello della catena, l’uomo che aveva acquistato le monete a prezzo di affezione, e hanno scoperto che in un certo caso, ad esempio, ne aveva comperato addirittura cento, da qualcuno che, presumibilmente, doveva averle avute a prezzo anche più
favorevole. Tutte queste vendite e compere hanno avuto luogo ad Harlem o in Florida. Il secondo anello della catena era sempre rappresentato da un negro sconosciuto, generalmente un professionista, agiato, di una certa cultura, il quale asseriva di esser convinto che le monete avessero fatto parte di un antico tesoro, quello del Barbanera, ad esempio.
«Questa storia dell’antico tesoro potrebbe reggere a molte indagini», assicurò M, «perché vi è ragione fondata di credere che parte di quello del Barbanera appunto sia stata portata alla luce poco prima del Natale del 1928, in una località denominata Plum Point. Si tratta di una stretta striscia di terra che fa parte della Contea di Beaufort, nella Carolina del Nord, dove un torrente chiamato Bath Creek si getta nel fiume Pamlico. Non crediate che io sia un pozzo di scienza», soggiunse ridendo. «Tutto questo è scritto nel “dossier” e potete leggerlo voi stesso. Così, in teoria, sarebbe stato logico e plausibile, da parte di quei fortunati cacciatori di tesori, nascondere il bottino finché la faccenda fosse caduta nel dimenticatoio e gettarlo poi all’improvviso sul mercato. Oppure potrebbe darsi che l’avessero venduto tutto in blocco a quel tempo, o più tardi, e l’acquirente avesse deciso di convertirlo in denaro. Comunque, sarebbe stata una storia abbastanza attendibile, se non fosse per due particolari».
M fece una pausa e riaccese la pipa.
«Prima di tutto, Barbanera lavorò dal 1690 al 1710 e nessuna delle sue monete può essere coniata dopo il 1650. Inoltre, come ho detto, è molto improbabile che il suo tesoro contenesse delle Rose Noble di Edoardo Quarto, poiché non abbiamo notizia di alcun piroscafo inglese con un carico di denaro catturato mentre era in rotta per la Giamaica. I fratelli della costa non si sarebbero arrischiati a farlo. Le navi avevano una scorta troppo forte. C’erano molti vascelli più facili da derubare in quei giorni se si navigava “in conto saccheggio”, come dicevano allora.
«In secondo luogo», M osservò il soffitto e poi ritornò con lo sguardo a Bond, «io so dove si trova il tesoro. Per lo meno sono quasi sicuro di saperlo. E non è in America. È in Giamaica, proviene da Bloody Morgan. A mio parere è uno dei più preziosi tesori della storia».
«Oh Dio», esclamò Bond. «Dove... come c’entriamo noi?»
M alzò la mano: «Troverete tutti i particolari qua dentro», e posò la mano sulla cartelletta marrone.
«In breve la Sezione C si è interessata di uno yacht Diesel, il Secatur, che faceva rotta da un’isoletta sulla costa nord della Giamaica, e, attraverso la Florida Keyrs, risaliva nel Golfo del Messico, fino ad un porto chiamato Saint Petersburg; una specie di stazione di villeggiatura, vicino a Tampa. Sulla costa ovest della Florida. Con l’aiuto della F.B.I. abbiamo identificato il proprietario dell’imbarcazione e dell’isola. È un certo Mister Big, un gangster negro. Vive ad Harlem. L’avete mai sentito nominare?»
«No», disse Bond.
«È cosa abbastanza strana». La voce di M era più morbida e più suadente. «Un biglietto da venti dollari che uno dei tanti negri aveva dato in cambio di una moneta d’oro e il cui numero era stato annotato per il Peaka Peow, il gioco dei numeri, venne speso da uno dei luogotenenti di Mister Big. E venne speso», M puntò la pipa verso 12
Bond, «per pagare alcune informazioni ricevute da un agente della F.B.I. che conduce il doppio giuoco, ed è membro del Partito Comunista».

 



007 - Octopussy

M aspirò una boccata di fumo dalla pipa. Il suo sguardo, attraverso il fumo, non sembrava particolarmente interessato.
Ora otterrà il pagamento delle sue informazioni in una volta sola per mezzo di quel gioiello. Tutto fila a perfezione.»
M tirò a sé il posacenere ricavato dal bossolo di un proiettile da dodici pollici e vi vuotò la pipa, assumendo l'espressione di un uomo soddisfatto del proprio lavoro pomeridiano.
Bond si sistemò meglio sulla sedia. Aveva una gran voglia di fumare, ma non si sarebbe mai permesso di accendere una sigaretta.
«Non ha bisogno di istruzioni,» rispose M infastidito, trafficando con la pipa. «Le è stato sufficiente essersi impadronita del cifrario viola.

(http://www.geocities.com/Area51/Station/5513/Goldfinger.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Ottobre 2007, 21:25:39
Oliver Sacks
Nei suoi romanzi, Sacks descrive i casi clinici con pochi dettagli tecnici, concentrandosi preferenzialmente sull'esperienza personale dei pazienti - in un caso, egli stesso. Molti dei casi che racconta sono incurabili e il racconto è quello dei diversi modi in cui le persone si adattano alle loro diverse disabilità.

Da un suo famoso libro, Risvegli, è stato tratto un film in cui Sacks è stato impersonato da Robin Williams e uno dei suoi pazienti da Robert De Niro.

L'uomo che scambiò la moglie per un cappello



Sono tutti senza naso i figli caduti di Eva...
Oh, l'allegro odore dell'acqua,
l'ardito odore del sasso!

Di recente ho incontrato una specie di corollario a questo caso: un uomo di grande intelligenza e talento che in seguito a una lesione alla testa aveva subito un grave danno alle fibre olfattive (vulnerabilissime nel loro lungo percorso attraverso la fossa anteriore) e di conseguenza aveva completamente perduto l'olfatto. Gli effetti di tale perdita l'avevano stupefatto e sconvolto: «L'olfatto? » mi disse. «Non me n'ero mai curato. Di solito uno non ci pensa. Ma quando lo persi, fu
se fossi diventato di colpo cieco. La vita perse molto del suo sapore...non ci si rende conto di quanto il “sapore” sia in realtà olfatto. Si odora la gente, si odorano i libri, si odora la città, si odora la primavera, forse non in modo consapevole, ma come uno sfondo ricco e inconscio che sta dietro a ogni cosa. D'improvviso tutto il mio mondo s'impoverì radicalmente». C'era un acuto senso di perdita, un acuto struggimento, un autentica osmalgia: il desiderio di ricordare il mondo olfattivo al quale
ione cosciente ma che, come ora capiva, era stato una specie di «basso ostinato» della vita. Poi, qualche mese più tardi, con sua sorpresa e gioia il caffè della colazione, che era diventato «insipido», cominciò a riacquistare il suo sapore. Provò con la pipa, che non toccava da mesi, e anche lì colse un vago accenno del ricco aroma che tanto gli piaceva. Eccitatissimo - i neurologi non gli avevano prospettato alcuna speranza di guarigione -, tornò dal suo medico. Ma questi, dopo un esame completo fatto con una tecnica a doppio cieco, disse: «No, mi dispiace, non c'è traccia di guarigione. L'anosmia è ancora totale. Strano però che lei ora “senta l'odore” della sua pipa e del caffè...». Il fa
e fibre olfattive e non la corteccia - con lo sviluppo di una vigorosissima fantasia olfattiva, quasi, si direbbe, di un'allucinosi controllata, così che nel bere il caffè o nell'accendere la pipa - situazioni normalmente e precedentemente cariche di associazioni olfattive - egli è ora in grado di evocare, o rievocare, inconsciamente queste associazioni, e con un'intensità tale che esse gli paiono, in un primo momento, «reali».

(http://www.newyorksocialdiary.com/partypictures/2006/06_02_06/images/parkinsons/Dr.-Oliver-Sacks.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 11 Ottobre 2007, 21:54:38
Citazione da: "Aqualong"
Dove si parla di altri autori con la pipa

Natalia Ginzburg
la volontà di scrivere "come un uomo", in modo che le sue frasi fossero per il lettore una continua e perenne frustata.

Lessico famigliare

Leggeva
però con la più viva attenzione; e intanto fumava la pipa, e spazzava via la
cenere dalla pagina. Quando tornava da qualche viaggio, aveva sempre con
sé romanzi polizieschi, che comprava sulle bancarelle delle stazioni; e
finiva di leggerli là nel suo studio, la sera. Erano, di solito, in inglese o in
tedesco: sembrandogli forse meno frivolo leggere quei romanzi in una
lingua straniera. – Un sempiezzo, – diceva alzando le spalle; e leggeva
tuttavia fino all'ultima riga. Più tardi, quando cominciarono a uscire i
romanzi di Simenon, mio padre ne divenne un lettore assiduo.
– Non è mica male Simenon, – diceva. – Descrive bene quella provincia
francese.

Pavese spiegava che veniva là non per coraggio, perché lui di coraggio
non ne aveva; e nemmeno per spirito di sacrificio. Veniva perché se no
non avrebbe saputo come passar le serate; e non tollerava di passar le
serate in solitudine.
E spiegava che non veniva per sentir parlare di politica, perché, lui, della
politica, «se ne infischiava».
A volte fumava la pipa, tutta la sera, in silenzio. A volte, avviluppandosi
i capelli attorno alle dita, raccontava i fatti suoi.

A mezzanotte, Pavese agguantava dall'attaccapanni la sua sciarpa, se la
buttava svelto intorno al collo; e agguantava il paltò. Se ne andava giù per
il corso Francia, alto, pallido, col bavero alzato, la pipa spenta fra i denti
bianchi e robusti, il passo lungo e rapido, la spalla scontrosa.

Pavese stava al tavolo, con la pipa, e rivedeva bozze con la
rapidità d'un fulmine. Leggeva l'Iliade in greco, nelle ore d'ozio,
salmodiando i versi ad alta voce con triste cantilena. Oppure scriveva,
cancellando con rapidità e con violenza, i suoi romanzi. Era diventato uno
scrittore famoso.

Balbo parlava, parlava, e Pavese fumava
la pipa, e s'arricciolava intorno al dito i capelli.
Pavese diceva: – Mi sembra una proposta cretina! Difenditi dai cretini!

Balbo, quando smetteva un momento di discutere con quei suoi amici,
esponeva a Pavese e a me le sue idee sul nostro modo di scrivere. Pavese
lo ascoltava seduto in poltrona, sotto il lume, fumando la pipa, con un
sorriso maligno: e di tutte le cose che Balbo gli diceva, lui diceva che già
le sapeva da lunghissimo tempo.
Ascoltava, tuttavia, con vivo piacere.
(http://www.quirinale.it/ex_presidenti/Pertini/fotografie/foto_gr/6PERTINI118gr.jpg)
bellissimo ritratto di Pavese.

Nabokov: la pipa a due pezzi!!!
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 18 Ottobre 2007, 18:53:30
Dapprima Dio creò l'uomo, poi la donna.
Dopo, l'uomo gli fece pena e gli diede il tabacco.
Mark Twain
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Ottobre 2007, 23:36:46
Edmund Cooper
autore grandissimo nel suo genere che pochi ricordano troppo preoccupati a seguire la falsa poesia di Bruce Sterling, William Gibson e compagni. E. Cooper è nato nel 1926 in Inghilterra, ha studiato presso la Grammar School di Manchester e prima di diventare scrittore professionista si è provato per diverso tempo in svariate attività concernenti il commercio marittimo. La sua carriera letteraria ebbe inizio nel 1951 con il racconto The Unicorn; grazie al successo di critica ottenuto con questo suo primo racconto, Cooper decise di intraprendere l'attività letteraria a tempo pieno riuscendo a portare a termine qualcosa come una quindicina di romanzi.
 
Uomini E Androidi

Il professor Hyggens tolse di tasca una vecchia pipa e cominciò a riempirla di tabacco. «Brutta abitudine. Antigienica. Disgustosa. Provoca il cancro, la tubercolosi, l'indurimento delle arterie, e il buon senso. Vuoi fumare?»
«Grazie, no. Fumo sigarette.»
«È piacevole essere antigienici, vero?» disse il professore.
Dal gruppo si levò un mormorio di assenso. Il professor Hyggens soffiò una grossa nuvola di fumo verso la lanterna schermata, poi si tolse a malincuore la pipa dalle labbra.

(http://www.stoke5399.freeserve.co.uk/cooper/cooper3.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Ottobre 2007, 23:53:44
Simon Beckett  

Dopo aver fatto il percussionista in gruppo rock, frequenta un Master in Letteratura inglese e insegna in Spagna. Tornato in patria, dal 1992 scrive come editorialista e giornalista freelance su “The Times”, “The Independent on Sunday Review”, “The Daily Telegraph”, “The Observer” e altri importanti quotidiani e periodici inglesi. Memorabili le sue inchieste in prima linea durante i raid antidroga della polizia, nel sordido mondo dei bordelli o tra i segreti del Centro ricerche di Antropologia forense in Tennessee. Come romanziere ha pubblicato Fine Lines (1994), Animals (1995, vincitore del premio Marlowe della Chandler Society come Best international crime novel), Where There’s Smoke (1997), e Owning Jacob (1998)

La Chimica Della Morte

Presto capirà che, da queste parti, i cambiamenti non vengono apprezzati.» Prese la pipa e una busta di tabacco dalla scrivania. «Le dispiace se fumo?»
«No. Ma è un piacere più grande se evita di farlo.»
Scoppiò a ridere. «Bella risposta. Però non sono uno dei suoi pazienti. Non lo dimentichi.»
Si interruppe per un attimo, accostando il fiammifero al fornello della pipa. «Dunque...» disse, tirando una boccata. «Per lei, sarà un bel cambia-mento visto che ha lavorato in un'università, esatto? E Manham non è certo Londra.» Mi guardò da sopra la pipa. Attendevo che mi interrogasse approfonditamente sulla mia precedente carriera. Ma non lo fece. «Se le resta ancora qualche dubbio, questo è il momento per parlarne.»
«Nessun dubbio,» replicai.
Lui annuì, soddisfatto. «D'accordo.
«Mi sembrava il soggetto adatto. Buone doti professionali, referenze eccellenti... Disposto a venire a lavorare in una landa desolata per la miseria che posso offrire.»
«Mi aspettavo un colloquio.»
Respinse quell'osservazione con un movimento della pipa, circondandosi di una nube di fumo. «I colloqui richiedono tempo. Cercavo qualcuno che potesse cominciare il più presto possibile. Inoltre, mi fido del mio intuito.»
La sua sicurezza mi tranquillizzava. Soltanto molto tempo dopo, quando non ci fu più alcun dubbio sulla mia permanenza, davanti a un whisky mi confidò allegramente che ero stato l'unico candidato per quel posto.


(http://www.librerie.it/image/Beckett-Simon.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Ottobre 2007, 00:23:14
David Case

Nato nello Stato di New York, ha trascorso molto tempo a Londra e in Grecia. Conta al suo attivo oltre trecento libri tra romanzi e antologie di racconti che spaziano in tutti i campi

Fengriffen

Quella notte stentai a prendere sonno. Hypnos è un dio sfuggente quan-do la mente è eccitata, e il racconto di Fengriffen mi aveva messo in quella condizione. Mi sedetti alla finestra, a fumare la pipa e a osservare la landa illuminata dalla luna. Il paesaggio era silenzioso e terrificante, racchiuso in schemi d'argento e di nero. Pensieri s'affacciavano a casaccio nel mio cervello. Non cercavo una soluzione... sapevo che fino a quel momento non potevano esserci che congetture, ma i pensieri sembravano dotati di volon-tà propria, mi tentavano con vaghe sollecitazioni; un momento prima mi dicevano che era ovvio, lei non lo amava più, e un momento dopo che c'era un qualche mistero più profondo da scoprire. Mi ricordai dei curiosi commenti della signora Lune, del ritratto mancante e del sorriso amaro di Ca-therine, pensai allo strano freddo che mi aveva assalito quando avevo visto per la prima volta la casa. Tuttavia non cercavo affatto di mettere in rela-zione quei fattori. Si muovevano a un livello inferiore a quello del raziocinio e i miei pensieri controllati si mantenvano ben al di sopra. Continuai a guardare la landa e a fumare. La pipa si spense e io la ricaricai e la riaccesi. Il tabacco è alleato della contentezza e io dovevo essere contento, mi dissi: il camino era ancora acceso e il vento ululava inoffensivo fuori dalla finestra, scuotendo gli alberi con furia ma incapace di afferrare me...


(http://archeove.provincia.venezia.it/pubblic/pipe/PIPE1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Ottobre 2007, 13:12:49
Terry Goodkind
Nato a Omaha, nel Nebraska (USA), nel 1949. Goodkind soffre di una rara forma di dislessia, che gli ha complicato molto la vita fin dall’infanzia. Dopo essersi comunque diplomato, Goodkind lasciò il college e si mise a fare una serie inusitata di mestieri tra i più stravaganti. Durante tutto questo tempo è sempre rimasto un appassionato di pittura, tanto che sono suoi anche alcuni dei disegni inseriti nei suoi libri.

La Pietra Delle Lacrime

Un uomo prese una pipa e un lungo bastoncino dalla tasca. Avvicinò il bastoncino alla fiamma della lampada, lo usò per accendere la pipa e co-minciò a fumare osservando la donna che rispose alla sua occhiata spor-gendo il mento in avanti fissandolo con uno sguardo carico d'odio. Il fumo si fece più denso quando l'uomo prese ad aspirare con maggiore forza.
Richard rimase appoggiato contro il muro con le braccia incrociate sul grembo in modo da nascondere la mano destra che teneva stretta intorno all'elsa della spada. Il quarto uomo tornò con una scodella di terracotta con un piccolo foro in cima e dei simboli bianchi dipinti lungo i lati.

L'aria calda saliva dalla mensa lungo le scale accompagnata dal brusio della gente. L'aroma della carne arrostita si mischiava con il dolce profumo del tabacco da pipa. Zedd si passò una mano sullo stomaco chiedendosi se avrebbe avuto il tempo di mangiare qualcosa.
Alla fine della scala c'era un grosso cestino che conteneva tre bastoni da passeggio e Zedd prese quello più appariscente: un bastone nero con un pomello d'argento lavorato. Lo batté a terra per provarne il bilanciamento e la lunghezza. Mi sembra leggermente pesante, pensò, ma va bene.

(http://www.nndb.com/people/786/000044654/terry-goodkind.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Ottobre 2007, 14:19:19
Alan Dean Foster  

Fu Alan Dean Foster a fungere da "ghost-writer" per la versione scritta delle avventure di Luke Skywalker e compagni. Il primo romanzo porta la dicitura "Dal Giornale degli Whill" e poi "Alien" e tantissime scenggiature di films.

La Battaglia Di JoTroom

Il sole riusciva spesso a liberarsi dalle nuvole che lo occultavano, per splendere piacevolmente sulla loro faccia. Fino a sera, sembrava non esserci nessuna probabilità di pioggia.
«Hai detto tre giorni per arrivare ai piedi della montagna?»
«Esatto, uomo!», rispose Bribbens senza guardare in faccia Jon-Tom, con il braccio destro avvolto intorno all'asse del remo di guida e gli occhi fissi sul fiume davanti. Sedeva su una sedia sistemata sul parapetto a poppa. Una lunga pipa, curva e sottile pendeva dalle sue spesse labbra. La brezza del fiume spingeva il sottile fumo dalla piccola cavità bianca della pipa su nel cielo.
«Per quanto ancora il fiume prosegue tra le montagne?» Flor stava in gi-nocchio e guardava avanti alla barca. Il tono della sua voce era ansioso ed agitato.
«Chi lo sa?», disse Bribbens. «Per leghe: forse ci vorranno settimane, o forse solo poche ore.»
Il barcaiolo fumava la sua pipa soddisfatto. «Un gruppetto di passeggeri davvero interessanti... molto più del solito.» Svuotò il residuo di tabacco picchiettando la pipa sul ponte, poi fermò in posizione il remo di guida ed incominciò a riempirla di nuovo. «Mi meraviglio che finora non vi siate ancora uccisi l'un l'altro.»
(http://hubcap.clemson.edu/~sparks/foster.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Ottobre 2007, 14:42:50
Karl Jacobi
Matematico tedesco, considerato da molti il più convincente e stimolante docente del suo tempo.
Nacque da famiglia ebraica nel 1804 a Potsdam. Studiò all'Università di Berlino, dove ottenne il titolo di dottorato nel 1825, con una dissertazione contenente una discussione analitica della teoria delle frazioni. Nel 1827 divenne professore straordinario e nel 1829 professore ordinario di matematica a Königsberg, e conservò questa cattedra fino al 1842. Jacobi soffrì per un tracollo fisico causato dal troppo lavoro nel 1843 e si trasferì in Italia per alcuni mesi per riacquistare la salute. Al suo ritorno si spostò a Berlino, dove visse come gentiluomo reale fino alla sua morte nel 1851.

IL PESCE DI CARNABY

Salì i gradini, inserì la chiave nella serratura con mani tremanti e rientrò nella casa.
Il silenzio dell'interno rimasto chiuso tanto a lungo lo avvolse come un mantello, calmando i suoi nervi scossi. Accese una lampada, la portò in soggiorno e la posò sul tavolo. Poi tirò fuori la pipa e cominciò a fumare, a lente boccate.
Era impazzito, si chiese, oppure ciò che aveva visto era soltanto il riflesso di un sogno? Aveva assistito a una fantasmagoria creata dall'acqua e dall'oscurità, che i suoi sensi storditi avevano trasformato in un capriccio dell'inconscio? Una cosa era certa. Se avesse raccontato la sua avventura
agli abitanti di La Piante, avrebbe dovuto rinunciare a ogni speranza di vendere la proprietà.
Come al solito, il fumo del tabacco lo calmò un poco.
Mr. Carnaby rimase seduto a lungo a guardare nel vuoto. Finalmente infilò in tasca la pipa e rimise il manoscritto sullo scaffale. Spense la lampada e uscì dalla casa per salire sul calesse. Si avviò sulla via del ritorno, lentamente, immerso in pensieri profondi e turbati.

(http://www.teachersparadise.com/ency/sl/media/9/90/carl_jacobi.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 29 Ottobre 2007, 15:44:45
Robert Jordan

nome d'arte di James Oliver Rigney (17 ottobre 1948 - 16 settembre 2007)
E' stato uno scrittore statunitense di romanzi fantasy e storici.
Consegue una laurea in Fisica presso il Citadel Military College della Carolina del Sud, ed in seguito parte per Guerra del Vietnam durante la quale riceve tre decorazioni al valore.
Inizia a scrivere agli inizi degli anni ottanta .

L'Occhio Del Mondo

Quando Rand e Mat, con i primi due barili, attraversarono la sala comu-ne, mastro al'Vere riempiva due boccali della sua miglior birra scura, spillandola da una delle botti allineate lungo la parete. Scratch, il fulvo gatto della locanda, se ne stava accucciato sopra la botte, con gli occhi chiusi e la coda raccolta intorno alle zampe. Tam si era accomodato di fronte al grande camino di pietra e pressava nel fornello della pipa il tabacco preso dal barattolo che il locandiere teneva sempre sulla mensola. Il camino, alto quasi quanto una persona, occupava metà parete dell'ampia sala quadrata; il fuoco scoppiettante teneva a bada il freddo dell'esterno.
«Ho proprio voglia di una pipata e di un boccale di birra al caldo» ammise Tam. A un tratto ridacchiò. «E sono sicuro che sei ansioso di rivedere Egwene.»
Rand rispose con un sorriso stentato. Di tutte le cose a cui voleva pensare in quel momento, la figlia del sindaco era all'ultimo posto. Non voleva altra confusione.
«Voglio un fuoco caldo, la pipa e un boccale della tua birra migliore.» Si mise in spalla il secondo barilotto. «Sono sicuro che Rand ti ringrazierà per l'aiuto, Matrim. Ricorda, più presto il sidro è in cantina...»
Cenn compreso, sedevano sulle seggiole dall'alta spalliera poste davanti al fuoco, con in mano un bocca-le e la testa avvolta dal fumo grigiazzurro delle pipe. Una volta tanto, nessun tavoliere per il gioco dei sassolini era in funzione e i libri di Bran ripo-savano sullo scaffale di fronte al camino. I presenti non parlavano nemmeno, si limitavano a scrutare in silenzio la birra e a battere sui denti il cannello della pipa; con impazienza, in attesa che Bran e Tam si unissero a loro.
«Il menestrello!» mormorò Egwene, piena d'entusiasmo.
L'uomo dai capelli bianchi si girò, facendo ruotare il mantello. Indossava una lunga giubba con maniche a sbuffo e ampie tasche. Aveva un paio di baffoni, anch'essi bianchi, il viso pieno di rughe come il tronco d'un albero che avesse visto tempi brutti. Rivolse un gesto imperioso a Rand e agli altri, muovendo la pipa dal lungo cannello, riccamente intagliata, che lasciava uscire un ricciolo di fumo.
«Che razza di posto!» disse il menestrello, con voce che pareva più forte di quella d'un uomo normale: anche all'aperto, sembrava riempire un'ampia stanza e rimbalzare contro le pareti. «I bifolchi di quel villaggio sulla collina mi dicono che posso arrivare qui prima che faccia buio, ma non precisano che devo partire molto prima di mezzogiorno. Quando infine arrivo, gelato fino al midollo e pronto per un letto caldo, il locandiere brontola per l'ora tarda, come se fossi un porcaro e il vostro Consiglio del Villaggio non m'avesse chiesto di esibire la mia arte a questa vostra festa. E non mi ha nemmeno detto d'essere il sindaco.» S'interruppe per riprendere fiato, guardandoli con un'unica occhiata astiosa, ma subito continuò: «Scendo al pianterreno per fumare la pipa davanti al camino e bere un boccale di birra, e tutti mi fissano come se fossi il cognato più antipatico venuto a chiedere un prestito.
«Ti sembro un ambulante, ragazzo?» brontolò, battendo la pipa sul palmo. Con un rapido gesto la fece scomparire, nel mantello o nella giubba. «Sono un menestrello, non un gazzettino.
«Non si può neppure fumare in pace» brontolò. «Farò meglio ad accertarmi che qualche contadino non mi rubi il mantello per tenere al caldo la mucca. Almeno, fuori posso accendere la pipa.

(http://www.nok.se/nok/forf/jordan/0.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 29 Ottobre 2007, 15:50:10
Joseph Finder
Famoso per le sue opere aventi per tema cospirazioni politiche,molti i film's tratti dai suoi libri

Poteri Straordinari.

Alle otto in punto il dottor Aldo Pasqualucci mi aprì la porta del suo studio e mi strinse la mano con un lieve inchino. Era di statura sorprendentemente bassa, tondeggiante ma non grasso, e indossava un completo di tweed marrone, frusto, su un pullover di cammello senza maniche. I capelli erano neri, appena spruzzati di grigio, e sembravano pettinati da poco. Nella sinistra stringeva una pipa di schiuma, l'aria che lo circondava era fra-grante di fumo.
«La prego, Mr. Mason, si accomodi» disse. Parlava un inglese del tutto esente da inflessioni italiane, britannico, di classe, correttissimo. Mi indicò con la pipa la stanza delle visite.
«La ringrazio per avere accettato di visitarmi a un'ora così scomoda» dissi.
Lui tornò a piegare di scatto il capo in avanti, senza manifestare né assenso né contrarietà, limitandosi a rispondere con un sorriso: «È un piacere. Ho sentito parlare molto di lei».
«E io di lei. Ma prima devo chiederle...»
Mi interruppi un attimo... ma non sentii nulla di udibile.
«Sì? Le spiace sedersi lì e togliersi la camicia?»
Mentre mi sedevo sul lettino protetto da un lenzuolino di carta, togliendomi giacca e camicia, continuai: «Devo essere sicuro di poter contare sulla sua discrezione».
Il medico prese dal tavolo alle sue spalle un apparecchio per misurare la pressione e, dopo averlo avvolto attorno al braccio, premette le chiusure in velcro fino a farle aderire perfettamente: «Tutti i miei pazienti possono contare sulla mia assoluta riservatezza. Non potrei agire diversamente».
Al che io, ad alta voce, in tono provocatorio, chiesi: «Ma me lo può garantire?».
E un attimo prima che rispondesse, mentre pompava sul bulbo fino a strizzarmi la parte superiore del braccio in una stretta sgradevole, sentii, in italiano: ... borioso... arrogante...
Mi era talmente vicino che sentivo addosso, caldo, l'odore di tabacco del
suo alito.

(http://www.fantascienza.com/magazine/imgbank/DVD/high_crimes.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Novembre 2007, 22:27:21
Davide Lajolo  1912-1984

Si dedica a varie attività e la principale è quella di giornalista; inizia a lavorare a "Il Corriere adriatico" di Ancona e fra i suoi progetti c'è la pubblicazione della rivista di poesia Glauco; partecipa con grande entusiasmo alle guerre coloniali in Africa e in Spagna a sostegno del franchismo. Con i gradi di ufficiale dell'esercito partecipa alla seconda guerra mondiale sui fronti greco ed albanese e, nonostante il suo passare da un campo di battaglia all'altro, in situazioni dove le barbarie diventano modello di vita e la ragione sembra scemare, continua a scrivere soprattutto poesie di rifiuto della morte e della guerra e di fedeltà ai giovani commilitoni caduti.
 l'8 settembre 1943, al ritorno al paese natio, prende la tormentata decisione di passare alla lotta partigiana sulle colline astigiane, con il nome di battaglia di Ulisse.

Oltre ad una lunga carriera di giornalista e politico, scrive : Quaranta giorni, quaranta notti  ,Ponte alla Noce (raccolta di poesie)
Il volto umano di un rivoluzionario,  Veder l'erba dalla parte delle radici,  Conversazione in una stanza chiusa,

Diario

20 maggio 1945
Teo Tesio arriva di corsa per dirmi che Cesare Pavese vorrebbe vedermi. Avevo letto le sue poesie e Paesi Tuoi. (…) Mi alzo per andargli incontro. Pavese è già sulla porta. Ci guardiamo, ci tocchiamo la mano. Rimaniamo in silenzio masticando entrambi i bocchini delle nostre pipe. Pavese mi dice che è venuto per vedermi in faccia. Mi conosceva negli echi degli spari della guerriglia partigiana combattuta sulle sue colline, quando lui “consumava la sua viltà” a Serralunga di Casale. (…) Si comincia a parlare e durerà fino alle quattro del mattino. In un breve intervallo, mentre scrivo il corsivo quotidiano per la prima pagina, Cesare guarda attonito la mia penna scorrere rapida: "Fammi vedere. Come fai a trovare tutte di fila tante parole?”. Legge. Mi guarda. Nasce così la nostra amicizia.


18 ottobre 1965
Oggi sono andato con Buzzati e Carrieri in funzione di esperti presso Savinelli che fabbrica pipe. Buzzati si limita a fumare taciturno. Carrieri invece si diverte a cambiare pipa paragonando ognuna ad uno scrittore con quel sarcasmo che gli è inseparabile. Buzzati gli chiede con quale pipa vedrebbe il suo connubio. E Carrieri: “Qui non c’è la pipa tartara ma, in compenso, tu riesci a sentirti nel deserto anche a Milano."

(http://www.ladycat.it/ADL/bibliografia.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Novembre 2007, 23:13:48
Segnalo una modifica a Cammilleri,pag 11,poche righe nel caso qualcuno volesse leggerle. 8O
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Novembre 2007, 00:32:53
Dove si parla di tabacco che non c'è più

Erskine Caldwell 1903  1987

è stato uno dei più grandi cantori del vecchio Sud dell'America,
I suoi libri dettero scandalo nella moralistica società americana degli anni Trenta: Il piccolo campo fu accusato di oscenità in sede giudiziaria, Il predicatore vagante e La via del tabacco suscitarono un vespaio di polemiche, intrisi com'erano di una sessualità tragica e animale.
Non sappiamo di lui se fumasse la pipa,o se masticasse il tabaco,ma forse fumava le rape,chissà? 8)

La Via Del Tabacco

- Guarda quello che fa Ellie May, - disse Dude.
- Per Dio e per Gesù, Lov, - urlò Jeeter dall'altro capo dell'aia. - Che
facciamo con quelle rape? Hanno forse dentro quei dannati vermi verdi,
come le mie? È dalla primavera scorsa che ho voglia di un po' di rape
buone. Se il capitano John non avesse venduto tutti i suoi muli e non
avesse smesso di darmi il concio a credito, avrei potuto avere un bel
raccolto di rape, quest'anno. Ma quando vendé i muli e se ne andò ad
Augusta, disse che non aveva intenzione di rovinarsi permettendo ai suoi
coloni di comprare concio a credito per conto suo a Fuller. Non c'era più
senso, disse, a mandar avanti una fattoria con cinquanta ettari o uno solo.
Lui poteva ricavare di più, dalla terra, disse, senza usare aratri. Ed è perciò
che non abbiamo più tabacco e viveri. Ada dice che non può fare a meno
di un po' di tabacco ogni tanto, perché inganna la fame, ed è vero. Ogni
volta che vendo un carico di legna porto a casa una dozzina di scatole di
tabacco, anche se non ho il denaro per comprar farina e carne. Un uomo
non può fare assolutamente a meno di tabacco. Quando sento una fitta allo
stomaco, un po' di tabacco mi fa passar la fame per il resto del giorno. Un
uomo non può restar vivo senza tabacco.
- Ma quest'anno non ho potuto coltivar rape: non avevo mulo e non
avevo guano. Oh, si, ne avevo due o tre miseri filari lì nel campo, ma un
uomo non può mandar avanti una fattoria senza un mulo per lavorarla. Una
vanga non serve a niente tranne per il cotone e il granoturco. Non c'è senso
a voler coltivare rape con una vanga. Per questo, credo, quei dannati vermi
verdi sono entrati nelle rape: perché non avevo il mulo per coltivarle. Per
questo erano così verminose.
- Sei stato attento a quel che ho detto, Lov? Non mi hai ancora risposto
per le rape. Ho una terribile fame di rape nella pancia. Ho una passione,
credo, per le rape d'inverno, come i negri per i cocomeri. Non c'è quasi
differenza. Non conosco cibo migliore delle rape.

Seduta sul suo sacco di rami secchi, mamma Lester, la vecchia nonna,
ricominciò a gemere strofinandosi i pugni sui fianchi. Dopo un po' si alzò,
si rimise il sacco in spalla, ed entrò in casa dirigendosi verso la cucina.
Accese il fuoco nel fornello e si sedé vicino ad aspettare che i rami
s'incenerissero. Era certa che Jeeter non le avrebbe riportato nemmeno una
rapa: sarebbe rimasto nella macchia e le avrebbe mangiate tutte lui. Mentre
la vecchia nonna aspettava che il fuoco si spegnesse, guardò nella scatola
del tabacco sullo scaffale. Ma quella scatola era sempre vuota: da una
settimana non c'era dentro tabacco, e Ada non voleva dirle dove era
nascosta la scatola piena. La vecchia nonna aveva avuto un po' di tabacco
da masticare solo una volta, quando, trovata per caso la scatola, ne aveva
rubato un poco prima che potessero impedirglielo. Per questo Jeeter
l'aveva buttata in terra parecchie volte, e le aveva detto che se l'avesse
sorpresa ancora una volta a rubar tabacco l'avrebbe ammazzata. Certe volte
la vecchia nonna sarebbe stata contenta di morire, a patto di aver prima
tutto il tabacco che desiderava.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Novembre 2007, 13:41:58
Nella letteratura ,e non solamente,una persona in attesa che fuma la pipa,denota calma,se fuma la sigaretta nervosismo.
Un paio di esempi:

Fred Vargas  

Vargas ricerca innanzi tutto la precisione e la "sonorità" delle parole. Poi sviluppa i suoi personaggi. Atipici, logorati dalla vita, ma sempre là, pronti a battersi. Fred Vargas ama dipingerli con cura, tanto fisicamente che psicologicamente. Offre loro un vissuto, un passato, e una consistenza, che rendono credibili i loro intrecci.

I suoi romanzi sono senz'altro atipici nel panorama "giallo" francese poiché l'azione si svolge essenzialmente in Francia (principalmente a Parigi) e non contiene che pochissime pagine di sangue e di sesso. Dalle sue opere sono stati tratti alcuni film per la televisione.

Nei Boschi Eterni

Discutere dei misteri di un parroco  che ovviamente ci si immaginava delicati  era ben più difficile che discorrere, gomiti sul tavolo, con un delinquente. Adamsberg aveva l'impressione di doversi avventurare con stivali chiodati su un tenero praticello.
«Il viceparroco la tiene nascosto,» ripeté, adottando l'astuzia normanna dell'asserzione contenente la domanda.
Il parroco accese una pipa, seguendo con gli occhi la giovane mosca che passava a volo radente sopra la tastiera. Piegò la mano a forma di cupola, colpì il tavolo e la mancò.
«Non tento di ammazzarla,» spiegò, «ma di catturarla. Mi interesso, da dilettante, della frequenza delle vibrazioni emesse dalle ali delle mosche. Sono molto più rapide e stridule quando sono in trappola. Vedrete.»
Esalò un grosso anello di fumo e li guardò, sempre con la mano piegata a capsula.
Il parroco sorrise, fiutando l'esperto. Fece qualche tiro di pipa, prolungando il silenzio come per preparare l'ingresso di una celebrità.
«Lei sa come me, padre,» disse Adamsberg in tono pacato, «che il segreto della confessione non è né ammissibile né legale, in certe circostanze.»
«Soltanto in caso di omicidio,» obiettò il parroco.
«Penso che sia questo il caso.»
Il parroco riaccese il fornello della pipa. Si udì Danglard voltare una pagina spessa, mentre la mosca, a malapena tranquillizzata, continuava il suo volo stridulo sbattendo contro i vetri.  

(http://www.ledevoir.com/2002/11/23/images/fre_231102.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Novembre 2007, 13:52:38
Mario Puzo

1920 – 1999  scrittore statunitense.
Figlio di genitori napoletani, ottenne grande successo con il romanzo Il Padrino (The Godfather, 1969),
la storia di una famiglia italo-americana e della sua ascesa nel mondo della mafia newyorkese.
Dal libro sono stati tratti tre film di Francis Ford Coppola.

Il Padrino

Kay scrollò il capo. L'altro agente, Siriani, minacciò bruscamente:
«Sappiamo che siete stati a letto insieme parecchie volte. Abbiamo le
registrazioni dell'albergo e i testimoni. Se passiamo l'informazione alla
stampa, suo padre e sua madre si sentiranno piuttosto depressi. Gente
rispettabile come loro non sarà molto soddisfatta di una figlia che si fa
sbattere da un gangster. Se non si decide subito a vuotare il sacco, faccio
entrare il vecchio e gli dico tutto».
Kay lo guardò stupefatta. Poi si alzò, andò alla porta dello studio e l'aprì.
Vide il padre che succhiava la pipa, in piedi davanti alla finestra del
soggiorno. Chiamò forte: «Dad, puoi venire?». Egli si girò, le sorrise e si
diresse verso lo studio. Quando entrò, pose un braccio intorno alla vita
della figlia, si pose di fronte agli agenti e chiese: «Si, signori?».
Poiché non risposero, Kay disse freddamente a Siriani: «Gli dica tutto,
agente».
Il poliziotto arrossi. «Mr. Adams, le riferisco queste cose per il bene di
sua figlia. È in relazione con un teppista che abbiamo ragione di credere
abbia commesso un omicidio nella persona di un funzionario di polizia.
Stavo giusto dicendole che potrà avere dei guai seri se non collabora con
noi. Mi pare che non si renda conto di quanto sia grave la situazione. Può
darsi che riesca a convincerla lei».
«Questo è abbastanza incredibile», commentò educatamente Mr. Adams.
Siriani sporse la mascella. «Sua figlia e Michael Corleone sono usciti
insieme per più di un anno. Passavano le notti insieme negli alberghi,
registrati come marito e moglie. Michael Corleone è ricercato per
l'inchiesta sull'uccisione di un ufficiale di polizia. Sua figlia rifiuta di dare
qualsiasi informazione che possa aiutarci. Questi sono i fatti. Lei ritiene di
chiamarli incredibili, ma io posso sottoscrivere tutto».
«Non dubito delle sue parole, signore», disse gentilmente Mr. Adams.
«Ciò che trovo incredibile è che mia figlia possa trovarsi in guai seri. A
meno che stia insinuando che è — qui il volto espresse un dubbio da
studioso — una "battona", credo che si dica».
Kay guardò meravigliata il padre. Capiva che stava scherzando nella sua
maniera pedantesca ed era sorpresa che potesse prendere la faccenda così
leggermente.
Mr. Adams aggiunse fermamente: «Tuttavia, sia certo che se il
giovanotto mostra qui la sua faccia, ne denuncerò immediatamente la
presenza alle autorità. E così farà mia figlia. Ora, se vogliono scusarci, la
colazione si sta raffreddando».
(http://www.cnn.com/books/news/9907/02/obit.puzo.01/puzo.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Novembre 2007, 22:45:26
Il tabacco da pipa come paragone.

Henry  Miller
"Molti uomini vivono in pacifica coesistenza con la propria coscienza sporca."
"L'ideale americano è la giovinezza: bella, vuota giovinezza."
"Chi è eternamente preoccupato dei problemi dell'umanità o non ha problemi suoi, o si è rifiutato di affrontarli"
"Chiamiamo vizi quei divertimenti che non osiamo provare."
"Il sesso è uno dei nove motivi per reincarnarsi... gli altri otto sono ininfluenti."

Sexus

Che cosa restava, allora, di quel mondo inestinguibile dal quale mi destai un
mattino pieno di tenere ferite così abilmente tamponate durante la notte? Il volto della
sola donna che avevo amato e perduto! Una Gifford. Non la Una che io avevo conosciuto,
ma una Una che anni di sofferenza e di separazione avevano reso di una
bellezza spaventosa. Il suo viso era diventato come un fiore greve impigliato nelle
tenebre; sembrava trafitto dalla sua stessa soffusa luminosità. Tutti quei ricordi di lei
che avevo gelosamente conservato e che erano stati compressi leggermente, come fine
tabacco sotto il dito di un fumatore di pipa, avevano dato luogo a un improvviso
abbellimento spontaneamente combustibile. Il pallore della pelle veniva intensificato
dal bagliore marmoreo ridestato dalle covanti braci della memoria. Il capo si voltava
sullo stelo quasi indistinguibile. Le labbra erano dischiuse dalla sete, straordinariamente
vivide e vulnerabili. Lo si sarebbe detto il capo distaccato di un sognatore che
cercasse ad occhi chiusi di accogliere le avide labbra d'una persona chiamata da qualche luogo remoto.

(http://www.jazzitalia.net/articoli/Immagini/henrymiller.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Novembre 2007, 13:39:45
Joe Halderman

Famoso per molti racconti ma soprattutto,per  reportages e documentari,compreso quello sulla strage di Beslam
Quando una trentina di terroristi ceceni irruppero nella scuola,
prendendo in ostaggio tutto e tutti.

Guerra Eterna

Entrerete a far parte del Nuovo Rinascimento,disse Mikecon voce piatta accendendo la pipa.
Era tabacco e aveva un profumo delizioso.Probabilmente notò il mio sguardo avido,
oh sono proprio un pessimo ospite.
Tirò fuori delle cartine dalla borsa e arrotolò una sigaretta con mossa esperta,ecco quì,Mary?
No grazie ,se procurarselo è difficile come dicono,non voglio riprenderne l'abitudine.
Mike annuì e riaccese la pipa,si rivolse a me,l'esercito vi teneva a corto di sigarette per paura del cancro?
Sicuro!,non sarebbe stato simpatico morire in un modo così poco militare.

(http://www.deagostiniedicola.it/ARTICOLI/collezionismo/pipe/images/norm-18.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 19 Novembre 2007, 16:52:04
Di nuovo debbo segnalare ripetuti richiami alla pipa in un'opera di W.S. Maugham: la Diva Julia, sempre per Adelphi
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Dicembre 2007, 12:16:47
Per il momento ho aggiunto un brano de Il Velo Dipinto.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Dicembre 2007, 12:20:52
Un ambiente piccolo,stretto,chiuso,con molte persone che fumano di tutto,dai panettoni alle sigarette.

Val McDermid

Nasce 1955 a Kircaldy, in Scozia, e ha trascorso gran parte della sua infanzia in un villaggio di minatori, in East Wemyss. Terminata l’Università ha insegnato letteratura ad Oxford e lavorato come giornalista per diverse testate inglesi. Iniziò a scrivere testi teatrali, ma ha trovato la sua vera vocazione nel genere poliziesco. Report for Murder, del 1984, è il primo di una lunga serie di romanzi. Insieme a Ian Rankin, Val McDermid ha guidato il rinnovamento del giallo inglese, liberandolo dallo smalto dato dalle ambientazioni medio-borghesi ,ha scritto molte serie per la tv,fra cui Wire in the blood
 
L'Esecuzione

Alan Thomas era infatti comodamente seduto nell'angolo più caldo della roulotte con una teiera sistemata alla sua destra e un posacenere con la sua pipa di radica a sinistra.
Terry Lomas, il padre di Charlie, masticava il bocchino della pipa e brontolava .
Vi fu un lungo silenzio, punteggiato dai gorgoglii della pipa di Terry. Alla fine fu il vecchio Robert Lomas a parlare.
Estrasse una pipa di radica dalla tasca del panciotto e cominciò ad armeggiarvi con un temperino.
E così, quando ho visto... be', ho subito pensato che doveva essere la piccola Alison.» S'interruppe per riempire il fornello della pipa, concedendo a George per la prima volta l'opportunità di intervenire.
Strofinò un fiammifero e aspirò una boccata dalla pipa. Il tabacco era profumato, e riempì l'aria con un aroma di ciliege e chiodi di garofano. «Si faccia una fumata anche lei, se vuole.» Fece scivolare sul tavolo una malconcia busta di tela cerata. «È una mia mistura.»
«No, grazie.» George estrasse le sigarette di tasca.
Aspirò una boccata dalla pipa, emettendo un pennacchio di fumo dall'angolo della bocca. «Avrebbe dovuto fermarsi a Buxton. In città sapeva come cavarsela.»
George serrò le labbra sulla sigaretta. Ora non più, pensò.

(http://www.iltarlo.it/shop/media/Dunhill_per_pipa_1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Dicembre 2007, 19:55:59
Antica fantascienza di serie b ,ovvero il fumo della pipa attira scarafoni supersonici.

Arthur K. Barnes & Henry Kunttner

L'Arca Dell'Infinito

Con una smorfia, Strike accese spensieratamente la pipa.
Dopo trenta secondi, l'aria si riempì degli stridii sottili e dei bang di dozzine dei favolosi scarabei whiz-bang che si avventavano con i corpi corazzati contro le pareti metalliche della stazione, attratti dall'odore del tabacco. Strike rabbrividì e si affrettò a spegnere la pipa. Un uomo non poteva neppure concedersi la consolazione di fumare, su quel maledetto pianeta: la sua vita sarebbe stata messa in pericolo dalla velocità terribile di quel whiz-bang.

La testa gli si schiariva rapidamente; ma era troppo tardi. Doveva provocare un indugio, a qualunque costo.
La sua mano urtò la tasca, s'infilò ed estrasse la pipa. Era ancora semi-piena di tabacco. Strike prese un accendino e accostò la fiamma, aspirando vigorosamente, lottando contro la vertigine, soffiando intorno a sé grandi sbuffi di fumo pungente. La pipa gli cadde dalle dita inerti: si aggobbì in un atteggiamento di preghiera, sperando, attendendo. C'era riuscito?
Zin-n-ng! Plock! Funzionava. Strike si raggomitolò, cercando di farsi piccolo piccolo. In un secondo l'aria risuonò dei ronzii striduli di centinaia di piccoli scarabei whiz-bang, corazzati contro il freddo, lanciati a nugoli verso la sorgente del loro odore prediletto. Alcuni volavano abbastanza bassi per colpire Strike, ma furono colpi di striscio che lasciarono semplicemente lividi rossi sul suo dorso.
Fu come se qualcuno stesse sparando a pallettoni contro gli indigeni. Il capo dei venusiani crollò come fulminato quando parecchi scarabei corazzati gli si piantarono nel punto più vulnerabile, la gola. La notte fremeva dei tonfi dei proiettili viventi contro le carni squamose. Gli indigeni lanciarono gemiti acuti, tremendi. Cercavano di schivare, agitavano disperata-mente le braccia, invano. Finalmente fuggirono all'impazzata nel buio, abbandonando persino le armi.
Per un po' i whizbang sfrecciarono avanti e indietro nella radura ma alla fine svanirono anch'essi, perché la pipa di Strike, ormai sepolta, non esalava più aromi allettanti. Dopo un po' Strike si alzò, si spolverò e sorrise. Quello era il momento! Da eroe vittorioso avanzò nella radura per osservare la devastazione.





(http://www.diablomotor.com/wp-content/uploads/2007/10/pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Dicembre 2007, 00:33:14
Non ha mai avuto bisogno di presentazioni,un precursore dal giallo e nero fino a King Kong,un fumatore di pipa più che esperto.

Edgar Wallace (1875-1932)

Figlio illegittimo di un'attrice, a nove anni la madre lo consegnò ad un facchino del mercato del paese. A dodici anni vendeva giornali per le strade di Londra e dopo aver fatto molti mestieri, compreso quello del soldato, diventò giornalista: fu corrispondente di guerra nella campagna contro i Boeri e corrispondente del Daily Mail dall'Africa del Sud; infine, a Johannesburg, fondò lui stesso un giornale. Fu nello scrivere quelle corrispondenze, nelle quali per un eccezionale intuito psicologico batteva sempre sul tempo i colleghi della concorrenza, che scoprì il proprio talento.

http://www.cartesio-episteme.net/gial/wallace.htm

L'Enigma Della Candela Ritorta  ,etc..

La pioggia era incessante e dava l'impressione di voler continuare a
scrosciare per tutta la notte. Le alte siepi che costeggiavano entrambi i lati
della stretta stradina avevano le foglie cadenti e la strada era piena di
pozzanghere fangose. Si fermò sotto le fronde protettive di un grosso
albero per riempire e accendersi la pipa e, voltandola verso il basso,
continuò la sua camminata.
Tirò boccate dalla pipa mentre si affrettava e il tabacco aromatizzò di
dolce e di salubre l'aria fredda. Stava dirigendosi alla fattoria, e aveva da
sbrigare una faccenda prosaica.

Con la pipa in bocca, attraversò l'atrio ed entrò nella biblioteca poco
illuminata.
I tre lampadari che pendevano dal soffitto erano spenti. Solo le due
lampade da lettura, schermate di verde, che fiancheggiavano i due lati
della scrivania, erano accese e la loro luce aumentava per contrasto
l'oscurità circostante. Dick chiuse la porta alle proprie spalle e si avvicinò
con calma alla scrivania, tirandosi dietro una sedia.
Harry aggrottò la fronte vedendo suo fratello.
- Davvero, Dick - disse, con irritazione. - Vorrei che non ti aggirassi per
casa in camicia e pantaloni. È molto sconveniente.
Ma è incredibilmente fresco come abbigliamento, rispose Dick,
sedendosi.
 I tuoi nervi sopporteranno l'odore di un po' di onesto tabacco?
Lord Chelford si agitò, a disagio, sulla sedia. Poi, aprì una scatola in oro
e prese una sigaretta.
- La mia pipa contro le tue cose puzzolenti per cento sterline! ,esclamò
Dick, con un sorriso allegro. - Posso tollerare le sigarette, ma quelle
aromatiche...
Dick, se non ti piacciono, poi anche andartene , brontolò Sua Signoria.

Adesso, mettetevi a vostro agio. Fumate?
Il signor Puttler si frugò in tasca e tirò fuori una pipa nera.
Non è molto aristocratico,si scusò,ma preferisco il tabacco ai sigari
e alle sigarette.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/fb/King_kong_filmposter_1933.jpg/200px-King_kong_filmposter_1933.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Dicembre 2007, 21:57:24
Aldo Palazzeschi

(Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974) è stato un poeta italiano, padre della neoavanguardia. Il suo vero nome era Aldo Giurlani.che solo dal 1905 iniziò a firmarsi con il cognome della nonna materna, Palazzeschi, nacque  da una famiglia di agiati commercianti e per volontà del padre frequentò gli studi in ragioneria, dedicandosi poi all'arte e alla scrittura. Dalla seconda attività conseguì una ricca produzione letteraria che diede al Palazzeschi fama di rango nazionale. Tuttora viene considerato tra i maggiori poeti del Novecento.

Le Sorelle Materassi

Dopo essersi addobbate la cintura e il collo di fiocchi, il petto con qualche altra calìa, la testa con forcine e pettini luccicanti, incominciavano ad incipriarsi il viso facendo a picca, quasi se lo facessero per dispetto, a chi se lo imbiancava meglio e di più, e una volta infarinate come pesci da friggere, e dopo aver fatto davanti allo specchio mille smorfie e piroette, osservando in ogni senso le loro figure che rivedevano dopo sette giorni, si mettevano alla finestra l'una attaccata all'altra, a gomito, con le braccia bene composte sul davanzale.
Qual era l'argomento dei loro discorsi? Per qualunque altra coppia di zitelle sarebbe facile indovinare, ma per queste, chi lo potrebbe dire? Ebbene, lo crederesti mai, anche stavolta l'enigma è facile da risolvere, l'argomento era l'amore anche per queste. Quella finestra della loro camera era la sola della casa che desse sulla via, e una via, come si sa, che conduce in pochi passi a sorridenti ed attraenti colline come quelle di Settignano, popolatissime, o anche remote come quella di Vincigliata, non popolata né da case né da ville e dove è, intorno al castello, un bosco ampio ch'è sua dote, e dalla vegetazione arida, alpestre, crescente nel pietrisco e nelle rocce, aperto al passante ed ospitale per le mille anfrattuo-sità del terreno, specie di cave estinte o in azione, tanto propizie all'amore e alle sue interminabili intimità e dolcezze. Cosicché la Domenica, per quella via, sotto la finestra delle nostre sorelle era una processione di coppie e di coppiette che si dirigevano lassù incerte e trepide, o anche sicure, e desiose solamente. Non bisogna credere che tante coppie fossero formate tutte da creature giovani e belle, o almeno fresche, che portavano in giro lo straripante rigoglio dei bei vent'anni, così ricco di gioia che ne dona e ne semina sui propri passi senza avvedersene, ma ve n'erano d'ogni specie e colore, d'ogni età, e qualche volta di tale sagoma o sproporzione da seminare soltanto un po' di tolleranza e molta allegria giacché l'amore, di qualunque specie, non è mai triste.
A quella finestra rimanevano fino all'imbrunire e oltre, indugiando senza potersene staccare, e parlando di un passato amoroso inesistente che gonfiavano fino all'assurdo ispirate e sospinte dal passaggio delle coppie, e che mettevano in valore fino alla rivalità. E non inesistente perché tutti le avessero respinte o nessuno le avesse desiderate, intendiamoci bene, non erano più brutte di tante altre che prendono marito, e data la loro condizione avrebbero potuto trovare un partito entrambe, era la loro distrazione assoluta che le aveva fatte rimanere zitelle, spostandone l'orgoglio ed il prestigio sopra un'altra base. La colpa era di esse, esclusivamente, e non come diceva Giselda malignando e sottovoce, che nemmeno il diavolo le aveva volute; di esse e del loro stato particolare, giacché un poveraccio non lo avrebbero preso e un signore, dal canto suo, non avrebbe preso loro; s'erano trovate fuori di strada inconsapevolmente, nessuno si era avvicinato per tale squilibrio, per mancanza di fluido, di rispondenza, di attenzione; perché nessuno avrebbe saputo come incominciare, come spostarne l'interesse per attirarlo verso di sé, sicuro di non far breccia con quelle, che non avrebbero dato retta, non avevano il tempo per stare a sentire, o avrebbero alzato le spalle cadendo dalle nuvole. La cosa non si era fatta perché non si doveva fare, erano combinate in maniera che a nessuno era balenato il pensiero di sposarle, come non fossero state donne.
E il più bello si è che pronunziavano dei nomi mascolini incalzanti: Guglielmo, Gaetano, Raffaello, Giuseppe... quasi volendo con essi sopraffarsi a vicenda, stabilire un documento inoppugnabile e una superiorità, porre l'altra fuori discussione.
Teresa parlava sempre del figliolo di un avvocato stato in quei pressi a villeggiare trent'anni prima, e divenuto poi il migliore avvocato di Firenze. Di un altro ancora che aveva impiantato con molta fortuna un'industria di oggetti casalinghi famosissima, divenendo ricco e autorevole. E di un terzo, che emigrato in America vi aveva fatto i milioni a cappellate fabbricando le tagliatelle. Giungeva a dare particolari accreditando la possibilità di essere divenuta la moglie di uno di essi, fornendo dettagli e chiarimenti, precisando le cause per cui il matrimonio non era avvenuto, quasi fosse andato a monte alla vigilia delle nozze, e sempre concludendo di essere stata lei la vera e sola responsabile della mancata conclusione.
Carolina, nei suoi racconti, si mostrava ossessionata dalla brutalità del maschio; e più n'era stata lontana e più se ne allontanava, più nella fantasia di vergine quella immagine cresceva e n'era, al solo pensiero, trepidante e sconvolta come se quelle cose che non erano avvenute mai fossero avvenute il giorno avanti. Rifiutatasi al figliolo d'un medico dopo una lotta molto vivace, quello aspettatala una sera l'aveva acciuffata malamente e in un impeto del desiderio sbattuta contro una siepe. Narrava di essere sfuggita per un miracolo alla stretta del forsennato, cadendo poi in deliquio e rimanendo preda dell'orgasmo per l'intera notte, contusa, trafitta dalle spine come il Nostro Signore. Diceva il punto esatto dove era avvenuta la brutale aggressione e la lotta furibonda, il giorno e l'ora. Non era vero niente. Di una conversazione normale la sua fantasia, col volgere di tante domeniche, aveva portato le cose fino a quel termine, facendola diventare una violenza bella e buona, un atto brigantesco, il martirio, e sempre con la tendenza a crescere. Come probabilmente, quei risultati professionali e industriali strepitosi della sorella, erano cresciuti tanto in grandezza aggiungendovi via via un particolare come a un'opera d'arte.
L'ascoltatrice, che sapeva non rispondere le cose a verità, o quanta esagerazione vi fosse, rimaneva indifferente al racconto, fredda, evasiva; guardandosi bene dal riportarle al giusto livello per non compromettere i parti della propria fantasia; e ascoltando, la bocca affettava una smorfia di disgusto quasi che l'altra narrasse di cose sporche e di cattivo odore.
Passavano così nei loro discorsi, esseri poco meno che immaginari e divenuti di famiglia: ipotetici villeggianti, gente conosciuta appena, di formidabile ingegno ed energia, forte e intraprendente o brutale e selvaggia, scomparsa da diecine d'anni, tutta mirante a un colossale successo o che finiva in un atto bestiale. Sentimenti, aspirazioni, tenerezze, non le appagavano se non approdavano a questo fine.
Finché Carolina, come numero di chiusura, ricordava che quando si doveva sposare con un giovane dall'apparenza buona e gentile, col pieno consenso di tutti, all'ultimo momento un amico di casa era corso da sua madre per informarla che il giovane prescelto aveva un difetto gravissimo, uno di quelli per cui è dovere del buon cittadino mettere al corrente le famiglie, e non potendo esse, la Chiesa. La Chiesa chiama questi: canonici impedimenti, ragione per cui bandisce le nozze durante tre domeniche consecutive, e ogni parrocchiano che sa deve parlare con chiarezza per la buona riuscita del matrimonio. Un difetto di quelli che non si possono dire, ma che non doveva essere poi cosa tanto triste se di esso finivano per ridere tutti gli uomini dei vicinato, e anche la maggior parte delle donne, le più vecchie o smaliziate. Un difetto che faceva incominciare il discorso in reticenze e finirlo in risate, e per il quale il poverino non poteva prender moglie. E anche questo non era vero niente. L'uomo in parola era esistito venticinque anni prima in quelle vicinanze, e in tal senso la popolazione ne aveva sussurrato e riso con quanto fondamento non è facile sapere, ma non aveva la più vaga attinenza con Carolina, anche se lo aveva conosciuto come tutti gli altri; era la sua fantasia che la portava a farsi vittima di quello e ad essere sfuggita, per puro miracolo, a un amplesso fatale.
La sorella la lasciava dire, e invece di mantenersi fredda o evasiva, a poco a poco interveniva nel racconto, annuiva con la testa incitando l'altra a descrivere. Sì, se un uomo doveva averlo, la sorella, era proprio quello; quello sì, pareva concederglielo; sì, sì, che l'avesse conciata per il dì delle feste.
La verità si è che tutte e due conoscevano gli uomini per sentito dire, per il più vago e lontano sentito dire. Non era facile, mi penso, trovarne altre due che li conoscessero meno.
Passavano stringendosi come per freddo le coppiette, ed erano calde a bollore; si stringevano quasi non bastasse mai il calore anche nel colmo dell'estate. Tutti davano uno sguardo fugace alle due donne che eseguivano il loro esame senza incertezze trovando, generalmente, le femmine brutte, antipatiche, e vestite male. Erano invece indulgenti coi maschi, disposte a riconoscerne le qualità del corpo o della faccia, del modo di camminare, e magari degli occhi solamente, dei denti, dei capelli, della voce, la quadratura delle spalle o il vestito tagliato bene. E quello che rimaneva loro inspiegabile sempre, un vero e proprio mistero, si è che un bel giovane, o almeno simpatico, o almeno elegante, avesse potuto innamorarsi di una gestrosa, di una smorfiosa, di un bastone vestito, di un viso vieto, di una bocca piallata, di un trabiccolo, di una faccia da cattiva e dispettosa. «Ma come faranno a innamorarsi di certa gente?» concludevano insieme. Con le donne erano spietate. Anche se belle o carine, un difettaccio glie lo volevano trovare per schiacciarle, diminuirle, ridurle in polvere: dovevano essere almeno cattive. E pensare che erano costrette a cucir loro le camicie e le mutande. E come glie le cucivano bene, con quale insuperabile finezza, squisitezza, sciccheria, dimenticando le persone e il livore, ché altrimenti glie le avrebbero cucite storte, in tirare per farle soffrire, sproporzionate per imbruttirle, ridurle goffe e ridicole.
«A un bello tocca un brutto, si sa».
«Quella cespùgliola come se l'è saputo scegliere».
«Che grinta, gli metterà le corna, si capisce».
«Gli occhi bianchi gabbano Cristo e i Santi».
«Hai visto che scucchia?»
«È tutta sgangherata, pare un arcolaio».
«Ha due labbra che ci si farebbe uno stufato».
«Hai visto che manacce?»
«Sarà una sguattera».
E se era impossibile demolirla perché proprio carina:
«Si capisce, è tutta tinta, lavale il viso e mi dirai che ti resta».
«La vorrei vedere la mattina, quando scappa dal letto, che arnese».
Era una litania contro le donne e uno sguardo benevolo per i maschi ai quali, belli o brutti, avevano trovato sempre qualche cosa di ammirevole.
E le passanti, tutte senza eccezione, rattenevano un riso talvolta o, più sovente, non lo rattenevano neppure, a quella vista lo lasciavano andare; ché, veramente alla finestra così agghindate, era difficile guardarle senza ridere. E solo i maschi, compresi del fatto loro, pure guardandole non si accorgevano di esse o, costretti ad accorgersene, l'epiteto di "befane" era l'unico frutto del loro fugace interesse. O le osservavano come due vecchie grulle che pretendevano di fare le graziose e le bambine a un'età rispettabile: non conoscendo quanta virtù e quanto sudore precedessero le poche ore di spensieratezza tanto modesta, e il malinconico e bizzarro ritorno alla femminilità. Ma quelle, dal canto loro, erano talmente comprese di sé e del proprio piacere da non accorgersi neppure del giudizio sfavorevole.
Soltanto i loro casigliani le salutavano con premura, venivano ad ossequiarle sotto la finestra, si fermavano qualche momento uscendo o nel rientrare. Esse rispondevano dall'alto, non come gli altri giorni senza neppure guardare, bensì con inchini mondanamente, quasi fossero state due dame in un palchetto all'opera o alla commedia, e loquacissime, scherzose, pettegole, e avendole vedute sempre a quel modo non rilevavano più la bizzarria delle loro acconciature, o dicevano che le poverette erano vestite così perché nemmeno sapevano quello che avevano addosso, o quello, invece, che avrebbero dovuto portare; e taluno riconosceva certe cose viste diecine d'anni prima alla nonna e alla madre.
La cosa più singolare si è che, sopra la finestra alla quale stavano affacciate, il muro non finiva col tetto come in tutte le case di queste terre, dove i tetti danno il carattere ai paesi e alla città, ma nella linea orizzontale di un muretto liscio e bianco come quello di una casina araba di Tripoli o di Bengasi, cosa insolita davvero, e su cui erano due anforette di terracotta con delle agavi indistruttibili e incapaci di crescere, decrepite e bambine, ciò che aumentando il ridicolo dava un sapore equivoco al quadro domenicale.
All'alba del Lunedì, rientrate nella loro fucina, col grembiulone bianco e gli occhiali dalle lenti spesse, tutti gli svaghi e le delizie del giorno festivo erano dimenticati nel modo più completo, erano due altre donne: non un fronzolo né un ornamento sulle persone, né il ricordo della cipria sopra le facce, era come avessero recitato una commedia il giorno avanti.
La vita era quella, interamente, ad essa s'erano date tutte allontanandosi dall'altra, dalla vita vera divenuta oramai una commedia per esse, che non aveva nulla di reale.
Chi avrebbe potuto dire che donne sensibili alle mode femminili d'alto rango, per quanto di indumenti di secondaria importanza, ma non secondaria finezza e abilità, capaci d'intuire e comprenderne le più delicate sfumature, e che si vedevano sfilare davanti signore vestite nelle fogge più squisite del loro tempo, potessero passare un pomeriggio a quella finestra di strada campagnola così pittorescamente infronzolate da sembrare due maschere, e in conversari tanto lontani dalla realtà nella quale erano immerse?
E da un'altra cosa, pure grandissima, le poverette s'erano esiliate senza accorgersene.
(http://www.ramshornstudio.com/e0c0a870.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 00:39:38
Siamo al Natale,l'anno stà per finire,come sarà la pipa nel futuro?
Di seguito il parere di due esperti in materia.

Isaac Asimov

Nasce a Petrovichi (Russia) nel 1920,  all'età di 3 anni segue i genitori che emigrano negli Stati Uniti.
Di famiglia ebraica cresce a New York nel quartiere di Brooklyn dove suo padre ha gestito per molti anni un emporio. Si laurea in Chimica e Biologia, e svolge attività di insegnamento presso la prestigiosa School of Medicine dell'università di Boston.
Contemporaneamente dal 1939 svolge attività di scrittore che lo porterà a ritirarsi dall'insegnamento nel 1950 per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.

Trilogia della Fondazione

Randu succhiò la pipa, pensieroso. - Davvero? Perché la pensi in questo modo?
Da giovane sono stato anch’io sulla Fondazione ed a quei tempi la pensavo a quel
modo. Ma dimmi, perché hai di queste idee?
Questo nostro Fran - disse Randu gesticolando con la pipa. - è il moderno
Lathan Devers. Devers morì ottant’anni fa in un campo di lavoro forzato insieme al
bisnonno di tuo marito, poiché mancava di saggezza ed aveva troppo cuore.
Randu si tolse la pipa di bocca. - Il ragazzo ha ragione, Fran, e se tu lo ascoltassi
invece di metterti a urlare, te ne renderesti conto. Ma sono ragionamenti che ti danno
fastidio e così li soffochi con le tue urla: ma i problemi rimangono. Toran, ora ti dirò
perché ho dato inizio a questa discussione.
Tirò alcune boccate pensieroso, quindi mise la pipa sulla rastrelliera automatica,
aspettò qualche secondo e la riprese completamente pulita. Lentamente la ricaricò.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/11/AsimovOnThrone.png/200px-AsimovOnThrone.png)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 00:49:24
GEORGE LUCAS

GUERRE STELLARI

Alcuni brani  di lukas tratti dal palinsesto del film,successivamente integrato e riscritto come romanzo da Alan Dean Foster.

Il vecchio, lo stregone pazzo, il vagabondo del deserto e il balordo che suo zio e
tutti gli altri conoscevano da che Luke si ricordava.
Era difficile dire se Kenobi fosse rimasto colpito dal messaggio che la giovane
sconosciuta aveva appena detto con voce angosciata. Era appoggiato al muro di roccia
tirandosi pensieroso la barba e fumando la sua pipa di cromo ossidato.
Luke aveva ancora negli occhi il semplice ma incantevole viso della ragazza. «È
tanto... tanto...» La sua cultura contadina non gli forniva le parole giuste. A un tratto
si ricordò di un particolare del messaggio e guardò il vegliardo con aria incredula:
«Generale Kenobi, tu hai combattuto nelle Guerre dei Cloni? Ma... è stato tanto tempo
fa».
«Beh, sì», annuì Kenobi con la stessa disinvoltura con cui avrebbe commentato
una ricetta di cucina. «Credo siano passati molti anni. Una volta ero un Cavaliere Jedi,
come», aggiunse guardando il giovane di sottecchi, «tuo padre.»
«Un Cavaliere Jedi», fece eco Luke. Guardò Ben confuso. «Ma mio padre non
ha combattuto nelle Guerre dei Cloni. Non era un cavaliere... era solo un ufficiale di
rotta su un'astronave da carico.»
Ben sorrise tirando una boccata di fumo dalla pipa. «Questo è quello che ti ha
detto tuo zio.» Pareva lontano. «Owen Lars non approvava gli ideali e lo stile di vita
di tuo padre. Pensava che dovesse restare qui su Tatooine e non farsi coinvolgere
in...» Si strinse di nuovo nelle spalle riassumendo un'aria apparentemente indifferente.
«Beh, pensava che dovesse restare qui e fare l'agricoltore.»
Luke stava zitto, attento a non perdere una sola parola della storia di cui conosceva
solo la versione distorta di suo zio.
«Owen temeva che la vita avventurosa di tuo padre potesse influenzarti e portarti
via da Anchorhead.» Scosse la testa all'amaro ricordo di eventi lontani. «Non credo
che tuo padre fosse tagliato per fare l'agricoltore.»
Luke si voltò e tolse gli ultimi granelli di sabbia dall'armatura riparata di 3BO.
«Vorrei averlo conosciuto», mormorò.

(http://mypage.uniserve.ca/~munteanu/lucas.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 00:52:23
Mann, Thomas 1875  1955

Premio Nobel nel 1929, è considerato una della figure di maggior rilievo della letteratura europea del '900.

I Buddenbrook

Si tratta della cronaca di una ricca famiglia di commercianti di Lubecca che, attraverso 4 generazioni, in un periodo che va dal 1835 al 1877, muta radicalmente il proprio carattere. Il sottotitolo è, infatti, "caduta di una famiglia". All'inizio la famiglia dominata da forti e energici personaggi, rappresenta una borghesia piena di voglia di vivere, di spirito imprenditoriale e di successo mercantile. Quello che rimane alla fine della potente e rispettata famiglia, è un debole sognatore che vive solo per la musica.
Per l'autore Il mondo borghese significa vitalità, quello dell'arte, al contrario, raffinatezza, la quale porta alla morte.
Ma è anche un affresco di tutto un mondo che cambia.

Il comandante dei piloti Schwarzkopf stava sulla porta e all’avvicinarsi della carrozza si tolse il berretto da marinaio. Era un uomo grosso, tarchiato, con il viso rosso, gli occhi azzurri come l’acqua, e la barba irsuta grigioferro che gli andava a ventaglio da un orecchio all’altro. La bocca un po’ piegata all’ingiù, in cui teneva una pipa di legno, con il labbro superiore rasato, duro, rosso e arcuato, gli conferiva un’espressione dignitosa e proba. Un panciotto di piqué bianco splendeva sotto la giubba, gallonata d’oro. Era là a gambe larghe, con la pancia un po’ sporgente.

Il giovane Schwarzkopf si alzò e andò ad appoggiare la pipa sul parapetto della veranda.
«Ma no, fumi pure! Non mi disturba affatto. A casa quando scendo a colazione la camera è già piena del fumo del sigaro di papà... Mi dica un po’,» chiese poi d’improvviso, «è vero che un uovo nutre come un quarto di libbra di carne?»
Lui divenne rosso. «Mi vuole prendere in giro, signorina Buddenbrook?» chiese fra sorridente e piccato. «Già ieri sera mi sono preso un rabbuffo da mio padre perché parlavo erudito e facevo l’importante, mi ha detto...» «Far l’importante! Proprio no!... Io vorrei soltanto imparare qualcosa... Mio Dio, io sono proprio un’oca! Da Sesemi Weichbrodt ero sempre fra le più pigre. E lei, mi pare, sa tante cose...» Fra di sé pensò: Far l’importante! Uno si
trova in società, fra la gente che non conosce, e si mostra dal suo lato migliore, sceglie le parole, cerca d’essere gradito,  si capisce...
«Ecco, sì, in un certo senso si equivalgono,» disse lui lusingato. «Alcune sostanze alimentari...»
Poi, mentre Tony faceva colazione e il giovane Schwarzkopf continuava a fumare la pipa, cominciarono a chiacchierare di Sesemi Weichbrodt, dei giorni di collegio di Tony, delle sue amiche, Gerda Arnoldsen che adesso era di nuovo ad Amsterdam, e Armgard von Schilling, di cui dalla spiaggia si poteva vedere in lontananza la casa bianca, almeno nelle giornate belle...

Quando Morten Schwarzkopf poco dopo il pranzo uscì dalla veranda, con la pipa in bocca, per vedere come si metteva il tempo, si trovò davanti un signore in lungo e stretto soprabito a quadri gialli, e a cappello grigio; ferma dinanzi alla casa, c’era una carrozza da noleggio, chiusa, con il mantice luccicante d’acqua e le ruote infangate. Morten fissò sconcertato la faccia rosea di quel signore. Aveva un paio di favoriti che sembravano tinti con la polvere per dorare le noci dell’albero di Natale.

Quando Morten Schwarzkopf poco dopo il pranzo uscì dalla veranda, con la pipa in bocca, per vedere come si metteva il tempo, si trovò davanti un signore in lungo e stretto soprabito a quadri gialli, e a cappello grigio; ferma dinanzi alla casa, c’era una carrozza da noleggio, chiusa, con il mantice luccicante d’acqua e le ruote infangate. Morten fissò sconcertato la faccia rosea di quel signore. Aveva un paio di favoriti che sembravano tinti con la polvere per dorare le noci dell’albero di Natale.
... Quanto a Christian, parve dapprima che si dedicasse alla sua attività con zelo e con piacere; parve proprio che ci si trovasse magnificamente bene, tutto soddisfatto, e per parecchi giorni ebbe un modo di mangiare con appetito, di fumare la sua pipa corta e di assestare le spalle nella giacchetta inglese, che faceva capire quanto fosse a suo agio. Al mattino scendeva in ufficio quasi sempre contemporaneamente a Thomas, e andava a sedersi di fianco al signor Marcus, dirimpetto al fratello, sulla sua seggiola girevole, a braccioli, poiché aveva anche lui come i due titolari una seggiola a braccioli.

Ma d’improvviso lanciò al console un’occhiata insolitamente rapida e disse: «Del resto... cum n’n detn car cumpar! L’afar n’n van mia mal! Femm ‘d dané con la fabbrica di birra, la società per azioni, dov’è direttore Niederpaur, sa? È stacc tan temp na ditta piculina, ma l’abbiam daa credito e cuntant... al quattro per cento, su ipoteca... e così l’ha puu facce grand l’edifisi... E adesso l’afar ‘s fan ben e avem un bello smercio e un profitto annuo , n’n va mia mal!» concluse il signor Permaneder, rifiutò ringraziando sigari e sigarette, tirò fuori di tasca, con permesso, la sua pipa dalla lunga testa di corno e, avvolto nei fumi, iniziò con il console un discorso sugli affari che ben presto scivolò sul terreno della politica: sui rapporti della Baviera con la Prussia, sul re Massimiliano e sull’imperatore Napoleone...

La signorina Jungmann per lo stupore dimenticava continuamente di masticare, anche quando aveva un boccone in bocca, e fissava senza parole l’ospite con i suoi occhi bruni e lucenti, tenendo, secondo il suo solito, coltello e forchetta dritti verticali sulla tavola e muovendoli leggermente in qua e in là. Mai in quella stanza s’erano uditi simili suoni, mai l’aveva riempita un simile fumo di pipa, mai aveva visto una simile, stizzita e compiaciuta mancanza di forma... La signora Buddenbrook, dopo essersi informata con apprensione degli attacchi cui doveva essere esposta una così piccola comunità evangelica fra tutti quei papisti, perseverò nel suo amabile non capire, e Tony nel corso della colazione parve farsi un po’ pensierosa e inquieta. Il console invece si divertiva un mondo, indusse perfino sua madre a far portare una seconda bottiglia di vino rosso, e invitò con calore il signor Permaneder a fargli visita nella Breite Strasse; sua moglie ne sarebbe stata lietissima... Dopo tre ore buone dal suo arrivo, il commerciante di luppolo si preparò a congedarsi, batté la pipa per svuotarla, finì il bicchiere, dichiarò che qualcosa era una «crus» e si alzò.
(http://www.nndb.com/people/180/000025105/thomas-mann.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 00:57:07
Terry Pratchett e Neil Gaiman

Presi separatamente Terry Pratchett e Neil Gaiman sono due semidivinità
letterarie. Insomma, più o meno. Ma basta metterli insieme perché scoppi
l'inferno...
Nell'aria si respira una evidente brezza apocalittica. Sulla base delle
Profezie di Agnes Nutter, Strega (messe per iscritto nel 1655 - grazie a
Dio! - prima che Agnes facesse saltare in aria tutto il villaggio riunito
per godersi il suo rogo), il mondo finirà di sabato. Sabato prossimo, per
essere proprio precisi. per questo motivo che le temibili armate del Bene e
del Male si stanno ammassando, che i Quattro Motociclisti dell'Apocalisse
stanno scaldando i loro poderosissimi motori e sono pronti a lanciarsi per
strada, e che gli ultimi due scopritori di streghe si preparano a combattere
La battaglia finale, armati di istruzioni clamorosamente antiquate e di
innocue spillette. Atlantide sta emergendo, piovono rane dal cielo. Gli
animi si surriscaldano...

BUONA APOCALISSE A TUTTI!

Il fatto è che le suore dovrebbero stare zitte. Hanno anche la forma giusta, la stessa
conformazione di quei cosi appuntiti che insonorizzano le pareti delle stanze, in cui - il signor
Young ne era vagamente consapevole - si testano gli impianti hi-fi. Come dire, le suore non
dovrebbero chiacchierare tutto il tempo.
Riempì la pipa di tabacco - be’, loro lo chiamavano tabacco, ma non era ciò che lui definiva
tabacco, non era il solito tabacco - e si chiese, assorto, che cosa sarebbe successo se avesse
domandato a una sorella dove fosse il bagno degli uomini. Forse sarebbe arrivato un biglietto scritto
a mano dal papa, o qualcosa del genere. Si accomodò goffamente e diede un’occhiata all’orologio.
Doveva ammettere una cosa, però: se non altro le suore si erano opposte alla sua presenza al
momento del parto. Deirdre aveva insistito tanto. Aveva ricominciato a leggere. Aveva già una
figlia, e tutto a un tratto si era messa a proclamare che il ricovero sarebbe stata la più bella e gioiosa
esperienza di condivisione che due esseri umani potessero provare. Ecco cosa succedeva a
concederle la libertà di scegliersi le letture. Il signor Young non si fidava delle riviste le cui rubriche
vantavano titoli come “Life-styl”e o “Opportunità”.
Per carità, non che ce l’avesse con le gioiose esperienze di condivisione. Le gioiose esperienze di
condivisione gli andavano più che a genio. Il mondo aveva bisogno di gioiose esperienze di
condivisione. Ma il signor Young aveva spiegato a chiare lettere a Deirdre che questa gioiosa
esperienza se la poteva godere anche da sola.
E le suore erano d’accordo. Non vedevano perché il padre avrebbe dovuto essere coinvolto nelle
operazioni. A pensarci bene, rifletté il signor Young, probabilmente non vedevano perché i padri
avrebbero dovuto essere coinvolti in qualsiasi cosa.
Finì di pressare il cosiddetto tabacco nella pipa e indugiò con lo sguardo sul cartello della sala
d’aspetto che gli intimava, per rispetto ai presenti, e cioè a se stesso, di non fumare. Per rispetto a se
stesso, ne convenne, era meglio uscire sotto il portico. E se, per rispetto a se stesso, fuori si fosse
imbattuto anche in un cespuglio discreto, tanto meglio.
Vagò per i corridoi deserti e si infilò in una porta che dava su un cortile spazzato dalla pioggia,
pieno di integerrimi bidoni della spazzatura.
Sentì un brivido di freddo, e accese la pipa coprendola con il palmo della mano.
Le mogli. A una certa età succede a tutte. Venticinque anni senza una macchia, poi,
all’improvviso, le vedi impazzire e mettersi a eseguire esercizi da robot con indosso certi calzettoni
rosa che lasciano scoperti i piedi, e prendersela con te perché non hanno mai dovuto guadagnarsi da
vivere. Una questione di ormoni, probabilmente.
Una grossa automobile nera si fermò, con una sgommata, accanto ai bidoni. Ne sgusciò fuori un
giovanotto con un paio di occhiali da sole, il quale strisciò verso l’entrata, sotto la pioggerella,
spingendo quello che sembrava un passeggino.
Il signor Young si tolse la pipa di bocca. Avvertì cortesemente: «Ha lasciato i fari accesi».
L’uomo gli rivolse lo sguardo vuoto di chi considera i fari di un’auto l’ultimo dei suoi problemi,
e fece un gesto confuso nella direzione della Bentley. Le luci si spensero.
«Pratico, eh?» disse il signor Young. «Cos’è, un telecomando?»
Fu piuttosto sorpreso quando notò che l’uomo non sembrava affatto bagnato. E che sul
passeggino c’era qualcosa.
«Hanno già iniziato?»
Il signor Young si sentì vagamente orgoglioso di essere stato subito riconosciuto come uno dei
genitori.
«Sì» rispose. «Mi hanno fatto uscire» aggiunse soddisfatto.
«Di già? Più o meno quanto tempo abbiamo?»
“Abbiamo”, notò il signor Young. Doveva trattarsi senz’altro di un medico favorevole alla
nozione di famiglia aperta.
«Credo che, be’, ormai sia quasi fatta» disse il signor Young.
«In che stanza è?» chiese l’uomo, di fretta.
«Siamo nella numero tre» rispose Young. Frugò in una tasca e trovò il pacchetto stropicciato
che, secondo tradizione, aveva portato con sé.
«Che ne dice di una gioiosa esperienza di condivisione di sigaro?»
Ma l’uomo si era dileguato.
Il signor Young rimise con cura la scatola al suo posto e fissò perplesso la pipa. Sempre di fretta,
questi dottori. Mai una pausa, per Dio.

Il signor Young guardò alle spalle della suora. «Gemelli?» disse. Cercò la pipa. Smise di cercare
la pipa. Si rimise a cercarla. «Gemelli? Nessuno mi ha parlato di gemelli.»

«Ohilà!» urlò R.P Tyler. «Young!»
Il signor Young stava fumando la pipa nel giardino di fronte a casa, seduto su una sdraio.
Era questo il risultato della recente scoperta di Deirdre riguardo alla nocività del fumo passivo, e
del conseguente divieto di fumare in casa, benché il signor Young fosse restio ad ammetterlo ai
vicini. La cosa non lo allertava. Come, del resto, non gradiva essere chiamato Young dal signor
Tyler.

(http://files.neilgaiman.com/GaimanPratchettHC-718943.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 10:22:01
Moccia, Federico

ha acquisito notorietà solo ultimamente grazie al bestseller 'Tre metri sopra il cielo', ma può vantare un passato di oscuro lavoro dietro le quinte sia in tv che al cinema. Prima di tutto è figlio d'arte: suo padre è infatti Giuseppe Moccia, meglio noto come Pipolo, un autore che spesso in coppia con Franco Castellano è stato  sceneggiatore di varie pellicole di Totò

Tre metri sopra il cielo

Poco più in là, nello studio, su un morbido divano a disegni cachemire, Claudio
si prepara la pipa. Lo diverte quel gran da fare con il tabacco, ma in realtà è solo un
compromesso. A casa non gli permettono più di fumare le sue Marlboro. La moglie,
accanita giocatrice di tennis, e le figlie, fin troppo salutiste, lo riprendono a ogni
sigaretta accesa, così è passato alla pipa. «Ti da più classe, ti fa sembrare più
riflessivo!» aveva detto Raffaella. E infatti lui c'ha riflettuto bene. Meglio tenersi
quel pezzo di legno fra le labbra e un pacchetto di Marlboro nascosto nella tasca della
giacca piuttosto che discutere con lei.
Da un tiro alla pipa mentre fa una panoramica dei canali televisivi. Sa già dove
fermarsi. Alcune ragazze scendono da una scala laterale canticchiando una stupida
canzoncina e mostrando i loro sodissimi seni.
«Claudio, sei pronto?»
Cambia subito canale. «Certo tesoro.»

(http://www.castlerock.it/dbimg/medium/gallery43239.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 10:25:40
La pipa porta consiglio  8)

 Andrew Vachss

Nato nel 1942,  è cresciuto a New York City, a sud di Houston Street prima che l'area venisse chiamata Soho. Si è laureato alla Case-Western Reserve University di Cleveland nel 1965.
Ha lavorato come investigatore federale per i casi di malattie trasmesse sessualmente, come assistente sociale e sindacalista.
Nel 1969 ha fatto parte delle forze di pace in Biafra per la Community Development Foundation delle Nazioni Unite; in seguito, ha diretto un carcere di massima sicurezza per ragazzi "violenti" (1972-73).

Il Buio Nel Cuore

«Essere cristiani non significa rinunciare al sesso», disse. «L'uomo desidera chiaramente fare sesso: è la natura che gli ha dato questo istinto. Ma oggigiorno bisogna stare attenti. Ci sono tante trappole in giro.»
Dalla tasca della camicia tirò fuori una pipa. Una pipa bianca con il cannello giallo. Premette il tabacco col pollice, e ci mise un po' di tempo ad accenderla con un fiammifero di legno. Nessun altro accennò a fumare. Lui aspirò una lunga boccata, poi tenne la pipa in mano, guardandola con aria rilassata.
«Voi ragazzi farete una piccola festa. Lungo la strada, a un'ora di macchina da qui, c'è una zona di puttane. In questo posto hanno tre roulotte parcheggiate l'una accanto all'altra. Si trovano nel bosco dietro una taverna, non le si può vedere dalla strada.

(http://www.johnzeuliphotography.com/images/galleries/andrewvachss/andrewvachss1-6.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 10:35:34
dove si parla male della pipa

Anne e Serge Golon

Quando si pensa ad Angelica ci si ricorda dei pessimi filmetti fatti dai francesi, in cui la storia del romanzo veniva valorizzata solo dai lati sexy del personaggio.Gli autori della serie sono Anne e Serge Golon,lei giornalista francese, lui archeologo di origine russa, sposatisi,cominciarono a scrivere insieme, creando il personaggio

Angelica

Gettò nervosamente un'occhiata al marito. Ogni volta che lo guardava, la vista di quel volto coperto di cicatrici, in cui brillavano le pupille nere come il carbone, le causava un senso di malessere. La palpebra sinistra, semichiusa dal rigonfio di una cicatrice, dava al conte di Peyrac un'espressione di malvagia ironia.
Abbandonato nella sua poltrona, portava in quel momento alla bocca una specie di bastoncino scuro. Un domestico si precipitò tenendo con una pinza un carbone ardente che appoggiò all'estremità del bastoncino.
«Ah! conte, il vostro esempio è deplorevole!» esclamò l'arcivescovo aggrottando le sopracciglia. «Penso che il tabacco sia il frutto dell'inferno. Che lo si adoperi in polvere, al solo scopo di curare gli umori del cervello e dietro consiglio del medico, già lo ammetto a fatica, perché coloro che lo fiutano mi sembra che vi trovino un godimento e troppo spesso prendano pretesto dalla loro salute per grattugiar tabacco ad ogni piè sospinto. Ma i fumatori di pipa sono la feccia delle taverne, dove si abbrutiscono per ore intere con quella pianta maledetta. Sino ad ora non avevo mai sentito dire che un gentiluomo consumasse tabacco in quel modo grossolano.»
«Non posseggo pipe e non fiuto, ma fumo la foglia arrotolata come ho veduto farlo da certi selvaggi dell'America. Nessuno può accusarmi di essere volgare come un moschettiere o manierato come un damerino della corte...»
«Quando vi sono due maniere per fare una cosa, voi dovete sempre trovarne una terza», disse l'arcivescovo, di cattivo umore.

 
Angelica e il giustiziato di Notre-Dame


Il grosso pittore rideva, aspirando il fumo attraverso il lungo cannello della sua pipa.
Dopo che si furono ben rallegrati, Van Ossel tornò al cavalletto, sua moglie Mariedje riprese la posa sui cuscini di velluto azzurro, la figlia maggiore mise il piccolo Eros a sedere su un seggiolone e gli diede la pappa.

Quella notte, un vecchio italiano dal volto nascosto da una maschera di velluto rosso e con una barba bianca che gli scendeva fino a mezza vita, mostrava all'assemblea una divertente scimmietta che, dopo aver osservato un cliente, si metteva a imitarlo bizzarramente nel modo di fumare la pipa o di mettersi il cappello o di portare il bicchiere alla bocca.
Tutti ridevano a crepapelle.

Desgrez, a suo agio nella taverna, aveva posato dinanzi a sé una scatola di corno e grattugiava un po' di tabacco prima di riempire la pipa.
La comparsa di padron Corbasson, il rosticciere, che recava sollevata in alto un'oca arrostita e ancora crepitante, calmò le proteste. Il rumore diminuì e, fra i mormorii di soddisfazione, si udì tintinnare il bossolo di un quartetto di giocatori di dadi.
Desgrez, impassibile, si riempiva la pipa olandese dal lungo cannello.
Angelica strinse i denti.



Angelica alla corte dei miracoli



La notte è fatta per il piacere dei principi e per l'attività dei pitocchi e dei banditi.
I volponi e i raggiratori coi loro spadoni al fianco, i macilenti e i meschinelli con le loro grucce, i convertiti coi loro gran rosari di bosso, i giovinastri tirandosi gli stracci sulla pelle violacea dal freddo, gli straccioni, i piccolotti, i bari, escono dai loro fetidi antri e tentano di entrare nella città evitando le guardie.
Ma le guardie e i birri della prepositura hanno altro da fare che andare a risicare la pelle dalle parti del cimitero dei Santi Innocenti. Fumano la pipa nel corpo di guardia del Castelletto.


Quindi avanzò verso il fondo del locale. Dinanzi alla fiamma del focolare si staccava, nera, l'imponente figura del capitano, il quale perorava a voce alta, reggendo con una mano la pipa dal lungo cannello e, con l'altra, un bicchiere di vino. I suoi interlocutori lo ascoltavano sbadigliando e dondolandosi sulle sedie. Erano abituati alle sue smargiassate.
E lui diceva che non aveva mai visto una ragazza simile. Un corpo di dea! Sì, buon Dio, lo si indovinava sotto gli stracci. Qualcosa di molto diverso dalle grasse ragazze sfiorite che aveva per solito. Ma soprattutto il viso! Da rendervi idiota, parola mia!
«Voglio una notte intera», concluse. «Hai capito? Non una passata come ti proponevo prima... Una notte intera.»
Narrando riprese la pipa con aria vendicativa.
«Così imparerai a fare la smorfiosa!» 



(http://www.geocities.com/HotSprings/Spa/7174/Angelique/angelique02.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Dicembre 2007, 11:29:06
JOHN LAWTON

I romanzi di Lawton,tutti ambientati nell'Inghilterra del secondo conflitto mondiale

IL GRANDE BUIO

Walsh bevve due dita della sua birra e cominciò a frugarsi nelle tasche del cappotto. Un ricciolo schiumoso gli restò attaccato ai baffi come una bava zuccherina. Da una tasca venne fuori una pipa col cannello dritto, dall'altra una borsa per il tabacco. Lentamente Walsh, guardando ogni tanto Troy, riempì la pipa. Troy aveva sempre pensato che la pipa fosse un modo per spacciare la vacuità per concentrazione, l'espediente di un uomo superficiale che volesse apparire pensoso.
«Vorrei confrontare quello che so con quello che sa lei, signor Walsh».
«Ha da accendere?».
«No».
Walsh si sbottonò il cappotto e posò la bombetta sulla sedia vuota lì ac-canto. Portava una giacca grigia a doppio petto e sotto un cardigan con dei piccoli bottoni di pelle marrone che sembravano degli amaretti e Troy si accorse, osservandolo mentre cercava i fiammiferi, che aveva anche un panciotto. Tutti quegli indumenti, uno sull'altro, davano più consistenza alla sua figura, le conferivano quell'imponenza cui lui, evidentemente, teneva. O era solo freddoloso? Accese la pipa e lanciò, attraverso il primo sbuffo di tabacco, la prima freccia che teneva al suo arco.

«È un'assurdità. Voi indagate sempre direttamente per quanto riguarda i vostri agenti».
«Sempre? Può darsi, ma stavolta no».
Walsh si sporse di nuovo in avanti e introdusse una nota confidenziale nel tono della sua voce e nel gesto con il quale batté sul piano del tavolo il dito medio sporco di nicotina che aveva usato per schiacciare il tabacco nel fornello della pipa.
«Lei non apre un'indagine e non consegna quella scheda: si potrebbe parlare di sottrazione di prove. Se mi costringe, dovrò inoltrare la richiesta attraverso i canali ufficiali. Non m'importa degli accordi di reciproca correttezza che possono essersi svolti sopra la mia testa... lei mi obbliga a procedere secondo le regole... convincerò Onions a farlo».
Troy si aspettava da parte di Walsh, poco abituato a essere minacciato dagli inferiori in grado, una reazione violenta. Invece vide che aspirava un'ultima volta, a lungo, il fumo e poi batteva la pipa capovolta sul bordo del portacenere. Prese dal taschino del panciotto un ferretto d'argento e, grattando e picchiando si dedicò alla cerimonia della pulitura del fornello senza smettere di guardare Troy ogni due o tre secondi.
«Sergente, lo sa lei che cos'è una inchiesta interna?» chiese, inarcando le sopracciglia con un'espressione di falsa incredulità.
(http://www.brebbiapipe.it/img/museo_smaltate.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 25 Dicembre 2007, 23:10:45
Sì, filmetti pessimi, ma Michele Mercier grandissima gnocca!
Bernardo

p.s.: mi sono ricollegato! :lol:
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Dicembre 2007, 21:51:45
Si la Mercier aveva un c.. ,non mi viene la parola, diciamo un "che",un qualcosa che attirava dalla prima occhiata. :D
Ma continuo con l'atmosfere del periodo natalizio:

Michael Ende

Il padre di Michael, il pittore surrealista Edgar Ende, aveva un'attività artistica inizialmente ben avviata, che però incontrò nel corso degli anni '30 diverse difficoltà, a causa dell'imporsi del regime nazista, finché, nel 1936, fu costretto a sospendere qualunque esposizione. L'anno successivo tutte le sue opere furono confiscate dalle autorità in quanto "arte decadente".

Gli anni precedenti la guerra, per Michael, furono anni di crescita e studio, nel 1937, muore un  suo amico, Willie: sulla sua immagine lo scrittore modellò l'aspetto di Bastiano, il protagonista de La storia infinita. Nel 1941, una sospensione scolastica lo spinse a pensieri suicidi, che riuscì a superare. L'anno successivo Michael evitò fortunosamente l'ingresso nella Hitler Jugend.

La Storia Infinita

(Il romanzo di Ende è un "metalibro", vale a dire un "libro nel libro" o, sotto un diverso punto di vista, un "libro che parla di altri libri". Le storie di Bastiano e del Regno di Fantàsia s'intrecciano, incastrandosi a vicenda come scatole cinesi per le quali, alla fine, risulta difficile comprendere quale delle due contenga l'altra.)

Aveva una faccia arrossata che faceva pensare al muso di un bulldog incattivito.
Sul gran naso a patata troneggiavano gli occhiali cerchiati d'oro. Una gran pipa
ricurva gli pendeva all'angolo della bocca che ricadeva tutta storta da una parte. Sulle
ginocchia teneva un libro che evidentemente stava leggendo, perché, richiudendolo
di colpo, aveva lasciato fra le pagine l'indice grasso della mano sinistra, come segnalibro,
per così dire.
Ora con la destra si tolse gli occhiali, osservò il ragazzino grassoccio che gli
stava davanti gocciolante, strinse gli occhi, cosa che aumentò l'espressione malevola,
e borbottò soltanto: «Oh buon Dio del cielo!» Poi riaprì il libro e riprese a leggere.
Il bambino non sapeva bene che cosa fare, così restò semplicemente lì senza
muoversi, fissando l'uomo con grandi occhi spalancati.
Alla fine l'altro richiuse di nuovo il libro, mettendo come prima l'indice fra le
pagine a mo' di segnalibro, e borbottò: «Stammi bene a sentire, ragazzo mio. Io non
posso soffrire i bambini. Lo so, lo so che al giorno d'oggi è di gran moda fare un sacco
di storie a proposito dei bambini, ma io no! Io non sono proprio per niente amico
dei bambini. Per me sono soltanto degli sciocchi piagnoni, fastidiosissimi, che rompono
tutto, sporcano i libri di marmellata e ne strappano le pagine, e poi magari se ne
fanno un baffo quando i grandi hanno i loro guai e dispiaceri. Te lo dico soltanto perché
tu ti sappia regolare. Inoltre io non tengo libri per bambini e altri libri non te ne
vendo. Ecco, spero che ci siamo capiti!»
Tutto questo lo aveva detto senza togliersi la pipa di bocca. Ora riaprì di nuovo
il libro e riprese la lettura.


Sbuffò dalla sua pipa un po' di nuvolette. «Be', dopotutto non ha nessuna importanza
come ci chiamiamo, dal momento che non ci rivedremo. Adesso però c'è ancora
una cosa che vorrei sapere da te, e cioè come mai ti sei precipitato nel mio negozio
facendo tutto quel baccano. Mi fa tutta l'impressione che tu stessi scappando. È così?


Invece il vecchio signore andò avanti tranquillo ad accendersi la lunga pipa ricurva,
operazione piuttosto complicata, mentre studiava il ragazzino che aveva di
fronte attraverso i suoi occhiolini, ridicolmente piccoli. Quando finalmente la pipa
cominciò a tirare come si deve, aspirò un paio di lunghe boccate e infine borbottò:
«Be'? Che cosa c'è? Che cosa vuoi di nuovo qui?»
«Io...» cominciò Bastiano inceppandosi, «io le ho rubato un libro. Volevo riportarglielo,
ma non mi è possibile. L'ho perduto, o meglio... be', insomma, non c'è più!»
Il signor Coriandoli smise di tirare boccate e si tolse la pipa dalle labbra.
«Di che libro si tratta?» domandò.
«Era proprio il libro che lei stava leggendo.
«Credo proprio che dovrai deciderti a raccontarmi come stanno esattamente le
cose, figliolo. Siediti. Prego, accomodati!»
Con il bocchino della pipa gli indicò una poltrona di fronte alla sua. Bastiano
sedette.
Quando Bastiano ebbe finito il suo racconto, il signor Coriandoli continuò per
un bel po' a sbuffare in silenzio dietro la sua pipa. Pareva immerso in profonde meditazioni.
Finalmente si schiarì la voce, si rimise ritti gli occhiali sul naso, scrutò a lungo
con occhi indagatori il ragazzo che aveva di fronte e infine disse:
«Una cosa intanto è chiara: tu quel libro non lo hai rubato, perché non appartiene
né a me, né a te, né a chiunque altro. Se non mi sbaglio, il libro stesso viene da
Fantàsia. Chi lo sa, forse in questo preciso momento è arrivato nelle mani di qualcun
altro che si è messo a leggerlo.»
«Allora lei mi crede?» domandò Bastiano.
«Ma naturalmente», rispose il signor Coriandoli, «qualunque persona sensata lo
farebbe.»
«Per essere sincero, su questo non ci avevo contato molto.»
«Caro mio, ci sono persone che non potranno mai arrivare in Fantàsia», disse il
signor Coriandoli, «e ci sono invece persone che possono farlo, ma che poi restano là
per sempre. E infine ci sono quei pochi che vanno in Fantàsia e tornano anche indietro.
Come hai fatto tu. E questi risanano entrambi i mondi.»
«Ah», esclamò Bastiano, e arrossì un poco, «per la verità non è proprio merito
mio. Per un pelo non sono rimasto là. Se non fosse stato per Atreiu, sicuramente adesso
sarei per sempre nella Città degli Imperatori.»
Il signor Coriandoli assentì e continuò pensoso a sbuffare fumo dalla sua pipa.
«Già», borbottò, «tu hai la fortuna di avere un amico in Fantàsia. Dio sa che non
tutti ce l'hanno.»
«Signor Coriandoli», domandò Bastiano, «ma come fa lei a sapere queste cose?
Voglio dire... ma c'è stato anche lei in Fantàsia?»
«Naturalmente», rispose il signor Coriandoli.
«Ma allora deve conoscere anche Fiordiluna!»
«Sì, conosco l'Infanta Imperatrice», disse il signor Coriandoli, «non sotto questo
nome però. Io l'ho chiamata diversamente. Ma questo non ha nessuna importanza.»
«Ma allora deve conoscere anche lei il libro!» esclamò Bastiano. «Allora vuol
dire che ha letto anche lei la Storia Infinita!»
Il signor Coriandoli scosse la testa.
«Ogni vera storia è una Storia Infinita.» Lasciò scorrere lo sguardo sui molti libri
che stavano alle pareti, su, fino al soffitto, poi con il bocchino della pipa li indicò
e continuò:
«Ci sono una quantità di porte che conducono in Fantàsia, ragazzo mio. Di libri
magici come quello ce n'è più d'uno. Molta gente non se ne accorge neppure. Dipende
appunto da chi prende in mano un libro simile.»
(http://www.ihhc.net/public/storiainfinitadrago2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Dicembre 2007, 21:56:17
Edward Rodman Serling

americano di Syracuse, New York, appartiene a quel gruppetto di scrittori che negli anni Cinquanta hanno prodotto una serie di affascinanti spettacoli per la TV degli “anni d’oro”.
Era nato il 25 dicembre del 1924

La notte degli umili

Raconto della serie "Ai Confini della Realtà"


- Cosa succede? - chiese, con asprezza. - Cos’è tutto questo rumore? Perché fate tanta confusione?
Il vecchio che aveva dato inizio allo scompiglio si tolse il cappello e se lo rigirò nervosamente tra le mani. - Sorella Florence - cominciò, diffidente - non ho toccato una goccia da giovedì scorso e questa è la sacrosanta verità! Ma le giuro, e l’ho proprio visto io, con questi occhi, che Babbo Natale sta venendo su per la strada in questa direzione e che dà a tutti dei regali, quello che desideriamo di più!
Dagli altri vecchi si alzarono esclamazioni e mormorii, gli occhi tristi e opachi si ravvivarono, le facce stanche e segnate si animarono e parole eccitate volarono per la stanza.
- Babbo Natale!
- Sta venendo qui!
- E ci porta quello che vogliamo!
In quel momento la porta che dava sulla strada si spalancò ed entrò Henry Corwin, il viso arrossato, gli occhi brillanti, che portava in spalla il borsone di tela di sacco da cui spuntavano pacchi e pacchetti confezionati con carta variamente colorata.
Enfatizzando ogni gesto, Corwin depose il borsone sul pavimento, si raddrizzò, fece l’occhiolino e la classica mossa di Babbo Natale di mettersi l’indice sulla punta del naso. Poi abbracciò i presenti con un’occhiata, sorridendo, e disse, con voce davvero entusiasta: - È la vigilia di Natale, signori, e io ho il mio daffare perché sia un Natale felice. - Si rivolse a uno dei vecchi. - Lei, che cosa le piacerebbe ricevere?
Il vecchietto ossuto indicò se stesso, sbalordito. - Io? - chiese, mostrando le gengive sdentate. Poi si umettò le labbra. - Ecco... - Quasi non riusciva a respirare. - ...vorrei una pipa nuova.
Corwin infilò una mano nella borsa e, senza nemmeno guardare, ne tirò fuori una bella pipa ricurva di radica, marca...... Grandi «oh» e «ah» di tutti, quando il vecchietto ebbe la pipa tra le dita tremanti e la fissò come istupidito.
Corwin si rivolse a un altro. - E lei?
Il secondo vecchietto aprì e chiuse la bocca più volte prima di riuscire a dire: - Be’... - La voce era gracchiante. - Be’... un giaccone di lana?
Con un gesto teatrale, Corwin esclamò: - E un giaccone di lana avrà, mio signore! - Con la mano già nella borsa si fermò e chiese ancora: - Taglia?
Alzando le mani su cui spiccavano azzurre le vene, il secondo vecchietto ribatté: - E chi se ne frega?
Dalla borsa uscì un giaccone di cachemire dal collo alto e a questo punto tutti i vecchi si accalcarono intorno a Corwin, esprimendo i loro desideri, con voce sottile o roca.
- Per me un altro maglione, magari?
- Un po’ di tabacco da pipa, buono...
- Una stecca di sigarette, per favore?
- Oh, un paio di scarpe nuove?
- Una giacca da casa, di quelle imbottite...
E ad ogni richiesta Corwin estraeva l’oggetto desiderato, semplicemente infilando una mano nel suo borsone. Non si era reso conto che, all’esterno del cerchio dei vecchi, sorella Florence lo fissava con sguardo corrucciato. Alla fine la donna si fece strada con malagrazia tra la piccola folla avvicinandosi a Corwin.
- Cos’è questa storia? - sbottò, acida. - Cos’è quest’idea di venire qui a rovinarmi la funzione di musica della vigilia di Natale?
Corwin rise e batté le mani: traboccava di gioia. - Mia cara sorella Florence, non mi chieda di spiegarle niente. Non posso spiegarle niente, perché brancolo nel buio come tutti. Ma ho trovato per caso questo sacco di Babbo Natale e che dà a ognuno esattamente quello che desidera per Natale. E, finché lui continuerà a produrre roba, io continuerò... a tirarla fuori! - Ma aveva gli occhi umidi quando infilò di nuovo la mano nel borsone. - Cosa ne direbbe di un vestito nuovo, sorella Florence?
Di scatto, piena di disapprovazione, l’ossuta donna giro sui tacchi, ma fece in tempo ad intravedere la grossa scatola legata con un nastro che Corwin stava estraendo dal suo sacco.
E daccapo si alzarono le voci dei vecchi, cortesi, lamentose, insistenti. Corwin passò i successivi cinque minuti a distribuire i più svariati oggetti che uscivano dalla borsa, tanto che lo stanzone assunse l’aspetto di un grande magazzino durante l’inventario. Non si accorse nemmeno che sorella Florence era andata a chiamare il poliziotto del quartiere.
Ferma sulla soglia, la donna indicò Corwin e l’agente, facendosi largo tra i vecchi, lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla: torreggiava su di lui, perfetto simbolo della legge e dell’ordine di questo mondo. - Ti chiami Corwin, no? - gli chiese.
Corwin si impettì e gli rivolse un sorriso così ampio che la mascella gli fece male. - Henry Corwin, agente - rispose, poi rise in un accesso di gioia. - Per lo meno mi chiamavo Henry Corwin. Ma forse, adesso, mi chiamo Babbo Natale o qualcos’altro... non lo so.
Il poliziotto lo studiò dalla testa ai piedi, poi annusò l’aria. - Sei ubriaco, eh, Corwin?
Corwin rise ancora, e la sua risata era così meravigliosamente felice e contagiosa che tutti i vecchi, intorno, si misero a ridere. - Ubriaco? - replicò Corwin, quasi gridando. - Certo che sono ubriaco! Naturalmente che sono ubriaco! Sono ubriaco di gioia, di spirito natalizio! Sono intossicato dai prodigi della vigilia di Natale! Sono ebbro di meraviglia e di felicità! Sì, agente... nel nome di Dio sono ubriaco!
Un vecchietto sdentato si guardò in giro, sbalordito. - Ma cos’è che ha bevuto? Qui non c’era niente!
Il poliziotto alzò una mano chiedendo silenzio, poi con espressione pensierosa diede un calcetto al borsone di tela di sacco. - Questo possiamo sistemarlo subito, Corwin - disse. - Basta che mi fai vedere la ricevuta per tutta questa roba.
Il sorriso di Corwin cominciò a svanire. - La ricevuta? - boccheggiò.
- La ricevuta, la fattura, lo scontrino, una cosa così insomma!
I vecchietti si sorrisero a vicenda, annuirono e strizzarono l’occhio, voltandosi fiduciosi verso Babbo Natale.
Corwin non annuì: deglutì a fatica e scosse la testa.
- Niente ricevuta, eh? - fece il poliziotto.
- Niente ricevuta - mormorò Corwin.
Il poliziotto sbuffò con disprezzo e diede un altro calcio al borsone.
- E va bene - dichiarò. - Raccogliete tutta questa roba rubata e impilatela lì. Penserò io a farla restituire a chi di dovere, quando avrò scoperto dove l’ha presa. - Si rivolse a Corwin. - E adesso, Babbo, tu e io faremo una passeggiatina fino al posto di polizia. - Afferrò Corwin per un gomito e lo spinse verso la porta.
Da sopra la spalla, prima di uscire, Corwin diede un’ultima occhiata ai vecchietti: stavano tutti deponendo ordinatamente i loro regali in un mucchio sul pavimento. Lo facevano in silenzio, senza nessuna protesta né gesti di disappunto: era come se sapessero benissimo che i miracoli sono oggetti fragilissimi, facili a spezzarsi. Avevano trascorso l’intera vita a tenersi aggrappati alle loro illusioni e questa non era diversa.
Sorella Florence tornò sulla pedana, annunciò a voce alta il titolo del successivo canto natalizio, abbaiò: - E uno, e due, e tre! - ed intraprese il suo duello all’ultimo sangue con la musica, mentre i vecchietti prendevano a cantare con voce tremula e triste. Ogni tanto, però, l’uno o l’altro avrebbe gettato uno sguardo pieno di desiderio alla pipa di radica marca....... o al giaccone di cachemire del mucchio di regali che si trovava a milioni di chilometri di distanza da loro.
Nella piccola camera di sicurezza del posto di polizia del quartiere l’agente Flaherty faceva la guardia al borsone di tela di sacco e al suo prigioniero, che sedeva sconsolato su una panca, gli occhi bassi.
Un rumore di passi provenne dall’esterno. Erano passi vivaci, piuttosto familiari alle orecchie di Corwin, che immaginò subito a chi appartenessero. E infatti nella camera venne introdotto Walter Dundee.
Dundee inalberava un’espressione di gioia feroce. Si sfregò le mani come un boia soddisfatto del suo lavoro. - Ah, ah, eccolo qui - mormorò, puntando dritto verso Corwin. - Eccoti qui! - esclamò poi, facendo un gesto che comprendeva tutto il locale. - Ed eccola lì - disse, indicando la borsa. - E lei, signor Corwin, mio
insoddisfatto Babbo Natale, finirà presto in prigione! - si rivolse all’agente Flaherty, in tono speranzoso: - Crede che gli daranno dieci anni, almeno?
Il poliziotto fece la faccia scura. - Non promette bene per niente, Corwin - affermò. - Naturalmente potrebbero ridurtela a pochi mesi, se tu ci dicessi dove hai messo il resto del malloppo. - Gettò un’occhiata a Dundee, poi gli indicò Corwin con un cenno della testa.
- Ha regalato roba in giro per due ore e mezzo. Deve averne un magazzino pieno.
Corwin guardò in successione prima Dundee, poi il poliziotto e alla fine la borsa di tela di sacco. - Sono felice che lei se la sia portata dietro, perché qui c’è un piccolo equivoco - affermò, tranquillo.
Dundee contrasse le labbra in una smorfia. - Senta, Robin Hood da strapazzo, un furto di merci del valore di migliaia di dollari non è un “piccolo equivoco”! - si avvicinò alla borsa e, continuando a parlare, cominciò ad aprirla: - E posso anche dirle, Corwin, che questa faccenda non è stata una sorpresa, per me! Sono un buon giudice della natura umana... - Tuffò una mano nella borsa e prese a tirarne fuori il contenuto: borse di plastica piene di rifiuti, lattine vuote, bottiglie rotte e persino un grasso gatto nero che con un miagolio balzò verso la porta e scappò fuori della stanza. - ...e già la prima volta che l’ho vista avevo notato quella luce di criminalità pura nei suoi occhi! - Sempre continuando a parlare, Dundee si dava dei buffetti sul polsino della camicia su cui era finita della salsa di pomodoro. - Non sono un esperto della delinquenza umana per niente! Perciò posso assicurarle...
Si interruppe di colpo e rimase a bocca aperta, accorgendosi finalmente del mucchio di spazzatura che aveva tirato fuori dalla borsa e disposto sul pavimento. Fissò borsa e robaccia a occhi sbarrati, incredulo. L’agente Flaherty stava già facendo lo stesso.
Corwin rivolse ai due un sorriso appena accennato e agitò un dito in direzione della borsa. - Signor Dundee, in un certo qual modo lei ha messo proprio il dito nella piaga! - disse, con voce dolce. Poi agitò ancora il dito in direzione della borsa. - A quanto pare, quella birichina non ha ancora deciso se produrre spazzatura o regali.
Flaherty era sbiancato in viso e dovette aprire e chiudere la bocca più volte prima di riuscire a emettere un suono. - Be’... be’... quando... quando l’ho vista, stava... stava producendo regali. - Si voltò verso Dundee. - Tutto quello che volevano quei vecchietti Corwin glielo dava, e non erano lattine vuote! Erano regali, doni di Natale, tutta roba bella e cara. Può anche ammetterlo, Corwin.
Corwin sorrise. - Oh, lo ammetto, lo ammetto. Quando io ci metto dentro la mano... lei produce regali. - Si strofinò la guancia con fare pensoso. - Ma io credo che il punto fondamentale del nostro problema sia che abbiamo a che fare con la borsa più strana che esista...
Dundee alzò una mano per interromperlo. - Il mio consiglio personale, Corwin, è che lei ripulisca questa porcheria e la porti fuori di qui.
Corwin si strinse nelle spalle, andò dov’era la borsa e cominciò a riempirla con i rifiuti.
Nel frattempo Dundee si rivolgeva al poliziotto. - Quanto a lei, agente Flaherty, come fa a considerarsi un poliziotto? - disse, con pesante sarcasmo. - Immagino
che sia un compito quasi impossibile, per lei, distinguere tra una borsa piena di spazzatura ed una serie di regali di pregio rubati!
Il labbro inferiore un po’ tremolante, Flaherty replicò in tono lamentoso: - Mi creda, signor Dundee, è come ha detto Corwin... Abbiamo a che fare con qualcosa... con qualcosa di soprannaturale!
Dundee scosse la testa. - Sa una cosa, agente Flaherty? Lei mi sbalordisce. Esattamente... lei mi sbalordisce. In altre parole, secondo lei basta che chiediamo al signor Corwin di fare una piccola magia per noi e... detto fatto! - Alzò gli occhi al soffitto. - E va bene! La faccia, Corwin. Avrei voglia di una bottiglia di cherry brandy, vendemmia del Novantatré. - Alzò le braccia in un gesto di disgusto e chiuse gli occhi.
Corwin era a mezza strada dalla porta. Si fermò, sorrise un po’ pensieroso, poi annuì. - Novantatré... un’ottima annata. - Infilò la mano nella borsa e ne estrasse un pacchetto avvolto in carta da regalo, che posò su una panca. Poi si mise la borsa in spalla e uscì dalla camera di sicurezza.
Dundee riaprì gli occhi, tirò fuori un sigaro e, gesticolando, si rivolse al poliziotto. - Adesso, per quanto la riguarda, agente Fla...
- S’interruppe di netto, avendo visto sulla panca la scatola confezionata e chiusa da un nastro.
Il poliziotto andò a prenderla e con dita un po’ tremanti la scartò e ne tirò fuori una grossa bottiglia sagomata, cui era appeso un biglietto. Anche la sua voce tremò leggermente mentre lo leggeva a voce alta. - Felice Natale, signor Dundee.
D’un tratto ed inesplicabilmente il tappo saltò via dalla bottiglia e il poliziotto si sedette pesantemente sulla panca, dato che le gambe non lo sostenevano più.
A bocca spalancata, Dundee fissava la bottiglia.
Alla fine, ripresosi, il poliziotto la afferrò di nuovo, ne ripulì il collo con la mano e la tese al signor Dundee. - Dopo di lei.
Barcollando un poco, Dundee fece due passi verso Flaherty, accettò la bottiglia, se la portò alla bocca, poi la restituì al poliziotto.
Sedutisi a fianco a fianco, i due uomini bevvero a turno, da un inatteso e inattendibile dono di Natale che entrambi erano certi fosse frutto della loro fantasia, così come doveva essere pura illusione il senso di calore improvviso che gli si diffondeva nello stomaco. Ma si erano seduti lì. E bevevano. E il liquido di fantasia nella bottiglia immaginaria era il migliore cherry brandy che avessero mai bevuto.
Una neve leggera e farinosa scendeva dal cielo attraversando l’alone di luce del lampione all’angolo della strada, sotto il quale sedeva Henry Corwin, il borsone di tela di sacco tra le gambe. C’era un fitto andirivieni di persone. Ma ognuna di loro arrivava a mani vuote e ne se andava portandosi via qualunque prezioso regalo avesse chiesto. Un vecchietto stringeva al cuore un giaccone imbottito; un’immigrata dal viso triste, avvolta in uno scialle, coccolava tra le braccia un paio di stivali con il pelo, mentre si allontanava; due bambini portoricani avevano caricato i loro doni su un carrettino rosso, nuovo fiammante e, chiacchierando eccitati come due scoiattoli, correvano in mezzo alla neve. Un barbone della Bowery dagli occhi cisposi si aggrappava, felice, ad un televisore portatile. E altri ancora vennero e se ne andarono:
una magra ragazza di colore, a malapena in grado di camminare; un ottantenne ex nostromo di cargo che da vent’anni non navigava più; un cantore di gospel, cieco, che fissava, senza vederla, la nevicata notturna e che piangeva silenziosamente mentre due vicini lo aiutavano a spingere sul marciapiede un nuovo armonium per portarlo nella sua camera d’affitto.
E la voce di Henry Corwin sovrastava i rumori del traffico, mentre le sue mani entravano e uscivano dal borsone, svolazzanti come farfalle: - Felice Natale... Felice Natale... Felice Natale... Ecco un maglione per te. Che cosa vuoi, tesoro?... Una bambola? Eccotela. Un trenino elettrico? Ne ho un mucchio!... Una giacca pesante? Qui ce n’è quante ne vuoi... Che cos’hai detto, amore di mamma?... Una bambola anche tu?... Che colore di capelli preferisci... bionda, bruna, rossa oppure uguale a te?
E i giocattoli continuavano ad uscire e Henry Corwin provava una gioia, una soddisfazione, un senso di appagamento che mai aveva conosciuto prima. Fu solamente quando da un distante campanile gli giunse l’allegro scampanio di mezzanotte che Henry Corwin si rese conto di essere rimasto quasi del tutto solo e che il borsone di tela di sacco gli giaceva vuoto e sgonfio ai piedi.
Il vecchietto sdentato, che si era infilato il suo giaccone imbottito sopra la giacca lisa, si girò a guardare verso il campanile, dicendo sottovoce: - È Natale, Henry. Sia Pace in Terra e sia data agli uomini la Buona Volontà.
Un bambinetto portoricano, che stava disponendo in fila i suoi soldatini nella neve, sorrise a Babbo Natale ancora seduto sul marciapiede. - Dio ci benedica tutti - bisbigliò.
Corwin gli sorrise di rimando e si sentì le guance bagnate, ma non per la neve. Continuò a sorridere toccando la tela di sacco della borsa vuota. - Un Felice Natale a tutti. - Si alzò in piedi e gettò un’occhiata al vecchio che gli stava vicino. Poi si raddrizzò la barba finta e s’incamminò giù per la strada.
Il vecchio gli toccò un braccio. - Ehi, Babbo Natale! Non ti sei tenuto niente, per te, questo Natale?
- Per me? - replicò Corwin, tranquillo. - Ma io ho avuto il più bel Natale da secoli e secoli.
- Ma non hai niente per te? - insisté il vecchietto, indicando la borsa vuota. - Neanche un regalino?
Corwin si toccò i finti peli della barba bianca. - La sai una cosa? Non riesco a pensare ad alcun regalo che vorrei. - Guardò ancora verso la borsa vuota. - Anzi, credo che l’unica cosa che ho mai voluto, fosse di essere il più grosso distributore di doni di tutti i tempi. E stasera l’ho ottenuta, in un certo senso. - Camminò lentamente lungo il marciapiede coperto di neve. - Però, se avessi la possibilità di scegliere... anche una possibilità sola, un regalo per me... - Si interruppe e gettò un’occhiata da sopra la spalla al vecchietto che si era fermato. - ... credo che vorrei poter fare la stessa cosa ogni anno. - Strizzò l’occhio e fece una smorfia. - Questo sì che sarebbe un regalo, non ti pare?
Il vecchio gli sorrise.
- Dio ti benedica - disse ancora Corwin - e Buon Natale.
- Anche a te, Henry, anche a te - rispose il vecchio.
Henry Corwin percorse lentamente la strada. Si sentiva improvvisamente vuoto e un po’ stordito, come se avesse attraversato una terra piena di luci e colori e d’un tratto fosse entrato in un grigio limbo. Non si accorse di fermarsi, ma a un certo punto si ritrovò, immobile, all’imbocco del solito vicolo. Ci entrò, guardò e, non credendo ai propri occhi, guardò una seconda volta, trattenendo il fiato. La mente, la logica, l’esperienza di ciò che poteva o non poteva esistere gli dissero in un istante che si trattava di un’illusione, semplicemente di un’illusione in più in una notte già colma di illusioni. Tuttavia, c’era.
In fondo al vicolo, quasi all’altra estremità, era ferma una slitta molto piccola, cui erano attaccate otto minuscole renne. E, cosa ancor più incredibile, a lato della slitta c’era un nanetto che fumava la pipa. Corwin si strofinò gli occhi con le nocche degli indici, e se li strofinò più volte, ma quando sbirciò tra le dita semiaperte la scena non era cambiata.
- Abbiamo aspettato un bel po’, Babbo Natale - disse il nanetto, tirando una boccata dalla pipa.
Corwin scosse la testa come per schiarirsi le idee. Tutto quello che voleva era sdraiarsi nella neve e dormire. L’intera faccenda era una finzione... su quello non poteva esserci alcun dubbio. Sorrise stupidamente, poi ridacchiò, indicando la pipa. - Il fumo ti impedirà di crescere! - ridacchiò di nuovo e decise che non valeva la pena di mettersi a dormire dato che, ovviamente, lui doveva già essere addormentato... se stava sognando.
Il nanetto riprese, con un niente di impazienza nella voce: - Mi hai sentito? Ho detto che ti abbiamo aspettato un bel po’, Babbo Natale.
Corwin lasciò che le parole gli s’imprimessero nella mente, poi con grande lentezza alzò la mano destra e si toccò il petto.
Il nanetto annuì. - E adesso abbiamo un anno di duro lavoro davanti a noi, per prepararci per il prossimo Natale. Perciò andiamo, muoviamoci!
Henry Corwin si incamminò lentamente nel vicolo e, come in sogno, salì sulla piccola slitta.
L’agente di polizia Patrick J. Flaherty e Walter Dundee, braccio sotto braccio, scesero i gradini del posto di polizia, sentendosi benissimo.
Arrivati in fondo si fermarono.
- Va a casa, adesso, agente Flaherty? - chiese Dundee.
Flaherty gli rivolse un sorriso felice, benché avesse gli occhi un po’ annebbiati. - Vado a casa, signor Dundee. E lei?
- Vado a casa, agente Flaherty. Questa è la più bella vigilia di Natale che io abbia mai passato.
Li raggiunse un suono bizzarro ed entrambi alzarono gli occhi, fissando il cielo notturno.
Dundee rabbrividì. - Fla... Fla... Flaherty? Giurerei che... - Si girò verso il poliziotto che stava battendo le palpebre e strofinandosi gli occhi. - Lo ha visto anche lei?
Il poliziotto assentì. - Credo di sì.

(http://www.televisionheaven.co.uk/rodserling.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Dicembre 2007, 21:59:06
Acheng

"Sono nato il 5 aprile 1949 in un sobborgo a ovest di Beiping (l’attuale Pechino). Più tardi mio padre mi disse che, poiché ero nato nella località della miniera di carbone chiamata Chengzi, aveva deciso di darmi nome Chengzi. Il nome Acheng è venuto dopo, e se è stato conservato il carattere “cheng”1, è perché mio padre voleva testimoniare il successo della politica di Mao Zedong, «accerchiare le città partendo dalle zone rurali e poi conquistarle». "

Venuto in Italia sul principio del 1992, Acheng ebbe modo di esprimersi con diversi intervistatori, e in una di tali occasioni disse qual è l’idea di fondo di questi suoi racconti: «come può un uomo conservare la propria forza mentre va in frantumi il mondo che gli sta intorno».

La Trilogia dei Re

Nel 1976 erano già sette anni che lavoravo nella brigata di produzione. Avevo imparato ad abbattere gli alberi, bruciare le stoppie, scavare le buche, selezionare le pianticelle, zappare il terreno, rivoltare le zolle, seminare il grano, nutrire i maiali, tagliare l’erba, fare mattoni cotti al sole. L’unico problema era che, essendo debole di costituzione, non ero tra i migliori. Ma questo non mi preoccupava, dopotutto riuscivo a mantenermi con il mio lavoro.
Un giorno di gennaio, il segretario di partito della brigata mi chiamò a casa sua. Non avevo idea di cosa volesse. Entrai, mi accucciai nel vano della porta e attesi che parlasse. Il segretario mi lanciò da lontano una sigaretta, io non la vidi e finì per terra. Quando me ne accorsi, la raccolsi in fretta e gli sorrisi. Lui mi lanciò i fiammiferi; io accesi, tirai una boccata e dissi: - È una Jin-shajiang? - Il segretario annuì mentre fumava facendo gorgogliare la sua pipa ad acqua.
Quando ebbe finito di fumare, appoggiò al muro la pipa di bambù, si fregò le mani, si soffiò il naso e disse: - Dura la vita nella brigata, eh? - Guardandolo annuii. - Tu hai talento - continuò.
Io trasalii, pensavo stesse per farmi una ramanzina: come girando una macina passai mentalmente in rassegna le mie azioni alla ricerca di qualche errore commesso, ma non trovai niente e allora dissi ridendo: - Il segretario mi prende in giro? Se c’è un lavoro per me, me lo assegni pure, farò del mio meglio.
- Non sta più a me assegnarti il lavoro - disse il segretario. - L’azienda periferica ha deciso di mandarti a insegnare alla scuola. Ti devi presentare domani. Vedi di lavorare bene, non ci far fare brutta figura. Tu conosci il mio terzogenito, per lui studiare è una fatica, quando sarai alla scuola mettilo al torchio e se è indisciplinato dagliele, non aver paura, e fammelo sapere, che le prenderà anche da me. - Mentre parlava mi lanciò un foglio di carta sul quale era tutto scritto per filo e per segno, sotto c’era un grande timbro rosso, a provare che tutto era in regola.
Ero contentissimo. Uscito dalla casa del segretario, tornai al dormitorio per preparare il bagaglio. Lao Hei, il mio compagno di stanza, stava seduto a gambe incrociate sul letto intento a togliersi delle spine dalla pianta di un piede. Sulle prime vedendomi piegare l’imbottita e arrotolare il materasso non ci fece caso, ma quando mi vide legare con la corda il bagaglio chiese allungando il collo: - Che combini? - Trattenendo il respiro buttai lì il motivo. Lao Hei con un balzo fu giù dal letto e tirandosi su i pantaloni gridò: - Che i tuoi antenati siano fottuti! Com’è possibile che mandino te ad insegnare?


(http://www.treccani.it/site/Scuola/nellascuola/area_storia/archivio/rivoluzionecinese/images/Masci.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Dicembre 2007, 00:06:03
La pipa e il gioco degli scacchi,l'abbinamento è bellissimo.
La descrizione di Edgar di un famoso automa che giocava a scacchi nella metà del 700,episodio vero ma l'automa una mistificazione.
Raffigurava un turco di legno che fumava una pipa di legno,chissà con quale tabacco? 8O  :D

Edgar Allan Poe

Il Giocatore di Scacchi di Maelzel

Il Giocatore di Scacchi fu inventato nel 1769 dal barone Kempelen, un nobile
ungherese di Presburg, il quale, in seguito, lo cedette, con il segreto del suo
funzionamento, all’attuale possessore. Poco dopo il suo completamento, l’Automa fu
esibito a Presburg, Parigi, Vienna, e altre capitali del continente. Nel 1783 e 1784, il
signor Maelzel lo portò a Londra. In questi ultimi anni, ha fatto il giro delle principali
città degli Stati Uniti, suscitando ogni volta grandissima curiosità; e persone di ogni
ceto e grado tentarono di scoprire il mistero delle sue operazioni. La riproduzione
contenuta in questa pagina, dà un’idea abbastanza approssimativa di come appariva la
figura, qualche settimana fa, agli abitanti di Richmond. Il braccio destro dovrebbe
essere più allungato sul mobiletto, sul quale si dovrebbe vedere una scacchiera. E non
si dovrebbe vedere il cuscino, fintanto che l’Automa regge la pipa. Da quando il
Giocatore entrò in possesso di Maelzel, sono state anche apportate piccole modifiche
al costume – per esempio, originariamente mancava la piuma.
All’ora fissata per l’esibizione, si alza un sipario o si aprono delle porte scorrevoli,
e il congegno viene portato avanti, a circa dodici piedi dallo spettatore più vicino e,
fra quest’ultimo e l’Automa, si tende una corda. Si vede una figura abbigliata in
costume turco, seduta a gambe incrociate, dietro un mobiletto apparentemente di
acero, che serve da tavolino. Se qualcuno lo chiede, l’espositore spinge il congegno
in un punto qualsiasi della sala, o lo lascia in un punto indicato, o perfino lo sposta
più volte durante la partita. Il fondo del mobile è molto rialzato da terra, grazie alle
rotelle su cui si muove, cosi che gli spettatori possono vedere chiaramente lo spazio
immediatamente sottostante l’Automa. La sedia su cui esso siede è fissata al mobile
sul cui ripiano c’è una scacchiera, anch’essa inamovibile. Il braccio destro del
Giocatore è teso in avanti, ad angolo retto con il corpo, appoggiato con apparente
noncuranza accanto alla scacchiera, col dorso della mano verso l’alto. La scacchiera è
di circa 18 pollici quadrati. Il braccio sinistro è invece piegato a gomito, e la mano
sinistra regge una pipa. Un tendaggio verde nasconde il retro del turco, ricadendogli
parzialmente sulle spalle. A giudicare dall’aspetto esteriore, il mobile è diviso in
cinque scomparti – tre sportelli, di uguale dimensione, e due cassetti nella parte
inferiore. Questa descrizione si riferisce alla prima apparizione in pubblico
dell’Automa.
A questo punto, Maelzel comunica ai presenti che mostrerà loro il meccanismo del
congegno. Trae di tasca un mazzo di chiavi e, con una di esse, apre il primo sportello
(n. 1 dell’illustrazione) affinché tutti possano ispezionarlo. L’interno è
apparentemente colmo di ruote, pignoni, leve e altri ingranaggi, uno addossato
all’altro così che l’occhio può solo scrutarne la superficie. Lasciando questo sportello
spalancato, si porta alle spalle del mobile e, alzando il drappeggio che copre la figura,
apre un altro sportello, collocato esattamente dietro il primo. Accostando ad esso una
candela accesa e spostando varie volte il congegno, ne illumina completamente
l’interno, così che gli spettatori possono rendersi conto che esso è pieno zeppo di
ingranaggi. Una volta che gli astanti se ne sono convinti, Maelzel richiude a chiave lo
sportello posteriore, lascia ricadere il tendaggio sulla figura e torna davanti al mobile.
Non dimenticate che lo sportello n. 1 è sempre aperto. L’espositore procede ora
all’apertura del cassetto nella parte inferiore – sembra che ce ne siano due ma, in
realtà, è uno solo – le doppie maniglie e le doppie serrature servono unicamente da
ornamento. Una volta aperto completamente il cassetto, si vedono un piccolo cuscino
e una serie di pezzi degli scacchi fissati su un telaio che li regge perpendicolarmente.
Lasciando aperto il cassetto, come lo sportello 1, Maelzel apre adesso gli sportelli 2 e
3; e si scopre che sono sportelli a soffietto, che danno nello stesso scomparto interno
la cui parte destra, però (destra per chi lo guarda) presenta una piccola divisione,
larga circa sei pollici, anche questa piena di ingranaggi. Lo scomparto principale
(chiameremo così quello che si vede aprendo gli sportelli 2 e 3) è foderato di panno
scuro e non contiene alcun ingranaggio tranne due pezzi d’acciaio, a forma di
quadranti, collocati nei due angoli posteriori, in alto. Sul piano inferiore dello
scomparto, accanto all’angolo posteriore a sinistra di chi guarda, c’è una piccola
protuberanza di circa otto pollici quadrati, anch’essa coperta di panno scuro.
Lasciando aperti gli sportelli 2 e 3, oltre al cassetto e allo sportello n. 1, il presentatore
si porta sul retro dello scomparto principale e, aprendo un’altra porticina, ne
mostra chiaramente l’interno, introducendovi una candela. Dopo avere così apparentemente
mostrato al pubblico l’intero mobile, Maelzel, sempre lasciando sportelli,
porta e cassetti aperti, fa fare un giro completo all’Automa e, sollevando il
drappeggio, mostra il retro della figura del turco. Apre una porticina di circa dieci
pollici quadrati, all’altezza dei fianchi e un’altra, più piccola, nella coscia sinistra. Da
queste aperture, si vede l’interno della figura, che appare pieno di ingranaggi. In
genere, a questo punto gli spettatori sono pienamente convinti di avere visto e
osservato l’Automa in ogni sua parte e, se mai qualcuno avesse pensato che
all’interno si nascondesse qualcuno, dopo una esposizione così completa scarta
immediatamente l’idea, giudicandola del tutto assurda.
Dopo aver riportato il congegno nella sua posizione originale, Maelzel comunica ai
presenti che l’Automa giocherà una partita a scacchi con chiunque vorrà cimentarsi
con lui. La sfida è accettata, e viene preparato un tavolino per l’antagonista, accanto
alla corda ma dalla parte degli spettatori, collocandolo in modo che tutti possano
vedere perfettamente l’Automa. Da un cassetto di questo tavolino si estraggono poi i
pezzi degli scacchi che in genere, ma non sempre, Maelzel stesso colloca con le
proprie mani sulla scacchiera, che è semplicemente dipinta sul ripiano del tavolino.
Quando lo sfidante ha preso posto, il presentatore apre il cassetto del mobile, da cui
estrae il cuscino che pone come appoggio sotto il braccio sinistro dell’Automa, dopo
avergli tolto di mano la pipa. Dallo stesso cassetto prende anche i pezzi degli scacchi
che dispone sulla scacchiera davanti alla figura. Dopo di che, richiude gli sportelli a
chiave, lasciando il mazzo delle chiavi nello sportello 1. Chiude anche il cassetto e
carica il congegno inserendo nel mobile una chiave, dal lato sinistro dello spettatore.
La partita ha ora inizio – con l’Automa che fa la prima mossa.
(http://www.cicap.org/new/images/a/d/turco.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Dicembre 2007, 00:07:58
Stefan Zweig
Austriaco romanziere, traduttore, acuto biografo e librettista, Zweig ci ha lasciato una ricca produzione letteraria. Dalle sue novelle sono stati tratti almeno venti film. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, perché pacifista e fervido sostenitore dell'idea di “Europa”, si scontrò con le autorità austriache. Vent'anni dopo, perché ebreo, fu perseguitato dai nazisti e dovette rifugiarsi in Inghilterra.Il 22 febbraio del 1942 a Petropolis, una cittadina a nord di Rio de Janeiro, lo scrittore e sua moglie Lotte Altmann si tolsero la vita.

Novella degli scacchi

Mentre il parroco, la sera, fumando pacifico la lunga pipa da contadino, giocava col maresciallo della gendarmeria le sue solite tre partite a scacchi, il ragazzo dalle bionde ciocche spioventi se ne stava accoccolato in silenzio lì accanto e sotto le palpebre grevi, in apparenza assonnato ed indifferente, fissava la scacchiera. Una sera d’inverno, mentre i due giocatori erano assorti nella loro partita quotidiana, dalla strada del villaggio si udirono risuonare sempre più rapide e vicine le campanelle di una slitta. Un contadino, col berretto incipriato di neve, entrò di furia: la sua vecchia madre era moribonda, e il parroco doveva affrettarsi per impartirle in tempo l’estrema unzione. Senza esitare il parroco lo seguì. Il maresciallo, che non aveva ancora finito il suo bicchiere di birra, si accese una nuova pipa prima di andar via; e stava appunto per calzare i pesanti stivaloni, quando fu colpito dallo sguardo di Mirko, fisso immobile sulla scacchiera con la partita incominciata.
(http://www.logoslibrary.eu/users/bio_images/zwei.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 30 Dicembre 2007, 21:41:23
Una prefazione posta in mezzo al 3d,del resto mancava in un argomento trattato così a lungo.

Quando la pipa è protagonista e quando non lo è

 La prima pipa era sacra fù  donata da gli dei alla "nazione degli uomini",così dice la storia  dei  Lakota.Il suo uso era rituale,solo potenti uomini di medicina potevano toccarla fumarla,farne copie da assegnare a gli allievi più degni.
Il fornello acceso della pipa in quelle cerimonie era il centro del mondo,il fumo che saliva verso il cielo,rappresentava un tramite fra la tribù e il divino.Il suo uso successivo fu quello di oggetto sacro,ma  anche per le pubbliche relazioni,ci ricordiamo i films con gli indiani che fumano il calumet della pace etc.
Nella letteratura di genere "fantasy" la pipa viene molto usata ,dai varii autori ,proprio per il suo retaggio sacro,fumata sempre da personaggi riconducibili a quelle tradizioni,ovvero elfi ,gnomi, maghi,etc.
Difficilmente in quelle pipe viene bruciato tabacco,quando lo è non viene da monopoli o manifatture.
Vi sono intere collane che pubblicano solo genere fantasy,in molte brutte copie,la pipa è solamente ornamentale,come il cappellino dello gnomo,o il fungo rosso a pallini bianchi,accanto a lui.
Nei romanzi capostipiti del genere,la pipa in alcune scene è la vera protagonista:

""« È un bellissimo giorno per una pipata all'aperto, per di più. Se
avete una pipa con voi, sedetevi e prendete un po' del mio tabacco! Non c'è fretta, abbiamo
tutto il giorno davanti a noi! ». E Bilbo si sedette su un sedile accanto alla porta, incrociò le
gambe e fece un bell'anello grigio di fumo che salì in aria senza rompersi e si librò sopra la
Collina.""


Sembra quasi di sentire il fruscio del ruscello,il rumore delle cicale,se vogliamo possiamo immaginarci anche una musica di sottofondo,o il richiamo lontano di un papero .
La pipa rende veri i personaggi fantastici,con le loro gioie e i dolori,li rende umani con le loro abitudini,abitanti del nostro mondo anche se non lo sono.
Diventa una pausa di relax anche in pieno dramma,fa tirare un sospiro al lettore ma  mantiene la tensione e la voglia di sapere come andrà a finire,per un attimo è il centro di attenzione di tutta una scena:

"""Mi sedetti su un tronco dinanzi al fuoco, e Hasan s'infilò nella Gauzy. Ne riemerse un minuto dopo con la pipa e un blocchetto di roba dura dall'aspetto resinoso, che procedette a spezzare e ridurre in polvere. La mi­schiò con un pizzico di tabacco, e poi ne riempi la pi­pa. Dopo averla accesa con un tizzone raccolto dal fuo­co, si sedette a fumare al mio fianco.
- Non voglio ucciderti, Karagee - disse.
- Condivido questo sentimento. Non voglio essere ucciso."""


Fa diventare una scena fantastica ancora più follemente paradossale:

"""Si alzò sulle punte dei piedi, e sbirciò oltre il bordo, e subito incrociò lo sguardo di un grande bruco azzurro, che se ne stava seduto sopra il fungo, con le braccia conserte, fumando immobile un lungo narghilè, senza minimamente curarsi né di lei né di qualsiasi altra cosa."""

La pipa accesa fa capire con che stato d'animo vede un paesaggio,un eventuale viaggiatore,qualunque esso sia,spettatore,pirata, avventuriero:

"""Accese il suo cibuc e si sedette sulla murata di prora, lasciando penzolare le gambe sul fiume che rumoreggiava intorno alla bangle. Il sole stava allora tramontando dietro le alte cime dei palas, quei bellissimi alberi dal tronco nodoso e massiccio, coronato da un fitto padiglione di foglie vellutate, d'un verde azzurrognolo, donde partono degli enormi grappoli fiammeggianti, dai quali si ricava una polvere color di rosa, adoperata dagli indù nelle feste di Holi. """

La pipa diventa un segnale che stà per succedere qualcosa,è una grande esaltatrice di stati d'animo,l'atmosfera del racconto si crea e si addensa come il suo fumo:

"""Dopo qualche
esitazione, il forestiero si appoggiò contro uno stipite del
portone, tirò fuori una corta pipa di terracotta e prese a
riempirla. Gli tremavano le dita. L'accese con una certa
difficoltà e, incrociate le braccia, incominciò a fumare con
un'aria languida (smentita però dalle fuggevoli occhiate che
ogni tanto lanciava in cortile).
Il forestiero, all'improvviso, si scosse e si mise la pipa in
tasca. Poi scomparve in cortile """


Ma nella maggior parte dei romanzi  è una pipa solamente descrittiva,accese la pipa,spense la pipa,aspettava con la pipa in mano,cappello baffoni a manubrio e pipa,etc...
Nel genere giallo ,o noire,si trova come pausa di riflessione,a volte per allungare una scena ed aumentarne la
souspance,un po' di quiete prima,dopo e durante la tempesta.
Sottolinea il lato umano di Maigret,che vive anche la sua vita e non fa il commissario full time,rende ancora più affettati Sherlock Holmes e Philo Vance.
Stephen King riesce a creare atmosfere d' imprevisto,di scoperte meravigliose,in una semplice descrizione:

"""Era una Meerschaum, con un fornello largo e
profondo. Era stata creata dalle mani di un mastro artigiano, quella
pipa; intorno al fornello s'intrecciavano uccelli in volo e fiori e
rampicanti in un disegno che sembrava cambiare a seconda dell'angolazione
dalla quale lo si guardava."""


Mentre Raymond Chandler inserisce la pipa, come un asterisco, nelle sue descrizioni metafisiche della megalopoli,il protagonista accende la pipa e comincia tutto...:

"""Una striscia di sole scivolò lungo l'orlo della scrivania e cadde senza rumore sul tappeto. Semafori si accendevano e si spegnevano sul boulevard, passavano tram suburbani con fragore; nell'ufficio dell'avvocato oltre la parete sottile picchiettava una macchina da scrivere. Io avevo appena riempito e acceso la pipa quando il telefono squillò di nuovo."""

Nei gialli di azione pura,stile america anni 50 e oltre,la pipa viene sostituita dalla sigaretta,infati è inutile quando non si pensa o non si fa finta di pensare,la trama è piena di pugni,bourbon e puttane,altro non serve.
Nelle country story c'è sempre un personaggio che sta seduto in un'aia a raccontare o parlare di qualcosa,la pipa che fuma rappresenta il legame con la terra,tali personaggi sono inamovibili,stanno sempre laggiù seduti da qualche parte.
Se devono indicare un luogo lo fanno con il bocchino della pipa,senza alzarsi,dopo averlo fatto sputano per terra..
Nella poesia possiamo dire che le pipe hanno un anima,c'è un amore fedele  fra la pipa e chi la usa,tanta strada e tanta vita vissuta insieme.
Nei film's la pipa completa un personaggio,così come nei carton's.
Ma diventa in alcuni momenti la protagonista,come per ogni altro genere che esaminiamo,è la bravura del regista che la anima.

(http://www.calabash.it/components/com_simpleboard/uploaded/images/24805t.jpg)

Nella letteratura newrealista,la pipa aggiunge una qualità alla dimensione umana,ne scandisce il tempo,entra negli usi comuni,si fuma come si beve si mangia si vive,l'uomo è questo, la sua vita di relazione, un insieme di amicizie,abitudini,vizi e virtù.
Ma con la pipa in bocca si possono affrontare situazioni o discussioni anche imbarazzanti,con tranquillità,Bassani docet:

"""Quando tornammo da basso, Malnate stava chiacchierando con la tenutaria. Aveva tirato fuori la pipa: parlava e fumava. Si informava del «trattamento economico» riservato alle prostitute, del «meccanismo» del loro avvicendamento quindicinale, del «controllo medico», eccetera e la donna gli rispondeva con pari impegno e serietà."""

La pipa arricchisce il racconto umoristico,ne aumenta come nella fantasy il paradosso,spesso basta da sola,magari con altri piccoli accessori, a creare una macchietta unica e irripetibile:

(http://www.calabash.it/components/com_simpleboard/uploaded/images/278ge2.jpg)

Il romanzo di genere avventuroso è quello in cui la pipa ha avuto la sua migliore ambientazione,è mia opinione che il mare sia il palcoscenico dove ha dato il meglio di se ,anche se in altri scenari non ha per niente sfigurato.
Faccio un solo esempio dove in pieno dramma la pipa diventa  strumento di un rito di passaggio dalla condizione umana, a quella di ossesso che va incontro alla  sua fine ,un vero dramma amletico in pieno oceano descritto insuperabilmente da Herman Melville:

"""Passò qualche minuto. Il fumo denso gli usciva di bocca in sbuffi continui e fitti, che il vento gli risoffiava in faccia. Alla fine si levò la canna di bocca e cominciò a parlare da solo: «Ma come, il fumo non mi rasserena più. Deve andarmi proprio male, cara pipa, se il tuo incanto è sparito! Sono stato qui a stancarmi senza rendermene conto, invece di provare piacere. Proprio così, e per tutto il tempo ho fumato controvento come un idiota; controvento e tirando coi nervi, come una balena in agonia, ché le mie ultime sfiatate sono le più forti e le più tormentose. Ma perché uso questa pipa? È una cosa fatta per chi è sereno, per mandare il suo fumo bianco e gentile in mezzo a dei quieti capelli bianchi, e non tra ciuffi spelacchiati, grigi come il ferro, come questi miei. Non voglio più fumare...»
Buttò in acqua la pipa ancora accesa. La brace fischiò tra le onde. E nello stesso momento la nave, con un balzo, si lasciò dietro la bolla che la pipa fece affondando. Achab si tirò il cappello sul naso e cominciò a misurare il ponte come un ladro. """
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 31 Dicembre 2007, 10:14:37
Citazione da: "Cristiano"
Di nuovo debbo segnalare ripetuti richiami alla pipa in un'opera di W.S. Maugham: la Diva Julia, sempre per Adelphi
ieri ho visto in dvd il film di Ivan Stzabo tratto dal romanzo (di cui è indegno). Jeremy Irons (Michael) ha sempre infilata in bocca una lunga pipa dritta
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2008, 19:07:18
dove si parla di una penna che attraversa uno stargate,invece una pipa non passa, stilus volant pipa manent  (Termostato)

Howard Fast

è nato a New York nel 1914. Scrittore celebre e prolifico, da sempre impegnato nelle battaglie civili (il che gli procurò varie difficoltà negli anni del maccartismo), ha espresso la propria concezione della società in una serie di romanzi storici di forte impatto. Tra i suoi libri: L'ultima frontiera, Il cittadino Tom Paine, Sacco e Vanzetti, La confessione di Joe Culler, Gli emigranti,Sciopero,L'ultima frontiera,La doppia vita di Silvya West, Spartacus.
Best seller internazionale, ha ispirato l'omonimo capolavoro di Stanley Kubrick con Kirk Douglas, premiato con quattro Oscar. Howard Fast vive nel Connecticut e continua a dedicarsi all'attività letteraria.

Il cerchio  

I sedici giovani robusti sollevarono Cerchio e piedestallo e trasportarono il tutto in un altro punto del cortile. La folla li seguì con il rispetto e l’interesse degli spettatori a un campionato di golf, e le telecamere vennero spostate. Ancora una volta il professore ripeté l’esperimento, lanciando nel Cerchio una vecchia pipa. Com’era successo con la gomma anche la pipa cadde a terra, dall’altra parte del Cerchio.
- Così dobbiamo provare un’altra volta - disse al megafono. - Forse non riusciremo mai a trovare il punto adatto. Forse l’intero apparecchio non serve a niente. Una volta la scienza era una serva della meccanica prevedibile. Oggi due più due può avere, come risultato, l’infinito. Comunque quella era un’ottima pipa, e sono felice di averla potuta recuperare.
In quel momento a tutti i presenti fu chiaro che l’oggetto lanciato nel Cerchio non doveva più emergere dall’altra parte. Se non fosse stato Hepplemeyer a fare l’esperimento, la folla, i fotografi, i giornalisti, i poliziotti, e tutti quanti, si sarebbero allontanati indignati. Ma si trattava di Hepplemeyer, e invece di allontanarsi pieni di indignazione, il loro interesse per l’esperimento aumentò.
Venne scelto un altro punto del cortile, e il Cerchio venne montato. Questa volta il dottor Hepplemeyer prese di tasca la penna stilografica donatagli dall’Accademia, con sopra inciso “nil desperandum”. Forse; fu proprio per il significato della scritta che buttò la penna, e la penna, anziché cadere dall’altra parte del cerchio, scomparve. Proprio così... scomparve.

(http://www.geocities.com/marxist_lb/hf1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2008, 19:14:03
Una pipa intagliata,nulla di nuovo sotto il sole.

FRANCO SCAGLIA

Franco Scaglia, giornalista genovese, autore di importanti romanzi e saggi  (tra i quali ricordiamo “I custodi di Gesù”, “La decima sinfonia” ,“Il custode dell'acqua”e “Margherita vuole il regno”)

IL GABBIANO DI SALE

L’uomo si avvicinò al tavolone che mi era sembrato un monumento al centro di una piazza e le sue mani si mossero con agilità come se stessero sfiorando una tastiera.
Esclamò: «Musica, sono felice di nominarti perché tu e io siamo amanti!».
Provai una sorta di irritata ammirazione per lui. Tra una tromba e una pentola c’erano sacchetti di carta pieni di tabacco. In ognuno di quei sacchetti versò con delicatezza delle gocce di vino. Li svuotò in una grande tabacchiera dalla quale prese un pizzico di tabacco, lo annusò con piacere e lo pressò con le dita nel fornello di una
pipa. Il fornello aveva la forma di un violino.
«Questa pipa ha cento anni, è opera di un illustre liutaio, mio nonno. L’ho ereditata insieme all’arte di creare violini. A Gerusalemme siamo sempre stati gli unici.»
Feci un sorriso di circostanza e lui osservò come la mia espressione lo inducesse a pensare che non appartenevo alla categoria di coloro che suonavano. Replicai che facevo parte di quella di coloro che sapevano ascoltare le note. E il signor ascoltatore, proseguì, dove aveva imparato quest’arte? A Gerusalemme, replicai, e vivevo nella Città Santa da quarant’anni.
«Ah!» esclamò e non capii se fosse un’approvazione. Afferrò uno dei violini e intonò una sonata di Bach.
«Sarà mai capace lei di capire musica del genere?»
E, com’era già successo prima, senza lasciarmi il tempo di rispondere mi spiegò che, se fossi riuscito a cogliere la purezza di Bach, avrei compreso la musica. Digrignò i denti con soddisfazione e continuò dicendo che erano troppi coloro che gridavano con entusiasmo grottesco: “Noi siamo gli eletti, noi possiamo creare”.
Nel regno delle note, dove solo loro governano, si arriva da un cancello d’oro nascosto. Sono pochi quelli che lo varcano. E quando ci riescono, incontrano i propri sogni migliori o i propri peggiori incubi. Ci vuole equilibrio per non impazzire. Mi domandò se sapessi che cos’era l’equilibrio. Pensavo di sì. Sperava per me che fosse vero. Lui, una volta, era entrato nel regno delle note e aveva visto un grande occhio dal quale partivano e volavano, e subito dopo si erano messe a girare intorno alla sua testa e al suo corpo, armonie di quelle che si definiscono sublimi.

(http://www.radio.rai.it/radiorai/online/ev_images/scaglia11.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2008, 19:19:23
Ian McEwan

Nel Marzo e nell'Aprile of 2004, solo qualche mese dopo che il governo britannico lo aveva invitato a presenziare a una cena in onore della First Lady degli Stati Uniti di America Laura Bush, a McEwan è stato negato l'ingresso negli Stati Uniti dal Dipartimento per la Homeland Security non essendo provvisto del visto corretto per un soggiorno di lavoro (lo scrittore si accingeva a tenere una serie di lezioni dietro compenso). Solo dopo diversi giorni di esposizione del caso sulla stampa britannica a McEwan è stato concesso l'ingresso, a ragione del fatto che, come illustrato da un funzionario di frontiera, "Siamo ancora dell'avviso che lei non dovrebbe entrare, ma il suo caso ci sta procurando un danno di immagine."

Il giardino di cemento

Quella sera i miei genitori litigarono per il cemento. Mia madre, una persona di indole tranquilla, era furibonda. Voleva che mio padre lo rimandasse tutto indietro. Avevamo appena finito di cenare. Mentre mia madre parlava mio padre si mise a raschiare il fornello della pipa con un temperino, facendo cadere le scaglie nerastre sul cibo quasi intatto nel suo piatto. Sapeva come usare la pipa contro di lei. La mamma gli stava dicendo dei pochi soldi che avevamo e che presto Tom avrebbe avuto bisogno di vestiti nuovi per andare a scuola. Lui si rimise la pipa fra i denti come un pezzo mancante della propria anatomia e la interruppe per dire che era «fuori questione» rimandare indietro i sacchi e che non voleva più sentirne parlare. Avendo visto da me l’autocarro e quei sacchi pesanti e gli uomini che li avevano portati, intuii le sue ragioni. Ma com’era stupida l’aria di importanza assunta mentre si toglieva quell’affare di bocca, lo teneva per il fornello e puntava il cannello scuro contro mia madre. Lei si infuriò ancora di più, la voce strozzata dall’esasperazione.
Julie, Sue ed io sgattaiolammo di sopra in camera di Julie e chiudemmo la porta.

(http://www.theage.com.au/ffximage/2005/01/28/mcewan_narrowweb__200x266.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2008, 19:28:50
Quando il profumo di tabacco da pipa,crea atmosfere minacciose.

Roald Dahl  1916  1990

Scrittore inglese, conosciuto soprattutto per i suoi romanzi per l'infanzia.
Nel 1953 si sposa con l'attrice americana Patricia Neal.
Dahl è ricordato anche per alcuni racconti e romanzi dedicati al pubblico adulto ,
caratterizzati da un umorismo macabro e da colpi di scena finali.

UN GIOCO DA RAGAZZI

«Il direttore vuole vederti nel suo studio». Queste parole annunciavano la condanna. Ti facevano accapponare la pelle. Ma dovevi andare, anche se magari eri solo un ragazzetto di nove anni. Percorrevi i corridoi tetri fino al grande arco che conduceva nella zona riservata al direttore, dove succedevano solo cose orribili e l’odore del tabacco da pipa aleggiava nell’aria come incenso. Ti fermavi davanti a quella porta spaventosa, senza avere il coraggio di bussare. Tiravi un sospirane. Se solo la mamma fosse qui, ti dicevi, non permetterebbe una cosa del genere. Ma la mamma non c’era. Eri solo. Alzavi la mano e bussavi timoroso, una sola volta.
«Avanti! Ah, sì, sei tu, Dahl. Bene, Dahl, mi hanno riferito che ieri sera parlavi durante l’ora dei compiti».
«Chiedo scusa, signore, il mio pennino si era rotto e stavo solo chiedendo a Jenkins se ne aveva uno da prestarmi».
«Non tollero che si chiacchieri quando si stanno facendo i compiti. Lo sai bene».
E l’uomo gigantesco già si dirigeva all’enorme armadio in fondo alla stanza e allungava il braccio per prendere la canna che teneva là in cima.
(http://i6.photobucket.com/albums/y217/Kalyth/poste.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2008, 19:33:13
Ricerca  su vecchi documenti,ma con la pipa in bocca.

Arturo Pérez Reverte

Dopo aver conseguito una laurea in Scienze politiche e Giornalismo, ha lavorato per circa vent'anni, dal 1973 al 1994, come reporter per i giornali, la radio e la televisione.
Dal suo romanzo Il club Dumas, pubblicato nel 1997, è stato tratto il film La nona porta di Roman Polanski, interpretato da Johnny Depp.
Il 12 giugno 2003 è diventato membro della Real Academia Española de la Lengua, la più alta istituzione spagnola nella lingua e la letteratura.

La tavola fiamminga

«Di niente.» Álvaro si appoggiò allo schienale della poltrona, estrasse dalla
scrivania una scatola di tabacco e si mise a riempire la pipa. «Logicamente, la dama
seduta alla finestra, con l’iscrizione BEATRIX BURG. OST. D. non può che essere
Beatrice di Borgogna, duchessa consorte. Vedi?... Beatrice si sposò con Fernando
Altenhoffen nel 1464, all’età di ventiquattro anni.»
«Per amore?» domandò Julia con un sorriso ineffabile, guardando la fotografia.
Anche Álvaro sorrise appena, un po’ forzatamente.
«Sai che pochi di questi matrimoni si facevano per amore... Le loro nozze furono
un tentativo dello zio di Beatrice, Filippo il Buono, duca di Borgogna, di stringere
un’alleanza con l’Ostenburgo contro la Francia, che cercava di annettersi entrambi i
ducati.» Guardò a sua volta la fotografia e si mise la pipa tra i denti. «A Fernando di
Ostenburgo andò bene perché lei era bellissima. Almeno così dicono gli Annali
Borgognoni di Nicolas Flavin, il più importante cronista dell’epoca. Il tuo Van Huys
sembra condividere quest’opinione. A quanto pare, l’aveva già ritratta in precedenza,
perché c’è un documento, citato da Pijoan, secondo il quale Van Huys fu per qualche
tempo il pittore di corte in Ostenburgo... Nel 1463 Fernando Altenhoffen gli assegnò
una pensione di cento libbre all’anno, da pagarsi metà per San Giovanni e metà a
Natale. Nello stesso documento figura l’incarico di eseguire un ritratto a Beatrice che,
all’epoca, era ancora la fidanzata del duca, bien au vif.»
«Ci sono altri riferimenti?»
«Parecchi. Van Huys diventò un pittore molto importante.» Álvaro estrasse una
cartelletta da uno schedario. «Jean Lemaire, nella sua Couronne Margaridique, scritta
in onore di Margherita d’Austria, governatrice dei Paesi Bassi, cita Pierre de Brugge
(Van Huys), Hughes de Gand (Van der Goes) e Dieric de Louvain (Dietric Bouts)
insieme a quello che considera il re dei pittori fiamminghi, Johannes (Van Eyck). Nel
poema scrive, cito alla lettera: “Pierre de Brugge, qui tant eut les traits utez”, dai tratti
così nitidi... Quando fu scritto questo testo, Van Huys era morto da venticinque
anni.» Controllò con attenzione altre schede. «Ci sono citazioni più antiche che lo
riguardano. Per esempio, negli inventari del Regno di Valencia risulta che Alfonso V
il Magnanimo possedeva opere di Van Huys, Van Eyck ed altri maestri ponentini,
tutte andate perdute... Nel 1454 lo menziona anche Bartolomeo Fazio, cortigiano
vicino ad Alfonso V, nel suo De viribus illustris, alludendo a lui come “Pietrus
Husyus, insignis pictor”. Altri autori, soprattutto italiani, lo chiamano “Magister
Piero Van Hus, pictori in Bruggia”. C’è una menzione del 1470, in cui Guido
Rasofalco cita un suo quadro, che, come altri, non ci è pervenuto, una Crocifissione,
come “Opera buona di mano di un chiamato Piero di Juys, pictor famoso in Fiandra”.
E un altro autore italiano, anonimo, fa riferimento a un quadro di Van Huys, che
invece è stato conservato, Il cavaliere e il Diavolo, precisando che “A Magistro
Pietrus Juisus magno et famoso flandesco futi depictum”... Tieni conto che nel XVI
secolo lo citano Guicciardini e Van Mander, e nel XIX James Weale nei suoi libri sui
grandi pittori fiamminghi.» Raccolse le schede riponendole con cura nella cartelletta,
quindi infilò quest’ultima nello schedario. Poi si rilassò sulla poltrona e guardò Julia,
sorridente. «Soddisfatta?»
«Molto.» La giovane aveva annotato tutto e cercava di tirare le somme. Dopo un
primo istante alzò la testa e si scostò i capelli dal viso, guardando Álvaro con
curiosità. «Si potrebbe pensare che avessi già la lezione bell’e pronta. Sono
letteralmente senza parole.»
Il sorriso del cattedratico si smorzò un po’ e i suoi occhi evitarono quelli di Julia.
Sembrava che una delle schede sparse sul tavolo avesse attratto di colpo la sua
attenzione.
«È il mio lavoro» disse. E lei non riuscì a capire se il suo tono era distratto o
evasivo. Senza sapere bene il perché, si sentì a disagio.
«Questo significa che sei sempre un professionista di classe...» l’osservò per
qualche secondo, con curiosità, prima di tornare ai suoi appunti. «Abbiamo
abbondanti riferimenti all’autore e a due dei personaggi...» Si chinò sulla
riproduzione del quadro e indicò il secondo giocatore. «Ci manca lui.»
Tutto preso dall’accensione della pipa, Álvaro tardò a rispondere. Aveva aggrottato
la fronte.
«È difficile stabilirne l’identità con precisione» disse tra una boccata di fumo e
l’altra. «L’iscrizione non è molto esplicita, anche se basta per formulare un’ipotesi:
RUTGIER AR. PREUX...» fece una pausa e osservò il fornello della pipa come se si
aspettasse di trovarvi una conferma. «Rutgier può essere Roger, Rogelio o Ruggiero;
diverse forme, ci sono almeno dieci varianti, di un nome comune all’epoca... Preux
può essere un cognome o un nome di famiglia, e in questo caso ci troveremmo
davanti a un vicolo cieco, perché non ci risulta nessun Preux che abbia compiuto
imprese tali da renderlo degno di figurare nelle cronache. Tuttavia, preux si usava
anche nell’Alto medioevo come titolo onorifico, nell’accezione di prode,
cavalleresco. Lancillotto e Orlando, per farti due esempi illustri, vengono chiamati
così... In Francia e in Inghilterra, quando si armava un cavaliere, lo si ammoniva con
la formula soyez preux, che significa “siate leale, valoroso”. Era un titolo raro, con
cui si designava il fior fiore della cavalleria.»
Senza rendersene conto, per deformazione professionale, Álvaro aveva adottato un
tono persuasivo, quasi dottrinale, come faceva sempre quando la conversazione
toccava temi di sua competenza. Julia se ne rese conto con una specie di turbamento;
quel tono risvegliava vecchi ricordi, braci dimenticate di una tenerezza che aveva
avuto un posto nel tempo e nello spazio, influendo sulla formazione del suo carattere,
portandola ad essere come era. Residui di un’altra vita e di sentimenti che erano stati
smorzati con meticoloso impegno e a fatica, e accantonati come un libro messo su
uno scaffale perché la polvere lo ricopra, senza più alcuna intenzione di riaprirlo, ma
che, nonostante tutto, rimane sempre lì.
Davanti a questa sfida, Julia lo sapeva, servivano solo gli espedienti. Mantenere la
mente occupata in questioni immediate. Parlare, domandare dettagli foss’anche
irrilevanti. Chinarsi sul tavolo, fingendo una grande concentrazione sugli appunti.
Pensare che si trovava davanti a un Álvaro diverso, del resto era indubbiamente così.
Convincersi che tutto era successo in un’epoca remota, in un tempo e un luogo ormai
lontani. Reagire, comportandosi come se i ricordi non appartenessero a loro, ma ad
altre persone di cui una volta avevano sentito parlare e la cui sorte non li riguardava.
Accendersi una sigaretta poteva essere un diversivo, e Julia lo fece. Il fumo del
tabacco che le entrava nei polmoni la riconciliava con se stessa, le concedeva piccole
dosi d’indifferenza. Lo fece con gesti calmi, rilassandosi nel rituale meccanico. Poi
guardò Álvaro, pronta a proseguire.
«Qual è la tua ipotesi, allora?» Il tono della sua voce le sembrò accettabile, così si
sentì molto più tranquilla. «Per come la vedo io» aggiunse «se Preux non fosse il
cognome, la chiave sarebbe nell’abbreviazione ar.»
Álvaro si disse d’accordo. Stringendo gli occhi a causa del fumo della pipa, cercò
tra le pagine di un altro libro fino a trovare un nome.

(http://www.alfaguara.santillana.es/upload/autores/2006/reverte.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Gennaio 2008, 20:23:12
In occasione dell'Epifania
una pipa molto adatta per fumare i "panettoni" :D

Jules Renard 1864 1910

Pel di Carota
   
«Per te c'è una sorpresa», dice la signora Lepic a Pel di carota.

PEL DI CAROTA
   Ah, sì!

LA SIGNORA LEPIC
   Perché questo: ah, sì! Se la conosci già è inutile che te la faccia vedere.

PEL DI CAROTA
   Che Dio mi castighi se la conosco!

   Alza la mano in aria, grave, sicuro di sé. La signora Lepic apre la credenza. Pel di carota ha il fiatone. Lei affonda il braccio fino alla spalla, e, lenta, misteriosa, ne tira fuori, su un foglio di carta gialla, una pipa di zucchero rosso.
   Pel di carota, senza esitare, sprizza gioia. Sa bene cosa deve fare. Vuole fumare, subito, in presenza dei genitori, sotto gli occhi invidiosi (ma non si può avere tutto!) del fratello maggiore Felice e della sorella Ernestina. Tenendo la pipa di zucchero rosso con sole due dita, butta avanti il petto, piega la testa a sinistra. Arrotonda la bocca, incava le gote e aspira con forza, rumorosamente.
   Poi, dopo aver lanciato fino al cielo una enorme boccata di fumo:
   «È buona», dice, «tira bene».


(http://web.dsc.unibo.it/~giovenco/ig/lmp.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Gennaio 2008, 20:27:48
Antonio Machado
(Siviglia 1875 - Collioure 1939)
è tra i massimi poeti di lingua spagnola d'ogni tempo.
 
«UMIDO, SOTTO IL LAURO, STA IL SEDILE»


   Umido, sotto il lauro, sta il sedile
di verdognola pietra;
lavò la pioggia, sopra il muro bianco,
dell'edera le impolverate foglie.
   Al dolce spiro del vento d'autunno
oscillano gli steli, e lo stradale
con il vento ragiona...
nell'albereta, il vento della sera!
   Mentre il sole rifulge nel tramonto
che ristora i racemi della vite,
e il buon borghese, al suo balcone, accende
la stoica pipa in cui il tabacco fuma,
   vo ricordando versi giovanili...
Che ne fu di quel cuore mio sonoro?
Forse è vero che andate, ombre gentili,
sparendo in fuga tra le fronde d'oro?


(http://www.biografiasyvidas.com/biografia/m/fotos/machado_2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Piero - 05 Gennaio 2008, 22:07:44
Caro Enzo, anche se la mia gretta ignoranza begamasca non mi permette di contribuire a questo thread sappi che in assoluto è il mio preferito di tutto il web.
Ti prego di continuare con la sapienza e la costanza di sempre.

E non sto scherzando, questa volta.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Gennaio 2008, 22:23:21
Troppo buono :D
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Gennaio 2008, 13:18:54
Quale sarà in un futuro molto prossimo l'evoluzione della crociata contro i tabagisti incalliti e untori?? :D

PETER BLAUNER

è stato a lungo inviato per il New York Magazine, prima di dedicarsi a una fortunata carriera di scrittore. Vive a New York con la moglie Peg Tyre, anche lei scrittrice, e i due figli.

L'INTRUSO


Trovano finalmente John G. quando manca un quarto a mezzanotte. È fermo dietro un cassonetto in Marcy Avenue, con la fiamma dell'accendino accanto al fornello di una pipetta.
«Come ti va?» lo apostrofa Rolando smontando per primo dalla Lexus bianca.
«È quel lassativo italiano per neonati che mi dà i crampi.» John G. lascia cadere per terra la pipa e cerca di sembrare innocente. «Siete sbirri?»
«Amici» risponde Jake.
Gates lo guarda e fa una smorfia nel riconoscerlo.
«Che cazzo vuoi?»
«Sono in ansia per te.»
«Già, certo, sei in ansia. Sparisci. L'ultima volta che ti ho visto eri con un paio di tizi armati di mazze. Alla faccia dell'ansia.»
I fiocchi di neve che cadono su Jake si sciolgono appena gli toccano il volto. «Credevo che mia moglie avesse parlato con te e avessimo chiarito questa storia» gli dice. «Io ho cercato di fermarli.»
«Va bene, allora è tutto chiaro. Ora che cosa vuoi,


(http://www.brebbiapipe.it/img/museo_ollio.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Gennaio 2008, 11:21:10
La pipa come ostentazione  di virilità,in un futuro qualsiasi.

Janet Morris

E' il presidente della M2 Technologies, azienda specializzata in armi non letali, applicazioni di nuove tecnologie e tattiche militari. I concetti sviluppati da Janet Morris sono stati applicati dal Laboratorio di Guerra del Corpo dei Marines, dal Dipartimento di Sviluppo delle Forze Armate USA, dall'ufficio di Scienza Politica e Tecnologia della Casa Bianca.
 E' anche un membro della Accademia delle Scienze di New York e dal 1980 fa parte della Associazione per la Difesa Elettronica ed è anche il direttore delle ricerche del Consiglio per la Strategia Globale Americano (USGSC).
Chris Morris, suo marito, è un ex magistrato ed è un membro chiave del Consiglio di Sicurezza Americano.
Hanno scritto anche qualche libro insieme,come il famoso "The Forty-Minute War"

Kerrion

Oh, sei tu, Chaeron? Guarda guarda, vedo che ti stai portando appresso un autentico fiorellino!» esclamò, facendosi spazio a gomitate e provo-cando lo strillo indignato di una ragazza che gli stava accanto. Sollevò la pipa metallica che stava fumando e la puntò fra i seni di Shebat. «Salve, pupa. Vuoi tirare una boccata?»
«Calmati. Shebat, questo è Valery Stang,» li presentò Chaeron. «Non me la soffocare con quella pipa. La ragazza è abituata all'aria pulita della Terra, il suo pianeta natale.»
«Shebat, eh? Arrivata fresca fresca dalla buona vecchia Terra e ancora all'oscuro dei nostri vizi, suppongo. Be', ci metteremo subito rimedio,» rise lui. Si accorse che la pipa si stava spegnendo e premette nel fornello un po' di sostanza nerastra. «Ma dì un po', ragazza, non è che ci siamo già incontrati da qualche parte?»

(http://www.farwest.it/FOTOxSITO/peace-pipe.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Gennaio 2008, 11:24:54
La pipa come strumento di disturbo,o difesa.

Johannes Mario Simmel

Prolifico scrittore tedesco ,da molti suoi romanzi  sono stati realizzati films di successo,uno dei più famosi "Cabaret"

La Trama Dei Sogni

Hem indossava una camicia a scacchi, molto colorata, e calzoni di flanella. Non aveva cravatta né giacca. Non s'infilava mai la giacca, quando Lester lo convocava. E non si privava mai della sua pipa Dunhill, e infatti se ne serviva anche in quel momento. Era il suo modo per far capire al direttore che scarsa stima aveva di lui. C'era un simpatico odore in quell'ambiente. E pensai: almeno qualcosa di simpatico c'è!
Hem succhiava la sua pipa, soffiò una nuvola di fumo: non un muscolo del suo volto si muoveva.

(http://www.bubec.de/Karikaturen/JohannesMarioSimmel.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Gennaio 2008, 22:59:17
Pipe piene di angoscia,pipe antimaschiliste

Isabel Allende

"Ho cinquant'anni e comincio ora a liberarmi dai pudori e dalle severità di una rigida educazione."
"Come sarebbe stata diversa la storia di Giulietta e Romeo se avessero avuto un telefono!"
"Silenzio prima di nascere, silenzio dopo la morte, la vita è puro rumore tra due insondabili silenzi."

D'amore e ombra

L'emiplegico l'avevano sistemato su una panchina con le gambe avvolte
in uno scialle, sereno e dignitoso malgrado la deformità di mezzo viso, la
mano inutile nella tasca e una pipa vuota nell'altra, nella sua britannica
eleganza dalla giacca con toppe di cuoio ai gomiti. Aspettava la posta, per
questo aveva preteso di sedere davanti al portone per veder entrare Irene e
sapere dal primo sguardo se aveva una lettera per lui.

Il Piano infinito

Quando doveva posare da macho di fronte agli amici tirava fuori una pipa
di fabbricazione casalinga e la riempiva con una miscela di sua
invenzione: cicche di sigarette raccolte per strada, un po' di segatura e
aspirina pestata.

La casa degli spiriti

Ricordo che cominciavo ad assediarla all'imbrunire. Di sera si sedeva a
scrivere e io facevo finta di assaporare la pipa, ma in realtà la spiavo con la
coda dell'occhio. Non appena calcolavo che stava per ritirarsi – perché si
metteva a nettare la penna e a chiudere i quaderni – la precedevo. Andavo
zoppicando in bagno, mi azzimavo, mi mettevo una vestaglia felpata da
vescovo che avevo comprato per sedurla, ma della cui esistenza lei non
sembrò mai essersi accorta, accostavo l'orecchio alla porta e l'aspettavo.
Quando sentivo che avanzava nel corridoio, le balzavo addosso. Provai di
tutto, dal colmarla di lusinghe e regali fino a minacciarla di abbattere la
porta e di darle un fracco di bastonate, ma nessuna di queste alternative
colmava l'abisso che ci separava.

(http://www.virginia.edu/insideuva/2002/01/images/Allende,Isabel.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Gennaio 2008, 23:04:25
Bob Shaw

Belfast, 31 dicembre 1931 – Manchester, 12 febbraio 1996)
negli anni '70 si trasferisce in Inghilterra con moglie e figli a causa dell'instabilità della situazione politica.

Laureato in ingegneria meccanica, lavorò anche come giornalista prima di dedicarsi interamente alla letteratura fantascientifica, nel 1975.

Lo scrittore italiano Vittorio Curtoni, che ha tradotto molte delle opere di Shaw, così parla della sua scrittura:

    è uno dei pochi autori capaci di usare con creativa autorità la lingua inglese: la sua sintassi è complessa, armoniosa, costruita su scansioni di ricchezza insolita; il suo lessico è preciso, netto, direi quasi fotografico, del tutto lontano dalle vaghe imprecisioni che una lingua sintetica come l'inglese permette

Una Magnum per Billy Gregg

– Billy. – Masham annuì, si tolse la pipa di bocca. – Ho sentito che
stamattina hai avuto uno scontro con Wolf Caley.
– Le notizie viaggiano in fretta.
Masham guardò a destra e a sinistra nel vicolo. – È meglio che tu lo
sappia, Billy. Wolf Caley è conciato molto male.
– Sì. Ho sentito la gamba che si spezzava quando gli è caduto addosso il
cavallo. D'altronde, ero in credito di un paio di ossa rotte con lui. – Gregg
annusò l'aria. – Hai un ottimo tabacco.
– Non è solo questo, Billy. Mi hanno detto che la gamba si è tutta
gonfiata, è diventata blu. E Wolf ha la febbre.
Nel caldo opprimente del pomeriggio, Gregg sentì un brivido di freddo.

Accorgendosi all'improvviso di quanto fosse
ripugnante il gusto del tabacco che aveva un aroma così delizioso, Connor
spense la pipa

(http://www.brebbiapipe.it/img/museo_smaltate.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 29 Gennaio 2008, 22:24:41
Ancora Lui

BOB SHAW

Fire Pattern
 
«Quando poi riuscirai a prendere fuoco» disse Maeve Starzynski «non venire a lamentarti da me.»
«Molto divertente» commentò suo padre spazzando via dal cardigan di-versi minuzzoli di tabacco ardente. Stava fumando la sua più vecchia pipa di radica, che aveva il cannello avvolto in nastro isolante verde, quando era stato colpito da un accesso di tosse.
«Non avevo intenzione di essere divertente. Fumare è un'abitudine di-sgustosa. I dottori sono tutti d'accordo nel dire che è dannoso alla salute.»
«Parlano di sigarette. La pipa è diversa» Art Starzynski sorrise in quel modo particolare di quando era arrabbiato, e abbassò le palpebre per iso-larsi dalle opposizioni al suo punto di vista. «La pipa fa bene. Gli uomini che la fumano sono più longevi degli altri.»
«Sì, perché avvelenano chi gli sta vicino.»
Gli occhi di suo padre erano quasi chiusi. La faccia del Buddha. «Caffè» disse con voce accattivante. «Buono e bollente, buono e appena fatto e che non sia caffè istantaneo.»
«Oh, vorrei che morissi bruciato!» sbottò Maeve dominando l'esasperazione mentre si avviava verso la cucina sul retro della casa.

(http://images.easyart.com/imagecache/3/0/si-300410.jpg_maxdim-400_resize-yes.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 29 Gennaio 2008, 22:29:10
Senza una pipa.......

NEIL GAIMAN

I RAGAZZI DI ANANSI


Camberwell aveva fumato la pipa alla sua scrivania per trent'anni, fino a quando nell'edificio era entrato in vigore il divieto. Adesso doveva arran-giarsi con un grumo di plastilina che arrotolava, schiacciava e tormentava. Da uomo con la pipa in bocca era stato placido e di buon carattere e, per quello che riguardava i suoi sottoposti, il sale della terra. Da uomo con la palla di plastilina in mano invece era costantemente irritabile e pronto a scattare. Nella giornata giusta poteva diventare addirittura stizzoso.
«Sì?»
«Il caso dell'Agenzia Grahame Coats.»
«Allora?»
«Non sono sicura.»
«Non sei sicura di cosa? Cosa diavolo c'è da non essere sicuri?»
«Ecco, penso che forse dovrebbe togliermi dal caso.»
Lui non si lasciò impressionare. Si mise a fissarla. Sulla scrivania, inos-servate, le sue dita stavano lavorando la plastilina azzurra per darle la forma di una pipa di schiuma. «Perché?»
«Ho incontrato il sospetto in una situazione sociale.»
Lui schiacciò la pipa di plastilina in una massa informe. «Ti rendi conto che mi stai facendo perdere tempo?»



(http://www.old-picture.com/indians/pictures/Sioux-Indian-with-Pipe.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Febbraio 2008, 22:07:09
Il piacere e la calma di una pipa anche se spenta..........

MARGARET MILLAR

1915 – 1994) Scrittrice canadese molto prolifica di opere, sposata nel 1938 con lo scrittore Ross Macdonald.
    * Nel 1956 vince il premio Edgar Award con il romanzo Beast in View.
    * Nel 1983 vince il premio Mystery Writers of America.
    * Nel 1986 vince il premio Arthur Ellis Award.


CHI PERDE UN AMICO

Cavell, con la pipa spenta stretta in pugno, stava esaminando i libri sugli scaffali mentre Esther, che adesso voltava le spalle al fuoco, lo fissava in silenzio. Teneva tra le dita una sigaretta dalla quale aspirava furiosamente come se ci fossero un mucchio di cose che avrebbe potuto dire, ma non volesse farlo e si servisse della sigaretta per tapparsi la bocca.
(http://www.fakemaster.it/Picasso_ragazzo_con_pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Febbraio 2008, 22:43:00
Filosofia o politica??, cronaca nera ?? 8O , ma "la pipa c'è"!!

ANNE PERRY

http://guide.dada.net/giallo_e_noir/interventi/2006/01/238772.shtml
http://en.wikipedia.org/wiki/Anne_Perry



IL CARICO D'AVORIO

«D'accordo. Ma essere il perdente conta molto» replicò Duff tirando fuori di tasca una pipa di argilla, scuotendola per togliervi i rimasugli della cenere e sbriciolando un po' di tabacco per riempirne il fornello. «Perdi una volta ed è come se la volta successiva tu cominciassi già due passi indietro. La gente non ti dà più il suo appoggio.» Si cacciò la pipa in bocca e, sfregando un fiammifero, l'accese; cominciò ad aspirare lentamente. «Vincere e perdere hanno le loro regole» continuò. «Più si va da una parte e più la gente segue la marea, come dire. Neanche voi vorreste perdere, caro signore.
Se ti sei fatto dei nemici, perdere è il principio della fine. Quelli che sono veramente dei grossi bastardi non possono permettersi di perdere. Per quelli come voi e me cosa volete che sia?»

(http://www.farwest.it/FOTOxSITO/calumet-indiens.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Febbraio 2008, 10:19:59
Grande amore,sacrifici,negazione del divino,ma la pipa c'è,questa volta gli autori mancano.

Due novelle senza un autore

La pipa e il pettine

Era un matrimonio povero.
Lei filava alla porta della sua baracca, pensando a suo marito. Tutti quelli che passavano rimanevano attratti dalla bellezza dei suoi capelli, neri, lunghi, luccicanti.
Lui andava ogni giorno al mercato a vendere un po' di frutta e si sedeva sotto l'ombra di un albero per aspettare i clienti.
Stringeva tra i denti una pipa vuota, non aveva soldi per comperare un pizzico di tabacco.
Si avvicinava il giorno del loro anniversario di matrimonio e lei non smetteva di chiedersi che cosa avrebbe potuto regalare al marito. E con quali soldi?
Le venne un'idea. Mentre la pensava, ebbe un brivido, però dopo aver deciso, si riempì di gioia: avrebbe venduto i suoi capelli per comperare il tabacco a suo marito.
Già immaginava il suo uomo nella piazza, seduto davanti alla frutta, dando lunghe boccate alla sua pipa: aromi di incenso avrebbero dato, al padrone della piccola bancarella, la solennità e il prestigio di un vero commerciante.
Vendendo i suoi capelli ottenne solo alcune monete, però scelse con attenzione il tabacco più pregiato.
Alla sera, ritornò il marito, arrivò cantando. Portava nelle sue mani un piccolo pacchetto, c'erano alcuni pettini per la sposa, li aveva acquistati dopo aver venduto la sua pipa.

Il niente lo zen e la pipa

Quando era un giovane studente di Zen, Yamaoka Tesshu andava sempre a trovare tutti i maestri. Andò a far visita a Dokuon di Shokoku.
Volendo mostrare la sua preparazione, disse:
«La mente, Buddha e gli esseri senzienti, in fondo, non esistono. La vera natura dei fenomeni è il vuoto. Non c’è nessuna realizzazione, nessuna illusione, nessun saggio, nessuna mediocrità. Non c’è nessuno che dia e niente che si riceva».
Dokuon, che stava fumando in silenzio, non fece commenti. Tutt’a un tratto colpì Yamaoka con la sua pipa di bambù. Questo fece arrabbiare moltissimo il giovane.
«Se niente esiste,» domandò Dokuon «da dove viene questa tua collera?»

(http://www.bagnonemia.it/Romanzo2/Pipa_montagnais.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Febbraio 2008, 23:25:36
Alcune pipe al centro di eventi straordinari

DELITTO E CASTIGO

Fedor Dostoevskij


«E prima non ne avevate mai visti, di fantasmi?»
«N... no, o meglio, una volta sola in vita mia, sei anni fa. Fìlka, un
mio servo, era stato appena sepolto, e io, in un momento di distrazione,
gridai: ‹Fìlka, dammi la pipa!› Ed ecco che lui entra e va difilato verso la
scansia dove tengo le pipe. Me ne sto seduto e penso: ‹Si sta vendicando,›
perché, dovete sapere, proprio prima della sua morte avevamo avuto un
violento litigio. ‹Come osi,› gli dico, ‹entrare da me con l'abito strappato
sul gomito? Fuori di qui, brutta canaglia!› Si voltò, uscì e non si fece più
vedere. Non ne parlai a Màrfa Petròvna. Volevo far servire una messa, ma
poi me ne sono vergognato.»


Grazie a Dio, più dei particolari, in questo caso,
importava la sostanza della questione: ma se quell'uomo ne fosse stato
capace, se Svidrigàjlov avesse tramato qualche cosa contro Dùnja, allora...
In tutto quel periodo, in tutto quel mese Raskòlnikov si era affaticato
la mente al punto da non poter ormai risolvere problemi siffatti se non in
un modo solo: «Allora, lo ucciderò,» pensò con fredda disperazione. Un
senso greve di pena gli strinse il cuore; si fermò in mezzo alla strada e
cominciò a guardarsi intorno: che cammino stava seguendo, e dove era
andato a finire? Si trovava nel Prospèkt X, a trenta o quaranta passi dalla
Sennàja, che aveva già attraversato. L'intero secondo piano dell'edificio a
sinistra era occupato da una trattoria. Tutte le finestre erano spalancate, e a
giudicare dalle figure che si muovevano nei riquadri illuminati, la trattoria
doveva esser piena zeppa. Nella sala gorgheggiavano dei cantanti, si
udivano i suoni di un clarinetto, di un violino e il rimbombo di un tamburo
turco. Si sentivano anche degli strilli femminili. Raskòlnikov fu sul punto
di tornare indietro, non rendendosi conto del perché avesse svoltato nel
Prospèkt X, quando all'improvviso, davanti a una delle ultime finestre
aperte della trattoria, scorse, seduto a un tavolino da tè e con la pipa in
bocca, Svidrigàjlov. Il fatto di vederlo lo colpì moltissimo, quasi lo
spaventò. Svidrigàjlov lo stava guardando, lo osservava in silenzio e, cosa
che subito meravigliò Raskòlnikov, pareva sul punto di alzarsi per
andarsene alla chetichella, prima d'essere notato. Raskòlnikov finse subito
di non averlo veduto e di guardare da un'altra parte, mentre in realtà lo
osservava con la coda dell'occhio. Il cuore gli martellava in petto. Era
proprio così: evidentemente, Svidrigàjlov non voleva essere visto. Si levò
la pipa di bocca e stava già per ritirarsi quando, alzatosi e scostata la sedia,
probabilmente si rese conto che Raskòlnikov lo aveva visto e lo stava
osservando. Avvenne tra loro una scena simile a quella del primo incontro
nella stanza di Raskòlnikov, quando questi dormiva. Sul viso di
Svidrigàjlov comparve un sorriso furbesco, che si andò allargando sempre
più. Ambedue sapevano che si stavano osservando a vicenda. Alla fine,
Svidrigàjlov scoppiò in una gran risata.
«Su, su, entrate! Se volete, sono qui!» gridò dalla finestra.
Raskòlnikov salì nella trattoria.



(http://usuarios.lycos.es/aappso/picasso/pi05.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Febbraio 2008, 23:30:40
Una pipa dà la felicità

DAVID COPPERFIELD

CHARLES DICKENS

Erano le dieci quando uscii. La maggior parte delle botteghe era
chiusa e la città spenta. Quando giunsi da Omer e Joram, trovai le imposte
chiuse, ma la porta del negozio era aperta. E vedendo il signor Omer
nell'interno, intento a fumar la pipa presso la porta del salotto, entrai e gli
chiesi come stava.
«Dio mi benedica!» esclamò il signor Omer, «e voi come state?
Prendete una sedia. Il fumo non vi dà noia, spero!»
«Niente affatto,» dissi. «Anzi mi piace... quando esce dalla pipa di un
altro.»
«Ah, non dalla vostra, eh?» rispose ridendo il signor Omer. «Tanto
meglio, signore. È una cattiva abitudine per un giovane. Prendete una
sedia. Quanto a me, fumo per l'asma.»
Il signor Omer mi fece posto e mi offrì una sedia. Poi tornò a sedersi
senza fiato, ansimando nella sua pipa come se contenesse un supplemento
di quell'elemento essenziale senza il quale sarebbe morto.

Se qualcuno sta male, non possiamo chiedere come
sta.»
Non avevo pensato a questa difficoltà, sebbene, entrando, avessi
avuto qualche apprensione di ascoltare la vecchia canzone. Nel sentirgliela
accennare, comunque, fui d'accordo con lui e glielo dissi.
«Sì, sì, voi mi capite,» disse Omer assentendo col capo. «Non osiamo
farlo. Il cielo vi benedica, sarebbe un colpo che la gente, in genere, non
saprebbe sopportare andare a dire: ‹Tanti rispetti da parte di Omer e Joram,
e come state stamane?› o quest'oggi, a seconda dei casi.»
Il signor Omer e io ci facemmo a vicenda cenni di assentimento, e lui
riprese fiato con l'aiuto della pipa.

Il signor Omer, con un'espressione molto compiaciuta e cordiale, tirò
parecchie pipate in silenzio e poi disse, riprendendo il primo punto:
«Di conseguenza siamo costretti, per sapere come sta Barkis, a
limitarci a Emily. Lei sa quali sono i nostri veri scopi e non ha su di noi
allarmi né sospetti, come se fossimo tanti agnelli. Minnie e Joram sono
giusto andati laggiù alla casa (lei è là da parecchie ore per dare una mano a
sua zia) per sapere come sta stanotte; se voleste aspettare il loro ritorno, vi
daranno tutti i particolari. Volete qualche cosa? Un bicchiere di rum e
succo di limone annacquato? Anch'io fumo e bevo rum e succo di limone
annacquato,» disse il signor Omer prendendo il bicchiere, «perché dicono
che ammorbidisce i passaggi per i quali questo mio maledetto fiato entra in
azione.

Mi congratulai con lui del suo buon aspetto e del suo buon umore, e
solo adesso mi accorsi che la sua era una poltrona a rotelle.
«È una cosa molto ingegnosa, no?» chiese seguendo la direzione del
mio sguardo e lustrando il bracciolo con la manica. «Corre leggera come
una piuma e va sicura come una diligenza. Dio vi benedica, la piccola
Minnie - la mia nipotina, sapete, la figlia di Minnie - mette le sue poche
forze contro lo schienale, gli dà una spinta e filiamo via allegri e contenti
che è una bellezza! E vi dirò una cosa: è una poltrona straordinaria per
farci una pipata.»
Non avevo mai visto un buon vecchio rassegnarsi così allegramente a
una cosa e trovarci motivo di piacere come faceva il signor Omer. Era
radiante come se la sua poltrona, la sua asma e le sue gambe molli fossero
i vari elementi di una grande invenzione per rendergli più intense le gioie
della pipa.




(http://www.candeli.com/blog/princealbertcan.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Febbraio 2008, 21:20:23
Stereotipi affettati e ambigui

ROSS MacDONALD è lo pseudonimo di Kenneth Millar,  autore americano
è considerato dalla critica il terzo grande  della letteratura hard boiled,  dopo Dashiell Hammett e Raymond Chandler.

COSTA DEI BARBARI


Una serratura scattò e la porta fu socchiusa: nella fessura, proprio sotto il livello del mio viso, comparve una faccia dagli occhi sbiaditi e troppo separati, sporgenti come quelli dei pesci. La bocca sottile, da zitella, emise un sussurro.
«Sono contento di vedervi, signor Archer. Entrate.»
Richiuse la porta alle mie spalle e m'indicò una sedia davanti alla scrivania, con gesto nervoso, esagerato. Sedette a sua volta, aprì un sacchetto di cinghiale e cominciò a riempire di tabacco inglese, scuro, una grossa pipa di legno. La pipa, la giacchetta di Harris tweed, i calzoni oxford, le scarpe dalla grossa suola, gli atteggiamenti marinari, facevano tutti parte d'uno stesso schema. Nonostante l'accurata tintura dei capelli e l'innaturale giovinezza conferita al suo viso dall'abbronzatura, giudicai che dovesse essere sui sessanta.

Bassett avvicinò alla pipa l'accendino e creò una cortina di fumo azzurro attraverso la quale disse: «Dunque, signor Archer, ho saputo che voi siete specializzato, come guardia del corpo.»

La gente più distinta della Costa affida a me i suoi bambini, le sue figliole. Non dev'esserci ombra di scandalo sul mio conto. Sono come Calpurnia, capite?»
«E che c'entra lo scandalo?»
Calpurnia si tolse di bocca la pipa e soffiò un anello di fumo. «Speravo di poter evitare di parlarvene. Certo non m'aspettavo di dover subire un interrogatorio. Ad ogni modo, bisogna fare qualcosa prima che la situazione peggiori irrimediabilmente.»

Però sono in un guaio, anche se non per colpa mia. Non si tratta di ciò che ho fatto, ma di quello che potrebbe credere la gente. C'è di mezzo una donna, capite?»
«La moglie di George Wall?»
La sua faccia si scucì d'un tratto. Cercò di rimetterla assieme attorno al punto fisso della pipa, che s'era ficcata in bocca, ma non riuscì a controllare la smorfia che gli tirava in giù gli angoli delle labbra.
«La conoscete? Si è già saputo?»

Passando accanto a Wall raggiunse la sua scrivania e vi s'appoggiò contro, poi prese a pasticciare con la pipa e il sacchetto del tabacco. Le sue mani tremavano.

(http://img.timeinc.net/time/europe/magazine/2002/1230/stein.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Febbraio 2008, 21:21:43
La pipa porta consiglio

LAWRENCE SANDERS

IL SESTO COMANDAMENTO

La gente muore a miliardi e miliardi di bambini nascono. Niente di nuovo. E così morire sembra la cosa più naturale del mondo. No, non mi spaventa. Il dolore sì, forse. Non mi piace soffrire. Il dolore maligno, intendo. Ma quanto a morire non possiamo farci niente.»
«Sì», dissi debolmente, «è così senz'altro.»
Vuotò la pipa battendola sul tacco degli stivali di gomma e sporcando il portico, cosa che non sembrò preoccuparlo affatto. Prese fuori un sacchettino di tela cerata, lo aprì e cominciò a riempire di nuovo la pipa pressando il tabacco, nero e trinciato grosso, con un indice sporco.
«Vuole un consiglio, figliolo?» mi chiese.
«Be'... sì, certo.»
«Faccia sempre quello che vuole fare», disse tra una tirata e l'altra mentre accendeva la pipa. «Ecco il mio consiglio.»

(http://www.shaveblog.com/uploaded_images/tabac-794946.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Febbraio 2008, 23:43:23
Quando invece non consiglia.......

FRANCIS DURBRIDGE

Nato a Hull, cittadina dello Yorkshire in Gran Bretagna, laureatosi a Birmingham in Letteratura inglese, lavorò come agente di cambio per qualche tempo, finché all'età di 21 anni non riuscì a vendere un radiodramma alla BBC. Cominciò così una fortunatissima carriera di scrittore e autore di commedie, film e sceneggiati televisivi,
Molti dei quali,i più noiosi,furono trasmessi anche dalla RAI

MEZZ'ORA PER VIVERE, MEZZ'ORA PER MORIRE

Craddock aveva estratto una lattina di "John Cotton" e stava accuratamente riempiendo di tabacco la sua pipa.
«Naturalmente, hai scorto un legame tra questo delitto e quelli di cui ti stai occupando a Londra» disse dopo averla accesa. «Pensi forse che Hilton sia quel famoso "signor King" del quale mi hai parlato?»
O'Day fece una piccola smorfia e, per qualche secondo, lasciò vagare i suoi pensieri. Quindi si alzò, si tolse di tasca un tubetto di vetro e dopo averne estratto una pillola, la ingoiò con un brusco movimento del capo.
«Non vuoi assolutamente credere a quanto ha dichiarato e cioè che si trattava di una normale e innocente amicizia?»
O'Day tirò diverse boccate dalla pipa e, dopo essersi assicurato che fosse bene accesa, gettò via il fiammifero.
«Non credi proprio che ci sia un collegamento tra questi due ultimi delitti?»
Craddock esitò, guardando attentamente dentro la pipa, come per cercare un suggerimento.

(http://news.bbc.co.uk/olmedia/75000/images/_77352_durbridge300.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Febbraio 2008, 23:46:25
Altro esempio

RAYMOND CHANDLER

IL GRANDE SONNO

Mi tolsi la giacca e mi buttai sul letto, a fissare il soffitto e ad ascoltare i rumori della strada. Cercai di ad-dormentarmi, ma il sonno non veniva. Mi alzai, mi versai un cicchetto sebbene non fosse l'ora più adatta, e tornai a sdraiarmi. Il cervello mi pul-sava come un orologio. Mi sedetti sull'orlo del materasso, riempii la pipa e dissi a voce alta:
«Quel vecchio impiastro sa qualcosa.»
La pipa era amara come liscivia. La mia mente era attraversata da ondate di falsi ricordi, in cui mi pareva di fare e rifare le stesse cose, di andare ne-gli stessi posti, d'incontrare le stesse persone, di dire e ridire le stesse parole.

(http://home.comcast.net/~mossrobert/images/1947-1952/rctaki2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Febbraio 2008, 23:57:31
Può capitare che una pipa sia l'ultima..... facciamo ogni scongiuro possibile,avete niente sottomano,ferri di cavallo etc...

CORNELL WOOLRICH

Il "noir",  ha avuto il suo poeta. Quel genere in parte sfuggente e poliedrico ben diverso dalla detective story, ha in Cornell uno dei suoi autori leggendari . Il nero  appare in molti titoli dei suoi romanzi, la cosiddetta "serie nera"
Ne abbiamo già parlato,comunque fumava sempre una "dress"

LA NOTTE HA MILLE OCCHI

Alle nove e dodici, un uomo tossì.
Alle nove e quattordici, un giornale crepitò.
Alle nove e sedici, il fornello di una pipa venne svuotato.
Alle nove e diciassette, una sedia scricchiolò.
Alle nove e diciannove, si sentì di nuovo scorrere l'acqua, ma stavolta più distante e con maggiore risonanza.
Dobbs alzò la mano al buio e tirò un'immaginaria catena. Sokolsky annuì, perfettamente d'accordo.

È Rob Hughes» disse. «Lo riconosco per quel dente d'oro. Sì, il molare. L'ho visto brillare mentre la torcia gli illuminava il viso. L'anno scorso, quando il dentista glielo ha messo, lui non faceva che parlare di quel dente. E io notavo che brillava tutte le volte che Rob si accendeva la pipa. Terminata l'accensione, lui apriva la bocca per soffiare sul fiammifero, e il dente scintillava sempre. Le dispiace accenderne uno lei e farglielo passare davanti al viso?» La bocca era già spalancata, in un disperato grido di morte. Così non ci fu bisogno di aprirla ulteriormente. «Ecco, vede come scintilla?»

(http://bevilacqua.us/ljpics/DunhillDressBlack-3407.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Febbraio 2008, 00:02:47
stesso infausto tema..

GEORGETTE HEYER

I primi romanzi storici della Heyer sono per lo più ambientati nel XVIII secolo e comprendono Beauvallet e Masquerade (in italiano). Successivamente, la scrittrice creò i suoi lavori più originali, ambientati nel periodo della Reggenza: tra questi si ricordano Venetia, Il gioco degli equivoci e Il dandy della reggenza.

I SERPENTI DELLA CORNOVAGLIA

Era una missiva scarna, senza nessun accenno alla decisione che aveva preso, nessun messaggio d'addio, nessuna disposizione relativa ai propri beni. Si limitava a comunicare a Ingram dove poteva trovare varie carte e documenti, quali affari andavano sistemati nei giorni successivi e la combinazione della cassaforte. Infilata la chiave in una busta, insieme con la lettera, Raymond scrisse il nome del destinatario e appose il sigillo. Mise la busta sulla carta assorbente, poi si alzò, prese la pistola di Ingram e la mise in tasca. In un grande posacenere di bronzo c'era una delle sue pipe, e un po' di cenere era caduta sulla scrivania. Raymond prese la pipa con l'intenzione di svuotarla e di metterla nel portapipe, sulla mensola del camino, quando gli venne in mente che non l'avrebbe più usata. Storcendo la bocca, la gettò nel cestino della carta straccia.
Si guardò intorno, come per dire addio a tutte le sue cose.

(http://farm2.static.flickr.com/1018/1450071831_1be4cdc186.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Febbraio 2008, 22:48:19
Ancora un'ultima pipa,ne parla la vecchietta terribile.

AGATHA CHRISTIE

CORPI AL SOLE

«Venga a vedere... ho messo tutto qui.»
Un piccolo assortimento di oggetti era allineato in bell'ordine su un sasso piatto: un paio di forbici, un pacchetto di Gold Flake, tre pezzetti di corda, due o tre frammenti di giornali, un pezzo di pipa rotta, quattro bottoni, un osso di pollo e una bottiglia vuota di olio per la pelle.
Weston osservò pensosamente quel campionario.
«Poca roba» borbottò. «Al giorno d'oggi, la gente sembra scambiare la spiaggia per un deposito di immondizie. Quella bottiglietta vuota dev'essere qui da parecchio tempo, a giudicare dalle condizioni dell'etichetta... altrettanto si dica per le altre cose... a eccezione delle forbici che mi sembra-no nuove. Sono luccicanti. Non erano certo qui ieri, con la pioggia che è caduta! Dove le ha trovate?»
«Accanto alla scala a pioli, colonnello. C'era anche quel pezzo di pipa.»
«Saranno cadute a qualcuno, mentre saliva o scendeva la scaletta. C'è niente che possa aiutare a rintracciare il proprietario?»
«No, signore. È un comunissimo paio di forbicette da unghie. Quanto alla pipa... è di schiuma, di qualità fine.»
Poirot mormorò pensoso:
«Se non erro il capitano Marshall ci ha detto di aver smarrito la pipa.»
«Marshall è liquidato definitivamente» brontolò Weston. «E poi, non è il solo a fumare la pipa.»
Poirot si accorse che Stephen Lane si portava istintivamente una mano alla tasca e la ritraeva stupito. Disse in tono bonario:
«Fuma la pipa anche lei, non è vero, signor Lane?»
Il pastore sussultò e guardò l'investigatore.
«Sì... sì. La pipa è come una vecchia amica per me.» Cacciò la mano in tasca e trasse una pipa, poi riempì il fornello di tabacco e l'accese. Poirot si avvicinò a Redfern che se ne stava un po' in disparte con gli occhi fissi nel vuoto.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/73/Pipa_di_Meerschaum.JPG/300px-Pipa_di_Meerschaum.JPG)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Febbraio 2008, 23:11:24
Per esorcizzare i precedenti post inserisco un pezzo di colore tratto dal libro più noire,diversa traduzione edito Mondadori,quella nel precedente post (pag8)Sugar editore.

PS. ilsimpatico vecchietto della foto non è l'autore del libro.

Jean Ray

Malpertuis

Su un ponte a schièna d'asino che sormontava, con un breve balzo, l'acqua verde del fiume, un vecchietto teneva un filo immerso nella corrente.
«Malgrado il freddo, ho preso due reine» mi gridò quando gli passai vicino.
Davanti alla vetrina di una panetteria, un garzone impolverato di farina scaricava una gerla di pane fresco, tutto fumante, e alla finestra di una taverna, le cui tende erano scostate, due uomini fumavano la pipa e urtavano, seri, i loro boccali di ceramica azzurra traboccanti di bianca schiuma.
Tutte queste immagini semplici traspiravano di vita. Io ingoiavo l'aria frizzante della strada che sembrava profumata dai panini caldi e dalla birra spumeggiante, e animata dalla canzone del fiume e dalla gioia del vecchio pescatore.
Dietro la curva del lungofiume apparve la nostra casa, con le verdi imposte chiuse.



(http://www.if.ufrj.br/famous/einstein.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2008, 16:36:46
Si accenna al colore delle pipe in terracotta....

VIOLET PAGE

Una tomba tra i cipressi del cimitero anglicano degli Allori ,sulla Senese poco oltre le Due Strade, conserva le ceneri di Violet Paget ,più nota con lo pseudonimo maschile di "Vernon Lee",  che visse a Firenze, dove morì quasi ottantenne.
A soli 19 anni Vernon cominciò a scrivere saggi sul romanzo inglese, uno dei quali sulla scrittrice Ouida (Louise de la Ramée, marchesa Lottaringhi della Stufa che viveva in una villa a Signa). Scrisse oltre 40 libri, tra romanzi, racconti e saggistica di vario tipo, alcuni dei quali stampati da Leonard e Virginia Woolf alla Hogarth Press; si occupò di storia, ma anche di favole toscane, di musica, di arte, di questioni sociali scrisse molto sul risorgimento. In italiano sono stati tradotti: Il Settecento in Italia: letteratura, teatro, musica; La scultura del Rinascimento; Possessioni: tre storie improbabili; Ombre italiane: racconti .
La sua vita fu segnata dalle relazioni che aveva con le donne che amava,il periodo non era dei più tolleranti,fumava sia il sigaro che la pipa.

La leggenda di Madame Krasinska

Oh, Dio! Dio! Ora giacciono nella grande trincea a San Martino, senza una croce, neanche un pezzo di legno col loro nome. Ma i cappotti bianchi degli austriaci si sono tinti di rosso, ve lo assicuro! E il nuovo colore che chiamano magenta è fatto con terra da pipa - la terra da pipa con cui si pulisce il pelo bianco dei cani - e col sangue degli austriaci. È un colore magnifico, credetemi!
Signore, Signore, come sono bagnati i piedi della povera donna! E non c'è il fuoco per riscaldarli. Quando non si possono asciugare i vestiti, la miglior cosa è mettersi a letto, così si risparmia il petrolio della lampada. Era ottimo quello che mi ha regalato il parroco...
Ahi, ahi, come dolgono le ossa sulle tavole, anche se c'è una coperta sopra! Quel buon materasso al banco dei pegni! È assurdo che gli italiani perdano! Hanno fatto a pezzi gli austriaci, ne hanno fatto carne da macello; e i volontari tornano domani.
(http://www.ilfogliodellapiazza.com/images/img/14-pipe3.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2008, 16:40:30
Basta poco per essere felici..

REX ERNEST

La locanda

Mentalmente, encomiò la previdenza dell'albergatore nel servire un'abbondante riserva di birra. Sotto l'influsso piacevole di uno stomaco soddisfatto e di un tepore confortevole, un dolce appagamento si impossessò di lui.
Con tranquillità caricò la pipa, e gettò uno sguardo alla grande stanza. Il ceppo crepitava, ancora rosso e, dopo aver riempito nuovamente il bicchiere, Barlow abbassò la lampada e camminò oltre la grossa panca, tendendo le gambe verso la fiamma. Accese la pipa, e con quel buon tirare, si rilassò con godimento. Ah! Era bello!
Con gli occhi semichiusi che fissavano il centro del fuoco, si lasciò cadere in meditazioni sognanti.
(http://www.saladich.com/pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2008, 22:44:11
Atmosfere....

R. A. SALVATORE
Nel 1982 inizia a scrivere,genere fantasy, sviluppando un manoscritto che intitolerà Echoes of the Fourth Magic (inedito in Italia). Pubblicherà poi molte serie di romanzi per l'ambientazione Forgotten Realms, e la sua popolarità crescerà ulteriormente per la saga della Trilogia del demone e per i due libri di Guerre Stellari.
Ha ideato anche molte trame D&D e di famosi giochi per consolle

LE LANDE D'ARGENTO
Ma, più di ogni altra cosa, la taverna del Coltellaccio era una stanza dei sensi, ricca di miriadi di suoni, immagini e odori. Ogni angolo del locale era permeato dall'afrore dell'alcol; dalla birra e dal vino scadente alle bevande più forti e pregiate. Proprio come la nebbia all'esterno, una cortina di fumo di esotici tabacchi da pipa stemperava l'aspra realtà delle immagini ammorbidendola in un'atmosfera simile a quella dei sogni.

(http://www.chambradoc.it/applications/webwork/site_chambradoc/local/document/000252.PipaLamigliore.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2008, 22:52:23
Ancora atmosfere

GIUSEPPE D'AGATA
Partigiano ha raccontato la Resistenza in più opere, fra le quali I ragazzi del coprifuoco. Ha vissuto molti anni a Roma, dove il suo impegno di scrittore si è unito al lavoro di dirigente RAI.
Fra più popolari scrittori italiani, i suoi libri, in alcuni casi, sono diventati film e sceneggiati televisivi di enorme successo (Il medico della mutua, Il segno del comando, L'esercito di Scipione).
Alcuni suoi romanzi sono stati particolarmente valutati dalla critica per il valore di ricerca e di sperimentalità, da Il dottore fino al recente I passi sulla testa, altri si sono rivolti al grande pubblico, come Il ritorno dei templari.
Autore anche di sceneggiature cinematografiche, ha diretto la rivista L'orto e si è occupato a lungo di arte contemporanea, curando rubriche di critica su alcuni quotidiani.

 IL SEGNO DEL COMANDO

Famosissimo sceneggiato fantatriller in 5 puntate in Rai nel 1971
Attori: Ugo Pagliai, Carla Gravina, Rossella Falk, Massimo Girotti, Paola Tedesco
Regia: Daniele D'Anza

È uno dei pochi posti, a Roma, dove facciano dei buoni Martini con lo sherry.»
«Se uno non ha ancora mangiato prende un whisky. Se ha già mangiato, prende un whisky lo stesso.»
«Non l'ho mai vista fumare la pipa.»
«Infatti la fumo soltanto in serate come questa: per avere un'aria più britannica.»
«All'estero un inglese senza la pipa rischia di non essere preso sul serio.»
Barbara indossava un abito elegantissimo e molto scollato, che valorizzava in pieno la sua figura perfetta. Porse sorridendo un bicchiere a un'anziana signora, una nobildonna che sedeva al centro di un gruppo di invitati, poi fece cenno di avvicinarsi ad un cameriere che reggeva un vassoio e si allontanò.

(http://www.copia-di-arte.com/kunst/william_michael_harnett/still_life_pipe_tobacco_match_hi.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2008, 22:57:54
Quando la pipa non smussa gli angoli,si spezza

ROSS MacDONALD

NON FUGGIRE SCERIFFO

Sei un bugiardo incorreggibile. Hai mentito prima che ci sposassimo, a proposito delle tue risorse e delle tue possibilità. Hai persino finto di amarmi.» La voce della donna si spezzò, sdegnosa. «Tutta la tua vita con me è stata una bugia. Non mi hai nemmeno dato una normale fedeltà.»
«Provalo.»
«Non è necessario: lo so. Credi d'avermi ingannato con le tue scuse infantili, quando tornavi nella mia casa con gli abiti in disordine, la bocca sporca di rossetto...»
«Un momento.» Kerrigan le puntò contro la cannuccia della pipa, come una pistola. «Lo sai che cosa hai detto, Kate? La tua casa, l'hai chiamata. Non la nostra: la tua. E poi ti domandi perché mi sento un intruso.»
«Perché lo sei. Sei un intruso. Mio nonno ha costruito questa casa per mia nonna. Poi l'hanno lasciata a mio padre e mio padre l'ha lasciata a me. È mia. Non riuscirai mai a metterci le mani sopra.»
«E chi la vuole?»
Non preoccupartene, ho detto. Dimenticatene.» Le dita dell'uomo si strinsero intorno alla cannuccia di ambra della pipa e la spezzarono. «E dimenticati anche di me. Ne ho abbastanza: della città, di questa casa, di tutto. Me ne vado.» E si diresse verso la porta.

(http://www.chemamadoz.com/gallery/pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2008, 23:04:11
Ancora lui.. e la pipa non aiuta e non consiglia

FRANCIS DURBRIDGE

COME UN URAGANO

Giunto alla fine del vialetto, Mark guardò attentamente in entrambe le direzioni prima di immettersi nella strada principale. Clay aveva acceso un fiammifero e tirava profonde boccate dalla sua pipa.
«Le dà fastidio?»
«Cosa?»
«Il fumo della pipa.»
«No, assolutamente. Non sapevo che lei fumasse, comunque.»
«Fumo due o tre pipe al giorno, non di più. Ed evito sempre di fumare vicino alle donne. Ho imparato questa lezione da quando una volta ho acceso la pipa in un ristorante e la ragazza che avevo portato a cena mi ha dato il benservito.» Clay ridacchiò al ricordo e abbassò il finestrino. «Era anche una bella ragazza, tra l'altro.»
Clay continuò a fumare la pipa. I due rimasero in silenzio fin quando Mark non ebbe raggiunto le prime case di Alunbury.
«Può lasciarmi all'angolo della Station Road, signora Paxton.»
Non aveva fretta. Voleva riflettere e ci riusciva meglio camminando, specialmente con la pipa in bocca. Station Road era una delle vie più vecchie e, dopo l'inizio del boom edilizio, delle più tranquille di Alunbury. Molti negozi erano stati costretti a chiudere, ma c'erano ancora due o tre botteghe d'antiquariato che Clay andava a visitare quando aveva tempo. Per arrivare alla pasticceria di Kitty Tracy passò davanti a una di queste botteghe.
(http://www.regione.emilia-romagna.it/wcm/infanzia/sezioni/promozione/sistema_integrato/Cavallo_pipa.jpeg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Marzo 2008, 00:34:26
Nostalgie...... di un immenso

Hermann Hesse

Del mio tempo a scuola

Il preside Bauer, anni prima, godeva fama di essere stato un pedagogo duro e alieno; un mio parente più vecchio di me era stato alcuni anni prima suo studente ed era stato duramente maltrattato da lui. Ora era un vecchio signore, passava per un originale, per un'insegnante che pretendeva molto dai suoi studenti, ma che sapeva essere anche gentile con loro. Comunque non era certo poca la paura che avevo di lui quando per mano a mia madre, dopo il primo doloroso distacco dalla casa paterna, ero in attesa davanti alla porta dello studio del preside. Credo che mia madre non fosse entusiasta di lui (quando ci venne incontro e ci fece entrare in quella sua stanza), un vecchio uomo ricurvo con i capelli grigi arruffati, con degli occhi un pò sporgenti venati di rosso, con un abito indescrivibile sul verde sbiadito, di foggia antiquata, con gli occhiali appoggiati in basso sulla punta del naso, e nella mano destra una lunga pipa che arrivava quasi a terra con una grande testa in porcellana, da cui faceva uscire ininterrottamente grosse nuvole di fumo, soffiando nella stanza già affumicata. Anche durante le ore di lezione non si separava da quella pipa. Questo strano vecchio con quell'aspetto curvo e trasandato, con l'abito vecchio e consumato, con quello sguardo triste e almanaccato, con le sue pantofole sformate, la sua lunga pipa fumante mi sembrò un vecchio mago alla cui tutela stavo per essere consegnato. Avrebbe potuto essere orribile vicino a questo vecchio grigio, polveroso, fuori dal mondo, ma forse avrebbe potuto anche essere affascinante, entusiasmante, in ogni caso sarebbe stato qualcosa di particolare, un'avventura un'esperienza. Ero pronto e curioso di andargli incontro.


Anche se quella sobria città industriale, la prigionia sotto la sorveglianza della mia severa padrona di casa e l'aspetto esteriore della mia vita a Göpping non mi piacevano in assoluto, tuttavia quel periodo (quasi un anno e mezzo) è stato estremamente fertile e importante per la mia vita. Quel rapporto tra maestro e allievo, di cui avevo avuto sentore a Calw con il professor Schmid, quel rapporto estremamente fecondo e sottile tra una guida spirituale e un ragazzo dotato, si sviluppò pienamente tra me e il preside Bauer. Quel vecchio originale, dall'aspetto pressoché spaventoso, pieno di stranezze e di stramberie, che guardava attraverso le sue piccole lenti verdi spiando malinconico, che riempiva col fumo della sua lunga pipa la nostra aula piccola e sovraffollata, fu per me, per un certo tempo, guida modello e giudice, un venerato semidio. Oltre a lui aveva avevamo altri due insegnanti, ma per me era come se non esistessero; scomparivano come ombre, come se mancassero di una dimensione, dietro l'amata, temuta, venerata figura del vecchio Bauer. E parimenti scompariva la vita a Göpping per me così poco simpatica; scomparivano perfino le amicizie con i compagni di scuola e diventavano prive d'importanza, accanto a questa figura principale. In quel periodo in cui la mia adolescenza era in piena fioritura e in cui già si muovevano le prime percezioni e intuizioni dell'amore tra i sessi, di fatto, per più di un anno, la scuola, l'istituzione solitamente tanto disprezzata o indifferente, fu il punto centrale della mia vita attorno a cui tutto girava, persino i sogni, persino i pensieri nei giorni di vacanza. Io che ero sempre stato uno scolaro sensibile e critico, che rifiutavo fino al sangue ogni forma di sottomissione e di sudditanza, ero prigioniero di questo vecchio misterioso, completamente stregato dal semplice fatto che mi spronava agli sforzi estremi, ai più alti ideali, che non sembrava vedere la mia immaturità, le mie goffaggini, le mie debolezze, che presupponeva in me il massimo e che considerava normale il massimo impegno. Non aveva bisogno di molte parole per esprimere una lode. Quando di un compito di latino o di greco diceva: "Hesse; l'hai fatto molto bene", per giorni e giorni ero felice e contento. E se, senza soffermarsi, senza guardarmi, mi sussurrava: "Non sono contento dite, potresti fare meglio", ne soffrivo e mi sforzavo furiosamente di riconquistare il favore del semidio. Spesso parlava latino con me, aveva tradotto il mio nome in Chattus.

Non so proprio dire quanto l'esperienza di quel particolare rapporto fosse condivisa dai miei compagni. Alcuni privilegiati, miei compagni e rivali più prossimi, erano evidentemente come me in balia del vecchio cacciatore d'anime e in quel tempo sentivano, come me, la solennità della vocazione, si sentivano come iniziati al primo livello di sacralità. Quando cerco di interpretare psicologicamente la mia giovinezza trovo che la cosa migliore e più efficace di quel periodo, nonostante fossi ribelle e fuggissi le bandiere, era la mia disponibilità al rispetto e il fatto che la mia anima progrediva e fioriva per il meglio, se poteva venerare, adorare, mirare alle mete più elevate. Questa fortuna, i cui esordi mio padre aveva capito e coltivato, che era stata sul punto di appassire sotto una schiera di maestri incapaci, mediocri e indifferenti, che era rifiorita un poco sotto l'influenza dell'iracondo professor Schmid, si sviluppò pienamente con il preside Bauer per la prima e ultima volta nella mia vita.

Se il nostro preside non fosse stato capace d'altro che di far innamorare gli scolari più idealisti del greco e del latino e d'instillare in loro la fede in una vocazione spirituale e il senso di responsabilità conseguente, sarebbe già stato qualcosa di grande e degno di riconoscenza. La caratteristica rara di questo insegnante era la sua capacità non solo di individuare i più intellettuali tra i suoi scolari e di dare nutrimento e consistenza al loro idealismo, ma di sapersi adeguare all'età degli scolari, al loro infantilismo, alla loro voglia di giocare. Poiché Bauer non era solo un venerato Socrate, era anche un insegnante abile ed estremamente originale, che capiva di dover rendere piacevole la scuola ai suoi allievi tredicenni. Questo saggio, che sapeva presentarci la sintassi latina e la morfologia greca in modo tanto geniale, aveva sempre delle trovate didattiche che entusiasmavano noi studenti. Bisogna avere idea della severità, della rigidità e della noia dei licei di quel tempo per potersi immaginare l'impressione di freschezza, di originalità e di genialità di questo ~l uomo in mezzo a una casta di secchi funzionari. Già il suo aspetto, la sua apparizione fantastica, che inizialmente suscitava critiche e risa, diventò presto uno strumento di autorità e disciplina. Delle sue peculiarità e dei suoi interessi, che in sé non sembravano adatti a sostenere la sua autorità, fece dei nuovi strumenti pedagogici. Per esempio la lunga pipa, che aveva atterrito mia madre, per noi studenti non fu più un attributo ridicolo o fastidioso, ma una specie di scettro e di simbolo di potere. Chi aveva il permesso di tenergli per qualche attimo la pipa, chi veniva incaricato di svuotarla e di tenerla in ordine, era un invidiato favorito. C'erano altri incarichi onorifici, per i quali noi scolari proponevano solleciti. C'era l'incarico di "sventato" che io ricoprii per qualche tempo con orgoglio. Lo "sventato" doveva spolverare ogni giorno la cattedra del preside con due zampe di lepre che stavano sopra la cattedra. Quando l'incarico mi venne tolto e fu dato a un altro scolaro, fu per me una severa punizione.

Nei giorni invernali, quando sedevamo nella classe molto riscaldata e piena di fumo, se fuori il sole compariva davanti alle finestre coperte di ghiaccio, poteva essere che il nostro preside dicesse all'improvviso: "Ragazzi, qui dentro c'è una puzza da far pietà e fuori c'è il sole. Fate una gara attorno alla casa e prima aprite la finestra!" Oppure nei periodi in cui noi candidati per l'esame di stato eravamo carichi di compiti extra, inaspettatamente ci invitava a salire nel suo appartamento dove, in una stanza speciale, trovavamo sopra un enorme tavolo molte scatole di soldatini di zinco che organizzavamo in eserciti e in file da combattimento, e quando la battaglia cominciava il preside soffiava potenti nuvole di fumo dalla pipa tra i battaglioni.

Le cose belle sono caduche e i bei tempi non durano a lungo. Se penso all'epoca di G ö pping, all'unico breve periodo dei miei anni di scuola in cui sono stato un bravo scolaro, in cui veneravo e amavo il mio maestro e mi impegnavo seriamente, mi vengono sempre in mente le vacanze estive del 1890 che trascorsi a Calw nella casa dei miei genitori. Per le vacanze non eravamo stati caricati di compiti. Al contrario, il preside Bauer ci aveva fatto presentì le "regole di vita" di Isocrate, che erano contenute nella nostra crestomazia greca e ci aveva raccontato che in tempi precedenti alcuni dei suoi migliori allievi le avevano imparate a memoria. Stava a noi seguire o no questo esempio.

Di quelle vacanze mi sono rimaste impresse alcune passeggiate con mio padre. Di quando in quando trascorrevamo il pomeriggio nei boschi sopra Calw; sotto i vecchi abeti c'erano mirtilli e lamponi in quantità, e nelle radure fioriva l'erica e volavano le farfalle estive, atalante e vanesse. C'era un forte profumo di resina e di funghi e a volte ci capitava di vedere dei caprioli. Allora mi aggiravo con mio padre nel bosco e ci fermavamo qui e là sui prati ai margini del bosco. E ogni tanto mi chiedeva a che punto ero con Isocrate, poiché ogni giorno mi sedevo davanti al libro e imparavo quelle "regole" a memoria. E ancora oggi la frase iniziale di Isocrate è l'unico brano di prosa greca che io conosco a memoria. Questa frase di Isocrate e un paio di versi di Omero sono tutto ciò che mi è rimasto della mia conoscenza scolastica della lingua greca. Del resto non riuscii neppure a venire a capo di tutte le "regole". Arrivai a una dozzina di frasi, imparate a memoria e che mi portai dentro per un breve periodo e che potevo ripescare a mio piacere, finché nel corso degli anni si persero e scomparvero come tutto ciò che l'uomo possiede per un momento e di cui crede di essersi impossessato definitivamente.

Oggi non so più una parola di greco e anche il latino si è perso quasi del tutto, l'avrei dimenticato completamente se non vivesse ancor oggi uno dei miei compagni di Göpping e non fosse ancora oggi mio amico. Ogni tanto mi scrive una lettera in latino e quando la leggo, aggirandomi tra le belle costruzioni classiche, sento il lieve profumo del giardino della giovinezza e della pipa del vecchio preside Bauer.

(http://www.unafotoalgiorno.it/varie/foto/fotoamici003_big.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2008, 22:56:12
......perchè la pipa è poesia.

Petőfi Sándor (1823-1849)

Il piú famoso poeta dell'epoca del Risorgimento ungherese e il piú conosciuto e tradotto poeta ungherese in tutto il mondo.  Poeta dell'amore e della libertá.

QUANDO ENTRAI IN CUCINA...

Quando entrai in cucina,
accesi la mia pipa,
dico, l'avrei accesa
senonché essa gia ardeva.

La mia pipa in pieno ardeva,
E non entrai per accenderla,
Ci andai solo perché c'era
Una bellezza in cucina.

Fuoco accese la mia bella,
Lo attizzava ed esso ardeva,
Ahi, negli occhi s'accendeva
Una fiamma gigantesca.

Quando entrai lei mi guardo,
Accipicchia, lei m'incanto,
La mia pipa si era spenta,
Il mio cuore s'accendeva.

(http://www.mellowmood.hu/pictures/pilvax_restaurant/162_petofi_sandor_175.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2008, 22:59:51
Cesare Pavese

Cattive compagnie

Questo è un uomo che fuma la pipa.
Laggíù nello specchio,
c'è n'è un altro che fuma la pipa.
 Si guardano in faccia.
Quello vero è tranquillo perché
vede l'altro sorridere.

Prima ha visto altre cose.
 Su un fondo di fumo
una faccia di donna protesa
a sorridere e un idiota leccarla
con gli occhi parlando.

Poi l'idiota, parlando, afferrare
 anche lui e strappargli un sogghigno.
Un sogghigno da idiota.
E la donna piegarsi e serrare le labbra
come avesse veduto qualcosa di nudo.

Ora, corpi di uomini nudi la donna
 ne vede dal mattino alla sera,
ma spoglia anche sé e là sopra
 lavora, ridendo. E sogghigni ne vede
e ne fa, sul lavoro: anzi, è mezzo lavoro
un sogghigno ben fatto. Ma quando
una è lì per scherzare a parole,
 ferisce vedere anche l'altro,
che in silenzio ascoltava parlare
l'idiota, lampeggiare lo stesso
pensiero brutale.

Donna e idiota son già ritornati
a alitarsi sul volto si somigliano
un poco le donne e gli idioti
e la pipa vapora una faccia contratta.
Dentro il fumo è possibile fare una
 smorfia e socchiudere gli occhi.
La donna ridendo schiva quello
che parla pendendole addosso.


"Lo steddazzu"

L'uomo solo si leva che il mare è ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov'è il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest'è l'ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti
pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquìo.
L'uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarà come il fuoco, avvampante.

Non c'è cosa più amara che l'alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c'è cosa più amara
che l'inutilità. Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall'alba.
Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
a cui l'uomo, per fare qualcosa, si scalda;
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov'è un letto di neve. La lentezza dell'ora
è spietata, per chi non aspetta più nulla.

Val la pena che il sole si levi dal mare
e la lunga giornata cominci? Domani
tornerà alba tiepida con la diafana luce
e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
L'uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l'ultima stella si spegne nel cielo,
l'uomo adagio prepara la pipa e l'accende.

(http://www.danna.it/Allegati/Image/La%20nostra%20storia/imm10.jpg)

Spettabile Editore Einaudi,
accetto le condizioni che mi fate per l’edizione del mio racconto Paesi tuoi. Gradirei che simbolicamente mi fosse versato in anticipo n. 1 pipa, onde fumarmela e preparare in serenità altri e più seducenti racconti.
Dev.mo
Cesare Pavese


Risposta di Pavese alla lettera-contratto dell’editore Einaudi (Torino), 2 maggio 1941
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2008, 17:30:57
Ancora,quasi una canzone..

Stefano Benni

È autore di vari romanzi e antologie di racconti di successo, tra i quali Bar Sport, Elianto, La compagnia dei celestini, Baol, Comici spaventati guerrieri, Saltatempo, Margherita Dolcevita.
Ha collaborato con i settimanali L'espresso e Panorama, con i satirici Cuore e Tango, il mensile Linus, i quotidiani La Repubblica e Il Manifesto.
Nel 1989 ha inoltre diretto un film, Musica per vecchi animali, tratto dal suo romanzo Comici spaventati guerrieri ed è sceneggiatore del film Topo Galileo, interpretato dall'amico Beppe Grillo e Francesco Guccini musicato da Fabrizio De André.

Le piccole cose

Le piccole cose
che amo di te
quel tuo sorriso
un po' lontano
il gesto lento della mano
con cui mi accarezzi i capelli
e dici: vorrei
averli anch'io così belli
e io dico: caro
sei un po' matto
e a letto svegliarsi
col tuo respiro vicino
e sul comodino
il giornale della sera
la tua caffettiera
che canta, in cucina
l'odore di pipa
che fumi la mattina
il tuo profumo
un po' balsé
il tuo buffo gilet
le piccole cose
che amo di te
Quel tuo sorriso
strano
il gesto continuo della mano
con cui mi tocchi i capelli
e ripeti: vorrei
averli anch'io così belli
e io dico: caro
me l'hai già detto
e a letto sveglia
sentendo il tuo respiro
un po' affannato
e sul comodino
il bicarbonato
la tua caffettiera
che sibila in cucina
l'odore di pipa
anche la mattina
il tuo profumo
un po' demodé
le piccole cose
che amo di te
Quel tuo sorriso beota
la mania idiota
di tirarmi i capelli
e dici: vorrei
averli anch'io così belli
e ti dico: cretino,
comprati un parrucchino!
e a letto stare sveglia
e sentirti russare
e sul comodino
un tuo calzino
e la tua caffettiera
che é esplosa
finalmente, in cucina!
la pipa che impesta
fin dalla mattina
il tuo profumo
di scimpanzé
quell'orrendo gilet
le piccole cose
che amo di te

(http://valhalla.ilcannocchiale.it/blogs/bloggerarchimg/Valhalla/Pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2008, 17:35:41
Ancora un'ultima pipa,che però non c'è..

LICIA TROISI

autrice di romanzi fantasy.
Residente a Roma ma di origini campane, si è laureata in fisica con specializzazione in astrofisica presentendo una tesi sulle galassie nane il 17 dicembre 2004 all'università di Roma 2 "Tor Vergata".
Oltre alla professione di scrittrice, Licia Troisi lavora anche come astrofisica, collaborando con l'Agenzia Spaziale Italiana.

LE GUERRE DEL MONDO EMERSO

Chiuse gli occhi, ma non vide oscurità. Sentiva il sangue fluire dalla ferita, sempre più lento. Dietro la sua schiena, il respiro possente di Oarf dettava il ritmo al suo cuore sempre più debole. Rimpianse di non avere con sé la sua pipa. Avrebbe voluto farsi un'ultima fumata. Pensò con un sorriso alla frase che Sennar gli aveva scritto anni addietro: "Tu morirai con la tua spada in mano." Dov'era la sua spada? Non riusciva neppure a ricordarlo.
Provò a riaprire gli occhi, ma fuori ormai non c'era nulla da vedere. Tutto era luce, una luce calda e rassicurante.

(http://www.gentileschi.it/arte/guggenheim/immaginigug/pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2008, 17:45:34
Per il morale ,dopo il ferale brano precedente,un altro paragone amore pipa.
A dimostrazione che fumare la pipa è piacevole come un atto o un ricordo d'amore,oppure il contrario...

FRANCESCA LIA BLOCK
Figlia di un poeta e di una pittrice, vive e lavora a Los Angeles, la città degli angeli.
Nei suoi romanzi racconta con parole e immagini le caotiche periferie delle città: storie eteree, agrodolci, fluorescenti, punkettare, dove gli angeli sono ad ogni angolo di strada e dove l'amore è il più pericoloso di tutti.

Baby Be-Bop

Da quell'istante non mi sentii affatto meno solo. Fu semplicemente come se Solo Luna si fosse unita a me nel paesaggio malinconico e battuto dal vento della mia desolazione. "Sono incinta" sbottò una sera mentre mi aspirava dentro di lei come può fare una bocca su una pipa accesa

(http://www.residenzgalerie.at/de/WE372_1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Marzo 2008, 23:49:38
Pipa stonata....

STEPHEN KING

La festa di nozze

Questo era quando il jazz era jazz e non rumore. Noi eravamo in cinque, batteria, clarino, trombone, piano e tromba, e ci sapevamo fare. Mancavano ancora tre anni ai nostri primi dischi e quattro anni al cinema sonoro.
Stavamo eseguendo Bamboo Bay quando entrò questo omone vestito di bianco, che fumava una pipa con più ghirigori di un corno francese. Noi suonatori eravamo tutti un po' brilli ma la gente nel locale era completa-mente fatta e se la spassava bellamente. Non c'era stata una scazzottata in tutta la sera. Noialtri si sudava a fiumi e Tommy Englander, il gestore, ci riforniva senza sosta di whisky. Era uno per cui si lavorava volentieri e gli piaceva il nostro sound.
«Ho dei soldi per lei», disse Scollay.
«Io non ho fatto niente per guadagnarli.»
«Lo farà. Sono duecento. Li divida con i compagni o se ne intaschi cento per sé.»
«Di che si tratta?»
«Uno spettacolo», rispose. «Mia sorella si sposa e voglio che suoniate al ricevimento. Le piace il Dixieland. Due dei miei ragazzi dicono che voi suonate un buon Dixieland.»
«È troppo», risposi io. «Cosa c'è sotto?»
«Ci sono due ragioni», disse Scollay. Tirò una boccata dalla pipa. C'entrava poco o niente con quella faccia da canaglia. Avrebbe dovuto avere
una Lucky appesa alle labbra, o una Sweet Caporal. La pipa lo faceva apparire triste e comico.
«Forse ha sentito che il Greco ha cercato di farmi fuori», disse.
Non sapevo che cosa dire. Non sapevo perché lo veniva a raccontare a me, né perché secondo lui un'orchestra Dixieland risolveva tutto, ma non avevo intenzione di mettermi a discutere con lui. Non sarebbe venuta voglia nemmeno a voi, con o senza quel ridicolo vestito e quella pipa.

(http://images4.wikia.nocookie.net/memoryalpha/de/images/thumb/7/76/Data_Pfeife.jpg/180px-Data_Pfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Marzo 2008, 23:57:17
Chi fuma la pipa è persona mite e riflessiva (leggenda metropolitana)

ERIC GIACOMETTI & JACQUES RAVENNE
Giacometti è giornalista d’inchiesta. Si è occupato tra le altre cose di malasanità, denunciando numerosi scandali dal problema dell’amianto allo scandalo sul sangue infetto.
Dietro lo pseudonimo di Jacques Ravenne si cela un maestro massone che vuole tenere segreto il suo vero nome. Amico di Giacometti da 25 anni, i due non hanno mai affrontato il tema massoneria prima di scrivere questo libro.

IL RITUALE DELL'OMBRA


Bechir si dibatteva per sfuggire ai vincoli d'acciaio, ma tutta quell'agitazione non fece che aumentare la stretta.
«Lei è pazzo... io... la rosa...»
Il giardiniere si grattò la testa, come se misurasse la portata della risposta del palestinese, poi fece un cenno di diniego.
«Risposta sbagliata, amico mio. Era il tulipano.»
Con un colpo preciso sezionò il dito dell'altro piede. Bechir urlò come un forsennato e per poco non perse i sensi. Il secondo uomo si spostò di lato, all'altezza della testa e lo schiaffeggiò. Bechir deglutì. La paura lo aveva invaso, lo corrodeva come un acido bruciante, ancora più forte del dolore.
«Vi supplico, fermatevi, vi dirò tutto quello che vorrete.»
Il giardiniere si alzò e ripose le cesoie nella tasca del grembiule. Tirò fuori una pipa dall'altra tasca e la caricò con cura mentre il sangue di Be-chir colava per terra a getti irregolari.
«Per favore, sto per esaurire tutto il sangue che ho in corpo, fermate l'emorragia. Vi prego...»
Un odore di tabacco caramellato si diffuse nel piccolo scantinato, sovrapponendosi ai cattivi odori. L'uomo tirò qualche boccata, lo sguardo perso nel vuoto.
«Sono il giardiniere. Mi pare di averglielo già detto, no?»
Bechir sentiva il sangue fluirgli dal corpo. La debolezza, che aumentava ogni secondo, lo stava sopraffacendo. Ma soprattutto si rendeva conto che perdeva la ragione, incapace di sostenere un dialogo coerente con il suo carnefice. Tuttavia, non doveva contrariarlo.
«Sì... lo so... è un bel mestiere.»

(http://www1.karlsruhe.de/Kultur/Galerie/Beendet/luetzenkirchen-pfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 18 Marzo 2008, 11:48:13
ecco un grande fumatore di pipa

http://lavarende.free.fr/
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Ramon - 28 Marzo 2008, 19:48:55
Se c'era già chiedo scusa.

"La Panchina"

Un’inedita Bolzano degli anni ’60 vista attraverso gli occhi di un liceale tra sogni, realtà e fantasia.


"La prima volta che Georg e Manfred lo avevano incontrato rimasero incantati nell’osservare i suoi gesti. Aveva estratto una vecchia pipa e l’aveva caricata con cura, poi, quando un pungente fumo gli era uscito dalle narici, aveva esclamato: "Cosa volete, ragazzi, questa è l’unica cosa in cui trovo ancora piacere". E aveva continuato a fumare, assaporando l’odore del tabacco bruciato stringendo con amore il bocchino della pipa tra i pochi denti che ancora conservava. E intanto i suoi occhi azzurri, un po’ acquosi, rimanevano sereni, pur conservando nel profondo una leggera intonazione ironica. Le mani gli tremavano un poco, mentre puliva la pipa, ma la voce era ferma."

Tutto il capitolo: http://www.peterdisertori.it/panchina%20cap%20IV.htm
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 07 Aprile 2008, 09:56:42
in "Acque Morte" l'incommensurabile W.S. Maugham ci informa che la terribile moglie del Capitano Nichols sopportava solo il Player's Navy Cut
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Aprile 2008, 00:37:23
Una, Sua , piccola rarità,che schiude ancora un mondo di meraviglie.

J.R.R.Tolkien

Roverandom

A volte i due cani osarono stuzzicare i ragni: mordicchiando le ragnatele, liberando i raggi di luna e scappando via appena in tempo, con i ragni che lanciavano loro i lazo dalla cima delle colline. Ma Roverandom continuava a star di vedetta, in attesa del postino Mew e del giornale News of the World (per lo più assassini e partite di cal-cio, come sa perfino un cagnetto; ma qualche volta, in un angolino, c'è qualcosa di meglio).
Si perdette la nuova visita di Mew perché era intento a uno dei suoi vagabondaggi, ma quando tornò il vecchio stava ancora leggendosi le lettere e le notizie (e pareva anche di ottimo umore, seduto sul tetto con i piedi penzoloni oltre l'orlo, fumando un'enorme pipa di creta bianca, emettendo nuvole di fumo come una locomotiva e sorridendo a tutta bocca nel tondo viso rugoso).
Il vecchio posò la lettera (parlava di Artaserse, ed era molto divertente) e si tolse la pipa di bocca. «Devi proprio andare? Non puoi fermarti ancora? È stato un taale piacere conoscerti. Torna a trovarmi quando vuoi!» disse, tutto d'un fiato.

Finalmente arrivò al vasto portone... un arco dorato frangiato di coralli con una porta di madreperla adorna di denti di pescecane. Il batacchio era un enorme anello incrostato di cirripedi bianchi con i loro nastrini rossi pendenti; naturalmente Rover non ci arrivava, né sarebbe riuscito comunque a smuoverlo. Allora abbaiò, e con sua grande sorpresa gli uscì un latrato piuttosto forte. All'interno la musica cessò al terzo abbaiare, e il portone si spalancò.
E chi credete lo aprisse? Artaserse in persona, vestito di velluto color persica e calzoni di seta verde; aveva sempre una grossa pipa in bocca, solo che stavolta soffiava splendide nuvole color arcobaleno anziché fumo di tabacco; e non portava il cappello.

(http://www.haisentito.it/img/tolkien.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Aprile 2008, 01:20:30
Un grande evocatore di atmosfere crepuscolari e anche di storie molto fantastiche, ha vissuto molto senza mai abbandonare la sua pipa

FRITZ LEIBER
 1910 –1992

La sua popolarità sia tra i fan che fra i colleghi scrittori è stata notevole, e molti suoi romanzi e racconti hanno vinto il premio Hugo e il premio Nebula.

Figlio di due attori shakespeareani, Fritz Reuter Leiber Sr. (31 gennaio 1882 - 14 ottobre 1949, famoso a teatro e ad Hollywood dal 1916 fino alla sua morte) e Virginia (née Bronson), Leiber è sempre stato affascinato dal teatro e ha descritto compagnie shakespeareane itineranti
Leiber è stato pesantemente ispirato da Howard Phillips Lovecraft e Robert Graves nelle prime due decadi della sua carriera. A partire dalla fine degli anni cinquanta fu sempre più influenzato dai lavori di Carl Gustav Jung, in particolare dai concetti di anima e ombra e spesso questi concetti sono menzionati apertamente nelle sue opere.


La collina e il buco

Ben Shelley ingollò le ultime gocce di caffè, si spinse lontano dal tavolo e premette con il pollice il tabacco all'interno della sua pipa di erica. Tom spiegò il suo progetto.
Un ventilatore dalle pale di legno ansimava pesantemente sopra di loro facendo oscillare e tremolare alcune strisce di carta moschicida che pendevano dal soffitto.
Ben si soffermò ad accendere la pipa osservando il foglio. Poi rispose prontamente: «Un'altitudine di centotrentaquattro metri. E c'è anche un nome stampato vicino... "Il Buco". Poetico, vero? Ebbene, di cosa si tratta? Una cava di pietre?»
Ti dimostrerò che questa mappa è piena zeppa d'errori. D'accordo?»
Ben avvicinò un altro fiammifero alla sua pipa. Poi annuì. «Va bene, sono pronto. Ma non arrabbiarti quando ti accorgerai di essere entrato nella fattoria sbagliata.»

(http://www.racine.ra.it/planet/testi/Dis/lakota.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 09 Aprile 2008, 10:19:59
straordinario lo stralcio da Tolkien
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Aprile 2008, 23:01:55
Ancora Atmosfere............
Edgar Pangborn

(1909-1976) è uno dei più grandi autori  di genere fantastico, vincitore dell'International Fantasy Award e dell'Hugo e autore di Davy  e di tantissimi altri di successo , uno dei capolavori assoluti del genere fantastico e picaresco.

Davy

Nella traduzione italiana Davy L'Eretico

Minna Selig era molto graziosa, e lo era anche Bonnie Sharpe. Ricordo che per almeno sei mesi non riuscii a concentrarmi su una di loro senza sentirmi all'improvviso attratto dall'altra. Era il loro modo di divertirsi.
Il flautista e il cornettista si distanziarono leggermente e si sedettero a terra con un mazzo di carte. Una donna alta, con spalle larghe e capelli grigi, senza scarpe e coperta da un camice azzurro scolorito, si sedette sul gradino di uno dei grandi carri coperti, fumando una pipa di argilla con evidente soddisfazione. Il suonatore di tamburo aveva smesso di suonare ma era rimasto accanto alle ragazze; si era sdraiato calandosi sul volto un vecchio cappello di paglia da contadino che i bastoncini del tamburo tenevano bloccato contro un improvviso soffio di vento. Stud Dabney era speciale, per queste cose: Papà Rumley sosteneva che fosse lui l'inventore della quiete e della tranquillità.  

C'erano due cose, a sentire lui, che tenevano il diavolo lontano dai giovani: la verga di betulla e l'insegnamento, e delle due l'insegnamento era sicuramente la migliore.
Mamma Laura dava il suo contributo. Tranquilla e dolcemente filosofa in tutte le altre situazioni, capace di restare seduta senza muoversi per un'ora fumando la pipa e guardandosi intorno, Mamma Laura si trasforma-va in un demonio di energia di fronte a uno studente che mostrasse una certa inclinazione allo studio.
Qualsiasi comportamento andava bene - ringhi, improperi, un gergo che avrebbe fatto arrossire mio padre (e qualche volta ci riuscì davvero), ironia, elogi misurati, uno sbuffetto sulla guancia - qualsiasi cosa, persino un bacio o i dolcetti al miele che teneva nascosti nella sua cuccetta e che nessuno sapeva preparare tanto bene.
Era giustificabile qualsiasi comportamento potesse servire a inculcare nella mente di un giovane un brandello di verità che non sarebbe più andato perduto.

(http://nightwitx.blogs.sapo.pt/arquivo/fumo.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Aprile 2008, 23:06:35
Ancora...
Ray Bradbury

Paese D'Ottobre

«Buongiorno, signora maestra!»
La porta si aprì. La maestra l'aspettava, nella sua tonaca lunga e accollata di grossa stoffa grigia, con un cappuccio che le nascondeva il viso. Portava come al solito gli occhiali d'argento. Le mani inguantate di grigio gli fecero cenno d'entrare.
«Sei in ritardo.»
Alle sue spalle, il paese dei libri ardeva con i vivaci colori del fuoco appeso. I mattoni delle enciclopedie formavano pareti. Un ciocco divampava, nel camino così grande che vi si stava in piedi senza picchiare la testa.
La porta si chiuse, regnò un caldo silenzio. A questa scrivania, Dio un tempo si sedeva; i suoi passi avevano calpestato questo tappeto, mentre caricava la pipa di buon tabacco fragrante; da questa grande invetriata a colori aveva guardato fuori, con viso severo. La stanza odorava di Dio, di legno lucido, di tabacco, di cuoio, di monete d'argento.

(http://www.brera.mi.astro.it/docB/poe/scuole/images/fiammifero.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Aprile 2008, 15:20:53
Un'altra ultima pipa...

Chester S. Geier
Autore americano specializzato in "Pulp"

L'ORA FINALE

Crendon guardò l'orologio. Cinque minuti a mezzanotte. Raccolse le pagine del suo ultimo manoscritto e le sistemò in una pila ordinata in un angolo della scrivania, mettendoci sopra un peso affinché nessuna brezza casuale potesse farli volare via. Mise un po' d'ordine sulla scrivania, facendo scivolare in vari cassetti i suoi numerosi foglietti, pagine d'appunti, matite. Poi caricò e accese la pipa, e si sedette ad aspettare.
Non si sentiva per nulla spaventato da ciò che stava per succedere. Era come se nell'ansia creativa della sua ultima fatica si fosse liberato dalla paura. Il suo essere sembrava pervaso da una grande calma.
Sul caminetto l'orologio batteva a ritmo accelerato; era simile ad un cuore di metallo che pompasse il sangue dei secondi attraverso le arterie del tempo. Stava piovendo più forte. Di tanto in tanto la luce dei lampi illuminava lo scuro rettangolo delimitato dalle finestre dello studio. I pezzi di legno nel camino si erano ridotti a pochi tizzoni incandescenti, cupi nella desolazione della cenere biancogrigia.
L'orologio prese a battere la mezzanotte. Crendon mise da parte la pipa e si stirò.
Dall'esterno arrivò la luce di un lampo insolitamente forte, seguita dal cupo rimbombo di un tuono. A Crendon sembrò quasi un segnale. Sentì quello che poteva essere definito come un vento freddo attraversare tutta la stanza. Il fuoco nel focolare si ravvivò improvvisamente.
Si udì bussare leggermente alla porta.
«Avanti,» disse Crendon con calma.

(http://www.juergen-wollmann.de/stot01-1g.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Aprile 2008, 15:23:04
Parlare troppo con la pipa in mano...ancora i fantasy di Fritz

Fritz Leiber

Rump-titti-titti-tum-TA-ti

L'antropologo culturale si portò al centro del cerchio. Aveva un'aria molto rassicurante col fumo scuro che usciva dalla pipa e la mascella forte e il tweed signorile, anche se, dopo avere afferrato la pipa con la destra, nascose tutte e due le mani dietro la schiena e le tenne lì, ben ferme.
«Gente», disse, secco, «le mie ricerche su questa faccenda sono tutt'altro che concluse, però ormai sono arrivato al punto di sapere che abbiamo a che fare con quello che potremmo definire un simbolo assoluto, un simbolo che è la somma di tutti i simboli. Contiene tutto... nascita, morte, accoppiamento, omicidio, possessione divina e demoniaca, tutta quanta la vita, tutta... a un livello tale che dopo averlo guardato, o ascoltato, o creato per un po' non si ha più bisogno della vita.»
Lo studio era immobile. Gli altri cinque intellettuali guardarono Norman. Lui si mise a ondeggiare sui talloni come un normalissimo professore universitario, ma le sue braccia si irrigidirono visibilmente. Norman strinse ancora di più le mani dietro la schiena lottando con la terribile spinta ossessiva.
«Come dicevo, i miei studi non sono conclusi, ma è chiaro che non c'è il tempo di continuarli. Dobbiamo agire in base alle conclusioni che ho tratto dalle prove raccolte sinora. Riassumerò in breve. Dobbiamo presumere che la specie umana possegga davvero un inconscio collettivo che si estende per migliaia di anni nel passato e, per quanto ne so, nel futuro. Possiamo rappresentare questo inconscio collettivo come un grande spazio buio in cui a volte, con estrema difficoltà, possono passare dei messaggi radio. Dobbiamo anche presumere che la frase musicale e le chiazze di vernice nera ci siano giunte dalla radio interiore di un individuo vissuto più di un secolo fa. Abbiamo ragione di credere che questo individuo sia, o sia stato, un antenato diretto del nostro Tally, a livello della settima generazione. Era uno stregone. Era affamato di potere. Ha trascorso la vita alla ricerca di un incantesimo che agisse sul mondo intero. A quanto sappiamo, alla fine trovò l'incantesimo, ma morì troppo presto per poterlo usare. Non riuscì nemmeno a tradurlo in suoni o simboli scritti. Pensate a quanto si sarà sentito frustrato!»
«Norm ha ragione», disse Tally, annuendo lentamente. «A quanto mi hanno raccontato, era un uomo molto malvagio e molto testardo.»
Il cenno di Norman fu più veloce. L'attenzione si concentrò di nuovo su di lui. Gocce di sudore gli colavano dalla fronte. «Questa cosa ci è arrivata in quel certo momento... per l'esattezza è arrivata a Tally e attraverso lui a Simon... perché le nostre sei menti, rafforzandosi a vicenda, erano aperte, pronte a ricevere le trasmissioni dell'inconscio collettivo e perché c'era... c'è... questa persona all'altro capo della linea, desiderosa di far giungere il messaggio attraverso un suo discendente. Non possiamo dire esattamente dove si trovi l'individuo che ha trasmesso. Una mente scientifica direbbe che si trova in una parte in ombra del continuum spaziotemporale, mentre una mente religiosa potrebbe suggerire che si trova in paradiso o all'inferno.»
«Io propenderei per quest'ultimo posto», intervenne Tally. «Era destinato a finirci.»
«Per favore, Tally...», ribatté Norman. «Ovunque sia, dobbiamo agire nella speranza che esista una controformula, un simbolo negativo, lo yang di questo yin che il tuo antenato vuole o voleva trasmettere... Qualcosa che metta fine al diluvio di follia che abbiamo scatenato sul mondo.»
«È qui che non posso essere d'accordo con te, Norm», intervenne Tally, scuotendo la testa con mortale serietà. «Se il mio vecchio pentabisnonno è riuscito a mettere in moto qualcosa di brutto, non accetterà mai di fermarla, specialmente se sapesse come fare. Ti ripeto che era un uomo molto malvagio e...»
«Per favore, Tally! Il carattere del tuo antenato potrebbe essere cambiato nel suo nuovo ambiente. Potrebbero esserci forze superiori che stanno agendo su di lui... In ogni caso la nostra unica speranza è che lui possegga e sia disposto a trasmetterci la controformula. Per ottenere questo risultato dobbiamo cercare di ricreare artificialmente le condizioni che si sono verificate in questo studio al momento della prima trasmissione.»
Un dolore acuto si dipinse sul suo viso. Norman tolse le mani da dietro la schiena. La pipa cadde sul pavimento. Lui guardò la grossa vescica che il fornello bollente aveva fatto apparire su una palma.

(http://www.ub.uit.no/northernlights/images/leem04d.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Aprile 2008, 19:13:01
Un macabro puzzle da risolvere con la pipa in bocca........

Peter Coleborn

Membro della «British Fantasy Society», è un autore del tutto nuovo, da scoprire quindi, ed il suo racconto va inquadrato in un'ottica tutta particolare, da riscrittura disincantata di obsoleti scenari.

L'ESUMAZIONE

Il Dr. George Stirland era perplesso: rilesse i risultati del laboratorio più volte. Si sporse in avanti sulla sedia, con i gomiti sulla scrivania e la testa appoggiata nelle mani. Sospirò, allungò un braccio per prendere la pipa e si rilassò indietro sulla sedia.
«Max,» chiamò alla fine, «che ne pensi di questi?» Il Dr. Maxwell Sykes, attraverso la stanza, prese i risultati dalla scrivania di Stirland. Diede un'occhiata alla prima pagina.
«La coppia della bomba!? Una coppia di terroristi direi, con le mani maldestre. Qual è il problema, George?»
«È difficile a dirsi precisamente. Lo sai, i due sono letteralmente andati a pezzi: i loro corpi sono stati trovati scaraventati oltre un'area considerevole. Ha reso quasi impossibile il lavoro del medico legale ma,» Stirland fece una pausa perché le sue parole avessero maggiore effetto, «sono sicuro che uno di loro era morto prima dell'esplosione.»
«Hmm... questo presenterà un quadro completamente diverso della faccenda. Ma,» chiese Sykes, «che cosa ti preoccupa veramente? Abbiamo già avuto a che fare con casi come questo, no?»
«Il giovane, che abbiamo identificato come Abbotson, è morto nell'esplosione. L'altro, molto più vecchio direi, è un mistero. Tuttora rimane non identificato. È morto prima dell'evento.» Stirland fece una pausa, tirando boccate dalla sua pipa ed espirando denso fumo blu.
«E allora?»
«Abbotson non era di grande statura, era quasi piccolo infatti. Deve aver fatto abbastanza fatica a trasportare l'esplosivo da solo. Non poteva aver trasportato anche il corpo. Non vi è nessuna prova di un terzo partecipante.»
Sykes cominciava ad annoiarsi per il modo di fare sconnesso di Stirland. «Vieni al dunque, George. Il giovane ha potuto uccidere il più vecchio, poi, per qualche ragione, la bomba è esplosa.»
«No!» Stirland guardò fisso negli occhi dell'amico. «Doveva essere morto da parecchie ore, forse anche giorni, prima di essere fatto a pezzi dall'esplosione. Ci sono delle autolisi ma, in generale, i suoi tessuti sono in uno straordinario stato di conservazione. Non imbalsamato, e» Stirland aggiunse, «ci sono delle orme che conducono alla scena che corrispondono ad un individuo del suo peso ed altezza.»
Sykes si sedette su una sedia accanto alla scrivania. Il suo unico commento fu: «Così...»
Stirland si strinse nelle spalle. «Aveva una strana dentatura: canini potenti. Te li mostrerò più tardi. Aveva anche uno sconosciuto gruppo sanguigno. Infatti,» aggiunse, «direi quasi che non aveva un gruppo. È così...»
«Strano,» suggerì Sykes.
«Sì, stranissimo. Ci sono centinaia di incongruenze in questi risultati.» Stirland prese la lista, e la lasciò cadere indietro sulla scrivania. «Ci sono così tante contraddizioni, Max. Dio sa cosa riferirò al Magistrato.»
Il Dr. Stirland riposava nella sua poltrona di pelle nera, con gli occhi socchiusi e tirava boccate dalla pipa. Il fumo del tabacco si alzava pigramente, accarezzando il suo viso, verso il soffitto.
Attraverso la sottile nebbia blu, da sotto le pesanti palpebre, egli guardava l'occhio che galleggiava dentro un vasetto di formalina. L'occhio, aveva deciso, apparteneva alla più anziana delle vittime della bomba. Nonostante il suo stato danneggiato, apparentemente aveva ripreso il suo sguardo fisso, splendendo di una luce innaturale. Un brivido corse lungo la schiena del dottore, mentre quello lo guardava. Egli quasi credeva che l'occhio potesse ancora funzionare, potesse ancora vedere! Era una sciocchezza, naturalmente.

(http://www.talbertpipes.com/uploaded_images/P1010007-788053.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Aprile 2008, 00:48:30
Ho avuto i 4 dvd della serie Murder Rooms - BBC
I titoli:
Il Mistero Delle Ossa
Il Metodo
Gli Occhi Del Paziente
La sedia del fotografo
Ambientati in suolo inglese nella metà dell'800 ,parlano della giovinezza di Arthur Conan Doyle,in modo romanzato trasponendo il personaggio di SH in un professore della facoltà di medicina frequentata da Doyle,si capisce che poi ne ispirerà la creazione.
La fiction ricostruisce il carattere dello scrittore e involontariamente aggiunge particolari negativi alla sua biografia,ma sorvoliamo,a me non è mai piaciuto.
Le ricostruzioni di scene di vita dell'epoca sono a dir poco minuziose,curati i costumi degli attori e delle numerosissime comparse.
Ci sono numerose scene di carattere macabro ,del resto lui è l'assistente di un chirurgo,che fa anche il medico legale per passione,alcune piuttosto forti.
Ci sono poi molte inquadrature di bordelli e di disperate lavoratrici per strada,affronta senza falsi storici, L'ostracismo verso le donne appena ammesse al pari degli uomini nelle università.
Si sprecano le scene di miseria, fame,degradazione umana,i reduci della guerra dei boeri,le loro mutilazioni etcc..,non appesantisco arrivo alla conclusione.
Non si vede una pipa,eppure Doyle fumava anche a letto,ne un sigaro,ne una sigaretta,nessuno fuma,neanche nelle scene di massa dei sobborghi di Londra,fiumi di birra e di gin,ma il tabacco non l'avevano inventato.
E' evidente che nelle prossime serie future di Sherock Holmes,invece della pipa gli metteranno in mano un lecca lecca,mostreranno magari che si faceva,come è noto, le pere di cocaina al 10 per cento,mostrarlo sarà lecito ed educativo.
Penso che probabilmente gli inglesi battono troppe testate nei lampioni perchè distratti dal troppo uso del telefonino.

http://www.michelinolagrasta.it/2008/03/09/londra-lampioni-imbottiti-per-distratti/

(http://www.prairieghosts.com/doyle1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Aprile 2008, 13:00:56
Per rifarmi la bocca ho riguardato un vecchissimo film.

Giorgio Ferroni

Nel 1932, dopo essersi laureato in Giurisprudenza, svolse per breve tempo l'attività di vicepretore di Napoli, preferendo dedicarsi a quella di critico cinematografico su La Ruota. Un anno dopo, nel 1933, divenne assistente regista di Gennaro Righelli e nello stesso tempo iniziò a lavorare per l'Istituto Luce come regista di cortometraggi, attività con la quale vinse i Littoriali con il documentario Pesca nel golfo. Nel 1938 continuò la carriera come direttore tecnico-artistico, prima della Incom e poi della Ferroni cortometraggi. Dopo avere collaborato come aiuto regista al celebre film storico Scipione l'Africano, diretto da Carmine Gallone, si dedicò alla regia di lungometraggi,uno dei quali, L'ebbrezza del cielo, girato nel 1940, parzialmente a colori e in gran parte documentaristico, suscitò l'entusiasmo della critica contemporanea. Il lavoro di documentarista fu la sua principale attività almeno fino al 1959 (da ricordare, fra i suoi migliori risultati, 1940, fuoco nel deserto); tuttavia, non mancò di dimostrare le sue efficaci capacità descrittive e narrative anche in altre opere, come Pian delle Stellee Tombolo, paradiso nero. Al 1956 risale uno dei migliori lungometraggi a carattere documentario girati in Italia, Vertigine bianca.Dal 1961 in poi diresse numerosi film dei più diversi generi (storico, mitologico, avventuroso, horror), dimostrando grande professionalità e ottima tecnica; dal 1965 fu solito firmarsi con lo pseudonimo di Calvin Jackson Padget.

Il mulino delle donne di pietra

Regia: Giorgio Ferroni
Interpreti: Pierre Brice, Dany Carrel, Scilla Gabel, Wolfgang Preiss, Robert Boehme, Marco Guglielmi, Liana Orfei, Olga Solbelli
Italia, Francia 1960

Alla sua prima incursione nell'horror, dopo un passato nel peplum e nel western ,confeziona una pellicola di raffinata eleganza. Come un sapiente scultore cesella le inquadrature, predisposte quasi esclusivamente in interni, rifinendole con pennellate fulgide di colore. Colori che non hanno nulla da invidiare alle coeve produzioni Hammer e che, forse non è azzardato rilevare, precedono le suggestioni di Mario Bava. La macabra danza inscenata dalle statue del carillon assume un valore ipnotico e richiama, in più di una circostanza, le atmosfere de La maschera di Cera di Andre De Toth. I punti di contatto con il film interpretato da Vincent Price sette anni prima sono reperibili anche nella centralità della figura del mad artist e nella sua ossessione per una figura femminile (Susy nel caso di Henry Jarrod/Vincent Price; la figlia Helfi per Gragorius Wahl) oltre che nel rogo finale col quale si chiudono entrambe le pellicole.
Le pipe sono al centro di ogni scena,sottolineano i momenti di tranquillità prima che la trama precipiti nel noire più denso.
Esprimono anche neanche troppo casualmente una diversificazione fra "buoni e cattivi",fra personaggi tetri e solari,come nelle trdizioni western dove il protagonista ha un cappello bianco e gli altri nero,quì i "mostri" fumano pipe curve nere ed eleganti,i buoni corncobb o dritte chiare.






(http://www.albaniaartinstitute.org/images/video044.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Aprile 2008, 23:19:44
Ci sono eventi in cui la pipa non si apprezza.....
HARLAN ELLISON

Nato a Cleveland, Ohio, il 27 maggio '34.
Agli inizi degli anni '50 comincia a pubblicare racconti su tutte le riviste specializzate.
Esordisce professionalmente a 17 anni, con un racconto pubblicato su "Weird Tales".
1949 in seguito alla morte del padre. Più volte Ellison lasciò la casa, passando da un lavoro all'altro. Frequentò l'Università dell'Ohio per 18 mesi prima di venire espulso per aver colpito un professore.
Nel 1955 si trasferì a New York per intraprendere la carriera di scrittore. Nei due anni successivi pubblicò più di 100 storie brevi e articoli soprattutto relativi alla fantascienza.
Ha scritto sceneggiature telervisive per "The Outer Limits", "Star Trek" e "Starlost" ed altri telefilm non di Sf.

SOLDATO

Sims strinse le spalle sotto il suo cappotto e frugò nelle tasche in cerca della pipa. Il tabacco si era rovesciato fuori del fornello e ne poteva sentire sotto le dita i grani ruvidi sparsi sul fondo della tasca. Il pubblico usciva lentamente dalla sala guardandosi in volto l'un l'altro senza parlare. Come se la gente si fosse resa conto di quello che poteva succedere, come se stesse cercando una soluzione.
Sims propose quella soluzione. Le petizioni erano là, appese al grande cartello... identico a quelli che erano stati dislocati in tutta la città. Quando la gente fu nell'atrio, Sims sollevò il foglio bordato di nero:
FIRMATE QUESTA PETIZIONE! IMPEDITE CHE ACCADA QUELLO CHE AVETE ASCOLTATO QUESTA SERA!
La gente si accalcava attorno al tavolo delle firme, anche se Sims sapeva che ormai era solo un gesto di solidarietà: il corpo legislativo aveva preso la sua decisione quel mattino stesso. Non ci sarebbero più state guerre... a certe condizioni. E la notizia si era diffusa per mezzo di registrazioni di trasmissioni via cavo, di comunicati stampa, e tutti avevano fatto la loro parte. Simili decisioni sarebbero state prese in tutto il mondo.
Qarlo era riuscito da solo a compiere quel miracolo che l'Umanità attendeva da sempre.
Sims smise di ricaricare la pipa e gettò uno sguardo al manifesto appeso davanti all'ingresso.


(http://www.pariswoman.com/entertainment/images/elliwtch.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Aprile 2008, 23:26:07
Un triste addio,con la pipa per darsi un contegno di normalità.

RICHARD MATHESON

Nel 1943 si diploma alla Brooklyn Technical High School ed entra subito nell'esercito, dal quale viene congedato perché ferito in azione. Tornato civile studia giornalismo all'Università del Missouri, e già nel 1950 pubblica il suo primo racconto, Nato d'uomo e di donna.
Diventa in breve lo scrittore sceneggiatore preferito di Alfred Hitchcock,Roger Corman,l'allora esordiente Steven Spielberg.
Per citare una delle sue tante opere "Duel",libro e sceneggiatura.

Ritorno

Il professor Robert Wade stava per mettersi a sedere sull'erba folta e profumata, quando vide sua moglie Mary spuntare come un razzo da dietro l'Istituto di Scienze Sociali e precipitarsi verso il campus.
A quanto pareva era arrivata correndo fin da casa... ottocento metri buoni. E con un bambino in grembo. Wade strinse rabbiosamente i denti sul cannello della pipa.
Qualcuno l'aveva informata.
Vide che era tutta rossa e senza fiato, mentre correva attorno al marciapiede ellittico che fronteggiava l'Istituto di Arti Liberali. Si costrinse ad al
zarsi in piedi.
Adesso stava scendendo il largo vialetto che costeggiava per tutta la lunghezza il gigantesco Centro di Scienze Fisiche, dalla facciata di granito. Il suo petto si alzava e si abbassava rapidamente. Lei sollevò la mano destra e si ricacciò indietro i riccioli castani.
Wade la chiamò. «Mary! Da questa parte!» E fece un gesto con la pipa.
Lei rallentò, ansimando nell'aria fresca di settembre. I suoi occhi scrutarono l'ampio campus illuminato dal sole fino a quando non lo vide. Poi scese dal marciapiede e corse sull'erba. Lui notò l'accorata espressione di paura che le deformava i lineamenti, e la sua rabbia svanì. Perché gliel'avevano detto?
Mary si lanciò verso di lui. «Mi avevi promesso che questa volta non ci saresti andato» gli disse, con le parole che le uscivano fuori fra gli ansimi. «Avevi detto che questa volta ci sarebbe andato qualcun altro.»
«Shhh, tesoro» cercò di calmarla. «Riprendi fiato.»
Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca della giacca e le asciugò delicatamente la fronte.
«Robert, perché?» gli chiese.
«Chi te l'ha detto?» replicò lui. «Avevo chiesto di non dirti niente.»
Lei si ritrasse e lo fissò. «Di non dirmi niente!» esclamò. «Te ne saresti andato senza farmelo sapere?»
«Ti sorprende che non volessi spaventarti?» replicò lui. «Specialmente adesso che aspetti un bambino?»
«Ma Robert,» disse lei «una cosa come questa dovresti dirmela.»
«Vieni,» disse lui «sediamoci su quella panchina.»
Attraversarono il prato, abbracciati.
«Avevi detto che non saresti andato» gli ricordò lei.
«Tesoro, è il mio lavoro.»
Raggiunsero la panchina e si misero a sedere. Lui le appoggiò un braccio sulle spalle.
«Sarò a casa per cena» le disse. «È il lavoro di un pomeriggio.»
Lei assunse un'aria inorridita.

Si incurvò e ricominciò a piangere. Lui le porse il fazzoletto, con un'espressione impotente sul viso.
«Ascoltami» le disse. «Tu pensi che John mi lascerebbe andare se ci fosse qualche pericolo? Pensi che il dottor Phillips farebbe una cosa del genere?»
«Ma perché proprio tu?» chiese lei. «Perché non uno studente?»
«Non abbiamo il diritto di mandare uno studente, Mary.»
Lei fissò il campus, tormentando il fazzoletto.
«Lo sapevo che sarebbe stato inutile parlare con te» disse.
Lui non seppe cosa replicare.
«Oh, lo so che è il tuo lavoro» disse Mary. «Non ho il diritto di lamentarmi. È solo che...» Si girò verso il marito. «Robert, non mentirmi. Sarai in pericolo? C'è qualche possibilità che tu... non torni indietro?»
Lui le sorrise con aria rassicurante. «Tesoro, non ci sono più pericoli di quanti ce ne fossero l'altra volta. In fin dei conti è...» Si interruppe mentre lei gli si stringeva contro.
«Non potrei più vivere senza di te» gli disse. «Questo lo sai. Morirei.»
«Shhh» fece lui. «Non parlare di morte. Ricordati che adesso dentro di te ci sono due vite. Non hai più il diritto di disperarti da sola.» Le sollevò il mento con la mano. «Perché non sorridi?» le disse. «Fallo per me. Ecco, così va meglio. Sei troppo bella per piangere.»
Lei gli accarezzò la mano.
«Chi te l'ha detto?» le domandò.
«Io non faccio la spia» rispose lei con un sorriso. «In ogni caso chi me lo ha detto presumeva che io già lo sapessi.»
«Be', adesso lo sai» disse lui. «Sarò di ritorno per cena. Più semplice di così.» Cominciò a rimuovere la cenere della pipa.

(http://www.tabak-culik.de/images/pfeife1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 27 Aprile 2008, 11:33:43
Vi segnalo un breve racconto di una mia concittadina, Maria Pia Oelker, "Al caffè degli studenti" su www.ghiozzo.it. alla rubrica Bella Copia.
Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Aprile 2008, 14:36:14
Opinioni...

CORDWAINER SMITH
Corwainer Smith è lo pseudonimo di Paul Myron Anthony Linebarger, nato nel 1913 e prematuramente scomparso nel 1966.
Docente universitario, politologo, consulente militare, sinologo, a lui si debbono alcuni volumi fondamentali per comprendere la Cina (soggiornò a lungo in Europa, in Giappone e in Cina) libri sulla guerra psicologica e fu uno dei primi a descrivere il cosiddetto "lavaggio del cervello". Insomma un uomo dell'establishment (ebbe un ruolo fondamentale nell'ascesa di Chiang Kai-shek prima della presa del potere da parte di Mao.

IL GIOCO DEL TOPO E DEL DRAGO

Woodley sedette, e accese un'antica pipa. In quella pipa faceva bruciare una cosa che lui chiamava tabacco. Era un'abitudine un po' sudicia, ma gli dava un aria ardita e avventurosa.

(http://www.knasterkopf.de/images/h16gr.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Aprile 2008, 14:38:57
Un altro SH apocrifo,ma con la pipa in bocca
Geoffrey A. Landis

USA, 1955 svolge in primo luogo l’attività di scienziato, e si definisce "scrittore di fantascienza parttime".
Come scienziato è collaboratore dello Ohio Aerospace Institute, in assegnazione ad un centro ricerche della NASA (ha recentemente partecipato alla missione Pathfinder), ha pubblicato più di 150 articoli, in particolare studi sulle celle fotovoltaiche o sull’astronautica (propulsione a razzo o realizzazione di velivoli); è inoltre autore di parecchi articoli divulgativi (alcuni apparsi su Analog) e partecipa regolarmente ai forum scientifici della rivista statunitense Science Fiction Age.
Nel 1990 il suo racconto Increspature nel mare di Dirac ha vinto il Premio Nebula, nel 1992 Una passeggiata al sole si è meritato il Premio Hugo.

LE SINGOLARI ABITUDINI DELLE VESPE

«Oh, Watson, perfino io a volte faccio degli errori. Avrei dovuto telegrafare prima. Il fatto è che il professor Huxley aveva appena lasciato Londra, e non sarebbe tornato prima di una settimana.» Tirò fuori la sua pipa, la esaminò per un momento, poi la mise da parte e suonò il campanello perché la signora Hudson portasse la cena.
Misi a confronto Holmes con i giornali e con i miei sospetti. Avevo sperato, più di quanto speri nel paradiso, che avrebbe respinto le mie conclusioni con il suo riso leggero, beffardo, e mi avrebbe esposto una spiegazione alternativa dei fatti del tutto ovvia. Le mie speranze furono vane. Ascoltò le mie parole con gli occhi quasi chiusi e la pipa di radica, spenta, stretta tra i denti. Alla fine le mie parole si arrestarono contro il suo silenzio di pietra. «Mio Dio, Holmes, ditemi che mi sbaglio! Ditemi che non avete avuto nulla a che fare con quegli omicidi, vi scongiuro.»
«Non posso dir nulla, amico mio.»
Raccolse dal fuoco un pezzo di carbone acceso e lo usò per accendersi la pipa. «Per cominciare, parliamo del cadavere scomparso.» Soffiò nella pipa finché la sua incandescenza non fu simile a quella del fuoco dietro di lui.

(http://www.knasterkopf.de/images/h18gr.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 30 Aprile 2008, 23:45:28
Pipa e imprevisti.....

Stephen Grendon

Famoso sulla mitica WEIRD TALES degli anni d'oro

IL PASSEGGERO IMPREVISTO

Si sentì frustrato, e raddoppiò i suoi sforzi nell'esaminare il suo compagno di viaggio. Alla fine si prese la briga di tirar fuori la pipa, riempirla, e accendere un fiammifero, più per avere l'occasione di osservare l'altro viaggiatore a quella luce precaria, che per accendere la pipa.
Notò allora, per la prima volta, che quel tipo non aveva bagagli di nessun genere. Quindi era ancora più chiaro che doveva essere capitato nel suo scompartimento per sbaglio. Le scarpe erano effettivamente scarpe da contadino. Ricoperte di argilla e di fango. E le mani erano nelle stesse condizioni. Un uomo davvero rozzo.
Ma era poi fango?
Il fiammifero si spense.
Mr. Arodias aveva paura di accenderne un altro. Per un terribile momento ciò che ricopriva le mani del suo compagno di viaggio e le scarpe gli era sembrato sangue!

(http://www.hindelang.net/se_data/_filebank/natur_landschaft/bauer_pfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 30 Aprile 2008, 23:47:14
Dopo la grande "Fattoria degli Animali" orvelliana,nuovi abbinamenti pipe e maiali.......

URSULA K. LE GUIN

Ursula Kroeber Le Guin è figlia di Alfred Kroeber, un'autorità nel campo dell'antropologia, e di Theodora Kracaw, anch'essa scrittrice, che ebbe una notevole influenza nella formazione delle sue opere.
La profondità e attualità dei suoi temi, che spaziano dal femminismo all'utopia , al pacifismo e il fantasy, hanno reso i suoi romanzi noti e apprezzati ben oltre il tradizionale circolo di lettori di genere.

SEMPRE LA VALLE

Quando Sogno d'Aquila ritornò a casa e riferì le parole della donna, la gente del Lauro e i cacciatori si incollerirono. Nella sera ci incontrammo nel posto comune e ci si accordò per fare la guerra al Popolo dei Maiali dopo la Luna. Nessuno si oppose.
Sogno d'Aquila ritornò insieme con me e con Forestale all'accampamento dei Maiali per avvertirli. Ci presentammo laggiù educatamente, e mangiammo con loro. Nell'accampamento c'era allora una sessantina di persone, e le altre erano fuori, o a raccogliere o con i branchi dei maiali. È gente che va poco a caccia e che non coltiva. Ci venne offerto un buon pasto, carne di maiale e verdure con pinoli. C'erano maiali dappertutto, e i bambini e i maialini correvano da tutte le parti strillando allo stesso modo. C'era un grosso verro rossiccio, legato a una lunga catena. Prima di mangiare si andava da lui e si metteva un po' di cibo in un piatto di legno di lauro scolpito perché il verro lo mangiasse. Tende e abiti erano di pelle di maiale, conciata in varie maniere: a volte il cuoio aveva ancora le setole, altre volte era sottile come un nostro fine panno di cotone. Per loro parlò quasi sempre la donna che conosceva la nostra lingua. Dopo che ciascuno ebbe mangiato a sazietà, rimanemmo a sedere educatamente finché Sogno d'Aquila non tirò fuori il tabacco e la pipa. Disse: «Volete fumare con noi?»
Un uomo dei Maiali disse: «Sì, lo voglio» nella lingua dei Maiali, e il suo esempio fu subito imitato da altri. Complessivamente, trentuno uomini e nessuna donna dei Maiali vennero a fumare la pipa con noi. Noi la fumammo per noi stessi, e poi pronunciammo il nome di coloro che ci avevano inviato a fumarla a nome loro, una boccata per ciascun nome, finché non furono nominate quattro donne e tredici uomini. Erano tutti coloro che avevano accettato di combattere la guerra.
Sogno d'Aquila parlò con il primo fumatore dei Maiali, servendosi come portavoce della donna che parlava la nostra lingua, e si accordarono per cominciare la guerra con la luna nuova, dopo la Danza della Luna, nella Valle delle Rocce Marce. Noi dovemmo dare ogni volta il nostro assenso, ricevendo la pipa da ciascuno degli uomini dei Maiali e fumando a nostra volta. A fumare tutto quel tabacco eravamo soltanto in tre. Quando mi alzai, mi girava la testa, e durante il tragitto del ritorno mi sentii male varie volte. La stessa cosa accadde a Forestale. Sogno d'Aquila aveva già fumato altre volte.


(http://www.meine-urlaubsbilder.de/media/520/namib07021311250426.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Maggio 2008, 14:33:10
Eccolo!!!

Jean -Paul Sartre
(1905 – 1980)
è stato un filosofo, scrittore e critico letterario francese.
Studiò all'École Normale Supérieure di Parigi, dove si laureò nel 1929.
Specializzandosi in Germania, poté entrare in contatto con la fenomenologia di Edmund Husserl e l'esistenzialismo di Martin Heidegger. Venne catturato dai tedeschi e, dopo la sua liberazione, partecipò alla resistenza francese.
Nel 1964 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, che però rifiutò,senza commenti,come fosse un 18. È sepolto nel cimitero di Montparnasse a Parigi; si calcola che al suo funerale presenziarono spontanemente,oltre cinquantamila persone.

LA NAUSEA

La nausea che prova il protagonista del romanzo - Antoine Roquentin - deriva proprio da quella condizione di sostanziale gratuità della vita, ovvero il sentire la vita come priva di un senso necessario.


È per vìa del
sole; indora vagamente sudice brume biancastre, sospese
nell'aria sopra il cantiere, cola nella mia stanza, biondissimo,
pallidissimo, e distende sul mio tavolo quattro riflessi
sbiaditi e falsi.
La mia pipa è tinta d'una vernice dorata che a tutta
prima attrae lo sguardo con un'apparenza di gaiezza: ma
appena la si guarda la vernice fonde, non rimane che una
grande stria pallida su un pezzo di legno.

Ho lavorato due ore nella sala di lettura. Sono sceso
nel cortile delle Ipoteche per farmi una pipata. La piazza
è lastricata in mattoni rosa. I bouvillesi ne sono orgogliosi
perché risale al XVIII secolo. All'imbocco di via Chamade
e di via Suspédard delle vecchie catene ne sbarrano l'accesso
alle carrozze. Alcune signore in nero, che portano a
passeggio il cane, scivolano sotto i portici, lungo il muro.
Raramente avanzano fino in piena luce ma gettano obliqui
sguardi da giovanette, furtivi e soddisfatti, sulla statua di
Gustave Impétraz.
Mi sono appoggiato alla facciata della biblioteca. Tiro
dalla mia pipa che minaccia di spegnersi. Vedo una vecchia
signora che esce timorosa dal porticato e si mette a
guardare Impétraz con un'aria sagace e ostinata. D'un
tratto si fa animo, traversa il cortile con tutta la sveltezza
delle sue zampe e si ferma un momento davanti alla statua
muovendo le mandibole. Poi scappa, nera sul lastricato
rosa, e sparisce in una crepa del muro.
Magari questa piazza verso il 1800 era gaia, con i suoi
mattoni rosa e le sue case. Ora ha qualcosa di secco e di
cattivo, una delicata punta d'orrore. È quel brav'uomo
lassù, sul piedistallo, che la suscita. Gettando in bronzo
questo universitario ne hanno fatto un mago.
Guardo Impétraz in faccia. Non ha occhi, appena il
naso e una barba rosicchiata da quella strana lebbra che
talvolta s'abbatte come un'epidemia su tutte le statue d'un
quartiere. Egli saluta: sul suo panciotto, all'altezza del
cuore, c'è una grande macchia verde chiaro. Ha un aspetto
malaticcio e cattivo. Non vive, no, ma non è nemmeno
inanimato. Una sorda potenza emana da lui: è come un
vento che mi respinge: Impétraz vorrebbe scacciarmi dal
cortile delle Ipoteche. Non me ne andrò prima d'aver finito
questa pipata.

sfaccendato, le braccia ciondoloni, m'avvicino alla
finestra. Il Cantiere, la Palizzata, la Stazione Vecchia - la
Stazione Vecchia, la Palizzata, il Cantiere. Sbadiglio così
forte che agli occhi mi sale una lacrima. Tengo la pipa con
la destra e nella sinistra il pacchetto del tabacco. Bisognerebbe
caricare questa pipa. Ma non ne ho il coraggio. Le
mie braccia rimangono penzoloni, appoggio la fronte contro
il vetro.


Ora sono solo.
Non completamente solo. C'è ancora quest'idea, davanti a
me, che attende. S'è accovacciata, e resta li, come un
grosso gatto; non spiega niente, non si muove, e s'accontenta
di dire: no. No, io non ho avuto avventure.
Riempio la pipa, l'accendo, e mi stendo sul letto mettendomi
un cappotto sulle gambe.

È buio completo e non so nemmeno più se la mia pipa
è ancora accesa. Passa un tram: un lampo rosso sul soffitto.
Poi un pesante veicolo che fa tremare la casa. Devono
essere le sei.

(http://www.unipv.it/deontica/Gallpics/classici/Sartre.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Maggio 2008, 14:37:57
Di lui abbiamo gia parlato,ma questa volta ci rassicura sul futuro della pipa...

PHILIP K. DICK
Meraviglioso e folle come sempre

PROGENIE

«Facciamo una passeggiata. Lasciamo questa maledetta strada».
Scesero lungo il fianco della collina, facendo attenzione a dove mettevano i piedi, e aggrappandosi ai ciuffi d'erba ed alle radici che sporgevano dal terreno. Alla fine giunsero ad una vallata prospiciente un sicomoro. Ed si gettò a terra, sbuffando e asciugandosi il sudore sul collo.
«Qui. Mettiamoci a sedere qui».
Lentamente, Peter si sedette poco lontano. La camicia azzurra di Ed era macchiata di sudore. Lui allentò il nodo della cravatta e si slacciò il colletto della camicia. Poi si frugò in tasca e ne tirò fuori la pipa e il tabacco.
Peter lo osservò mentre riempiva la pipa e l'accendeva con un grosso fiammifero. «Che cos'è?» gli chiese il ragazzo.
«Questa? La mia pipa». Ed fece un sorriso, tirando una boccata. «Non hai mai visto una pipa?»
«No».
«È una buona pipa. L'ho comprata quando sono andato per la prima volta su Proxima. È stato molto tempo fa, Pete. Sono passati venticinque anni. Allora ne avevo diciannove. Poco più del doppio dei tuoi anni».
Mise via il tabacco e si piegò all'indietro, con il volto serio e preoccupato.

UN PEZZO DA MUSEO

Miller si piegò per accendersi la pipa. L'aspirò ed emise un grosso sbuffo di fumo grigio che attraversò il punto debole giungendo fino al livello R. Fleming tossì e indietreggiò.
«Che diavolo è questa roba?» chiese.
«Tabacco. Una delle cose che loro avevano. Molto comune nel ventesimo secolo.

(http://www.mentelocale.it/img_contenuti/federica.verdina/medie/philip%20k%20dick_m.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Maggio 2008, 14:43:03
WALTER M. MILLER JR
 1923-1996
Frequentò le Università del Tennessee e del Texas e lavorò come ingegnere. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu arruolato nell'areonautica come operatore radio e cannoniere di coda e partecipò a 53 missioni di volo sopra l'Italia. Prese parte al bombardamento dell'Abbazia Benedettina di Monte Cassino traendone un'esperienza particolarmente traumatica.
Fra il 1951 e il 1957, Miller pubblicò più di 35 racconti brevi di fantascienza, vincendo il Premio Hugo nel 1955 per il racconto “The Darfsteller” (Il Mattatore). Alla fine degli anni '50 unificò tre racconti in un romanzo dal titolo A Canticle for Leibowitz che fu pubblicato nel 1959.

PICCOLO FARABUTTO!

Il padre di Doodie era stato solo un uomo, un piccolo farabutto. È vero che non lo ricordava molto bene, perché aveva bevuto acquavite di granoturco con Jacob Fleeter prima che lo straniero arrivasse. Lei era stata tutta allegra, e lui era stato tutto scintillante, e lei non riusciva a ricordare una parola di quello che aveva detto.
«Signore perdonami» mormorò uscendo dalla casa.
L'erba bagnata le si attaccava alle gambe, mentre attraversava il prato fino a un cespuglio di palmetti da cui poteva tenere d'occhio sia la casa sia il pollaio.
Si sedette su un tronco umido e marcio, ai bordi del cespuglio, si appoggiò il fucile sulle ginocchia, riempì una pipa di pannocchia con tabacco del campo di Deevey e si mise a fumare al buio, mentre i caprimulghi emettevano il loro verso lamentoso e di tanto in tanto un gufo gridava dalla palude. L'aria era fresca e pulita dopo la pioggia, e solo qualche uccello notturno svolazzava in mezzo alla boscaglia, mentre in lontananza frinivano i grilli e le rane parlavano misteriosamente.
«AAAaaaAAaaarrrwww... Na!»
Il grido era basso, penetrante. Era Doodie, che aveva un altro attacco... O solo un sogno? Lucey fece per alzarsi, poi si fermò, in ascolto. Si sentì qualche altro lamento, poi silenzio. Un sogno, decise, e si rimise ad aspettare. Non c'era nulla che potesse fare per Doodie, finché non ripassava il furgone del Servizio Sanitario di stato e lo esaminavano per vedere se aveva preso delle malattie. Se scoprivano che non era giusto di testa, potevano portarglielo via.
La brace nella pipa era ipnotica... l'unica cosa chiaramente visibile, eccetto le stelle. Guardò le stelle, chiedendosi come si chiamavano, finché non cominciarono a tremarle davanti agli occhi. Poi guardò ancora la brace della pipa, che si illuminava e impallidiva ad ogni respiro, si copriva di uno strato di cenere che sembrava un merletto, diventava sonnacchiosa nel fornello e affondava, affondava, mentre i caprimulghi lanciavano nella notte le loro grida malinconiche.
«... Nana naaaAAAAhhhaaa.!
(http://www.fasnetrufer.de/images/Pressespiegel/2003/sailer_pfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Maggio 2008, 20:25:08
..una bella pipa..
ED GREENWOOD
(Toronto, 1959) è un bibliotecario canadese che ha creato Forgotten Realms (FR), ambientazione per il gioco di ruolo fantasy Dungeons & Dragons (D&D).
ma anche alcuni romanzi fantasy a diversa ambientazione (serie La banda dei quattro). Nonostante detenga parte dei diritti d'autore dell'ambientazione  è essenzialmente uno scrittore indipendente.

ELMINSTER ALL'INFERNO

Era giovane, slanciata e molto bella. Tarth deglutì e cercò di non fissarla.
I suoi capelli color grigioargentei scendevano in lunghe onde, avvolgendole uniformemente le braccia, la vita stretta e le lunghissime gambe. Adagiata su un ramo basso di un vecchio albero di indulwood, una pipa d'argilla fumante fra le mani, la ragazza lo guardò pensosa. I suoi occhi erano di colore blugrigio, screziati d'oro, e molto grandi.

(http://images.darkhorse.com/covers/300/11/11985.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Maggio 2008, 20:30:08
e se arrivasse la catastrofe ....
JASPER FFORDE
Jasper Fforde ha alle spalle tredici  anni da supertecnico nel mondo del cinema.
E qualche anno di scrittura “per sé”. Così, per puro divertimento.
IL CASO JANE EYRE
 Al momento, Il caso Jane Eyre ha  raggiunto la 29esima edizione in  Inghilterra, la 13esima in USA.

Victor caricò la pipa, e stava raggiungendo la postazione B3 quando un uomo in Barbour quasi lo travolse. Riconobbe subito il dottor Müller dalla foto segnaletica. Victor si toccò il cappello, si scusò e proseguì.
«Aspetti!» gridò Müller. Victor si voltò. Quello alzò un sopracciglio e continuò a studiarlo.
«Non ho già visto la sua faccia da qualche altra parte?»
«No, è sempre stata qui, attaccata alla mia testa» replicò Victor, tentando di metterla sul ridere. Müller si limitava a fissarlo con un'espressione vuota, mentre lui continuava a caricare la pipa.
«L'ho già vista da qualche parte» ripeté Müller, ma per scuotere Victor ci voleva altro.
«Non credo proprio» dichiarò, e porse la mano. «Ceres» aggiunse. «Braccio a spirale di BerwickuponTweed».
«BerwickuponTweed, eh?» rispose Müller. «Allora conoscerà di certo il mio collega e buon amico professor Barnes».
«Mai sentito nominare» dichiarò Victor, fiutando la trappola. L'altro sorrise e guardò l'orologio. «Sette minuti all'impatto, Mr Ceres. Meglio prendere posizione».
Victor accese la pipa, sorrise e seguì le indicazioni che gli erano state date in precedenza. Nel terreno era conficcato un paletto contrassegnato B3, e lui rimase lì intorno sentendosi vagamente stupido. Tutti gli altri avevano indossato i caschi e osservavano il cielo a occidente. Victor si guardò intorno e incrociò lo sguardo di una bella donna della sua età a qualche passo da lui in B2.
«Salve!» esclamò allegro, e si sfiorò il casco.
La donna sbatté le ciglia civettuola.
«Tutto bene?» chiese lei.
«Alla grande!» rispose Victor disinvolto.

(http://www.blackcatcigars.com/cornellanddiehllarge.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Maggio 2008, 10:30:35
Suspense e fumate di panettoni

RICHARD MONTANARI

Il suo nome  dichiara senza dubbi che la sua famiglia è di origini italiane.
per anni ha scritto come freelance per molte testate. Dopo dieci anni di questo lavoro, scrive alcune pagine di un romanzo che ha in testa (Deviant Way), le manda in visione ad una agenzia letteraria che immediatamente lo mette sotto contratto.
Il romanzo ha un ottimo successo ed a questo ne seguono altri cinque.
""Sono sempre stato un appassionato di thriller. Già da bambino amavo assistere agli episodi della serie Ai confini della realtà e a programmi televisivi sul mistero. Mi è stato chiaro fin dall'inizio che c'era qualcosa in quelle storie - mi riferisco alle storie in cui niente è come sembra - in grado di esercitare su di me un forte potere di attrazione. Crescendo, ho scoperto i gialli. È stato facile capire che era quella la mia strada.""

L'ATTORE

Butler parve riflettere per qualche istante prima di rispondere. Si sedette sul bordo della scrivania. «Ho scritto quattro libri sul cinema. Sono sempre stato un fanatico dei film, sin da quando mia madre, nel 1974, mi lasciò al cinema a vedere Benji.» Jessica si mostrò opportunamente sorpresa. «Sta dicendo che Benji ha dato il via a una vita di studi sul cinema?»
Butler rise. «Be', invece di quello ho visto Chinatown. Da allora non sono mai più stato lo stesso.» Prese una pipa da un portapipe sulla scrivania e cominciò il rituale del fumatore: pulire, riempire, pigiare. Riempito il fornello, accese; l'aroma era dolce. «Per anni ho fatto il critico cinematografico per riviste alternative; guardavo da cinque a dieci film alla settimana, dall'arte sublime di Jacques Tati all'indescrivibile banalità di Pauly Shore.

(http://www.talbertpipes.com/uploaded_images/blogpic-776594.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Maggio 2008, 10:35:35
Salutiamo un altro mito,forse il più dissacrante,mai senza una pipa...

ROBERT SHECKLEY  1928-2005

Nasce a Brooklyn,  da padre polacco (Sheckley è l'americanizzazione di Shekowsky) e madre lituana. Cresce a Maplewood, New Jersey. Dal 1946 al 1948 è militare in Corea. Ritornato in America, frequenta l'università di New York.
Nel 1952 inizia a pubblicare racconti su varie riviste di fantascienza, e rapidamente si afferma come uno degli astri più luminosi della fantascienza dell'epoca.
Nel 1965 il regista italiano Elio Petri gira il film La decima vittima, tratto dal racconto The Seventh Victim di Sheckley, ed interpretato da Marcello Mastroianni ed Ursula Andress.
Nel 2001 Sheckley ha ricevuto in America il premio di Autore Emerito da parte dell'associazione scrittori .
 Ma in molti si sono scandalizzati che non gli sia stato invece tributato il premio di Grande Maestro.

L'Accademia

Si trovava in uno stretto vicolo dei quartieri bassi. Su una finestra, al secondo piano di una casa, notò un'insegna scritta a mano. "J.J. Flynn, Psicologo. Forse posso aiutarvi." Feerman sorrise con amarezza ripensando a tutti gli specialisti che aveva consultato. Passò oltre, poi tornò indietro e salì all'ufficio di Flynn, di nuovo in collera con se stesso. Sapeva anche prima che sarebbe salito, appena aveva visto la scritta. Quando avrebbe smesso d'ingannare se stesso?
L'ufficio di Flynn era piccolo e sudicio. L'imbiancatura era scrostata, la stanza sapeva di sporco. Flynn era seduto dietro una scrivania di legno non verniciato, intento a leggere una rivista. Era piccolo, di mezz'età e tendente alla calvizie. Stava fumando la pipa.
Feerman aveva intenzione di cominciare con ordine, dal principio, invece esplose: «Sono nei guai. Ho perso il posto, mia moglie mi ha piantato, ho tentato tutte le cure possibili. Cosa devo fare?»
Flynn si tolse la pipa di bocca e lo guardò. Gli guardò l'abito, il cappello, le scarpe, come per stimarne il valore. Poi fece: «Cos'hanno detto gli altri?»
«Che non c'è niente da fare.»
«Naturale che abbiano detto così» riprese Flynn parlando svelto, a voce alta e chiara. «Quei grandi uomini si arrendono con facilità. Ma c'è sempre una speranza. Il cervello è una cosa strana e complicata, e a volte...» Flynn si interruppe bruscamente e fece un risolino amaro. «A che serve? Lei si è già arreso, si vede chiaramente. Svuotò la pipa e fissò gli occhi al soffitto.»
Senta, non posso far niente per lei e lei lo sa benissimo. Perché è venuto da me?
«Forse speravo in un miracolo» rispose Feerman, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia.
«Molti sperano nei miracoli» disse Flynn. «E questo sembra proprio il posto più indicato, non è vero? Lei è passato attraverso tutti i grandi specialisti alla moda, senza nessun risultato. Allora sembra giusto e logico che un povero psicologo da quattro soldi riesca a fare quello che non è riuscito ai professori famosi. Una specie di giustizia poetica.»
«Già» disse Feerman, con un debole sorriso.
«Oh, non che io sia un ciarlatano» disse Flynn, ricaricando la pipa da una vecchia borsa verde. «Ma i miracoli costano parecchio. È stato e sarà sempre così. Se i pezzi grossi non hanno potuto fare niente, non sarò certo io che potrò aiutarla.»
«Grazie per avermelo detto» concluse Feerman, ma non fece nemmeno l'atto di alzarsi. «È mio dovere professionale» riprese Flynn lentamente «ricordarle che l'Accademia è sempre aperta.»
«Dove trovo il coraggio di andarci? Non so niente dell'Accademia.»
«Nessuno ne sa niente» ribatté Flynn. «Ma si dice che guariscono qualunque caso.»
«Anche la morte è una guarigione.»
«Sì, ma non funzionale. E poi sarebbe troppo in contrasto con i tempi. Per essere come dice lei, bisognerebbe che all'Accademia fossero tutti pazzi, e di pazzi, come sa, non ce ne sono più.»
«Allora perché nessuno torna mai fuori?»
«Non lo so» ammise Flynn. «Forse non vogliono uscire.» Soffiò sulla pipa. «Ma lei voleva un consiglio... Bene. Denaro ne ha?»
«Qualcosa» rispose Feerman, cauto.
«Molto bene. Non dovrei dirlo, ma...


(http://www.talbertpipes.com/uploaded_images/DimitersPipeArt-756485.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Maggio 2008, 11:16:03
BERNARD CORNWELL 1944

scrittore britannico.
Dopo aver lavorato a lungo nella BBC, si è dedicato interamente alla letteratura, specializzandosi in romanzi storici e d'avventura ,sceneggiatore di serial e trasmissioni scentifiche.

FIGLIA DELLA TEMPESTA

«Oh Signore», esclamò disperato mio fratello. Fregò un fiammifero sulla pietra del camino, poi accese laboriosamente la sua pipa preparandosi a un nuovo attacco. «Mi fai venire in mente Tuppy Hargreaves, te lo ricordi? Tuppy aveva quella ricca parrocchia nel Dorset e una gran bella moglie, ma le ha abbandonate tutt'e due per scappare con una ragazza tanto giovane da poter essere sua nipote, e in meno di un momento il poveretto si è ri
trovato senza più un capello in testa a trangugiare vitamine ed estratto di ghiandole d'asino. È morto per un attacco cardiaco a Bognor Regis, se ben ricordo, e la sgualdrina è scappata con un parrucchiere italiano sulla Wolseley di Tuppy.
«Credevo che tu fossi un vicario, non una zia asfissiante.»
Si chinò per riaccendere la pipa. Quando finalmente il tabacco prese a bruciare dolcemente, si raddrizzò per controllare Stormchild nella successiva ripida onda. «Un uomo che fa il mio mestiere è perennemente sottoposto a richieste di aiuto da parte di persone in crisi emotiva, e così impara a riconoscerne i segni.» David sorrise, convinto che si trattasse di una sottile battuta, poi a un tratto capì che potevo aver detto la verità e parve atterrito. «Oh, cielo», fu tutto ciò che riuscì a dire.
«Ho preso una bella cotta», confessai. «Sono io l'imbecille, non lei.»
David aspirò violentemente dalla pipa. Per un momento credetti di averlo ammutolito, poi mi guardò con aria torva da sotto le sopracciglia incredibilmente folte. «Quella ragazza è abbastanza giovane da poter essere tua figlia!»
Continuammo a navigare in silenzio mentre il fumo della pipa di David piroettava alle nostre spalle portato via dal vento. Sembrava molto soddisfatto di se stesso e sicuro della propria superiorità morale. Io dovevo avere un'aria terribilmente avvilita.
David rimase a lungo in silenzio. La sua pipa brillava a intermittenza mentre soffiava il fumo tra le sartie, e quando finalmente parlò lo fece con voce calma e riflessiva, come se sapesse di non potermi dissuadere dalle mie intenzioni e cercasse un approccio più sottile. «Va' a letto, Tim. Domani mattina decideremo come uscire da questa trappola.»

(http://pipedia.org/images/thumb/5/53/Love_Geiger_Pipe04.jpg/180px-Love_Geiger_Pipe04.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Maggio 2008, 12:24:05
Ancora qualche pipa di Giovannino...

GIOVANNI GUARESCHI

IL MARITO IN COLLEGIO

- Mia figlia sposa di un miserabile spaccalegna! -
urlò, appena Carlotta ebbe riferito i particolari
degli avvenimenti, la signora Flaminia.
- Il ridicolo cadrà sulla nostra casa! -
gemette la signora Elisabetta mentre Gastone, con lo
sguardo fisso nel vuoto, sussurrava:
- Cose da pazzi... Cose da pazzi...
- Quale uomo si degnerà più di avvicinarmi,
sapendo che mia cugina è andata sposa a un
pezzente? - singhiozzò Robinia, felice di poter trovare
finalmente una giustificazione al fatto che gli
uomini non chiedevano la sua mano neppure per
sbaglio.
- Se è un bravo intagliatore, mi farò fare da
mio cugino una magnifica pipa istoriata da mettere
sul mio caminetto, - si rallegrò Edo, il quale possedeva
indubbiamente un certo senso pratico.


- Se non vi avessi giudicato subito uno dei
nostri, avrei forse cercato grane sparando nella gamba
a chi vi inseguiva? Siamo tutti galantuomini,
noi che lavoriamo in questo mestiere. Nella Bibbia
sta forse scritto to che è delitto comprare della merce
in un posto per andarla a vendere a due chilometri
di distanza? Delitto è rubare, non comprare e
rivendere. Questo è onesto commercio. Non vi pare?
- Naturalmente, naturalmente, - approvò
Camillo mentre macinava a due palmenti.
- Vogliamo andare? - disse l'uomo quando
ebbe finito la sua pipata. E gli altri uomini seguirono
il suo esempio e, riposta la pipa, si caricarono
i loro sacchi in spalla.

(http://www.conserv-azione.org/schede%20autori/guareschi%20peppone.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Maggio 2008, 11:30:21
Ancora pipa e poesia...
Paul Marie Verlaine 1844-1896

Verlaine chiede alla poesia di essere un canto discreto e dolce, che traduce delle impressioni incerte.

Alla mia adorata MATHILDE MAUTÉ DE FLEURVILLE
..................
Il frastuono delle bettole, il fango dei marciapiedi,
i platani malridotti che si spogliano nell'aria nera,
l'omnibus, uragano di ferraglia e melma,
che cigola sconquassato sulle quattro ruote,
e rotea gli occhi verdi e rossi lentamente,
gli operai che vanno al circolo fumando
la pipa sotto il naso dei poliziotti,
tetti che gocciano, muri fradici, lastrico viscido,
asfalto sfondato, rivoli che riempiono la fogna,
è questa la mia strada - col paradiso in fondo.
.................

CON RISPETTO PARLANDO

III • Altra

Il cortile fiorisce di angoscia
come la fronte
di tutti coloro
che se ne vanno in cerchio
vacillanti sul femore
debilitato
lungo il muro
pazzo di luce.
Girate, Sansoni senza Dalila,
senza Filisteo,
girate bene
la mola del destino.
Ridicolo vinto dalla legge,
macina via via
il tuo cuore, la tua fede
e il tuo amore!
Essi vanno! e le povere scarpe
fanno un rumore secco,
umiliati,
la pipa nel becco.
Non una parola, o è la cella.
Non un sospiro.
Fa così caldo
che sembra di morire.
Ci sono anch'io in questo circo atterrito,
sottomesso, del resto,
e preparato
a ogni sventura.
E perché, se ho rattristato
il tuo volere ostinato,
società,
dovresti coccolarmi?
Su, fratelli, buoni vecchi ladri,
teneri vagabondi,
mariuoli in fiore,
miei cari, amici miei,
filosoficamente fumiamo,
passeggiamo
tranquillamente:
far niente è dolce.

(http://imagecache2.allposters.com/images/pic/BRGPOD/163301~Portrait-of-Paul-Verlaine-Aged-25-1869-Posters.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Maggio 2008, 11:33:24
Sigmund Freud

L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI

La fantasia onirica dispone di un'immagine preferita per l'organismo
nel suo complesso: vale a dire l'immagine della casa. Con grande
vantaggio per le sue rappresentazioni, la fantasia non sembra però
legata a questo materiale; al contrario, essa può utilizzare file
intere di case per definire un singolo organo, per esempio lunghe
strade affiancate da case per definire lo stimolo intestinale. Altre
volte, singole parti della casa rappresentano realmente singole parti
del corpo: così per esempio, nel sogno determinato dal mal di testa,
il soffitto di una stanza (che il sognatore vede coperto di schifosi
ragni simili a ranocchi) rappresenta la testa. (249)
A parte il simbolismo della casa, qualsiasi altro oggetto viene
utilizzato [p. 99] per la rappresentazione delle parti del corpo da
cui proviene lo stimolo. "Così, i polmoni che respirano trovano il
loro simbolo in una fornace ardente con il suo fremito d'aria, il
cuore in casse e ceste vuote, la vescica in oggetti rotondi, a forma
di borsa o più generalmente in oggetti svuotati. Il sogno dovuto a
uno stimolo sessuale virile farà trovare per strada, a chi sogna, la
parte superiore di un clarinetto, lì vicino il fornello di una pipa e
accanto una pelliccia. Clarinetto e pipa raffigurano
approssimativamente il membro maschile, la pelliccia il pelo del
pube.

(http://www.haverford.edu/psych/ddavis/freud.anna.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Maggio 2008, 14:48:13
Vecchie pipe...
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann

scrittore, compositore, pittore e giurista tedesco, esponente del Romanticismo. Mutò il suo terzo nome in Amadeus nel 1805 in onore di Mozart.
Trascorre l'infanzia nella casa dello zio materno che lo avvia a studi di giurisprudenza; si sente però più attratto dalla musica, dalla pittura e dalla letteratura. Laureatosi intraprende la carriera di magistrato, viaggiando in diverse città, tra cui Berlino e Varsavia; all'attività giuridica alterna quella artistica: compone sinfonie, dirige orchestre, si occupa di critica musicale e di regia teatrale.
Nel 1814 inizia il periodo più fecondo della sua produzione letteraria, che lo porta a scrivere racconti tra i più originali e suggestivi della letteratura europea.

IL VASO D'ORO

Il povero studente si sentì montare le lacrime agli occhi perché aveva sempre festeggiato in famiglia il giorno dell'Ascensione e anche lui avrebbe voluto partecipare alle beatitudini del paradiso di Link, anzi intendeva arrivare fino a mezza porzione di caffè col rum e a un'intera bottiglia di birra forte; e per darsi allo scialo aveva preso con sé più denaro di quanto a rigore non gli fosse lecito o possibile. Ed ecco che la malaugurata pedata al paniere delle mele lo aveva privato di quanto aveva con sé. Non era più il caso di pensare al caffè, alla birra forte, alla musica, alla vista delle fanciulle in ghingheri, insomma a tutti i godimenti sognati. Perciò passò via lentamente e infilò la via lungo l'Elba che in quel momento era deserta. Sotto un sambuco che sbucava da un muretto trovò un posticino coperto di erba; si sedette e caricò la pipa col tabacco che gli aveva regalato il vicepreside Paulmann, suo amico. Davanti ai suoi piedi gorgogliavano e sciaguattavano le onde giallo-oro dell'Elba, al di là della quale si stendeva la bellissima Dresda che ardita e superba innalzava le torri luminose al cielo il quale scendeva sui prati fioriti e sul fresco verde dei boschi, mentre in lontananza le montagne dentate annunciavano la Boemia. Guardando accigliato davanti a sé Anselmo lo studente sbuffava mandando nuvole di fumo finché il suo malumore si sfogò con queste parole: «È pur vero che sono nato per caricarmi addosso tutte le croci possibili.

Soltanto ora vide chiaramente dov'era, ricordò la strana fantasia che lo aveva burlato e indotto persino a parlare da solo ad alta voce. Spaventato guardò la donna e afferrato il cappello che gli era caduto per terra fece per scappare. Intanto era arrivato anche il marito della donna che, dopo aver deposto sull'erba il piccino che portava in braccio, appoggiandosi al bastone si era fermato a guardare e ascoltare lo studente con grande stupore. Poi raccattò la pipa e la borsa del tabacco che Anselmo aveva lasciato cadere e porgendo una cosa e l'altra disse: «Signore, non stia a borbottare così al buio, e non prenda in giro la gente, se non ha altro male che quello di aver alzato un po' troppo il gomito... Faccia il bravo, se ne vada a casa e si metta a letto!»

   «Via, via,» proseguì il brav'uomo, «non se la prenda, sono cose che capitano anche ai migliori, e il giorno dell'Ascensione, avendo l'anima in festa, si può anche bere un po' più del necessario. Può toccare anche a un uomo di Dio... Lei dev'essere, penso, uno studente di teologia, e se permette mi empio la pipetta col suo tabacco perché il mio è terminato.»
   Così disse quel cittadino mentre lo studente stava già per intascare la pipa e la borsa. L'altro pulì adagio e accuratamente la pipa e con altrettanta lentezza la caricò. Intanto erano intervenute alcune ragazze che guardando Anselmo si misero a parlare sottovoce con la donna e a ridacchiare tra loro. Anselmo aveva l'impressione di trovarsi sulle spine o sui carboni accesi. Appena riebbe la pipa e la borsa partì difilato.

(http://farm3.static.flickr.com/2349/2039333231_16b865b89d.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Maggio 2008, 14:58:52
ROBERT HOLDSTOCK

Custode di arcani segreti, popoli antichi e sciamani, la foresta è forse una delle ambientazioni più frequenti nei libri dell’inglese Robert Holdstock che, nato nel 1948 nel Kent, zona ricchissima di boschi e parchi, si dedica esclusivamente alla scrittura dal 1975, dopo aver studiato zoologia fino a quel momento.
I riconoscimenti ricevuti per libri e racconti sono tanti, sia nel Regno Unito che nel mondo
The Hollowing
Abbiamo trovato alcune tracce di Lytton, appena visibili, finché non siamo giunti a un fuoco, non lontano dal fiume, sotto uno strapiombo roccioso, e a ciò che restava di un riparo fatto di corteccia e rami. Il fuoco era stato preparato tra alcune pietre, e sopra una di esse, un mucchietto di tabacco da pipa parzialmente consumato, attestava il passaggio di Lytton.

La terza sera udirono un suono di piffero e tamburo arrivare da una radura nella foresta, ed ella la aggirò tenendosi a grande distanza, per evitare ogni pericolo. Richard invece si avvicinò senza far rumore al piccolo falò e vide i tre soldati in divisa, se
duti alla luce delle fiamme. Uno di loro si stava esercitando con un sottile flauto, un altro faceva suonare allegramente il suo tamburo e il terzo fumava una lunga pipa di terracotta.

All'interno, al riparo nella guardiola, Lytton e McCarthy si stringevano attorno a un fuoco. Il secondo era affaccendato a infilare del cibo in spiedini di legno, il primo fumava la sua pipa nera scrivendo appunti sul suo diario. Quando sollevò lo sguardo e li vide arrivare, il suo viso si allargò in un ampio sorriso. Li salutò con le ricche sonorità del suo accento scozzese. «Felice di vedervi! Avete fatto buon viaggio?»
(http://farm1.static.flickr.com/27/46661231_f4aa3bd5da.jpg)

MARKUS HEITZ
è uno scrittore e giornalista tedesco.

All'università ha studiato Letteratura tedesca e Storia, e dal 2000 lavora come giornalista freelance.

Die Rache Der Zwerge

Fidelgar passò un dito sugli angoli della scatoletta, ne aprì la chiusura e sollevò il coperchio lentamente: ne uscì un odore di spezie e acquavite, e apparvero degli oggetti bruni, lunghi e spessi come un dito. «Sigari.»
Uno dei loro mercanti è stato qui e se li è portati dietro. Non potevo non comprarli.» Prese uno dei sigari e lo porse a Baigar. «Sono foglie di tabacco, rollate e marinate nelle spezie; o con delle spezie dentro.»
Baigar annusò il sigaro, lasciando cadere le trecce della barba in avanti. «Se ne taglia un pezzo e lo si mette nella pipa?»
«No. Non c'è più bisogno della pipa. I Liberi hanno avuto un'idea che fa risparmiare tempo.» Fidelgar si alzò, si avvicinò alla forgia e con una tenaglia prese un pezzetto di brace. Si mise un'estremità del cilindro in bocca e tenne l'altra accostata alla brace. Il tabacco si accese scoppiettando. «E a questo punto si tira come se fosse una pipa», spiegò farfugliando. Tirò più volte senza respirare e socchiuse gli occhi compiaciuto. L'odore era molto buono, sapeva di vaniglia, miele e altre spezie imprecisate.
«Questa sì che è una buona idea.» Baigar prese un sigaro e imitò il compagno. Il fumo pareva più caldo e forte di quello di una pipa. E l'effetto era assai più percepibile: dopo poco gli vennero le vertigini. «Non credevo che il commercio coi Liberi ci avrebbe portato tanti vantaggi.» Agitò il sigaro
acceso. «E non intendo dire solo questa cosa qua. Pensa anche alla carne di gugul. E le loro erbe medicinali sono molto efficaci, a quanto si dice.»
Fidelgar s'infilò il suo sigaro in un angolo della bocca e aprì la borraccia. Riempì le tazze col liquido chiaro che vi era contenuto. «E hanno l'Acquadoro di Aureorifugio. È un liquore con un pizzico di foglia d'oro.» Incoraggiò Baigar con un cenno. «Ha un sapore eccellente.»
«Foglia d'oro? In un liquore?» Ne prese un piccolo sorso e masticò le sottili lastrine.

(http://home.woh.rr.com/aknots/images/Pipe/PipeTobacco.JPG)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Maggio 2008, 11:22:01
Pipe e sciamani nel genere fantasy..

HERBIE BRENNAN
Brennan si interessò alla psicologia fin da quando era bambino, e iniziò a leggere libri che trattavano questi argomenti molto precocemente, dedicandosi a ricerche e attività non ortodosse, come l’ipnosi. Iniziò a lavorare a 18 anni come giornalista, e all’età di 24 anni divenne il più giovane caporedattore d’Irlanda, maturando una grande esperienza in questo settore.
Quando era ancora ventenne scrisse il suo primo romanzo storico, e all’età di trent’anni decise di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Ha scritto più di cento opere fra romanzi e saggi per adulti, ragazzi e bambini. Le sue opere sono state tradotte in più di cinquanta paesi, fra cui l’Italia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, la Danimarca, la Francia, l’Australia, la Polonia , Israele, la Turchia e alcuni paesi dell’America Latina.

LA GUERRA DEGLI ELFI. IL NUOVO RE

L'omaccione accennò col pollice alla rampa successiva e tornò al suo "National Inquirer".
Due ragazzine introdussero Sulfureo nell'ufficio del signor Ho al primo piano, nascondendo risolini dietro le mani.
Il signor Ho occupava una logora poltrona di pelle e fumava qualcosa di resinoso in una lunga pipa d'argilla. I suoi occhi avevano le pieghe tipiche dei Notturni, ma non le pupille feline.
Si tolse la pipa di bocca e gratificò Sulfureo di un sorriso affabile. «Signor Sulfureo.»
«Signor Ho» rispose lui con un cenno. Si guardò attorno, vedendo soddisfatto che gli scaffali erano come sempre ben riforniti di libri e mercanzie varie.
«Mi scuso se non mi alzo in segno di deferenza alla sua veneranda età» disse Ho. Di nuovo il sorriso affabile. «Ma non sono in grado di riverirla degnamente a causa dei miei eccessi intossicanti.»
«Si figuri, signor Ho.»
«Tè, signor Sulfureo? O una pipata?»
«Niente, grazie. Posso informarmi sulla salute delle sue nipotine?»
Il signor Ho tornò a sorridere. «Eccellente, mi pregio d'informarla. Dall'anello al suo dito intuisco che si è sposato, signor Sulfureo. Posso a mia volta chiederle notizie sulla salute della sua riverita sposa?»
«Morta.»
«Capisco» commentò Ho con un cenno. «Lasciti?»
«Cospicui.»
Ho tirò un'altra boccata dalla pipa e sorrise. «Così è venuto a fare provviste, signor Sulfureo? Qualche gingillo da acquistare grazie alla sua fortuita eredità?»
«Cerco un grimoire, signor Ho.»

(http://www.arpnet.it/conti/consfam.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Maggio 2008, 11:32:51
Ma anche sciamane....

Terry Tafoya

TUPILAK

Cominciò a pigiare il tabacco nella piccola pipa di pietra e fece salire in alto il fumo biancoazzurrino ed una preghiera.
Un vento leggero portò un profumo di sale che si mischiò con il fumo e Tingmiak si passò nervosamente le dita tra i capelli sottili.
«Ora poni la domanda che è la vera ragione per cui sei venuto» disse lei piano, così piano che per un attimo le parole rimasero sospese come il fumo, così piano che lui si chiese se l'aveva davvero sentita parlare.
«Che domanda?» sbottò poi con voce roca, come se avesse passato la notte a cantare.
«Su di te aleggia un odore del Potere più forte di quello del tabacco. Luccichi come ghiaccio bagnato. Solo coloro che sono prescelti sono così. Per quale altra ragione avresti cercato uno sciamano con un giocattolo caldo in mano e con il tabacco sotto le unghie, tanto forte l'hai stretto? Se devi seguire il cammino che si apre ora dinnanzi a te, devi imparare a parlare e a chiedere in modo diretto.»
«Allora posso fare domande?
«E così inizia» disse lei, con parole pesanti di fumo. Batté il fornelletto della pipa e le ceneri si versarono sulla sua mano. «Soffia in queste ceneri e fa' che questa sia la tua prima lezione. Gli sciocchi ci vedono risucchiare fuori le malattie e pensano che questo faccia parte del nostro potere, ma in verità la forza viene dal soffio. Soffia il tuo respiro sulla mia mano e continuiamo.»
Confuso, lui ammiccò e soffiò piano sulle ceneri proprio come avrebbe fatto per ravvivare un tizzone. Soffiò dolcemente, ma le ceneri si sparpagliarono come se il vento di tempesta del nord se ne fosse impadronito e caddero a terra con il suono cupo delle pesanti barre di piombo che i commercianti avevano riportato dal loro ultimo viaggio.
Ceneri grigie e nere si seppellirono sulla superficie della pelle di caribù che ricopriva il pavimento della sua casa di neve.
«Est» disse lei, tirando dalla pipa che fumava di nuovo anche se lui non l'aveva vista riempirla.
Mise da parte la coppa e la pipa e prese del pesce essiccato che gli offrì senza alcun gesto rituale. «Allontanati da qui senza guardarti indietro e vivrai fino ad un'incolore e fredda vecchiaia, senza mai essere in grado di assumerti le tue responsabilità. La scelta spetta a te.»
(http://www.ramshornstudio.com/d6b52e90.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: novizio - 17 Giugno 2008, 18:39:59
mi permetto di aggiungere uno spezzone tratto dal capolavoro di Gustave Flaubert "madame Bovarie"; non tratta prettamente del nostro argomento preferito, quale è la pipa, ma del fumo del sigaro e dell'avversione che certe persone talvolta provano nei confronti di noi nobili fumatori.


Charles diede un'ultima occhiata ai finimenti, e vide qulcosa in terra, fra le gambe del cavallo; lo raccolse: si trattava di un portasigari ricamato, di seta verde, con uno stemma al centro, come la portiera di una carrozza.

- ci sono anche due sigari dentro- disse Charles -andranno bene per questa sera, dopo cena-
-ma tu fumi?-
-qualche volta, quando mi capita-

Si mise in tasca l'oggetto e frustò il cavallino.
Quando giunsero a casa, il pranzo non era ancora pronto. La signora andò in collera. Nastasie rispose con insolenza.

-se ne vada! Questo è prendere in giro, lei è licenziata!-

Il pranzo consistette in una zuppa di cipolle e in un pezzo di vitello all'acetosella. Charles, seduto di fronte a Emma, fregandosi le mani con aria soddisfatta, disse:

-comè piacevole ritrovarsi a casa propia!-

dalla cucina giungevano i singhiozzi di Nastasie. Charles era affezionato a questa povera donna, che si era occupata di lui e gli aveva tenuto compagnia per tante sere nell'inersia della sua vedovanza. Era la sua prima paziente, la prima persona che aveva conosciuto a Tostes.

-ma l'hai licenziata sul serio?- domandò infine.
-si, chi me lo impedisce?- rispose Emma.

Poi, mentre preparavano la camera da letto, andarono a scaldarsi in cucina. Charles si mise a fumare. Fumava sporgendo le labbra, sputando ogni minuto e allontanado il fumo a ogni boccata con la mano.

-ti fara male- disse Emma sdegnosamente.

Charles posò il sigaro e corse a bere un bicchiere d'acqua fredda alla pompa. Emma afferrò il portasigari e lo gettò in fretta in fondo a un cassetto. ...

CAPITOLO SUCCESSIVO

Spesso quando Charles era fuori, Emma andava a prendere nell'armadio, fra le pieghe della biancheria dove lo aveva nascosto, il portasigari di seta verde.
Lo guardava, lo apriva e ne aspirava l'odore della fodera, un mista di verbena e tabacco.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Giugno 2008, 09:19:20
Mario Rigoni Stern
"l'autore era un autentico spirito
dei boschi, uno che aveva vissuto
veramente nella natura, che conosceva
i segreti delle selve, l'arte di cacciare,
di stare nel bosco, sulla montagna, tra
la neve, nel silenzio."
Mauro Corona
"Ho sempre avuto la sensazione di
conoscere personalmente i personaggi
e i luoghi dei racconti e dei romanzi di
Rigoni Stern, e non parlo solo dei racconti
di montagne, mi succede lo stesso
anche per quelli de Il sergente nella
neve o del dopoguerra.
Mi sembra che sia uno dei pochi
capace di parlare di cose importanti
senza farsi prendere la mano dall'enfasi
retorica della memoria."
Marco Paolini

Stagioni

Quando stava giocando
con i ragazzi e le ragazze della contrada, il nonno
aspettava che finisse la partita, non certo il gioco, per
dirgli di andare dal Mènego Nittar a comperargli il
quotidiano sigaro Virginia, che fumava alla sera, al solito
posto e al solito caffè. Gli aveva spiegato una volta,
e piu ripetuto, che doveva essere chiaro, sul biondo,
e la paglietta scorrere bene dal bocchino lungo tutto
il sigaro. Mènego, quando lo vedeva comparire nella
sua bottega, ansante per la corsa, gli metteva davanti
sul banco la scatola dei Virginia e lui sceglieva con attenzione.
Se non trovava il sigaro per il gusto del nonno
faceva aprire un altro mazzo. Costava ottanta centesimi,
quanto un chilo di farina da polenta; il nonno,
non sempre, gli lasciava una palanca per comperarsi
una pastina o «I1 monello», un giornalino per ragazzi.
Una sera, per la fretta di riprendere il gioco, sempre
correndo, intoppò il sigaro nei calzoncini, rompendolo,
e si presentò al nonno tutto mortificato; lui lo guardò
severo e gli diede una berrettata dicendo: - Questo lo
fumerò nella pipa. Vai a prendermene un altro e ricordati
per sempre che lo devi tenere in mano come
una candela accesa.

Segavo la legna nel cortile di casa. Mio nonno, seduto
sui gradini di pietra, mi osservava fumando la pipa.
La sega ben affilata penetrava dolcemente, con
buon suono, nel tronco di faggio e la segatura bianca
e odorosa di creosoto veniva a imbiancarmi le scarpe.
Ogni tanto alzavo la testa per guardare verso un
poggiolo dove c'era una ragazza che aspettavo ogni
giorno quando uscivamo da scuola. Sentivo che anche
lei, da lass6, seguiva il mio lavoro.
Improvviso mi giunse un odore pi6 leggero e pi6 fragrante
di quello della nebbia e guardando la montagna
vidi un grigiore tenue che scendeva sul bosco seguendo
la conformazione del terreno. A sera la neve giunse
sui tetti delle case, sulle strade, sulle labbra dei ragazzi
che aprivano la bocca verso il cielo da dove scendeva
luminosa.

(http://www.silvioottanelli.it/Public/Image/Articoli_blog/Libri/stern(1).jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 18 Giugno 2008, 09:23:32
Grazie Enzo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Giugno 2008, 23:24:48
Mario Rigoni Stern

Storia di Tonle

Quando il carbonaio si fu allontanato su per il sentiero
dello Snealoch, si sedette sopra un sasso al sole e
accese la pipa. Ma se gli occhi guardavano le pecore il
pensiero era altrove. Ricordava come tanti anni prima
nella caserma di Budejovice marciava in rango sotto lo
sguardo del maggiore von Fabini e poi ancora, quando
si cambiò governo, a Verona, nella caserma dei Paloni,
a marciare ancora in rango sotto lo sguardo del colonnello
Heusch cavalier Nicola.
Ma che strano, pensò, sotto l'Austria avevo un
comandante con il nome italiano e sotto l'Italia un comandante
con il nome austriaco. Ma poi fumando la
pipa e ancora pensando concluse che non era strano affatto;
i signori, sia Italia sia Austria, sono sempre signori
e per la povera gente, sia l'uno o sia un altro a comandare,
non cambia niente.

Anche Stefano e Toni misero la polenta sulla brace,
ma dopo aver chiesto il permesso. Parlarono di selvaggina,
domandarono dove avesse alzato per l'ultima
volta i galli e le pernici bianche. Mangiarono; levarono
da tasca le vesciche di maiale con il tabacco da sentieri
e fumarono la pipa in silenzio; bevettero un sorso
d'acqua.
Tonle batté il fornello della pipa sul palmo della
mano e indicò con il bastone la radnra tra i mughi dove
aveva alzato due o tre galli giovani dell'anno, poi il
rivone nudo di pietre ed erba gialla dove aveva visto
alla pastura le pernici bianche.
- Forse, - disse poi, come seguendo un pensiero fisso,
- i governi si fanno la guerra perché hanno paura
che i popoli si sveglino e prendano troppa forza.

La mattina di buon'ora del giorno ventiquattro
Tonle aveva guidato le pecore verso i soliti pascoli; poi
si sedette ad accendere la pipa e a godersi il giorno.
Senti dapprima come un brontolio per il cielo, poi uno
scoppio lontano. Si alzò in piedi e guardò attorno; non
vide niente ma ancora senti quel brontolio e lo scoppio
ripetersi, e susseguirsene altri piii numerosi. Allora
capi: era incominciata la guerra e i forti del Campolongo
e del Verena sparavano a quelli di Luserna e di
Vezzena.

Prima non ci aveva fatto caso, ma dopo aver sentito
quei colpi capi il perché. Per la terza volta, con mestizia,
riaccese la pipa; sentiva tristezza e anche rabbia
quasi da sentirsi cattivo anche lui per la crudeltà dei
governi e dei poeti che volevano la guerra. Per i generali,
pensava, fare la guerra è il loro mestiere, anche se
fare ammazzare la gente è il mestiere piu brutto; e forse
a vent'anni fare il soldato,
sia per l'uno o l'altro
governo o Stato, è come giocare, come un'avventura,
un'occasione di incontrare altra gente come te, o anche
motivo di fare vedere la propria forza, o anche per il
gusto di ribellarsi come fece il Tita Haus che dopo due
anni di compagnia di disciplina il maggiore von Fabini
dovette far rimandare a casa per indomabilità: quella
volta l'aveva fatto vergare davanti a tutto il battaglione
in rango e lui, dopo, calmo calmo si alzò dal cavalletto
tirandosi su i calzoni. I1 maggiore disse: - Soldato,
ne avete abbastanza? Ricordatevi che io ho il cuore
di ferro  E il Tita Haus dopo essersi abbottonato
gli sputò sugli stivali rispondendogli: - Se lei ha il
cuore di ferro io ho il culo di bronzo  E cosi, siccome
ormai le avevano provate tutte, lo rimandarono a casa.
Ecco, in questa maniera si poteva fare o non fare il
soldato, ma non sparare per ammazzarci tra povera
gente. E poi per chi? Questo pensava Tonle guardando
le sue pecore, tirando nella pipa e ascoltando il cannone
oltre 1'Ass.

Attratto dal battito e dal luccichio
dell'orologio appeso sopra la testiera si avvicinò piano
piano e allungò la mano per prenderlo. Tonle apri gli
occhi e con voce bassa disse in tedesco: - Non toccarlo,
bamboccio!
I1 soldato rimase di sasso e quando si riprese usci di
corsa, inciampando per le scale. Anche Tonle si alzò
appena il soldato usci in cortile, si mise in fretta le scarpe
e scese in stalla a prendere il tabacco per la pipa che,
intrecciato a corda, aveva nascosto sotto lo strame nell'angolo
piii buio. Ma nell'uscire si trovò davanti la
porta di casa una pattuglia di austriaci comandata da
un alfiere che subito gli si fece incontro dicendo in italiano:
- Siete una spia e vi dichiaro in arresto!
Tonle sputò per terra la saliva scura di cicca brontolando
qualcosa che l'ufficiale non capi interamente e
perciò gli chiese ancora in italiano: - Ma cosa dite?
Venite con noi !

La mancanza quasi assoluta di tabacco gli rendeva
impossibile la disciplina imposta dal comandante del
lager, von Richer. Mangiava anche poco perché la fetta
di pane nero e malcotto la scambiava, quando si presentava
l'occasione, con un pizzico di tabacco da pipa;
e la minestra della sera la dava di nascosto a una bimbetta
che gli ricordava troppo una sua nipotina. Gli
venne .anche la tentazione di barattare l'orologio contro
tabacco e una sera, dopo averlo tenuto nel palmo
della mano per un'ora giusta, decise di no: troppe cose
della vita erano legate a quelle ore, a quei movimenti
di molle e ruote, alle scritte attorno al quadrante:
gli era come rinunciare a tutto quello che era stato.
Perciò strinse i denti scuri contro la cannuccia della
pipa e quasi la stritolò.

Quella sera stessa, al tramonto, cercò un angolo
tranquillo dove fumare la pipa abbandonandosi ai ricordi
e alla nostalgia. Ma una guardia, che forse aveva
il suo stato d'animo, si avvicinò per parlare.
- Buona sera, nonno, -gli disse. -Come va?
- Fumo, - rispose Tonle.
- Vedo. Ma perché vi tengono qua dentro? Quanti
anni avete?
- Piu di ottanta.
- Di che paese siete?
Non rispose subito. Levò la pipa di bocca e lo fissò
in viso.

Al prete ticinese fu permesso di girare il campo e
quando nel sopralluogo vide solitario e da una parte il
nostro sdegnoso vecchio che guardava assorto delle foglie
di tasso verbasco che aveva messo a essiccare al
sole al fine di poi fumarsele nella sua pipa nera, crostosa
e insalivata, si avvicinò per osservarlo meglio. Si avvicinò
ancora e il vecchio non alzò gli occhi ma quando
vide l'ombra di un uomo sulle foglie disse: - Spostati,
devono seccare.

Anche Tonle Bintarn scese tra i primi tenendo in
braccio la bimbetta che poi lasciò alla madre, e non
avendo con sé niente e non vedendo niente che potesse
ora trattenerlo, si avviò con passo deciso e con la pipa
spenta tra i denti verso una luce tenue che vedeva in
fondo in fondo ai binari e che avrebbe potuto essere il
fanale di coda di un altro treno.
Era invece il posto di ristoro per i militari in transito.
Li dentro era caldo e fumoso e facendosi largo senza
tanti complimenti si avviò al bancone. Bruscamente
un sergente gli chiesecosa volesse lui là dentro e da dove
veniva. Lui piu bruscamente ancora con due parole
gli disse da dove veniva e cosa cercava: tabacco per la
pipa.
Intanto un soldato che era tra gli altri si avvicinò
guardandolo fisso: - Si, - disse dopo, - è lui. Non siete
quel pastore che tre anni fa sulle montagne, quando
abbiamo fatto i tiri, vi abbiamo ordinato di ritirarvi
nel bosco con le pecore? - Anche Tonle lo guardò fisso
in viso e riconobbe il giovane artigliere che gli aveva
chiesto delle pecore e dei pascoli perché anche lui era
pastore in Sardegna. Gli sembrò di avere ritrovato
quello che aveva perduto. Ecco, pensò dopo un attimo,
ecco uno al quale si può chiedere un poco di tabacco,
e parlare e capirsi.
Ma il sergente si intromise dicendo che i civili li
dentro non potevano restare, al che i soldati sghignazzarono
in coro lanciando al suo indirizzo qualche aggettivo
che lo fece stare zitto e moscio.
I due pastori che una singolare circostanza aveva
fatto rincontrare si awiarono al bancone dove il piii
giovane ordinò mezzo litro di vino e offri al vecchio un
astuccio di carta con cinque mezzi toscani. Era ormai
un anno che sognava un tabacco cosi e nel palmo della
mano sbriciolò mezzo sigaro: una buona parte la calcò
nella pipa e l'altra la mise in bocca per masticarla.
Il vecchio fumava lentamente e con tanto avido gusto,
fumava e raccontava con poche parole la sua avventura
e quella delle pecore. Poi anche il soldato gli
raccontò le sue vicende; quindi il vecchio scuci con le
unghie il bordo della giacca, levò una moneta di cinque
lire d'argento e ordinò ancora vino.
Sentiva che il cuore dopo tanto finalmente si riscaldava,
e dopo il tabacco e la pipa si accorse di avere anche
tanta fame e cosi ordinò pane e formaggio e ancora
un litro di vino per i soldati che si erano awicinati
intorno per ascoltarlo.


Si sentiva bene ora, non c'erano piu rumori di battaglia
ma solamente un vento leggero tra i rami degli ulivi.
Scendeva la sera e anche la pianura verso il mare si
rasserenava: il cielo prendeva il colore dell'acqua marina.
Si sedette sotto un ulivo, ricaricò l'orologio senza
sapere che le ore trascorse di quel giorno erano quelle
di Natale; accese la pipa, si appoggiò al tronco dicendo
a voce alta: - Sembra una sera di primavera, - e si
ricordò quella di tanti anni prima quando dal margine
del bosco aspettava che l'ombra della notte facesse
svanire il ciliegio sul tetto per rientrare in casa.
I1 mattino dopo il combattimento si era esaurito come
quando un temporale non trova piii nubi e saette. I
soldati si riposavano esausti sulle posizioni sconvolte
e i feriti venivano avviati verso le retrovie. I1 tenente
Filippo Sacchi doveva recarsi al comando del IX Gruppo
alpini, dal colonnello Scandolara, per rilevare e riferire
dati al comando della 52" Divisione; pensava
anche, nel tragitto, dato che la giornata era bella e
calma, d'entrare nell'abbazia di Campese, che era sulla
sua strada, per rendere omaggio alla tomba di Teofilo
Folengo.
Andava cosi soprappensiero quando nei pressi di
San Michele, dove i benedettini secoli addietro avevano
piantato quegli ulivi, vide un vecchio appoggiato a
un tronco, tranquillo e con la pipa in mano: - Buon
giorno! - gli disse. Ma non ebbe risposta. Forse è sordo,
pensò, e gli fece un cenno con la mano. Nemmeno
al cenno rispose e quando gli fu vicino si accorse che
era morto. Si guardò attorno, subito non vide nessuno,
poi senti un passo sulla strada che girava sopra e
chiamò. Venne un soldato piuttosto scalcagnato, con
elmetto in testa e mantellina a tracolla. - Scendi giù
gli disse il tenente, - dobbiamo fare qualcosa. C'è un
vecchio morto.

(http://sicilyweb.com/foto/198/198-12-23-49-7964-sm.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 19 Giugno 2008, 10:26:09
sono le pagine finali della Storia di Tonle. Notate come le accensioni della pipa  cadenzino le fasi verso il climax.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Giugno 2008, 23:19:13
BEN PASTOR
Laureata in Lettere con indirizzo archeologico presso l'università La Sapienza di Roma, subito dopo aver terminato gli studi si trasferisce negli Stati Uniti. Acquisita la cittadinanza statunitense (senza rinunciare a quella italiana), sposa un ufficiale dell'aviazione militare di lontane origini basche (da cui mutua legalmente il cognome Pastor), compie una rapida gavetta accademica, diventa docente di Scienze Sociali presso numerose Università (Ohio, Illinois, Vermont) e, nel contempo, accanto a un'intensa attività saggistica e didattica (con un raggio di interessi che spazia da Federico García Lorca agli studi sulla "mente genocidiale", dall'etnomusicologia al femminismo in letteratura, dall'archeologia greca e latina alla storia dell'emigrazione italiana).
Attualmente è docente di Scienze sociali presso il Vermont College delle Union University.

LA CANZONE DEL CAVALIERE
Poco più di un'ora» rispose Soler. «Volevo che restasse per la notte, era più sicuro che aggirarsi per strada, anche in una cittadina come Teruel. Ha molti nemici, laggiù.» Sotto lo sguardo indagatore di Walton, cercò un posto dove buttare la sigaretta. Quando Brissot gli indicò il pavimento, spense il mozzicone sotto la suola della scarpa. «Nemici politici e di altro tipo» specificò. «Gente invidiosa del suo successo, moralisti ipocriti delle classi più agiate. Federico non ne vuole parlare, ma io sono preoccupato per lui.»
Brissot fece un tiro di pipa, e Walton ebbe la netta impressione che si stesse chiedendo quando lui, Felipe, avrebbe deciso di condividere la notizia della morte di Lorca. «Mosko» gli disse in inglese «se sei impaziente puoi aspettare fuori.» Brissot si sfilò la pipa dalla bocca e rimase dov'era.

«Ma qualunque cosa Soler volesse riferire alle autorità nazionaliste, come potrebbe riflettersi su di noi? Non è che non sappiano che siamo qui. Cristo, noi e i fascisti ci stiamo seduti in braccio.»
«Allora va bene, scortiamo Soler a San Martìn e stiamo tranquilli.» Brissot scavò nel fornello della pipa con l'indice, grattandone le pareti. «Solo, visto che sembra sospettare che Lorca sia morto, starei molto attento a non far venire fuori niente della tomba. Quella è una cosa che non credo vorresti che i fascisti sapessero.»
L'americano stava per ribattere, ma cambiò idea. Si voltò verso Brissot, che si era infilato in tasca la pipa pulita.

Walton fece un cenno a Brissot quando si sedette accanto a lui, e chiese. «Com'è la faccenda?»
«Seria.»
«Fammi fare un tiro.»
Brissot gli passò la pipa. «Devi parlare con Rafael, Felipe. La situazione precipita.» Walton gli restituì la pipa con una smorfia e fece per levarsi in piedi, ma Brissot lo fermò. «Rafael non vuole sentire ragioni, e ha convinto praticamente tutti che è stato Valentin a rubare le nostre cose. Fra una settimana sarà troppo tardi. Devi parlargli stasera, o ci ritroveremo nei guai.»
Brissot si portò solennemente la pipa alla bocca. «Magari ci ha mentito.»
«No, Mosko, io gli credo. Sa solo che Federico è uscito da casa sua poco dopo le nove.»
«Bene. Quindi due uomini avrebbero prelevato Lorca con l'intento di sparargli. Ma perché avrebbero dovuto portarlo fin qui? Potevano ucciderlo in un vicolo qualunque di Teruel.»

Più tardi, rientrando in casa, vide che la partita a carte era finita. Brissot stava sulla soglia della porta a fumare a luci spente. Il fornello della pipa si illuminava appena ogni volta che aspirava il fumo. Disse a Walton: «Ero convinto che fossero stati i fascisti a uccidere Lorca, ma stasera Maetzu mi ha rimesso in testa il dubbio.»
«Già.» L'americano si arrotolò attentamente una sigaretta. «Gli ho chiesto della notte del dodici. Ha ucciso qualcuno.»
Walton chiuse gli occhi, e al buio riuscì a immaginare di essere lontano da lì. «Ti dico io che cosa accadrà adesso. Uno di questi giorni Maetzu si infilerà di soppiatto nel campo fascista e taglierà la gola al tedesco. Ce lo vedo proprio, è nel suo stile.»
«Lo dici come se fossi contrario.»
Walton si chinò sulla pipa di Brissot e si accese la sigaretta con la sua brace, attentamente. «Perché dovrei essere contrario a tagliare la gola di un tedesco? Nelle Fiandre l'ho fatto io stesso.»
Chemik se ne andò subito dopo per il suo turno di guardia, e uno a uno anche gli altri lasciarono la stanza.
«Scommetto che Maetzu ha sentito che hai incontrato il tedesco» commentò Brissot da sotto la nuvola di fumo di pipa quando rimasero soli.
Walton sputò sul pavimento. «Che gliene importa a lui o a chiunque di voi? Sono a capo di questo gruppo. Finché sarà così, tratterò col nemico come riterrò opportuno. Se ho bisogno di conferire con un fascista, e sia, ho bisogno di conferire con un fascista!»
Brissot parlò con la pipa in bocca. «Significa che l'hai incontrato più di una volta?»

(http://www.renate-wag.de/Flasche_mit_Pfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Giugno 2008, 23:20:48
ROBERT McCAMMON
Nato a Birmingham nel 1952, Robert McCammon ha frequentato liceo e università in Alabama. Scoprì la passione per la scrittura al liceo, quando lesse un suo racconto durante la lezione di oratoria pubblica: gli altri studenti rimasero ipnotizzati, e McCammon cominciò la sua lunga e fortunata carriera.
Nel corso degli anni McCammon ha pubblicato 13 best-sellers e numerosi racconti brevi.
LA VIA OSCURA
Il reverendo si avvicinò al cavalletto. «Questa foto va benissimo», disse. «Sì, questa mi piace. Davvero molto! Quella luce mi toglie dieci anni, vero?»
Forrest sorrise e annuì. Tirò fuori un sacchetto di tabacco e una pipa di radica, e armeggiò per riempirla. La accese dopo due tentativi e cominciò a riempire di fumo la stanza. «Sono contento che le piaccia», disse sollevato.
«Ma», riprese in tono calmo Falconer, «mi piacciono più di tutti il messaggio e la scritta del secondo manifesto».
«Oh, possiamo combinarli in qualunque modo lei voglia. Nessun problema».
Falconer avanzò finché non si trovò con il viso a pochi centimetri dalla sua stessa fotografia. «È questo che voglio. Quest'immagine parla. Voglio che ne siano stampati cinquemila, ma con l'altro messaggio e l'altra scritta. Li voglio per la fine del mese».
Forrest si schiarì la gola. «Be'... credo che dovremo andare un po' di fretta. Ma ce la faremo, nessun problema».
«Bene». Il predicatore si voltò radioso e tolse la pipa dalla bocca del pubblicitario, strappandola come un leccalecca a un bambino. «Non tollero i ritardi, signor Forrest. E le ho ripetuto più e più volte quanto detesto il puzzo dell'erba del Diavolo». Il suo sguardo era luminoso e acuto. Il sorriso sul viso di Forrest divenne sbilenco, mentre Falconer immergeva la pipa nel bicchiere di limonata. Si sentì un debole sibilo quando il tabacco si spense. «Le fa male alla salute», disse con voce tranquilla il predicatore, come se parlasse a un bambino ritardato. «Fa bene solo al Diavolo». Lasciò la pipa incriminata nel bicchiere di plastica, diede una pacca sulla spalla dell'artista e indietreggiò in modo da poter ammirare di nuovo il manifesto.

(http://www.goetz-leo.de/SelbsportraitPfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Giugno 2008, 23:22:26
CARLOS RUIZ ZAFÓN
Autore di libri per ragazzi (Il principe della nebbia), esordisce nella narrativa per adulti con il suo quinto romanzo, L'ombra del vento (Mondadori, 2001), uscito in sordina in Spagna, ha conquistato con il passaparola il vertice delle classifiche letterarie europee, diventando un vero e proprio fenomeno letterario. Vive a Los Angeles dal 1993, dove è impegnato nell'attività di sceneggiatore. Collabora regolarmente con le pagine culturali di "El País" e "La Vanguardia".
L'ombra del vento è stato un successo, con più di 8 milioni di copie vendute nel mondo, acclamato come una delle grandi rivelazioni letterarie degli ultimi anni. È stato tradotto in più di 36 lingue e ha ottenuto numerosi premi internazionali.
La letteratura di Carlos Ruiz Zafón si caratterizza per uno stile molto elaborato con una grande influenza della narrativa audiovisuale, una estetica gotica ed espressionista e la combinazione di molti elementi narrativi in un registro tecnicamente perfetto.

IL PRINCIPE DELLA NEBBIA

«E va bene. Andiamo ai fatti. Raccontatemi tutto quello che sapete. E quando dico tutto intendo proprio tutto, compresi i particolari che vi possano sembrare insignificanti. D'accordo?»
Max guardò i suoi compagni.
«Comincio io?» suggerì.
Alicia e Roland annuirono. Victor Kray gli fece cenno di cominciare il suo racconto.
Nella mezz'ora successiva, Max riferì senza interruzioni tutto quello che si ricordava, di fronte allo sguardo attento del vecchio, che ascoltò le sue parole senza il minimo segno di incredulità né, come invece si aspettava Max, di stupore.
Quando Max ebbe finito la sua storia, Victor Kray prese la pipa e la preparò metodicamente.
«Non male» mormorò, «non male.»
Il guardiano del faro accese la pipa e una nube di fumo dall'aroma dolciastro inondò la stanza. Victor Kray assaporò lentamente una boccata di quella trinciatura speciale e si rilassò sulla poltrona. Poi, guardando negli occhi ognuno dei tre ragazzi, cominciò a parlare...

(http://www.galerie-24.de/Kunst/axt_flasche_pfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Luglio 2008, 12:33:31
Celebriamo anche lui è scomparso a marzo...
Arthur C. Clarke
Durante la seconda guerra mondiale, lavorò per la Royal Air Force come esperto di radar e fu coinvolto nel successivo sviluppo del sistema di difesa radar che aveva consentito alla RAF di vincere la battaglia contro gli invasori nazisti. Dopo la guerra si laureò al King's College di Londra.
Il suo più importante contributo può essere considerato l'idea che i satelliti geostazionari potrebbero essere il sistema ideale per le telecomunicazioni: propose questo concetto in un articolo scientifico dal titolo Can Rocket Stations Give Worldwide Radio Coverage? ("Possono le stazioni razzo fornire una copertura radio mondiale?"), pubblicato su Wireless World nell'ottobre del 1945. Proprio grazie a questo contributo, l'orbita geostazionaria è oggi nota anche come orbita Clarke o fascia di Clarke in suo onore.
Nei primi anni quaranta, mentre militava ancora nella RAF, iniziò a vendere le sue storie di fantascienza alle riviste del settore. Lavorò anche, per breve tempo come viceredattore (Assistant Editor) al Science Abstracts, prima di dedicarsi a tempo pieno al mestiere di scrittore (1951). È stato anche presidente della British Interplanetary Society ("Società interplanetaria britannica") e membro dell'Underwater Explorers Club ("club degli esploratori subacquei").
Dal 1956 ha vissuto nello Sri Lanka, a Colombo, dove è scomparso il 19 marzo 2008 all'età di 90 anni
Il 26 maggio del 2000 è stato insignito della carica onorifica di "Knight Bachelor" in una cerimonia a Colombo per i suoi meriti nella letteratura.

 
   « Quando un anziano affermato scienziato dichiara che qualcosa è possibile, ha quasi certamente ragione; quando dichiara che qualcosa è impossibile, ha probabilmente torto. »     
      
 
   « L'unico modo di scoprire i limiti del possibile è avventurarsi un poco oltre, nell'impossibile. »     
      
 
   « Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. »   

Negli anni Quaranta, inoltre, aveva previsto che l'uomo sarebbe sbarcato sulla Luna entro l'anno 2000. Lo presero per matto ma quando Neil Amstrong, nel 1969, toccò la superficie del pianeta, gli scienziati della Nasa riconobbero che Clarke "aveva dato la spinta intellettuale a quella fantastica avventura".



All’insegna del Cervo Bianco

Dunque Bert si era arrabbiato proprio allora con John Christopher (capita a tutti una volta o l’altra) e l’improvviso frastuono aveva disturbato anche la partita a scacchi che si stava svolgendo dall’altra parte del salone. Come sempre, i due giocatori erano circondati da consiglieri gratuiti, e tutti, a quel boato, alzammo gli occhi di soprassalto. Quando l’ultima eco si spense, qualcuno disse: — Vorrei che si trovasse il modo di chiudergli il becco.
Fu allora che Harry Purvis si fece sentire: — Il modo c’è, sapete?
La voce mi era sconosciuta e mi girai a guardare. Vidi un ometto piccolo e lindo, sulla quarantina. Stava fumando una di quelle pipe tedesche intagliate che mi ricordano sempre la foresta nera e gli orologi a cucù. Era l’unico segno di distinzione: altrimenti avrebbe potuto essere un piccolo funzionario del Ministero del Tesoro, vestito di tutto punto per andare a una riunione del Comitato per il Bilancio.
— Scusate, come avete detto? — dissi io.
L’altro non mi diede retta e armeggiò con delicatezza intorno alla sua pipa. Proprio allora osservai che non si trattava, come mi era parso a prima vista, di un pezzo di legno lavorato. Era qualcosa di molto più complicato, un aggeggio di metallo e plastica, una specie di impianto in miniatura di ingegneria chimica. C’erano persino un paio di piccole valvole.
Santo Cielo, ma era proprio un impianto di ingegneria chimica.
Non che io sia uno che si stupisce facilmente, ma questa volta non tentai davvero di nascondere la mia sorpresa. L’altro mi rispose con un sorriso di superiorità.
— Tutto per amor della scienza. È un ritrovato del Laboratorio Biochimico: vogliono scoprire cosa contiene esattamente il fumo di tabacco: per questo ci sono i filtri. Sapete, la vecchia controversia: se il fumo è la causa del cancro alla gola e, se lo è, come agisce. Il guaio è che questo richiede un mucchio di... ehm, distillato, per identificare qualcuno dei sottoprodotti minori. Per questo si deve fumare a tutta forza.
— E non guasta un po’ il piacere quell’impianto di tubi?
— Oh, non lo so. Vedete, io sono soltanto un volontario. Non fumo.

(http://usuarios.lycos.es/pipaclubsevilla/Imagenes/Fabricaci%F3n%20de%20la%20Pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Luglio 2008, 12:48:19
Torniamo ai vivi che fumano la pipa come noi e che e scrivono..

Stefano Benni
Terra!!

Io ebbi la fortuna di entrare subito nelle grazie del capitano, e
il perché è presto detto: ero molto bravo a intagliare pipe nel legno.
Ne potevo fare una in una sola notte, mentre ero di turno al
timone. Una di queste notti, appunto, Quijote mi passò vicino e
mi vide armeggiare con il mio coltellino.
"Marinaio!" urlò con la sua vociona metallica, "cosa stai facendo!
"
"Una pipa, capitano, " dissi, mostrandogliela, "ma glielo giuro,
non ero distratto. Stavo attento alla rotta."
Lui mi strappò di mano la pipa con un gesto iroso, la guardò:
era q a pipetta a forma di delfino. Subito si addolci.
"E una bella pipa, marinaio," disse, mettendosela in bocca,
"proprio una bella pipa!"
"L'ho fatta ... per lei," mentii, con sfacciata prontezza, "so
che lei è un appassionato fumatore ..."
I1 capitano mi guardò con curiosità. Poi mi fece segno di seguirlo,
e mi portò nella sua cabina. Là, in un grande armadio a muro,
mi mostrò la sua incredibile collezione. C'erano pipe di tutti i
tipi e misure, e materiali. Le piii stupefacenti erano quelle intagliate
dai marinai durante le lunghe ore di navigazione: era come se
tutti i sogni e gli incubi del mare si fossero raccolti in quell'armadio.
Pipe a forma di drago, di delfino e asteroide, di cometa, sirena
e calamaro gigante. "Che meraviglia," dissi io ammirato mentre
la collezione mi passava tra le mani, "che fantasia!"
"Non due cosi! Tutto quello che si vede sul mare," mi ammoni
severo Quijote, "nella nebbia della notte, nel riflesso del sole,
non è fantasia, è reale. Le sirene sono vere, come sono veri i mostri
piu orribili,

sentii il rantolo del suo unico polmone e i suoi passi di zoppo. Infine
mi apparve, awolto in un sudario bianco. I suoi occhi allucinati
erano la cosa pi6 spaventosa che avessi mai visto!
"Capitano," dissi con voce tremante, "perdonateci! Faremo
qualsiasi cosa! Ma la prego, risparmi la nave!"
"Fuoco! Fuoco!" gridò il capitano, guardandomi con quegli
occhi tremendi.
"No, capitano, la prego," implorai, "non bruci la nave! Moriremo
tutti! Era la sua nave. La prego, non.. . " La voce mi si spezzò
in gola: il capitano mi aveva inchiodato al muro con la fredda mano
d'avorio.
"Fuoco!" gridò stravolto. "Imbecille! Fuoco per accendere la
mia pipa! Sono tre giorni che non fumo!"
Non so come, ma tra i tremiti riuscii ad accendergli la pipa con
il mio acciarino. Quijote tirò alcune boccate frenetiche, e l'espressione
terribile sparì del tutto dal suo viso. Si sedette e mi raccontò
la sua storia.
Dopo morto, si era ritrovato in fondo al mare spaziale dei capitani
cacciatori. Non era un brutto posto, diceva, c'era tanta gente
che conosceva, morta da tempo, si raccontavano storie di pesca, si
sparavano un sacco di balle, si nuotava a braccetto qua e là. "Ma
PER DIO!" disse il capitano, "ci fosse il modo di accendere la pipa,
là sotto. Tre giorni senza fumare, credevo di impazzire!
Ora il problema è risolto, e posso tornare alla mia vita di
fantasma, gi6 nella corrente profonda, nel regno di Fleba il fenicio
e del barone Capodoglio. Però, Chulain, regalami il tuo acciarino.
Lo terrò in una bottiglia, cosf non si bagnerà né si spegnerà mai!"
Ciò detto, mi strizzò l'occhio e sparf. Come riprova che non
avevo sognato, restò neii'aria una nuvola di fumo azzurro della
sua pipa. Raccontai tutto agli altri. Da allora, tutte le volte che un
marinaio muore, i suoi compagni gli lanciano nel mare dello spazio
una bottiglia e uno stoppino acceso, cosi che possa accendere la
sua pipa.
(http://www.martincid.com/imagenes/fumador_pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Luglio 2008, 12:50:51
Ancora lui...
Stefano Benni

IL RACCONTO DEL BARISTA
LA TRAVERSATA DEI VECCHIETTI


I vecchi dovrebbero essere esploratori...
(THOMAS S. ELIOT)

C’erano due vecchietti che dovevano attraversare la strada. Avevano saputo che dall’altra parte c’era un giardino pubblico con un laghetto. Ai vecchietti, che si chiamavano Aldo e Alberto, sarebbe piaciuto molto andarci.
Così cercarono di attraversare la strada, ma era l’ora di punta e c’era un flusso continuo di macchine.
― Cerchiamo un semaforo ― disse Aldo.
― Buon’idea ― disse Alberto.
Camminarono finché ne trovarono uno, ma l’ingorgo era tale che le auto erano ferme anche sulle strisce pedonali.
Aldo cercò di avanzare di qualche metro, ma fu subito respinto indietro a suon di clacson e male parole. Allora disse: proviamo a passare in un momento in cui tutti sono fermi. Ma l’ingorgo era tale che, anche se i vecchietti erano magri come acciughe, non riuscirono a passare. Anzi Aldo rimase incastrato in un parafango e il proprietario dell’auto scese tutto arrabbiato, lo prese sotto le ascelle, lo strappò via e non sapendo dove metterlo lo posò sul cofano di un’altra auto.
― Eh no, qua no ― disse il proprietario della seconda auto, lo sollevò e lo depositò sul tetto di un camioncino.
Così una botta alla volta Aldo stava quasi per arrivare dall’altra parte della strada. Ma l’uomo del camioncino mise la freccia a destra e bestemmiando e insultando riuscì a attraversare la strada e posteggiò nel solito lato, quello da cui erano partiti i vecchietti.
Era quasi sera quando a Aldo venne un’altra idea.
― Mi sdraio in mezzo alla strada e faccio finta di essere morto ― disse ― quando le auto si fermano tu attraversi veloce, poi mi alzo e passo io.
― Non possiamo fallire ― disse Alberto.
Allora Aldo si sdraiò in mezzo alla strada, ma arrivò un’auto nera e non frenò, gli diede una gran botta e lo mandò quasi dall’altra parte della strada.
― Forza che ce la fai! ― gridò Alberto.
Ma passò una grossa moto e con una gran botta rispedì Aldo dalla parte sbagliata. Il vecchietto rimbalzò in tal modo tre o quattro volte e alla fine si ritrovò tutto acciaccato al punto di partenza.
― Che facciamo? ― chiese.
― Dirottiamo una bicicletta ― disse Alberto.
Così aspettarono che un terzo vecchietto passasse in bicicletta e balzarono sul sellino (ci stavano perché erano molto magri tutti e tre). Aldo puntò la pipa contro la schiena del terzo vecchietto che si chiamava Alfredo e disse:
― Vai a sinistra o guai a te!
― A sinistra? Ma io devo andare dritto.
― Vai ― disse Aldo ― o ti riempio di tabacco.
Alfredo non comprese bene la minaccia, però si spaventò e cercò di voltare a sinistra, ma piombò una Mercedes che li centrò in pieno. Arrivò la polizia.
― Com’è successo? ― chiese.
― Io sono l’onorevole De Balla ― disse quello della Mercedes.
― Allora può andare ― disse il poliziotto ― e voi, cosa avete da dire a vostra discolpa?
― Volevamo attraversare la strada ― dissero i tre vecchietti.
― Senti questa! ― disse il poliziotto ― Ah, gli anziani d’oggi! Imprudenti. C’è troppo traffico e siete vecchi e malandati.
― La prego, ci faccia attraversare ― disse Aldo.
― Dobbiamo andare ai giardini ― disse Alberto.
― Se no mi riempiono di tabacco ― disse Alfredo.
― Neanche per sogno, vi riaccompagno indietro. Da dove vi siete mossi? ― disse il poliziotto.
― Da lì ― disse Alberto indicando il marciapiede che volevano raggiungere.
― Allora vi ci riporto, e guai se cercate ancora di attraversare ― disse il poliziotto.
Così con la scorta della polizia i tre vecchietti riuscirono a passare dall’altra parte e poi arrivarono al giardino.
C’era veramente un bel laghetto. Si trovarono così bene che non riattraversarono mai più.

(http://es.geocities.com/titina_bianchini/h-pipa.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Luglio 2008, 16:51:27
Fine Colonna

Stefano Benni

La riparazione del nonno

Stavamo stretti vicino al fuoco, aspettando la programmazione
horror, perché con un'atmosfera come quella
il nonno raccontava sempre la Leggenda della Capra dai
Denti di Ferro o la Storia dei Sette Lupi alla Porta, tutte storie
vere o quasi, mentre dal camino scendevano gli effetti
speciali, sciabolate di vento e colonna sonora di tuoni e la
legna umida spetardava facendoci sobbalzare.
Nonno Telemaco arrivò tutto gocciolante e si tolse gli
stivali. Non diede le previsioni del tempo perché c'era poco
da prevedere, accese la pipa e con voce profonda intonò la
Storia dei Sette Lupi, una banda di animali sanguinari che
aveva terrorizzato la zona nell'anteguerra.
"Il capo si chiamava Nerofumo, era il diavolo in persona,
e aveva ucciso più pecore di un'epidemia. Una notte
buia e nebbiosa io e il mio amico Favilla tornavamo a casa,
sul calesse, e dovevamo passare attraverso la Gola della Civetta,
stretta stretta e circondata da un folto bosco di abeti,
l'ideale per un agguato. "
Il nonno tirò una boccata di pipa e socchiuse gli occhi,
creando una pausa piena di suspense (che allora si chiamava
cagotto). "Beh, eravamo a metà della gola," proseguì, "tirava
un vento gelido e io aguzzavo gli occhi nel nebbione, cercando
di vedere la strada. Il cavallo ansimava, e i denti di
Favilla battevano nel buio, 'ta-ta-ta-ta', sembrava di sentir
beccare un picchio, e allora dissi 'Ohè Favilla, te la stai facendo
sotto?'. Ma dicevo così solo per fare lo spavaldo, in
verità avevo una gran paura anch'io! E in quel momento
guardo su verso l'abetaia e cosa vedo? Due braci rosse, due
occhi di bestia che mi guardano minacciosi."
Il nonno fece una pausa ancor più lunga; si sentiva solo
lo scoppiettio del fuoco, e le sedie cigolare. I nostri cuori
battevano forte, immaginando Nerofumo pronto a balzare e
mordere alla gola. E improvvisamente tutto accadde. Nell'aria
si diffuse un rumore di carta stagnola stropicciata, un
crepitare sinistro, i capelli del nonno si rizzarono sulla testa,
il fuoco diventò nero - giuro - nero come la pece, e dal camino
entrò qualcosa di spaventoso, qualcosa che faceva il
rumore di un drago e di una trebbiatrice insieme, ci fu un
lampo abbagliante, uno schianto, le braci volarono come
farfalle infuocate e h a nube di cenere riempì l'aria.
Quando il mostro se ne andò, c'era una gran puzza di
strinato ed eravamo tutti neri di fuliggine. I1 ciocco nel camino
era carbonizzato e il gatto, nudo e pelato, sembrava
una gallina lessa. Un fulmine era sceso per la cappa, un caso
su un milione. Si disse che era stato attirato da un vassoio
d'argento sulla tavola, oppure dai denti d'oro del nonno.
Per altri, invece, era stato evocato dal racconto spaventoso.
"Il diavolo," disse una vecchia, "invidia chi sa far più
paura di lui." Non ci furono feriti, o morti o danni eccessivi.
Ma qualcosa di terribile era accaduto: il nonno, centrato dal
fulmine, si era rotto.
Ebbene sì. Cercammo di fargli riprendere il racconto,
ma lo choc era stato devastante. I capelli da grigi gli eran diventati
bianchi, le mani tremavano. Gli rimettemmo la pipa
in bocca, gli facemmo bere il vino preferito e riprese un po'
di colore. Fece due o tre spot da sotto (la paura era stata
tanta) e poi prese a raccontare così:
"Allo-lo-lo-lora vi-vi-vidi que que que que que que-gli
oc-oc-oc-chi-chi-chi fiammeggian-gian-gian-ti che mi guagua-
gua ...".
Orrore! Il nonno balbettava, il suo audio era lesionato e
anche i suoi gesti, abitualmente lenti e descrittivi, sembravano
quelli di una marionetta. Favilla, il suo amico, gli inoculò
un altro mezzo litro di rosso e provò ad aggiustarlo col sistema
Carnera, quello con cui faceva ripartire i trattori. Gli
tirò un tale pugno nella schiena che l'interno del nonno rimbombò
come una botte da cinquecento litri. Telemaco fece
un altro spot e riprese a raccontare così:
"Allora il lupo nitrì e si impennò e fiammeggianti la luna
vidi mentre gli abeti sul calesse Favilla disse che occhi che
c'era intorno nera addio. il cavallo ululò e il fucile si cagò
sotto e dissi arbeit macht frei Caterina levati i mutandoni
mentre le orribili zanne del sergente Miiller urlavano aiuto
aiuto, rubano il maiale! ".
I circuiti narrativi del nonno erano fusi, e se ne era venuto
fuori un pasticcio composto di brani del racconto interrotto,
episodi di guerra, ricordi vari e anche particolari intimi
del rapporto con la nonna.
Fu fatto un ultimo tentativo. Il nonno fu messo a testa in
giù, scosso violentemente e liberato dal surplus di elettricità
nonché di vino e polenta. Rimesso sulla sedia, così parlò:
"Cerene sette lupeche più froce Neirofummo qui sgozzolavan
ipekkore me unnait me and mai friend Favilla kun
chelesse e chevelie trans itavam dint'a golia della chouette,
la charmante Colette".
Autentico marasma di slang ipervocalico, con la sorprendente
comparsa delle lingue straniere, che il nonno non
conosceva, e l'inquietante apparizione di una francesina che
mandò in bestia la nonna; Decidemmo perciò di soprassedere,
e aspettare il decorso del caso. Il nonno dormì due
giorni e due notti. Quando si alzò fece le solite cose, diede
da mangiare d e bestie, andò a zappare l'orto, fece un salto
da Favilla a parlare di imbottighamento, tornò, mangiò e si
sedette vicino al fuoco. E stette zitto.
Immobile, con due lacrirnoni che gh rigavano le gote rugose.
Era chiaro che Telemaco 87 due pollici era rotto e bisognava
ripararlo, perché non potevamo vivere senza i suoi
racconti.
Per prima cosa convocammo un medico, il dottor Faha.
Egli dichiarò che c'era uno squilibrio neurologico-elettrolitico
e si poteva provare a dargli della camomilla, ma dare della
camomilla al nonno, anche diluita nelia grappa, era come
ucciderlo.
11 veterinario Schioppagatti disse che secondo lui si trattava
di un problema psicoepizootico, una perdita di memoria
e identità, come ad esempio quando un papero viene allevato
da una tacchina o un gatto da una cagna, e suggerì di
farlo dormire con i maiali. La mattina il nonno era uguale a
prima, mentre tutti i maiali avevano preso il vizio di fumar
la pipa.

(http://www.elpais.com/recorte/20070605elpepucul_6/XLCO/Ies/Naturaleza_muerta_vaso_libro_pipa_dado.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 15 Luglio 2008, 21:38:51
Da "Trincee" di Carlo Salsa, uno dei più bei libri di guerra in assoluto e sulla Grande Guerra in particolare, senza dubbio superiore al pur ottimo e strombazzatissimo "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu.
 
Allo scoppio d'apertura, Molon si rimette l'elmetto, si riallaccia il cinturone delle giberne e si leva, sferrando.
"Che fai adesso?"
"Ghe penso mi"
Gli allungo un cazzotto e lo tengo lì, zitto.
Fuori comincia a sgranarsi il pettegolezzo della fucileria.
Ogni tanto un graduato ficca la testa nello sgabuzzino e reca le solite notizie: qualche ferito, che si dovrebbe accompagnare o portare giù subito al posto di medicazione dei Mulini di Gabrie.
"Ghe penso mi", dice Molon.
Rassegnato all'immobilità, dopo aver rovistato a lungo nel tascapane, leva una delle sue ventidue pipe e si mette a raschiare nel fornello con la punta della baionetta: canticchia tra sé, sommessamente.

Dietro il ponte c'è un cimitero
cimitero di noi soldà.
                          Tapum tapum tapum  
                          tapum tapum tapum
Quando sei dietro quel mureto
soldatino non puoi più parlà.
                          Tapum tapum tapum
                          tapum tapum tapum

Versa la cicca nel palmo della mano e ne fa una pallottola che apposta con molto riguardo in bocca: spesso, se gli riesce di raggranellare, spuciando in tutte le tasche, un po' di tabacco e un po' di briciole assortite, accende la pipa: in questo caso a non dargli la libera uscita, c'è da finire affumicati.

"Trincee confidenze di un fante" Carlo Salsa - Mursia 1995 - pag. 152


Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 16 Luglio 2008, 19:09:02
nell'ignuda trincea mia fida amica
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 19 Luglio 2008, 18:45:38
Da "Ai piedi degli alberi - viaggio tra i giganti della terra -" di Rudi Palla ed. Ponte alle Grazie.

Quand'ero piccolo, una volta mio padre mi fotografò su un prato: indossavo un basco bianco, un paltò, lunghe calze di lana e stivaletti, con la mano destra tenevo in bocca una pipa fingendo di fumare. La pipa l'avevo costruita con una grossa castagna matta svuotata in cui avevo infilato un bastoncino di sambuco cavo. Come tutti i bambini, amavo la benedizione autunnale delle castagne che cadevano in abbondanza dai rami dei possenti ippocastani dalle grandi foglie pennate simili a dita.

Rudi Palla, nato a Vienna nel 1941 è scrittore e regista.

Bernardo
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: M4tt0 - 01 Ottobre 2008, 11:03:35
Ho trovato questa poesia in vecchi file, forse andavo addirittura alle medie. Forse la passione per la pipa c'era ma era offuscata dalla giovinezza  :lol:
L’avvenire
di Guillaume Apollinaire
Solleviamo la paglia
Guardiamo la neve
Scriviamo lettere
Aspettiamo ordini
Fumiamo la pipa
Pensando all’amore
I gabbioni son lì
Guardiamo la rosa
La fonte non s’è inaridita
Né la paglia d’oro è sbiadita
Guardiamo l’ape
E non pensiamo al domani
Guardiamoci le mani
Che sono la neve
Sono l’ape e la rosa
Nonché il domani
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Ottobre 2008, 15:13:21
L'altra sera uno dei temi dibattuti al "Caffè delle Giubbe Rosse" è stato Holmes e le sue pipe,naturalmente Sherlock non John.
Ho cominciato a cercare la pipa tra gli imitatori di Conan Doyle,per il momento inserisco questi.
Il primo frammento è del Doyle originale,che altro dire: Alimentare Watson!

L’avventura della zampa del diavolo di Sir Arthur Conan Doyle

Fissai l’inopportuno parroco con uno sguardo non certo amichevole, ma Holmes
invece si tolse la pipa dalle labbra e assunse sulla poltrona una posizione eretta, come
un vecchio bracco che sente il richiamo della caccia alla volpe.

Solo dopo parecchio tempo che fummo tornati a Poldhu Cottage Holmes ruppe il
suo completo e assorto silenzio. Sedeva raggomitolato nella sua poltrona, il viso
allampanato e ascetico quasi invisibile in mezzo al turbine di fumo bluastro del
tabacco, con le sopracciglia e la fronte contratte e gli occhi vuoti e distanti. Infine,
appoggiò la pipa e si alzò in piedi di scatto.
«Non c’è niente da fare, Watson!»

La figura massiccia del dottor Sterndale si sollevò, si inchinò gravemente e si
allontanò dal porticato. Holmes accese la sua pipa e mi passò la sua borsa da tabacco.
«I fumi non velenosi offrono un piacevole diversivo» disse.

Hoka Holmes di Poul Anderson & Gordon R. Dickson

Cercando di salvare come potevano la dignità, Alex e Geoffrey occuparono le
sedie indicate. Quanto a Holmes, si lasciò cadere in una poltrona talmente imbottita,
che quasi lo inghiottiva nascondendolo. I due umani si ritrovarono di fronte a un paio
di gambette corte, oltre le quali un naso a bottone fremeva e una pipa fumava.
«Prima di tutto» disse Alex, ricomponendosi «lasci che le presenti...»
«Tz, tz, Watson» fece Holmes. «Non c’è bisogno. Conosco di fama, se non di
vista, lo stimabilissimo signor Gregson.»

Crollò a sedere su una sedia. Sherlock Holmes si riempì la pipa e abbandonò la
sagoma tozza e pelosa contro lo schienale.
«È stato un piccolo caso abbastanza interessante» commentò. «Sotto alcuni aspetti,
mi ricorda l’Avventura delle Due Uova Fritte, e credo, mio caro Watson, che possa
trovare un posticino nelle sue brevi cronache.

Alex lo guardò. Maledizione al diavolo... il peggio, in tutta quella storia, era che
Holmes aveva ragione. Aveva visto giusto fin dal primo momento. A modo suo, in un
modo cioè tutto hoka, aveva compiuto un magnifico lavoro di indagine. Un senso di
onestà fece scattare in piedi Alex, per dichiarare senza pensarci un momento:
«Holmes... perdiana, Holmes! Ma questo... questo è genio puro e semplice!»
Non aveva finito di pronunciare quelle parole che si rese conto di quello che aveva
fatto. Ma era troppo tardi, ormai... troppo tardi per evitare la risposta che Holmes
inevitabilmente gli avrebbe dato. Alex strinse i pugni, irrigidì il corpo stanco, e decise
di affrontare la cosa da uomo. Sherlock Holmes sorrise, si tolse la pipa dai denti, e
aprì la bocca. Attraverso una specie di nebbia rombante, Alexander Braitwaite Jones
ascoltò le fatidiche parole: «Niente affatto. Elementare, mio caro Watson!»

Il caso dell’extraterrestre di Mack Reynolds

Il vecchio detective si calò con una certa cautela nella propria poltrona e allungò
una mano verso il tabacco e la pipa, spiandomi con la coda dell’occhio. Sapeva
benissimo che in genere non gli era permesso fumare a un’ora così tarda. Tradì una
risatina di soddisfazione, forse proprio per indispormi. «Immagino, giovanotto, che
sia qui per parlarmi di faccende personali, più che per esplicita richiesta di Sir
Alexander» disse, come se fosse già certo della risposta.
L’ospite alzò gli occhi verso di me.
Il mio vecchio amico ridacchiò in un modo che potrei solo definire puerile. «Il
dottore è mio assistente da molti anni» spiegò, presentandomi. Accese la pipa,
lasciando cadere il fiammifero a terra, e continuò a parlare attorniato da volute di
fumo, con una cert’aria di superiorità che mi irritò: «La sua discrezione è pari alla
mia. Glielo assicuro.»

Un bozzetto di Scarletin  di Philip José Farmer

«Un’osservazione molto elementare, dottore, ma valida» ribatté lui. «Secondo me
Scarletin vuole farci capire che quelle aree contengono oggetti privi di significato. Il
messaggio è contenuto nella porzione centrale, dove non compaiono zeri.»
«Provalo» lo sfidò Strasse.
«Un passo per volta, sempre che riusciamo a trovare un punto d’inizio. In alto a
destra c’è una strana figura maschile. La metà superiore, naturalmente, rappresenta
Sherlock Holmes, con l’inseparabile berretto da cacciatore, la mantella, la pipa
(anche se non si capisce se è di radica o di terracotta) e la lente di ingrandimento in
mano. La metà inferiore, con i calzoni alla tirolese e via di seguito, si ispira
all’abitante di una regione in particolare per riferirsi alla Germania in generale. Per
un onesto ricercatore della verità la mezza figura di Sherlock Holmes significa due
cose. Primo, dobbiamo applicare i metodi investigativi al quadro. Secondo, metà del
messaggio è in inglese. L’altra parte di figura indica che la rimanente metà del
messaggio è in tedesco, come avevo già previsto.»

Voci dall’alto di Edward Wellen

«Mi rivolgo a lei, Holmes. Perché permette che questo... questo marchingegno mi
si rivolga con tanta familiarità?»
La vestaglia amorevolmente stazzonata e rosa dalle tarme sussultò mentre Holmes
usciva dalla nuvola di sogno della sua pipa. Lo sguardo si posò subito su Metticaso e
io ebbi la viscida sensazione che quei due si scambiassero una subliminale strizzatina
d’occhi. Poteva anche essere frutto della mia immaginazione.

«Dovrebbe essere ovviò, Metticaso» rispose Holmes, senza nemmeno aspirare una
boccata preliminare dalla sua pipa. «Il dottor Watson tiene nella mano sinistra la sua
borsa nera.»

Lui guardò rapidamente dalla mia parte, mentre per lo stupore cadevo in ginocchio,
poi inspirò una boccata di fumo dalla pipa e la buttò fuori, seguendo con lo sguardo il
fumo che saliva in volute spesse verso il soffitto.

Il caso dell’assassino di metallo di Fred Saberhagen

La macchina mortale estrasse un
minuscolo oggetto dalla tasca e si spostò leggermente di lato affinché l’agente non si
inframmettesse tra lui e la porta. Girando la schiena al nemico, come nell’intento
casuale di porgere il benvenuto all’uomo che stava per entrare, l’agente tolse con
naturalezza dalla propria tasca una pipa in legno di rosa, progettata per servire anche
ad altri scopi. Poi girò la testa e mirò al guerriero da sotto l’ascella sinistra.
Rispetto a un essere umano, l’androide era straordinariamente veloce, ma come
sterminatore del Nord era lento e maldestro, dal momento che l’avevano progettato
essenzialmente per l’imitazione e non per il combattimento. Le due armi spararono
contemporaneamente.

Si rese vagamente conto di essere in
ginocchio e capì che il suo coinquilino, appena entrato nella stanza, si era fermato
con espressione stupefatta a un passo dalla soglia.
Alla fine, l’agente riuscì a muoversi di nuovo e con mano tremante si rimise in
tasca la pipa. Il corpo colpito del nemico si stava già vaporizzando.




Morte nell’ora del Natale di James Powell

La poverina era caduta dal soffitto
insieme al suo monoplano in seguito alla rottura del filo che li teneva sospesi, durante
la mostra intitolata I giocattoli alla conquista delle nuvole. Metcalfe era stato tentato
di chiamare al telefono la ragazza per confessarle quella innocente bugia, ma ora era
ben contento di non averlo fatto. Un bambolotto di Sherlock Holmes, figurarsi! Il
giovanotto riaccese la sua pipa e dondolò avanti e indietro sui tacchi, espirando
nuvolette di fumo e tenendo le mani strette dietro la schiena. La bella vetrinista
avrebbe proprio dovuto fornirgli delle spiegazioni, pensò. Anche a proposito della
provenienza dell’orsacchiotto.
L’illustrazione sul coperchio mostrava una notte di nebbia e una porta di un’altra
epoca. Il numero sulla porta era il 221 B, mentre la strada, come si capiva da un
cartello appeso a un lampione, era Baker Street. Una scritta a grandi lettere
dichiarava:
RIPRODUZIONE ORIGINALE DI SHERLOCK HOLMES
UN’ALTRA SPLENDIDA CREAZIONE DEI GIOCATTOLI DOYLE
Teddy aprì la scatola. Il pupazzo all’interno indossava un cappello da cacciatore e
un cappotto con la mantellina. In dotazione portava un violino e un archetto, ma lo
accantonò con un sorriso, mettendolo insieme alla lente d’ingrandimento, alla pipa
ricurva e alle pantofole persiane imbottite.

(http://wahooart.com/A55A04/w.nsf/OPRA/BRUE-6WHL96/$File/G.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Ottobre 2008, 19:09:40
Restiamo in tema, parliamo anche di Doyle senza S.H.,le pipe sono abbastanza rare,quasi sempre per introdurre con calma il racconto:

Conan Doyle

The American's Tale, 1880; (London Society)

A parte tali ricordi, il nostro narratore americano è scomparso dal giro. Ha brillato nel nostro tranquillo convivio come una meteora luminosa, poi si è perso nelle tenebre. Quella sera, tuttavia, il nostro amico del Nevada era in ottima forma, così mi accesi pacificamente  la pipa e mi misi sulla sedia più vicina, cercando di non interrompere la sua storia.

Per un attimo lo vidi stringere il dito sul grilletto, poi si mise a ridere e gettò la pistola sul pavimento, "No", continuò, "non posso sparare a un ubriaco. Tieniti la tua sporca pelle, Joe, e usala meglio di come hai fatto fino adesso. Non sei mai stato così vicino alla morte come stasera. Ma adesso credo proprio che ti convenga far fagotto. E non guardarmi mai più in quel modo, amico, perché io non ho paura del tuo revolver. I prepotenti sono sempre dei vigliacchi".
Quindi gli voltò le spalle con disprezzo e si riaccese la pipa alla stufa, mentre Alabama usciva dal bar accompagnato dalle risate dei Britannici.

The Silver Hatchet, 1883 (London Society)

«Hai avuto il tempo», volle sapere Strauss, «di dare un'occhiata ai libri e alle armi di cui si preoccupava tanto il caro vecchio Professore il giorno che è stato ucciso? Dicono che valgano bene una visita.»
«Ci sono stato oggi», disse Schlegel, accendendosi la pipa. «Reinmaul, il custode, mi ha mostrato il magazzino, e io l'ho aiutato a trascrivere diversi articoli del catalogo originale del museo del Conte Schulling. Da quel che ho potuto vedere, manca solamente un oggetto dalla collezione.»

The Captain of the Polestar, 1883 (Temple Bar)

Dopo cena ero salito sul ponte a fumare la pipa in pace prima di andarmene a letto. La notte era molto buia: tanto buia da non permettermi di vedere, dal punto in cui mi trovavo sotto il quartiere di poppa, l'ufficiale sul
ponte. Credo di aver già parlato dello straordinario silenzio che regna in questi mari ghiacciati. In tutte le altre parti del mondo, anche nei luoghi più solitari e deserti, c'è sempre una lieve vibrazione dell'aria, quasi un ronzio appena percettibile, prodotto o da lontani luoghi abitati dagli uomini, o dallo stormire delle foglie degli alberi, o dal battito delle ali degli uccelli, o perfino dal frusciare leggero dell'erba che copre il terreno. Il suono non può essere percepito come tale, eppure se dovesse cessare se ne sentirebbe la mancanza.

The Great Keinplatz Experiment, 1885 (Belgravia)

Un pomeriggio così non si ripeté mai più al GrünerMann; fiumi di birra e di vino del Reno scorrevano allegramente. A poco a poco gli studenti superarono il timore che incuteva loro la presenza del Professore. Quanto a lui, gridava, cantava, teneva in equilibrio sul naso una lunga pipa e offriva generosamente da bere a tutti i membri della brigata.
I genitori e la cameriera, dietro la porta, si meravigliarono tra loro di un simile comportamento da parte di un Regio Professore dell'antica Università di Keinplatz, e più tardi ebbero ben altro su cui spettegolare, perché lo scienziato baciò addirittura la cameriera dietro la porta della cucina.

A Literary Mosaic, 1886 (Boy's Own Paper)

Erano circa le dieci meno venti della sera del 4 giugno dell'anno 1876 quando, dopo aver mangiato un toast gallese e aver bevuto una pinta di birra, mi sedetti nella mia poltrona, poggiai i piedi su un tavolo, e accesi la pipa, come era mia abitudine. Sia il mio polso che la temperatura erano, per quanto ne sappia, normali in quel momento. Vi fornirei anche i dati del barometro, ma quello strumento sfortunato aveva subito una caduta di circa due metri  da un chiodo sul muro fino al pavimento  e non era in condizioni affidabili. Viviamo in un'era scientifica, e io mi vanto di muovermi al passo con i tempi.

Avrei voluto alzarmi per salutare quegli ospiti inaspettati, ma tutte le mie facoltà di movimento sembravano avermi abbandonato, e rimasi immobile ad ascoltare la conversazione che ben presto cominciai a sentire tutt'intorno.
«Perbacco!», esclamò un uomo rude e con il volto segnato dalle intemperie, che fumava una lunga pipa di terracotta e sedeva all'estremità del ta
volo più vicino. «Il mio cuore s'intenerisce per lui.

«Suppongo che cominceremo da un capo del tavolo, e parleremo a turno, in modo che ognuno contribuisca con quel che gli suggerisce la fantasia?».
«D'accordo, d'accordo!», gridò l'intera compagnia, e tutti gli occhi guardarono Defoe, che sembrava molto a disagio, e riempiva la pipa prendendo il tabacco da una grande tabacchiera che aveva davanti.

Lot no. 249 (Harper's Magazine, 1892)

Erano le dieci di una chiara notte di primavera, e Abercrombie Smith se ne stava sprofondato nella sua poltrona, con i piedi sul parafuoco e la pipa di radica fra le labbra. Sull'altro lato del caminetto, in una poltrona gemella, e anche lui assai rilassato, riposava il suo vecchio compagno di scuola Jephro Hastie.

«Perché Bellingham è fidanzato con sua sorella Eveline. Una fanciulla così deliziosa, caro Smith! Conosco bene tutta la famiglia. È disgustoso vedere quel bruto accanto a lei. Un rospo e una tortora, ecco a cosa mi fanno pensare quei due.»
Abercrombie Smith sogghignò e batté la pipa contro il lato della griglia per far cadere la cenere.

«Eveline, la conosco da quando era alta come questa pipa di ciliegio, e non mi va di vederla correre rischi. E questo è un rischio. Lui ha l'aspetto di una bestia. E ha un carattere bestiale, un carattere maligno. Non ricordi la sua zuffa con Long Norton?»

Per Giove, Smith, sono quasi le undici!» «Non aver fretta. Accendi di nuovo la pipa.»
«Che novità ci sono, allora?», domandò Smith, mentre con l'indice spingeva il tabacco nella sua pipa d'erica bianca.

The Horror of the Heights, 1913; (Everybody's Magazine )

Fu il 15 dello scorso mese di settembre che James Flynn, un bracciante agricolo che lavorava per Matthew Dodd, il fattore di Chauntry Farm a Withyham, trovò una pipa di radica abbandonata vicino al sentiero che costeggia la siepe a Lower Haycock. Pochi passi più in là raccolse un binocolo rotto. Infine, tra le ortiche del fossato, scorse un volume piatto rivestito in tela, che risultò essere un taccuino con i fogli staccabili, alcuni dei quali svolazzarono lungo il bordo inferiore della siepe.
Questi furono raccolti, ma altri, compreso il primo, non furono mai recuperati, lasciando un deplorevole vuoto in questa importantissima testimonianza.


(http://www.blasderobles.com/Varia/Kircher/images/pipe.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Ottobre 2008, 21:10:55
La pipa quando tira vento forte.

JOE R. LANSDALE

IL CARRO MAGICO

Poco prima dell'ora di cena, mio padre andò in veranda a fumarsi la pipa e io mi recai nella stalla a dare da mangiare ai muli e a mungere la vacca. Spostai il fieno, fiutai quell'odore di animale, pensai a quanto mi faceva venire in mente la mia vita passata. Mi fece venire in mente mamma e papà, le notti calde senza quasi un alito di vento, notti fredde con il focolare acceso, le cene consumate a tarda ora, i racconti assurdi di fronte al camino, i momenti passati a scrutare il mattino in veranda o fuori dalla finestra, mezzogiorno o notte, primavera, estate, autunno o inverno. Quell'odore non mancava mai, come un amico che si fosse spruzzato dell'acqua di colonia dall'aroma strano, perfino putrido. Le assi del pavimento ne erano pregne, così come lo era la corte, per non parlare della stalla. Un odore che ancora oggi continua a farmi viaggiare avanti e indietro nel tempo, che mi confonde sulle verità e sulle menzogne dei miei ricordi.

Dopo essere riemerso dal fosso, iniziai a strisciare sul ghiaccio, trascinandomi dietro il piede inservibile. Dai palmi delle mie mani si staccarono pezzetti di cute, così dovetti avanzare spingendomi sugli avambracci protetti dalle maniche della giacca.
Non avevo fatto molta strada quando incontrai mio padre. Era seduto sulla sua sedia a dondolo e reggeva la pipa in una mano. Stava ancora fumando. La veranda dove quella sedia era stata fino a poco prima non c'era più, ma lui si stava dondolando placidamente su quello che il vento aveva
risparmiato. E il forcone di cui mi ero sbarazzato prima di gettarmi sulla treggia gli spuntava dal petto come un germoglio. Non vidi una goccia di sangue. Aveva gli occhi aperti e sbarrati e, a ogni dondolio della sedia, sembrava che mi guardasse e mi rivolgesse un cenno.
Dietro papà, dove si sarebbe dovuta trovare la casa, non c'era più nulla.

Il signor Parks raccontò che la prima cosa che aveva visto era stato mio padre sulla sedia a dondolo. Il cannello della pipa di mio padre sembrava puntare nella direzione in cui mi trovavo, metà dentro e metà fuori dal cumulo di fieno.


(http://www.photographersdirect.com/news/200309images/Xhosa_with_pipe350dpi_at_400%25_copy.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Ottobre 2008, 21:13:08
E.C. TUBB

LA CORSA DEL MANICHINO

La festa era al settimo piano. Cominciò a salire, con gli stivali che scricchiolavano sui gradini sporchi, e socchiudendo gli occhi per distinguere gli oggetti nella penombra. Un uomo se ne stava seduto tranquillamente sull'ultima rampa, fumando una pipa ricurva scolpita a mano. Era un tipo di mezza età, con una barba a due punte, e teneva un bastone da passeggio nella mano destra. Portava scarpe chiodate, pantaloni imbottiti, e un giubbotto con un teschio sopra. Il berretto aveva la visiera sporgente.
«Cerca qualcosa signore?» domandò a Dale, quando questi si avvicinò.
"Ecco un palo..." pensò lui. Se l'era aspettato. Continuò a salire le scale.
«Le ho fatto una domanda.» L'uomo si alzò, tenendo il bastone in equilibrio sulla mano, la punta orientata verso gli occhi dello sconosciuto. Era ricoperta di metallo, lucida, minacciosa. «Se vuole passare, risponda.»
"Parole" pensò Dale. All'inferno! Se quel verme credeva che lui se ne tornasse indietro, si sbagliava di grosso. Continuò a salire, gli occhi fissi in quelli che luccicavano all'ombra della visiera alimentando la rabbia e il suo
disprezzo. Una nullità. Un tipo di mezza età che si divertiva a rovinarsi i polmoni col fumo... Gli sarebbe piaciuto allungare una mano, afferrare la barba e strappare una manciata di peli. Prendere la pipa e farla inghiottire a quel gonzo. Chi diamine credeva di essere? L'aggressività accentuata dal farmaco stimolante gli tendeva i lineamenti.
Il bastone ondeggiò, mentre l'uomo indietreggiava di un paio di gradini. «Senta» disse lo sconosciuto con aria conciliante «Le ho semplicemente fatto una domanda. Lassù c'è una festa privata e...»
Dale allungò una mano, afferrò il bastone, lo strappò dalla mano dell'uomo e se lo gettò dietro le spalle. Poi avanzò di un altro passo, con lo stomaco contratto e il sangue che gli martellava nelle orecchie. Il sudore cominciò a imperlargli la faccia e capì che stava chiedendo troppo al proprio metabolismo. Ma se ne infischiava. Niente gli importava, all'infuori di quell'uomo.
Se anche avesse dovuto...
«Dale!» Una donna era uscita, inosservata, dall'appartamento in cima alla scala. «Dale Tulliver! Perbacco! Ma questo è un avvenimento straordinario!» Sandra Elinor Xanthis, completa di lucenti stivaletti neri, pantaloni neri, camicia nera aperta sul petto per mostrare le cicatrici e le brutte macchie di quelle che sembravano scottature, aveva l'espressione dura e i capelli scarmigliati. Colpì violentemente con la sua frusta una parete. «È dei nostri, Dale?» domandò.
«"Arena"» disse lui.
«È dei nostri.» Si voltò a guardare l'uomo con la barba.
«Hai cercato di spaventarlo, Moshe? Tu?»
Con aria torva, Moshe andò a raccogliere il bastone. «Mi avevano ordinato di spaventare tutti.»
«Dale, no.»
«Poteva dirmi la parola d'ordine» rispose l'altro, in tono offeso. «Poteva dirla. Non era necessario che mi saltasse addosso.» Con mani tremanti riempì la pipa, l'accese, guardò attraverso la nube di fumo. «Una parola» ripeté. «Sarebbe bastata quella. Una sola parola.»

(http://www.artknowledgenews.com/files/GeorgesBraquePipeAndCompote.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Novembre 2008, 23:54:01
FERNANDO S. LLOBERA

IL CIRCOLO DI CAMBRIDGE

Poi la viceispettrice, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa, posò un registratore
sul tavolo e guardò il dottore: «Le spiace?».
Del Campo fece segno di no scuotendo leggermente la testa, e intanto aprì un cassetto della scrivania. Tirò fuori una scatola di tabacco Virginia e scelse una pipa dritta da un portapipe che ne reggeva altre tre. Dopodiché, ignorando totalmente Beatriz, tolse il coperchio alla scatola, si munì di una presa di tabacco e la schiacciò nel fornello. I suoi movimenti erano lenti e precisi, studiati fino al minimo dettaglio. La viceispettrice lo osservò mentre estraeva un accendino Dupont in oro da una tasca del panciotto e con diligenza l'avvicinava al tabacco. Poi piegò leggermente la testa dando qualche boccata energica e rumorosa, finché la pipa si accese e la prima nuvoletta di fumo dolciastro si propagò per la stanza. Beatriz aspettò con calma; se Del Campo stava giocando a chi aveva più pazienza, lei sarebbe stata al gioco. Quand'ebbe finito, il dottore si adagiò sulla sua poltrona e alzò lo sguardo. La viceispettrice fece un gesto vago riferito all'ambiente: «Il suo studio è davvero impressionante» commentò.

La viceispettrice, di nuovo, si guardò intorno cercando di memorizzare ciò che vedeva.
«Mi piacerebbe cominciare da Jacobo Ros» disse poi.
Lo psichiatra aggrottò le sopracciglia.
«Pensavo che le interessasse parlare di Juan Alacena.»
«Dopo» ribatté lei con studiata asciuttezza.
Del Campo, con il volto imperturbabile, fece passare qualche secondo, lasciando che il fumo creasse tra loro una cortina azzurrognola. Dopodiché si riavvicinò alla scrivania, prese il ricevitore del telefono, chiese alla sua segretaria di cercare in archivio la cartella clinica di Ros e riattaccò.
"E vai! " pensò Beatriz.
Dopo meno di un minuto, l'infermiera entrò nell'ufficio e consegnò al dottore un fascicolo color crema. Del Campo posò la pipa su un portacenere di cristallo e inforcò dei piccoli occhiali da lettura sulla punta del naso. Poi aprì il fascicolo e ne estrasse alcuni fogli.

(http://www.tradersguideoftexas.com/blurb/wp-content/uploads/dog-smoking-pipe.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Novembre 2008, 23:56:38
JOHN DICKSON CARR
L'ARTE DI UCCIDERE
La sagoma della mascella di Pilgrim, il fornello della sua pipa e la tesa del suo cappello erano protesi in avanti come il naso di un segugio che scelga la pista a fiuto; e i suoi passi da gigante lo avevano fatto arrivare parecchio prima di me. Ci fermammo davanti a un edificio dall'aria tranquilla, somigliante a un club. Salimmo una lunga scala dai pianerottoli fiocamente illuminati, fino al quarto piano.
Pilgrim era proprio un fumatore inveterato: accese per l'ennesima volta la pipa. Ne succhiò forte il cannello, e intanto la luce del fiammifero cadeva sulle rughe e sui crateri della sua faccia squadrata. Le sue palpebre si alzarono un istante e i suoi occhi verdi mi lanciarono uno sguardo indagatore; ma subito tornarono a velarsi e il fiammifero si spense.

Cosa ne pensate di ciò che vi ho detto?»
«Ascoltate, dottore: avreste dovuto sul serio parlarne con Talbot. La cosa può avere un'importanza enorme.»
Adesso il fornello della pipa brillava e si oscurava con la massima regolarità. «Ma caro signore, lo farò senz'altro. Ho capito la portata di quanto avevo veduto solo poco fa, quando voi mi avete raccontato l'intera storia...

(http://www.codart.nl/images/Metsu11OldManWithPipeAndJug.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Novembre 2008, 22:55:34
Alan Furst

Alan Furst è nato a Manhattan, New York. Ha vissuto per molti anni in Francia, dove ha insegnato alla Facoltà di Lettere dell’Università di Montpellier, e più tardi a Parigi. Ha viaggiato nell’Europa dell’est e in Russia come giornalista, è stato collaboratore regolare di Esquire e dell’International Herald Tribune. Tra suoi romanzi di spionaggio figurano: Night Soldiers (1988), The Polish Officer (1995), The World at Night (1996), Red Gold (1999

Il Corrispondente Dall'Estero

«Venga con me».
Weisz lasciò i soldi sul tavolo e seguì l'uomo fuori. In strada c'era un taxi fermo davanti al locale. L'uomo con il berretto si mise al volante e Weisz salì dietro, dove Mr Brown lo stava aspettando. Il solito Mr Brown oggi, l'odore di fumo di pipa che addolciva l'aria. «Buongiorno» gli disse acido. Il taxi si allontanò, mescolandosi al traffico sonnolento di rue Dauphine. «Che mattinata piacevole, oggi».
«Grazie per essere venuto» disse Weisz. «Avevo bisogno di parlarle, riguardo ai vostri piani per Liberazione».
«Si riferisce alla sua breve conversazione con Mr Lane?».
«Esatto. Pensiamo che sia una buona idea, ma ho bisogno del suo aiuto, Mr Brown, per salvare una vita».
Le sopracciglia di Brown si alzarono e la pipa emise uno sbuffo a mo' di esclamazione. «Di che vita stiamo parlando?».
«La vita di un'amica. Faceva parte di un gruppo di resistenza, a Berlino, e ora potrebbe essere in pericolo. Due giorni fa ho visto un telegramma alla Reuters che mi ha fatto pensare che potesse essere stata arrestata».
Per un momento, Brown sembrò un medico cui è stato riferito qualcosa di terribile  e che, per quanto brutto, aveva già sentito prima. «Lei chiede un miracolo, dopodiché tutto andrà a meraviglia. È questa l'idea, Mr Weisz?».
«Forse è un miracolo per me, ma non per voi».
Brown si tolse la pipa dalla bocca e diede a Weisz una lunga occhiata. «La sua ragazza, vero?».
«Molto di più».

(http://www.midnightanimation.com/gallery/robotech/unspacy/character/flag/26rt42.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Novembre 2008, 23:00:55
Pipe in scene a tinte forti,ancora una tragedia, di ambientazione ottocentesca, sul mare

Dan Simmons

Dan Simmons è nato nella cittadina di Peoria nel 1948 e cresciuto poi in varie città e paesi del Midwest, inclusa Brimfield che sarà poi ripresa a modello per la città immaginaria "Elm Haven" che appare nei romanzi L'estate della paura e L'inverno della paura.

Dan ha conseguito un Bachelor of Arts in lettere presso il Wabash College nel 1970, vincendo tra l'altro anche un premio nazionale di gionalismo (il Phi Beta Kappa Award). I suoi studi sono poi proseguiti alla Washington University di St. Louis dove ha ottenuto un Master of Education nel 1971. Ha quindi lavorato nel settore dell'educazione elementare per molti tempo: 2 anni in Missouri, 2 anni a Buffalo e 14 anni in Colorado, dove è stato anche insegnante in una scuola destinata a ragazzi dotati di quoziente intellettivo superiore alla media.
 
La Scomparsa Dell'Erebus

Maggie dice, in un tono molto più roco di quello d'imperioso comando che Crozier ha udito in precedenza dalla ragazzina: Dottor Kane, sapete che io vi amo...
L'uomo scuote la testa. Dal comodino ha preso una pipa e ora libera da sotto la ragazza il braccio sinistro per pressare il tabacco e accenderla. Maggie, tesoro, ascolto queste parole dalla vostra boccuccia ingannevole, sento i vostri capelli ricadermi sul petto e vorrei credervi. Ma non potete elevarvi dalla vostra condizione, mia cara. Avete molti tratti che vi innalzano sopra il vostro mestiere, Maggie... siete raffinata e amabile e, con una diversa educazione, sareste stata ingenua e spontanea. Ma non siete meritevole della mia permanente attenzione, signorina Fox.
Non siete meritevole... ripete Maggie. I suoi occhi, forse il suo tratto più bello, ora che i grossi seni sono nascosti a Crozier, paiono traboccare di lacrime.


Tutti si girarono a guardarlo. Parecchi avevano risparmiato razioni di tabacco, incrementate con l'aggiunta di roba innominabile, e ora intorno al tavolo cinque o sei fumavano la pipa. La nebbiolina rendeva più fitta la penombra nel fioco tremolio delle lampade a olio di balena.

Fitzjames si stava accendendo la pipa. Aveva terminato il tabacco da molto tempo. Non volevo sapere che cosa bruciava nel fornello. «Le coperture sono state stese per riparare gli equipaggi in tutte e diciotto le barche, anche se possiamo prenderne con noi solo dieci» ha risposto piano. La maggior parte degli uomini nel campo dormiva. Guardie andavano avanti e indietro al limitare della luce della lanterna.

Fitzjames ha soffiato fumo della sua esecrabile pipa e ha annuito come se io avessi pronunciato una perla di saggezza delle Sacre Scritture. «Sì» ha detto tristemente. «I dinghy sono lunghi solo dodici piedi, contro i ventotto delle pinacce e i ventidue delle lance. Ma nessuna di quelle barche può essere attrezzata con alberi per andare a vela e hanno tutte pochi remi.

«Se prenderemo le imbarcazioni più piccole, tireremo a sorte» ha annunciato il capitano. «I posti su pinacce, iole e baleniere saranno assegnati in conformità con le squadre di traino.»
Di sicuro l'ho guardato con aria allarmata.
Fitzjames ha riso, una risata che si è mutata in rauca tosse, e ha battuto la pipa contro lo stivale per togliere la cenere. Il vento già si alzava e faceva molto freddo. Non avevo idea dell'ora, ma doveva essere passata la mezzanotte. Il buio era sceso da almeno sette ore.


Quel pomeriggio il dottor Goodsir aveva poco lavoro per lui e l'ice master era tornato a zoppicare a fianco delle ultime barche del secondo traino dell'interminabile giornata, quando piede e gamba si incastrarono fra due pietre saldamente piantate nel terreno e la gamba si spezzò in alto. Blanky rifletté che il punto della rottura e la sua insolita presenza lì quasi alla fine della marcia fossero anch'essi un segno degli dèi.
Trovò un masso lì vicino, si sedette più comodamente che poté, tirò fuori la pipa e mise nel fornello le ultime briciole di tabacco, tenute in serbo per settimane.
Quando alcuni marinai si fermarono per chiedergli che cosa facesse, Blanky disse: «Resto solo seduto per un poco, penso.

Blanky sorrise. Non un sorriso sarcastico o triste, ma uno sincero, con un po' di vero buonumore. «Farà cosa, capitano? Mi taglierà la gamba all'anca? Le parti nere e le linee rosse mi corrono su fino al culo e ai genitali, signore, con le mie scuse per una descrizione così pittoresca. E se il dottore mi operasse, quanti giorni starei disteso nella barca come il vecchio fante Heather, Dio abbia in gloria il povero disgraziato, a farmi portare in giro da uomini stanchi quanto me?» Crozier rimase in silenzio. «No» continuò Blanky, fumando con calma la pipa. «Credo sia meglio
che me ne stia qui per un poco da solo a rilassarmi e riflettere su questo e su quello. Ho avuto una buona vita. Mi piacerebbe ripensarci un poco, prima che il dolore e il puzzo diventino così forti da distrarmi.» Crozier sospirò, guardò il suo carpentiere e poi il suo ice master, sospirò di nuovo. Dalla tasca del cappotto tolse una bottiglia d'acqua. «Prendetela.»

Lì galleggiava un corpo umano, un cadavere senza testa, ancora vestito di lana blu bagnata fradicia, con braccia e gambe penzoloni nell'acqua nera. Il collo era solo un moncone. Le dita, forse enfiate dalla morte e dal liquido gelido, ma stranamente accorciate in larghi moncherini, parevano
muoversi nella corrente, salire e scendere al minimo moto d'onda, come bianchi vermi che si torcessero. Come se, privo di voce, il corpo cercasse di dirci qualcosa per mezzo del linguaggio dei segni.
Ho aiutato Ferrier e McConvey a tirare a bordo i miseri resti. I pesci o qualche predatore acquatico avevano mangiucchiato le mani (le dita mancavano delle prime due falangi), ma il freddo estremo aveva ritardato i processi di rigonfiamento e decomposizione.
Il capitano Crozier ha fatto girare la sua baleniera fino a toccare con la prua la nostra fiancata.
«Chi è?» ha borbottato un marinaio.
«È Harry Peglar» ha esclamato un altro. «Riconosco il giubbotto.»
«Harry Peglar non portava un giubbotto verde» è intervenuto un terzo.
«Sammy Crispe ce l'aveva!» ha gridato un quarto marinaio.
«Silenzio!» ha tuonato il capitano Crozier. «Dottor Goodsir, siate così gentile da svuotare le tasche del nostro sventurato compagno.»
Ho eseguito. Dalla larga tasca del giubbotto bagnato ho tolto una borsa di tabacco quasi vuota, di cuoio rosso lavorato.
«Ah, merda!» ha detto Thomas Tadman, seduto accanto a Robert Ferrier nella mia barca. «È il povero signor Reid.»
E così era. Tutti ricordavamo che la sera prima l'ice master portava solo la giacca da marinaio e il giubbotto verde, e l'avevamo visto mille volte riempirsi la pipa da quella borsa di cuoio rosso sbiadito.

Edward Couch, Robert Thomas, Charles Des Voeux, il capo stiva della Erebus Joseph Andrews e il capo coffa della Terror Thomas Farr erano ammassati nella tenda più grande, adoperata come ospedale dal dottor Goodsir. Quelli che avevano subito amputazioni, apprese Des Voeux, erano morti nei quattro giorni della sua assenza o erano stati spostati in tende più piccole, divise con altri ammalati. I cinque nella tenda quel mattino erano gli ultimi ufficiali con una certa autorità di comando rimasti in vita  almeno a Campo Soccorso e in condizioni di camminare  dell'intera spedizione John Franklin. Quattro su cinque avevano ancora un po' di tabacco (Farr non fumava) e avevano acceso la pipa. La tenda era piena di volute azzurrine.

«Non posso credere che il capitano Crozier sia morto» disse Andrews.
Quattro dei cinque uomini aspirarono più forte il fumo della pipa. Nessuno aprì bocca. Fuori della tenda si udivano discorsi riguardo alle foche, qualche risata e, oltre questo, lo scoppiettio e le esplosioni del ghiaccio che si spezzava.

«Lo so» replicò Des Voeux. Trasse un profondo respiro e quasi tossì per il fitto fumo di pipa. «Va bene. Ecco la mia prima decisione come nuovo comandante della spedizione Franklin Quando trascineremo sul ghiaccio le barche domani, ogni uomo in grado di camminare e di mettersi alle tirelle o anche solo di salire a bordo verrà con noi. Se muore per strada, decideremo allora se portare oltre il suo cadavere. Deciderò io. Ma domani mattina solo coloro in grado di arrivare alle barche lasceranno Campo Soccorso.»

Campo Soccorso pareva vuoto, a parte alcuni bassi gemiti che forse provenivano dalle tende vicine o dal vento incessante. Il solito scricchiolio di stivali sulla ghiaia, le imprecazioni a bassa voce, le grida fra le tende, gli echi di martello o di sega, l'odore di tabacco da pipa... mancavano tutti, a parte qualche rumore, debole e sempre più lontano, dalla direzione delle barche. Gli uomini se ne andavano davvero.
Thomas Jopson non sarebbe rimasto lì a morire in quel gelido buco di culo in capo al mondo di campo temporaneo.

(http://midnightanimation.com/gallery/robotech/unspacy/character/flag/rt1414.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Novembre 2008, 23:57:54
JOHN DICKSON CARR

John Dickson Carr (Uniontown, 30 novembre 1906 – Greenville, 27 febbraio 1977)
Autore di numerosi romanzi polizieschi, è considerato uno dei grandi autori dell'epoca d'oro del giallo classico ed è uno dei maggiori esponenti del cosiddetto enigma della camera chiusa.
L'autore aveva particolare abilità nel creare atmosfere e situazioni gotiche e impressionanti; degna di nota anche la sua passione per l'epoca e l'epopea Stuart. Negli anni del regno di Carlo II d'Inghilterra sono ambientati alcuni romanzi storico-polizieschi, tra cui “Il diavolo vestito di velluto” (The Devil in Velvet, 1951).
Nel 1963 gli fu conferito il premio "Grand Master" dei Mystery Writers of America e nel 1970 un Edgar Award in onore dei 40 anni di carriera.

IL CANTUCCIO DELLA STREGA


In Germania le leggende hanno la freschezza di uno scampanio, come un giocattolo mobile di Norimberga, ma questa terra inglese sembra  cosa incredibile  anche più antica delle sue torri coperte d'edera. Le campane, al crepuscolo, sembrano campane che attraversano i secoli e regna una calma nella quale camminano i fantasmi e dalla quale Robin Hood non è ancora scomparso.
Ted Rampole dette un'occhiata al suo ospite. Il dottor Fell che riempiva con la sua massa una poltrona di cuoio, stava ficcando il tabacco nella pipa e pareva riflettesse su qualcosa che la pipa gli aveva finito di dire.

Ma le api che si agitavano nel giardino assolato, la meridiana e le casette per gli uccelli, il profumo di legno vecchio e le fresche tendine, non potevano far pensare che all'Inghilterra. Le uova al prosciutto avevano un sapore qui, che non aveva mai apprezzato tanto prima; e così pure il tabacco da pipa. Questo paese non aveva quell'aria artificiale che hanno i luoghi in cui si vive soltanto durante l'estate, né tanto meno somigliava a un giardino pensile.

Tra gli alberi passò un'altra folata di vento. Quel caldo così umido lo soffocava e gli dava le vertigini; quel caldo... Spense la lampada.
Mentre scendeva dabbasso riempì la pipa e rimise in tasca la borsa del tabacco. La signora Fell stava leggendo, nel soggiorno, su una cigolante poltrona a dondolo. Rampole si diresse annaspando verso il prato. Il dottore aveva trascinato due poltrone di vimini davanti a quella parte della casa che guardava verso la prigione e che era molto buia e assai più fresca. Rampole vide brillare il fornello rosso della pipa del dottore e si diresse da
quella parte; mentre si metteva a sedere si trovò fra le mani un bicchiere freddo.

(http://www.twbooks.co.uk/authors/jpgs97/pipe.gif)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Novembre 2008, 00:02:06
Due giovani scrittrici che dimostrano di non avere le idee molto chiare in fatto di pipe,o forse si,non si capisce bene.
C'è anche Sherlock Holmes fra gli argomenti,ritorna sempre fuori,diciamo che quì non fà la sua "porca figura",dico questo perchè il linguaggio del romanzo è dei più scurrili.
Sensibili astenersi dal leggere.

KATE MOSSE

L'OTTAVO ARCANO


Laboughe sospirò, rendendosi conto che l'ispettore non aveva finito. Prese una pipa di schiuma nera dalla tasca, la batté sullo spigolo della scrivania per distribuire meglio il tabacco, quindi accese un fiammifero e tirò finché la fiamma non attecchì. Un odore penetrante e acre riempì l'ufficio.


(http://img2.timeinc.net/people/i/2007/startracks/071008/kate_moss200.jpg)




SARAH LANGAN

VIRUS


In fondo alla fila dei banchetti, trovò l'Associazione Sherlock Holmes. Non c'era una gran folla. Nessun foglio ufficiale per le firme. Niente ressa di studenti popolari che annuivano in tacito assenso vedendola avvicinarsi. Nulla di tutto ciò. Unico titolare del banchetto era una matricola dodicenne, il genio che aveva saltato due classi. Portava sulle spalle un mantello di lana scozzese, tra i denti una pipa giocattolo.
La carnagione era pallida e opaca, come se ogni sera a letto si ingozzasse di burro di arachidi Superchunck Skippy, mangiandolo con le dita direttamente dal barattolo. Le fissò a lungo le tette, così lei le nascose incrociando le braccia. Lui non smise di guardare, risultandole subito odioso, perché solo i ragazzi più fighi potevano notarle il profilo dei capezzoli,
così che quella vista li incantasse al punto da dichiarare seduta stante che la amavano al punto di essere disposti a uccidere per lei. A morire, o quantomeno a offrirle un hamburger.
La matricola secchione masticava il bocchino della pipa finta che probabilmente gli avevano regalato i suoi come souvenir della riserva indiana di Penobscot Island. «Ci servono tre persone per formare un club altrimenti la scuola non ci assegna un docente» disse. Poi le allungò il foglio delle firme come le stesse facendo un favore. Come non la considerasse abbastanza intelligente da risolvere un mistero di Sherlock Holmes, ma d'altra parte, cosa vuoi farci, gli serviva un nome per il quorum.
«Fottiti, matricola» sarebbe riuscita a dirgli dieci minuti dopo, ma al momento riuscì solo a balbettare: «Mi sono sbagliata, pensavo fosse il banchetto cheerleader», e si allontanò.
Sulla pista di atletica, aprì il lucchetto della bici da uomo arrugginita che suo padre aveva recuperato per lei dalla discarica quand'era bambina. Ormai era troppo piccola, e le ginocchia le sbattevano sul manubrio quando pedalava. Non c'era nessun altro in giro. Tutti gli altri studenti di Corpus Christi erano dentro la scuola a divertirsi. Persino la squadra di football aveva annullato gli allenamenti per la giornata dei club. Anzi, in quel momento ridevano tutti di come era scappata fuori dalla palestra. Uscita lei, era iniziata la festa. Avevano tirato fuori la birra alla spina, le luci si erano spente, e avevano tutti cominciato a pomiciare. La matricola secchione serviva a metterla alla prova. L'Associazione Ammiratori di Sherlock Holmes era davvero una società segreta di studenti popolari, solo che per farti ammettere dovevi infilare in culo alla matricola la sua pipa giocattolo. Letteralmente.

(http://www.horroraward.org/images/rain.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Dicembre 2008, 22:49:56
L'attimo di calma con la pipa accesa,poi......

Carl Jacobi
RIVELAZIONI IN NERO


Mi sono seduto tra il pesce sorridente e gli unicorni al galoppo, e mi sono innamorato follemente della perla. Il passato si è dissolto in vacuità e...»
Posai il libro e rimasi seduto a guardare gli anelli di fumo della mia pipa fluttuare verso il soffitto. Lo scritto proseguiva, ma non riuscivo ad attribuirgli il minimo significato. Era tutto in quello stile strano e assolutamente incomprensibile. Eppure avevo l'impressione che quello scritto fosse qualcosa di più dei vaneggiamenti di un folle.
Mi avvicinai alla finestra, scostai la tenda e rimasi lì, fumando convulsamente. Devo dire che abitudini regolari hanno sempre fatto parte della mia natura. Non sono dedito a vagabondaggi notturni o a tortuosi itinerari destinati a ingannare l'insonnia; ma in quel momento, abbastanza stranamente, con le pagine del libro ancora in mente, sperimentai d'improvviso un'indefinibile smania di lasciare il mio appartamento e di camminare per le strade buie.
Misuravo nervosamente la stanza. L'orologio sulla mensola del camino emetteva il suo lento, incalzante ticchettio nella quiete dell'appartamento. Alla fine gettai la pipa sul tavolo, presi cappello e soprabito e infilai la porta.

Peter Coleborn
L'ESUMAZIONE


Stirland prese la lista, e la lasciò cadere indietro sulla scrivania. «Ci sono così tante contraddizioni, Max. Dio sa cosa riferirò al Magistrato.»
Il Dr. Stirland riposava nella sua poltrona di pelle nera, con gli occhi socchiusi e tirava boccate dalla pipa. Il fumo del tabacco si alzava pigramente, accarezzando il suo viso, verso il soffitto.
Attraverso la sottile nebbia blu, da sotto le pesanti palpebre, egli guardava l'occhio che galleggiava dentro un vasetto di formalina. L'occhio, aveva deciso, apparteneva alla più anziana delle vittime della bomba.

FRANCIS DURBRIDGE
...DAI NEMICI MI GUARDO IO


Ascoltavo tranquillo la storia, mentre George mi guardava imbarazzato prima di cominciare a grattare e a soffiare rumorosamente nella pipa. Lo sguardo di Laura era chiaramente sospettoso. E neppure io gli credevo, ma forse era meglio fingere di credergli. Sempre armeggiando intorno alla pipa, che aveva ormai riempito e cominciava ad accendere, George proseguì: «Be'...» puffpuff... «pensavo che volessi riferirlo» puffpuff, e il fiammifero si spense «dannazione, che volessi insomma accennare il fatto all'ispettore.»
Laura intervenne prima di me, nonostante tentassi di farla tacere con un cenno. Con voce tagliente come la lama di un rasoio disse: «Perché non ci andate voi dall'ispettore?»
Il viso di George scomparve dietro una nuvola di fumo con l'aiuto di un altro fiammifero. «Non sono affari miei, signorina. Bisogna essere pruden
ti, segreto professionale, sapete. Dopo tutto, la signora è sempre una mia paziente.»


(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/e9/Still_Life_Drawing_Board.jpg/350px-Still_Life_Drawing_Board.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Dicembre 2008, 12:05:46
Joe R. Lansdale

Tenuta per i capelli

Dal giorno in cui furono tirate le tende e la protezione fu montata, io sedetti davanti alla mia macchina da scrivere, e lui, Howard Machen, si sedette con il suo libro e la sua pipa a riempire la stanza di fumo grigio come la sua barba. A volte si alzava e scendeva di sotto, ma sempre in modo silenzioso per non disturbare il mio lavoro.
Era una vita piacevole, ed era perfetta per noi. La mattina prendevamo il caffè fuori, nel piazzale del faro, e scambiavamo qualche parola. Poi io tornavo al mio lavoro e lui al suo libro, ed a cena mangiavamo e prendevamo un brandy insieme; a volte uno, a volte due, a seconda dell’umore della serata.
A volte parliamo del faro e lui mi raccontava dei vecchi tempi, di come aveva illuminato il mare per anni per guidare le navi, facendo sì che seguissero la luce come Teseo seguiva il filo di Arianna.
 Era bello  disse.  Era una bella luce. Il miglior lavoro che abbia mai avuto. Non potevo andarmene quando tutto finì, così ho comprato il faro.
 È bellissimo qui, ma a volte molto solitario.
 Ma ho la mia bella compagnia.
Lo presi come un complimento, e buttammo giù un altro brandy. Così sfumò l’idea di rimettermi a scrivere dopo cena. Avevo scritto belle pagine, comunque, quel giorno e quindi potevo spendere un po’ di tempo a chiacchierare e sognare.
 Dici che questo è stato il tuo miglior lavoro  gli chiesi come inizio di conversazione.
 Cosa facevi prima?
Alzò la testa e mi guardò attraverso il fumo della sua pipa.  Un sacco di belle cose. Sono nato in Galles, trasferito poi in Irlanda con la famiglia ed infine venni a lavorare qui. Ho imparato a fare il falegname da mio padre, ed in seguito a fare il sarto. Anche il muratore  noterai che queste camere le ho costruite con le mie mani  e sono stato anche costruttore di barche e ventriloquo in uno spettacolo di magia.


Fu una mattina piena di sole, senza foschia né nebbia. Il mare accarezzava delicatamente le rocce alla base del faro.
Io uscii per il caffè mattutino. Lo spiazzale davanti al faro era abbastanza sicuro, ma non era consigliabile arrivare al bordo quand’era bagnato. Machen mi aveva detto che una volta un tizio si ritrovò in un batter d’occhio spiaccicato sugli scogli.
Machen arrivò con una tazza di caffè in mano, la sua pipa nell’altra. Sembrava smunto quella mattina, come se la vecchiaia l’avesse colpito all’improvviso durante la notte, portandogli via un po’ della sua sostanza.
 ’Giorno  dissi.
 ’Giorno  si riempì la tazza e caricò la pipa.
 Dormito male?  chiesi.
Mi guardò, poi guardò la pipa mentre finiva di caricarla. Fece tutto lentamente, poi l’accese. Sbuffò un po’ di fumo prima di rispondermi:  Non molto bene, non molto bene.


L’uomo dalle due vite


I bambini corsero dentro insieme a lui, che li guardava con orgoglio. Seguendoli dentro, si sedette a tavola, posando il suo cappello sul pomello della sedia. Suo genero, Bob, era già a tavola e stava dicendo:  Ciao, papà. C’è il tuo piatto preferito, oggi: purè.
 Passamelo, allora  disse il vecchio facendo l’occhiolino.
Dopo cena, mentre June lavava i piatti e Bob dava da mangiare alle galline sul retro, lui si sedette in veranda a fumare la pipa. Il fresco della sera era confortevole, dopo il caldo della giornata.
Uscirono i nipotini ad annusare l’odore di pipa. La piccola Lottie si arrampicò sulle sue gambe per sederglisi in braccio.
 Rimani stanotte, nonno?  chiese Jimmy.
 Penso di sì.
Da qualche parte, non lontano, esplosero i fuochi d’artificio per festeggiare il quattro di luglio. Sembravano colpi di pistola, e per un momento il vecchio tornò indietro a i vecchi tempi, quando sentiva suonare le proprie pistole.
Sì, a volte preferiva esser morto quel giorno al Ten Spot saloon.
 Ti voio bene, nono  disse la piccola Lottie.

(http://pipedia.org/images/thumb/4/4a/BBB_04.jpg/225px-BBB_04.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Dicembre 2008, 12:12:26
Senza tabacco,senza una pipa,ma all'inferno nessuno fuma.

Un capolavoro. Senza dubbio il miglior film di Tornatore, ed uno dei migliori film italiani degli ultimi quindici anni. Troppo claustrofobico per avere un minimo di successo e troppo particolare per essere veramente apprezzato, ma non c'è un solo momento di rilassamento per tutta la durata di questo bel noir.

Giuseppe Tornatore
Una pura formalità


Dall’esterno giunge l’eco del temporale. L’uomo sembra rassegnarsi, si stringe la coperta intorno alle spalle, poi, sicuro che non gli si potrà rifiutare una richiesta così piccola...
ONOFF: Posso avere una sigaretta?

2° POLIZIOTTO: (agli altri) Trovategli una sigaretta.
Il giovane poliziotto sembra sorpreso per quell’ordine quasi perentorio...
GIOVANE POLIZIOTTO: Capitano, io non ho mai fumato...
3° POLIZIOTTO: Neanche io.
L’uomo fissa i loro volti con disappunto. Poi fa un gesto tranquillo.
ONOFF: Il commissario fuma, spero. Un commissario fuma sempre. Un commissario fuma la pipa... Un commissario mastica un sigaro.

2° POLIZIOTTO: Mi dispiace deluderla, ma non fuma neanche il commissario...
L’uomo accusa il colpo. Sospira.
L’inserviente rientra dal fondo del corridoio. Regge tra le mani una scodella fumante. La porge all’uomo.
INSERVIENTE: Bevi questo, ti farà bene... Dài... Bevi... È caldo, bevi...
L’uomo resta immobile. L’inserviente, gentilissimo, gli avvicina ancora di più la tazza, come a rinnovare l’invito. Gliela mette proprio sotto gli occhi.
ONOFF: È latte.
INSERVIENTE: Sì, è latte caldo. Ti fa bene... Dài... Bevi... Bevi.
L’uomo lo fissa con odio, poi, in un’improvvisa esplosione di collera, gli strappa la scodella dalle mani e gli lancia il latte in faccia.
La scodella cade a terra frantumandosi. Il 3° agente si alza di colpo.
L’anziano inserviente è rimasto inerme. Il latte gli scivola sul volto offeso e umiliato.
Istintivamente il 2° poliziotto colpisce l’uomo con un manrovescio.
2° POLIZIOTTO: Pezzo di merda!
L’uomo scatta in piedi furioso, stringe i pugni, pronto a colpire, ma già anche gli altri gli sono addosso, cercano di tenerlo fermo sotto gli occhi impauriti del vecchio.
L’uomo si dimena come una bestia in trappola, con una forza che gli agenti non riescono a contenere, li colpisce come può, cerca di andare verso la porta, in un impulso di fuga.
I poliziotti riescono a stenderlo sul pavimento, gli piegano le braccia dietro la schiena, gli stringono le gambe una contro l’altra, finalmente lo immobilizzano.

(http://img236.imageshack.us/img236/3715/theyrememberedmeel2.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Dicembre 2008, 12:15:46
EDGAR A. POE

L'INCOMPARABILE AVVENTURA DI UN CERTO HANS PFAALL

La causa di quel tumulto fu ben presto manifesta. Di dietro alla vasta mole di uno di quei nuvoloni nitidamente profilati, si vide spuntare in un aperto spazio d'azzurro una strana cosa eterogenea, solida in apparenza, e così curiosa di forma, così fantasticamente configurata, che la folla di quei ben piantati cittadini i quali di sotto l'osservavano a bocca aperta, non si stancava, pur senza capirne nulla, di ammirarla. Che poteva essere mai? In nome di tutti i diavoli di Rotterdam, che poteva mai significare? Nessuno lo sapeva, nessuno riusciva a indovinarlo; nessuno, nemmeno il borgomastro Mynheer Superbus Von Underduk, si trovava in possesso del più piccolo indizio per chiarire il mistero; dimodoché, non avendo nulla di meglio da fare, si rimisero tutti, non uno eccettuato, la pipa in bocca, e, senza lasciare di tener d'occhio il fenomeno, buttarono fuori una boccata di fumo, si fermarono, si dondolarono da destra a sinistra, poi da sinistra a destra, borbottaron qualcosa, e tornarono a buttare una boccata di fumo.
L'oggetto di tanta curiosità e di tanto fumo scendeva frattanto sempre più, e in pochi minuti si trovò vicino abbastanza per esser distinto con precisione. Sembrava, anzi certamente era, una specie di pallone, ma un pallone come non se n'erano mai visti di uguali fino allora a Rotterdam. Perché, domando e dico, chi ha mai sentito parlare di un pallone interamente confezionato di vecchi giornali sporchi? In Olanda, nessuno di certo. Eppure, sotto al naso di quella folla, o meglio a una certa distanza sopra quel naso, c'era proprio la cosa in questione fatta per l'appunto della suddetta materia, di cui nessuno aveva mai sentito dire che potesse venire adoperata per un simile scopo.

Disceso, come ho detto, a cento piedi circa dalla terra, il vecchietto venne improvvisamente colto da una grande agitazione, e non parve disposto ad avvicinarsi di più. Per cui, buttata giù una certa quantità di sabbia, da un sacco che sollevò a fatica, si fermò dov'era. Sempre agitatissimo si affrettò quindi a tirar fuori dalla tasca del soprabito un portafoglio di pelle, che soppesò nella mano con fare sospettoso e, come stupito del suo peso, esaminò con aria di sorpresa estrema. Infine si decise ad aprirlo e ne estrasse una grande lettera sigillata in rosso e legata con nastro rosso che lasciò cadere esattamente ai piedi del borgomastro Superbus von Underduk. Sua Eccellenza si chinò a raccoglierla. Ma l'aeronauta, sempre molto inquieto, e non avendo, a quanto pareva, da sbrigare altro a Rotterdam, già si apparecchiava alla partenza; e siccome, per tornare ad innalzarsi, bisognava scaricasse ancora della zavorra, buttò giù l'uno dopo l'altro, senza darsi la pena di vuotarli, una mezza dozzina di sacchi che caddero tutti sulla schiena del povero borgomastro facendogli fare una mezza dozzina di capriole al cospetto dell'intera cittadinanza di Rotterdam. Non è da supporre che il grande Underduk lasciasse impunita l'impertinenza del vecchietto. Si dice, anzi, che ad ognuna delle sei capriole egli emettesse non meno di sei ben visibili ed energiche boccate di fumo dalla pipa che teneva, con tutta la propria forza, stretta fra i denti, intenzionatissimo a tenersela stretta così, a Dio piacendo, sino al giorno della sua morte.

Si dice che, a lettura finita di questo straordinario documento, il professor Rubadub lasciasse cadere la pipa a terra per la sorpresa e Mynheer Superbus Von Underduk, toltisi, ripuliti e messisi in tasca gli occhiali, si dimenticasse di sé e della propria dignità al punto di roteare tre volte sui tacchi, nel parossismo dello stupore e dell'ammirazione. La grazia sarebbe stata accordata; non c'era da dubitarne. Lo giurò, almeno, e con una solenne bestemmia, il professor Rubadub, e tale fu anche l'opinione dell'illustre Von Underduk che, a braccetto del suo confratello scienziato, si diresse in silenzio verso casa per decidere intorno al da farsi. Ma giunti sulla porta di casa del borgomastro il professore rilevò che data la scomparsa del messaggero, per certo atterrito dal selvaggio aspetto dei borghesi di Rotterdam, il perdono non avrebbe servito a nulla poiché nessuno che non fosse un abitante della luna poteva intraprendere un viaggio tanto lungo.



(http://img176.imageshack.us/img176/8579/142pip15e118dzy6.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Dicembre 2008, 11:31:30
La mitezza del fumatore di pipa è proverbiale,specialmente quelli che fumano in schiume molto elaborate......

Sicurezza prima di tutto

Alan Dean Foster


- Ecco, signor Merwin, da quello che posso vedere direi che almeno il motore è in condizioni eccellenti, sì, eccellenti! Volete che la rifornisca per bene?
Frank annuì in silenzio. Non era per niente sorpreso dalla rapida ispezione del motore. Dopo tutto, la J.J. aveva usufruito delle migliori cure professionali, e di una buona dose del suo lavoro, fin da quando l’aveva acquistata. Hector non alzò lo sguardo, mentre toglieva il pannello protettivo del cannoncino destro calibro 70.
- Posso chiedervi che tragitto farete?
Frank aveva tirato fuori la pipa di schiuma e la stava riempiendo.
- Hmm. Prenderò per Burbank fino all’autostrada, e mi immetterò lì. Farei un po’ prima per Ventura, ma in un viaggio così lungo qualche minuto in più o in meno non fa molta differenza, e non vedo l’utilità di affrontare lo svincolo.
Hector annuì con aria dì approvazione. - Giusto. Sapete, signor Merwin, dovrete affrontare due tratti molto brutti. Ho letto... di vostro figlio. Mi dispiace. La jornada de la muerte viene per tutti, prima o poi.
Frank si fermò, mentre accendeva la pipa. - Non c’è stato niente da fare - disse seccamente. - Bob non si rendeva conto di quello a cui andava incontro, ecco tutto. La colpa è anche mia, ma cosa potevo fare? Aveva diciotto anni, e secondo la legge non avevo il diritto di trattenerlo. Ha voluto fare una cosa troppo grande per lui, ecco tutto.
Uno degli assistenti di Hector, sporco di grasso come il suo capo, aveva portato un carrello con le munizioni. Il meccanico gli fece cenno di andarsene, e cominciò lui stesso a caricare. Frank apprezzò il gesto.
- Era una Cad, vero?
- Sì. - Si era chinato alle spalle del meccanico, per seguire meglio il procedimento. Non si sa mai cosa capita di fare da soli sulla strada. - Cosa mi date, proiettili esplosivi o corazzati?
- Misti. - Hector abbassò il coperchio del caricatore che si chiuse con un colpo secco.

(http://thenonist.com/images/uploads/meerchm14.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Dicembre 2008, 11:38:56
Dove si parla di venature orientate, di finiture a cera.....

La ragazza di campagna

Algis Budrys



Così Henry gli parlò della venatura. Gli mostrò come catturarne il verso giusto nella forma del legno... come farla risaltare e come nasconderla. Gli parlò delle operazioni di finitura, gli spiegò come bisognava trattare il legno perché essiccando non si riempisse di crepe. Gli disse che il legno era vivo anche dopo essere stato tagliato dalla pianta, e che era necessario sapere come si dilatava e si restringeva.
E quando Billy gli chiese se poteva usare il pezzo di mogano, con la promessa di rimpiazzarlo, Henry acconsentì.
Dorothy entrò nel salotto. - Henry?
- Sì? - Henry vuotò la cenere della pipa sul palmo, poi nel cestino.
- Henry, guarda.
Lui sbuffò e alzò lo sguardo. Dorothy aveva in mano una forma di legno. - Me l’ha data Billy.
Altro sbuffo. - Vediamo. - Dorothy gli porse l’oggetto.
Dava una sensazione piacevole al tatto. Era una forma complicata che sembrava girare da sola tra le sue mani. Emanava il caldo luccichio ambrato del mogano lucidato con cera vergine. Le venature compatte scorrevano in lunghe fasce su una superficie, affiorando di colpo sotto un’altra. Henry posò la forma sul tavolo, sotto la lampada, la fece ruotare lentamente, e dalla forma e dai giochi di luce mutevoli non riuscì a capire qual era il punto da cui era partito. Sembrava che l’oggetto si trasformasse di continuo, sembrava di assistere a un fluire interminabile.
Henry si drizzò lentamente. - Niente male - commentò. - Il ragazzo ha dei numeri.

(http://www.bollitopipe.it/bollito/custom/html/ita/dunhill4.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Dicembre 2008, 11:46:12
Conferma che i fumatori di pipa sono adoratori del fuoco...

Fahrenheit 451

Ray Bradbury



«Un'auto con la Fenice si è appena fermata davanti alla nostra porta e un
uomo in camicia nera con un serpente arancione cucito sul braccio sta
venendo su per il vialetto del giardino.»
«È il capitano Beatty?»
«Il capitano Beatty, precisamente.»
Montag non si mosse, ma rimase a fissare il freddo candore della parete
che aveva di fronte.
«Corri ad aprirgli, per piacere! Digli che sto male.»
«Diglielo tu!» Mildred s'era messa a passeggiare per la stanza, pochi
passi a sinistra, pochi passi a destra, e a un tratto si fermò, gli occhi
sbarrati, quando l'altoparlante dell'ingresso pronunciò il suo nome,
dolcemente, sommessamente, "Signora Montag, Signora Montag, visite, ci
sono visite, Signora Montag, Signora Montag, ci sono visite, ci sono
visite". Fino a svanire del tutto.
Montag si accertò che il volume fosse nascosto bene sotto il cuscino,
ritornò di nuovo, faticosamente, a letto, si dispose le coperte sulle
ginocchia e sul petto, in posizione semiseduta, e dopo qualche istante
Mildred si decise ad uscire dalla stanza, e infine il capitano Beatty entrò a
passo disinvolto, le mani in tasca.
«Facciamo tacere i "parenti"» disse Beatty, guardando intorno ogni cosa,
meno Montag e sua moglie.
Questa volta, Mildred corse. Le voci cicalanti cessarono di berciare in
salotto.
Il capitano Beatty sedette nella poltrona più comoda con un'espressione
serena sul volto acceso. Gli occorse un certo tempo per preparare ed
accendere la pipa e infine alitare una gran nube di fumo.
«Avevo pensato, appunto, di venire a vedere come stesse il malato.»
«Come hai fatto a indovinare?»
Beatty sorrise il suo sorriso che metteva in mostra il rosa caramelloso
delle gengive e il candore alla menta dei denti.
«M'ero già accorto del tuo stato d'animo. Stavi per chiedere una notte di
permesso. Non è così?»
Montag si rizzò a sedere del tutto sul letto.
«Ebbene» riprese Beatty, «prenditi pure una notte di permesso!»
Osservò la sua eterna scatola di fiammiferi, sul coperchio della quale era
scritto a grossi caratteri: Garantito: un milione di accensioni in questa
scatola, e cominciò a stropicciare distrattamente il fiammifero chimico,
una strofinata, una boccata di fumo, una strofinata, due o tre parole, una
boccata di fumo. Guardò la fiamma. Alitò il fumo, guardò la nube.
«Quando credi di poter star bene di nuovo?»
«Domani. O dopodomani. Lunedì, forse.»
Beatty continuò a fumare la pipa a grandi boccate.
«Non c'è milite del fuoco che, prima o poi, non passi questa crisi. Hanno
soltanto bisogno di capire, di sapere come funzioni il meccanismo. Occorre
loro conoscere la storia della nostra professione. Non la si insegna più alle
nostre reclute, come si faceva un tempo. Una vera vergogna!» Un'altra
boccata. «Ormai, soltanto i capi della milizia del fuoco ricordano certe
cose.» Una boccata di fumo. «Te ne parlerò io.»
Mildred si mise a rassettare la stanza con un certo nervosismo.
Beatty impiegò un intero minuto ad accomodarsi meglio nella poltrona e
a riassumere mentalmente quanto voleva dire.
«Ah» Beatty si sporse in avanti, nella nebbia fumosa esalata dalla pipa.
«È la cosa più logicamente conseguente, che diamine! A misura che le
scuole mettevano in circolazione un numero crescente di corridori,
saltatori, calderai, malversatori, truffatori, aviatori e nuotatori, invece di
professori, critici, dotti e artisti, naturalmente il termine "intellettuale"
divenne la parolaccia che meritava di diventare. Si teme sempre ciò che
non ci è familiare.
Beatty batté la pipa nel palmo della mano rosea, osservò la cenere come
se fosse un simbolo da studiarsi per diagnosticarne un significato riposto.
«Devi ricordarti che la nostra civiltà è così vasta che non possiamo
permettere alle nostre minoranze di essere in uno stato di turbamento e
agitazione.
«La gente di colore non ama Little Blark Sambo. Diamolo alle fiamme. I
bianchi si sentono a disagio nei riguardi della Capanna dello Zio Tom.
Diamo anche quello alle fiamme. Qualcuno ha scritto un libro sul tabacco e
il cancro dei polmoni? I fabbricanti e i fumatori di sigarette piangono? Alle
fiamme il libro! Serenità, Montag. Pace, Montag. Le tue battaglie
combattile in sordina. Meglio ancora, buttale nel forno crematorio. I
funerali sono dolorosi e pagani? Annulliamo anche i riti funebri. Cinque
minuti dopo la sua morte, un individuo è già a bordo d'uno degli elicotteri
per il servizio rapido di trasporto delle salme ai crematoi di tutta la
nazione. Dieci minuti dopo la sua morte, lo stesso individuo non è che un
granello di polvere nera, un frammento di fuliggine. E non stiamo a
perderci in chiacchiere sugli uomini la cui fama va eternata nei servizi
funebri. Non ci pensiamo nemmeno! Bruciamo tutto, bruciamo ogni cosa!
Il fuoco è luce e soprattutto è purificazione!»


Lasciamo al milite il libro per ventiquattr'ore. Se in capo a ventiquattr'ore
non lo ha bruciato, noi semplicemente ci rechiamo a casa sua a
bruciarglielo noi.»
«Naturalmente» disse Montag, la gola secca.
«Bene, Montag. Allora, vuoi, per oggi, prendere servizio con una delle
squadre dell'ultimo turno? Ti vedremo probabilmente stasera?»
«Non so» disse Montag.
«Come?!» Beatty parve lievemente sorpreso.
Montag chiuse gli occhi.
«Verrò più tardi. Forse.»
«Ti assicuro che ci mancheresti, se non ti dovessi far vedere» disse
Beatty, mettendosi la pipa in tasca con aria distratta.
"Non tornerò mai più in vita mia" pensò Montag.
«Abbiti cura e rimettiti al più presto» disse Beatty.

(http://www.centroarte.com/images/depis/Natura%20morta%20con%20pipa%20e%20libri.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 21 Dicembre 2008, 17:17:02
CURZIO MALAPARTE, "Santo come me"

E un giono, quando fosse suonata anche per me l'ora di salire in cielo, salirei tranquillamente in Paradiso. Alla pratese s'intende: col cappello sulla nuca, le mani in tasca, la pipa in bocca, tra gli applausi di tutto il popolo di Prato. Salirei in cielo come un vero Santo toscano: Sorridendo.
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Dicembre 2008, 13:10:52
Michael Moorcock
Londra, 18 dicembre 1939
 E' un prolifico scrittore britannico sia di fantascienza che di fantasy; ha inoltre pubblicato un certo numero di romanzi letterari.
Moorcock anche collaborato con il gruppo rock britannico Hawkwind in molte occasioni: il brano degli Hawkwind "The Black Corridor", ad esempio, include citazioni letterare dall'omonimo romanzo di Moorcock, e ha anche lavorato con il gruppo sul loro album Warrior on the Edge of Time. Ha anche composto il testo della canzone per "Sonic Attack", una presa giro, in chiave fantascientifica, del programma d'informazione pubblico, che era parte di Space Ritual.

Ha anche collaborato con il precedente uomo di punta degli Hawkwind e poeta, Robert Calvert (che diede l'agghiacciante declamazione di "Sonic Attack"), negli album di Calvert Lucky Leif and the Longships e Hype.

Nel 1975 fu pubblicato l'album The New Worlds Fair di "Michael Moorcock and the Deep Fix", che comprendeva un numero di membri regolari di Hawkwind nei crediti. Una seconda versione dell'album "Roller Coaster Holiday" fu distribuita nel 2004. ("The Deep Fix" era il titolo della storia di un'oscura collezione di racconti di "James Colvin" pubblicata negli anni '60).

Moorcock scrisse i testi delle canzoni per tre brani dell'album del gruppo americano Blue Öyster Cult, "Black Blade", che fa riferimento alla spada Stormbringer nei libri di Elric, "Veteran Of The Psychic Wars", che mostra le emozioni di Elric in un momento critico della sua storia (quest storia si può anche riferire a "Warriors at the Edge of Time", che rappresenta fortemente i romanzi di Moorcock su John Daker; ad un certo punto del suo romanzo "The Dragon in the Sword" si definiscono "veterans of a thousand psychic wars"), e "The Great Sun Jester", a proposito del suo amico, il poeta Bill Butler, che morì per un'overdose di droga. Moorcock si è anche esibito dal vivo con i BÖC (nel 1987 ad Atlanta, GA, Dragon Con Convention) e con gli Hawkwind.

In Italia,famosi per l'interesse che da sempre mostrano verso i romanzi di Moorcock (al punto tale da ispirarsi ad essi per la composizione di molti loro album) sono i metallers Domine,da sempre considerati formazione di punta nel genere Power metal mondiale.

Moorcock è anche un amico e fan dello scrittore di fumetti Alan Moore, e permise a Moore l'uso di parecchi dei suoi personaggi registrati in La Lega degli Straordinari Gentlemen (The League of Extraordinary Gentlemen) di Moore. Moore per ricambiare la gentilezza lo invita a scrivere due numeri del suo Tom Strong.

IL FIUME DELL’ETERNITÀ


Poi si trovò a seguire il vascello lungo il fiume, con la brezza notturna a suo favore. Sentiva la voce acuta della madre che gli urlava dietro, mentre la bruma oscurava la città e alla fine la banchina. Non poteva vederla. Senza volerlo gridò: «Addio Mamma!» e poi desiderò di essere rimasto zitto.
«Jephraim, Jephraim!» Gracchiò la signora Tallow. «Dove stai andando?»
Tallow dovette ammettere a se stesso che non lo sapeva. Forse si sarebbe reso conto delle sue ragioni più tardi, ma ora la sola cosa sulla quale concentrarsi era mantenere una rotta diritta sulle tracce del vascello.
Accendendo la pipa con le mani che tremavano al ritmo del suo cuore, alzò il bavero della giacca per proteggersi dal freddo. Se lo sollevò attorno alle orecchie per soffocare qualunque suono che potesse distrarlo.

Zhist fece cenno a Tallow di accovacciarsi accanto a lui . Stava fumando una grossa pipa. Mostrò una borsa di tabacco a Tallow che accettò e riempì la propria pipa di una sostanza spessa e ruvida. La accese e il fumo ribollì nella sua gola. Tossì, con tutto il corpo che tremava quando il fumo raggiunse i suoi polmoni.
«Ovviamente non sei abituato alla nostra miscela della foresta,» sorrise Zhist.
«No,» disse Tallow rassicurato dai modi amichevoli di Zhist.

Zhist si appoggiò allo schienale della sedia aspirando la pipa con aria di soddisfazione. «Ti farò dare un alloggio e un’arma».
Tallow non aspirava affatto ad avere un’arma. Non aveva alcuna esperienza di armi da fuoco ma non fece obiezioni quando Zhist lo condusse fuori prese una carabina e gliela porse.


Tallow entrò nella stanza. Era molto più piccola della sala che aveva appena lasciata ma quasi altrettanto nuda. Salvo per uno schedario accanto a una finestra su un cortile, una scrivania e una sedia, non aveva altri mobili.
Un giovane elegante con il volto mite era seduto sul bordo della scrivania e si stava accendendo una pipa dal lungo cannello. Alzò un sopracciglio quando vide Tallow e guardò fisso il piccoletto con affettato divertimento. «Che posso fare per lei signore?» chiese in tono indolente.
«È lei il segretario del Presidente?» Tallow si sentiva sempre più inquieto.
«Lo sono».
«Ho un biglietto per lei».
Il languido segretario allungò la mano e Tallow vi depose la lettera.
Deponendo la pipa con cura in uno stretto portacenere oblungo, il segretario spazzolò la sua uniforme immacolata con dita delicate e spiegò il foglio. Lo studiò per qualche momento, lo ripiegò, lo piazzò sulla scrivania e vi mise sopra un pesante fermacarte d’oro.


(http://www.fantascienza.com/magazine/imgbank/NEWS/moorcock.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Dicembre 2008, 13:25:44
Molly Zero

Keith Roberts


L’uomo si alza e va a un tavolino a prendere una pipa e la borsa del tabacco.
Riempie il fornello con aria assente, premendo il tabacco col pollice. — Cosa vuol
dire ne abbiamo avuto abbastanza? Abbastanza di che?
— Di tutto. Sappiamo quello che Loro hanno fatto. La gente che comanda in
questo paese. La gente che ci sorveglia di continuo. Siamo i loro schiavi!
L’uomo prende uno stecco e lo accende alla stufa. Sbuffa una nuvola di fumo
dolciastro. — Molly — chiede poi — quanto sei alta?
Non capisci perché te lo chieda, ma rispondi: — Uno e sessantacinque. Perché?
Lui annuisce e dice: — E tu, giovanotto, superi il metro e ottanta. Siete due giovani
sani e robusti. — Si appoggia allo schienale della seggiola. — Ditemi, adesso... e
pensateci bene. Vi è mai mancato qualcosa da quando siete nati? Fino a ieri sapevate
cosa significhi veramente essere affamati? O aver freddo? Vi è mai stato rifiutato
qualcosa che desideravate? Su, pensateci, e poi ditemelo.
Voi non rispondete e lui alza le spalle. — Non è poi una gran brutta schiavitù, vi
pare? Io stesso ci metterei la firma.
— Siete dalla Loro parte — sbotta Paul.
L’uomo allarga le mani e dice. — Parti, parti. Queste cose non esistono più da
molto tempo. E voi non mi avete ancora risposto. Cosa vi hanno fatto Loro, come li
chiamate voi? Che male vi hanno fatto?
— Hanno portato via i nostri amici! Li hanno uccisi!
L’uomo si toglie la pipa di bocca e dice con dolcezza: — Ne siete proprio
convinti?

Naturalmente sarete
puniti perché quello che avete fatto è male. Ma non sarà una cosa grave, posso
assicurarvelo. E ora, cosa dite? Dammi il fucile. Sarà un punto a tuo favore.
Non sapevi che Paul potesse essere così svelto. La sedia si rovescia, e un attimo
dopo lui è sulla soglia e punta lo Stirling. — So quello che cercate di fare. Siete una
sporca spia. Ma non ci prenderete. — Ti lancia una rapida occhiata e dice: — Molly,
vieni qui. Fai il giro stando vicino al muro. Non passare davanti a me.
Fai come ti ha detto e lui dice: — Bene. Apri la porta.
L’uomo non si è mosso. Resta seduto con la pipa in mano e sorride. Dice: —
Perché tanta fretta? Prendete almeno qualche panino. — Ma gli occhi di Paul
mandano fiamme. — Non cercate di fermarci — dice. — Non seguiteci. Se tenterete
di farlo ve ne pentirete.

L’uomo barbuto resta immobile per un po’. Poi scuote la testa senza smettere di
sorridere. Si alza, si infila in bocca la pipa e comincia metodicamente a sparecchiare
e a lavare le stoviglie.

(http://www.reprodart.com/kunst/numa_donze/selbstbildnis_pfeife_hi.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2009, 11:03:27
Ancora Moorckock

MICHAEL MOORCOCK

LA VENDETTA DELLA ROSA


Il grosso portone stinto era chiuso, ma seduto su uno sgabello  o meglio spaparanzato, con le gambe allargate, un largo cappello verde inclinato, una pipa di legno bianco stretta fra le labbra dure e i pollici ficcati nella cintura  c'era un vecchietto segaligno dall'aria così cupa e malinconica che Elric esitò a chiedergli se erano arrivati nel posto giusto, per timore di disturbarlo.
«Il posto che cercate l'avete dinnanzi alla faccia, forestieri» gli rispose il vecchio. «E potete ringraziarne la munificenza del Grande Guardiano, il nostro signore. È per chiedere l'elemosina che siete qui? A mio avviso, però, a certi individui serve soprattutto un buon consiglio, sempreché siano disposti a seguirlo!»
«Ospitalità, messere, se è questa che qui viene offerta» disse Wheldrake, accigliandosi. «Ospitalità. Non credo di avere l'aspetto di un «individuo» uso a chiedere l'elemosina!» precisò, mentre la sua faccia lentigginosa diventava rossa quasi quanto i capelli.
«Poco importa con quale parola chiamate la cosa che siete venuti a cercare, forestieri» disse il vecchio, alzandosi in piedi. «Io la chiamo col suo nome... elemosina!» Tolse la pipa dalla bocca sdentata e li squadrò, con occhi piccoli e freddi.
Ma buongiorno a voi, e benvenuti! Certo sarete stanchi, e gradirete un buon pasto.»
«Il pane della carità lascia più fame di quella che trova» grugnì il vecchio  allontanandosi lungo la strada.
Agitò la pipa per farsi largo in un gruppo di ragazzini che giocavano, senza molto successo. «Un onesto guadagno e una borsa piena, ecco cosa occorre a un padre di famiglia.

(http://www.canadaprivat.com/shop/pfeife.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2009, 11:08:58
Dove è messa in evidenza la proverbiale timidezza dei fumatori di pipa...

STUART PALMER

NATALE CON I TUOI...


Studiai la faccenda con l'aiuto della mia fedele pipa, dopo di che mi avviai giù per le scale buie. Allora mi venne in mente che lo zio era uscito invece di andarsene direttamente a letto e, per quanto ne sapevo, poteva ancora gironzolare attorno nella notte. A metà scala urtai contro qualcuno, una delle ragazze, a giudicare dal profumo; quando parlò, la voce era quella di Dorothy. «Anche tu, Bruto?»
Scendemmo insieme e raggiungemmo gli altri nel salotto sotto lo scalone, attorno al decrepito albero di Natale.

Quando fui in camera, accesi finalmente la pipa e presi l'unico libro disponibile nella stanza sperando che mi conciliasse il sonno, ma ben presto la vista mi si stancò e stavo per spegnere la luce quando udii un leggero colpo alla porta. «Avanti!» risposi automaticamente.
Era Dorothy Ely, in vestaglia di seta; le convenienze erano salve visto che qualcosa, sia pur leggera, le copriva il pigiama, tuttavia mi tirai istintivamente le coperte fin sotto il mento.

Dorothy riappese il ricevitore e rimase immobile, evidentemente sconcertata; poi si scosse, passò davanti all'uscio che mi nascondeva e si fermò annusando; un attimo dopo spalancò il ripostiglio e disse: «Volevo ben dire! La prossima volta che organizzi una imboscata, Alan Cameron, ricordati di non fumare la pipa.»
Aveva ragione. Per vincere un certo nervosismo avevo automaticamente tratto di tasca pipa e fiammiferi e questo mi aveva tradito.

(http://www.wooop.de/gfx/paintings/std/bilder_van-willem-vincent-gogh-stilleben-mit-strohhut-und-pfeife-03944.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2009, 12:07:34
Fra le tante ipotesi sul futuro della pipa,un racconto surreale che parla anche di gatti...

LILIAN JACKSON BRAUN

Scrittrice americana nata nel 1916,ha scritto un numero imprecisato di libri con sempre i gatti come protagonisti.


IL GATTO CHE CONOSCEVA IL CARDINALE


«Mi auguro che tu abbia ragione» ribatté Compton. Si accese una sigaretta, e questo diede l'opportunità a Qwilleran di accomiatarsi, di chiedere il conto e di dire che aveva un altro appuntamento. Da quando aveva deciso di smettere di fumare la pipa non riusciva più a sopportare il fumo del tabacco. E pensare che, ai tempi in cui fumava, aveva una pipa che aveva la forma di un bulldog e andava in giro affumicando ristoranti, uffici e ricevimenti con il tabacco Groat & Bodle n° 5, importato dalla Scozia, convinto di fare un favore al naso di chi gli stava vicino.

Rivolto ai siamesi disse: «Vi andrebbe di fare un po' di sport? Qualcosa di nuovo?» Estrasse una delle pipe per fare bolle di sapone e preparò una scodella di acqua e sapone in cucina. I due gatti lo guardavano incuriositi e sconcertati da quella scodella piena di qualcosa che non era commestibile né bevibile.
«Voi restate qui» disse loro, salendo al primo piano con tutto l'armamentario. I due invece lo seguirono per la scala.
Lui immerse la pipa nell'acqua saponata, poi se la avvicinò alle labbra commettendo un errore. Ai tempi in cui fumava la pipa era abituato ad aspirare. Ma far bolle di sapone era tutt'altra cosa. Sputò ciò che aveva aspirato e ci riprovò. Questa volta riuscì a formare una bella bolla, iridescente nelle luci alte e basse del granaio. Ma subito dopo gli scoppiò sul viso. Provò per la terza volta riuscendo gradatamente a padroneggiare quella tecnica nuova.
«Bene. Adesso scendete!» ordinò ai gatti, dando a entrambi una manata sulla groppa. «Giù! Giù!» Koko e Yum Yum invece, volevano salire. Era passata per loro l'ora di andare a letto. Rimasero dov'erano.
Per tentarli soffiò una serie di bolle, bolle a mucchio e bolle dentro altre bolle, facendole salire nello spazio, osservandole fluttuare pigramente negli spifferi d'aria fino a che scomparivano. I siamesi rimasero assolutamente indifferenti. Osservarono, immobili, quell'assurdo esemplare di homo sapiens che soffiava in una pipa, agitava un braccio e scrutava al di sopra della balaustrata. Annoiati, salirono per la scala e raggiunsero il loro loft.
«Gatti!» sibilò Qwilleran.

(http://images.mefeedia.com/entries/9477047/video_120.png)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2009, 16:08:37
Dove si parla di pipe e di corna....

GEORGETTE HEYER

I primi romanzi storici della Heyer sono per lo più ambientati nel XVIII secolo e comprendono Beauvallet e Masquerade (in italiano). Successivamente, la scrittrice creò i suoi lavori più originali, ambientati nel periodo della Reggenza: tra questi si ricordano Venetia, Il gioco degli equivoci e Il dandy della reggenza.

Scrisse anche Romanzi gialli, ambientati in Inghilterra tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, molti dei quali hanno la classica ambientazione da casa di campagna. Inoltre, scrisse romanzi storici, ambientati in periodi diversi, e anche vari racconti. L'ultimo lavoro, My Lord John, è stato pubblicato postumo.

VELENI DI FAMIGLIA


L'avvocato cominciò a riempirsi di tabacco la pipa. «Io tutto questo lo definisco noioso» osservò dopo un po'. Hannasyde gli rispose con un grugnito. «Non c'è niente nel libretto del conto corrente?»
«Alla prima occhiata, no. Si direbbe che il defunto abbia fatto le sue registrazioni con un po' di disinvoltura. Non sempre annota quel che ha venduto per acquistare alcuni di questi blocchi di azioni.» Dovrò esaminarlo molto più a fondo. Diamo un'occhiata al casellario.
Questo non rivelò niente che avesse un minimo di interesse. Controllarono in fretta quel poco che conteneva e Carrington, sbadigliando, osservò che era ben contento di non fare parte della polizia giudiziaria.
«Molta gente si meraviglierebbe se sapesse com'è noiosa gran parte del nostro lavoro» replicò Hannasyde. «Io voglio farmi carico del libretto del conto corrente, del libro mastro e di quell'agenda. Non credo che qui ci sia nient'altro. Auguriamoci di avere maggior fortuna a casa del defunto. Crede che potrebbe trovarsi con me ai Pioppi domattina alle dieci?»
«L'accompagno con la macchina. Immagino che adesso lei vada a far visita a Gladys Smith, vero?»
«Gladys Smith deve dare delle spiegazioni» rispose Hannasyde imperturbabile. «Chi è e cosa ci fa tra tutte queste quotazioni di borsa e questi appuntamenti?»
«Io non lo so, ma non dubito che lei riuscirà a saperlo» disse l'avvocato
«Probabilmente scoprirà che è una dattilografa la quale aveva presentato una domanda di assunzione a Matthews, ma ammiro il suo zelo.»
«Non risulta che abbia mai avuto come dipendente una dattilografa.»
«Questo non prova che non avesse intenzione di assumerne una.»
«Probabilmente lei ha ragione.»
Ma la mattina successiva, dopo essersi accomodato sul sedile della macchina di Giles Carrington, il sovrintendente tornò alla carica.
«Le mie pagliuzze stanno cominciando a diventare una corda. Quella non era affatto una dattilografa in cerca di impiego.»
«Oh, Gladys Smith... Allora è andato a trovarla. Che tipo è?»
Hannasyde si accese un fiammifero e cominciò a dar fuoco alla pipa. «Una graziosa donnina. Non molto giovane e non particolarmente raffinata. La si potrebbe descrivere una creatura amabile, di quelle che ti fanno sentire a tuo agio. Begli occhi e un sorriso materno.» Tacque per qualche istante e poi, fra un tiro e l'altro alla pipa, riprese: «E non ha mai sentito parlare di Gregory Matthews.»
L'avvocato proruppe in una risata scrosciante. «Allora è ancora meglio di quanto mi aspettassi! Mio povero Hannasyde, che colpo per lei.»
«Io non l'ho affatto presa così. L'ho considerata la circostanza più interessante che sia venuta alla luce finora. In questo lei non è all'altezza della sua fama, signor Carrington. Non trova un pochino strano che Gladys Smith non abbia mai sentito parlare di un uomo che ha il suo nome e indirizzo segnati nella propria agenda?»

(http://www.knasterkopf.de/images/h16siw2g.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Gennaio 2009, 16:13:30
Ancora quei due argomenti....

BOILEAU-NARCEJAC

 Boileau-Narcejac Pierre Boileau (Parigi 1906 - Beaulieu-sur-Mer 1989) e Thomas Narcejac (pseudonimo di Pierre Ayard, Rochefort-sur-Mer 1908 - Nizza 1998), scrittori francesi, autori a quattro mani di romanzi polizieschi.
Pierre Boileau debuttò nel 1934 con il romanzo La pietra che trema, cui seguirono Le repos de Bacchus e Sei delitti senza assassino (1939). Thomas Narcejac, filosofo di formazione, si interessò inizialmente al romanzo poliziesco dal punto di vista critico, ed esordì come romanziere con L’assassin de minuit (1946) e La mort est du voyage (1948). Il sodalizio artistico tra i due diede subito vita a uno dei capolavori del genere poliziesco, I diabolici (1952), di cui Henri-Georges Clouzot fece, nel 1954, una felicissima trasposizione cinematografica.

LE VITTIME
 
Avevo già paura di perderla. Ebbi in quel momento la lancinante intuizione che sarebbe sempre stata per me un animaletto selvatico che non si avvicina se non ha la sicurezza di una finestra aperta dietro di sé. Se ne andò immediatamente, impedendomi di accompagnarla. Ma l'indomani fu... Stavo per scrivere la mia amante. No. Fu la mia sposa. Le chiesi di divorziare.
«Se potessi, Pierre» rispose seguendo col dito il disegno delle mie labbra.
«Signor Brulin, al telefono.»
Era Aman, il centralinista indigeno. Jallu si alzò.
«Dev'essere per me.»
Corremmo insieme all'apparecchio. Jallu prese la cornetta. Aveva il volto delle brutte giornate, gli occhi grigi senza espressione.
«Pronto! Jallu... Ah, sei tu Claire?»
«Mi scusi» dissi.
Dallo spiraglio della porta, non potevo distogliere lo sguardo dalla schiena di Jallu, e immaginavo Claire nella villa di Neuilly, nel salotto dai mobili ricoperti come fantasmi, parlare al telefono con voce annoiata, reticente, stanca, con quell'aria che aveva gli ultimi giorni, prima della mia partenza.
«No» rispondeva Jallu. «Non ho ricevuto niente... Arriverà certo con la prossima posta... Quando vuoi... Temevo che non durasse a lungo, povera donna. Capisci, la leucemia, alla sua età... Però non stancarti troppo... Qui tutto bene... Sì, le trattative vanno a rilento, è normale, ma siamo sulla strada buona.»
Caricavo coscienziosamente la pipa come se, assorbito dalle mie preoccupazioni, non mi accorgessi nemmeno di poter essere indiscreto.
«Sì, ho dei buoni collaboratori... Grazie, sei gentile, ma non ci serve nulla... Aspetta, gli chiedo...»
Jallu si girò e mi chiamò. Feci dapprima finta di non aver sentito, poi mi avvicinai senza fretta, continuando a caricare la pipa.
«Signor Brulin, mia moglie mi chiede se ha bisogno di qualcosa.»
Per poco non rischiai di tradirmi. La gioia mi colpì come un pugno allo stomaco. Arrossii, e fu come se sanguinassi. Dovevo rispondere una cosa qualunque, senza riflettere.
«Una stilografica. La mia non funziona più.»
Non riuscii nemmeno a ringraziare. Non ascoltavo più. Mi amava ancora, e l'avrei presto rivista. Se non aveva preso l'aereo con noi a Orly era proprio per la ragione che mi aveva detto suo marito, la vecchia zia malata di leucemia, e non perché all'ultimo momento si fosse rifiutata di accompagnarmi. Il mio timore era stato senza fondamento... Non sapevo cosa pensare. Le mie mani tremavano, dovetti rinunciare ad accendere la pipa. Salii in camera, misi in moto il ventilatore e mi gettai sullo stretto lettino da campo, un letto da caserma o da collegio che sapeva ancora di vernice.
Manou! Come avevo potuto credere che non avesse voluto partire? Non stavo forse per rovinare tutto, isolando nei miei ricordi qualche parola, un silenzio, un atteggiamento, che, uniti arbitrariamente, potevano suggerire l'idea di un tradimento

(http://www.pfeife-tabak.de/Artikel/Pfeifenkunde/Tonpfeifen/bitmap/Bild%207.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Gennaio 2009, 12:43:13
Ancora Morcock,  il quale conferma come il carattere di chi fuma la pipa sia gentile e riflessivo...

MICHAEL MOORCOCK

GLORIANA


Le lanterne del galeone polacco, la Nikolaj Kopernik, erano già state avvistate da O'Brien, il quale, seduto comodamente sul corpo agonizzante del guardiano del faro, fumava la pipa e annusava l'odore del vento. «Tra meno di mezz'ora sarà a terra, capitano.»
Il moribondo gemette. Dalla sua schiena sporgeva un pugnale dal manico rosso. Quello di O'Brien.
«Per Giove, O'Brien» disse Tinkler, soffiandosi sulle mani. «Perché non gli dai il colpo di grazia?»
«E perché dovrei farlo?» chiese O'Brien, in tono ragionevole. «Più a lungo vive, più caldo sta. Con questo tempo, un uomo deve sfruttare tutto quel che ha a disposizione, se vuole evitare l'assideramento. È il segreto della sopravvivenza, Tinkler.»
Quire si portò all'occhio il cannocchiale; quando alzò il braccio, il vento gli gonfiò il mantello e gli sbatté la schiuma sulla faccia. Con pazienza, lo spadaccino si chiuse con la spilla il colletto, sollevò di nuovo il cannocchiale e infine scorse in lontananza il galeone.
«Una notte perfetta, per fare naufragio» commentò O'Brien, accendendosi la lunga pipa di creta e sollevandosi leggermente sui talloni, per dare al moribondo la possibilità di respirare.

«Prima della fine del mese, O'Brien, saremo tutti ricchi» gli disse. «Sarai tu a portare il messaggio in Polonia.»
O'Brien aveva già accettato questa parte e, poiché Quire lo aveva pagato generosamente, non aveva sospetti. Si scaldò la mano sul focolare della pipa e assestò un colpo di tallone alle costole della vittima, un po' come un altro uomo avrebbe attizzato le braci del focolare.

(http://www.old-picture.com/civil-war/pictures/Smoking-Pipes.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Gennaio 2009, 12:46:12
ROSS KING

Ricercatore,autore di molti romanzi  storici ricostruiti con cura meticolosa ,fra i molti best "Il Papa e il suo pittore.
Dai suoi romanzi sono stati tratti alcuni films di grande successo.

Ex Libris

"Trovava gli acquirenti per le raccolte d'arte. Duchi e principi che desideravano rifornire biblioteche e saloni. Aveva entrature in tutte le corti della cristianità. Mio padre trattò con lui in diverse occasioni quando faceva acquisti per l'imperatore Rodolfo."
"Intende dire che Sir Ambrose conosceva Monboddo?"
"Sì. Da molti anni. Conduceva i negoziati con agenti come mio padre e in cambio intascava una forte commissione." Il suo sguardo cadde sull'Agrippa che avevo in mano. "Credo che negoziò con mio padre anche per l'acquisto della collezione von Steiner a Vienna. Ma sul lavoro di Monboddo circolavano molte voci," aggiunse. "Si diceva che avesse altri clienti, oltre ai realisti che non erano in grado di pagare le tasse imposte sulle loro proprietà."
Fece una pausa per estrarre dalle pieghe della sottana un oggetto che, data la scarsa luce, impiegai qualche momento a riconoscere per una pipa, che procedette a riempire, con mano esperta, di tabacco. Mi aspettavo che me la porgesse, ma ebbi la sorpresa di vedere che, con mano altrettanto esperta, se la sistemava tra i molari. Un alone aranciato le rischiarò il viso quando accese un fiammifero e diede vita al contenuto del fornello.
"Mi perdoni," disse, assaporando il fumo e agitando l'accenditoio per smorzarlo. "Tabacco della Virginia. La foglia conciata della Nicotiana trigonophylla, una specie particolarmente saporita. Sir Walter Raleigh sostiene che abbia effetti dannosi, ma io ho sempre trovato eccellente per la digestione una fumata postprandiale, soprattutto in una pipa di gesso. Mio padre un tempo possedeva un calumet," continuò, mentre una nuvola di fumo si spandeva nello spazio tra noi. "Aveva il fornello di argilla e il cannello era fatto con una canna colta sulla costa della baia di Chesapeake. Gliel'aveva regalata un capo nanticoke in Virginia."
"In Virginia?" Sir Ambrose Plessington, questo Proteo, questo decagono con tutte le sue misteriose sfaccettature, assumeva ancora un'altra sembianza. Ma ero lì per altre faccende. "Mi stava dicendo che Monboddo..."
"Sì, circolavano storie, direi quasi leggende, su Henry Monboddo."
"Che genere di leggende?"
"Be'... da dove cominciamo?" Tenne il fornello della pipa annidato nel palmo della mano e per qualche secondo studiò il baldacchino sopra la sua testa come a trarne ispirazione. "Intanto," riprese, "si diceva che avesse negoziato l'acquisto della Collezione di Mantova nel 1627. A quei tempi era l'agente artistico di re Carlo. Fin qui la cosa era di dominio pubblico. Era anche l'agente del duca di Buckingham. Il primo Buckingham, dico  Sir George Villiers, il primo Lord dell'Ammiragliato. Monboddo rastrellò le corti e gli studi di tutta Europa per conto dei due, riportando in Inghilterra ogni sorta di oggetti. Libri, quadri, statue... qualunque cosa potesse incontrare il gusto di questi due grandi conoscitori d'arte." La pipa di gesso oscillò e mandò un riverbero mentre lei tirava un'altra lunga boccata di fumo. "Ha sentito parlare della Collezione di Mantova?"
Ai suoi tempi il cardinale Baronius fu una delle massime autorità sugli scritti di Ermete Trismegisto.
Prese la penna per confutare l'opera del teologo ugonotto DuplessisMornay. Nel 1581 DuplessisMornay aveva pubblicato un trattato ermetico intitolato De la vérité de la réligion chrétienne, dedicato al paladino del protestantesimo d'Europa, Enrico di Navarra, di cui in seguito divenne consigliere.
L'opera fu tradotta in inglese da Sir Philip Sydney." "Altro paladino del protestantesimo,"
mormorai, ricordando che da Sidney  grande cortigiano elisabettiano morto in battaglia contro gli spagnoli  
era venuto il nome della nave costruita per Sir Ambrose, secondo la patente, nel 1616. Chiusi gli occhi cercando di riflettere. Il nome di Baronius mi era familiare, ma non a causa di DuplessisMornay o del Corpus hermeticum.
No: un cardinale di questo nome era stato l'uomo responsabile del trasferimento  del furto  della Bibliotheca Palatina nel 1623, dopo che gli eserciti cattolici ebbero invaso il Palatinato. Fu uno degli scandali più clamorosi della Guerra dei trent'anni. Centonovantasei casse di libri della più grande biblioteca di Germania,
il centro della cultura protestante europea, varcarono le Alpi sui carri tirati dai muli: ogni mulo portava al collo una targa d'argento con la stessa iscrizione: fero bibliothecam Principis Palatini. I libri e i manoscritti erano spariti, dal primo all'ultimo, nella Biblioteca vaticana. O no? Aprii gli occhi.
Il vino e il fumo che aleggiava tra noi nella stanza mi offuscavano il cervello,
ma ora ricordavo anche l'affermazione di Alethea che Sir Ambrose aveva lavorato a Heidelberg come agente dell'Elettore Palatino. Un'idea cominciava lentamente ad affiorare.
"I libri di Pontifex Hall vengono dalla Bibliotheca Palatina. È questo che mi sta dicendo?
Il cardinale Baronius in realtà non li rubò tutti. Sir Ambrose li salvò da.
 "No, no, no..." Fece compiere alla pipa un arco nell'aria. "Non dalla Palatina."
Attesi che proseguisse, ma il tabacco della Virginia sembrava averle indotto uno stato di voluttuoso abbandono.
Si sporse dal bordo del letto e batté il fornello della pipa sulla pietra del focolare.
 Mi schiarii la gola e imboccai un'altra via.

(http://www.drbongs.co.uk/images/glass_pipe_sh-2_big.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Gennaio 2009, 18:35:54
Strane mixture ,ma dopo l'erba pipa e la terra di mezzo siamo abituati  un po' a tutto...

CHRISTOPHER PAOLINI

BRISINGR


Da una saccoccia legata al fianco, Brom trasse la sua pipa, la riempì d'erba di cardo e l'accese, mormorando piano: "Brisingr." Aspirò diverse volte per far prendere la fiamma prima di ricominciare a parlare. "Se mi stai vedendo, Eragon, spero che tu sia felice e in salute, e che Galbatorix sia morto. Anche se penso che sia poco probabile; dopotutto sei un Cavaliere dei Draghi e un Cavaliere dei Draghi non potrà mai riposare finché ci sarà ingiustizia sulla terra."


Stringendo le labbra attorno al cannello della pipa, Brom trasse qualche boccata d'erba di cardo, soffiando da un lato il fumo bianco. L'odore pungente arrivò forte nelle narici di Saphira.
"Ho la mia parte di rimpianti, ma tu non sei uno di essi, Eragon. Potrai anche fare delle sciocchezze ogni tanto, come lasciar scappare quei maledetti Urgali, ma non sei più idiota di me alla tua età." Annuì. "Anzi, sei molto meno idiota, direi. Sono orgoglioso di averti come figlio. Più orgoglioso di quanto tu possa immaginare. Non avrei mai pensato che saresti diventato un Cavaliere come me, né desideravo questo futuro per te, ma vederti con Saphira, ah, mi fa venir voglia di cantare al sole come un gallo."
Brom trasse un'altra boccata.



ROBERT JORDAN

IL CUORE DELL'INVERNO


Il vento spirava da nord col sole non ancora del tutto sopra l'orizzonte, cosa che secondo la gente del luogo indicava sempre pioggia, e un cielo pieno di nubi di certo minacciava mentre procedeva attraverso la Mol Hara. I particolari frequentatori de La donna errante erano cambiati: non c'erano sul'dam o damane stavolta, ma il posto era ancora pieno di Seanchan e fumo di pipa, anche se i musicisti non erano ancora comparsi. Molte delle persone nella stanza stavano facendo colazione, talvolta osservavano solo le scodelle con aria incerta, come se non fossero sicuri di quello che era stato dato loro da mangiare  lui si sentiva allo stesso modo con lo strano porridge che gli abitanti di Ebou Dar consumavano la mattina  ma non tutti erano intenti a mangiare. Tre donne e un uomo in quelle lunghe vesti ricamate stavano giocando a carte e fumavano la pipa a un tavolo, tutti con le teste rasate alla maniera dei nobili minori. Le monete d'oro sul loro tavolo catturarono l'attenzione di Mat per un momento: stavano giocando delle somme alte. Il cumulo più grosso di monete si trovava di fronte a una donna minuta dai capelli neri, scura quanto Anath, che sorrideva con aria rapace ai suoi avversari attorno al lunghissimo cannello di una pipa decorato d'argento.


PHILIP K. DICK

I GIOCATORI DI TITANO


«E Pete Garden ha detto veramente di aver pagato il dottore? Probabilmente ha firmato una parcella per quella cifra.»
«Pete ha detto di averlo pagato, e di averlo pagato questa notte. E ha detto che ne valeva la pena. Pete che aveva ingerito delle droghe ed era esaltato dalla gravidanza di Carol, può darsi che non abbia capito ciò che ha visto in realtà; può darsi che non abbia capito se chi gli stava di fronte era veramente Philipson o no. Ed è possibile che tutto questo episodio sia frutto di un'allucinazione. Può darsi persino che non sia mai andato a Pocatello.» Prese la pipa e la borsa del tabacco. «Questo episodio non mi suona giusto. Può darsi che Pete si sia immaginato tutto; e questa sarebbe la radice dell'intero problema.»
«Che cosa metti nella pipa?» chiese Sharp. «Il solito vecchio tabacco chiaro?»
«No! Questa è una mistura chiamata Can che Abbaia. Non morde.»
Sharp sogghignò.

(http://www.bpipaclub.com/novela35.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Gennaio 2009, 19:31:39
Ancora strane pipe e strani mondi.....

GORDON R. DICKSON

LA MISSIONE DEL TENENTE TRUANT

Era di una certa età, con sopracciglia e capelli folti. Teneva una pipa in bocca e indossava la camicia senza cravatta, aperta sul collo. Stranamente, portava sulle spalline il cordoncino bianco e nero dei RangerCommandos, i Servizi di Combattimento che operavano dietro le linee del nemico. Parlava con voce rauca e sembrava avere un tono cronico di esasperazione.
Si tolse la pipa di bocca e indicò il gatto accucciato nell'angolo.
«È un cheetah» disse. «Si chiama Limpari. Mi fa da caneguida.»
Cal fissò l'animale senza pensare agli occhi del generale perché si era accorto che vedeva benissimo.
«Oh, si tratta soltanto di una cecità periodica.» Sollevò la pipa verso la massa dei capelli. «Ho la calotta cranica d'argento. C'è argento da quasi tutte le parti. Cosa mi dite di voi, tenente...» guardò lo schermo che aveva sulla scrivania «...Truant. Cal. Che tipo d'inabilità avete, Cal?»
«Signore» disse Cal. Poi s'interruppe e prese fiato. «Non ho voluto fare l'esame psichiatrico.»
«Non ve lo aspettavate, generale?»
«Non è questo» disse il generale facendo scattare l'accendino, per dare fuoco al tabacco della pipa. «Per il lavoro che ho in mente mi siete necessario, ma nello stesso tempo ho paura di voi.»

Arthur C. Clarke

All’insegna del Cervo Bianco


Fu allora che Harry Purvis si fece sentire: - Il modo c’è, sapete?
La voce mi era sconosciuta e mi girai a guardare. Vidi un ometto piccolo e lindo, sulla quarantina. Stava fumando una di quelle pipe tedesche intagliate che mi ricordano sempre la foresta nera e gli orologi a cucù. Era l’unico segno di distinzione: altrimenti avrebbe potuto essere un piccolo funzionario del Ministero del Tesoro, vestito di tutto punto per andare a una riunione del Comitato per il Bilancio.
- Scusate, come avete detto? - dissi io.
L’altro non mi diede retta e armeggiò con delicatezza intorno alla sua pipa. Proprio allora osservai che non si trattava, come mi era parso a prima vista, di un pezzo di legno lavorato. Era qualcosa di molto più complicato, un aggeggio di metallo e plastica, una specie di impianto in miniatura di ingegneria chimica. C’erano persino un paio di piccole valvole.
Santo Cielo, ma era proprio un impianto di ingegneria chimica.
Non che io sia uno che si stupisce facilmente, ma questa volta non tentai davvero di nascondere la mia sorpresa. L’altro mi rispose con un sorriso di superiorità.
- Tutto per amor della scienza. È un ritrovato del Laboratorio Biochimico: vogliono scoprire cosa contiene esattamente il fumo di tabacco: per questo ci sono i filtri. Sapete, la vecchia controversia: se il fumo è la causa del cancro alla gola e, se lo è, come agisce. Il guaio è che questo richiede un mucchio di... ehm, distillato, per identificare qualcuno dei sottoprodotti minori. Per questo si deve fumare a tutta forza.
- E non guasta un po’ il piacere quell’impianto di tubi?
- Oh, non lo so. Vedete, io sono soltanto un volontario. Non fumo.

LESTER DEL REY

Il Ramaio

«Due penny di tabacco, se così vi aggrada,» disse al commesso, tendendo la piccola borsa per il tabacco che portava sempre con sé. «È pazzo?» Il commesso era un ragazzo, che si interessava molto più dei suoi capelli impomatati che dei clienti che entravano. «Il tabacco più a buon mercato che posso darle è il Duke, e le costerà cinque centesimi, pronta cassa.»
Con rimpianto, Ellowan vide sparire dietro al banco la sua moneta; il tabacco era davvero un lusso, con quei prezzi. Prese in mano la piccola sacca impermeabile, e la scatoletta.
«Che mai è questo?» domandò, sollevando la scatoletta.
«Fiammiferi.» Il ragazzo sorrise, con aria di superiorità. «Dov'è stato lei, per tutta la vita? Bene, lei deve fare così... visto? Certo, se non li vuole...»
«Mille grazie.»
L'elfo infilò in saccoccia la scatola di fiammiferi in fretta e uscì in strada, felice del suo acquisto.
Una meraviglia così grande come i fiammiferi, da sola valeva certamente il prezzo che aveva pagato.
Riempì la sua pipa di argilla e pieno di curiosità strofinò uno dei fiammiferi, ridacchiando felice quando la fiamma si sprigionò da esso.
Quando il fiammifero si spense, notò che anche il tabacco era pieno di magia, altrimenti non avrebbe certo potuto avere un aroma così dolce e delizioso. Era qualcosa di completamente nuovo per lui.
Ma non c'era tempo da perdere ad ammirare i suoi nuovi tesori.

Poul Anderson

Tre Cuori E Tre Leoni.

Cortana, pensò Holger. Quando aveva già udito quel nome, prima d'ora?
Unrich frugò in una tasca del grembiule e, con grande sorpresa di Holger, tirò fuori una tozza pipa d'argilla e un sacchetto di qualcosa che sem
brava tabacco. L'accese servendosi di una selce e di un acciarino, e aspirò profondamente. Holger lo guardò, malinconicamente.
«È un trucco da drago, tu fuoco respiri» disse Hugi.
«Mi piace» rispose Unrich.
«E hai ragione» approvò Holger. «Una donna è solo una donna, ma un buon sigaro è una fumata.»
Gli altri lo fissarono.
«Mai avevo sentito che gli umani giocassero così a fare i demoni» commentò Alianora.
«Prestami una pipa» disse Holger, «e vedrai!»
«Questa scena troppo bella sarà per perderla!» Unrich rientrò nella caverna e ritornò con una grossa pipa di radica. Holger la riempì, l'accese, cominciò ad espirare nuvolette di fumo, soddisfatto. Non doveva trattarsi di vero tabacco, perché era troppo forte, ma in fondo non poi tanto peggio di quello che aveva fumato in Francia prima della guerra, o in Danimarca. Hugi e Unrich lo guardavano con tanto d'occhi. Alianora scoppiò in una risata argentina.

(http://www.kunstkopie.de/images/product-pics/artist/vangogh2/gogh_stilleben_mit_zeichenbrett.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Gennaio 2009, 22:10:57
Pipa e mistero un' accoppiata sempre efficace.......

MICAH  NATHAN
1973
Si è laureato in antropologia alla State University of New York.
Personaggio polivalente, nella vita ha fatto un po' di tutto: il produttore di film horror, conduttore radiofonico, ed altro.

Prima della pubblicazione del suo primo romanzo, Nathan ha codiretto Misinformation, una trasmissione radiofonica sottoforma di talk show in onda da Buffalo dal 1994 al 1997.

L'ULTIMO ALCHIMISTA


L'aspetto divertente è che tu hai senza dubbio una borsa di studio, perciò non sanno come stanno davvero le cose. Si dice che i ricchi possono permettersi di essere caritatevoli. Be', i poveri possono permettersi di essere nobili.»
Si infilò la pipa in bocca, quindi accese un fiammifero e gonfiò le guance, soffiando un pennacchio di fumo aromatico e lattiginoso che fluttuò sopra il tavolino. Si appoggiò allo schienale, si dondolò sulle gambe posteriori della sedia, guardandosi intorno e osservando gli studenti che ci passavano accanto.
«Raccontami qualcos'altro», mi invitò.
Posò la pipa, accostò la sedia al tavolo e si piazzò di fronte a me con entrambe le mani sul piano. «Come ti guadagni da vivere?»
«Lavoro in biblioteca», dissi. «E il professor Lang mi ha offerto un incarico nel suo ufficio.»
«Che cosa ne pensi di quel vecchio matto?» domandò.
«Il dottor Lang?»
«No. Cornelius Graves.»
Abbassai la voce. «Gira voce che sia un adoratore del demonio. Hai sentito parlare dei piccioni che uccide?»
«Piccioni?»
Annuii. «Ho visto dove butta i cadaveri.»
«Dove?»
«Nel bosco dietro il Kellner», risposi.
«Quanti?»
«Non lo so», ammisi. «Un bel po'. In una tomba poco profonda.»
Assunse un'aria scettica. «Hai visto qualcos'altro? Qualche candela nera vicino a questa presunta tomba?»
«No, ma...»
«Un altare improvvisato? Un crocefisso sconsacrato? Magari un coltello cerimoniale?»
«Non so come sia fatto un crocefisso sconsacrato», confessai.
Art sospirò. «Voglio dire che i boschi qui intorno sono pieni di volpi e coyote. Magari hai visto una tana di coyote. Come le ossa bruciacchiate davanti alla caverna del drago in Beowulf.» Sorrise. «Il dottor Lang, invece... Quello sì che è un coglione patentato. Se c'è qualcuno che adora il demonio, è quel bastardo arrogante. Lo scorso anno ho preparato la traduzione e l'analisi della produzione di Teofilo Folengo, un poeta benedettino del Cinquecento, per il suo corso di storiografia, e lui mi ha dato un diciotto. Ho protestato presso il comitato scolastico, ma si proteggono a vicenda, così è stata solo una perdita di tempo...»
La sua voce sfumò. Sembrava sul punto di infuriarsi. Sfregò la pipa, e la collera gli svanì dal volto.
Art riaccese la pipa; la brace sprigionò un filo di fumo. «Di recente il dottor Cade si è assicurato un sostanzioso anticipo per una serie di tre libri sul Medioevo», mi informò. «Il progetto è ancora allo stadio embrionale, la scaletta dei capitoli e roba simile, ma il professore ha già una vaga idea di dove vuole arrivare, degli argomenti su cui vuole concentrarsi eccetera.

Uno degli studenti al tavolo accanto (un ragazzo dal collo taurino con jeans, felpa, stivali da lavoro e un taglio a spazzola) si piegò all'indietro sulla sedia e fissò Art, ma lui lo ignorò. «A ogni modo, sono il coordinatore del progetto», continuò, «e, come puoi immaginare, ho l'acqua alla gola. Sono sempre in cerca di altro aiuto. Soprattutto per le traduzioni e alcune stesure preliminari. Le tue versioni hanno un bel ritmo, e sono sicuro che potresti...»
Il giovane dal collo taurino si schiarì la voce. Aveva la corporatura di un orso. La felpa verde recava la scritta ABERDEEN RUGBY sul davanti.
«Qui è vietato fumare», disse.
Art diede un'altra boccata. Il giocatore di rugby inclinò la testa di lato. Guardò prima la pipa, poi Art.
«Non hai sentito?»
«Sì, che ho sentito», sbottò Art.
«Allora spegnila.»
«Appena avrò finito.»
«Che stronzo», commentò l'altro, sospirando.
Art si voltò di nuovo verso di me. Il ragazzo lo fissò ancora per un istante, quindi ricominciò a mangiare.
«Ecco a che cosa mi riferivo», riprese Art, dando un altro tiro e soffiando un anello di fumo. «Marmocchi viziati. Niente fegato.»
Lasciò cadere il tabacco sul pavimento e lo schiacciò sotto la scarpa. «Dev'essere un sollievo sapere di essere l'ulti-mo», soggiunse, riponendo la pipa.

(http://farm1.static.flickr.com/78/225563981_b78111bca1.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Gennaio 2009, 22:14:13
Ancora un'accoppiata pipa corna...

C. Hall Thompson

YOTHKALA

Quando Ambler ebbe terminato la visita nell'intimità della camera di Cassandra, scese pesantemente la lunga scala curva e venne in salotto. Gli offrii da bere e dissi qualcosa a proposito delle pessime condizioni atmosferiche; lo feci per pura urbanità, senza alcuna intenzione di conversare. Poi, nella luce tremolante del caminetto, scoprii nei suoi occhi un'espressione nuova e indecifrabile; avevo visto molte espressioni diverse dopo le sue sedute con Cassandra, ora di dubbio, ora di perplessità, ora di soddisfazione professionale per la sua apparente guarigione, ma adesso i suoi occhi miti sembravano esprimere una sorta di compiacimento, quasi di contentezza. Gli versai un bicchiere di sherry che egli bevve d'un fiato.
«Siete stati molto saggi... lei e sua moglie, dottore,» disse dopo una pausa. Gli occhi chiari raggiavano di letizia.
«Saggi?» Il suo buonumore cominciava a irritarmi.
«Ma certo! Non avreste potuto far niente di più giudizioso... Non vorrei sembrare indiscreto, ma, insomma, m'era parso abbastanza chiaro che... che tra lei e Cassandra... beh, c'era stato qualche screzio. Ma adesso, questo... Sicuro, un bambino è quello che ci vuole per riunire due persone. Questo postaccio triste diventerà un paradiso...»
Forse non lo avevo ascoltato bene. Ricordo che caricai la pipa, distratto, e accesi il fiammifero strofinandolo sulla scatola. Poi lui venne fuori con questa battuta del bambino e io lo guardai come un'idiota, col fiammifero acceso in mano, quasi senza capire. Più tardi mi scoprii due scottature superficiali sui polpastrelli del pollice e dell'indice.
Mi accorsi poi che Ambler rideva tutto contento, battendomi una mano sulla spalla.
«Su, non mi guardi con quell'aria confusa, amico,» disse col suo tono cordiale. «Immagino che Cassandra volesse farle una sorpresa, e io ho rovinato tutto dandole la notizia...»
«Non ha mai parlato di...».
Ambler scoppiò in una risata fragorosa e mi rifilò la vecchia facezia a proposito del marito che è sempre l'ultimo a sapere.

(http://farm2.static.flickr.com/1219/1392931718_947df5454c.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Gennaio 2009, 22:59:52
La quiete e la pipa ,prima della "tempesta"...

THORP MCCLUSKY
La sua produzione si articola in diciotto racconti, tutti apparsi su Weird Tales e pubblicati in un arco di sedici anni di attività
Ancora non ha avuto alcuna raccolta a suo nome, probabilmente per la difficoltà di reperire i 279 numeri che compongono la prestigiosa serie Pulp.

Orrore e Raccapriccio


Fu una notte assai fredda quella, ricordo. Dev'essere stato verso il primo di novembre. Un ciocco di legno bruciava nel fuoco. Era sera, e io stavo seduto con i piedi sul forno. Le scarpe erano sul pavimento a sinistra della sedia, una grossa sedia Morris che c'è in cucina; il fuoco era bello e caldo, le porte erano tutte chiuse, e io fumavo la mia pipa. La casa era avvolta da un silenzio tombale: uno dei miei due collie era fuori da qualche parte, e l'altro, Nan, era disteso accanto al fornello alla mia destra, a pochi centimetri dalla mia sedia, dormendo e crogiolandosi al calduccio. Dovevano essere all'incirca le nove e mezzo; sicuramente non era più tardi. Mi piace quell'ultima oretta prima di andare a letto; tutto quello che bisognava fare nella giornata è stato fatto e io posso distendermi, riposare e pensare. Avevo sistemato ogni cosa in modo tale da stare realmente comodo: lo schienale della sedia era al posto giusto e la mia pipa tirava che era una meraviglia. Se ora mi guardo indietro per cercare di ricordare, mi pare di essermi assopito per qualche minuto. Non rammento se la pipa la spensi oppure no: forse penzolava dalla mia mano sinistra e mi cascò senza rendermene conto. A ogni modo, dopo, la trovai a terra accanto al fornello. Sì, forse mi ero addormentato con la pipa ciondolante dalla mano. La mia mano destra pendeva senza forze dal bracciolo della sedia e, quando cominciai a ridestarmi da quel leggero pisolino, l'allungai per accarezzare il cane. Ma, quando ebbi completamente aperto gli occhi, mi accorsi che sotto la mia mano, accanto alla sedia, c'era una cosa che aveva qualcosa di strano.

(http://www.filemagazine.com/thecollection/archives/images/smokingpipe.jpg)
Titolo: Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 28 Gennaio 2009, 09:48:55
dovresti citare le nostre poesie...
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Febbraio 2009, 13:16:24
Ho un po' di materiale da inserire,ma sono paziente l'occasione sarà la riapertura definitiva,per celebrare l'evento.
Inserisco questa chicca come ulteriore augurio di buon lavoro. ;D

LA SPIAGGIA

CESARE PAVESE

Volli vedere fin dove: arrivava. Ero seccato. Anzi accesi la pipa per fargli capire che avevo il tempo dalla mia. Doro tirò fuori le sue sigarette dorate, e ne accese una e mi soffiò in faccia la boccata. Tacqui, aspettando.
Ma fu soltanto col buio che si lasciò andare. A mezzodì mangiammo insieme in trattoria, affogando nel sudore; poi ritornammo a passeggiare, e lui entrò in diversi negozi per darmi a intendere che aveva da fare commissioni. Verso sera prendemmo la vecchia strada della collina che tante volte in passato avevamo percorso insieme, e finimmo in una saletta tra di casa d'appuntamenti e di trattoria che da studenti c'era parsa il non-plus-ultra del vizio. Facemmo la passeggiata sotto una fresca luna estiva che ci rimise un poco dall'afa del giorno.

Qui venne non so che amica del gruppo a cercare Clelia, e la chiamava e rideva: rimasi solo, seduto sulla panchina. Provavo il mio solito piacere scontroso a starmene in disparte, sapendo che a pochi passi fuori dell'ombra il prossimo si agitava, rideva e ballava. Né mi mancava materia da riflettere. Accesi una pipa e me la fumai tutta. Poi mi mossi e girai fra i tavolini .
La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s'illude di favorire in questo modo la meditazione, ma la verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt'al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt'altro. Doro sapeva della mia abitudine d'incantarmi per un attimo nel vivo di una conversazione per inseguire con gli occhi un'idea imprevista. Faceva anche lui lo stesso, e in tempi passati avevamo molto camminato insieme, ciascuno rimuginando in silenzio. Ma ora i suoi silenzi - come i miei - mi parevano distratti, estraniati, insomma insoliti. Da non molti giorni ero al mare, e mi pareva un secolo. Pure non era accaduto nulla. Ma la notte, rientrando, avevo il senso che tutta la giornata trascorsa - la banale giornata di spiaggia attendesse da me chi sa quale sforzo di chiarezza perché mi ci potessi raccapezzare.
Quando, l'indomani della disgrazia di Mara, rividi l'amico Guido con la sua maledetta automobile, nei pochi secondi che impiegai a traversare la strada per dargli la mano, intuii più cose che non durante un'intera pipata notturna. Intravidi, cioè, che le confidenze di Clelia erano un'inconscia difesa contro la volgarità di Guido: uomo, del resto, educatissimo e galante. Guido sedeva, abbronzato e roseo, tendendo la mano e scoprendo i denti a un saluto. Guido era ricco e bovino. Clelia reagiva di soppiatto; dunque lo prendeva sul serio e gli somigliava. Chi sa dove sarei arrivato, se Guido non si fosse messo a ridere e non mi avesse costretto a parlare. Salii con lui sull'automobile e mi portò al caffè dove a quell'ora c'eran tutti.

(http://www.agoramagazine.it/agora/local/cache-vignettes/L302xH420/pavese-2-d5d49.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: M4tt0 - 22 Febbraio 2009, 15:33:35
Colgo l'occasione per fare gli auguri ad Enzo e ringraziarlo del bel lavoro che fa!

Ritornando in tema, l'altro giorno ho comprato un libro che si chiama Smokiana, è un libro di citazioni al fumo in generale, con una parte dedicata interamente alla pipa...ve lo consiglio, è davvero una bella raccolta (teoricamente è una trilogia iniziata con Il vino, poi passata per l'amore e infine al fumo), l'autore principale è Enrico Remmert
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Febbraio 2009, 19:38:17
Grazie Mattia.
Metto un po' di pipe avventurose,tanto per cominciare "piano e lontano"

Verne Giulio
Viaggio al centro della terra

Mi buttai
allora io, nella vecchia poltrona di Utrecht, con le braccia penzoloni e la
testa all'indietro. Accesi la pipa dal lungo cannello ricurvo, che aveva
scolpita sul cannello una voluttuosa najade sdraiata con indolenza; mi divertii
poi a seguire con lo sguardo la carbonizzazione che lentamente trasformava la
najade in una negretta.



LA STELLA DEL SUD

Bisogna dire,  inoltre,  che il giovane francese parlava perfettamente
    l'inglese,  come se fosse vissuto a lungo nelle contee più britanniche
    del Regno Unito.
    Mister Watkins l'ascoltava fumando  una  lunga  pipa,  seduto  su  una
    poltrona  di  legno,  con  la gamba sinistra allungata su un panchetto
    impagliato, il gomito sull'angolo d'una tavola grezza, di fronte a una
    caraffa di gin e a un bicchiere riempito  a  metà  di  questa  bevanda
    alcoolica.

Tuttavia Mister Watkins non aveva ancora risposto alla  domanda  tanto
    educata ma altrettanto precisa rivoltagli da Cipriano Méré.  Dopo aver
    consacrato almeno tre minuti a riflettere, si decise infine a togliere
    la pipa dall'angolo della bocca, ed espresse l'opinione seguente,  che
    non  aveva  evidentemente  un  rapporto  se  non  molto lontano con la
    domanda:
 - Credo che il tempo si guasterà, caro signore! Mai la mia gotta mi ha
    fatto tanto soffrire come questa mattina!
Dunque, non parlatemene più, per piacere!... Per
    me, guardate, sarei tanto contento di andarmene subito sotto terra!...
    Mangiar bene, bere meglio, fumare una buona pipa tutte le volte che ne
    ho voglia,  non ho altre soddisfazioni al mondo,  e voi volete che  vi
    rinunci?
 Mister   Watkins   cavò   la  pipa  dall'angolo  della  bocca,   sputò
    solennemente a terra

(http://www.africancraftsmarket.com/Zulu_woman_smoking.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Febbraio 2009, 19:40:59
Ancora...

Emilio Salgari

Gli Ultimi Filibustieri

- Sa che dinanzi a lui ha un corpo di filibustieri, capace di contrastargli il passo e di farlo correre fino a Segovia-Nuova, se vi è rimasta una casa?
- Non lo so: si è parlato però di un gruppo di ladroni del mare, venuti dalle sponde dell’oceano Pacifico, diretto verso quelle dell’Atlantico.
“Di piú io non potrei dirvi.”
- Allora lasciate che prenda la vostra pipa e che la carichi. Se fumiamo noi, fumerete anche voi.
Il guascone, unendo i fatti alle parole, tolse al prigioniero la pipa, gliela riempí, gliela accese e si degnò di mettergliela perfino in bocca, dicendo:
- Fumate senza timore: il tabacco spagnuolo è sempre stato eccellente.
“Ah!... Contro chi avete fatto fuoco poco fa? Sarei curioso di saperlo.”
- Su un uccellaccio che è scappato via, benché gli avessi spezzata un’ala.
- Ciò non sarebbe accaduto ad un filibustiere, - disse don Barrejo. - Fumate, e noi, camerati, accendiamo i nostri camini e mandiamo giú l’arrosto di tartaruga.
I tre avventurieri si gettarono al suolo, colle ginocchia ripiegate e si misero a fumare allegramente, in attesa che la notte scendesse per tentare l’audace colpo di mano già progettato
Don Barrejo si tolse dalle labbra la pipa, la vuotò sulla palma della mano, troppo incallita per provare i morsi del fuoco, raccolse il suo archibugio e disse:
- Andiamo: infine si tratta della salvezza di tutti.


Il figlio del Corsaro Rosso

- Raddoppia la carica della pipa, mio caro Mendoza. Io vi ho cacciato dentro due dita e ora tira magnificamente. Che differenza ci trovi tu fra i gradini di questa chiesa e quelli del cassero o del castello di prora?
- Sulla Nuova Castiglia vi è almeno da bere, Martin.
- Piovono però anche delle bombe, Mendoza; e gli spagnuoli ne hanno di quelle non meno terribili delle nostre.
- Non dico il contrario, amico; tuttavia mi trovo sempre meglio lassú. Almeno vi sono cannoni per rispondere.
E la tua draghinassa la conti per nulla? E le tue pistole sono forse cariche di tabacco? Tu brontoli sempre Mendoza, come un vero marinaio vecchio.
- Tu dirai peraltro, Martin, che se chiacchiero so anche lavorare bene di spada e di sciabola.
- Se cosí non fosse, il signor di Ventimiglia, il nipote del famoso Corsaro Nero, non ti avrebbe scelto per accompagnarlo.
- Tu hai sempre ragione, Martin. È finita la musica?
- Non l'odo piú.
- Allora il capitano non tarderà a giungere.
- Ricarica la pipa.
- Tira come un camino.
- Buttati giú e, se hai sonno, dormi. Faccio io il quarto.
- Tu vuoi burlarti di me, cannoniere. Un vecchio marinaio della Folgore, che ha servito il Corsaro Nero, addormentarsi quando il giovane conte di Ventimiglia corre qualche pericolo? Tu sei pazzo, Martin.
- Metti tre cariche di tabacco nella pipa.
- Anche dieci se vuoi, pur di tenere sempre aperti gli occhi per difendere il figlio del povero Corsaro Rosso.
- Taci, Mendoza. Qualcuno si avvicina.
Il conte si era alzato e si era messo a passeggiare nervosamente intorno ai banani; Mendoza invece aveva caricato la sua pipa e fumava placidamente.
Quella calma del vecchio marinaio era piú apparente che reale, poiché di quando in quando si dimenticava di tirare e la pipa si spegneva. Intanto le tenebre scendevano rapidamente avvolgendo la città, il porto e le navi.

IL TESORO DELLA MONTAGNA AZZURRA
 
Reton ascoltava aguzzando gli orecchi. Temeva che da un momento all'altro gli ubriaconi dell'Esmeralda uscissero dalla camera di prora e salissero in coperta a respirare una boccata d'aria fresca, della quale dovevano avere tanto bisogno. Passarono alcuni minuti ancora, poi gli sembrò di udire, proprio sotto il sabordo, un gorgoglìo. Reton si curvò sull'ampia apertura e vide il kanako arrampicarsi rapidamente su per la fune.
- Rayo de sol! - borbottò. - Quel selvaggio per poco non mi faceva morire d'angoscia. Come ha potuto arrivare qui senza farsi scorgere?
Matemate, calmo e sorridente, era balzato nella cabina, scuotendosi di dosso l'acqua.
- È fatto, - disse. - Non l'abborderanno se non dopo che noi li avremo raggiunti.
- Tu sei un uomo meraviglioso, Matemate, - rispose Reton. - Ti ha visto nessuno?
- Il ponte del gran canotto è ancora deserto, - rispose il kanako. - E poi ho sempre nuotato sott'acqua non lasciando sporgere che la punta del naso; quindi non avrebbero, potuto scoprirmi.
- Sono contenti gli uomini bianchi della nostra missione?
- Temevo che impazzissero dalla gioia.
- Ne sono convinto. Gettati su quella branda, e schiaccia un sonnellino. Io ho scoperto qui una collezione di vecchie pipe e del tabacco e, preferisco una fumatina, al dormire.
Il kanako, si allungò sulla branda mentre il bosmano caricava una pipa monumentale. Si mise a sedere presso il sabordo e cominciò a fumare, assaporando una carica di eccellente tabacco. A bordo dormivano sempre. Dovevano aver bevuto più che il giorno avanti. Una salva di bestemmie strappò finalmente il bosmano dalla sua tranquilla fumata. Sembrava che sulla tolda bisticciassero.

La rivincita di Yanez

Ne ha perduti nessuno? - chiese Yanez con un impeto di rabbia.
- Tre o quattro nell'assalto di Gauhati - rispose il bramino.
- Quanti uomini ha?
- Forse quindicimila, perché la colonna, che è corsa in tuo aiuto, ha fatto dei veri massacri con certe armi che non conoscevamo prima. Era un fuoco infernale che si succedeva senza tregua e rovesciava gli assalitori a centinaia e centinaia.
- Ha paura anche Sindhia di quelle armi?
- Trema quando ode quel sinistro crepitío.
- Anche questo è buono a sapersi - disse Sandokan, il quale aveva accesa la sua pipa, incrostata di zaffiri orientali e col bocchino d'oro. - Quest'uomo è veramente prezioso.
Yanez continuava a fumare la sua sigaretta, colla fronte aggrottata, accarezzandosi la barba. Pareva che pensasse intensamente.
Mentre Yanez si allontanava frettolosamente, scortato da Tremal-Naik e da sei malesi, il terribile capo dei pirati della Malesia ricaricò la pipa, si sedette su una mitragliatrice, e dopo aver ben guardato in viso il bramino, gli chiese:
- Dunque Sindhia spera sempre di riconquistare l'Assam?
Credi tu che gli inglesi lo abbiano aiutato a fuggire e a radunare tutti quei disperati?»
- Ne sono piú che convinto, sahib, - rispose il bramino. - Il governatore del Bengala non vedeva di buon occhio il Maharajah bianco: pare che le giubbe rosse avessero avuto a dolersi di lui in altri tempi.
- E molto! Ma noi all'Inghilterra abbiamo reso un servigio impagabile, poiché siamo stati noi a distruggere i thugs che popolavano le jungle delle Sunderbunds, ed il Governo del Bengala c'è stato mediocremente riconoscente.
- Sono sempre gli stessi uomini, sahib. L'uomo di colore per loro è una pecora da tosare.
- Oh, lo so meglio di te e...
Sandokan si era alzato di scatto, vuotando con un gesto brusco il tabacco che ancora rimaneva nella pipa, ed aveva fissati gli sguardi su un grosso punto luminoso che si avanzava velocemente, seguendo la banchina.

Le novelle marinaresche di mastro Catrame

- Orsù, papà Catrame, taglia i gherlini(2) che la tengono legata, accendi la tua pipa e narraci dodici storie, le più belle che sai - e ne devi sapere, veh! - e tu, dispensiere, reca una bottiglia del più vecchio vino di Cipro che troverai nella mia cabina, onde la lingua del vecchio orso non si secchi. Avete capito?Guardammo il suo volto incartapecorito, per indovinare se fosse di buono o cattivo umore, poiché da questo si poteva argomentare se la novella era allegra o triste. Le nostre investigazioni riuscirono però vane, poiché il suo volto nulla diceva. Solo notammo che pareva un po' nervoso: egli non faceva altro che levare di bocca la vecchia pipa e cacciarvi dentro il suo pollice, quantunque essa tirasse meglio del solito.
Era imbarazzato a trovare l'argomento? o il suo cervellaccio tardava a risvegliarsi? Io credo che fosse una cosa e l'altra; infatti rimase silenzioso più di un quarto d'ora, continuando a frugare e rifrugare nella pipa. Alla fine, quand'ebbe tracannato un paio di bicchieri, la sua me moria si svegliò come per incanto.
Aspirò avidamente una boccata d'aria marina, percorse il legno da prua a poppa, con quel suo dondolamento che lo faceva rassomigliare a un orso bianco, diede una sbirciata alle vele senza guardare in viso nessuno, Catrame rattizzò flemmaticamente la sua corta pipa, nera come la camicia di uno spazzacamino,col suo pollice incombustibile, poi andò a sedersi con tutta gravità sul barile e parve immerso in profondi pensieri.....

- Bella prospettiva avevamo dinanzi agli occhi! L'uragano infuriava sempre, mettendo sottosopra il mare, il quale ci assaliva da tutte le parti, smanioso di sfondare la nostra arca di Noè; gli alberi minacciavano di piombarci sul capo assieme ai pennoni, e il ponte era coperto di topi, pronti a darci addosso e intaccare i nostri polpacci! In quel momento avrei dato la vecchia mia pelle per una pipata di tabacco.
- La nostra paura però fu di breve durata, poiché il temuto assalto dei famelici roditori, almeno pel momento, non si effettuò. Pareva anzi che fossero spaventati e che cercassero la nostra compagnia senza intenzioni ostili. Di essi quelli che erano riusciti ad arrampicarsi sul castello di prua, dove io mi trovavo, invece di morderci, si nascondevano fra le nostre gambe e stavano quieti.
- Ora, che mai li aveva costretti a invadere la coperta del vascello? Io cominciai a diventare inquieto, sapendo che quello non era l'istinto delle detestate bestiacce. Certo qualche pericolo ci minacciava e i roditori lo sentivano: in caso diverso non avrebbero abbandonata la stiva dove potevano godere quasi completa sicurezza.
- Voi ridete!... Si vedrà fra poco se io avevo ragione o torto di pensarla così...
Papà Catrame si fermò, lasciandoci ridere a nostro bell'agio, si stropicciò le mani con una certa contentezza, accese un altro mozzicone di sigaro, poi continuò:
- Benché la nostra nave non fosse governata, e nessuno osasse scendere in coperta, dove i topi continuavano ad ammucchiarsi, battagliando ferocemente, teneva bene il mare e pareva che non corresse un immediato pericolo. Scricchiolava dalla ruota di prua a quella di poppa, dalla chiglia alla coperta, si sollevava penosamente sulle onde, ma teneva fronte all'uragano colle malferme costole ed i molti suoi anni.
- Due ore dopo, però, vedemmo irrompere dal boccaporto altri battaglioni di topi, forse gli ultimi, i quali si rovesciarono confusamente addosso ai compagni. Erano i più giovani forse e meno esperti, che avevano preferito saccheggiare ancora una volta la nostra disgraziata dispensa prima di abbandonare la stiva. Quasi contemporaneamente giunse ai nostri orecchi un sordo muggito che ci fece impallidire, come Macbeth dinanzi all'ombra di Banco.
- Ohè, papà Catrame, che sfoggio d'erudizione! - esclamò il capitano. - Anche delle tragedie tiri in campo, per abbellire i tuoi racconti!
- Credete forse che non conosca Macbeth? - disse il mastro, un po' risentito. - Ho alzato per quindici sere il telone quando si recitava a bordo del Fox, onde ingannare l'inverno fra i ghiacci della baia di Melville.
- Bella carica, perbacco!... - esclamò il comandante, ridendo a crepapelle.
- Si fa quello che si può, - rispose modestamente il mastro. - Ma lasciatemi finire la storia o questa notte non dormirà nessuno. Sono rimasto... Va bene: quando udimmo un muggito che ci fece impallidire.
- Dapprima non sapemmo a che cosa attribuirlo; ma ascoltando con profonda attenzione, ci accorgemmo che proveniva da una fuga d'acqua. La vecchia nave aveva ceduto in qualche punto e beveva allegramente, riempiendosi come un otre.
- I topi, quei furboni, guidati dal loro meraviglioso istinto, avevano previsto il disastro e si erano rifugiati per tempo in coperta, onde non annegare.
- A bordo del povero legno non tardò a subentrare la paura e la confusione. Quei pacifici norvegiani cominciavano a perdere la testa e mi parevano tutti ubriachi o pazzi.
- Correvano da una parte all'altra, affollandosi presso le scialuppe, onde essere pronti a imbarcarsi nel momento in cui la nave avesse dato l'ultimo addio alle stelle e al sole, e battagliavano ferocemente colla moltitudine dei topi, tentando di respingerli nella stiva, ma senza però ottenere verun risultato, poiché i rosicchianti rispondevano con pari ferocia, mordendo spietatamente i talloni e i polpacci dei nemici.
- Io non mi davo grande pensiero, essendo certo che il vascello non sarebbe affondato con tutto quel carico di legname che aveva in corpo e che le onde presto o tardi avrebbero spazzato via quei reggimenti di molesti roditori.
- Alle undici di sera il veliero era immerso fino alle murate e le onde balzavano furiosamente in coperta, portando via i piccoli mostri a centinaia; ma ne restavano sempre. Alla mezzanotte caddero i due alberi trascinando con loro tutta l'attrezzatura; ed il vecchio legno, quantunque fosse quasi tutto sommerso, galleggiava sempre.
- Verso le due, vinto dal sonno e dalla stanchezza, mi cacciai dietro una botte, mi copersi alla meglio con un velaccio e, malgrado il pericolo che si faceva di momento in momento più grave e l'invasione dei topi che si rifugiavano sul cassero e sul castello di prua per non lasciarsi portare via dalle onde, m'addormentai.
- Quanto dormii? Nol seppi mai, perché quando riapersi gli occhi era ancora notte e l'equipaggio norvegiano era scomparso!... Senza dubbio, nel timore che il legno affondasse da un istante all'altro, avevano messo in mare le imbarcazioni ed erano fuggiti senza prendersi la briga di cercarmi. Non mi spaventai troppo, quantunque la mia situazione non fosse molto brillante. Checché succedesse, ero più contento di trovarmi a bordo della mia carcassa che sulle imbarcazioni, con un tempaccio così orribile.
- Il mare era sempre cattivo e pareva che non dovesse calmarsi tanto presto; la nave, immersa fino alla linea della coperta, galleggiava sempre, meglio anzi di prima, e non vi era alcun pericolo finché non si spezzava; i topi si trovavano aggruppati a migliaia intorno a me, ma pel momento pareva che non avessero idee bellicose. E più tardi? Ecco quello che mi chiedevo con insistenza, giacché la fame non doveva tardare a spingere quei reggimenti contro le mie gambe.
- Mi decisi di non perdere tempo, onde trovarmi pronto a lasciare il legno appena il mare me lo avesse permesso. Innalzai una preghiera a Dio, mi armai di una scure e in meno di un'ora costruii una piccola zattera, capace di sostenermi, e mi vi coricai sopra, in mezzo a una banda di topi d'ogni età, che forse avevano l'intenzione di tenermi poco allegra compagnia.
- Spuntò il giorno, il mare non si calmò; cadde la notte e divenne più cattivo, anzi tanto che certi momenti non sapevo più se la nave galleggiasse ancora o fosse andata a picco, tante erano le onde che la coprivano.
- Come se questo non bastasse, ecco la fame spingere addosso a me i miei compagni di naufragio. Pareva che si fossero passati la parola d'ordine, poiché tutto d'un tratto li vidi serrare le file e scagliarsi contro le mie gambe con furore senza pari.
- Balzai in piedi brandendo la scure e mi posi a picchiare con rabbia estrema a destra e a sinistra, dinanzi e di dietro, saltando or sull'una e or sull'altra gamba per schiacciare quanti più potevo di quei maledetti. Ma la marea montava: ai battaglioni succedevano i battaglioni, ai reggimenti i reggimenti, e questi più affamati di quelli. Avevano giurato di spolparmi fino all'ultimo osso.
- Fortunatamente le onde si rovesciavano ad ogni istante sul povero legno e spazzavano via centinaia di assalitori; ma non bastava. Sentivo quei mostri corrermi su per le gambe, cacciarsi nella mia casacca, balzarmi sulle spalle e mordermi gli orecchi.
- Mi credetti perduto!...
- Proprio in quel momento Dio ebbe compassione della pelle di papà Catrame, poiché un'onda gigantesca spazzò la prua della nave e mi portò via assieme alla zattera. Ebbi appena il tempo di aggrapparmi ai cordami che legavano le tavole, e mi trovai in mezzo al mare.
- Per due giorni lottai fra la vita e la morte, ma finalmente l'uragano cessò e il mare divenne tranquillo. Dove ero? Io lo ignoravo. Se una nave tardava a venire in mio aiuto, non so come sarebbe finita, non avendo meco nemmeno una briciola di pane. Mi sento fremere tutte le volte che penso a quel momento.
- Ma non avevate preso qualche pezzo di stoccafisso? - chiese un gabbiere.
- O una dozzina di biscotti? - chiese un altro.
- No. In una tasca però trovai un topo dal pelame quasi bianco, tanto era vecchio, con due baffi più lunghi di quelli del capitano Baffone, che forse voi tutti avrete conosciuto o almeno udito nominare; in un'altra un simpatico di lui figlio, con due occhietti intelligenti; nella terza una femmina con due poppanti topolini! Nonno, padre, madre e figli! una famiglia intera che contava di spassarsela nel fondo delle mie saccocce.
- Un altro li avrebbe afferrati per la coda e gettati in mare, ma io no; li presi delicatamente per gli orecchi e li deposi sulla mia zattera. Non si sa mai! Nella condizione in cui mi trovavo, cogli intestini che brontolavano per la fame, quella famigliola poteva servirmi a qualche cosa. Che diamine! Non sono mai stato uno schizzinoso, io!
- Eppure, guardate che originale è papà Catrame! Dopo quattro ore mi ero tanto affezionato ai miei compagni di sventura, che ci avrei pensato quattordici volte prima di immolarli al mio ventricolo. Prendevo gusto a vederli saltellare per la piccola zattera ed arrampicarsi su per le mie gambe, emettendo strilli di contentezza. Perfino il vecchio nonno, che dapprima si era dimostrato molto diffidente a mio riguardo, si degnava di venire ad accoccolarsi sulle mie scarpe, per rosicchiare le suole.
- La famiglia non era però completa. Frugando nelle mie tasche trovai un altro giovane rampollo, un topolino grosso come una nocciola, che si era nascosto nella mia pipa. Mi accorsi della sua presenza quando stavo per accenderla e poco mancò che il disgraziato piccino rimanesse abbruciato.

(http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/1981-1990/1990_14_41.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Febbraio 2009, 18:48:28
Ancora qualche pipa avventurosa.....

Conrad Joseph

ReiettoDelleIsole
   
«Va tutto bene!» , mormorò tra sé Almayer, prendendo da un cassetto del tavolo del tabacco sciolto di Giava. «Se ora dovesse succedere qualcosa io sono a posto. Ho chiesto a quell'uomo di risalire il fiume. Ho insistito. Lo dirà anche lui. Bene» .
   Cominciò a caricare il fornello di porcellana della sua pipa, una pipa con un lungo cannello di ciliegio e un bocchino ricurvo, pressando il tabacco con il pollice e pensando: No. Non la rivedrò più. Non voglio. Le darò un buon vantaggio, poi partirò a cercarla - e manderò una barca veloce da mio padre. Sì! proprio così.
   Si avvicinò alla porta dell'ufficio e disse, tenendo la pipa scostata dalle labbra:
   «Buona fortuna a voi, signora Willems. Non perdete tempo. Potete passare lungo i cespugli; lì la recinzione è in cattivo stato. Non perdete tempo. Non dimenticate che è una questione di...vita o di morte. E non dimenticate che io non so nulla. Mi fido di voi» .
   Sentì da dentro un rumore come del coperchio di una cassa che si richiudeva. Ella mosse qualche passo. Poi un sospiro, profondo e lungo, e delle deboli parole che non afferrò. Si allontanò dalla porta in punta di piedi, con un calcio si liberò delle pantofole che lasciò in un angolo della veranda, poi entrò nel corridoio tirando boccate di fumo dalla pipa; entrò cautamente con un leggero scricchiolio delle assi e voltò verso un'apertura sulla sinistra coperta da una tenda. Vi era una stanza molto grande. Sul pavimento un fanaletto di chiesuola - finito lì anni addietro, proveniente dallo sgabuzzino del Flash - svolgeva le funzioni di lumicino da notte. Sfavillava, tenue, minuscolo, nella grande oscurità.
svolgeva le funzioni di lumicino da notte. Sfavillava, tenue, minuscolo, nella grande oscurità. Almayer vi si diresse, lo raccolse, alzò la fiamma tirando lo stoppino con le dita, che subito dopo cominciò ad agitare con una smorfia di dolore. Forme addormentate, coperte - testa e tutto - con lenzuoli bianchi, erano sparse su delle stuoie sul pavimento. Al centro della stanza un piccolo lettino, sotto una zanzariera bianca quadrata - unico mobile tra le quattro mura - simile ad un altare di marmo trasparente in un tempio buio. Una donna sdraiata in parte sul pavimento, con la testa reclina sulle braccia incrociate, ai piedi del lettino, si svegliò quando Almayer le scavalcò le gambe distese. Ella si alzò a sedere senza una parola chinandosi in avanti e, stringendosi al petto i ginocchi, abbassò lo sguardo triste e assonnato.
Almayer, con la lanterna fumosa in una mano e la pipa nell'altra, rimase in piedi davanti al lettino guardando sua figlia -
 la sua piccola Nina - quella parte di se stesso, quella piccola e incosciente particella di umanità che gli sembrava contenesse tutta la sua anima. E fu come se una calda e luminosa ondata di tenerezza lo avvolgesse, una tenerezza più grande del mondo, più preziosa della vita; l'unica cosa reale, viva, dolce, tangibile, bella e sicura tra le sfuggenti ombre dell'esistenza, distorte e minacciose. La sua faccia, malamente illuminata dalla corta fiamma giallastra del fanale, fu attraversata da uno sguardo di rapita concentrazione mentre contemplava il futuro della figlia. E quali cose poteva vedervi! Cose affascinanti e splendide gli scorrevano davanti in un magico susseguirsi di immagini luminose; immagini di eventi brillanti, felici, indicibilmente gloriosi, che avrebbero composto la vita di lei. Doveva farlo! Doveva farlo! Doveva! Doveva - per quella bambina! E mentre se ne stava nella notte quieta, perso nei suoi sogni splendidi e incantevoli, mentre il filo verticale del fumo della pipa si spandeva fino a formare un'impalpabile nube azzurrognola sopra la sua testa, egli apparve stranamente solenne ed estatico: come un fedele mistico e devoto, in adorazione, estasiato e muto; che brucia incenso davanti a un santuario, il diafano santuario di un idolo-bambino dagli occhi chiusi; davanti al puro ed etereo santuario di un piccolo dio - fragile, indifeso, ignaro e addormentato.

AlLimiteEstremo

   Un bianco era salito, senza far rumore, su per la scala dalla coperta, e aveva ascoltato in silenzio quella breve conversazione. Poi mise il piede sul ponte di comando e cominciò a camminare da un estremo all'altro, tenendo in mano la lunga cannuccia di ciliegio di una pipa. I capelli neri erano incollati in lunghe ciocche stirate sulla cima calva del cranio; aveva la fronte solcata dalle rughe, la carnagione gialla, e il naso grosso e informe. Una rada crescita di basette non nascondeva il contorno della mascella. Il suo aspetto era di rimuginio preoccupato; e, nel succhiare un curvo bocchino nero, presentava un profilo così pesante e pronunciato che persino il serang qualche volta non poteva far a meno di pensare a quanto fossero brutti certi bianchi.
   Il capitano Whalley parve tenersi forte alla sua poltrona, ma non diede altro segno di essersi accorto di questa presenza. L'altro soffiava sbuffi di fumo; poi all'improvviso:
   «Non riuscirò mai a capire questa sua nuova mania di tenere qui questo malese come se fosse la sua ombra, socio».
   Il capitano Whalley si alzò dalla poltrona in tutta la sua imponente statura e si diresse alla chiesuola, tenendo un corso così poco deviato che l'altro dovette indietreggiare in fretta, e rimase come intimorito, con la pipa che gli tremava in mano.....
   
«Non è che voglio che lei se ne vada», riprese dopo un silenzio, e con un tono assurdamente insinuante. «Non chiederei di meglio che essere amici e rinnovare il contratto, se lei acconsentisse a trovare un altro paio di centinaia di sterline per contribuire alle nuove caldaie, capitano Whalley. Gliel'ho già detto altre volte. Le nuove caldaie sono indispensabili. Lo sa benissimo anche lei. Ci ha pensato su?».
   Restò in attesa. Dalle labbra carnose gli pendeva la sottile cannuccia della pipa con in cima il grosso rigonfiamento del fornello. Si era spenta. Improvvisamente se la tolse dai denti e si torse leggermente le mani.
   «Non mi crede?». Ficcò il fornello della pipa nella tasca della sua lustra giacca nera.

(http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/U/U_165.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Febbraio 2009, 21:37:46
Il grande Hernest ci racconta come un suo tabacco spedito da gli USA non sia arrivato in Italia,sicuramente sequestrato.
Vabbè era il 1918 ,ci sono voluti 90 anni ma la situazione è notevolmente cambiata

Ernest Hemingway

ADDIO ALLE ARMI
 
- Cosa fa in "borghese"? - domandò il barman. Stava preparandomi il secondo martini.
  - Sono in licenza. Licenza di convalescenza. -
  - Qui non c'è nessuno. Non capisco perchè tengano aperto. -
  - Sei andato ancora molto a pesca? -
  - Qualche bel pesce l'ho preso. In autunno fa piacere quel che si prende. -
  - E il tabacco che t'ho mandato l'hai avuto? -
  - Sì. E lei ha avuto la mia cartolina? -
 Mi misi a ridere. Non era andata bene col tabacco. Gli avevo promesso del tabacco da pipa americano, ma avevano smesso di spedirmelo oppure era stato sequestrato, fatto sta che non l'avevo ricevuto.
  - Riuscirò a trovartene da qualche parte - dissi.  -  Senti. Hai visto due ragazze inglesi in città? Devono esser qui dall'altro ieri. -
  - Qui in hotel non ci sono. -
  - Due infermiere. Saranno in un altro albergo. -
  - Ah, le ho viste due infermiere. Aspetti un momento. Saprò dirle dove sono. -

- C'è molto spazio per te nella mia valigia, Cat, se ti serve. -
  - Sono già quasi pronta - disse.  - Senti caro, sarò stupida ma perchè il barman resta nel nostro bagno? -
  - Sccc! Sta aspettando le valige. -
  - E' proprio gentile. -
  - E' un vecchio amico - dissi.  - Dovevo mandargli tabacco per la sua pipa, una volta. -
Guardai dalla finestra ancora aperta nel buio. Non riuscivo a vedere il lago, solo oscurità e pioggia. Ma il vento si calmava.
  - Ho finito, caro - disse Catherine.
  - Brava. - Mi avvicinai alla porta del bagno.  - Il bagaglio è pronto, Emilio. - Entrò a prendere le valige.

(http://www.artelabonline.com/article_files/art_1406_XL.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Febbraio 2009, 19:20:52
CARLO CATTANEO

GLI ANTICHI MESSICANI

E quando un giovine nemico, preso sul campo, era destinato a morire, il primo dì del quinto mese, a piè del simulacro di Tezcalipòca, veniva per un intero anno tenuto in lieta brigata di giovani, i quali, vestito dei più pomposi ornamenti, anzi colle insegne dello stesso dio davanti a cui doveva morire, lo accompagnavano con suoni e canti sul lago; ed andava secoloro per le vie della vasta città danzando ei medesimo e sonando di flauto: e tutta la gente accorreva a vederlo passare, e gli s'inchinava come fosse un Dio. Veniva satollato dei cibi e liquori più squisiti; la sua mensa e il suo letto, tessuto di vaghe piume, venivano sparsi di soavi fiori; e gli davano in canne di fumo tabacco misto a deliziosi aromi. E quattro nobili giovinette venivano tratte dal chiostro; e in onore del dio, lo consolavano coi loro vergini amori. Nell'ultima notte, usciva insieme con esse dalla città; ma giunto a certo oscuro delubro, vi trovava uno stuolo di sacerdoti, che avvolti nei foschi lor manti, o coperti il capo con maschere di belve feroci, lo involavano alle carezze e alle lacrime delle fanciulle, e trattolo pei capelli sulla piramide ferale, lo rovesciavano sulla pietra, gli strozzavano i gemiti in gola; e strappatogli il cuore, ungevano del caldo sangue giovanile le fredde labbra dell'idolo di sasso. Poi gettavano il cadavere, giù per le scale grondanti di sangue, ai devoti che seduti l'aspettavano e se lo recavano sulle spalle alle orride cene. È una tragedia che infine move più la nausea che la pietà.

(http://www.castellodalbertis.comune.genova.it/servlets/resources?resourceId=186399)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Febbraio 2009, 20:10:10
Come ben sapete nel secolo scorso,la pipa era considerata oggetto di svago per le classi sociali più basse,sigaro e tabacchiere erano più "in".
Perciò spesso,nella letteratura verista dell'epoca, veniva fumata da militari,servitù,vetturini e stallieri.
Per queste ultime due categorie,spesso, il fumo di pipa veniva associato ad odori di stalla.
Seguono alcuni esempi......


BEL AMI

Guy de Moupassant


I portinai, in maniche di camicia, a cavalcioni d'una seggiola di
paglia, fumavano la pipa sul portone, e i passanti camminavano prostrati, a
capo scoperto, col cappello in mano.
Vorrei qualcosa di curioso, un
locale ordinario, una trattoria, per esempio, da impiegatucci e da operaie.
Adoro le cenette nelle bettole! Oh, fossimo potuti andare in campagna!»
Poiché Duroy non conosceva nulla del genere nel quartiere, vagarono
per il boulevard e finirono con l'entrare in una bottiglieria dove, in una
saletta a parte, si dava anche da mangiare. Dagli usciali a vetri, lei aveva
visto due ragazzotte in capelli sedute di fronte a due soldati.
In fondo alla stanza, lunga e stretta, pranzavano tre vetturini; e uno
strano personaggio, non classificabile in quanto a mestiere, se ne stava lì a
fumar la pipa, le gambe allungate, le mani nella cintola dei calzoni, steso
sulla sedia col capo rovesciato all'indietro sopra la spalliera. La sua giacca
pareva una galleria di patacche, e dalle tasche gonfie come pance pregne si
vedeva uscire il collo d'una bottiglia, un pezzo di pane, un cartoccio fatto
con un giornale, e uno spago ciondoloni. I suoi capelli erano folti, crespi,
arruffati, grigi di sporcizia. Per terra, sotto la sedia, c'era il suo berretto.
Clotilde colpì gli avventori con la sua eleganza. Le due coppie
smisero di bisbigliare, i tre cocchieri di discutere, e il tizio che fumava,
toltasi la pipa di bocca, scaracchiò per terra e la guardò voltando appena il
capo.
«Carino, qui!» mormorò lei, «Ci staremo come papi; la prossima
volta voglio vestirmi da popolana.»
E per nulla imbarazzata o schifata, sedette al tavolino di legno grezzo
verniciato dal grassume dei cibi, lavato dalle bevande rovesciate, forbito
dalla passatina di tovagliolo del garzone.

(http://murderofravens.files.wordpress.com/2008/09/300_261533.jpg)



Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Febbraio 2009, 18:43:15
Rispunta fuori il diabolico accostamento....
GIOVANNI VERGA

Tutte le novelle

LA CACCIA AL LUPO

Una sera di vento e pioggia, vero tempo da lupi, Lollo capitò all'improvviso a casa sua, come la mala nuova. Picchiò prima pian piano, sporse dall'uscio la faccetta inquieta, e infine si decise ad entrare, giallo al par dello zafferano, e tutto grondante d'acqua.
Fuori l'ira di Dio, lui con quella faccia, e a quell'ora insolita: sua moglie, poveretta, cominciò a tremare come una foglia, ed ebbe appena il fiato di biascicare:
- Che fu?... Che avvenne? ... -
Ma Lollo non rispose nemmeno - Crepa -. Uomo di poche chiacchiere, specie quando aveva le lune a rovescio. Masticò sa lui che parole tra i denti, e seguitò a guardare intorno cogli occhietti torbidi. Il lume era sulla tavola, il letto bell'e rifatto, tanto di stanga all'uscio di cucina, dove polli e galline, spaventati anch'essi pel temporale, certo, facevano un gran schiamazzo, tanto che la donna diveniva sempre più smorta, e non osava guardare in faccia il marito.
- Va bene, - disse lui. - In un momento mi sbrigo -.
Appese a un chiodo lo scapolare, posò sulla tavola l'agnella che ci aveva sotto, così legata per le quattro zampe, e sedé a gambe larghe, curvo, colle mani ciondoloni fra le cosce, senza dir altro. La moglie intanto gli metteva dinanzi pane, vino, e la pipa carica anche, che non sapeva più quel che si facesse, in quel turbamento.
- A che pensi? Dove hai la testa? - brontolò Lollo. - Una cosa alla volta, bestia! -
Masticava adagio, facendo i bocconi grossi, colle spalle al muro e il naso sulla grazia di Dio. Di tanto in tanto volgeva il capo, e dava un'occhiata all'agnella, che cercava di liberarsi, belando, e picchiava della testa sulla tavola .
- Chetati, chetati! - brontolò Lollo infine. - Chetati, che ancora c'è tempo.
- Ma che volete fare? Parlate almeno! -
Egli la guardò quasi non avesse udito, con quegli occhietti spenti che non dicevano nulla, accendendo la pipa tranquillamente, tanto che la povera donna smarrivasi sempre più, e a un tratto si buttò ginocchioni per slacciargli le ciocie fradice.
- No, - disse lui, respingendola col piede. - No, torno ad uscire.
- Con questo tempo? - sospirò lei, tirando un gran respiro.
- Non importa il tempo... Anzi!... Anzi!... -
Quando parlava così, con quella faccia squallida, e gli occhi falsi che vi fuggivano, quell'omettino magro e rattrappito faceva proprio paura - in quella solitudine - con quel tempaccio che non si sarebbe udito “Cristo aiutami!”.
La moglie sparecchiava, in silenzio. Lui fumava e sputacchiava di qua e di là. A un tratto la gallina nera si mise a chiocciare, malaugurosa.
- S'è visto oggi Michelangelo? - domandò Lollo.
- No... no... - balbettò la moglie, che fu ad un pelo di lasciarsi cader di mano la grazia di Dio.
- Gli ho detto di scavare la fossa... Una bella fossa grande... L'avrà già fatto.
- Oh, Gesummaria! Perché?... perché?...
- C'è un lupo... qui vicino... Voglio pigliarlo -.
Ella istintivamente volse una rapida occhiata all'uscio della cucina, e fissò gli occhi smarriti in volto al marito, che non la guardava neppure, chino sulla sua pipa, assaporandola, quasi assaporasse già il piacere di cogliere la mala bestia. Ella, facendosi sempre più pallida, colle labbra tremanti, mormorava: - Gesù!... Gesù!...
- Non aver paura. Voglio pigliarlo in trappola... senza rischiarci la pelle... Ah, no! Sarebbe bella!... con chi viene a rubarvi il fatto vostro... rischiarci la pelle anche!
Ho già avvisato Zango e Buonocore. Ci hanno il loro interesse pure -.
Fosse il vinetto che gli scioglieva la lingua, o provasse gusto a rimasticare pian piano la bile che doveva averci dentro, non la finiva più, grattandosi il mento rugoso, appisolandosi quasi sulla pipa, ciarlando come una vecchia gazza.
- Vuoi sapere come si fa?... Ecco: gli si prepara il suo bravo trabocchetto... un bel letto sprimacciato di frasche e foglie... l'agnella legata là sopra... che lo tira la carne fresca, il mariolo!... E se ne viene come a nozze, al sentire il belato e la carne fresca... Col muso al vento, se ne viene, e gli occhi lucenti di voglia... Ma appena cade nella trappola, poi, diventa un minchione, che chi gliene può fare, gliene fa: sassi, legnate, acqua bollente! -
L'agnella, come se capisse il discorso, ricominciò a belare, con una voce tremola che sembrava il pianto di un bambino, e toccava il cuore. Sobbalzava di nuovo a scosse, rizzando il capo, e tornava a batterlo sulla tavola come un martello.
- Basta! basta, per carità! - esclamò la donna, giungendo le mani, quasi fuori di sé.
- No, l'agnella non la tocca neppure, appena si trova preso in trappola con essa... Le gira intorno, nella buca... gira e rigira... tutta la notte, per cercar di fuggirla anche... la tentazione... Come capisse che è finita, e bisogna domandar perdono a Dio e agli uomini... Bisogna vederlo, appena spunta il giorno, con quella faccia rivolta in su, che aspetta i cani e i cacciatori, con gli occhi che ardono come due tizzoni... -
Si alzò finalmente, adagio adagio, e si mise a girondolare per la stanza, come un fantasma, strascicando le ciocie fradice, frucacchiando qua e là, col lume in mano.
- Ma che cercate? Che volete? - chiese la povera moglie, annaspandogli dietro affannata.
Egli rispose con una specie di grugnito, e cacciò il lume sotto il letto.
- Ecco, ecco, l'ho trovato -.
Il turbine in quel momento parve portarsi via la casa. Uno scompiglio in cucina: la donna che strillava, attaccata all'uscio: una ventata soffiò sul lume a un tratto, e buona notte.
- Santa Barbara! Santa Barbara!... Aspettate... Cerco gli zolfanelli... Dove siete? Dove andate? Rispondete almeno!
- Zitta - disse Lollo ch'era corso a stangare la porta di casa. - Zitta, non ti muovere, tu! -
E si diede a battere l'acciarino sull'esca, verde come lo zolfanello che aveva acceso, tanto che alla povera moglie tremava il lume in mano.
Egli tornò a girondolare, cheto cheto. Prese un bastoncello di rovere, lo intaccò da un capo e vi legò una funicella di pelo di capra. La moglie, che le erano tornati gli spiriti vitali al veder dileguarsi il temporale, e mostrava di stare attenta anzi a quel lavoro, coi gomiti sulla tavola, e il mento fra le mani, volle sapere: - Che è questo?
- Questo?... Che è questo? - mugolò lui, soffiando e fischettando. - Questo è il biscotto per chiuder la bocca la lupo... Ce ne vorrebbe un altro per te, ce ne vorrebbe! Ah, ah!... Ridi adesso?... T'è tornato il rossetto in viso?... Voi altre donne avete sette spiriti, come i gatti... -
Essa lo guardava fisso fisso, per indovinare quel che covasse sotto quel ghigno: gli si strusciava addosso, proprio come una gatta, col seno palpitante, e il sorriso pallido in bocca.
- Sta ferma, sta ferma, che fai versare l'olio... L'olio porta disgrazia...
- Sì, che porta disgrazia! - proruppe lei. - Ma che avete infine? Parlate!
- Tò! Tò! Ecco che vai in collera ora!... Le sai tutte, le sai!... Vuoi sapere anche come si fa a pigliarlo? Ecco qua: gli si cala questo gingillo nella buca; il lupo, sciocco, l'addenta; allora, lesto, gli si passa la funicella all'altro capo del bastone, e si lega dietro la testa. L'affare è fatto. Dopo, il lupo potete prenderlo e tirarlo su, che non fa più male... E ne fate quel che volete... Ma bisogna aspettare a giorno chiaro... Ora vo a preparare la trappola...
- V'aspetto adunque? Tornate? -
Lollo andò a staccare lo scapolare grugnendo: - Uhm!... uhm!... - E tornò a prendere l'agnella: - Vedremo... Il gusto è a vederlo in trappola... che ne fate poi quel che volete... senza dar conto a nessuno... Anzi vi danno il premio al municipio!... Tu sta cheta, sta cheta - ripeté mettendosi l'agnella sotto il braccio. - Sta cheta che il lupo non ti tocca. Ha da pensare ai casi suoi, piuttosto -.
Uscì così dicendo, senza dar retta alla moglie, e chiuse l'uscio di fuori.
- Che mi chiudete a chiave? - strillò la donna picchiando dietro l'uscio. - Eh? Che fate? -
Lollo non rispose, e si allontanò fra l'acqua e il vento.
- Oh Vergine santissima! - esclamò la poveretta aggirandosi per la stanza colle mani nei capelli.
S'aprì invece l'uscio della cucina e comparve Michelangelo, pallido come un morto, che non si reggeva in piedi.
- Presi!... Siamo presi! - balbettò lei con un filo di voce. - Ci ha chiusi a catenaccio! -
Lui da prima voleva fare il bravo. Tirò su i calzoni per la cintola, incrocicchiò le braccia sul petto, tentò di balbettare qualche cosa per far animo alla povera donna: - Va bene!... son qui... t'aspetto!... - Poi, tutt'a un tratto, fosse il naturale suo proprio che lo vincesse, o il nervoso che gli metteva addosso il va e vieni di lei che pareva proprio una bestia presa in gabbia, scappò a correre anche lui all'impazzata, di qua e di là per la stanza, in punta di piedi, pallido, stralunato, tentò e ritentò la porta, scosse l'inferriata della finestra, s'arrampicò sulla tavola e sul letto per dar la scalata al tetto annaspando colle braccia tremanti, cieco di paura e di rabbia.
Infine s'arrese, trafelato, guardando bieco la complice, accusandola d'averlo attirato nel precipizio.
- Ah! - scattò allora su lei, colle mani ai fianchi. - È questa la ricompensa?
- Zitta! - esclamò lui spaventato, chiudendole la bocca colla mano. - Zitta!... Non vedi che abbiamo la morte sul collo?
- Doveva cogliermi un accidente, quando mi siete venuto fra i piedi! - seguitò a sbraitare la donna. - Doveva cogliermi una febbre maligna!
- Ssss!... - fece lui colle mani e la voce stizzosa. - Ssss! -.
Si udiva solo il vento, e l'acqua che scrosciava sul tetto. Lei si teneva il capo fra le mani, e lui stava a guardarla, inebetito.
- Ma che disse? Che fece? - biascicò infine. - Alle volte... Ci è parso perché siamo in sospetto...
- No! - rispose la moglie di Lollo. - È certo! È certo che sapeva!...
- E allora?... allora?... - scattò su Michelangelo, tornando ad alzarsi come fuori di sé.
Il lume, a cui mancava l'olio, cominciava a spegnersi.
Egli furioso scuoteva di nuovo porta e finestra, rompendosi le unghie per scalzar l'intonaco, mugolando come una bestia presa al laccio. - Ave Maria, aiutatemi voi! - supplicava invece la donna.
- Prima dovevi dire le avemarie... prima!... - esclamò infine lui.
E cominciò a sfogarsi dicendole ogni sorta d'improperi.

(http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/1991-2000/2000_28_3.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 27 Febbraio 2009, 18:23:24
ancora pipe e sfigati
Cechov Anton Pavlovic
Racconti

Tifo
   
Sul treno postale che andava da Pietroburgo a Mosca, in uno scompartimento per fumatori, viaggiava il giovane tenente Klimov. Di fronte a lui era seduto un uomo anziano dalla faccia rasata da capitano di nave mercantile, secondo tutte le apparenze un agiato finlandese o svedese, che per tutto il tempo del viaggio aveva succhiato la pipa e discorso sempre dello stesso argomento:
   «Ah, voi siete ufficiale! Anche mio fratello é ufficiale, solo che lui è in marina... Lui è in marina e presta servizio a Kron£s£tadt. Per quale ragione andate a Mosca?»
   «Presto servizio là.»
   «Ah! Avete famiglia?»
   «No, vivo con uno zio e mia sorella.»
   «Anche mio fratello è ufficiale, di marina, ma lui ha famiglia. Ha moglie e tre bambini. Ah!»
   Il finlandese si meravigliava di chissà che, faceva larghi sorrisi da idiota quando esclamava «ah!» e soffiava in continuazione dentro la sua pipa puzzolente. Klimov, che non si sentiva bene e faceva fatica a rispondere alle domande lo odiava con tutta l'anima. Fantasticava che sarebbe stato bello strappargli di mano quella pipa sibilante e scaraventarla sotto il sedile, e cacciar via in un altro vagone lo stesso finlandese...

   Sembrava che il fuochista entrasse troppo spesso per dare un'occhiata al termometro, che il rumore di un treno che veniva in senso opposto e il frastuono delle ruote su un ponte si udissero senza interruzione. Il rumore, i fischi, il finlandese, il fumo del tabacco, tutto ciò, mischiandosi a gesti minacciosi e al vacillare di immagini nebulose, delle quali un uomo sano non può ricordare forma e carattere, opprimeva Klimov come un incubo insopportabile. In preda a una terribile angoscia, sollevava la testa pesante, gettava occhiate a un fanale nei cui raggi turbinavano ombre e macchie confuse, avrebbe voluto chiedere dell'acqua, ma la lingua inaridita si muoveva appena, e riusciva a stento a raccogliere le forze per rispondere alle domande del finlandese. Cercava di allungarsi più comodamente e di addormentarsi ma non gli riusciva; il finlandese prese sonno più volte, ma poi si svegliava, accendeva la pipa, si rivolgeva a lui con i suoi «ah!», e di nuovo si riaddormentava; le gambe del tenente continuavano a non trovar posto sul sedile e le immagini minacciose gli stavano sempre davanti agli occhi.
   Alla stazione di Spirovo scese dal treno per bere un po' d'acqua. Vide delle persone, sedute ai tavoli, che mangiavano qualcosa in gran fretta.
   «Ma come possono mangiare!» pensava, sforzandosi di non annusare l'aria che sapeva di carne arrostita e di non guardare le bocche che masticavano; l'una e l'altra cosa gli sembravano ripugnanti fino alla nausea.
   Una bella signora discorreva ad alta voce con un militare in berretto rosso e, sorridendo, metteva in mostra dei magnifici denti bianchi; quel sorriso, i denti e la stessa donna produssero in Klimov un'impressione altrettanto ripugnante del prosciutto e delle cotolette arrosto. Non riusciva a capire come a quel militare dal berretto rosso non facesse senso star lì seduto accanto a lei, come riuscisse a guardare il suo volto sano e sorridente. Quando, dopo aver bevuto l'acqua, ritornò nel vagone, il finlandese era seduto e fumava. La sua pipa sibilava e gemeva come una galoscia bucata quando il tempo è piovoso.
      «Ah!» si stupì. «Che stazione è questa?»
   «Non lo so,» rispose Klimov coricandosi e chiudendo la bocca per non respirare l'acre fumo del tabacco.
   «E quando saremo a Tver'?» «Non lo so. Scusate, io... io non ce la faccio a parlare. Sono malato, oggi ho preso un colpo d'aria.»
   Il finlandese batté la pipa sul telaio della finestra e si mise a parlare del fratello ufficiale di marina. Klimov ormai non l'ascoltava più e pensava con angosciosa nostalgia al suo morbido, comodo letto, alla caraffa con l'acqua fresca, alla sorella Katja, che sapeva metterlo a letto con tanta dolcezza, tranquillizzarlo e porgergli l'acqua. Si mise perfino a sorridere quando nella fantasia gli balenò la figura dell'attendente Pavel mentre sfilava al padrone i pesanti e aderenti stivali e metteva l'acqua sul tavolino. Gli sembrava che sarebbe bastato coricarsi nel suo letto e bere dell'acqua, perché l'incubo svanisse, cedendo il posto a un sonno profondo, sano.....

   A casa Klimov fu accolto dallo zio e dalla sorella Katja, una ragazza di diciott'anni. Mentre lo salutava, Katja aveva tra le mani un quaderno e una matita e così lui ricordò che si stava preparando per l'esame di insegnante. Senza rispondere alle domande e ai saluti, ma solo ansimando per il gran caldo, fece il giro di tutte le stanze, senza scopo alcuno, e, arrivato al proprio letto, crollò sul cuscino. Il finlandese, il berretto rosso, la signora dai denti bianchi, l'odore di carne arrosto, le macchie vacillanti occupavano intieramente la sua mente; non sapeva più dove si trovava e non udiva le voci inquiete intorno a lui. Quando riprese conoscenza, si ritrovò nel suo letto, spogliato, vide la caraffa con l'acqua e Pavel, ma non per questo si sentì più fresco, né più leggero, né più comodo. Gambe e braccia, come prima, non trovavano posto, la lingua gli si appiccicava al palato e continuava a udire il gemito della pipa del finlandese. Vicino al letto si affcendava un medico dalla barba nera, urtando Pavel con le larghe spalle....

Ma padre Aleksandr, persona facile al riso e allegra, non si mise a ridere, anzi diventò ancora più serio e fece il segno di croce su Klimov. Durante la notte uscivano ed entravano silenziosamente dalla camera, una alla volta, due ombre. Erano lo zio e la sorella. L'ombra della sorella si inginocchiava e pregava: si chinava davanti all'immagine e anche la sua ombra sul muro si chinava, così che erano due ombre a pregare Dio. L'aria odorava sempre di carne arrosto e del fumo della pipa del finlandese, ma Klimov, una volta, avvertì un profumo penetrante d'incenso. Preso dalla nausea, si mise a gridare:
   «L'incenso! Portate via l'incenso!»...


Sul Danno del tabacco

NJUCHIN (con lunghi favoriti, senza baffi, in un vecchio frac liso, si muove maestosamente, fa inchini e si aggiusta il gilet)
Gentili signore e, in un certo qual modo, gentili signori. (Si pettina i favoriti).È stato proposto a mia moglie che io tenessi qui una conferenza popolare a scopo benefico. Che fare? Una conferenza, e conferenza sia, la cosa mi è del tutto indifferente. Io non sono certo professore, sono estraneo alle gerarchie accademiche, ma, ciononostante, già da trent'anni, senza interruzione, dirò addirittura a danno della mia propria salute e tutto il resto, mi dedico comunque a problemi di carattere scientifico, ragiono e scrivo persino, pensate un po', articoli scientifici, vale a dire non esattamente scientifici, ma, se mi scuseranno l'espressione, proprio come se fossero tali. A proposito, in questi giorni ho redatto un articolo di enormi proporzioni dal titolo: Del danno provocato da alcuni insetti. Alle mie figlie è molto piaciuto, in particolare dove dico delle cimici, io l'ho letto e subito stracciato. Comunque è del tutto indifferente, scrivi ciò che vuoi, ma senza l'insetticida il problema non si risolve. Noi le cimici le abbiamo persino nel pianoforte... Come argomento della mia conferenza odierna ho scelto, per così dire, il danno che reca all'umanità l'uso del tabacco. Sono fumatore anch'io, ma mia moglie mi ha ordinato di parlare oggi della nefasta influenza del tabacco, e quindi la cosa non si discute. Del tabacco, e tabacco sia, per me è del tutto indifferente; a loro, gentili signori, propongo di rapportarsi alla mia presente conferenza con la dovuta serietà, altrimenti non se ne caverà nulla. Chi fosse spaventato da un'arida conferenza scientifica, chi non l'apprezzasse, può non ascoltarla e uscire. (Si aggiusta il gilet).Chiedo particolare attenzione ai signori medici qui presenti, che potranno trarre dalla mia conferenza molte indicazioni utili, visto che il tabacco, oltre alle sue nefaste influenze, viene usato anche in medicina. Per esempio, se si chiudesse una mosca in una tabacchiera, probabilmente creperebbe di esaurimento nervoso. Il tabacco è, essenzialmente, una pianta... Quando tengo una conferenza, di solito ammicco con l'occhio destro, ma loro non facciano caso; è l'emozione. Sono una persona molto nervosa, parlando in generale, ma ad ammiccare ho cominciato nel 1889, il 13 settembre, lo stesso giorno in cui a mia moglie nacque, in un certo senso, la nostra quarta figlia Varvara. Tutte le mie figlie sono nate il 13 del mese. Comunque (dopo aver guardato l'orologio), considerando il poco tempo a disposizione, non esuleremo dal tema della conferenza. Devo far loro notare che mia moglie dirige una scuola di musica e un pensionato privato, voglio dire non un pensionato, ma qualcosa di simile. Parlando fra noi, mia moglie ama piangere miseria, ma ha qualcosa da parte, quaranta o cinquantamila, io invece non ho un copeco, non un centesimo, ma che vale parlarne! Nel pensionato io costituisco il responsabile dell'economia domestica. Penso alle provviste, controllo la servitù, annoto le spese, preparo i quaderni, stermino le pulci, porto a spasso il cane di mia moglie, do la caccia ai topi... Ieri sera era di mia competenza consegnare la farina e il burro alla cuoca, dal momento che erano in programma le frittelle. Ebbene, in poche parole, oggi, quando le frittelle erano già pronte, mia moglie è venuta in cucina a dire che tre educande non le avrebbero mangiate perché gli si erano gonfiate le ghiandole. E così è risultato che si erano preparate delle frittelle in eccesso. Che cosa ordinate di farne? Mia moglie in principio ha ordinato che fossero portate in cantina, poi, pensa e ripensa, dice: "Mangiale tu quelle frittelle, spaventapasseri". Quando è di cattivo umore mi chiama così: spaventapasseri, o aspide, o satana. Ma che satana sarò mai io? Lei è sempre di cattivo umore. E io non le ho mangiate, bensì inghiottite, senza masticarle, dal momento che ho sempre fame. Ieri, per esempio, non mi ha fatto pranzare. "Dar da mangiare a te, spaventapasseri - dice - non è il caso... ". Ma, però (guarda l'orologio), abbiamo parlato un po' a vanvera, e ci siamo allontanati dal nostro tema. Continuiamo. Per quanto loro ora ascolterebbero volentieri una romanza, o una qualsiasi sinfonia, o un'aria... (Accenna una melodia)."Non batteremo ciglio, nell'ardore dello scontro... ". Non ricordo da dove è tratto... A proposito, ho dimenticato di dir loro che nella scuola di musica di mia moglie, oltre l'economia domestica, è di mia competenza l'insegnamento della matematica, della fisica, della chimica, della geografia, della storia, del solfeggio, della letteratura eccetera. Per la danza, il canto e il disegno mia moglie percepisce un pagamento a parte, sebbene danza e canto li insegni io. La nostra scuola di musica si trova nel vicolo dei Cinque cani, al numero 13. Forse è per questo che la mia vita è così piena di disgrazie, per il fatto che abitiamo al numero 13. Anche le mie figlie sono nate il giorno 13, e in casa nostra ci sono 13 finestre... Beh, che farci! Per prendere accordi, mia moglie la si trova in casa in qualunque momento, mentre il programma della scuola, se vi interessa, è in vendita dal portiere a trenta copechi la copia. (Estrae di tasca alcuni opuscoli).Se qualcuno è interessato posso provvedere io. Trenta copechi la copia! Chi ne vuole? (Pausa).Nessuno ne vuole? Su, venti copechi! (Pausa).Peccato. Già, la casa numero 13! Non mi riesce niente, sono invecchiato, rincitrullito... Adesso sto facendo la conferenza, ho l'aspetto allegro, ma dentro avrei voglia di gridare a tutta voce o di volar via chissà dove al di là dei tre mari. E non mi posso sfogare con nessuno, ho persino voglia di piangere... Loro diranno: le figlie... Quali figlie? Io parlo con loro, e quelle non fanno che ridere... Mia moglie ha sette figlie... No, chiedo scusa, devono essere sei... (Vivacemente).Sette! La maggiore, Anna, ha ventisette anni, la minore diciassette. Gentili signori! (Si guarda intorno).Sono infelice, mi sono abbandonato alle sciocchezze, alla miseria, ma in fondo loro vedono in me il più felice dei padri. In fondo così deve essere, e io non mi azzarderò a dire altrimenti. Se loro soltanto sapessero! Ho passato con mia moglie trentatré anni e, posso dire, sono stati i migliori anni della mia vita, non proprio i migliori, così in generale. Sono trascorsi, per farla breve, in un felice istante, per quanto mi riguarda, che il diavolo se li porti. (Si guarda attorno).Comunque, lei, a quanto pare, non è ancora arrivata, non è qui, e si può dire qualunque cosa si voglia... Io sono terrorizzato... terrorizzato quando lei mi guarda. Sì, dicevo: le mie figlie aspettano tanto a trovar marito probabilmente perché sono timide, e anche perché non vedono mai uomini. Mia moglie non vuole dare feste, ai pranzi non invita mai nessuno, è una dama molto avara, irosa, litigiosa, per questo da noi non viene mai nessuno, ma... posso confidar loro in segreto... (Si avvicina alla scaletta).Le figlie di mia moglie le si può vedere nelle occasioni di festa grande, dalla loro zia Natalja Semenovna, quella stessa che soffre di reumatismi e che va in giro con quell'abito giallo a macchiette nere, come se fosse invasa dagli scarafaggi. Là servono anche gli antipasti. E quando mia moglie non c'è ci si concede anche questo... (Porta il pollice alla bocca, nel gesto di bere).Devo far loro notare che io mi ubriaco con un solo bicchierino, e ciò mi mette l'animo in pace ma mi procura anche una gran tristezza che non riesco ad esprimere a parole; mi tornano in mente, chissà perché, gli anni giovanili, e vien voglia di correre, ah se loro sapessero che voglia! (Divertito).Correre, lasciar perdere tutto e correre senza voltarsi indietro... dove? Non importa dove... purché si corra via da questa vita schifosa, volgare e meschina, che mi trasforma in un vecchio, penoso stupidone; correre via da questa sciocca, misera, cattiva, cattiva, cattiva spilorcia, da mia moglie, che per trentatré anni mi ha tormentato, correre via dalla musica, dalla cucina, dai soldi di mia moglie, da tutte quelle cose sciocche e volgari... e fermarsi da qualche parte lontano lontano, in un campo e starsene immobile come un albero, come un palo, come uno spaventapasseri, sotto il cielo aperto e tutta notte guardare la luna che se ne sta quieta e splendente sopra di te, e dimenticare, dimenticare... Oh, come vorrei non ricordare nulla!... Come vorrei strapparmi di dosso questo vecchio frac abietto in cui trent'anni fa mi sono sposato... (si strappa di dosso il frac) in cui regolarmente tengo conferenze a scopo benefico... Toh! (Calpesta il frac).Toh! Sono vecchio, io, povero, penoso, come questo gilet con la sua schiena lisa e spelacchiata... (Mostra la schiena).Non ho bisogno di niente! Sono superiore e più puro di tutto questo, sono stato, tempo fa, giovane intelligente, ho studiato all'università, sognavo, mi consideravo un uomo... Adesso non ho bisogno di niente! Niente, tranne la quiete... tranne la quiete! (Dopo aver guardato da un lato, indossa rapidamente il frac).Ecco dietro le quinte c'è mia moglie... E arrivata e mi aspetta là... (Guarda l'orologio).Il tempo è già passato... Se domanderà loro qualcosa, io prego di dirle che la conferenza ha avuto luogo... che lo spaventapasseri, cioè io, si è comportato dignitosamente. (Guarda di lato, tossisce).Sta guardando verso di me... (Alzando la voce).Basandosi sul concetto che il tabacco contiene in sé un terribile veleno, del quale ho appena parlato, non è opportuno fumare in nessuna circostanza, e mi permetto, in un certo senso, di sperare che questa mia conferenza sul danno del tabacco si manifesterà di qualche utilità. Ho finito. Dixi et animam levavi!

(http://pro.corbis.com/images/BE026456.jpg?size=67&uid=%7B4E4F3466-33DB-4B00-88DB-20761C6E050B%7D)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 28 Febbraio 2009, 19:41:55
Ancora russi...

L’IDIOTA

Fedor DOSTOEVSKIJ


Non è a motivo della vostra povertà che siete, se posso
chiedere, venuto a sollecitare il generale?»
«Oh no, di questo potete esser assolutamente certo. Ho un altro
affare.»
«Scusate, la domanda mi è venuta guardandovi. Aspettate il
segretario. Adesso è occupato con un colonnello, ma poi verrà anche il
segretario... quello della compagnia.»
«Allora, se c'è molto da aspettare, vi chiederei: non c'è qui un posto
dove fumare? Ho con me pipa e tabacco.»
«Fu-ma-re?» fece il cameriere squadrandolo con perplessità mista a
disprezzo, come se non credesse alle proprie orecchie, «fumare? No, qui
non potete fumare. Il solo pensiero dovrebbe farvi vergognare. Eh!... che
stravaganza!»
«Oh, ma io non chiedevo di fumare in questa stanza. Lo so. Sarei
andato da qualche parte, dove voi mi aveste indicato, perché mi ci sono
abituato e sono già tre ore che non fumo. Comunque, come volete. Sapete,
c'è un proverbio: nel convento altrui...»

(http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/M-1981/M1885_3_18.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Marzo 2009, 19:25:51
e ancora...



GUERRA E PACE
Lev Tolstoj


«Ah, bvavo! E invece io, fvatello mio, ievi ho pevso come un figlio
d'un cane!» si mise a gridare Denisov, che non riusciva a pronunciare la
erre. «Una iella! una iella!... È cominciata appena sei andato via tu. Ehi, il
tè!»
Denisov, arricciando la faccia in una specie di sorriso che mise in
mostra i suoi robusti denti corti, cominciò ad arruffarsi con entrambe le
mani dalle dita corte i folti capelli neri, irti come un bosco.
«M'ha spinto il diavolo ad andave da quel topo» (era il soprannome
d'un ufficiale), disse, stropicciandosi con tutt'e due le mani la fronte e la
faccia. «Figuvati, nemmeno una cavta, nemmeno una, non una me ne ha
data.»
Denisov prese la pipa accesa che gli veniva offerta, la strinse in
pugno e la batté sul pavimento spargendone la brace, e intanto continuava
a gridare:
«Mi dà un simple, e fa pavoli; mi dà un simple e fa pavoli.»
Sparpagliò il fuoco, spaccò la pipa e la gettò via. Poi rimase in
silenzio; poi, d'improvviso, con i suoi scintillanti occhi neri, lanciò verso
Rostov uno sguardo allegro.
«Ci fossevo donne, almeno. Pevché qui, fuovché beve, non c'è niente
da fave. Almeno ci battessimo pvesto...»


«Ma guardate com'è questa giovane contessa. Molto bene, marsc!
Un'altra così non l'avevo ancora conosciuta!» disse, porgendo a Nikolaj
una pipa dal lungo bocchino e caricandone una dal bocchino mozzo, con
un gesto sicuro e abituale delle dita. «È stata tutto il giorno a cavallo, né
più né meno come un uomo, e... come niente fosse!»
Con una mano, infilata nel panciotto,
stringeva una borsa da tabacco; l'altra reggeva il cannello di una lunga
pipa. Ansando e sbuffando, il maggiore brontolava e si arrabbiava con
tutti: gli sembrava che tutti lo spingessero e avessero fretta, mentre non
c'era nessun motivo di aver fretta, e che tutti si meravigliassero di qualcosa
quando non c'era niente di cui meravigliarsi.

Dolochov non rispose, come se non avesse sentito la
domanda e accendendo una pipa francese che aveva tolto di tasca, chiese
agli ufficiali fino a che punto fosse sicura dai cosacchi la strada più avanti.

La graticciata trascinata fin là dalla settima compagnia venne
collocata a semicerchio verso settentrione, puntellata con pali; davanti ad
essa venne acceso un fuoco. Suonò la ritirata, si fece l'appello, si cenò e ci
si dispose per la notte intorno ai fuochi; chi aggiustava le calzature, chi
fumava la pipa, chi, spogliatosi completamente, si cacciava di dosso i
pidocchi con l'acqua bollente.



I DIARI

Lev Tolstoj


A casa sono passato dal pianoforte al libro, dal libro alla pipa e al
mangiucchiare. Non ho riflettuto sui contadini. Non mi ricordo se ho
mentito. Probabile. Dai Perfilev e da Panin non sono andato per
trascuratezza. Tutti gli errori della giornata odierna si possono collegare
con le seguenti inclinazioni:
1 indecisione, mancanza di energia; 2 autoinganno, cioè intuendo
in una cosa il male, non ti ci soffermi; 3 frettolosità; 4 fausse honte, cioè
paura di fare qualcosa di sconveniente, derivante da una visione unilaterale
delle cose; 5 cattivo umore derivante in gran parte: primo, dalla
frettolosità, secondo, da una visione superficiale delle cose; 6 incoerenza,
cioè inclinazione a dimenticare gli scopi vicini e utili per sembrare
qualcosa; 7 imitazione;  8 incostanza; 9 avventatezza.


Noto in me una tendenza distruttiva, che si esprime nell'atto di
rovinare tutto quel che mi capita sotto mano, e ora si esprime nel rovinare
la tranquillità di Vanjuška e nel buttar via denari senza alcuna ragione e
gusto. Per esempio, chiedo spesso la pipa a Vanjuška non perché abbia
voglia di fumare, ma perché mi piace che egli si muova, e amo buttar via i
denari. Non m'interessa quel che si può acquistare con i denari, ma mi
piace che essi ci siano stati e poi non ci siano più: proprio, il processo di
distruzione.

(http://www.lahiguera.net/cinemania/actores/fernando_fernan_gomez/fotos/2979/fernando_fernan_gomez.jpg)








Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Marzo 2009, 21:23:00
e poi....

Gogol  Nikolaj Vasil'evic

Anime Morte

   Di tanto in tanto capitava che passasse a trovarlo qualcuno dei vicini, un tenente degli ussari a riposo, fumatore di pipa tutto impregnato di fumo, o un colonnello dei brulotti, abile e instancabile conversatore su qualsiasi argomento.
   
Anche sui due davanzali delle finestre c'erano mucchietti di cenere battuti fuori dalla pipa, disposti non senza cura in leggiadrissime file. Si notava che questo costituiva talvolta un passatempo per il padrone di casa.
   «Permetta che le chieda di accomodarsi su questa poltrona» disse Manilov. «Qui starà più comodo.»
   «Permetta, mi siederò sulla sedia.»
   «Permetta che non glielo permetta» disse Manilov con un sorriso. «Quella poltrona è riservata ai miei ospiti: volente o nolente vi si deve sedere.»
   Èièikov si sedette.
   «Permetta che le offra una pipetta.»
   «Grazie, non fumo» rispose Èièikov teneramente e quasi con aria di rammarico.
   «Come mai?» chiese Manilov, pure teneramente e con aria di rammarico.
   «Non ho mai preso l'abitudine, ho paura; dicono che la pipa faccia male.»
   «Permetta che le faccia osservare che si tratta di un pregiudizio. Anzi ritengo che fumare la pipa sia molto più salutare che fiutare tabacco. Nel nostro reggimento c'era un tenente, ottima persona, di grande cultura, che non si toglieva mai la pipa di bocca non solo a tavola, ma anche, con licenza parlando, in qualsiasi altro posto. Ed ecco che ha già più di quarant'anni, ma, ringraziando Dio, finora è sano come un pesce.»........


   «Lei domanda per quali motivi? Ecco quali: vorrei comprare dei contadini...» disse Èièikov, s'impappinò e non finì il discorso.
   «Ma permetta che le domandi» disse Manilov, «come desidera comprare i contadini: con la terra o semplicemente per trasferirli, cioè senza terra?»
   «No, non è che voglia proprio dei contadini» disse Èièikov, «voglio avere i morti...»
   «Come? Mi scusi... sono un po' duro d'orecchio, mi è parso di sentire una parola alquanto strana...»
   «Intendo acquistare i morti che però sulla lista del censimento figurino come vivi» disse Èièikov.
   Manilov lasciò subito cadere a terra il cannello con la pipa turca, aprì la bocca, e così restò, a bocca aperta, per diversi minuti. I due amici, che avevano ragionato dei piaceri dell'amicizia, restarono immobili a fissarsi negli occhi, come quei ritratti che nei tempi andati si appendevano uno di fronte all'altro ai due lati di uno specchio. Finalmente Manilov raccolse la pipa col cannello e lo guardò in viso di sotto in su, cercando di scoprire se non ci fosse qualche sorrisetto sulle sue labbra, se non avesse scherzato; ma non si vedeva nulla di simile, anzi il suo viso sembrava perfino più serio del solito; poi si chiese se l'ospite non fosse per caso impazzito di colpo, e con terrore lo guardò intensamente; ma gli occhi dell'ospite erano perfettamente limpidi, in essi non c'era il fuoco selvaggio, inquieto, che guizza negli occhi di un pazzo, tutto era normale e a posto. Per quanto Manilov si scervellasse pensando a come doveva comportarsi e a cosa doveva fare, non trovò niente di meglio che soffiare dalla bocca il fumo che vi era rimasto, in un filo sottilissimo.

   Manilov restò a lungo sul terrazzino d'ingresso, accompagnando con gli occhi la carrozzella che si allontanava, e anche quando non si vide più del tutto continuò a restar lì a fumare la pipa.
Quell'idea la sua testa non riusciva proprio a digerirla: per quanto la rivoltasse, non c'era verso di spiegarsela, e così continuava a restar seduto e a fumare la pipa, il che si protrasse fino all'ora di cena.......


(http://www.davidlouisedelman.com/wp-content/uploads/writer-smoking-pipe.jpg)




Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 03 Marzo 2009, 20:49:59
Italo Svevo

Una vita

La sera prima della partenza, Giuseppina gli raccontò che Faldelli l'aveva presa al suo servizio e che le aveva descritto quanti mutamenti egli volesse fare nella casa. Il nuovo padrone avrebbe utilizzata quell'abitazione meglio di quanto non avessero saputo fare i Nitti. Intanto la parte che i Nitti avevano completamente abbandonata doveva essere per lui la più utile: - Nelle mani di costoro, - aveva detto a Giuseppina, - questo era un capitale morto. - Ciarlava volontieri dei suoi piani come tutti gli uomini intraprendenti.
Alfonso venne quasi cacciato dalla casa. Alla mattina alle quattro lo svegliò il Faldelli in persona e lo avvisò che gli avrebbe permesso di continuare a dormire e che veniva soltanto a chiedergli di poter accatastare in quella camera tutti i mobili che c'erano nella casa. Alfonso si alzò e prima di recarsi alla stazione stette per una mezz'ora a guardare gli operai che trasportavano in quella camera dei mobili ch'egli neppure rammentava che più esistessero.
- La vuole lei? - chiese Faldelli porgendogli una pipa lunga, di legno, con una testa di schiuma.
Egli la riconobbe. Il padre non l'aveva usata negli ultimi anni di sua vita e perciò era un ricordo dei più begli anni, quando in casa i genitori avevano avuto la salute e lui la prima gioventù. Non l'accettò per superbia, ma volle mostrarsi riconoscente a Faldelli e si congedò da lui stringendogli affettuosamente la mano. L'altro fu gentile ma distrattamente, e tutto ad un tratto lo abbandonò per lanciare una bestemmia e un calcio a un contadino che movendo il tavolo aveva rotto una lastra della porta. Alfonso sorrise vedendo che quando Faldelli si stendeva tutti i vestiti gli divenivano troppo corti; abitualmente vi si teneva raggrinzito.

(http://pro.corbis.com/images/BE037718.jpg?size=67&uid=%7BAAE589DD-75D1-47CF-8777-7471D521D593%7D)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Marzo 2009, 19:06:15
continua la serie dei classici, pipa e sfigati....

Federico De Roberto

Nacque a Napoli nel 1861, da Federico senior, ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie e dalla nobildonna catanese Marianna Asmundo.
Fu presto conosciuto negli ambienti di intellettuali per la sua attività di consulente editoriale, di critico e giornalista
Egli infatti diresse dal 1881 al 1882 la rivista "Il Don Chisciotte" e dal 1882 al 1883 iniziò la collaborazione con "Il Fanfulla della domenica" sotto lo pseudonimo di Hamlet.
Decisivo fu per De Roberto il trasferimento a Milano nel 1888 dove fu introdotto da Verga nella cerchia degli Scapigliati, e conobbe Emilio Praga, Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa e Giovanni Camerana, consolidando sempre più la sua amicizia con lo stesso Verga e Capuana.
Nel periodo del suo soggiorno milanese collaborò al Corriere della Sera e pubblicò diverse raccolte di novelle e romanzi, fra i quali quello che è considerato il suo capolavoro, I Viceré, nel 1894.

Processi verbali  1889

E la donna, alzato il bicchiere ricolmo, lo vuotò d'un fiato. Michele Cardullo non rispose. Ripuliva la sua pipa col coltello da tasca dalla lama acuminata e ogni tanto sollevava gli occhi, girando uno sguardo per la corte dell'osteria, dove un crocchio di curiosi, intorno ai giuocatori di boccie, stavano intenti ai colpi.
- Tu non bevi?... Cos'hai?
Allora Cardullo si rizzò sulla seggiola, conficcò il coltello sulla tavola così forte che fece tremare i bicchieri, ed esclamò:
- Lasciami stare, Selina; sangue di Giuda!...
La donna spalancò gli occhi, si chinò dalla sua parte e lo prese pel braccio, mormorando:
- Michele!... Che cos'hai?... Mi fai paura!... Oggi non sei al tuo solito; me n'ero accorta: non parlavi, non scherzavi...
Lui scuoteva la testa, guardando di sottecchi verso un tavolo vicino, dove Rizzotto e Lalumìa giuocavano a briscola, con le carte in aria; intanto che l'altra, carezzandogli il braccio ed abbassando ancora la voce, con una intonazione amorosa, riprendeva:
- Dimmelo, cos'hai... Se non lo dici a me, a chi vuoi dirlo?... Michelino?...
- Cos'ho? - fece lui, liberando finalmente il suo braccio e cavandosi il cappello a cencio per ricalcarselo sopra un orecchio: - Ho che da quindici giorni sono a spasso, capisci!... e se mi vuoto le tasche sotto sopra, sacra miseria! un soldo che è un soldo non ce lo trovo... questo ho, capisci?...

La carrozza partì, con un tintinnìo di sonagli. Le vie erano deserte e mezzo buie, con la metà dei fanali spenti. Di tratto in tratto, qualche passante, colle mani in tasca e la testa china, alzava un poco gli occhi a guardare verso il legnetto. All'ufficio del Dazio-Consumo, sotto il lampione, due guardie incappottate fumavano. Per la salita, la carrozze si mise al passo.
Trovato aveva accesa la sua pipa, ascoltando dal compagno il fatto della spedizione di Picanello...

Brasi Spataro, con la faccia all'aria e il fiasco attaccato alle labbra, badava a sorseggiare, e delle goccie di vino gli rigavano le guancie sporche di terra.
- Ah!... - Egli trasse un profondo sospiro di soddisfazione, si forbì la bocca col rovescio della mano ed esclamò: - Questa è trovatura che nessuno troverà!
- Ma il figliuolo del re?... - domandò Nunzio, col mento tutto giallo di sugo.
- Un momento...
Il vecchio mastro Menico, pulito che ebbe il suo coltello sulla manica della camicia, triturò dei mozziconi di sigaro, cacciò il tabacco nella pipa, cercò nel taschino del panciotto i zolfanelli di legno e ne accese uno strofinandolo sui pantaloni.
- Il figliuolo del re - riprese, fumando - scoperta che ebbe la trovatura, disse: «Oh! adesso la sbanco!...».
Il piccolo Nunzio e gli altri ragazzi si sbellicavano dalle risa, e i manovali sorridevano anch'essi, con la bocca piena, o accendendo le pipe, come finivano di merendare.
- Questo è per dire, - commentava adesso assennatamente mastro Menico, appuntandosi l'indice sulla fronte - che a cercare i tesori nascosti si perde il tempo e la fatica, e che la vera trovatura sono un paio di braccia forti e il giudizio nel cervello.
- Giusto, - confermava Spataro, riempiendo anch'egli la sua pipa. - Ma se uno trovasse dei quattrini, come se vincesse un terno, cosa dovrebbe fare, guardarli e lasciarli lì?
- Tu ne hai trovato mai?
- I danari sono carta sporca!
- E il barone di Donnatrovata?...
Il padrone del palazzo che buttavano giù per rifabbricarlo di sana pianta, il barone di Donnatrovata anche lui, che cosa ne faceva delle sue ricchezze? Quello non era un imprenditore arricchito; era un signore figlio di signori, nato nella bambagia, tirato su a zuccherini, e con tutti i malanni che aveva addosso i suoi denari se li godevano i medici e gli speziali...

- Ma la salute non si compra!
- Quando c'è la salute, c'è tutto!
- Io sono meglio del barone, - riconobbe Spataro, fumando beatamente, come un turco, e incrociando le braccia sotto il capo, a modo d'origliere. - Piuttosto pane e cipolla ma lo stomaco sano. Fin quando c'è gioventù, non c'è bisogno d'altro...
- Lo sai dire anche te?... - domandò in quel punto Santavita, venendo a riposarsi un istante fra i suoi operai, cavandosi il cappellaccio e annodandosi intorno al collo un fazzoletto diventato color della terra. - La cerchi ancora, la trovatura?
- Che cosa ho da farne, della trovatura? Io lavoro e mangio; quando non potrò più lavorare, provvederà Dio.
- Bravo!... Poi, se anche la trovassi, la trovatura non sarebbe tutta per te.
- Questo lo so!... Ma io la dividerei cogli amici: tutti allegri, festa grande!...
- Adesso dimmi una cosa: l'orologio tu l'hai sempre nell'orecchio quando si tratta di levar mano; quando è l'ora di rimettersi al lavoro che cosa fa, si ferma?...
I manovali ridevano allo scherzo del principale, mentre Brasi Spataro si levava in piedi, precipitosamente, ricacciava la pipa nella tasca dei pantaloni, e si riboccava le maniche, esclamando:
- Come, sangue d'un cane?... Eccomi qui: che cosa bisogna fare?...


(http://www.josephhaworth.com/images/Fellow%20Actors/Edwin%20Booth/Edwin%20Booth-sitting%20in%20chair%20smoking%20pipe-Engraving-B&W-Resized.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2009, 23:07:02
Pochi frammenti d'autori immortali

Schiller Friedrich

IMasnadieri

La scintilla del fuoco di Prometeo si è spenta, e oggi viene sostituita dalla fiamma dello zolfo, un'innocua fiamma da teatro che non è in grado di accendere una pipa. Adesso tutti saltano come i topi sulla clava di Ercole e studiano le ossa del suo cranio per capire cosa avesse nei testicoli. Un abate francese ci insegna che Alessandro era un coniglio; un professore tubercolotico che, ad ogni parola, annusa un flacone di sali ammoniacali, tiene una conferenza sulla forza; i maschi alti e robusti che svengono quando hanno fatto un figlio si permettono di criticare la tattica di Annibale; i ragazzi malati di otite pontificano a vanvera sulla battaglia di Canne, e le vittorie di Scipione li fanno piagnucolare quando sono obbligati ad esporle correttamente.


Scott Walter

La Sposa Di Lammermoor

All'opposto della triste situazione domestica di Wolf's Crag, un fuoco crepitante ardeva sotto il camino del bottaio. Sua moglie, da un lato, nel suo vestito domenicale dalle maniche adorne di trecce di perle, dava gli ultimi tocchi al suo abbigliamento contemplando il suo volto molto bello, con una espressione compiaciuta, in uno specchio rotto appoggiato sulla rastrelliera dove erano disposti i piatti. Sua madre, la vecchia Luckie-the-Dyke, «una donnetta allegra» come si affermava per venti miglia all'intorno dalle comari pettegole, sedeva vicino al fuoco nella piena magnificenza di una veste di grograin, una collana di ambra, ed una nitida cuffietta e mandava boccate di fumo da una lucida pipa, sorvegliando i lavori di cucina. Poiché - vista ancor più interessante per l'ansioso cuore e le bramose viscere del disperato siniscalco di qualsiasi formosa dama od allegra comare - bolliva, sullo scoppiettante focolare, una grande pentola, o piuttosto un caldaio, fumante e odorante di manzo e minestrone;

«Nemmeno un tizzone acceso, se non un pezzetto di torba e probabilmente una scintilla della pipa di Mysie,» rispose Caleb.
   «Ma l'incendio?» domandò Ravenswood, «quella grande fiammata che si sarebbe potuta vedere a dieci miglia distante... che cosa l'ha provocata?»
   «Che cosa l'ha provocata? C'è un vecchio proverbio:
               Piccola fiamma splende luminosa
   quando la notte intorno è tenebrosa.




Luigi Pirandello


LA VITA NUDA

Non più di due mesi dopo, nello studio del Pogliani, ingombro già d'un colossale monumento funerario tutto abbozzato alla brava, Ciro Colli, sdrajato sul canapè col vecchio camice di tela stretto alle gambe, fumava la pipa e teneva uno strano discorso allo scheletro, fissato diritto su per la predellina nera, che s'era fatto prestare per modello da un suo amico dottore.
Gli aveva posato un po' a sghembo sul teschio il suo berretto di carta; e lo scheletro pareva un fantaccino su l'attenti, ad ascoltar la lezione che Ciro Colli scultore-caporale, tra uno sbuffo e l'altro di fumo gl'impartiva:
- E tu perché te ne sei andato a caccia? Vedi come ti sei conciato, caro mio? Brutto...

(http://www.ramshornstudio.com/d545c240.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Marzo 2009, 23:14:01
Un altro degli "scapigliati" e ancora un po' di pipa e corna....

Luigi Capuana

(Mineo, 28 maggio 1839 - Catania, 29 novembre 1915) è stato uno scrittore, critico letterario e giornalista italiano, teorico tra i più importanti del Verismo.
nel 1860 per prendere parte all'impresa garibaldina in funzione di segretario del comitato clandestino insurrezionale di Mineo
Risale al 1861 la leggenda drammatica in tre canti "Garibaldi" pubblicata a Catania dall'editore Galatola.
Nel 1864 si stabilisce a Firenze per tentare "l'avventura letteraria" e vi rimarrà fino al 1868.
A Firenze frequenta gli scrittori più noti dell'epoca, tra i quali Aleardo Aleardi e nel 1865 pubblica i suoi primi saggi critici sulla "Rivista italica", diventando nel 1866 critico teatrale della "Nazione".

SCURPIDDU

Dai pioppi vicino al beveratoio arrivava, quasi squillante, il canto di un usignuolo. Il Soldato, che finiva allora di governare le mule, fermàtosi in mezzo alla spianata davanti la stalla per accendere la pipa, era rimasto ad ascoltare, deliziato.
- E tu, non vai ad accovacciarti, Scurpiddu? - egli domandò, scorgendolo seduto su un sasso, vicino al cancello del pollaio.
- Ora vado.
Ma non si mosse,
- Senti quest'usignuolo? Esso dovresti imitare invece del cane, del gatto e dei tacchini!...Neppur con lo zùfolo riesciresti!... Come non sei riuscito ad imparar bene a lèggere.
- O che è stato colpa mia?
- Fra giorni riprenderemo. E voglio fare una scommessa.
- Con chi?
- Con te. Insegnerò anche a Sbirro, il cane di guardia; apprenderà prima lui, che tu. Vuoi scommettere?
Scurpiddu fece una spallucciata:
- Se non sa neppure abbaiare! Abbaio meglio io: Bau! Bau! Bau!..Non è forse vero?
Sbirro avea risposto dalla terrazza con voce roca e ringhiosa. Senza dubbio Scurpiddu abbaiava meglio.
- Va' a dormire e non fare il buffone!
La luna sorgeva lentamente dietro il dorso scuro delle colline.
- Guardate, Soldato, come è grande la luna! Vi piacerebbe un pane tondo così?
- Lo vedi il cielo? Ti pare che finisca là, su le colline: arrivi là e il cielo non finisce mai. Acqua, acqua, acqua... .come il cielo! Così è il mare.
- E i tacchini? Dove pascolano? Non c'è tacchini da quelle parti?
- Nel mare ci sono i pesci che brùlicano... E più se ne prende e più ce n'è. I tacchini pascolano nelle campagne come queste... Che fai?
- Voglio vedere dov'è lo zi' Girolamo coi buoi.
- Che te n'importa? Vieni qua. Caccia i tacchini più avanti.
Tutte le precauzioni del Soldato però riuscirono vane. Egli si era steso su l'erba, fumando; e il sonno gli aveva fatto la burla di afferrarlo all'improvviso, a piè dell'ulivo, con la pipa in bocca.

GIACINTA

- Gran donna quella sua moglie! Aveva energia per cento. Lui si mescolava poco nelle cose di casa. Quando aveva consegnata alla moglie l'intiera mesata dello stipendio d'impiegato alla Prefettura, si sentiva sgravato da un peso. Pur che gli rimanesse qualche soldo in tasca pei sigari, pel tabacco da pipa e per la partita di tressette al caffè, a lui come lui non gli occorreva altro. - Tiravano innanzi, col provento dell'impiego e con alcune rendite dotali della moglie pagate esattamente da un parente di lei che stava a Parigi o viaggiava pel mondo: non lo conosceva neppur di vista. - Basta. L'abilità di quella donna moltiplicava i quattrini. Pel loro stato, non c'era male. Destavano invidia.
Il contadino stava a sentirlo, zitto, pensando che forse il cugino aiutava la signora a sbarcare il lunario:
- E il marito chiude un occhio, com'usa in città.

(http://img176.imageshack.us/img176/8579/142pip15e118dzy6.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Marzo 2009, 19:40:31
Ancora quel gruppo e periodo......
(in due post perchè non mi consente un post unico)

Grazia Deledda

(Nuoro, 27 settembre 1871 - Roma, 15 agosto 1936) vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.
in bilico tra l'esercizio poetico e quello narrativo si ricordano, tra le prime opere, Paesaggi edito da Speirani nel 1896. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze conosciuto a Cagliari nell'ottobre del 1899, la scrittrice si trasferì a Roma e in seguito alla pubblicazione di Anime oneste del 1895 e di Il vecchio della montagna del 1900, oltre alla collaborazione sulle riviste "La Sardegna", "Piccola rivista" e "Nuova Antologia", la critica inizia ad interessarsi alle sue opere, che vantano prefazioni di nomi quali Ruggero Bonghi e Luigi Capuana.
Nel 1903 pubblica Elias Portolu che la conferma come scrittrice e la avvia ad una fortunata serie di romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L'edera (1906), Sino al confine (1911), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L'incendio nell'oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922).
Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.
La sua opera fu stimata da Capuana e Verga oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Pietro Pancrazi e Renato Serra.

La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.
Grazia Deledda fu anche traduttrice, sua infatti una versione di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.

L'incendio nell'oliveto

La malattia della parente fu lunga. Nina andava e veniva, e quando la malata si aggravava, passava la notte presso di lei: nei primi giorni pareva quasi si divertisse, tornava a casa col viso fresco, gli occhi ridenti, e raccontava che, sebbene con la febbre alta e in pericolo di vita, zia Paschedda si preoccupava per le cose domestiche e non si fidava che di lei.
«Quando non ci sono io è più grave del solito, benché il vecchio non si muova più di casa. Sta lì seduto sulla cassa, a intagliare una pipa di radica, e quando zia Paschedda va un po' meglio, le racconta storie e storielle. Anch'io lo ascolto con gusto: parla e poi d'un tratto pare si burli di chi l'ascolta, ma le cose che dice sono piacevoli. È un uomo furbo!»
Anche Mikedda veniva ogni tanto mandata a prendere notizie della malata. Al ritorno raccontava le meraviglie e l'abbondanza della casa dei Mura, guardando con malizia Annarosa. Un giorno disse di aver veduto zio Predu a fumare seduto in cucina, mentre la padrona Nina preparava sulle brage del focolare una bevanda calda per la malata.
«Gli occhi gli lucevano attraverso il fumo della pipa, come due stelle fra le nuvole. Sta a vedere che, se muore zia Paschedda, il matrimonio è un altro!»
La vecchia padrona prendeva sul serio le sue chiacchiere e dava avvertenze alla nuora.
«Gli uomini sono tutti uomini. Sta attenta. Forse il vecchio vuol provarti per vedere se sei una donna seria.»
La nuora non sorrise neppure, non si sdegnò; anzi si fece seria come per obbedire alla vecchia. D'altronde la malata si aggravava e zio Predu perdeva la voglia di chiacchierare e di scherzare.
«Sta seduto sulla cassa, in faccia al letto della moglie», raccontava Mikedda, «col braccio appoggiato al bastone e la pipa spenta in bocca; aspetta sempre la visita del medico e non si cura d'altro. Sì, è un uomo che vuol davvero bene a sua moglie.



Sole d'estate

LEONE O FAINA

- È di moda, adesso, difendere il leone. Buono, generoso, non attacca, anzi fugge l'uomo, a meno che non si tratti di difendersi. Ha persino paura delle spine. La sua terribilità consiste nella forza strapotente che Dio, o la natura, gli ha donato. Non esiste, negli animali, forza maggiore. Ma vedi come la natura è provvida: quando per nutrirsi o per difendersi il leone dà l'assalto alla sua vittima, sia pure, mettiamo, un poderoso vitello gli rompe con una sola zampata la spina dorsale, in modo che lo uccide immediatamente, senza farlo soffrire: poi gli succhia il sangue dalla gola, perché, anzitutto, ha sete, la famosa sete desertica: inoltre, pare gli piaccia la carne dissanguata. La faina, invece...
- Non hai storie più allegre, da raccontarmi, stasera? - dice l'amico, un poco stanco per la lunga giornata d'ufficio, ma pur beato della sua pipa, della tranquillità della saletta da pranzo, e sopra tutto della presenza del suo grande, furbo, soddisfatto amico. Implacabile, questi continuò:
- La faina, invece, così piccola, malleabile, anche graziosa a vedersi, salta sul dorso della sua vittima, per lo più la mite amabile lepre, e le si attacca alla nuca, succhiandole il sangue, mentre quella continua a correre. Così si fa anche una bella galoppata. E adesso, mio caro Giovannino, ti racconterò, come tu desideri, una storiella più allegra. Tua moglie...
- Ah, - mugola l'altro, mordendo il cannello della pipa coi suoi detestabili denti guasti, - la zampata del leone? Mia moglie s'è preso l'amante?
L'amico sorride, un forzato sorriso di satiro, mostrando i grandi denti d'alabastro, sani e forti.
- Si tratta di meglio: di molto meglio.
- Succhia, succhia pure il sangue del povero vitello.
L'amico scuote la testa, davvero leonina, guardando in alto: segue un silenzio crudele, mentre il marito, d'altronde separato legalmente dalla moglie, ha l'impressione, beffarda, sì, ma in fondo anche penosa, che un fatto catastrofico gli stia per accadere.

Il sigillo d'amore


LA RIVALE

Quindici giorni precisi dopo quello delle nozze la sposina si accorse per la prima volta che il marito la tradiva.
Erano andati in montagna, forse per vedere più da vicino la famosa luna di miele; non in una delle solite pensioni dove le nuove coppie sono invidiate, spiate e spesso prese in giro, ma in casa di una vecchia paesana che era stata un tempo a servizio presso la famiglia dello sposo: tutta la casetta, in mezzo a un fitto bosco di castagni, era a loro disposizione.
Luogo più bello non poteva inventarsi per due giovani sposi innamorati come gatti: e come felini essi passavano la giornata fra i cespugli, nell'ombra odorosa di funghi, tra i fiori lisci e dorati che brillavano come ceri nella penombra del bosco e non partecipavano all'amore che li sfiorava con la mano della sposa.
La vecchia preparava i pasti che erano quasi sempre a base di funghi, squisiti ed eccitanti. A mezzogiorno gli sposi mangiavano nella cucina fumosa, che sembrava un'antica cucina fiamminga: di sera preferivano le camerette al piano superiore perché la cucina si riempiva di figure rosse e nere, di maschiacci giovani e vecchi, marito, figli e parenti della vecchia, tutti rudi boscaiuoli che tornavano dalla selva dove tutto il giorno avevano tagliato e fatto rotolare lungo il torrente grossi tronchi d'alberi, e dopo aver mangiato come lupi, bevevano, e fumavano la pipa.
L'odore della pipa, sopratutto, dispiaceva alla sposa; la raggiungeva fino alla camera nuziale e le dava nausea.
Anche lo sposo non fumava che sigarette profumate, e pochissimo del resto. Nella seconda settimana di matrimonio cominciò però a fumare un po' di più: evidentemente cominciava ad annoiarsi: e la sposa, col suo finissimo intuito di donna innamorata, se ne accorse.
La sua prima gelosia fu dunque per la sigaretta del marito, sebbene anche lei, riguardo a fumare sigarette, non scherzasse.
Inoltre il tempo si fece brutto: e allora, aspettando che il tempo tornasse bello, i due sposini, quando non avevano di meglio da fare, fumavano e fumavano. Il guaio era che nei giorni di pioggia forte gli uomini non andavano a lavorare: riempivano la cucina con le loro figure tumultuose e col fumo delle loro pipe: qualcuno saliva anche nelle camere di sopra, e allora tutta la casa tremava per quei passi di gigante ferrato. I due sposi quindi dovevano restarsene nella camera nuziale, quasi tutta occupata dal letto che pareva proprio un monumento, e il fumare e il resto non bastava a dissipare la loro noia.
Anzi avevano deciso di partire, se il tempo continuava così.
Una sera la sposa andò a letto presto. Era raffreddata e la vecchia le preparò una bevanda calda, di fiori secchi misteriosi, che realmente le diede subito un senso di benessere e di sonnolenza dolce come quello provocato dall'aspirina.
Allora lei stessa pregò lo sposo di andar fuori, nel paese, in una pensione dove si faceva della musica, o dove lui voleva.
Egli preferì scendere nella cucina della vecchia, fra quei bei tipi di montanari, alle spalle dei quali voleva divertirsi.

Tornò su tutto pregno dell'odore delle loro pipe. La sposina dormiva e sudava, e non si accorse che vagamente della cosa: sognò, cioè, che anche lei fumava la pipa.
I guai cominciarono la sera dopo, quando egli le consigliò di andarsene ancora a letto presto e di prendere la bevanda sonnifera, e lui tornò giù di sua spontanea iniziativa.
Nel suo dormiveglia ella pensava che razza di divertimento poteva procurare la compagnia di quei zoticoni puzzolenti di vino e di cattivo tabacco, dei quali, del resto, non si capiva il linguaggio ostrogoto.
Ma la mattina dopo vide, con una prima puntura di gelosia, una bellissima donna la cui presenza pareva illuminasse la nera cucina. Era vestita con un costume quasi zingaresco, rosso e viola, con catenelle, medaglie di rame, spilloni raggianti sulla torre dei capelli d'un nero verdognolo. Anche gli occhi erano verdi, nel viso bianchissimo, d'una trasparenza straordinaria. Alta e forte, sembrava infine una degna fata di quelle selve ancora primordiali, nata coi funghi e le orchidee selvatiche in mezzo ai borri muschiosi.
Era una nuora della vecchia, venuta da un paese più giù sotto la montagna.

Arrivata la sera lo sposo rinnovò alla sposa l'invito di andarsene a letto.
Ella si ribellò.
- Se tu vuoi andare vai - disse con una voce sorda che non pareva la sua. - Io sto su alzata a leggere.
Rifiutò anche la bevanda che la faceva dormire: aveva l'impressione che la vecchia e lo sposo fossero d'intesa contro di lei per un'azione malefica.
Egli rimase. Rimase, ma era di un umore tetro, col viso cattivo e gli occhi stralunati. Nel silenzio si sentiva di tanto in tanto come uno sbattere arrabbiato di ali: erano le pagine dei giornali che gli sposi leggevano.
Infine risonò anche una specie di piccolo ruggito: era l'uomo che sbadigliava.

Questa melanconia durò per qualche sera: di giorno, poi, egli trovava sempre scuse per allontanarsi dalla sposa, ed ella osservava con crescente angoscia che ciò avveniva quando la donna vestita di rosso e viola non era a casa. Un giorno, infine, si accorse con orrore che egli, al ritorno da queste gite misteriose, puzzava tutto di tabacco da pipa, odore del quale erano impregnati i capelli e le vesti della presunta rivale.

Allora ella decise di fare una prova.
Venuta la sera, richiese la bevanda e finse di andarsene a letto, accusando una recrudescenza del suo raffreddore. Poi consigliò al marito di uscire; ed egli uscì come un gatto al quale dopo una lunga reclusione in casa, viene aperta la porta su un giardino pieno di altri gatti.
Ella palpitava e sudava.
Piano piano si alzò, si rivestì, scese scalza al buio la scaletta di legno, penetrò nella cameretta terrena sulla quale dava l'uscio della cucina.
L'uscio era spalancato: e ciò ch'ella vide non lo dimenticò mai più.
I boscaiuoli avevano finito di cenare e sulla tavola si vedevano ancora le stoviglie grigie fiorite d'azzurro, con avanzi di polenta e di sugo rossiccio, e i boccali per il vino compagni alle stoviglie.
La vecchia e la nuora s'erano già alzate di tavola: in mezzo agli uomini, giovani e vecchi, rossi e neri, chi barbuto chi calvo, tutti col bicchiere in mano e la pipa in bocca, come Gesù fra gli apostoli sedeva il biondo e pallido sposo, e anche lui, con gli occhi nuotanti in un languore di voluttà, fumava una corta pipa di radica in colore delle castagne.

BIGLIETTO PER CONFERENZA

- Marco mio, coccolino, piccolino, mammolino - cominciò a susurrare aggirandosi intorno al marito, mentre lui, mangiato bene e bevuto meglio, si disponeva a fumare la sua pipa. Era il momento psicologico, lei lo sapeva, e quell'omaccione tutto d'un pezzo, becero e sentimentale, lo si poteva prendere con una semplice rete di paroline dolci e ridicole.
- Be', lasciami in pace - egli disse, calcando la punta nera del pollice sulla pipa ripiena. - Lo sappiamo che vuoi qualche cosa: sbrigati e smettila con le scempiaggini.
Ella gli tolse un capello grigio dal bavero della giacca e si appoggiò con tutte e due le mani sull'omero di lui.
- Marco, lo sai, ho bisogno di un vestito. Lasciami spiegare. Ho bisogno del solito vestito di mezza stagione, però fa già caldo non senti? E io sono nervosa e non ho la pazienza di sottomettermi alle torture che mi infligge con le sue prove e riprove quella smorfiosa della mia sarta. E poi lei mi dà così ai nervi col suo eterno chiacchierare, col suo Parigi di qua Parigi di là, lei che non è stata mai neppure a Frascati. Tu devi preoccuparti della mia salute, Marco, se non altro perché io sono necessaria alla famiglia, e se manco io neppure ti sogni quello che può succedere qui. Perché io il mio dovere lo faccio, come nessuna altra donna al mondo, e sono contenta di farlo, e sono felice di vivere e di lavorare, per te, per tutti: e non ho grilli per la testa, e non sono leggera né vanitosa né bugiarda, come sono le altre donne. Questo non per vantarmi, ma insomma per dire che qualche riguardo anche alla mia salute si deve avere. Io non me la sento, dunque, di sottopormi adesso al supplizio di farmi fare il vestito dalla sarta, che poi me lo finirebbe per l'altra mezza stagione. Ho bisogno di comprare subito il vestito già bell'e fatto.
Respirò, come dopo una corsa vertiginosa, e anche il marito respirò. Aveva temuto di peggio, tanto che, sotto quella sottile pioggia di parole non s'era deciso ad accendere la pipa come si trovasse sotto una pioggia vera: però, conoscendo anche lui a fondo la sua donnina, presentì subito qualche birbonata di lei.
- Comprati pure il vestito, - disse con la sua solita voce calma e sonora, - ma adesso lasciami fumare in pace.

(http://warart.archives.govt.nz/files/images/NCWA_Q00359.preview.jpeg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Marzo 2009, 19:42:02
Deledda 2

Il flauto nel bosco


I BENI DELLA TERRA

Quello che dapprima per scherzo, poi per abitudine, e alcuni infine con convinzione chiamavano l'Apostolo, se ne stava a fumare la Favorita, la pipa dei giorni buoni, nel suo magnifico giardino, quando il giardiniere venne a dirgli che una Commissione di persone di servizio domandava udienza.
- Cosa sono, maschi o femmine? - egli domandò, levandosi la pipa di bocca e sputando su una rosa lì accanto.
- Servaccie - rispose con dispetto il vecchio giardiniere che non amava si mancasse così di riguardo ai suoi fiori. - E se fosse in me non le riceverei, perché ritengo vogliano venire qui dentro solo per curiosità, del giardino - aggiunse subito, poiché vedeva il grande viso barbuto del padrone e i suoi occhi celesti colorarsi di sangue.

- Fa subito passare. Via!
E il vecchio se ne andò come cacciato da un colpo di scopa, pensando ancora una volta che il padrone, se era l'apostolo di tutti i mascalzoni dei dintorni, per lui che da trenta anni lo serviva fedele e schiavo, era l'anticristo in persona.

La Commissione, composta di quattro donne, una vecchia, la seconda anziana, la terza giovane e l'ultima infine quasi ancora bambina, si avanza in fila, sullo sfondo chiaro del viale delle rose. Tre delle donne sono vestite di nero, l'adolescente di rosso, con le lunghe gambe che sembrano nude, capelli neri corti di qua e di là dei lunghi occhi bistrati.
L'apostolo tornò a farsi rosso, nel vedere quest'ultima: si tolse di nuovo la pipa di bocca e di nuovo sputò sulla rosa come avrebbe voluto farlo su quella promettente fanciullezza.
- Sedetevi - disse burbero alle donne, accennando la panchina accanto al tavolino di marmo dove su un vassoio stava la sua collezione di pipe.
- Si tratta - cominciarono a una voce le tre più vecchie.
- Una per volta!
Allora fu solo la più vecchia a parlare.
Si trattava di organizzare le donne di servizio, che mentre in tutto il mondo dettavano legge, qui venivano ancora mal pagate e trattate come bestie.
Egli fu per gridare: perché lo siete; ma si frenò. Fu anche per dire che se la paga loro non bastava era perché si vestivano e si calzavano come quella piccola sgualdrina lì; ma si frenò. Era un uomo prudente, e solo per questo, forse, era considerato come un grande uomo saggio.
- Vostra Signoria ha messo a posto tutti i disgraziati del circondario; persino gl'imbianchini e gli accalappiacani devono la loro fortuna a lei. Perché non deve provvedere anche alla nostra classe?
- Sarà un'opera altamente morale e sociale - disse l'anziana con enfasi.
La giovine scoppiò a ridere: e fu come lo spaccarsi di una melagrana: risero tutte, in coro, e l'apostolo vide che gli occhi della piccola erano verdebruni come l'agata, e i suoi dentini bianchi e intatti la cosa più pura del mondo.

In breve tempo egli dunque organizzò e rese potente e rispettata la classe delle serve. Le radunò a comizio nel suo giardino, le esortò una per una ad essere solidali e consapevoli dei loro diritti e della loro forza. Così si procurò l'odio e la maldicenza della rispettabile ma disorganizzata classe delle padrone di casa.
Però quando i suoi servi, il giardiniere, la cuoca e la cameriera che lo servivano da secoli, domandarono anch'essi l'aumento della mercede e i giorni di libertà accordati agli altri, rispose che se non erano contenti se ne andassero; ed essi naturalmente rimasero.

Un giorno venne solo la piccola serva, a portare una lettera. Questa volta egli stava nel suo grande studio con le vetrate aperte sul giardino che in quel mattino di giugno pareva, così fitto di rami tremolanti sull'azzurro, di rampicanti, di fiori di corallo, il fondo del mare.
Fatta entrare la ragazza, la squadrò da capo a piedi con disprezzo iroso, poi le domandò:
- Ma sei proprio al servizio tu? E non ti vergogni, allora, di andare vestita così, come una donna perduta?
- È la mia signora che mi regala i suoi vestiti vecchi, - ella rispose umilmente, - perché lo stipendio lo devo dare tutto a mia mamma vedova...
- Basta, basta, sappiamo la storia. E di' alla tua signora, da parte mia, di farsi i vestiti più scuri e più lunghi.
- Sissignore.
- E intanto che scrivo la risposta, va un po' in giardino a prendermi la pipa.
Ella uscì, inciampando sul tappeto; si smarrì nelle stanze attigue, ma non si diede per vinta; saltò da una finestra e corse nel giardino finché trovò il vassoio con le pipe: quale prendere, però? Ricordò che quella da lui adoperata quel giorno della Commissione aveva un piccolo teschio d'argento sulla coppa bruna: la trovò e la prese fra due dita, con un fulgore di gioia negli occhi perversi, come quando si prende una farfalla.

Qualche tempo dopo entrò al servizio in casa dell'apostolo. Disimpegnava ottimamente le sue mansioni di cameriera, svelta, pronta, silenziosa; eppure nessuno si fidava di lei. Il giardiniere specialmente la teneva d'occhio; apriva e chiudeva lui il cancello quando lei usciva, e la frugava con gli occhi fin sotto le vesti.
Il padrone la maltrattava.
- Forse credi di essere entrata nel regno dei cieli? - le diceva. - I beni della terra son tutti radunati qui, sì, ma non fanno per te.
Lei taceva.
Un giorno rovesciò il vassoio con le pipe; egli le si gettò addosso, con una mano le afferrò il ciuffo dei capelli tirandole indietro la testa, con l'altra la schiaffeggiò.
Ella balzò curva qua e là stringendosi fra le palme le guancie come avesse male ai denti, poi andò a fare il suo fagotto, e la cuoca la sentì brontolare:
- L'apostolo! Ammazzalo! Te lo darò io, però, l'apostolato: aspetta, aspetta...
Ma quando fu per andarsene, il giardiniere le disse che aveva ordine dal padrone di non aprire il cancello.
E di saltare i muri non c'era speranza perché altissimi: e sopra vi marciava l'esercito di alabarde della cancellata.

Sette anni ella stette in quella prigione, preparando giorno per giorno la sua conquista. Giorno per giorno prendeva possesso degli oggetti, se non delle persone, e strofinava i mobili con la cura, a volte dispettosa, con cui si ripuliscono i propri figli; e quando rimetteva a posto una sedia diceva: «sta lì», con l'impressione che quella rimanesse ferma al suo posto solo per obbedire a lei.
Il padrone adesso la trattava meglio e le concedeva qualche ora di libertà; ma quando ella rientrava le girava intorno come per sentire l'odore di dove era stata, con una gelosia animale.
S'era molto invecchiato in quegli ultimi anni, il padrone; invecchiava e si annoiava, perché nessuno aveva più bisogno di lui. La gente era tutta felice: tutti guadagnavano e si divertivano; i beni della terra, com'egli diceva, erano alla portata di tutti.
In fondo egli non si curava del prossimo. Divideva l'umanità in costellazioni: stelle fisse, pianeti, poi la via lattea delle folle inferiori. E i grandi astri fermi e felici non sono i re, né i potenti della terra, né i ricchi o i meschini gaudenti: sono gli uomini solitari che non escono di casa e la cui vita si aggira intorno a sé stessa nell'infinito spazio del suo essere.
Egli si credeva uno di questi.

Eppure quando la ragazza che gli preparava il bagno e gli stirava le camicie, gli annunziò che doveva sposarsi, provò un senso di smarrimento. Dove trovarne un'altra come lei, fidata, sottomessa anche alle botte, forte e silenziosa?
Eppoi non era solo questo: era una rabbia gelosa al pensiero che l'ultimo dei servi poteva godersi quella giovinezza in fiore, quel bene della terra, mentre lui, che doveva appena stendere la mano per coglierlo come un frutto del suo giardino, se lo lasciava portar via idiotamente.

Allora furono proposte e controproposte: offerte di denaro e d'altro. Ella non cedeva. Il suo bene non era da cedersi così, per poco. Più lei resisteva, più il vecchio s'infuriava; finché le propose di sposarla lui.

E fu così che il vecchio giardiniere assisté un giorno ad una scena straordinaria.
Il padrone stava seduto a fumare la pipa allo stesso posto dove un giorno aveva ricevuto la Commissione delle serve. Fumava, ma non più la Favorita dal teschio d'argento; non più da qualche tempo la Favorita: le provava tutte, le sue pipe, e di tutte sembrava scontento.
Ed ecco apparire in fondo al viale e avanzarsi rapida e concitata la giovane moglie. Anche lei era sempre concitata, dacché stringeva in pugno la fortuna: non lavorava più, ma neppure godeva come prima le ore di libertà, e il giardiniere aveva ordine dal padrone di tener più che mai chiuso il cancello.
Passando ella lo guardò coi suoi occhi verdastri annegati in una tristezza velenosa, ed egli ammiccò alle sue forbici da potare.
- Ben ti sta, ben ti sta: hai tessuta la tua ragnatela per sette anni, e lo stupido moscone vi è caduto dentro: goditelo, adesso, con la sua puzza di pipa e di vecchiume; goditelo bene, coi suoi denti neri che cadono quando ti bacia, e con tutto il resto.
Ella sente, si fa rossa di stizza, e va dritta verso il vecchio sposo dicendogli qualche cosa sottovoce. Che cosa gli chiede? Forse di mandar via il giardiniere, o d'impedirgli almeno di pensare come pensa.
L'uomo non risponde; continua a fumare rassegnato, prudente. Anche lei non grida, ma si agita convulsa, e d'un tratto sporge le mani con le unghie adunche, come il gatto infuriato: ed egli, che s'è già tolto la pipa di bocca nascondendola in tasca per salvarla da un pericolo imminente, si ritrae un po' smarrito guardandosi intorno non per paura di sé, ma che qualcuno veda.
Il giardiniere infatti accorreva, istintivamente, non sapeva se per spirito di solidarietà o di avversione, se per difendere o deridere il padrone.
La sua presenza non fece che inasprire la donna. Con una mano afferrò sulla nuca i capelli del marito, con l'altra lo schiaffeggiò sulla guancia sinistra. Poi, dritta e possente, aspettò che il suo nemico si avvicinasse, per fare altrettanto con lui.

(http://pro.corbis.com/images/U1080989.jpg?size=67&uid=%7B40572CC3-D5B0-4CEC-A65C-4BD44870D414%7D)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Marzo 2009, 15:10:36
Chi ha gettato uno scovolino usato sull'Orient Express? mistero..Poirot indaga con mille domande
chi sarà lo sporcaccione?
Addirittura sulla scena di un crimine,sarà l'assassino che si è fermato
a pulire la pipa con la sua vittima ancora calda fra i piedi?
Dopo aver ucciso una persona con una ventina di coltellate,
viene sempre voglia di pulire la pipa.
Peccato che su certe tracce non vi sia nome,indirizzo e codice fiscale, come su certi fiammiferi
nei gialli americani.


Agatha Christie

ASSASSINIO SULL'ORIENT EXPRESS

Qualcosa nel tono della sua voce stupì il medico. Ma prima che potesse
chiedere spiegazioni, Poirot si era chinato di nuovo sul pavimento.
Questa volta teneva sul palmo della mano un nettapipe.
- Forse apparteneva al signor Ratchett? - suggerì il dottore.
- Non c'era nessuna pipa nelle sue tasche e niente tabacco né borse
per tabacco.
- Allora è un indizio.
- Oh! Senza dubbio. Ed è stato lasciato di nuovo molto cortesemente.
Questa volta un indizio maschile, notate bene! Non ci si può lamentare
di non avere indizi in questo caso. Qui ci sono indizi in abbondanza.

- Adesso, monsieur, ripensate a quanto è accaduto - disse Poirot. -
Fuori faceva freddo. Siete risalito in treno. Vi siete seduto di
nuovo, avete fumato, forse una sigaretta, forse una pipa...
S'interruppe per una frazione di secondo.
- Io la pipa... MacQueen fumava sigarette.
- Il treno riparte. Voi fumate la vostra pipa. Discutete la situazione
europea... mondiale. Ormai è tardi. La maggior parte della gente si è
ritirata per la notte.

- Proprio così - disse Poirot. Piombò in meditazione, tamburellando
lievemente sul tavolo. Poi alzò lo sguardo. - Il colonnello Arbuthnot
fuma la pipa - disse. - Nello scompartimento di Monsieur Ratchett ho
trovato un nettapipe. Monsieur Ratchett fumava solo sigari.
- Credete...?
- E' l'unico, fino a questo momento, ad ammettere di fumare la pipa. E
sapeva del colonnello Armstrong, forse lo conosceva perfino, sebbene
non voglia confessarlo.
- Dunque ritenete possibile...?
Poirot scosse energicamente il capo.

No, signor Poirot, dovrete aspettare di poter telegrafare a New York
quando smette di nevicare. Ma posso assicurarvi che non vi racconto
una storia. Be', arrivederci, signori. Felice di avervi conosciuto,
signor Poirot.
Poirot gli offrì una sigaretta. - Ma forse preferite la pipa?
- No davvero. - Si servì e si allontanò di buon passo.
I tre uomini si guardarono.
- Vi sembra autentico? - chiese il dottor Constantine.
- Sì, sì. Conosco il tipo. Inoltre è una storia che si potrebbe
smentire molto facilmente.

Il controllore rimise a posto i bagagli e passarono nello
scompartimento successivo. Il colonnello Arbuthnot sedeva in un angolo
a fumare la pipa e a leggere una rivista. Poirot spiegò il loro
compito. Il colonnello non fece difficoltà. Aveva due pesanti valigie
di cuoio.
- Il resto del mio bagaglio l'ho spedito per mare - spiegò.
Come la maggior parte dei militari, il colonnello sapeva fare i
bagagli. L'esame del suo non richiese che pochi minuti. Poirot notò un
pacchetto di nettapipe. - Usate sempre lo stesso tipo? chiese.
- Di solito. Se riesco a trovarlo.
- Ah! - Poirot annuì.
Quei nettapipe erano uguali a quello trovato sul pavimento dello
scompartimento del delitto. Il dottor Constantine glielo fece
osservare quando uscirono di nuovo in corridoio.

- Questo è più difficile. Gli inglesi non accoltellano. Qui avete
ragione. Sono propenso a credere che qualcuno abbia lasciato il
nettapipe per accusare l'inglese spilungone.
- Come avete detto anche voi, Monsieur Poirot - intervenne il medico -
due indizi dimostrano un po' troppa sbadataggine. Sono d'accordo con
Monsieur Bouc. Il fazzoletto è stata una svista autentica: perciò
nessuno vuol riconoscere che gli appartiene. Il nettapipe è un falso
indizio. A sostegno di questa tesi, noterete che il colonnello
Arbuthnot non mostra alcun imbarazzo a riconoscere apertamente di
fumare la pipa e di usare quel tipo di nettapipe.

- Mille scuse per dovervi disturbare una seconda volta - disse Poirot
- ma c'è ancora qualche informazione che penso siate in grado di
darci.
- Davvero? Lo ritengo improbabile.
- Tanto per cominciare, vedete questo nettapipe?
- Certo.
- E' vostro?
- Non so. Non ci metto il mio sigillo, sapete.
- Vi rendete conto, colonnello Arbuthnot, di essere l'unico uomo fra i
passeggeri della carrozza Istanbul-Calais a fumare la pipa?
- In tal caso, probabilmente è mio.
- Sapete dov'è stato trovato?
- Neanche per sogno.
- Presso il corpo dell'uomo assassinato.
Il colonnello Arbuthnot sollevò le sopracciglia.
- Potreste dirci, colonnello Arbuthnot, come può essere arrivato là?
- Volete dire se l'ho lasciato io? La risposta è no.
- Siete mai entrato nello scompartimento del signor Ratchett?
- Non ho mai rivolto la parola a quell'uomo.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a7/Aff_ciwl_orient_express4_jw.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Marzo 2009, 21:45:03
Pipe sfigate e pessimismo

James Henry

1843 -1916 scrittore e critico letterario statunitense noto per i suoi romanzi ed i suoi racconti sul tema della coscienza e della moralità.
nacque da una ricca famiglia di intellettuali: suo padre, Henry James Sr., era un teologo e filosofo con l'interesse della letteratura.
James non si sposò mai (è questione irrisolta se avesse mai avuto rapporti sessuali): dalle sue lettere si evince una spiccata propensione alla socialità e, spesso, profondo affetto per un uomo o una donna, a seconda delle circostanze, ma non è chiaro se questi rapporti sfociarono mai in qualcosa di più profondo.

Principessa Casamassima
   


   Il signor Vetch la osservò per un poco, fumando in silenzio la pipa, col capo appoggiato all'alto, rigido schienale dell'antiquato divano, le corte gambette incrociate alla moda dei turchi. «È vero che avete fatto molto per lui. Siete una gran brava donna, dopotutto, mia cara Pinnie.» Quel «dopotutto» faceva parte del suo modo di parlare. In realtà non aveva mai dubitato che fosse la migliore donna del quartiere.
«Grazie per avermi messo al primo posto,» replicò il violinista dopo ripetute tirate di pipa. «È un ragazzo interessante; chiaramente è dotato di un cervello e perfino di un'anima, e da questo punto di vista... se non proprio unico è per lo meno del tutto particolare. Sono curioso di vedere come sarà da grande. Ma non mi pentirò mai di essere rimasto un inveterato scapolo egoista - che non si è mai lasciato attrarre da questo genere di mercanzia.»
«Potrete dirgli che un uomo che si rammarica di essere andato a trovare sua madre che agonizzava nel letto di un penitenziario, sospirando per rivederlo, merita assai di peggio della più acuta sofferenza che potrà mai provare.» E il piccolo violinista, alzatosi, andò al caminetto e svuotò la pipa.
   Anastasius Vetch aveva rimesso in tasca la pipa; si mise il cappello in testa, prendendosi quella libertà da vecchio amico e abitante di Lomax Place, e si riprese l'astuccio del violino, simile a una piccola bara. «Mia povera Pinnie, ho l'impressione che non comprendiate una sola parola di quello che dico. A che serve parlare... Fate come vi pare.»

Tanto più era importante stabilire se egli facesse o meno parte del popolo, poiché il giorno della grande rivendicazione sarebbe stato soltanto il popolo a salvarsi. Era per il popolo che il mondo era stato fatto: chiunque non ne facesse parte era contro di lui e rientrava nella schiera degli impostori, usurpatori, profittatori, accapareurs, come soleva dire il signor Poupin. Una volta Hyacinth aveva posto la domanda direttamente al signor Vetch che lo aveva guardato per un po' attraverso le spirali di fumo dell'eterna pipa e gli aveva detto: «Pensi che sia un aristocratico?»
Se gli era venuto l'uzzolo di penetrare nei circoli dei lavoratori (ora Paul si rammentava della prima sera che era venuto, portato da quello stipettaio tedesco che aveva sempre il collo fasciato e fumava la pipa con un fornello grande come una stufa); se provava gusto ad infilarsi un cappellaccio in testa e a fumare tabacco fetido e chiamare i propri «inferiori» «miei cari compagni»,

«Dove vorresti che passassi le mie serate, in qualche orribile pub... o all'opera?» I suoi incontri con Miss Henning non erano così frequenti, tuttavia non volle prendersi la pena di rettificare a Pinnie che la vedeva soltanto due o tre volte alla settimana, e che il resto del tempo lo passava camminando per le strade (un'abitudine infantile che ancora si portava dietro) e che di tanto in tanto aveva anche la risorsa di recarsi dai Poupin o di scambiare due parole, fumando la pipa, sulla porta aperta di qualche casa, quando le sere non erano troppo fredde,
«Vuoi fumarti una pipa?» chiese il signor Vetch spingendo attraverso il tavolo una vecchia borsa portatabacco; e mentre il giovanotto si serviva continuò a tirare in silenzio.
Conosceva le sue abitudini, non andava mai a letto subito, invece si sedeva vicino al camino per un'ora, fumando la pipa e preparandosi un «grog» e leggendo qualche vecchio libro.
Vedrei il bello spettacolo dell'alba, se a Londra fosse possibile vederlo. La prima cosa che faccio la domenica è quella di fumare la pipa alla finestra, che dà sulla strada, ricordi, una stradina sporca. A quell'ora non c'è nulla da guardare

«Oh no, voi siete qualcuno,» disse il tedesco fumando, con aria assorta, la sua pipa monumentale. «Siamo tutti qualcuno, ma temo che non serva a nulla.»
disse lo stipettaio riportandosi la pipa alle labbra dopo un intervallo impressionante quasi quanto l'arresto di una vaporiera in mezzo all'oceano.


(http://farm1.static.flickr.com/71/161492286_aa3ef5e1fb.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Marzo 2009, 19:41:12
Continuo con un post al giorno,fino a che il sito non è "ok".
Quel giorno smetto e per celebrare svergino una pipa. ;D
Quindi vi propino altri tre frammenti:

Giuseppe Gioachino Belli

La Sabbatína

«Pfch: mamma, oh mamma».
 «Ahó». «Mmamma». «Che hai?»
«Pijjateme la pippa  accapalletto,
e sporgeteme ggiú ppuro  un papetto».
«E sto papetto mó cche tte ne fai?»

«E a vvoi che vve ne preme de sti guai?
Voi abbadate a ffà cquer che vv’ho ddetto,
e nun state a sfassciamme er ciufoletto».
«Dímme armeno  a cquest’ora indove vai».

«Dove me pare». «Ah Nnino!...». «Ôh, pprincipiamo».
«Ma ffijjo!...». «Ebbè, vvado a mmaggnà la trippa».
«E cco cchi?» «Cco li zoccoli d’Abbramo».

«Ggià annerai co le solite zzaggnotte...».
«Ma inzomma, sto papetto co sta pippa?»
«Eccolo. E cquanno torni?» «Bbona notte».



Goethe Johann Wolfgang

La Vocazione Teatrale Di Wilhelm Meisters
   
«Vedo bene», diceva Guglielmo tra sé e sé, «che gli antichi hanno ragione quando affermano che una commedia, se piena d'azione, può piacere e divertire anche se le manca ogni descrizione dei costumi e di una vera umanità. Questi, a quanto dicono, sono stati gli inizi del teatro, e io lo credo quasi, poiché sono anche gli inizi del nostro. L'uomo rozzo è contento quando vede succedere qualcosa; l'uomo più raffinato vuole sentire; e solo all'individuo coltissimo piace riflettere.»
   In queste tacite considerazioni lo disturbò il fumo di tabacco che si andava sempre più addensando. Il capo delle guardie forestali aveva acceso la sua pipa poco dopo l'inizio dello spettacolo e a poco a poco parecchi altri si erano presi la stessa libertà. Scompiglio anche maggiore provocarono i cani di questo signore che, sebbene chiusi fuori, ben presto trovarono una porticina dietro al teatro ed irruppero sulla scena saltando sugli attori finché, spiccando un salto al di là dell'orchestra, non ritrovarono il padrone seduto in platea.

Verga

CAVALLERIA RUSTICANA


Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata.


(http://www.ezakwantu.com/Pipe%20Collection%20Twelve%20Examples%2001.JPG)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Marzo 2009, 20:41:32
DAN SIMMONS

I FIGLI DELLA PAURA


- Perdio, fa sempre così freddo, qui da voi? - rispose l'interpellato, dal profondo delle sue
sciarpe. Poi il professor Emerito, e per giunta Premio Nobel, batté i piedi e commentò: - Un gelo
da staccare le balle a un cane di bronzo.
- Il signor Carl Berry dell'American Telegraph and Telephone - proseguì in fretta la Wexler.
Il grasso uomo d'affari seduto accanto a me tirò una boccata dalla pipa, se la sfilò dalle labbra,
rivolse un cenno della testa vagamente in direzione di Radu Fortuna, e tornò a fumare come se quel
suo arnese fosse un'indispensabile fonte di calore. Per un attimo mi venne in mente una scena folle:
le sette persone a bordo del pulmino raccolte attorno alle braci della pipa di Berry, per riscaldarsi...
- E conoscete già il nostro finanziatore, il signor Trent - terminò la Wexler.
- Sì - rispose Radu Fortuna.
Con occhi scintillanti, mi rivolse uno sguardo, tra il fumo della pipa di Berry e il vapore del suo
respiro. Riuscivo a raffigurarmi come quegli occhi scintillanti vedessero la mia immagine: un uomo
molto vecchio.



RUTH RENDELL
Alcuni dei suoi romanzi sono stati portati sul grande schermo: La morte non sa leggere da cui Claude Chabrol trasse il suo Il buio nella mente del 1995 e nel 2004 La demoiselle d'honneur tratto da Il pugnale di vetro; Pedro Almodovar trasse il suo Carne tremula dal romanzo del 1986 Carne Viva.

E' membro della Camera dei Lords tra i banchi Laburisti

L'URLO DEL COLIBRÌ


Il dubbio rimase anche dopo che mamma le ebbe mostrato il ritratto del vecchio Mr. Tobias, un grande ritratto a olio (appeso alla parete dell'atrio al primo piano) di un uomo dall'espressione fiera, grigio di capelli, ma privo di barba; blu o di altro colore. Liza volle sapere cosa fosse quell'appendice che spuntava dalla bocca di quel signore, un cannello che finiva in una boccia. Mamma spiegò che si trattava di una pipa, dove si mettevano foglie sminuzzate che si accendevano con il fiammifero, ma Liza ricordò che mamma si vantava di essere una brava mentitrice, e per la prima volta in vita sua non le credette.

(http://cache.gettyimages.com/xc/3093609.jpg?v=1&c=ViewImages&k=2&d=552D90A84D8CF98060CCAD90F1D99C8AA55A1E4F32AD3138)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Marzo 2009, 20:46:54
Ignazio Silone

Il segreto di Luca

Egli accompagnò il maresciallo alla porta. Accorse subito l'usciere col berretto in mano e la pipa nell'altra. Il corridoio era vuoto.
«Dove sono i reduci?» domandò il sindaco all'usciere .
«Si sono seccati d'aspettare» disse l'usciere. «Non vi ripeterò il messaggio che mi hanno lasciato per voi perché poco rispettoso. Ma, se insistete, posso dirvelo.»
«Dove sono andati?»
«Alla sede del partito.»
«Già cominciano i guai» borbottò il sindaco tra sé e sbatté con rabbia la porta dell'ufficio.

Andrea guardava i giornali del mattino e fumava la pipa vicino alla finestrella che dava sull'orto. Fu suonato ripetutamente alla porta. Il prete andò a vedere e per un po' di tempo rimase a confabulare con varie persone assembrate davanti alla casa.
«Desiderano te» egli disse ad Andrea. «Se vuoi, puoi farli entrare a uno a uno.»
«Chi sono? Cosa desiderano?»
«Povera gente; chi aspetta la pensione, chi un sussidio.»

Essi si sedettero su un tronco d'albero disteso a terra sotto la tettoia del fienile. Una buca scavata per terra e fiancheggiata da due sassi aveva servito da focolare. Luca accese la sua pipa. Il sole stava per tramontare. Da sotto una nuvola venne fuori un fascio di raggi dorati, ben visibili, come quelli dell'aureola dei santi. Luca tirava di tanto in tanto una boccata dalla pipa e rimirava i campi e le vigne digradanti a valle, con i suoi occhi chiari e sereni. A causa dell'età, e per meglio riposare, egli se ne stava seduto un po' curvo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia; i tratti del suo viso scarno erano però rimasti regolari e ben marcati, come in una statua di granito, le sopracciglia forti, le occhiaie incavate. Egli pareva un contadino che si riposa al termine della sua giornata di lavoro.
«Vedi laggiù quel gruppo di alberi?» disse Luca. «La terra là attorno era la mia vigna. Mia madre dovette venderla per le spese del processo. Quante volte, negli anni passati, m'è venuto in sogno di stare laggiù, a zappare o a vendemmiare.»

(http://www.thewaistcoatman.org.uk/images/drawing.png)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Marzo 2009, 00:31:02
Non tutti gli autori ottocenteschi furono dei pessimisti anche se Mark,comunque, va considerato come una perla rara

Mark Twain
 
 
UN AMERICANO ALLA CORTE DI RE ARTU'

Mentre posavo il libro, qualcuno bussò alla porta e lo strano forestiero entrò. Gli offrii una pipa, una poltrona ed una cordiale accoglienza. Lo confortai anche con un bel whisky scozzese bollente, gliene diedi un altro e poi un altro, sempre sperando di sentire la sua storia. Dopo un quarto bicchierino persuasivo, lui stesso si mise a raccontarla con semplicità e naturalezza.

Era bello avere un po' di riposo e di pace. Ma nulla è perfetto in questa vita in nessun momento. Tempo addietro mi ero fatto una pipa e anche un discreto
tabacco, non quello vero, ma qualcosa di simile a quello che usano gli indiani: l'interno della corteccia di salice disseccato. Questi generi di conforto erano stati messi nell'elmo e ora li avevo di nuovo, ma non avevo fiammiferi. Pian piano, col passar del tempo, cominciai a rendermi conto di una spiacevole realtà: eravamo nell'impossibilità di proseguire. Un novizio in armatura non può montare a cavallo senza un aiuto e gliene occorre parecchio.

Eppure, già incominciavo a sentirmi insoddisfatto, non potevo accendere la pipa poiché, sebbene avessi avviato da molto tempo un fabbrica di fiammiferi, avevo dimenticato di portarmene dietro un po'. E c'era un altro problema: non avevamo niente da mangiare.

I contadini ci tenevano a darmi qualcosa per compensare un po' la mia generosità, che io volessi o no: così lasciai che mi regalassero una pietra focaia e un acciarino. Appena ebbero sistemato comodamente me e Sandy sul cavallo, accesi la pipa. Quando il primo sbuffo di fumo uscì attraverso le sbarre del mio elmo, tutta quella gente fuggì verso il bosco e Sandy cadde all'indietro e precipitò al suolo con un gran tonfo. Pensavano che io fossi uno di quei draghi sputafuoco di cui avevano tanto sentito parlare dai cavalieri e da altri bugiardi di professione. Dovetti faticare un bel po' per convincerli ad avvicinarsi di nuovo a me, quel tanto da poter udire le mie spiegazioni


Alzai gli occhi e scorsi, in lontananza, all'ombra di un albero, una mezza dozzina di cavalieri armati, con i loro scudieri. Immediatamente ci fu un gran trambusto fra di loro e un serrar di cinghie per montare in sella. Io avevo pronta la pipa e sarebbe stata accesa se non fossi stato immerso nei miei pensieri:
 come eliminare l'oppressione dal paese e come restituire al popolo i diritti che
gli erano stati sottratti e la sua dignità umana, senza far torto a nessuno. Accesi subito la pipa e avevo già una buona riserva di vapore quando quelli arrivarono. Venivano avanti tutti insieme a testa bassa, con le piume ondeggianti al vento e le lance abbassate in avanti. Era uno spettacolo splendido, bellissimo... per un uomo in cima a un albero. Misi la lancia in resta e aspettai, col cuore che mi batteva, finché quella marea di ferro fu quasi sul punto di abbattersi su di me, poi cacciai fuori una colonna di fumo bianco attraverso le sbarre dell'elmo. Avreste dovuto vedere l'ondata frantumarsi e disperdersi! Era uno spettacolo ancora più bello del primo.


LE AVVENTURE DI HUCKLEBERRY FINN


Ho acceso la pipa e mi sono fatto una bella fumata mentre continuavo a osservare. Il battello seguiva la corrente, e dunque io penso che quando mi arriva all'altezza dell'isola ho la possibilità di vedere chi ci sta a bordo, perché passerà dove è passata la pagnotta. Quando è proprio vicino a me io smorzo la pipa e vado a vedere nel posto dove ho tirato su la pagnotta, e mi stendo dietro un tronco sulla sponda, in un punto un po' aperto.

Beh, credevo che era possibile salire a terra quasi in qualunque punto... e invece no, la sponda è troppo ripida. Ho dovuto fare il giro fino quasi all'altra punta prima di trovare un posto che andava bene. Vado nel bosco e decido che non mi faccio più cuccare dalle zattere colle lanterne. Avevo la pipa con un po' di tabacco, e nel berretto ci avevo dei fiammiferi che non si erano bagnati, per cui si accendevano».

Autobiografia
   
Trenta o quarant'anni fa, laggiù nel Missouri, il sigaro comune costava trenta centesimi il centinaio, ma quasi tutti ne facevano a meno, visto che fumare la pipa, in quella regione ricca di tabacco, non costava nulla. Anche il Connecticut si dedica oggi alla coltivazione del tabacco, eppure paghiamo dieci dollari cento sigari del Connecticut e quindici-venticinque dollari cento sigari di importazione.

   Rivedo ancora la fattoria con perfetta chiarezza. Rivedo ogni cosa, ogni particolare: la stanza dove ci trattenevamo, con un letto a rotelle in un angolo e in un altro un filatoio, il gemere della cui ruota, sentito in distanza, era per me il più triste dei suoni e mi abbatteva e mi immalinconiva e riempiva la mia atmosfera di errabondi spiriti di morti; l'ampio focolare, nel quale nelle serate d'inverno si accatastavano fiammeggianti ciocchi di noce alle cui estremità ribolliva una linfa zuccherosa che non andava perduta perché noi la raschiavamo e la mangiavamo; il gatto pigramente allungato sulle ruvide pietre del focolare; i cani sonnacchiosi, stretti contro le pareti laterali, sogguardanti; mia zia, seduta in un angolo accanto al camino, lavorava a maglia; nell'altro, mio zio fumava la sua pipa ricavata da una pannocchia; il liscio pavimento di quercia, senza tappeto, picchiettato di segni neri dove i tizzoni eran saltati fuori per morire di una morte più comoda, rifletteva fiocamente le danzanti lingue di fuoco.

   Sembra un peccato che il mondo debba gettar via tante cose buone soltanto perché sono poco salutari. Dubito che il Padreterno ci abbia dato cibo o bevanda che, presi in misura moderata, non siano salutari, salvo i microbi. Eppure c'è gente che si priva severamente di ogni tipo di cibo, bevanda o fumo che in un modo o nell'altro abbia acquistato una reputazione dubbia. Questo è il prezzo che pagano per la salute, e la salute è tutto ciò che ne ricavano. Com'è strano! E come disfarsi delle proprie fortune per una mucca che non dà più latte.
   La casa sorgeva nel mezzo di un vasto cortile recinto per tre lati da sbarre e dietro da un'alta palizzata; addossata alla palizzata vi era la capanna per le fumigazioni; oltre la palizzata l'orto e al di là dell'orto il quartiere dei negri e i campi di tabacco. Nel cortile si entrava per mezzo di una sorta di scaletta di tronchi segati ad altezze graduate; non ricordo che vi fosse alcun cancello. In un angolo del cortile antistante vi era una dozzina di giganteschi alberi di noci americane e una dozzina di alberi di noci nere, e nella stagione della raccolta si accumulava una vera ricchezza. Un po' più giù, all'altezza della casa, poggiata al recinto, vi era una piccola capanna di tronchi; e lì la boscosa collina - oltre i granai, oltre il deposito del granturco, le stalle e il locale per il tabacco - declinava bruscamente, giù fino a un limpido ruscello che gorgogliava nel suo letto ghiaioso e girellava e saltava zigzagando in ogni senso nell'ombra fitta del fogliame e dei rampicanti che lo sovrastavano: era un posto divino da passare a guado, e aveva perfino dei piccoli stagni per nuotarci che a noi erano proibiti, ragion per cui li frequentavamo molto. Eravamo infatti dei piccoli cristiani e ci avevano insegnato ben presto il valore del frutto proibito.

La scuola di campagna era a tre miglia dalla fattoria di mio zio. Sorgeva in una radura nel bosco e poteva contenere all'incirca venticinque fra ragazze e ragazzi. La frequentavamo più o meno regolarmente una o due volte la settimana durante l'estate, e ci andavamo nel fresco del mattino lungo i sentieri della foresta, ritornando nella semioscurità del calar del giorno. Tutti gli scolari portavano con sé la merenda nei cestini - focaccia di granturco, siero, e altre cose buone - e a mezzogiorno si sedevano all'ombra degli alberi e mangiavano. Questa è la parte dei miei studi alla quale guardo con maggior soddisfazione. La mia prima visita alla scuola la feci a sette anni. Una ragazzona di quindici anni, col cappello da sole e un vestito di cotonina come le altre, mi chiese se «usavo il tabacco», cioè se lo masticavo. Dissi di no, provocando il suo scherno. Mi accusò di fronte a tutti dicendo:
   «Guardate: un ragazzo di sette anni che non mastica il tabacco!»
   Dagli sguardi e dai commenti che le sue parole causarono mi accorsi di essere un degenerato ed ebbi terribilmente vergogna di me stesso. Decisi di emendarmi. Ma riuscii solo a sentirmi male; ero incapace di imparare a masticar tabacco. A fumare imparai benino, ma questo non mi attirò le simpatie di nessuno e rimasi un poveraccio, senza temperamento. Desideravo tanto che mi rispettassero, ma non fui capace di risollevarmi. I ragazzi hanno poca compassione per i difetti degli altri ragazzi.

   A Hannibal, circa quindicenne, appartenni per un breve periodo ai Cadetti della Temperanza, un'organizzazione che per un anno, se non di più, si diffuse in tutti gli Stati Uniti. Consisteva nell'impegnarsi, finché si restava associati, ad astenersi dal tabacco; cioè consisteva in parte in quest'impegno e in parte in una fascia rossa di merino; ma la fascia rossa di merino era la cosa più importante. I ragazzi si facevano Cadetti per avere il privilegio di portarla: l'impegno vero e proprio non aveva molta importanza. Ne aveva così poca che, a petto della fascia, praticamente non esisteva affatto.
A quei tempi il sigaro indigeno era così a buon mercato che ognuno poteva permettersene il lusso. Il signor Garth aveva una grande fabbrica di tabacco, e nel villaggio aveva anche un negozietto per la vendita al minuto dei suoi prodotti. Vendeva una marca di sigari che la povertà in persona era in grado di comprare. Li teneva in deposito da un po' di anni, e benché esternamente apparissero buoni, l'interno era ridotto in polvere e svaniva come uno sbuffo di vapore quando erano spezzati in due. Dato il prezzo estremamente basso si trattava di una marca molto popolare. Il signor Garth aveva altre marche a buon mercato, e alcune cattive, ma la supremazia goduta su tutte da questa era indicata dal suo nome: «La più dannata di Garth.» Noi, per avere di questi sigari, davamo in cambio vecchi numeri di giornali.

   Trascorsi tre mesi nella capanna di tronchi, dimora di Jim Gillis e del suo socio Dick Stoker, a Jackass Gulch, quel sereno e riposante e vago e delizioso paradiso silvestre del quale ho già parlato. Ogni tanto Jim aveva un'ispirazione e si alzava in piedi davanti al grande camino con le spalle verso quest'ultimo e le mani incrociate dietro e cominciava a narrare un'estemporanea fandonia - una fiaba, un racconto bizzarro - della quale, quasi sempre, l'eroe era Dick Stoker. Con tutta serietà Jim sosteneva sempre che ciò che narrava era storia rigorosamente verace e non frutto d'invenzione. Dick Stoker, con i suoi capelli grigi e la sua indole buona, sedeva fumandosi la pipa e ascoltando con serena bonomia quelle enormi fandonie senza mai protestare.


(http://images.marketworks.com/hi/61/61370/penrose10_060.jpg)



Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Marzo 2009, 19:03:03
Un'altro ottimista,nel suo pessimismo

Jerome K. Jerome

STORIE DI FANTASMI  PER IL DOPOCENA


La Mia storia

Non appena mio zio ebbe terminata la sua storia, come vi ho già detto, mi alzai e dissi che, quella stessa notte, IO avrei dormito nella Camera azzurra.
- Mai!- gridò lo zio, balzando in piedi. - Non correrai questo pericolo mortale. E poi, il letto non è rifatto.
- Il letto non ha importanza - replicai. - Ho vissuto in camere ammobiliate per scapoli e mi sono abituato a dormire su letti che non erano stati rifatti da anni. Non contrastarmi nella mia decisione.
Sono giovane, e è più di un mese che ho la coscienza pulita. Gli spiriti non mi faranno del male. Posso addirittura essere io a fare un po' di bene a loro, convincendoli a stare zitti e ad andarsene. E poi, mi piacerebbe assistere allo spettacolo.
Detto questo, mi sedetti di nuovo. (Come mai Mister Coombes fosse seduto sulla mia sedia, invece che dall'altra parte della camera, dove era stato per tutta la sera, e perché non si sia neppure sognato di farmi le sue scuse, quando mi sedetti proprio su di lui, e perché il giovane Biffles si sia spacciato per lo zio John e mi abbia indotto, con questa impressione errata, a stringergli la mano per quasi tre minuti e a dirgli che l'avevo sempre considerato come un padre, sono cose che, ancora oggi, non sono mai riuscito a spiegarmi del tutto).
Provarono di dissuadermi da quella che chiamavano la mia impresa temeraria, ma io fui irremovibile e rivendicai il mio privilegio: io ero l'"ospite". "L'ospite" dorme sempre nella camera infestata, la Vigilia di Natale: è di sua competenza.
Risposero che, se la mettevo su quel piano, naturalmente non avevano più niente da replicare; mi accesero una candela e mi accompagnarono di sopra, compatti.
Se era la coscienza di compiere una nobile azione a ubriacarmi, o se invece ero semplicemente animato da una vaga consapevolezza della mia rettitudine, non sta a me dirlo, ma, quella sera, salii di sopra con grande baldanza. Fu già tanto se mi fermai al pianerottolo, quando ci giunsi: sentivo che avrei voluto salire fin sul tetto. Con l'aiuto della ringhiera, però, frenai il mio slancio, augurai la buonanotte, entrai e chiusi la porta.
Le cose cominciarono ad andarmi male fin dall'inizio. La candela cadde dalla bugia prima ancora che avessi ritirato la mano dalla serratura.
Continuò a cadere dalla bugia e, ogni volta che la raccoglievo e la rimettevo a posto, cadeva di nuovo: non ho mai visto una candela tanto scivolosa. Alla fine, rinunciai a tentare di usare la bugia e tenni la candela in mano' ma, anche così, non stava dritta. Allora mi infuriai:
la buttai dalla finestra, mi svestii e andai a letto al buio. Non mi addormentai (non avevo per niente sonno): mi sdraiai supino, guardando il soffitto e vagando con il pensiero. Magari mi ricordassi qualcuna delle idee che mi vennero, mentre me ne stavo lì sdraiato: erano così divertenti! Ridevo da solo, tanto che il letto si mise a ballare.
Ero rimasto così sdraiato per circa mezz'ora, e avevo dimenticato completamente il fantasma, quando, lanciando per caso un'occhiata alla camera, notai, per la prima volta, uno spettro dall'aria particolarmente soddisfatta, seduto in poltrona vicino al fuoco, che fumava il fantasma di una lunga pipa d'argilla.
Come sarebbe successo quasi a chiunque, in casi simili, sul momento immaginai che stavo sicuramente sognando. Mi alzai a sedere e mi stropicciai gli occhi.
No! Era chiaramente un fantasma. Potevo vedere lo schienale della poltrona, attraverso il suo corpo. Guardò verso di me, esaminandomi, si tolse dalle labbra la pipa fantasma e fece un cenno con la testa.
Per me, la parte più sorprendente di tutta la faccenda fu che non mi sentivo per nulla turbato. Anzi, piuttosto, mi faceva piacere vederlo.
Era una compagnia.
Dissi: - Buonasera! E' stata una giornata fredda!
Rispose che, personalmente, non l'aveva notato, ma pensava che fosse vero.
Restammo in silenzio per qualche secondo, poi, cercando di essere diplomatico, dissi: - Se non sbaglio, ho l'onore di parlare con il fantasma del signore che ebbe quell'incidente con il cantante.
Sorrise, e disse che ero molto buono a ricordarlo. Un cantante non era molto di cui vantarsi, ma, comunque, tutto fa brodo.
Fui parecchio sconcertato da questa risposta. Mi ero aspettato un gemito di rimorso. Al contrario, il fantasma pareva piuttosto orgoglioso della cosa. Pensai che, visto che aveva preso così bene il mio accenno al cantante, forse non si sarebbe offeso se lo avessi interrogato sul suonatore di organetto. Quel povero ragazzo mi incuriosiva.
- E' vero - chiesi, - che c'era il suo zampino nella morte di quel contadinello italiano che, una volta, venne in città con un organetto che non suonava altro che arie scozzesi?
Si arrabbiò per davvero: - Il mio zampino! - esclamò, indignato. - Chi ha osato pretendere di avermi aiutato? Il giovanotto l'ho ucciso da solo. Nessuno mi ha aiutato. Da solo, l'ho fatto. Mi faccia vedere l'uomo che dice il contrario.
Lo calmai. Gli assicurai che, personalmente, non avevo mai dubitato che egli fosse l'unico, vero assassino e continuai chiedendogli cosa avesse fatto con il corpo del suonatore di cornetta che aveva ucciso.
Chiese: - A quale si riferisce?
- Oh, allora erano più d'uno? - mi informai.
Sorrise, e tossì leggermente. Disse che non voleva dare l'impressione di vantarsi, ma che, contando i tromboni, erano sette.
- Povero me! - replicai -. Deve aver avuto un gran daffare, tutto considerato.
Disse che, forse, non spettava a lui dirlo, ma, in realtà, pensava che ci fossero pochi fantasmi, almeno nell'ambito della comune società borghese, che potevano guardarsi indietro e affermare che la propria vita era stata di più comprovata utilità.
Tirò qualche boccata, in silenzio, per alcuni secondi, mentre io restavo a osservarlo. Che ricordassi, non avevo mai visto un fantasma che fumava la pipa, e la cosa suscitava il mio interesse.
Gli chiesi che tabacco usava e rispose. - Di regola, fantasma di Cavendish tagliato.
Spiegò che il fantasma di tutto il tabacco che un uomo aveva fumato, durante la vita, gli apparteneva, una volta morto. Disse che, personalmente, aveva fumato un bel po' di Cavendish tagliato, quand'era vivo; perciò, adesso, aveva una buona scorta di tabacco fantasma.
Osservai che quella era una cosa utile da sapere e decisi di fumare più tabacco che potevo, prima di morire.
Pensai che potevo anche cominciare subito, così gli dissi che gli avrei fatto compagnia con una pipatina, e lui fece: - Vai, vecchio!
- e io mi allungai, tirai fuori gli arnesi necessari dalla tasca della giacca e accesi.
E così facemmo amicizia e mi raccontò tutti i suoi crimini. Disse che, una volta, aveva vissuto porta a porta con una signorina che stava imparando a suonare la chitarra, mentre, di fronte, abitava un signore che si esercitava alla viola da gamba. E lui, con astuzia diabolica, aveva fatto conoscere questi due ingenui giovani e li aveva convinti a fuggire insieme, contro la volontà dei genitori, e a portare con loro gli strumenti musicali: quelli lo avevano fatto e, prima che fosse finita la luna di miele, "lei" gli aveva rotto la testa con la viola da gamba e "lui" aveva cercato di ficcarle in gola la chitarra e l'aveva storpiata per tutta la vita.
Il mio amico mi disse che aveva l'abitudine di attirare nell'atrio i venditori di focaccine, e poi di ingozzarli della loro stessa merce, finché, in quel modo, ne aveva azzittiti diciotto.
I giovanotti e le signorine che recitavano poesie lunghe e tristi alle riunioni serali e i giovanotti imberbi che se ne andavano a spasso per le strade, la sera tardi, suonando la fisarmonica, li avvelenava a gruppi di dieci, per risparmiare sulle spese, e gli oratori pubblici e i conferenzieri che predicavano la temperanza li chiudeva in sei in una stanzetta, con un bicchiere d'acqua e una cassetta delle elemosine per uno, e lasciava che, a furia di parlare, si facessero fuori a vicenda.
Faceva bene ascoltarlo.
Gli chiesi per quando aspettava gli altri fantasmi, i fantasmi del cantante e del suonatore di cornetta e della banda musicale tedesca, di cui aveva detto lo zio John. Sorrise e disse che non sarebbero più tornati, nessuno di loro.
Chiesi: - Come, non è vero allora che vi incontrate qui, ogni anno, la Vigilia di Natale, per una bella rissa?
Replicò che una volta era così. Per venticinque anni, la Vigilia di Natale, avevano lottato in quella stanza, ma non avrebbero più importunato né lui, né nessun altro. Uno per uno, li aveva sistemati, distrutti, resi assolutamente incapaci di infestare. Aveva spacciato l'ultimo fantasma della banda tedesca proprio quella sera, subito prima che salissi io, e aveva buttato quel che ne restava fuori dalla finestra, attraverso la fessura del telaio. Disse che non avrebbero mai più meritato il nome di fantasma.
- Suppongo che tu continuerai a venire, come al solito - dissi. - So che dispiacerebbe a tutti perderti.
- Oh, non lo so - replicò. - C'è poco o nulla che mi attragga, adesso. A meno che - aggiunse gentilmente, - non ci sia "tu". Verrò, se dormirai qui, la prossima Vigilia di Natale.
- Ti ho preso in simpatia- continuò,- tu non scappi via strillando, quando vedi un tizio, e non ti si drizzano i capelli sulla testa. Non hai idea - disse, - di quanto sia stufo di vedere gente con i capelli dritti in testa.
Disse che gli dava sui nervi.
Proprio allora, ci arrivò un leggero rumore dal cortile e lui sobbalzò diventando mortalmente nero.
- Tu stai male - esclamai balzando verso di lui, - dimmi che devo fare. Devo bere un po' di brandy, e dartene il fantasma?
Rimase in silenzio, ascoltando attentamente, per un attimo; poi esalò un sospiro di sollievo e l'ombra gli tornò sulle guance.
- Tutto a posto - mormorò, - avevo paura che fosse il gallo.
- Oh, ma è troppo presto - dissi. - Che diamine, siamo solo a metà della notte.
- Oh, questo non fa nessuna differenza, per quei maledetti gallinacci - replicò amaramente. - Canterebbero a metà della notte, o in qualsiasi altro momento; anzi, canterebbero prima, se sapessero di rovinare a un tizio la sua serata fuori. Io credo che lo facciano apposta.
Disse che un suo amico, il fantasma di un uomo che aveva ucciso un esattore dell'acqua, aveva l'abitudine di infestare una casa a Long Acre, dove avevano dei volatili nello scantinato e, tutte le volte che un poliziotto si avvicinava e illuminava il locale con la torcia, attraverso la grata, il vecchio gallo pensava che fosse il sole e incominciava a cantare come un matto, e allora, naturalmente, il povero fantasma doveva svanire e, quindi, tornava a casa prestissimo, certe volte anche all'una del mattino, imprecando tremendamente, perché era stato fuori solo un'ora.
Fui d'accordo sul fatto che la cosa sembrava molto sleale.
- Oh, è tutto organizzato in modo assurdo- continuò, piuttosto arrabbiato.- Non riesco a immaginare a cosa stesse pensando il nostro vecchio, quando ha deciso così. Come gli ho detto migliaia di volte, "Fissa un'ora precisa, e che tutti la rispettino: diciamo le quattro, d'estate; le sei, d'inverno. Così, uno saprebbe quello che sta facendo".
- Come fate, quando non c'è un gallo a portata di mano? - mi informai.
Stava di rispondere, quando, di nuovo, sobbalzò e tese l'orecchio.
Questa volta, sentii distintamente il gallo di Mister Bowles, dalla casa vicino, cantare due volte.
- Ecco - disse, alzandosi e allungando una mano a prendere il cappello, - questo è quello che dobbiamo sopportare. Ma che ora è?
Guardai l'orologio e mi accorsi che erano le tre e mezzo.
- Me l'aspettavo- borbottò.- Gli torcerò il collo, a quel maledetto uccello, se lo prendo.
E si preparò ad andarsene.
- Se puoi aspettare mezzo minuto - dissi, alzandomi dal letto, farò un pezzetto di strada con te.
- Sei molto buono- ribatté, arrestandosi,- ma mi pare una cattiveria trascinarti fuori.
- Per niente - replicai. - Mi farà piacere fare una passeggiata. Mi vestii alla meglio, presi l'ombrello, lui mi prese sottobraccio e uscimmo insieme.
Proprio al cancello incontrammo Jones, uno dei poliziotti locali.
- Buonanotte, Jones - dissi (mi sento sempre affabile, a Natale).
- Buonanotte, signore - rispose l'uomo, un po' sgarbatamente, pensai.
- Posso chiederle cosa sta facendo?
- Oh, è tutto a posto - risposi, agitando l'ombrello; - sto solo accompagnando un mio amico per un pezzo di strada.
- Quale amico? - chiese.
- Oh, ah, naturalmente - risi; - dimenticavo. Per lei, è invisibile.
E' il fantasma del signore che uccise il cantante. Arrivo giusto fino all'angolo con lui.
- Ah, non credo che io lo farei se fossi in lei, signore- disse Jones, severamente. - Se vuole accettare il mio consiglio, saluti qui il suo amico e torni dentro. Forse non si è reso conto che sta andando in giro con addosso soltanto una camicia da notte, un paio di stivali e un "gibus". Dove sono i suoi pantaloni?
I modi di quell'uomo non mi piacquero per niente. Dissi: - Jones! Non voglio farle rapporto, ma mi sembra che abbia bevuto. I miei pantaloni sono dove dovrebbero essere i pantaloni di ogni uomo: alle sue gambe.
Ricordo esattamente di averli messi.
- Bene, adesso non li ha - ribatté.
- Scusi - replicai, - le dico che li ho. Credo che dovrei saperlo.
- Lo credo anch'io - rispose, - ma, evidentemente, non è così.
Adesso lei viene dentro con me, e che non se ne parli più.
A questo punto, zio John si fece sulla porta, svegliato, immagino, dall'alterco e, nello stesso momento, zia Mary comparve alla finestra, in cuffia da notte.
Spiegai loro l'errore del poliziotto, cercando di non dar peso alla faccenda, per non mettere nei guai quel tizio, e mi girai verso il fantasma perché confermasse le mie parole.
Se n'era andato! Mi aveva lasciato senza una parola, senza neppure salutarmi!
Che se ne fosse andato in quel modo mi colpì come una scortesia così grande che scoppiai in lacrime e zio John mi riportò a casa.
Arrivato nella mia stanza, scoprii che Jones aveva ragione. Non avevo messo i pantaloni, dopotutto. Erano ancora appesi alla spalliera del letto. Immagino di averli dimenticati, nell'ansia di non far aspettare il fantasma.
Questi sono i fatti nudi e crudi e da questi, indubbiamente, a un animo retto e caritatevole sembrerà impossibile che possano essere nate delle calunnie.
Me ne nacquero.
Delle persone (dico "persone") hanno affermato di non riuscire a capire le semplici circostanze fin qui raccontate, se non alla luce di spiegazioni ingannevoli e offensive. Sono stato denigrato e calunniato da quelli della mia stessa carne e del mio stesso sangue.
Ma io non porto rancore. Semplicemente, come ho detto, faccio conoscere la mia versione, per riscattare la mia reputazione da sospetti insultanti.

(http://www.globusz.com/ebooks/ThreeMen/cover.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Marzo 2009, 21:25:21
Eccolo !!


Georges Simenon

IL CAPANNO DI FLIPKE

Quasi avesse indovinato, Nouchi andò verso una
delle valigie e nonostante il peso riuscì a sollevarla
e a metterla, bagnata com’era, sopra un tavolo. Poi,
con una chiave che prese dalla borsetta, la aprì e
cominciò a frugare febbrilmente fra la sua roba,
scostando biancheria e vestiti. Sembrava che non
vedesse l’ora di dissipare ogni possibile imbarazzo,
ogni malinteso. Finalmente brandì una pipa, la pipa
più straordinaria che si fosse mai vista, non solo
a Furnes ma in tutta la Fiandra.
«Per zio Arthur...».
Peeters quasi non osava toccarla. Certo, la sua rastrelliera
conteneva qualche pipa di schiuma che
tutti gli invidiavano, ma questa... Solo il cannello,
lungo almeno cinquanta centimetri, era un’opera
d’arte: di corno, con sopra scolpita una scena di caccia,
con i cani, i cacciatori e tutto. E anche il fornello
era scolpito, e rappresentava un interno con un
camino e un tavolo attorno al quale c’erano almeno
dieci persone, precise come su una fotografia.
Questa volta Peeters non si trattenne e lanciò uno
sguardo di vittoria a De Greef....

C’era gente che entrava solo per sentire Nouchi pronunciare
qualche parola in fiammingo: aveva un
accento così buffo, e la sua faccia assumeva un’espressione
così strana che era come andare a teatro.
Ed era lei la prima a riderne. La signora Peeters sosteneva
che a volte il suo alito sapeva di acquavite,
ma non erano mai riusciti a coglierla sul fatto.
«È la figlia di mio fratello Wilhem,» spiegava Peeters
«che ha fatto il giro del mondo e attualmente vive
in Ungheria... Avete visto la pipa|...».
I paesani andavano a vedere la pipa, il tappeto da
tavolo, le camicette ungheresi... Finanche le monete
d’oro, che portavano impresse effigi sconosciute
a Furnes...


La sera, quando giocava a carte, fumava la famosa
pipa - che però gli creava qualche problema, perché
era così lunga e ingombrante che Arthur Peeters
doveva stare un po’ discosto dal tavolo.



Maigret e l’affittacamere

« La signora Keller mi ha detto che non le avrei procurato eccessivo disturbo... ».
Allora lei pronunciò le sue prime parole.
« Può fumare la pipa ».
Doveva averlo visto fumare la pipa tutto il giorno affacciato alla finestra.
« Anche mio marito fuma. Non mi dà fastidio ».
E vedendo che Maigret esitava:
« La prego... ».
Il fumo della sua pipa inazzurrava sempre più l’a­ria e formava una cortina fluttuante attorno all’abat­jour color salmone della lampada.
Maigret provava una strana sensazione a trovarsi lì, seduto in poltrona come fosse a casa sua.
Stava cercando meccanicamente un portacenere per svuotare la pipa, ma non lo trovava. Lei lo intuì.
« Ce n’è uno sul tavolo in sala da pranzo. Basta che apra quella porta... ».
Seguì le istruzioni, girò l’interruttore e, in effetti, sul tavolo Henri II vide un portacenere di rame su cui era posata una grossa pipa ricurva.
Era un po’ come se avesse incontrato Boursicault: se lo immagi­nava in pantofole e maniche di camicia che fumava quella pipa nell’appartamento.

(http://www.trussel.com/maig/image/mcleod1.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Marzo 2009, 13:57:36
Un altro esempio di pipa  per caratterizzare un genotipo di bifolco,addirittura con il maiale a guinzaglio e la pipa in bocca.
La pipa nel presente frammento di "parabola" è li solo per quel motivo,ma rende bene come esempio di quello che stavo esponendo
già da alcuni post.
Solo negli "anni 30" la pipa comincia piano piano a riguadagnare terreno.

Antonio Gramsci

LETTERE DAL CARCERE


Un uomo aveva fortemente vissuto, una sera: forse aveva bevuto
troppo, forse la vista continua di belle donne lo aveva un po' allucinato. Uscito dal ritrovo, dopo
aver camminato un po' a zig-zag per la strada, cadde in un fosso. Era molto buio, il corpo gli si
incastrò tra rupi e cespugli; era un po' spaventato e non si mosse, per timore di precipitare ancora
piú in fondo. I cespugli si ricomposero su di lui, i lumaconi gli strisciarono addosso inargentandolo
(forse un rospo gli si posò sul cuore, per sentirne il palpito, e in realtà perché lo considerava ancor
vivo). Passarono le ore; si avvicinò il mattino e i primi bagliori dell'alba, incominciò a passar gente.
L'uomo si mise a gridare aiuto. Si avvicinò un signore occhialuto; era uno scienziato che ritornava a
casa, dopo aver lavorato nel suo gabinetto sperimentale. Che c'è? domandò. – Vorrei uscire dal
fosso, rispose l'uomo. – Ah, ah! vorresti uscire dal fosso! E che ne sai tu della volontà, del libero
arbitrio, del servo arbitrio! Vorresti, vorresti! Sempre cosí l'ignoranza. Tu sai una cosa sola: che
stavi in piedi per le leggi della statica, e sei caduto per le leggi della cinematica. Che ignoranza, che
ignoranza! – E si allontanò scrollando la testa tutto sdegnato. – Si sentí altri passi. Nuove
invocazioni dell'uomo. Si avvicina un contadino, che portava al guinzaglio un maiale da vendere, e
fumava la pipa: Ah! ah! sei caduto nel fosso, eh! Ti sei ubbriacato, ti sei divertito e sei caduto nel
fosso. E perché non sei andato a dormire, come ho fatto io? – E si allontanò, col passo ritmato dal
grugnito del maiale. – E poi passò un artista, che gemette perché l'uomo voleva uscire dal fosso: era
cosí bello, tutto argentato dai lumaconi, con un nimbo di erbe e fiori selvatici sotto il capo, era cosí
patetico! – E passò un ministro di dio, che si mise a imprecare contro la depravazione della città
che si divertiva o dormiva mentre un fratello era caduto nel fosso, si esaltò e corse via per fare una
terribile predica alla prossima messa.

(http://imagecache2.allposters.com/images/pic/LIFPOD/13642597~Haitian-Woman-Smoking-a-Pipe-while-Holding-a-Baby-Posters.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Marzo 2009, 18:52:50
Se gli alieni ,forse, vi rubano le mucche,non resta che farsi una pipata.

DEAN KOONTZ

Sua moglie Gerda gli propone un patto: è disposta a mantenerlo per cinque anni purché diventi uno scrittore. Se non ci riuscirà in quel periodo di tempo, non ci riuscirà più. Koontz ci riesce e si afferma come scrittore, mentre la moglie abbandona il proprio lavoro per gestire gli affari del marito.
Se interessa,Koontz, la moglie ed il loro cane Trixie vivono nel Sud della California.

L'ULTIMA PORTA DEL CIELO

«Le Lincolnshire rosse sono mucche intelligenti», insiste una donna massiccia, che fuma la pipa e ha i capelli raccolti in due codini stretti da nastri gialli.
Il signor Neary lancia un'occhiata impaziente a quella tipa stravagante. «Be', gli alieni non sono andati a cercarsi una Lincolnshire rossa, vero? Sono venuti qui e hanno preso Clara... e secondo me sapevano che era la mucca più intelligente del gruppo.


Il rapimento è avvenuto in un silenzio totale. Dal veicolo è sceso un raggio di luce rossa, come un faro, ma doveva trattarsi di un raggio aspirante di qualche tipo. Clara si è sollevata dal terreno in una colonna di luce rossa del diametro di quasi quattro metri.»
«Una raggio aspirante davvero grande!» esclama un giovanotto dai capelli lunghi, in jeans e maglietta con la scritta FRODO VIVE.
«La mia vecchia Clara ha lanciato solo un muggito di sorpresa», prosegue il signor Neary, «e poi è andata su senza protestare, girando lentamente da una parte e dall'altra, come se pesasse quanto una piuma.» Fissa lo sguardo sulla donna dai codini e con la pipa in bocca. «Se fosse stata una
Lincolnshire rossa, probabilmente avrebbe cominciato a scalciare come una matta e sarebbe rimasta soffocata nel suo stesso vomito.»
Dopo aver soffiato un anello di fumo, la donna ribatte: «Per un ruminante, è praticamente impossibile soffocare nel proprio vomito».

«E comunque, perché avrebbero dovuto volere una mucca?» vuole sapere il seguace di Frodo.
«Latte», suggerisce la giovane pallida. «Forse il loro pianeta ha subito, per cause interamente naturali, un parziale collasso ecologico e c'è stata un'interruzione in alcuni segmenti della catena alimentare.»
«No, no, di sicuro sono tecnologicamente abbastanza avanzati per clonare le varie specie», la contraddice un uomo dall'aria professorale, che fuma una pipa ancora più grossa di quella della donna, «una specie che, sul loro pianeta, è l'equivalente di una mucca. Di certo sono in grado di ripopolare le loro mandrie in questo modo. Non introdurrebbero mai una specie proveniente da un altro pianeta.»

Questa precisazione non serve ad attirargli la simpatia delle persone riunite intorno al cerchio. L'espressione dei loro volti va dalla perplessità all'irritazione.
Anzi, la giovane pallida gli lancia un'occhiata torva come quella con la quale aveva zittito l'uomo che mangiava l'hot dog. «Le intelligenze avanzate non hanno i nostri difetti. Non distruggono i sistemi ecologici. Non dichiarano guerra e non mangiano la carne degli animali.» Poi sposta il suo sguardo all'azoto liquido sui fumatori di pipa. «Non usano prodotti simili al tabacco.» Ritorna a fissare Curtis, i suoi occhi sono così gelidi che, se la donna lo fisserà troppo a lungo, probabilmente lui entrerà in uno stato di sospensione criogenica. «Non hanno pregiudizi basati su razza, sesso o cose del genere. Non rovinano il proprio corpo con cibi ad alto contenuto di grassi, zucchero raffinato e caffeina. Non mentono e non ingannano, non dichiarano guerra a nessuno, come ho già detto, e di certo non inseriscono embrioni di giganteschi insetti assassini nel corpo di una mucca.»

IL VOLTO DELLA PAURA


Il tecnico della manutenzione del turno di notte era un uomo tarchiato, biondo e dalla pelle chiara,
sotto la cinquantina. Portava pantaloni grigi e una camicia a quadri. Stava fumando la pipa.
Quando Bollinger scese i gradini che portavano al corridoio dell'ingresso, la pistola in mano, il
tecnico disse: "Chi diavolo è lei?" Parlava con un leggero accento tedesco.
"Sie sind Herr Schiller, nicht wahr?" Bollinger domandò. Suo nonno e sua nonna erano di origine
tedesca: lui aveva imparato la lingua da bambino e non l'aveva più dimenticata.
Sorpreso nel sentir parlare tedesco, preoccupato dalla pistola, ma confuso dal sorriso di Bollinger,
Schiller rispose: "Ja, ich bin's."
"Es freut mick sehr, Sie kennenzulernen."
Schiller si tolse la pipa di bocca. Si passò nervosamente la lingua sulle labbra. "Die Pistole?"
"Fur den Mord," rispose Bollinger. Sparò due colpi.

(http://pro.corbis.com/images/CG001077.jpg?size=67&uid=%7BFC304F4B-F030-4485-93BD-32360DE46216%7D)


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Marzo 2009, 15:13:05
Quando le pipe diventano kafkiane...

Kafka Franz

America
   
Ma quel dormitorio non era certo un posto tranquillo. Poiché ognuno suddivideva in modo diverso le sue dodici ore di tempo libero per mangiare, dormire, divertirsi e guadagnare qualcosa con un lavoro secondario, nel dormitorio c'era sempre un gran movimento. Alcuni dormivano e si tiravano la coperta fin sopra le orecchie per non sentire nulla; ma se qualcuno veniva svegliato si metteva a gridare così forte sovrastando le grida degli altri, che anche quelli con il sonno più pesante dovevano svegliarsi. Quasi tutti i ragazzi avevano la loro pipa, come una specie di lusso; anche Karl se ne procurò una e ben presto imparò a fumarla con gusto. Ma dato che in servizio non si poteva fumare, ne conseguiva che la notte tutti quelli che non dormivano fumavano, quindi ogni letto era avvolto in una nuvola di fumo e tutto l'ambiente era oscurato come da una nebbia. Anche se la maggior parte di loro era fondamentalmente d'accordo, non si riusciva a ottenere che durante la notte la luce restasse accesa solo a un'estremità della sala. Mettendo in pratica questa proposta, quelli che volevano dormire avrebbero potuto tranquillamente farlo nel buio di una metà della sala - era uno stanzone con quaranta letti - mentre gli altri nella parte illuminata avrebbero potuto giocare a dadi o a carte e fare tutto quello per cui era necessaria la luce. E se qualcuno che aveva il letto nella metà illuminata della sala avesse voluto dormire, avrebbe potuto coricarsi in uno dei letti liberi nella parte buia, perché ce n'erano sempre a sufficienza, e nessuno aveva mai avuto qualcosa da ridire se il suo letto veniva occupato temporaneamente da un altro. Ma questa suddivisione non avveniva mai. Ad esempio c'erano sempre due che dopo aver dormito un poco al buio avevano voglia di giocare a carte su un asse collocato tra i loro letti, e naturalmente accendevano una lampada la cui luce accecante colpiva in viso qualcuno addormentato facendolo sobbalzare. Questo qualcuno restava ancora un po' a rigirarsi nel letto, ma poi non trovava altro da fare se nn mettersi a giocare col suo vicino, anche lui ormai sveglio, accendendo un'altra lampada. E tutti naturalmente riaccendevano la pipa. C'era anche chi voleva dormire ad ogni costo - in genere Karl era tra questi - e che, anziché tenere la testa appoggiata al cuscino, la metteva sotto o l'avvolgeva tra le coperte

   Anche i cortili che attraversavano erano quasi del tutto deserti. Solo qua e là un fattorino spingeva davanti a sé un carretto a due ruote, una donna riempiva una brocca d'acqua alla pompa, un postino attraversava il cortile a passo lento, un vecchio dai baffi bianchi sedeva a gambe incrociate davanti a una porta a vetri e fumava la pipa, qualche cassa veniva scaricata davanti a una ditta di spedizioni, i cavalli a riposo giravano la testa con indifferenza, un uomo in camice sorvegliava il lavoro con un foglio in mano. In un ufficio c'era una finestra aperta e un impiegato seduto alla sua scrivania s'era voltato al passaggio di Karl e Delamarche e guardava fuori pensieroso.


Le Metamorfosi

RELAZIONE PER UN' ACCADEMIA

   Oggi me ne rendo ben conto: senza una gran calma interiore, non sarei riuscito a districarmi. E, forse, tutto ciò che son divenuto lo devo proprio alla calma che penetrò in me dopo i primi giorni trascorsi sulla nave. Di quella calma, a mia volta, sono debitore agli uomini dell'equipaggio.
   Brava gente, nonostante tutto. Ancor oggi mi è piacevole ricordare il suono pesante dei loro passi echeggianti nel mio dormiveglia. Erano abituati a fare ogni cosa con estrema lentezza: se uno voleva stropicciarsi gli occhi, tirava su la mano come fosse un contrappeso. I loro scherzi erano grossolani ma cordiali, e alla loro risata si mescolava sempre una tosse minacciosa all'apparenza, ma priva di significato. Tenevano di continuo in bocca qualcosa da sputare, e sputavano dove capitava. Si lagnavano ad ogni momento per gli assalti delle mie pulci, però in realtà non me ne serbavano rancore: sapendo che il mio vello era la cuccagna delle pulci, e che le pulci saltano, portavano pazienza. Quando erano fuori servizio, talvolta alcuni si sedevano in circolo attorno a me; più che parlare, s'intendevano tra loro a mugolii; fumavano la pipa, sdraiati sulle casse, appena io facevo il minimo movimento, si picchiavano sul ginocchio; ogni tanto qualcuno pigliava una bacchetta e mi solleticava nei miei punti preferiti. Se oggi m'invitassero a fare una traversata su quella nave, certamente rifiuterei, ma è altrettanto certo che lì, sotto coperta, non potrei rievocare soltanto brutti ricordi.

   Imitare gli uomini era facilissimo. Già dai primi giorni imparai a sputare; ci si sputava in faccia a vicenda, e la sola differenza era che io, dopo, mi pulivo la faccia con la lingua, loro no. Presto seppi fumare la pipa come un vecchio lupo; se poi cacciavo il pollice dentro il fornello, l'intera sottocoperta si sganasciava dal ridere; soltanto che io non compresi per parecchio tempo che differenza ci fosse tra una pipa vuota e una piena.

   Troppo sovente la lezione finiva così. E il mio maestro - sia detto a suo onore - non se la prendeva con me; a volte, anzi, accostava la pipa accesa al mio vello e vi appiccava fuoco in qualche punto che faticavo a raggiungere, ma poi subito lo spegneva con la sua brava manona; non se la prendeva, capiva che lottavamo fianco a fianco contro la natura scimmiesca, e che in quella lotta io avevo la parte più ardua.

(http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/1971-1980/1973_7_8.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Marzo 2009, 21:09:05
Wilbur Smith

UNA VENA D'ODIO


    Nella  baracca accanto alla trivella,  il texano finì le operazioni di
    misura  e  si  alzò  dal  tavolo  di  lavoro  con   un   grugnito   di
    soddisfazione.
    Dalla  tasca  sul  fianco estrasse una borsa e una pipa di pannocchia.
    Quando l'ebbe riempita e accesa non esistevano più  dubbi  sul  motivo
    del suo soprannome di "Popeye",  il famoso "Braccio di ferro".  Era la
    copia sputata del personaggio dei fumetti, mascella aggressiva,  occhi
    piccoli e sporgenti, gualcito berretto da marinaio in testa e tutto il
    resto.
    Allen  aspirò  il  fumo  con  aria compiaciuta,  osservando dall'unica
    finestra della baracca la sua squadra intenta al noioso lavoro di  far
    scendere  la trivella nel foro.  Poi si tolse la pipa di bocca e sputò
    fuori dalla finestra,  ripose la pipa e si chinò  per  controllare  le
    misure.
    Il suo caposquadra lo interruppe, comparendo sulla porta.
    «Siamo sul fondo, pronti a girare, capo.»
    «Huh!» "Popeye" controllò l'orologio.  «Due ore e quaranta per arrivar
    giù. State attenti a non stancarvi troppo, mi raccomando!»
    «Non è male come tempo» protestò il caposquadra.
    «Neanche buono,  per la miseria!  Okay,  okay,  diamoci  un  taglio  e
    facciamola  girare.»  "Popeye"  balzò  fuori  dalla baracca e si avviò
    verso l'impianto di trivellazione, lanciando rapide occhiate attorno a
    sé. Il macchinario era formato da una torre di traverse d'acciaio alta
    quindici metri e all'interno  era  sospesa  la  barra  perforante  che
    compariva  nel  terreno.  I  due motori diesel da duecento cavalli che
    lavoravano  in  coppia  pulsavano  in  attesa  di  fornire   l'energia
    necessaria,  i  tubi di scappamento fumavano cupi nel sole delle prime
    ore del mattino.  Accanto alla torre erano allineate numerose barre di
    trivellazione,  mentre  dietro  c'era la cisterna da 45 mila litri che
    forniva l'acqua.  Questa veniva pompata costantemente all'interno  del
    foro per lubrificare e raffreddare la punta che perforava la roccia.
    «Pronti  a farla girare» disse "Popeye" alla squadra,  e gli uomini si
    portarono ai  loro  posti.  Indossavano  tute  blu,  caschi  di  fibra
    colorati e guanti di cuoio,  ed erano pronti e in tensione. Quello era
    un momento delicato per tutto il gruppo;  bisognava azionare la  barra
    di  2400 metri con una delicatezza quasi materna altrimenti si sarebbe
    piegata spezzandosi.
    "Popeye" si arrampicò agilmente sull'orlo del foro e si guardò attorno
    per controllare che tutto fosse a posto. Il caposquadra era ai comandi
    e lo fissava con espressione assorta tenendo le mani sulle leve.
    «Motore!» urlò "Popeye" e con la destra descrisse il solito  movimento
    circolare.   I  diesel  ruggirono  e  "Popeye"  allungò  la  sinistra,
    appoggiandola sulla barra di trivellazione. Il suo sistema era quello:
    "sentiva" la  barra  con  la  mano  nuda  mentre  entrava  in  azione,
    valutando  la  tensione  del  metallo con le orecchie,  gli occhi e il
    tatto.
    La destra si agitò e delicatamente il caposquadra innestò la frizione.
    La barra si mosse sotto la mano di "Popeye"; lui fece un altro gesto e
    la barra ruotò lentamente.  Sentì che era ormai  vicina  al  punto  di
    rottura  e  interruppe  immediatamente  la forza motrice,  poi la fece
    reinserire.  La sua mano  destra  si  mosse  in  modo  eloquente,  con
    l'espressività  di  un  direttore  d'orchestra,  e  il  capo di quella
    squadra specializzata la seguì passo passo.
    Lentamente la tensione degli uomini si affievolì mentre  le  rotazioni
    della barra aumentavano costanti,  finché "Popeye" strinse il pugno in
    segno di okay e scese dal bordo del foro.  Il gruppo si  sciolse,  gli
    uomini  tornarono  ad  altre  occupazioni.  "Popeye"  e il caposquadra
    rientrarono nella baracca  lasciando  che  la  trivella  macinasse  il
    terreno a quattrocento giri al minuto.
    «Ho  qualcosa  per  te»  disse  il  caposquadra mentre entravano nella
    baracca.
    «Cosa?» chiese Allen.
    «L'ultimo "Playboy".»
    «Mi stai prendendo in giro!» lo accusò "Popeye", divertito, ma l'altro
    pescò fuori la rivista dal cestino della colazione.
    «Ehi,  dammela!» "Popeye" gliela strappò di mano e  guardò  subito  il
    manifesto a colori che si trovava al centro del fascicolo.
    «Guarda  che  roba!» fischiò.  «Questa potrebbero metterla nel recinto
    del bestiame e metterebbe K.O.  tutti i tori con gli attributi che  si
    ritrova!»
    Il  caposquadra  si unì alla discussione sull'anatomia della ragazza e
    così per un paio di minuti nessuno dei due si accorse del nuovo rumore
    della trivella.  Poi "Popeye",  pur immerso nei suoi pensieri erotici,
    lo  sentì.  Gettò  a  terra  la  rivista  e corse verso la porta della
    baracca col volto sbiancato.
    La baracca distava dalla torre cinquanta metri,  ma  anche  da  quella
    distanza  "Popeye"  vide  la  vibrazione  della  barra.  Sentì la nota
    affaticata dei diesel sotto sforzo e si  precipitò  nel  tentativo  di
    raggiungere  i  comandi  e  spegnere  i  motori prima che accadesse il
    peggio.
    Sapeva di cosa si trattava.  La trivella  aveva  perforato  una  delle
    tante  spaccature che attraversavano quel tratto di terreno,  zeppo di
    faglie. Il liquido lubrificante del foro era defluito lasciando che la
    punta  lavorasse  a  secco  contro  la   roccia.   Il   calore,   dato
    dall'attrito,  era  aumentato;  la  polvere  di  taglio non veniva più
    rimossa dall'acqua e quindi la barra si era bloccata.  Mentre  da  una
    parte la barra era incastrata saldamente, dall'altra due grossi diesel
    si  sforzavano  di  farla  girare  Ancora  pochi  secondi e si sarebbe
    spezzata.
    Avrebbe dovuto esserci un uomo ai comandi nel caso si fosse verificata
    un'emergenza del genere,  ma l'addetto era a una trentina di  metri  e
    stava  giusto  sbucando  dalla  baracca  delle latrine posta dietro il
    serbatoio. Tentava disperatamente, nello stesso tempo, di tirarsi su i
    calzoni, allacciarsi la cintura e correre.
    «Pezzo di merda che  non  sei  altro!»  ruggì  "Popeye"  all'uomo  che
    correva. «Dove diavolo sei andato a rintanarti...»
    Le  parole  gli si strozzarono in gola perché giunto sulla porta della
    sala motori ci fu uno scoppio simile a una salva di cannone.  La barra
    si  era  spezzata  e  subito  i diesel,  alleggeriti del sovraccarico,
    andarono  fuori  giri.   Troppo  tardi.   "Popeye"  spense  i  magneti
    d'accensione e i motori si spensero, scoppiettando.
    Il  silenzio  era  rotto  dai  singhiozzi  di  rabbia  e  di fatica di
    "Popeye".
    «La barra si è spezzata» si lamentò. «Si è spezzata in profondità.  Oh
    no!  Dio,  no!» Forse sarebbero occorse due settimane per ripescare la
    barra rotta, pompare cemento nella spaccatura per sigillarla,  e poter
    ricominciare di nuovo.
    Si  tolse  il  cappellino  e  con  tutte  le  sue forze lo scagliò sul
    pavimento della sala motori,  saltandovi poi sopra a piedi uniti.  Era
    la  sua  solita scena madre.  "Popeye" saltava sul suo cappello almeno
    una volta la settimana e il caposquadra sapeva che una volta  ultimata
    l'operazione avrebbe aggredito chiunque gli fosse capitato a tiro.
    Silenziosamente,   il  caposquadra  s'infilò  dietro  il  volante  del
    camioncino Ford e il resto degli  uomini  si  arrampicarono  a  bordo.
    Tutti quanti se la svignarono,  traballando lungo la pista segnata dai
    solchi delle ruote.  Sulla strada principale c'era un chiosco dove  di
    solito  andavano  a  bersi  un caffè in circostanze simili.  Quando la
    mente di "Popeye" fu abbastanza libera dai fumi  dell'ira  perché  lui
    cercasse  qualcuno  da  immolare alla sua rabbia,  si guardò intorno e
    trovò la zona di trivellazione stranamente immobile e deserta.
    «Stupido branco di babbuini fifoni!» muggì deluso verso il camion  che
    si allontanava,  poi non gli restò altro che rientrare nella baracca e
    telefonare all'amministratore delegato.
    Questo  distinto  signore,   seduto  negli  uffici  dotati   di   aria
    condizionata della Trivellazioni e Cementazioni Hart di Rissik Street,
    a  Johannesburg,  fu  colto leggermente di sorpresa nell'apprendere da
    "Popeye" Worth che lui,  l'amministratore delegato,  era il principale
    responsabile della rottura di una costosa trivella di diamante al foro
    numero 5 della Sonder Ditch.
    «Se  avesse  usato  quel  mucchio  di segatura che passa per cervello,
    sarebbe stato alla larga dal fare buchi in questo  colabrodo»  sbraitò
    "Popeye"  al telefono.  «Preferirei infilare il mio "succhiello" in un
    tritacarne piuttosto che piantare una trivella in questo  terreno.  Fa
    schifo  vi  dico!  Non invidio certo quel povero figlio di puttana che
    proverà a scavare là sotto!»
    Sbatté giù il telefono e riempì la pipa con le mani che gli tremavano.
    Dieci minuti dopo il respiro era tornato regolare  e  le  mani  ferme.
    Risollevò  il ricevitore e compose il numero del chiosco.  Gli rispose
    il proprietario.
    «José, dì ai miei ragazzi che tutto è a posto, possono tornare adesso»
    disse "Popeye".

(http://img57.imageshack.us/img57/1761/popey4sv.png)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Marzo 2009, 19:55:00
Pipe King.. e poi anche S.H......

STEPHEN KING

L'OMBRA DELLO SCORPIONE

Fran si rese conto che suo padre aveva smesso di parlare. Se ne stava se­duto su un sasso in fondo al suo solco, a riempirsi la pipa e a guardarla.
«Che cos'hai in mente, Frannie?»
Lo guardò confusa per un momento, incerta sul da farsi. Era uscita per dirglielo e ora non era sicura di poterlo fare. Tra loro rimase sospeso il silen­zio, dilatandosi sempre più, e alla fine fu un baratro che Fran non riusciva a tollerare. Spiccò il salto.
«Sono incinta,» disse semplicemente.
Lui smise di riempire la pipa e si limitò a guardarla. «Incinta,» ripeté, come se fosse la prima volta che udiva quella parola. Poi disse: «Oh, Fran­nie... stai scherzando? O mi prendi in giro?»
«No, papà.»
«Vieni a sederti qui vicino a me.»
Obbediente, Fran risalì il solco e gli si sedette accanto. C'era un muretto a secco che separava il loro orto dal vicino parco municipale. Oltre il muro c'era un'intricata siepe prorumata che da tempo immemorabile si era dolce­mente inselvatichita. Fran si sentiva martellare la testa e avvertiva un lieve senso di nausea.
«Sei sicura?» le domandò.
«Sicurissima,» rispose lei. E poi, senza neppure un'ombra d'artificio, ma semplicemente perché non poté farne a meno, attaccò a piangere con vio­lenti, rumorosi singhiozzi. Quando le lacrime le traboccarono dagli occhi, si costrinse a fare la domanda che più la preoccupava.
«Papà, mi vuoi ancora bene?»
«Che cosa?» La guardò sconcertato. «Sì. Ti voglio ancora molto bene, Frannie.»
La risposta la fece piangere di nuovo, ma questa volta Peter lasciò che se la sbrigasse da sola mentre si accendeva la pipa. L'aroma del Borkum Riff prese a diffondersi lentamente sulle ali del venticello.
«Sei deluso?» domandò Fran.
«Non lo so. È la prima volta che mi capita di avere una figlia incinta, e non sono sicuro di come debba prenderla.

«Matrimonio o aborto,» disse Peter Goldsmith, tirando una boccata di fumo dalla pipa. «Non una, ma due soluzioni.»

«Sposarlo? Quello che basta per uno basta anche per due, o almeno così dicono.»
«Non credo di poterlo fare. Credo di essermi disamorata di lui, ammesso che ne sia mai stata innamorata.»
«Il bambino?» La pipa tirava bene, adesso, e il fumo profumava l'aria estiva. L'ombra si addensava negli anfratti dell'orto e i grilli cominciavano a frinire.
«No, il motivo non è il bambino. Stava già succedendo.

                                                                       
INCUBI E DELIRI.


Ti prende a poco a poco

Gary Paulson entra nell'emporio con squisita lentezza e richiude meticolosamente la porta.
"'giorno", lo saluta meccanicamente Harley McKissick.
"Ho sentito che hai vinto un tacchino ieri sera, giù alla Grange", commenta il Vecchio Clut, mentre si prepara la pipa.
"Già", conferma Gary.
"Chi sta costruendo l'ala nuova a casa Newall?" chiede finalmente Gary.
Si girano a guardarlo. Per un momento il fiammifero da cucina che il Vecchio Clut ha appena strofinato resta sospeso sopra la pipa a bruciare annerendosi. La capocchia di zolfo diventa grigia e s'arriccia. Finalmente il Vecchio Clut abbassa il fiammifero nel fornello e tira.
"Ala nuova?" domanda Harley.
"Già."
Una membrana azzurra di fumo sale dalla pipa del Vecchio Clut a distendersi sopra la stufa come la rete delicata di un pescatore. Lenny Partridge solleva il mento a tendersi i barbigli del collo e si passa lentamente la mano sulla gola, producendo un fruscio secco.
Era così immerso nelle sue riflessioni che il vento gli stava praticamente fumando tutta la pipa.
"E' stato come piazzarsi davanti allo specchio in bagno con l'idea di farsi la barba e vedersi in testa il primo capello grigio.


Il caso del dottore

Lord Hull era da ogni punto di vista (inclusi quelli dei suoi più vicini e, ehm, più cari), un pessimo individuo e più picchiato di una fascina di grano alla trebbiatura. Comunque ha finito per sempre di praticare cattiverie e stravaganze verso le undici di stamane, esattamente..." e si tolse dalla tasca il cipollone per consultarlo, "... due ore e quaranta minuti fa, quando qualcuno gli ha conficcato un coltello nella schiena mentre era seduto nel suo studio con il testamento aperto sulla scrivania."
"Dunque", commentò pensieroso Holmes mentre si accendeva la pipa, "voi credete che lo studio di questo spregevole Lord Hull sia la perfetta stanza chiusa a chiave dei miei sogni, giusto?" I suoi occhi scintillarono di scetticismo attraverso una trama di fumo azzurrognolo.
"Così credo", affermò in tono pacato Lestrade.

"State scherzando!" gridai io e se Lestrade si era aspettato una reazione del genere da parte di Holmes, restò deluso. Holmes si limitò a riaccendere la pipa e ad annuire come se lo avesse previsto... o avesse previsto qualcosa di simile. "Con i neonati che muoiono di fame nell'East End e i bambini di dodici anni che lavorano cinquanta ore la settimana nelle fabbriche, costui avrebbe lasciato diecimila sterline a... a una pensioni per gatti?"
"Proprio così", confermò di buon animo Lestrade. "E c'è di più . Avrebbe lasciato una cifra ventisette volte maggiore ai mici abbandonati della signora Hemphill se non fosse per ciò che è avvenuto stamane... e per chi ne è responsabile."
Potei solo rimanere a bocca aperta a quell'affermazione, mentre cercavo di moltiplicare mentalmente. Mentre giungevo alla conclusione che Lord Hull aveva avuto intenzione di diseredare moglie e figli in favore di una pensione per felini, Holmes osservava corrucciato Lestrade e diceva qualcosa che a me sembrò del tutto sconclusionato. "Dovrò sternutire, vero?"
Lestrade sorrise. Fu un sorriso di dolcezza trascendentale. "Sì, mio caro Holmes! Spesso e con vigore, temo."
Holmes si tolse dalla bocca la pipa che era appena riuscito a far prendere come era di suo gusto (lo capivo da come si era sistemato meglio contro lo schienale), la osservò per un istante, quindi la sporse sotto la pioggia. Piùdisorientato che mai, lo guardai far cadere fuori il tabacco bagnato.

MISERY

Geoffrey chiuse la porta e salì in coperta. Invece di gettarsi in mare, come aveva meditato di fare, si accese la pipa e fumò lentamente una presa di tabacco, osservando il sole che scendeva dietro quella nuvola lontana che stava scomparendo all'orizzonte, quella nuvola che era la costa dell'Africa.

Poi, poiché non sopportava di fare altrimenti, Paul Sheldon estrasse l'ultima pagina dal rullo della macchina per scrivere e con una penna vergò la parola più amata e odiata nel vocabolario dello scrittore:


Dolores Claiborne

«Vuole accomodarsi, signora?» fa lui, come se l'ufficio era suo
e non di quel poveraccio di Garrett.
Io mi sono seduta e lui mi ha chiesto se gli davo gentilmente
il permesso di fumare. Io gli ho risposto che per me poteva anche
ardere, se gli piaceva, e lui ha ridacchiato come se aveva trovato
la mia battuta divertente... ma i suoi occhi non hanno riso per
niente. Ha tirato fuori dalla tasca della giacca una grande pipa
nera, una radica, e se l'è accesa. Senza però mai staccare gli occhi
da me. Anche dopo, con la pipa stretta fra i denti e il fumo che
saliva, ha continuato a fissarmi. Mi davano il batticuore, quegli
occhi che mi scrutavano attraverso il fumo, e ho pensato di
nuovo a Battiscan Light. Dicono che quella lampada si vede al
largo quasi a due miglia anche in una notte di nebbia fitta da
tagliare con il coltello.

Alla lunga, quando ha visto che non stavo per cascare dalla
sedia e confessare di aver assassinato mio marito, e poco ma sicuro
che il massimo della gioia per lui sarebbe stato vedermi confessa-
re fra lacrime e singhiozzi, si è tolto la pipa dalla bocca e ha detto:
«Signora St. George, lei ha detto all'agente che è stato suo marito
a procurarle quei lividi sul collo».
«Sì.»

«lei pensa che ho spinto mio marito in quel pozzo?»
Un po' ci è rimasto. Ha sbattuto quegli occhi come fari, poi
per qualche secondo gli si sono appannati. Si è messo a trafficare
e armeggiare con la pipa prima di ficcarsela di nuovo in bocca e
succhiare, mentre intanto cercava di decidere come prenderla.

"Va bene, va bene», fa lui e posa la pipa nel portacenere
d'ottone di Garrett e non vi dico il colpo che si è sentito, per la
rabbia con cui l'ha fatto. Ormai aveva gli occhi infuocati e gli si
era dipinta una striscia rossa sulla fronte a fare pendant con i due
pomelli che aveva sulle guance.

(http://i.current.com/images/epg/event/ChapOlympics/1_400x300.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Marzo 2009, 09:37:19
Ritorna fuori,ancora una volta, S.H. in un racconto paradossale come il suo autore.....

Alfred Hitchcock.

Sei piccole bare
   
Un assassino professionista, signore?  chiese Snod
man, guardando Moriarty con un'espressione priva di emo
zione. Affascinava sempre Snodman il fatto che un uomo
come Moriarty, per decreto del destino, fosse riuscito ad
essere un commissario di polizia e assomigliasse tanto al
l'immagine di Sherlock Holmes, così come uno se lo im
magina, con quel naso sottile e aquilino, gli occhi grigi e
scaltri, persino la pipa sempre in funzione con la cannuc
cia leggermente incurvata.
   Forse il più grande killer in cui si sia mai imbattuta
la polizia  rispose il commissario.  Si dice che lavori per
il sindacato non più di una volta all'anno e che riceva per
lo meno cinquantamila dollari al colpo. Personalmente so
di almeno cinque lavori che egli ha svolto in varie città.
  Snodman, che pure fumava la pipa, appoggiò la cannuc
cia tra le labbra sottili e prese la borsa del tabacco.  Co
me può essere sicuro che sono stati tutti opera di... di que
sto Tabaccone, signore? Modus operandi?
  Il commissario sorrise.  E proprio del suo modus ope
randi che è orgoglioso. Però cambia ogni volta. A Chica
go, nel campo del racket dello sport, si è trattato di un
pallone da pallacanestro esplosivo; due anni fa, Hans Grei
ber, il falsario di passaporti, fu trovato annegato in una
di quelle piccole macchine tedesche riempita d'acqua; e
certamente lei ricorderà quando Joe Besini, che era sul
punto di fornire allo stato le prove contro il sindacato, fu
trovato soffocato da una pizza calda.
Raccapricciante  commentò Snodman.
C'erano anche le acciughe.
Il commissario Moriarty
scosse il capo come per scacciare i ricordi.  Il fatto è che
in ciascuno di questi casi la vittima sapeva di essere de
stinata alla morte e di avere la protezione della polizia. E
in ciascuno di questi casi il Tabaccone avvertiva le vittime
con una di queste poesie. Un gioco leale, dobbiamo am
metterlo.
   Già  convenne Snodman, cambiando posizione nella
poltrona di pelle perch‚ i pantaloni non si sciupassero trop
po. Era uno dei detective meglio vestiti e ne era orgoglio
samente consapevole.  Suppongo che sia stato fatto di tut
to per risalire a lui attraverso le poesie  disse.
  Il commissario annuì.  Come vede, sono scritte a ma
no, con inchiostro e su carta normale. La carta è troppo
comune per significare qualcosa e gli espert¡ in calligrafia
non possono andare oltre al fatto che si tratta di un indi
viduo preciso, accurato, cosa che anche io avrei capito.
  Snodman aggrottò la fronte.  Ma perchè diavolo spedi
sce le poesie? Non si rende conto che aumentano le sue
possibilità di essere acciuffato?

  Il commissario si chinò sulla scrivania.  Gioco leale,
Snodman. Gli psicologi dicono che è talmente intelligente
e sicuro di se che la sua coscienza lo costringe ad avver
'tire le vittime. Dicono che il Tabaccone desidera conser
vare l'anonimato però si vanta del suo lavoro e allora scri
veva poesie Alcune sono anche belle
  Snodman, che si credeva un esperto in letteratura, fu
tentato di obiettare ma poi preferì lasciar perdere Inoltre,
era curioso di sapere come mai il commissario gli parlava
di questo caso, per cui rimase seduto paziente ad aspetta
re che il capo venisse al nocciolo.
   Il fatto è  continuò Moriarty, morsicando la cannuc
cia ricurva della sua pipa  che un tale di nome Ralph
Capastrani si è convinto a testimoniare, il mese prossimo,
davanti a un Sottocomitato del Senato in udienza sul cri
mine organizzato.

(http://richardcarletonhacker.com/images/sherlockrch375smoke.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Marzo 2009, 13:12:18
L'ultimo uomo sulla Terra ,incontra casualmente l'ultima donna,è legge divina quello che dovrebbe seguire,ma.... c'è anche la pipa....

RICHARD MATHESON

Nel 1943 si diploma alla Brooklyn Technical High School ed entra subito nell'esercito, dal quale viene congedato perché ferito in azione. Tornato civile studia giornalismo all'Università del Missouri, e già nel 1950 pubblica il suo primo racconto, Nato d'uomo e di donna
Nel 1951 si trasferisce in California, e l'anno successivo si sposa. L'incontro con la donna che diverrà sua moglie viene descritto nel racconto Fiamma frigida.
Nel 1959 il produttore televisivo Rod Serling convoca Matheson per un progetto a cui sta lavorando: Ai confini della realtà (The Twilight Zone). Matheson si è già fatto un nome nell'ambito televisivo, scrivendo sceneggiature per telefilm come Alfred Hitchcock Presenta, Star Trek ed altri, così lo scrittore accetta di buon grado l'incarico, scrivendo per la nuova trasmissione.

Nel 1960 l'American International Pictures commissiona a Matheson l'adattamento cinematografico del racconto di Edgar Allan Poe The House of Usher. I vivi e i morti è il primo film di una serie che il regista Roger Corman realizza con la collaborazione di Matheson.

L'anno successivo scrive la sceneggiatura di Il padrone del mondo (Master of the World), adattandolo da Robur il conquistatore di Jules Verne, ed il successivo ancora La notte delle streghe (Burn Witch Burn) adattandolo da Ombre del male di Fritz Leiber.

La fama di Matheson come sceneggiatore è ormai tale che nel 1962 viene chiamato da Alfred Hitchcock per lavorare al suo film Gli uccelli (The Birds), tratto da un racconto di Daphne Du Maurier.
Nel 1964 Matheson adatta Io sono leggenda per il film L'ultimo uomo della Terra (The Last Man on Earth), una co-produzione italo-americana con Vincent Price protagonista. Ma il successo rimane nelle produzioni televisive: nel 1971 adatta il suo racconto Duel per la sceneggiatura dell'omonimo film, diretto dall'allora esordiente Steven Spielberg.

IO SONO LEGGENDA


Non pensava più al fatto che Cortman uscisse per cercare di ucciderlo. Era una minaccia trascurabile.
Neville si lasciò cadere sui gradini di un portico con un lento sospiro.
Poi, con indolenza, infilò una mano in tasca e tirò fuori la pipa. Pigramen-te, con il pollice pigiò il tabacco grezzo nel fornello. Dopo pochi istanti anelli di fumo fluttuavano lentamente sulla sua testa nell'aria calda e im-mobile.

Robert Neville rimase seduto a fissare per alcuni minuti la macchia bianca nel campo, prima di capire che si stava muovendo.
Strinse gli occhi e la pelle del viso gli si tese. Un suono rauco gli salì dalla gola, un suono come un incredulo interrogativo. Poi, alzandosi, portò la mano sinistra agli occhi per schermare la luce del sole.
I suoi denti batterono convulsamente sul cannello della pipa.
Una donna.
Non cercò nemmeno di riprendere la pipa quando questa gli cadde dalle labbra. Per un lungo momento trattenne il respiro e rimase sul gradino del portico a osservare.
Chiuse gli occhi, li aprì. Era ancora là. Robert Neville sentì un battito sordo che gli aumentava nel petto, alla vista di quella donna.


Via via che i minuti passavano, poteva quasi sentire che si allontanava da lei. In un certo senso quasi si rammaricava di averla trovata. Attraverso gli anni aveva raggiunto un certo grado di pace. Aveva accettato la solitu-dine, senza trovarla troppo spiacevole. E ora... fine di tutto.
Per riempire il senso di vuoto del momento, prese la pipa e la borsa del tabacco; riempì il fornello della pipa e l'accese. Per un attimo si chiese se avesse dovuto domandarle se la disturbava. Non glielo chiese.

(http://www.citycigarcompany.com/site_assets/www.citycigarcompany.com/images/dynamic/Pipe%20Tobacco/Pipe%20Smoking%20Post%20Cards.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Marzo 2009, 15:02:13
Wow!  12000 visite,ora ci vuole una chicca!! ;D 8)


Carlo Alberto Pisani Dossi

Erede di una delle tante famiglie antiche e benestanti del paese, è ricordato per il suo grande apporto alla politica ed alla cultura.

Egli nacque nel 1849 a Zenevredo, un piccolo paese in provincia di Pavia dove i Pisani-Dossi possedevano delle proprietà da diverse generazioni. Partecipò giovanissimo al movimento della Scapigliatura milanese, scrivendo articoli sui periodici locali e realizzando opere come L’Altrjeri – nero su bianco, Vita dei Alberto Pisani, Note azzurre, Ritratti umani - dal calamajo di un medico.
Legato il suo nome a quello di Francesco Crispi, divenne ben presto 1870 Console a Bogotá, Ministro Plenipotenziario ad Atene e negli ultimi anni di vita, Governatore dell’Eritrea (a cui pare abbia dato il nome). In seguito alla caduta del governo Crispi (1896), abbandonò la carriera diplomatica e si ritirò nella villa di Corbetta.
Morì nel 1910 a Cardina (Como) nella grandiosa villa da lui fatta costruire su uno sperone di roccia con una magnifica vista sul lago, che ha ancora oggi il nome di Dosso in suo onore.

NOTE AZZURRE

"brani di articoli e corsivi  pubblicati su quotidiani milanesi nell'800, ho scelto quelli dove viene menzionata la pipa"


La Malibran morì a Sinigaglia dove cantava durante la fiera. Avea sempre intorno 4 o 5 vecchi ricconi, lauti pagatori - quasi tutti veneti. Quando morì, tant'era il fanatismo per lei che la sua mobiglia fu disputata a prezzi favolosi fra i suoi ammiratori. Si pagò 20 scudi l'uno ogni coccio del pitale dove avea per l'ultima volta pisciato. Tale diede 100 scudi pel cannello d'avorio del clistere di lei, affine di farsene un bocchino da pipa. Un suo voluttuoso canapè con molle stanche salì a una cifra enorme.

Ghiaja di Roma. Lampadine antiche e pipe moderne. Come gli antichi si sbizzarissero a foggiare le terrecotte delle loro lampaduccie. Cit. alcuni tipi di lampade - la pigna, l'oca, il piede, il membro virile - Cit. i vari nomi dei figuli ecc. E così i moderni nel foggiare le terrecotte e la schiuma marina delle loro pipe. La pipa moderna come il lampadino antico era l'oggetto artistico di tutti, dal ricco più sfondato al povero più miserabile. Paragonare alla spicciolata, il gessino colle lampadine plebee e vie via arrivare fino alle lampade auree polilicne ed alle pipe turche ornate di gemme.

(Frammenti di note della 1a visita a Friedrichsruh con Crispi. Mayor tenne e avrà certo ancora un diario particolareggiato). 1 ottobre 1887. Nel nostro vagone-salon, noleggiato dai Fratelli Gondrand e mezzo sconquassato, si giunge la sera a Luneburgo. Con treno espresso mandatoci da Bismarck si arriva a Buchen dove troviamo il conte Erberto di Bismarck. Il conte sale nel nostro vagone assieme al suo segretario conte di Pourtales. Si giunge a Friedric[h]sruh. Il principe-cancelliere è alla stazione a ricevere Crispi. Accoglienza affettuosa. Si va in carrozza a casa distante cinque minuti dalla stazione. Casa signorilmente modesta. Cena. Il principe e la principessa amabilissimi. Ricordi antichi. Avendo Crispi rammentato il trattato di Parigi quasi tutto morto, Bismarck ricorda quello di Berlino osservando che anche di esso “il n'en reste pas grande chose”. Si parla della piccola Prussia, quando Manteuffel ambasciatore prussiano fu lungamente fatto aspettare a Parigi. “Se fossi stato io” dice Bismarck “non avrei certo aspettato”. Si accenna al sistema parlamentare, si parla degli interruzionisti alle Camere. Crispi ricorda di aver detto a uno di essi “qui interrompt ne sait pas parler”. ‹La principessa non fu mai alla Camera.› Dopo pranzo Bismarck offre sigari e fa portare bottiglie di birra. Colla sua lunga pipa in bocca il principe loda i benefici fisici e morali del tabacco. ‹Il principe fuma tre pipe ogni sera.› Essendo un soporifero, rende più calmi i discorsi: poi la preoccupazione di chi ha in mano uno sigaro o in bocca una pipa, perchè non si spenga, dà modo di calcolare e di far risaltare le proprie frasi. - ‹Bism. si meraviglia che Crispi non fumi nè beva.› Salvatore, servo di Crispi, mi riferisce che il cuoco di Bism. gli ha chiesto che cosa il ministro sia venuto a fare a Friedric[h]sruh. - 2 ottobre 1887. Il principe entra alle 10½ nella camera di Crispi dove mi trovavo. Bismarck domanda scusa di essersi levato tardi. Domanda a Crispi se ha preso il suo latte. Cr. gli chiede se non va più a caccia. Risponde: “j'ai pitié de ces pauvres bêtes”. Bism. domanda il permesso di andare ad aprire il suo corriere, dicendo che tornerà da Cr. Dopo un'ora un cameriere viene ad invitar Cr. a nome del principe di passare nel suo studio. I° lungo colloquio col Cancelliere. - Nella giornata passeggiata nel parco. Pioviggina. Il principe e Cr. in una carrozzella. La principessa avvolge Cr. nel mantello del cancelliere - un mantello che aveva veduto la guerra del 1870. A tavola il dott.r Schweninger, medico fidato di Bismarck, che lo aveva salvato da un esaurimento nervoso gravissimo colla cura specialmente delle arringhe salate. Schweninger fa un po' come quel segretario di Sancio Pancia all'isola Barataria che gli inibisce il tale o tal altro piatto. Oggi però Bismarck si trova lontano di posto da Schweninger, e a me che gli sto a sinistra dice mostrandomi una vivanda di cui si serve largamente: “de ceci je ne devrais pas goûter. Mais, le soir, le docteur ne voit pas. Profitons-en”. - Sentendo che io era milanese, Bismarck aveva fatto imbandire quella sera un gran risotto. Mi domandò come mi sembrava. Lo lodai - ma mancava di zafferano. (Le altre note, fatte a matita, sono smarrite).


Carlo Dossi

LA DESINENZA IN A

Ma quì mi avverte la casalinga mia madre che «il miglior modo di conservare su di un camino la legna, è quello di non accènderla o di spègnerla tosto» aggiungendo, che «con un sì sèmplice mètodo, senza mai spesa di spazzacamino si ovvìa ad ogni perìcol d'incendio.»
E ¡guài se suo marito, mio babbo, osa non èsser contento! ¡Apriti cielo! «Staremmo freschi se lei non ci fosse. ¿Chi la ricca? ¿chi la padrona? ¿chi l'avveduta? lei, tutto lei. ¿Che sono mai gli Amaretti a confronto dei Cornabò? regolizia paragonata col zafferano.» Allora, babbo - pòvera pesca spiccatoja - già assuefatto a ubidirla fin da quando pativa da ragioniere sotto il fù Gian Battista padre di lei, e che, mercè il matrimonio, venne a trovarsi in uno stato di minorità - ¡sùbito buci! - riempie la pipa con un quattrino del giornaliero due-soldi di tabacco in corda e ritorna, se è dì di lavoro, al mànico del macinino del Moca o a crivellar la scoviglia, e se è festa a lèggere il suo giornale di quarta mano, che gli descrive i vantaggi del quarantotto e della cacciata degli austrìaci.
E intanto, la teatral bergamina si riunisce ai suòi chiusi. Illùminansi i camerini, gusci di altrettante celebrità. La istriona allo specchio si rimposticcia il cuore serale e si «fà il volto», la virtuosa (perocchè in medio stat vìrtus) scioglie, in attesa «di superare sè stessa» a tutto entusiasmo della sorda mammana, il canarino della celeste trachèa; mentre la trinciasalti, come una mosca che si soffreghi i pie' inzaccherati, riavvìa, a tutto profitto della lievemente arrabbiata cagnetta, la polposa loquela delle sue gambe, oppure, mezzo vestita da Dea e sdrajata su 'n canapè dalle molle rotte, si spassa a grattarsi un prurito che possiede zampini. Poichè, di là del telone, quella belva feroce, che è «il rispettàbile e colto» ancor non da segno col trepicchio e col fischio della sua graziosa presenza. Quantunque la piccionaja sia già tutto teste, e sbrìscino nella platèa, ad ogni momento, di quelle brave persone, che a bene godere il proprio denaro non vòglion pèrder neppure la noja del divertimento, l'ombra intimidisce i rumori, ombra assài grata ai servottài del loggione, che stanno insegnando come si alzi il sipario e balli la marionetta, a voi, Colombine, maliziosamente crèdule.
Il che, tutto insieme, è un brulichìo, una nebbia, dove l'incenso sembra fumar da una pipa, da una caffettiera il tabacco, da un incensiere il caffè; dove, nel solenne bordone dell'òrgano galoppa sguajatamente lo strillo dell'organetto, e sul rombo della campana, punteggiato dal tonfo del tamburone, si eleva il ricamato affanno del piano, interrotto quà e là dallo stappo delle gazose, dal fischio de' razzi e dal ruotolìo dei brummi, tintinnanti nei vetri - tutto un grigio, diciamo, di rumori e di odori, nel quale inutilmente si perde il vagito che esala dalle latrine e l'afror di carbone della tradita mansarda, e di cui gli ùltimi echi, sfiorando la prigioniera, aggrappata alle sbarre e smaniosa pur del ceffo aguzzino, vanno a morire, evocatori di non pentiti desìi, in quella lunga corsìa, divo Rocho dicata, dove - in tanti lettini, tutti, fuorchè nel nùmero, eguali; dai tanti consìmili visi, o a meglio dire, ricordi di viso - chiùdonsi tante storie di gioja che ne fanno una sola di pianto.
Ma, ¡ecchè! delle storie con il singhiozzo, ne abbiamo già pieni i cassetti, ed anche le scàtole. ¡Bando ai gufi! ¡Altra mùsica e orchestra! ¡A mè i giovanotti che vìvono all'avventata, facendo l'amore sui pianeròttoli! ¡a mè i prudentìssimi vecchi, che han sempre fatto lo zio e i verginoni senza rammàrico, e i «non indegni di aver perduto la prima!...»
Nata in tempi nei quali ghigliottinàvansi coi vecchi capi i pregiudizi vecchi, la baronessa avèa entusiasticamente adottata l'acconciatura de' nuovi, inneggiando, tra i primi, a quello della fraternità. Troppo bella per èssere casta nè conoscendo l'arte del negare, ella veniva assài facilmente all'ùltima confidenza, anzi al napoleònico «affare di canapè», senza che il pòlline regio le desse mai la nasetta per il plebèo. Non sembra però che alla salute le fosse avverso il peccato. Novella Ninon, la baronessa oltrepassava i novanta, non solo sulle sue gambe (il che sarebbe già molto) ma con tutte le sue rotondità, tutti i capelli ed i bianchìssimi denti benchè pipasse da turco, con l'appetito di settant'anni addietro e uno stòmaco pari,,  e così era giunta a quel salto nel zero, che noi chiamiamo la morte, avendo ad inalterate compagne le sue inobbedienze carnali e la giacobina spregiudicatura e la pugnace vivacità dai moti di verduraja e dai «mòccoli» di caserma, non ricordando altro cielo che que' della bocca e del letto ed in nulla fidando fuorchè in Napoleone e sè stessa.

(http://static.guim.co.uk/Guardian/lifeandhealth/gallery/2007/oct/03/fashion/verdy5-8107.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Marzo 2009, 19:07:29

Bibliophile Jacob
Paul Lacroix, più conosciuto sotto gli pseudonimi di P. L. Jacob, Bibliophile, o di le Bibliophile Jacob, (1806 – Parigi, 11884),giornalista, bibliotecario, poligrafo ed erudito francese.
Scrittore molto prolifico . Dopo una serie di ben venti romanzi storici (Le roi des ribauds : histoire du temps de Louis XII, 1831; L'Homme au masque de fer, 1836; Le marchand du Havre : histoire contemporaine, 1839), si dedicò alla pubblicazioni di opere di pura erudizione, quali una Histoire de l'orfévrerie-joaillerie et des anciennes communautés et confréries d'orfèvres-joailliers de la France et de la Belgique, Storia dell'oreficeria e della gioielleria (1850), La Jeunesse de Molière, La giovinezza di Molière (1857). La sua opera più importante consiste in una serie di libri di curiosità storiche (Curiosités de l'histoire du vieux Paris, Curiosità della storia della vecchia Parigi

La mia Repubblica

Ero così preoccupato e di cattivo umore che dimenticai di togliere la chiave dalla serratura, che restò lì. Quando ebbi richiuso la porta dietro di me, penetrai a tentoni in camera da letto, dove due armadietti Boulle47 racchiudevano il mio tesoro, i libri più preziosi per rarità, bellezza o rilegatura. Lanciai un’esclamazione di sorpresa e di spavento quando vidi che le vetrine di un armadio erano aperte. Non potei vedere di più nella semioscurità in cui mi trovavo; ma mi sembrò che non fossi solo e che delle ombre passassero intorno a me: fu una specie di allucinazione che mi fece credere che alcuni ladri stessero portandomi via i libri e che il mio arrivo imprevisto avesse salvato la biblioteca. Allungai le braccia a destra e a sinistra per fermare i ladri e recuperare i libri; le mie braccia si agitarono invano nel vuoto, non incontrando alcun ostacolo. Restai immobile in ascolto, senza sentir alcun rumore se non quello del mio respiro ansimante.
«C’è qualcuno?» domandai più volte alzando la voce. «Chi sta toccando i miei libri?»
Mi venne l’idea che potesse essere Scevola, ma siccome nessuno rispondeva e i miei occhi, abituandosi al buio che mi circondava, non distinguevano alcuna forma animata, mi convinsi che i ladri si fossero nascosti o che, al mio arrivo, avessero avuto il tempo di scappare, forse dalla finestra aperta. Come procurarmi un po’ di luce senza uscire dall’appartamento, senza chiedere aiuto? Cercai a caso sul caminetto, dove non avevo alcuna possibilità di trovare un acciarino: fu tuttavia il primo oggetto che mi capitò sotto mano, insieme a una pipa e a un sacchetto da tabacco che non avevo certo lasciato io prima della mia partenza per il corpo d’armata dei Pirenei. Una pipa e un sacchetto di tabacco in una biblioteca, a casa di un bibliofilo! Come dubitarne? V’erano i barbari, i ladri!
Battei con forza l’acciarino, inquieto, costernato per lo spettacolo che mi attendeva e, al primo bagliore che illuminò la stanza, mi accorsi con orrore che la pipa era ancora per metà piena e il sacchetto per metà vuoto, come se il fumatore li avesse appena lasciati. Ma volgendo rapidamente lo sguardo verso i due armadi che contenevano i libri, fui piacevolmente sorpreso di non scorgervi la minima traccia di danno: i libri erano o sembravano essere nello stato più soddisfacente, nell’ordine più perfetto. Appena accesa la candela, corsi subito all’armadio che era aperto, e mi bastò un’occhiata per convincermi che non un volume era stato spostato.

(http://farm4.static.flickr.com/3140/2904652155_0cc4d1963e.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Marzo 2009, 20:12:36
Pipe sdolcinate,(dipende dal tabacco).....

PATRICK REDMOND

Patrick Redmond (1966) ha studiato legge alla Leicester University e alla University of British Columbia di Vancouver.
Specializzato in diritto internazionale, ha lavorato per una decina d'anni come avvocato in vari studi legali della City di Londra. L'allievo
,il suo primo romanzo, già in fase di manoscritto ha suscitato in tutto il mondo un clamore straordinario.

LUCE DEI MIEI OCCHI


   
Agosto. Anna sedeva allo scrittoio e stava battendo a macchina l'ultima
infornata di appunti. La finestra era aperta. Un alito di vento agitava ada-
gio il ricciolo di fumo di pipa che Charles Pembroke soffiava nell'aria della
stanza. Fuori la giornata era stupenda.
  Con il cannello della pipa stretto fra i denti, Charles stava completando
altri appunti da farle battere a macchina. «Come vanno le cose a Hepton?
Tutto bene?»
   Anna si attenne alla versione di facciata. «Stanno facendo progetti per
l'imminente matrimonio di Thomas.»
   Charles le parlò di un matrimonio a cui aveva partecipato in America nel
quale la cugina dello sposo aveva avuto le doglie quando la sposa a brac-
cetto del padre era appena a metà navata. L'aneddoto la fece ridere. Le pia-
cevano le storie che raccontava. Mentre parlava, nuvolette di fumo di pipa
si arricciolavano in aria. Si era offerto di non fumare in sua presenza, ma
anche a lei piaceva l'aroma del tabacco da pipa. Le faceva tornare alla
mente piacevoli ricordi di suo padre.Papà fumava la pipa e
mamma gli stava dicendo quanto assomigliava a Ronald Colman, mentre il
loro gatto miagolava forte come se si lamentasse dell'odore del tabacco.
«Non capisco questa frase.»
Anna andò a mostrargli la pagina. Mentre lei leggeva ad alta voce, Char-
les caricò la pipa dopo avere grattato l'interno del fornello con l'apposito
attrezzo per eliminare i residui di incrostazioni. «Ci sono altre parti che
non riesce a decifrare?»

(http://www.thechap.net/content/images/smoker.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Marzo 2009, 21:09:36
IRA LEVIN  1929-2007

Studiò all'Università di New York, laureandosi in filosofia e inglese.
A 22 anni scrisse il suo primo racconto, Un bacio prima di morire, per il quale vinse anche un premio nel 1954.
Ma il suo romanzo più famoso è senz'altro Rosemary's Baby, una storia horror con risvolti nel satanico e nell'occulto.
Dalla maggior parte dei suoi scritti sono stati tratti film di successo.

I RAGAZZI VENUTI DAL BRASILE


«Ora, perché mai un nazista ce l'ha con me?»
Mengele si voltò. Wheelock sedeva su un divano vittoriano tra le due finestre che si aprivano nella facciata della casa, intento a estrarre prese di tabacco da un vaso di vetro intagliato, posato su un tavolino basso davanti a lui, e a premerle in una tozza pipa nera. Un doberman se ne stava con le zampe anteriori sul tavolino, a guardare.
Un altro doberman, il più grosso, giaceva su un tappeto rotondo tra Wheelock e Mengele, e teneva lo sguardo levato su Mengele, placidamente ma con interesse.
Gli altri due doberman annusavano le gambe di Mengele, la punta delle sue dita.
Wheelock lanciò un'occhiata a Mengele e disse: «Be'?».
Sorridendo, Mengele disse: «Sa, mi riesce molto difficile parlare con...» accennò ai doberman che gli stavano accanto.
«Non si preoccupi» disse Wheelock mentre trafficava con la pipa. «Non le daranno noia, se lei non darà noia a me. Si sieda e parli. Si abitueranno a lei.»

«Racconti in fretta la sua storia» disse Wheelock, sedendosi sul divanetto, sollevando la pipa. «Non mi va di tenerli confinati là dentro troppo a lungo.»
«Vengo subito al punto» disse Mengele «ma prima» alzò il dito «mi piacerebbe prestarle una pistola, in modo che possa difendersi in momenti come questo, quando non ha con sé i cani.»
«Ce l'ho, una pistola» ribatté Wheelock appoggiandosi allo schienale del divano con la pipa tra i denti, le braccia sull'intelaiatura della spalliera, le gambe accavallate. «Una Luger.» Si tolse la pipa di bocca, soffiò il fumo. «E due fucili da caccia e una carabina.»
«Questa è una Browning» disse Mengele, estraendo la pistola dalla fondina. «Preferibile alla Luger, perché il caricatore contiene tredici cartucce.» Abbassò col pollice la sicura e, tenendo la pistola in posizione di tiro, la puntò contro Wheelock. «Alzi le mani» disse. «Prima posi la pipa, lentamente.»
Wheelock lo fissò aggrottando le bianche sopracciglia cespugliose.
«Via» disse Mengele. «Non voglio farle del male. Perché dovrei? Lei è un completo estraneo per me. L'uomo che mi interessa è Liebermann.»
Wheelock si protese lentamente in avanti fulminando Mengele con lo sguardo, il volto arrossato per la collera. Posò la pipa e alzò le mani aperte sopra la testa.

(http://www.hunterian.gla.ac.uk/education/images/american_images/E.41a.jpg)


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Marzo 2009, 15:51:27
Oggi il tempo è uno schifo,mi viene voglia di annoiarvi un po', in due parti
perchè non consente di inserire un post con più di 20000 parole:


ho parlato spesso di una tradizione antichissima,ma che tutti conoscono,,la veglia intorno a un focolare,l'occasione per stare insieme e rinsaldare i legami familiari e di amicizia.
Scambiarsi notizie,narrazioni,sparlare di quel fattore o di quella fiera di paese,cantare in poesia e quando c'era un bravo poeta usciva fuori il fiasco del vinsanto.
Oppure la "disturna"una sfottitura spesso cruenta,in rima o in volgare,generale, o mirata tutti contro uno,lo sconfitto diventava i' bischero della veglia,molte commedie popolari riportano questa tradizione una per tutti "Il Giocondo zappaterra" di Poggiolini.
Mentre si parlava venivano compiute altre operazioni,la vecchia che rattoppava un paio di calzoni,o sgranava i piselli per "domndacena" si buttava qualche patata nella cenere,o le castagne,si fumava la pipa,il tabacco era legato sopra il focolare,insieme a qualche "rama" di pomodori.
Ci si costruiva la pipa,con un ferro arroventato ni' foco e con un coltellino,usando i legni disponibili,ovvero ciliegio ,castagno,melo,pero,etc...
Ogni tanto il fiasco faceva la sua lecita e dovuta apparizione.


Emma Perodi



Il padre, Federigo, era un ingegnere e la madre Adelaide Adimari era di origini nobili.
La sua maturazione artistica,avvenne principalmente a Firenze. Dal 1881 fu collaboratrice e poi direttrice (dal 1887) del “Giornale per i Bambini”, che si pubblicava a Roma.
La sua opera principale fu Le novelle della nonna, pubblicata fra il 1892 e il 1893, una raccolta di racconti fantastici ambientati nel Casentino, i quali, pur essendo destinati ai bambini, contengono temi inquietanti, goticheggianti, quasi horror, che sono apprezzabili a pieno da lettori maturi.

Le novelle della nonna

La corona della Madonna

La domenica successiva a quella in cui Regina aveva raccontato la novella "Il Diavolo alla festa", Vezzosa non comparve alla solit'ora a casa Marcucci.
- Che fa Vezzosa? - domandò la vecchia. - In tutta la settimana non s'è fatta mai viva, e manca anche stasera?
La domanda della Regina era soprattutto rivolta a Cecco; ma egli fece il nesci e continuò a tagliare col coltellino una pipa di legno che aveva in mano.
- Dunque, si può sapere quello che è accaduto a Vezzosa? - domandò di nuovo Regina, che s'era assuefatta alla compagnia della ragazza e ora le dispiaceva di esserne priva.
- Mamma, - rispose la Carola, - non saprei dirvelo; ieri l'incontrai con un muso lungo un braccio, e mi disse appena buon giorno.
- Io lo so quello che ha, - saltò su a dire quel frugoletto dell'Annina. - Però me l'ha confidato in segretezza la sorellina di Vezzosa, e non posso dirlo.
Cecco aveva smesso di tagliare la pipa e pareva riflettesse.
- Annina, di' quello che sai! - esclamò egli a un tratto.
- A te specialmente non lo posso dire, - rispose la ragazzina.
- Perché? - domandò il bell'artigliere.
- Perché mi è stato proibito. Vezzosa non viene stasera a veglia e non ci verrà più.
Regina vedeva bene che Cecco s'era turbato a quella notizia, e volgendosi alla Carola, le disse:
- Fammi il piacere di dare una scappata da Vezzosa per dirle che stasera la novella non è di quelle solite, che è la più bella di quante ne so; se non la sente raccontare stasera, forse non la sentirà più.
La Carola prese lo scialle, e l'Annina subito si alzò per accompagnarla; però disse:
- Mamma, faremo il viaggio a ufo, credetemi.
Nonostante la Carola uscì insieme con la figliola, e in quel periodo di attesa i ragazzi si misero a fare il chiasso empiendo di urli la cucina, mentre Cecco andò sull'aia a sfogare il malumore. La Vezzosa l'aveva con lui certamente, e, per non incontrarlo, non andava a veglia.
- Ci venga pure, - diceva Cecco fra sé, - io non le dirò più una parola.
La Carola e l'Annina tornarono sole.
- Ho parlato con la matrigna, - disse la Carola, - e mi ha detto che Vezzosa è a letto; dunque, mamma, raccontate pure, perché ormai lei non c'è da aspettarla.
Cecco avrebbe voluto domandare se era andata a letto perché si sentiva male; ma tacque indispettito, e la Regina prese a dire:

Tanti ma tanti anni fa, il Papa era in guerra con l'imperatore Federigo, e questi, per creargli impicci, mandò a chiamare un santo abate del monastero di Strumi, che apparteneva all'ordine di Vallombrosa, per nome Giovanni Ungheri, e lo creò Papa sotto il nome di Calisto III.
Questo abate, prima di partire dal monastero, ordinò a un orefice una bellissima corona d'oro e, fattala ornare di pietre preziose, la pose in capo a una Madonna di legno, grande al naturale, che era nella chiesa del monastero, considerando che la scelta dell'Imperatore fosse avvenuta per ispirazione della Madonna, di cui egli era devotissimo.
Dopo aver fatto questo donativo, Calisto III lasciò Strumi, e fu eletto in sua vece un certo frate Lamberto, di origine tedesca, uomo molto avaro e cupido di ricchezze.
Questo abate Lamberto, tutte le volte che si trovava in chiesa a pregare, posava gli occhi sulla corona d'oro della Madonna, e tutte le volte pensava che era un peccato di lasciare infruttifere tante migliaia di fiorini quanti ne valeva quella corona, mentre una di similoro avrebbe fatto la stessa figura.
Un giorno capitò nel monastero un orefice di Arezzo, per ridorare una croce che l'abate soleva portare in processione, e fra' Lamberto, nel parlare con l'artefice, venne a ragionare della famosa corona e di quello che era costata.
- Ora vale anche di più, - disse l'orefice, - perché chi l'ha lavorata è morto, e tutto ciò che è uscito dalle sue mani ha raddoppiato di costo.
L'abate, nel sentir questo, disse all'orefice: - È un'imprudenza di lasciare una cosa di tanto valore esposta alla tentazione del primo venuto; sapresti tu farmi una corona eguale a quella, ma di metallo più vile, e ornarla di gemme false? La vera allora si terrebbe riposta e non si metterebbe fuori altro che nei giorni solenni.
- Saprei ben farla, e così somigliante che neppure papa Calisto riuscirebbe a riconoscere quella donata da lui, dalla mia.
- Allora mettiti al lavoro; - replicò l'abate, - ma bada bene di non rivelare a nessuno il segreto.
L'orafo tornò ad Arezzo, e dopo poco tempo portava all'abate Lamberto una corona perfettamente eguale alla vera. Il cupido frate, dopo averlo pagato, si affrettò a scendere in chiesa e, approfittando di un momento in cui nessuno lo vedeva, tolse di sul capo della Madonna la corona preziosa, vi pose la falsa e, nascondendo sotto lo scapolare il gioiello, andò nella sua cella per guardarla bene e giudicare quanto ci avrebbe guadagnato vendendola. In paese c'era un uomo che trafficava in Romagna, e pensava di affidarla a costui per venderla. L'abate era tutto occupato in questi calcoli, quando sentì bussare all'uscio e comparve il frate sagrestano col viso tutto rabbuffato:
- Padre abate, - disse tremando, - in chiesa è avvenuto un miracolo.
- I miracoli che avvengono in chiesa non possono spaventare un buon cristiano: parla.
- Mentre accendevo le lampade dinanzi all'immagine della Madonna, questa ha incominciato a scrollare il capo, prima piano e poi forte, e le è caduta di testa la corona.
- L'avrai inciampata con la canna che regge il moccolino.
- Padre abate, no; e poi in chiesa c'era molta gente, e ora si sarà già sparsa per il paese a narrare il miracolo.
La cella dell'abate, intanto, si era empita di altri frati, e uno di essi, che era tenuto in conto di molto sapiente perché copiava continuamente antichi manoscritti ornandoli di belle iniziali fregiate, disse:
- È naturale che la Madonna abbia gettata in terra la corona. La Santa Madre del Signore non vuole il dono di un frate che è divenuto antipapa a dispetto di Sua Santità Alessandro III, eletto nel conclave dei cardinali.
La spiegazione che fra' Ilario dava del miracolo, confortò molto l'abate.
- Avete parlato saggiamente, - diss'egli, - e noi metteremo un'altra corona sulla testa della Beatissima Vergine.
E, senza indugiare, scese in chiesa, raccolse la corona falsa, e avviatosi nella stanza dov'eran conservati gli oggetti preziosi, tolse da un armadio una corona d'argento che egli stesso posò sul capo della Madonna.
Quella sera, a refettorio, non si parlò d'altro che del miracolo, e nel castello di Strumi, come pure in paese, tutti traevano da quel rifiuto della Vergine l'augurio che ella si volesse costituire protettrice di papa Alessandro e della Lega dei comuni contro l'imperatore Federigo Barbarossa.
- Vedete! - dicevano i paesani, - già due antipapi, creati da Federigo, sono periti di mala morte; presto toccherà anche a Giovanni Ungheri, il quale avrebbe fatto meglio a non cambiare l'abbazia di Strumi con la tiara che non gli viene da Dio.
L'abate Lamberto, impensierito da quel fatto e da tutti i discorsi che suscitava, appena fu nella sua cella pensò esser prudente cosa il nascondere la corona in un ripostiglio a lui solo noto, e non parlar di venderla con anima viva. In seguito, tutto si sarebbe calmato; e quando il fatto fosse dimenticato, poteva, senza pericolo, mandare il gioiello magari anche in Francia. Egli dormì pacificamente, e, destato dalla campana che sonava a mattutino, andò in chiesa. Ma appena si presentò sulla porta che dal monastero metteva nel coro, ecco venirgli incontro molti frati spaventati.
- Padre abate, - dicevano, - mentre stavamo a far la giaculatoria alla Madonna, l'immagine ha incominciato a muovere la testa, prima piano e poi tanto forte che la corona d'argento è caduta in terra: questa non è la corona dell'abate Giovanni, dell'antipapa; qui sotto c'è un mistero!
L'abate Lamberto li calmò dicendo che probabilmente egli aveva posato male la corona e per questo era caduta; ma tanto lui quanto i suoi monaci, quella mattina, dissero distrattamente il mattutino e furon lieti che terminasse: l'abate, per tornar nella sua cella a meditare sull'accaduto; i monaci, per riunirsi fra loro e commentare lo strano avvenimento, del quale, ora, neppur fra' Ilario sapeva dare spiegazione, perché la corona d'argento era un donativo della buona contessa Matelda di Toscana, e la Madonna non poteva rifiutare un ornamento che veniva dalla pia dama. Perché dunque quel fatto avveniva tanto per la corona dell'antipapa Calisto, quanto per quella di colei che aveva lasciati i suoi feudi alla chiesa?
- Misteri! - sentenziò fra' Ilario, e tornò ai suoi manoscritti, che gli facevano dimenticare le cose di questo mondo, e anche quelle del mondo di là.
Dopo la refezione, l'abate Lamberto adunò i suoi monaci e propose loro di mettere un'altra corona alla Madonna e di legargliela sulla testa con un filo di argento. E tutto il convento andò in processione a togliere dall'armadio una bella corona di argento, ornata di smalti e portata a Strumi da Guido di Besagne, il capo dei conti Guidi di Casentino, l'unico superstite della potente famiglia, che aveva i suoi feudi in Romagna. Egli aveva regalata quella corona alla Madonna di Strumi in ringraziamento di una grazia da lui ottenuta, ed era un pregevole lavoro di Bisanzio. Questa volta l'abate non osò mettere la corona in testa alla Madonna; aveva la coscienza sudicia e temeva che l'immagine santa facesse un terzo miracolo per isvergognarlo in presenza di tutti: perciò disse a fra' Ilario:
- Salite voi sulla scala e legate forte la corona in testa alla Vergine.
Fra' Ilario prese un filo d'argento e un paio di tanaglie, e assicurò ben bene la corona sulla testa della Madonna, per modo che, per togliervela, sarebbe occorsa una lima.
Quando questo lavoro fu terminato, l'abate Lamberto ordinò ai suoi monaci d'inginocchiarsi, e poscia intuonò la <I>Salve Regina</I>. Ma neppur dopo questa preghiera era più tranquillo, perché gli pareva che la Madonna tenesse fissi su lui gli occhi che avevano perduto l'espressione buona e dolce, e s'erano fatti severi.
Neppur quello sguardo crucciato della Madre di Gesù, bastò a farlo ravvedere. Con poca fatica avrebbe potuto togliere la corona dal nascondiglio e metterla nell'armadio al posto della falsa; ma quando pensava al valore di quel gioiello, sentiva ridestarsi in cuore tutta la sua cupidigia, e gli pareva già di vedere le belle monete d'oro che ne avrebbe ricavate, vendendolo.
Allora i due miracoli gli apparivano cosa naturalissima, e diceva che la corona falsa e quella d'argento eran cadute perché nella fretta non le aveva bene accomodate sul capo della sacra immagine. L'abate Lamberto fece anche quella notte tutto un sonno, e avrebbe dormito fino a tardi se le campane non lo avessero destato per andare a mattutino.
(http://farm1.static.flickr.com/14/18553083_f1837dfe76.jpg)

segue
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Marzo 2009, 15:53:32
La novella era troppo bella e troppo "tosca" per non metterla tutta,

seconda parte

Scese in chiesa, a passo lento, come si conveniva a un uomo rivestito di un'alta carica, ma giunto sulla porta si fermò.
Che volevano dire quelle genuflessioni dei monaci, quel silenzio e tutte quelle lampade accese, nella chiesa ancor buia?
Fra' Ilario, che lo aveva scòrto fermo sul limitare della chiesa, glielo disse in poche parole. Un istante prima, mentre i monaci recitavano la giaculatoria, la Madonna aveva alzato le braccia e, staccatasi la corona, l'aveva gettata sul pavimento dov'era ancora.
A questo racconto l'abate Lamberto impallidì, tremò, e non ebbe coraggio di accostarsi alla immagine.
- Adunate il Capitolo, - suggerì fra' Ilario all'abate.
- Aduniamolo, - rispose questi.
Prima che il sole fosse alto, tutti i monaci che facevan parte del Capitolo erano convenuti in una grande sala attigua alla cella dell'abate, e questi stava seduto nel fondo di essa, sotto un baldacchino, perché gli spettavano gli stessi onori che ai signori di feudi, e aveva giurisdizione sulle terre dipendenti dall'abbazia di Strumi, e diritto di vita e di morte sugli abitanti.
Tutti i monaci aspettavano che l'abate cominciasse a parlare, ma l'abate taceva. Fra' Ilario allora prese a dire:
- Fratelli, finché si trattava della prima corona caduta dalla testa dell'immagine della Madonna, si poteva supporre che la Madre di nostro Signore avesse orrore di un donativo fattole da un antipapa, cioè da un nemico della Chiesa fondata da Pietro per ordine di Gesù; in quanto alla seconda corona si poteva ammettere che il nostro abate non l'avesse collocata solidamente sul capo dell'immagine; ma oggi voi tutti avete veduto l'atto della Madonna; che cosa ne pensate?
- Miracolo! Miracolo! Miracolo! - si udì ripetere da tutte le bocche,
- Miracolo sì, ma il miracolo è stato fatto a uno scopo; questo è l'effetto, ma la causa di questo miracolo, qual è?
Un profondo silenzio si fece nella sala, e allora l'abate Lamberto, ripreso imperio su se stesso, prese a dire:
- Fratelli, mi pare atto da ribelli il voler indagare la mente della gloriosa Madre di Gesù; sottoponiamoci al volere di Lei e non tentiamo più di alienare da Strumi la sua valida protezione, volendole porre in testa una corona che rifiuta; chiniamo la testa e preghiamo.
L'astuto abate, con questo scappavia, aveva creduto di rimediare a tutto, e i monaci, assuefatti all'obbedienza, accettarono la proposta dell'abate, il quale, alzatosi dal ricco seggiolone, ordinò ai fratelli di seguirlo in chiesa, e congiungendo le mani si avviò avanti a tutti verso l'altare. Entrato che fu in chiesa, s'inginocchiò dinanzi alla Madonna, sopra un guanciale di drappo d'oro, e intonò le litanie.
Si era fatto appena il segno della croce, quando tutti i monaci, che tenevano gli occhi fissi sull'immagine, dettero un grido. La Madonna, lentamente, aveva alzato il braccio destro e, puntando l'indice sull'abate, lo accennava agli altri. Frate Lamberto spalancò gli occhi, dette un grido e cadde tramortito per terra; i monaci fuggirono spaventati, e intanto l'abate rimase disteso sulle lastre di pietra, senza che nessuno gli desse aiuto.
- È dannato! è dannato! - si sentiva bisbigliare per il monastero dai monaci sgomenti, che andavano a rinchiudersi nelle celle per pregare.
Il sagrestano e fra' Ilario ebbero compassione dell'abate, e dopo poco ritornarono in chiesa per veder se si era riavuto.
- Io ritengo che sia morto, - diceva il sagrestano, - e allora che sarà stato mai dell'anima sua?
- No, fratello, non è morto. La Madonna, che è così pietosa anche per i più ostinati peccatori e intercede il Divin Figlio per loro, non può aver permesso che l'abate Lamberto muoia in peccato, poiché la sua anima certo non è scevra di macchie. Solleviamolo di qui, portiamolo nella sua cella e forse potremo guarirlo.
Fra' Ilario, che nel copiare manoscritti dell'abbazia aveva imparato a conoscere la virtù di certe erbe medicinali, quando ebbe collocato l'abate sul letto, lasciò il sagrestano a guardia del malato e andò in cerca dei semplici che credeva lo potessero guarire; ma per quanto gli aprisse la bocca, gli facesse inghiottire decotti e gli applicasse degli empiastri, l'abate Lamberto non apriva gli occhi e non dava segno di vita.
I monaci, sempre impauriti, udendo fra' Ilario andare e venire sotto i loggiati del cortile, mettevano ogni tanto il capo fuori dell'uscio della cella e domandavano notizie. Fra' Ilario passava, scrollando la testa come per dire che non c'era nulla di nuovo.
Il sagrestano rimase tutta la notte a vegliare l'abate; ma il monaco, vinto dalla stanchezza, chinò il capo sul petto e s'addormentò saporitamente.
Egli avrebbe dormito fino a giorno, senza rammentarsi di suonar mattutino, se non lo avessero destato grida strazianti. Aprì gli occhi e vide l'abate seduto sul letto, con gli occhi sbarrati e fuori della testa, che accennava la porta, che era in faccia al letto, ed era stata aperta senza sapere da chi né come. E da quella porta vide lentamente entrare l'immagine della Madonna, col volto crucciato, fermarsi in fondo al letto e accennare l'abate.
Il sagrestano non volle veder altro. Scappò via come un pazzo, facendo svolazzare la tonaca bianca per i loggiati e per i corridoi, e giunto in sagrestia si attaccò alle campane e suonò all'impazzata, finché non gli rimase in mano la fune.
I monaci si destarono credendo che l'abbazia bruciasse; la gente del paese si spaventò, e tutti, senza pensare a vestirsi, scapparon dal letto: i monaci, per correr in chiesa; la gente, per andar sulla piazza a veder quello che accadeva.
Il sagrestano spalancò le porte della chiesa, e ai frati che giungevano dal convento e ai terrazzani che entravano di fuori non sapeva dir altro che:
- La Madonna! La Madonna!
Allora tutti guardarono, e si accòrsero che la sacra immagine non era più al suo posto. Questa sparizione agghiacciò ognuno dalla paura, e il popolo cadde in ginocchio atterrito, mentre i monaci fuggirono nelle celle.
Fra' Ilario andò in quella dell'abate, e con grande meraviglia vide la Madonna appiè del letto e il malato per terra, malamente caduto e livido in faccia.
Allora riunì i monaci e disse che la Madonna bisognava riportarla in chiesa in processione e che probabilmente era voluta andare a benedire l'abate prima che morisse, perché questa volta era morto davvero. Infatti le sue membra si erano irrigidite, ed egli era ghiaccio come un pezzo di marmo. Alcuni monaci ubbidirono, altri non poterono, perché lo spavento li teneva inchiodati nel letto; ma, come Dio volle, la processione si fermò e la Madonna, collocata sopra una barella, fu riportata in chiesa sul piedistallo.
Fra' Ilario, aiutato da due monaci meno paurosi degli altri, vestì il corpo dell'abate della bianca tonaca e dello scapolare; lisciò la sua lunga barba, congiunse le mani del morto, e, dopo avergli messo sul petto la croce d'oro e le insegne del suo grado, lo fece portare in mezzo alla chiesa per rimanervi esposto.
Appena la notizia della visita della Madonna nella cella dell'abate e della morte di lui si sparse nel contado, venne la gente a frotte e, credendo che Lamberto fosse santo, ognuno voleva toccarlo e portar seco una reliquia del defunto. Così, chi gli stracciava un pezzetto di tonaca, chi qualche pelo della barba, chi i capelli.
La sera, quando due novizî furono lasciati a guardia del cadavere per pregare, l'abate pareva un <I>Ecce Homo</I>. Ma la chiesa era quasi buia, la nottata lunga, e i due novizi s'addormentarono a un certo punto senza neppure terminare un <I>De profundis</I> che avevano incominciato; e nel destarsi, trovarono il cadavere con una gamba fuori della bara, per cui, invece di ricomporlo, scapparono per il monastero.
Fra' Ilario, che fu tra i primi a correre in chiesa, confortò i monaci dicendo che i cadaveri si muovono talvolta perché i muscoli si rilasciano ; e alla meglio ricondusse la calma negli animi agitati, ma consigliò che il cadavere fosse presto calato nell'avello per far cessare tutte le cause di paura e di sgomento. E, come fra' Ilario aveva suggerito, fu fatto.
La salma dell'abate fu calata quella mattina stessa nel sotterraneo, dopo essere stata aspersa di acqua benedetta; la pesante lapide di pietra cadde con fracasso sul pavimento e ne fu chiusa l'apertura. Quel giorno fu detto l'uffizio dei morti, e la mattina dopo venne cantata una messa per il riposo dell'anima dell'abate. Il popolo era tutto adunato in chiesa, i monaci avevano indossato i paramenti neri e gialli e stavano aggruppati intorno all'altare, quando tutti gettarono un grido.
La lapide che chiudeva l'avello si alzava lentamente, e da quella sbucava fuori la testa livida di fra' Lamberto, con gli occhi sbarrati e la barba spelacchiata dai fedeli.
- È risuscitato! È risuscitato! - si sentiva gridare.
Fu un fuggi fuggi generale. La gente si affollava alla porta per uscire, le donne urlavano, il monaco che diceva la messa scappò col calice in mano, gli altri si sbandavano per il convento, e in breve in chiesa non rimase altri che l'abate, il quale faceva sforzi sovrumani per sollevare sempre più la lapide e aprire un varco alla sua persona.
Vi riuscì finalmente, ed estenuato, cadendo ogni dieci passi, giunse alla sua cella senza esser veduto da alcuno. Ma qui le forze gli mancarono e rimase lungamente disteso per terra.
I monaci s'eran chiusi in tre o quattro nelle celle e non osavano fiatare; fra' Ilario soltanto, dopo il primo momento di paura, tornò in chiesa, vide la lapide ancora sollevata, guardò nell'avello, e scorgendo la bara vuota si diede a cercare l'abate per il convento.
«Forse non era morto; - pensava, - e chi sa, poveretto, quant'ha sofferto?»
Nell'entrare in camera lo vide lungo disteso per terra, e corse a prendere vino e cibo per ristorarlo.
Dopo poco l'abate Lamberto aprì gli occhi e, veduto frate Ilario accanto a sé, gli disse con voce spenta:
- Fratello, volete farmi la carità di ascoltare la mia confessione?
- Dite pure, abate reverendo, - rispose il monaco.
Lamberto allora si accusò di tutti i suoi peccati di cupidigia, fino a quello della sostituzione della corona.
- Ora mi rimane da dire il più grosso! - esclamò.
- Dite pure, abate reverendo, io vi ascolto, e la misericordia di Dio è grande.
L'abate narrò minutamente le tentazioni alle quali aveva soggiaciuto, i calcoli avari che avea fatti, l'indifferenza con cui aveva accolto gli avvertimenti palesi della Madonna.
- Sono un gran peccatore! - disse terminando la confessione.
- Siete pentito, sinceramente pentito? - gli domandò fra' Ilario.
- Tanto pentito e sgomento del mio misfatto, che se mi diceste di andare in Terra Santa in pellegrinaggio a farmi trucidare dagli infedeli, vi andrei.
- Non è questo che io v'impongo, ma bensì di ripetere pubblicamente in chiesa l'accusa contro voi stesso, e di venire in processione al nascondiglio a prender la corona per rimetterla con le vostre mani sulla testa della Vergine Santissima.
- Ebbene, fra' Ilario, fate bandire per tutta la terra di Strumi che oggi stesso tutto il popolo sia adunato in chiesa prima del vespro per udir la confessione dell'abate.
È inutile dire che la chiesa era gremita di gente quando l'abate vi scese sorretto da fra' Ilario e da un altro monaco. Egli s'inginocchiò nel centro della navata maggiore, sulla lapide che chiudeva l'avello, e, a capo chino, incominciò a snocciolare la lunga corona dei suoi peccati. Finché disse che aveva venduto indulgenze, che s'era appropriato il denaro del povero, che aveva ingannata la gente in ogni modo, il popolo tacque, ma quando giunse a confessare di avere spogliato la Madonna del prezioso donativo di Giovanni Ungheri, allora da cento bocche uscì una terribile parola infamante:
- Ladro! Ladro!
L'abate Lamberto chinò la testa e continuò la confessione; poi, alzatosi, si avviò alla sua cella seguìto dai monaci, e poco dopo ritornava in chiesa recando sopra un guanciale la preziosa corona, che riponeva sulla testa della Madonna.
Quindi, come se non credesse completa la espiazione, si fece portare la corona falsa, e, postasela in testa, disse:
- Questa io la porterò sempre affinché tutti sappiano del mio peccato.
Quello stesso giorno l'abate Lamberto rinunziava alla sua carica, vestiva l'abito da pellegrino e col capo grottescamente ornato della corona, partiva per Terra Santa. Da quel giorno la Madonna di Strumi rimase immobile sul piedistallo, e la preziosa corona non si mosse più dalla testa di lei.
Intanto la fortuna dell'Imperatore era assai scemata in Italia, e Alessandro III, il Papa eletto nel conclave dei cardinali, acquistava sempre maggior potenza. L'antipapa Calisto III, eletto dall'Imperatore, fu preso dal rimorso, e dopo lunghe incertezze depose la tiara e si riconciliò col Papa vero, con Alessandro. Questi, per ricompensarlo della sua sottomissione, gli restituì l'abbazia di Strumi abbandonata da fra' Lamberto, che tornato dopo alcuni anni dal pellegrinaggio di Terra Santa, senza essersi mai tolto di capo la corona che gli attirava le beffe di quanti lo incontravano, venne a stabilirsi in un Eremo poco distante da Strumi, menando vita solitaria ed esemplare. Quando Lamberto venne a morte, lasciò detto che desiderava esser sepolto con quella corona, che era stata per lui una vera corona di spine.
L'abate Giovanni Ungheri non rimase molto a governare l'abbazia di Strumi.
Papa Alessandro lo nominò arcivescovo di Benevento e la sua carica passò all'abate Ridolfo, il quale, edificata l'abbazia di San Fedele a Poppi, andò a stabilirvisi abbandonando Strumi.
Ora dell'abbazia e del palazzo non restano altro che pochi avanzi, sui quali è stata costruita una casa di contadini; ma chi scava nei dintorni, trova scheletri grandissimi, e chi dice che sian di monaci, chi dei conti Guidi. In quella casa ci andò sposa una mia sorella, e per questo so tanto bene vita, morte e miracoli dell'abate Lamberto e dell'antipapa. Le mura non parlano, la terra neppure, ma parlano gli uomini, e così parlando, la storia dell'abate Lamberto si è risaputa di padre in figlio e io ho potuto raccontarvela, - terminò la Regina.

- Grazie, mamma, - disse Maso, - ma non sarò io che potrò raccontarla come voi; farei un bel pasticcio se mi risolvessi a farlo.
- Io però la so benissimo, - disse l'Annina, - e non dubitate, nonna, che questa e le altre novelle che ci avete raccontate, le ho tutte qui, - e accennò il capo. - Così potessi narrarle ai miei nipotini, come fate voi!
I Marcucci continuarono un bel pezzo a parlare del monastero di Strumi e delle sue vicende, senza accorgersi che Cecco era sparito alla chetichella. Tutta la sera era stato inquieto, pareva che non avesse terren fermo, e appena la mamma aveva cessato di narrare, era uscito dalla parte che metteva nel cortiletto della stalla, e una volta fuori s'era diretto a passi precipitati verso la casa di Vezzosa. In cucina il lume ardeva ancora e il padre della ragazza stava sull'uscio a fumar la pipa.
- Buona sera, Momo? - aveva detto Cecco.
L'altro aveva risposto, e da un discorso all'altro eran venuti a parlare delle veglie, e Cecco aveva domandato al contadino:
- Come mai non ci avete mandate le vostre figliole stasera?
- Oh! queste donne! - esclamò Momo. - Non sanno star d'accordo. Che volete che vi dica; la massaia ha rimproverato Vezzosa perché dice che coll'andar fuori a veglia la domenica, svia tutti quelli che verrebbero da noi a far due chiacchiere; e Vezzosa se l'è avuto a male ed è andata a letto. Vedete, io voglio bene alle figliuole ed è per loro che ho ripreso moglie; ma se sapevo che sarebbero state insieme come cani e gatti, vi giuro io che non avrei messo un'altra donna in casa.
- La pace tornerà appena avrete maritate le figliuole, - rispose Cecco.
- Maritarle! È una parola. Per Vezzosa s'era presentato un partito; Felice del Masi, lo conoscete? Ebbene, lei non lo vuole; la mi' moglie vorrebbe darglielo, e da qui scene continue, e addio pace!
Cecco sossultò a quelle parole, ma non ebbe coraggio di spiegarsi. Bisognava che prima interrogasse la mamma, i fratelli, le cognate, e se il maggior numero di loro si fosse opposto al parentado con Vezzosa?
Quella sera Cecco andò a letto tutto turbato e dormì male, cosa che non gli era accaduta mai.

(http://www.gibson.com/Files/aaFeaturesImages2008/3_albert_king_1.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Marzo 2009, 09:16:54
Abbiamo esaminato a lungo la pipa al passato,ora Zelazny ci mostra uno squarcio di futuro lontanissimo.
Un mondo pieno di radiche scoperto casualmente,in un tempo lontano in cui le "miniere" di pipe erano ormai esaurite.
C'è qualche imprecisione in quanto raccontato da Roger,però molto veniale e possiamo perdonarglielo.

ROGER ZELAZNY 

Isle Of The Dead


«Be', non riuscirai a portar via tutto, questa volta, qualunque sia l'asso che hai nella manica» continuò lui.
«Non sono neppure in gara, onestamente.»
«Maledizione!» esclamò. «Tutto stava andando così liscio!»
«Non ho neppure visto la merce» commentai.
Si alzò e uscì dalla stanza con passo maestoso. Rientrò poco dopo e mi porse una pipa.
«Bella pipa» dissi.
«Cinquemila» mi confidò. «Economica.»
«A dire il vero non è che io fumi molto la pipa.»
«Non ti darò più del dieci per cento» dichiarò. «Me ne sono occupato personalmente, e non sarai certo tu a rompermi le uova nel paniere.»
Fu allora che vidi rosso. A parte il mangiare, quel bastardo pensava soltanto a accumulare ricchezze, e istintivamente era convinto che io sprecassi tutto il mio tempo a fare la stessa cosa, soltanto perché molte foglie del Grande Albero portavano scritto "Sandow".
«D'accordo» dichiarai. «Voglio un terzo, altrimenti farò l'affare a modo mio.»
«Un terzo?»
Balzò in piedi e cominciò a urlare. Fu un bene che la stanza fosse insonorizzata e libera da congegnispia. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che avevo udito una simile serqua d'improperi. Era diventato rosso come un peperone e passeggiava su e giù gesticolando. E durante le sue escandescenze io, creatura immorale, avida di denaro, me ne stavo lì pensando alle pipe.
Un individuo con la mia memoria ha in testa una quantità di cose, una più strana dell'altra. Sulla Terra, ai tempi della mia giovinezza, le migliori pipe erano fatte di seppiolite o di radica. Le pipe di coccio diventavano tremendamente calde e quelle di legno si spaccavano, o bruciavano molto rapidamente. Quelle fatte con le pannocchie erano pericolose. Nell'ultima parte del ventesimo secolo, forse perché quella generazione era cresciuta all'ombra dei rapporti sulle malattie respiratorie redatti dal ministero della Sanità, l'uso della pipa era rifiorito. Alla fine del secolo, tutte le scorte di sepiolite e di radica erano praticamente esaurite. La sepiolite, silicato idrato di magnesio, è una roccia sedimentaria che si trova negli strati della crosta terrestre composti soprattutto da conchiglie marine fuse insieme col passare dei millenni, e quando fu esaurita, be', non ce n'era più. Le pipe di radica erano fabbricato con la radice dell'Erica Arborea, la quale cresceva soltanto in poche zone mediterranee e doveva avere quasi cento anni prima di poter essere usata. L'erica era stata oggetto di raccolta indiscriminata, senza alcun programma di ripopolamento. Di conseguenza, oggi la maggior parte dei fumatori di pipa dovevano accontentarsi di surrogati come il carbone di storta, mentre la sepiolite e la radica erano oggetti di collezione, dolci ricordi. Piccoli giacimenti di sepiolite sono stati scoperti su diversi mondi, e c'è gente che in una sola notte ha fatto fortuna. Tuttavia, in nessun altro luogo, se non sulla Terra, sono stati trovati l'Erica Arborea, o un sostituto adatto. L'uso della pipa oggi è universalmente diffuso, a parte pochi individualisti come DuBois e il sottoscritto. La pipa che Bayner mi stava mostrando era di radica compatta, di una grana a fiamma. Perciò...
«...Il quindici per cento» stava dicendo Bayner. «Il che mi lascia un ben misero profitto...»
«Sciocchezze! Quella radica vale dieci volte il suo peso in platino!»
«Mi farai sanguinare il cuore, se mi chiederai più del diciotto per cento!»
«Trenta.»
«Sii ragionevole, Frank.»
«Allora, lasciamo perdere queste sciocchezze e parliamo d'affari.»
«Venti per cento: è il massimo che posso darti, e ti costerà cinque milioni...»
Scoppiai a ridere.

(http://farm1.static.flickr.com/162/343675411_bdf7570ea6.jpg?v=0)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Gennaio 2010, 23:12:57
Ho trovato due brani nella calza della Befana  8)

James Gunn

nato nel 1923 a Kansas City (Missouri), è stato professore d’inglese all’Università del Kansas. Ha pubblicato romanzi notevoli come Questo mondo inespugnabile (1955), Si garantisce la felicità (1961),

Gli Ascoltatori

Un obiettivo entusiasmante
a Porto Rico, dove il radiotelescopio di Arecibo scruta lontanissimi spazi,un progetto astronomico internazionale,Ascoltare le stelle....


Dietro ogni cosa celata come un ombra silenziosa oltre la porta chiusa,stà la domanda
a cui non si può rispondere che positivamente: c'è nessuno?

Saunders tirò una lunga boccata dalla pipa,MacDonald osservò il fumo levarsisopra la testa di Saunders in nuvole e pennacchi,finchè oscillo sulla sezione del condotto dell'aria,s'assottigliò e scomparve.
Non poteva vederloma ne sentiva l'odore.
Era una mistura aromatica che si distingueva facilmente dall'odore stomachevole delle sigarette di Adams e di altri.
"Non era forse questo il loro compito?" Scoprire il sottile fumo di vita che vagava per
l'universo?.

Pipe ed archeologia quest'accoppiata non mi suona nuova...

Howard Waldrop

Scheletri nel Mississipi

Era seduto al tavolino pieghevole, nella tenda afosa,senza camicia a fumare la pipa.
La fiamma della lampada a kerosene sul tavolino era troppo alta lo sfiato era annerito.
Bessie Level si era fermata appena oltre la reticella all'ingresso della tenda,
nel tumulo 2b c'è lo scheletro di un cavallo,disse.
Appoggiò la penna sul diario, lo chiuse,sul viso un'espressione turbata.
Si tolse la pipa di bocca,indossò la camicia bianca,infilandola bene nei pantaloni,si mise in testa un cappello di tela e tornò ad infilarsi in bocca la pipa.
Tirò due lunghe boccate,insieme al sibilo sommesso della lampada a kerosene era il solo rumore che si sentisse nella tenda.
Fuori i suoni della natura nella palude,si tolse dalla bocca la pipa di radica, è impossibile,disse,comunque andiamo a vederlo,allora.
Fuori una notte molto scura,davanti a loro, appena visibili contro l'acqua della palude,
C'erano i tumuli.
La pipa unica luce pulsante come una lucciola,si spostava di qua e di là nel buio.

(http://apod.nasa.gov/apod/image/0803/planetalignment_white.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 07 Gennaio 2010, 11:43:16
plaudo alla ripresa di questa alma sezione
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 09 Gennaio 2010, 17:18:25
Avevo già inserito alcuni suoi brani molto famosi e parlato un po' di lui
Ma rendiamoci conto che ha scritto di tutto: romanzi,racconti, saggi,poesie etc..
E' stato più prolifico di Stephen King,che dichiara di scrivere 8 ore al giorno,
come un vero manovale della penna.
Quindi ho deciso di dedicarmi alle sue pipe per almeno 3  -  4  puntate

Le Pipe Iperboliche di Giulio Verne

lo spazio verniano, rigato di infiniti reticoli geodesici, non è
fantasioso e avvincente che nella misura in cui refluisce verso un
microcosmo ineffabile, una cabina, un tinello, una vecchia stufa
cartesiana, una «sweet-home», dove, novello Robinson, si possa
contemplare il fumo che si leva dalla pipa, inseguendo i propri
pensieri.(BRUNO TRAVERSETTI)

Pranzava nella sua trattoria preferita. «Non ho ancora in corpo una
goccia d'acqua della Senna!» Aveva optato per la birra, pur non
amandola affatto; gli sembrava di essere uno studente tedesco, un
eroe di Schiller: «Ormai mi mancano solo la pipa e il berretto a
punta, dato che ho già la barba!».(Herbert R. Lottman)

Poesie

CANZONE DELLA MALA

All'inizio ero un contadino,
Ero anche, credo, un semplicione;
Ma non mi piaceva questa condizione,
Mi misi a sgraffignare,
alla faccia della galera.
E davanti alla morte
Quasi ammazzato
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Cominciai a rubare orologi,
Ho preso la borsa al Boia;
Ma la fortuna era troppo lenta,
Mi faceva bollire d'impazienza.
E davanti alla morte
Se ti ammazzeranno
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Peggio, mi rompeva la polizia,
Mi faceva arrabbiare;
Ma, malgrado tutte queste canaglie,
Bisognava pure arrangiarsi.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Non avendo niente nella strozza,
Né da bere né da mangiare,
E nemmeno un po' di tabacco
Da potermi fumare la pipa!
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Siccome dalla testa non mi usciva niente,
Piuttosto di fare il barbone,
Me ne fottei di brutto
E diventai accoltellatore.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Avevo un'amante intraprendente
E poiché era piacente
Si dava agli uomini, se la godeva,
Poi io arrivavo e li pigliavo a botte.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Mi stancai di quella squinzia;
Sulla strada l'accoppai
Mi presi la sua grana
E fu un vero paradiso.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

In breve, quei farabutti mi presero,
Mi avevano tradito!
Negai, si misero a ridere!
Consegnai la testa alla legge!
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

I piedipiatti s'infuriarono,
Volevano darmi al Boia.
Il mio avvocato, che riverisco,
Mi fece dare una lunga condanna.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Uscito di galera, senza esser morto,
Tornai alle mie occupazioni,
Ma, bah! Grazie a qualche chiacchierone
Sulla strada mi arrestarono.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Subito gli infami mi punirono,
Come un vero forzato,
Come un pezzo di carne mi legarono,
Nulla dovevo più temere.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Malgrado il mio cuore e la mia faccia
La madama non mi ha mancato,
Mi presi una bella febbre cerebrale
E fui fottuto.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Quando dovrò saldare il conto,
Quando resterò senza fiato,
Mostrerò come sale la teppa
Alla Santa Ghigliottina.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Preparatemi un mezzo litro
Invece del prete;
Me la rido dell'anima,
Fate presto ad accopparmi.
E davanti alla morte
Se ti vogliono ammazzare
Per Dio e per il Diavolo
Fottiti di questa sorte.

Ballata di JOHN PLAYNE

John Playne è un marinaio,
Un grosso ubriacone,
Non smise mai di bere
Fino all'ultimo respiro.
Ohimè! Se John trascorre
Due ore in una bettola
Non ha bisogno d'altro
Per scialacquare il gruzzolo.
Ma basta un'altra pesca
Per farglielo rifar
E a bere imperterrito
John torna a cominciar.
Del resto è l'abitudine
Dei pescator di Kromer,
Uomini di forte tempra:
Orsù, John Playne… in mar!
Cielo cupo, notte fonda,
Il vento fa paura,
Ma John intento scruta
In quell'oscurità.
Guata, ode, s'accosta…
Laggiù che cosa accade?
Urtan la roccia l'onde …
Su, John, non indugiare!
La barca sua beccheggia
E pare d'acqua piena,
Ancora qualche colpo
E in breve affonderà!
Urla John, e ringhia,
Bestemmia tra di sé,
Non c'è tempo da perdere:
Il nostro John lo sa.
Si appresta infine John
Non senza un gran sospiro;
Accende la sua pipa
Col vecchio suo acciarino.
Tira un'aria gelida,
Ma John, da gran furbone,
Sulla sua barca carica
Stivali e anche giaccone,
Quindi raddrizza l'albero
Non senza grande sforzo,
Ma John è un tipo in gamba,
John Playne è molto forte.
Ecco, ala la drizza
Per installare il fiocco;
Ecco, d'un solo colpo
Issa la vecchia vela.
Infine molla il cavo
Che avvolge sotto prora.
Poi via! Col braccio esperto
Egli s'affida al vento.
Davanti al pio Calvario
Passando assai veloce
John, benché ubriaco,
Fa il segno della Croce.

AVVENTURE
DI TRE RUSSI E TRE INGLESI
NELL'AFRICA AUSTRALE


Il boscimano non era più un selvaggio, come quelli della sua razza,
gli antichi Saquas. Nato da padre inglese e da madre ottentotta,
questo meticcio, frequentando gli stranieri, era migliorato sotto molti
aspetti, e parlava correntemente la lingua paterna. Il suo
abbigliamento, mezzo ottentotto e mezzo europeo, si componeva di
una camicia di flanella rossa, di una casacca e di calzoni di pelle di
antilope e di ghette fatte con la pelle di un gatto selvatico. Al collo
portava appeso un sacchetto che conteneva un coltello, una pipa e il
tabacco. In testa aveva un berretto di pelle di montone e attorno ai
fianchi una grossa cintura di cuoio. Attorno ai polsi nudi portava
anelli d'avorio fatti con grande maestria. Sulle sue spalle ondeggiava
un kross, una specie di mantello tagliato nella pelle di una tigre, che
gli scendeva fino alle ginocchia. Un cane di razza indigena gli
dormiva accanto. Il boscimano fumava avidamente una pipa di osso,
e gli sbuffi rapidi lasciavano trasparire segni evidenti della sua
impazienza.

AVVENTURE DI UN RAGAZZO

La Ragged-School, età la scuola dei miserabili, dei pezzenti, e
abbiamo visto con quanta ammirabile esattezza, con quale
scrupolosità del dare e dell'avere erano tenuti i libri del signor
O'Bodkins. Lo aiutavano nell'adempimento delle sue funzioni una
vecchia fumatrice, mamma Kiss, che aveva sempre la pipa in bocca,
e un ex-pensionante sedicenne chiamato Grip.

Quando P'tit-Bonhomme ritornò dalla chiesa, non ne disse nulla a
nessuno, nemmeno a Grip, che aveva del resto un'idea molto vaga di
quel che significavano le pompe della messa e dei vespri. Tuttavia,
dopo una seconda visita, essendosi trovato solo con Kiss, osò
domandarle che cosa era Dio.
— Dio?… — rispose la vecchia roteando gli occhi terribili in
mezzo al fumo nauseabondo della sua pipa; — Dio?
— Sì… Dio…
— Dio, — disse lei, — è il fratello del diavolo, che manda a
quest'ultimo questi straccioni di ragazzi cattivi, perché li bruci con le
fiamme dell'inferno.

Guadagnando dunque un po' in altezza e un po' in
larghezza, non sarebbe stato impossibile ridurre la maglia a comune
beneficio. Chiedere a quella vecchia ubria-cona di Kiss di scucire e
ricucire, sarebbe stato come chiederle di rinunciare alla sua pipa.

Bedfort-street avrebbe
potuto sostenere il confronto con Sackeville-street di Dublino, con lo
Strand di Londra, con Broadway di New-York, con boulevard des
Italiens di Parigi. A ogni visita, ci teneva a comperare questa o
quell'altra cosa, per «aiutare il commercio», che, del resto, andava
ugualmente a gonfie vele. E un giorno, era un portafogli per
sostituire quello che non aveva mai avuto, un altro, era una barchetta
graziosamente dipinta che desiderava regalare ai figli di un suo
camerata del Vulcan. Ma ciò che acquistò di più costoso fu una pipa
di finta schiuma con un magnifico bocchino d'ambra in vetro giallo.

DUE ANNI DI VACANZE

Briant mise il piede sopra un oggetto che schiacciò.
Non vi aveva fatto caso, pensando che fosse una di quelle conchiglie
che a miriadi sono spinte dalla marea verso terra.
— Guarda, Briant, guarda!
— Che c'è?
Gordon si abbassò e raccolse l'oggetto schiacciato.
— Non è una conchiglia — disse Briant — è una pipa...
Infatti Gordon teneva in mano una pipa nera, rotta là dove il
bocchino s'innesta al serbatoio del tabacco.
— Nessuno di noi fuma — disse Gordon; — dunque questa pipa è
stata perduta da...
— Da uno degli uomini della banda — rispose Briant — a meno
che non sia appartenuta al naufrago francese che ci precedette in
quest'isola...
Bastava esaminare la pipa per convincersi che era stata rotta da
poco tempo: ci si vedeva ancora del tabacco...
Gordon e Briant ritornarono immediatamente a French-den. Kate,
a cui venne mostrata la pipa, disse di averla veduta nelle mani di
Walston.

FAMIGLIA SENZA NOME

— C’è tutto a bordo? — chiese Robert.
— C’è tutto, nascosto sotto le assi e fra le travi!… È sistemato a
puntino, ve l’assicuro — aggiunse Louis Lacasse, mentre sfregava un
fiammifero per accendersi la pipa.
— I doganieri sono già venuti?…
— Sì… a Verchères! Quei fannulloni di gabellotti sono rimasti su
a chiacchierare per mezz’ora. Ma non hanno visto niente!… Sfido io:
è come tutto chiuso in una scatola!

Nicolas Sagamore non dimentichi che io gli sono
profondamente devoto! Se mai egli cadesse prigioniero dei Sioux,
degli Oneida, degli Irochesi e di altri selvaggi, se fosse appeso alla
forca o in altro modo suppliziato, io saprei ben accorrere a
difenderlo, nei momenti estremi, dagli insulti e dalle unghie delle
vecchie e, dopo la sua morte, deporrei nella tomba la sua pipa e la
sua scure.

L’accoglienza che egli fece al sacerdote fu tutt’altro che cortese.
Non si alzò nemmeno dalla sedia a braccioli nella quale era
sprofondato, non scostò dalle labbra l’enorme pipa che riempiva di
fumo la stanza, scarsamente illuminata da una sola lampada.
— Voi siete sacerdote? — chiese a Joann che stava in piedi
davanti a lui.
— Sì, signor maggiore.
— Venite per assistere il condannato?…
— Se lo permettete.

I CINQUECENTO MILIONI
DELLA BÉGUM


— Tocca alla gioventù francese — diceva — correggere le colpe
dei suoi padri, e vi può riuscire soltanto col lavoro.
In piedi alle cinque, obbligava Octave a imitarlo. Se lo tirava
dietro a scuola, e quando uscivano non lo lasciava mai. Tornavano a
casa per dedicarsi allo studio, interrompendolo ogni tanto con una
pipata e una chicchera di caffè.

Marcel prese la lettera, la lesse fino alla fine, la rilesse una seconda
volta, diede un'occhiata ai documenti stampati che
l'accompagnavano, e disse:
— È curiosa!
Poi, riempì la pipa e l'accese metodicamente. Octave lo guardava
trasecolato.
— Credi che sia vero?— gridò con voce soffocata.
— Vero?… Evidentemente. Tuo padre ha troppo buon senso e
spirito scientifico per accettare storditamente una convinzione simile.
Del resto ecco le prove, e in fondo è una cosa semplicissima.
Poiché la pipa era debitamente accesa, Marcel si rimise al lavoro.

Il professore
depose la penna per consumare quel pasto che gustò più di quanto ci
si sarebbe attesi da un uomo così serio. Poi suonò il campanello per
avere il caffè, accese una grossa pipa di porcellana e si rimise al
lavoro.

Che cosa devono temere i nostri amici dopo le minacce formulate da Herr
Schultze quando entrò in possesso della sua eredità?».
Formulati questi interrogativi, Schwartz, piuttosto stanco della sua
giornata, si svestì, si infilò in un lettino scomodo quanto può esserlo
un letto tedesco - il che è dir molto - accese una pipa e si mise a
fumare leggendo un vecchio libro. Ma il suo pensiero sembrava
lontano. Sulle sue labbra i piccoli getti di vapore profumato si
succedevano in cadenza e seguivano questo ritmo:
— Peuh!… Peuh!… Peuh!… Peuh!…
Egli finì col deporre il libro e rimase a lungo pensieroso, come
assorto nella soluzione d'un problema difficile.

Finalmente fu introdotto in uno splendido studio verde e oro.
Herr Schultze in persona, che fumava una lunga pipa di terra cotta
accanto a un boccale di birra, in mezzo a quel lusso faceva l'effetto di
una macchia di fango su uno stivale di vernice.
Senza levarsi, senza nemmeno voltar la testa, il Re dell'Acciaio
disse freddamente e semplicemente:
— Siete il disegnatore?
— Sì, signore.

Bisogna arrivare a quel grado d'umiliazione? Chiamarsi Schultze,
essere il padrone assoluto del più grande stabilimento e della prima
fonderia di cannoni del mondo intero, vedere ai propri piedi i re ed i
parlamentari, e sentirsi dire da un piccolo disegnatore svizzero che si
manca di genialità, che si è al di sotto d'un artigliere francese!… E
ciò quando si aveva accanto a sé, dietro lo spessore di un muro
blindato, tanto da confondere mille volte quel birbante impudente, da
chiudergli la bocca, da distruggere i suoi sciocchi argomenti? No,
non era possibile sopportare un simile supplizio!
Herr Schultze si alzò con un movimento così brusco che spezzò la
pipa. Poi guardando Marcel con occhi pieni d'ironia e stringendo i
denti, gli disse, o meglio, gli sibilò queste parole:
— Seguitemi, signore, vi farò vedere se io, Herr Schultze, manco
di genialità!

Con l'aria più naturale del mondo, Herr Schultze riportò il suo
boccale di birra alla bocca, suonò un campanello, si fece dare un'altra
pipa per sostituire quella che aveva rotto,...

I FRATELLI KIP


Ciò che importa è di reclutare dei compagni che non tengano
conto della vita di un uomo più di quanto non facciano di una
vecchia pipa che non si adopera più… Ci vogliono dei coraggiosi che
non abbiano paura della corda… E noi dobbiamo trovarli qui!

Gli uomini, bei tipi, sono di carattere energico e di robusta
costituzione. Le donne sembrano esser loro inferiori. In ogni caso,
bisogna abituarsi a vedere il sesso debole andare in giro con la pipa
in bocca e fumare più smodatamente del sesso forte. Non ci si stupirà
dunque se ciò impedisce lo scambio di cortesie con le signore maore,
giacché la loro consuetudine non richiede soltanto di darsi il buon
giorno oppure una stretta di mano, ma di strofinare il naso dell'una
contro il naso dell'altra.

Saggio dal titolo "SCOPERTA DELLA TERRA"

Giacomo Cartier riprese la via del Canada dove
non tardò a raggiungere le sue navi. Noi gli dobbiamo le prime
notizie sul tabacco da pipa che non sembra essere stato in uso
in tutta l'estensione del Nuovo Mondo. «Essi hanno un'erba,
egli dice, di cui fanno una gran raccolta durante l'estate per
l'inverno. La stimano molto, e gli uomini se ne servono in
questo modo: la fanno disseccare al sole e la portano al collo in
una piccola pelle d'animale, in guisa di sacco, con un tubo di
pietra o di legno; poi, ad ogni ora, riducono in polvere la detta
erba, la mettono ad una delle estremità del detto tubo, poi vi
mettono sopra un carbone acceso e soffiano all'altra estremità,
fin tanto che si empiono il corpo di fumo, che esce loro dalla
bocca e dalle narici come da un fumaiuolo.

(http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/alta_voce/archivio_2009/eventi/2009_03_02_ventimilaleghesottoimari/verne.jpg)
Segue.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Gennaio 2010, 13:30:23
Il castello dei Carpazi

L'immane pecus pascolava dunque sotto la sorveglianza del
sopradetto Frik, immanior ipse. Sdraiato su di un poggio erboso, egli
dormiva con un solo occhio e vegliava con l'altro, tenendo in bocca
la grossa pipa, talvolta fischiando ai cani, quando una pecora
s'allontanava dal pascolo, e talvolta soffiando nella sua cornetta,
suono che gli echi molteplici della montagna ripercuotevano.

Il maestro Hermod era un omaccione con gli occhiali, sui
cinquantacinque anni, che teneva sempre fra i denti la cannetta curva
della sua pipa a fornello di porcellana, con pochi capelli arruffati
sopra un cranio piatto, e un viso pelato con un tic nella guancia
sinistra. Il suo gran lavoro consisteva nel tagliare le penne ai suoi
allievi, ai quali, per principio, vietava l'uso dei pennini d'acciaio.

— E un fatto molto grave! — disse allora mastro Koltz.
— Molto grave! — ripeté il maestro fra due boccate di fumo della
sua inseparabile pipa.
— Molto grave! — ripeté l'assemblea.
— E fin troppo certo — riprese Jonas — che la cattiva
reputazione del castello faceva già molto torto al paese…

— Mi pare che non abbiate molta gente nella vostra locanda… —
disse Franz de Télek.
— Infatti… in questo momento non c'è nessuno, signor conte.
— Ma non è l'ora in cui la gente del paese viene qui a bere e a
fumare la pipa?
Verso le otto, Rotzko disse al giovane conte:
— Non avete più bisogno di me, padrone?
— No, Rotzko.
— Allora vado a fumare la pipa sulla terrazza.
— Va', Rotzko, va'.

IL DOTTOR OSS

La porta della stanza si aprì
girando sui cardini silenziosi, e comparve una giovinetta bionda,
dalle lunghe trecce. Era Susette van Tricasse, la figlia unica del
borgomastro. Ella consegnò al padre, insieme con la pipa caricata a
puntino, un piccolo braciere d'ottone, non pronunciò una parola, e
scomparve subito, senza che la sua uscita avesse prodotto più rumore
della sua entrata.
Il bravo borgomastro accese l'enorme fornello della sua pipa, e si
eclissò ben presto in una nuvola di fumo azzurrastro, lasciando il
consigliere Niklausse immerso nella più profonda riflessione.

QUANDO aveva avuto inizio l'interessante conversazione, che
più su abbiamo riferito, tra il consigliere e il borgomastro, erano le
due a tre quarti pomeridiane. Alle tre e quarantacinque minuti van
Tricasse aveva acceso la sua vasta pipa, che poteva contenere un
quarto di tabacco, e soltanto alle cinque e trentacinque minuti egli
terminò di fumare.

IL FARO IN CAPO AL MONDO

— Questo sì, Vasquez. Del resto, dopo essere andato a portare
nostre notizie laggiù, quando l'avviso tornerà per rilevarci…
— Fra tre mesi, Felipe…
— Troverà l'isola al suo posto…
— E con noi sopra, — rispose Vasquez, fregandosi le mani, dopo
aver soffiato per aria una lunga boccata di fumo della sua pipa che lo
avvolse in una fitta nuvola.
Ebbene, adesso che è venuta l'età della pensione, non
potevo desiderare niente di meglio che essere guardiano di un faro. E
di che faro! Del faro in capo al mondo!
Ed effettivamente esso, costruito all'estremità di quell'isola
smarrita, tanto lontano da ogni terra abitabile e abitata, si meritava
bene quel nome!
— Dimmi, Felipe, — riprese a dire Vasquez, scuotendo la pipa
spenta nel cavo della mano, — a che ora devi sostituire Moriz?
— Alle dieci.

— Ebbene, ragazzi, — disse, dopo aver coscienziosamente
riempito la pipa, esempio che fu seguito dagli altri due, — che ne
dite di questa nuova vita? Cominciate ad abituarvi?

Di tali provviste Vasquez prese solo l'indispensabile, di modo che
Kongre e gli altri non si accorgessero di nulla: una piccola cassa di
gallette, un barile di carne salata, un fornello che gli permettesse
d'accendere il fuoco, un pentolino, una tazza, una coperta di lana, una
camicia e calze di ricambio, un cappotto incerato, due rivoltelle con
una ventina di cartucce, un acciarino, un po' d'esca e un fanale. Prese
pure due libbre di tabacco per la pipa.

IL GIRO DEL MONDO
IN OTTANTA GIORNI


Lo spettacolo non fu altro che una delle tante esibizioni d'acrobati.
Ma bisogna convenire che i giapponesi sono i migliori equilibristi del
mondo. Uno di essi, munito di un ventaglio e di pezzetti di carta,
eseguiva il graziosissimo esercizio delle farfalle e dei fiori. Un altro,
con l'odoroso fumo della sua pipa, tracciava rapidamente per aria una
serie di parole azzurrognole, che formavano un complimento
all'indirizzo degli spettatori.
Questo faceva giochi di destrezza con candele accese, che spense
successivamente a mano a mano che esse passavano davanti alle sue
labbra, e che riaccese l'una dopo l'altra senza mai interrompere un
istante il prodigioso suo gioco. Quello produceva, per mezzo di
trottole giranti, le più inverosimili combinazioni. Sotto la sua mano,
quelle macchine ronzanti sembravano animarsi di vita propria nel
loro continuo girare: correvano su cannelli di pipa, su tagli di
sciabole, su fili di ferro sottilissimi, veri capelli, tesi da una estremità
all'altra della scena; giravano intorno a grandi vasi di cristallo,
salivano su scale di bambù, si sparpagliavano in tutti gli angoli,
producevano effetti armonici d'uno strano carattere, combinando le
loro diverse tonalità. I giocolieri eseguivano con quelle i loro
esercizi, ed esse giravano nell'aria: le usavano come volani,
lanciandole con racchette di legno, ed esse continuavano a girare; se
le cacciavano in tasca e, quando le mettevano fuori, esse giravano
sempre, fino al momento in cui lo scatto di una molla le faceva
aprire, trasformandole in fuochi d'artificio.

Il paese delle pellicce

— E credete, tenente, che questi vulcani siano ancora in azione?
— A questo non posso rispondere, sergente.
— Eppure non vediamo in questo momento alcun fumo sulla loro
vetta.
— Non è una buona ragione, sergente Long; voi, per esempio,
avete sempre la pipa in bocca?
— No, signor Hobson.
— Ebbene, Long, è precisamente la stessa cosa per i vulcani; essi
non fumano sempre.

Quel cacciatore vestiva ancora il costume tradizionale
descritto esattamente dal romanziere americano Washington Irving;
una coperta disposta a foggia di tabarro, una camicia di cotone rigata,
lunghi calzoni di panno, uose di cuoio, scarpe di pelle di daino,
cintura di lana a strisce a cui era appeso il coltello, il sacchetto del
tabacco, la pipa e alcuni utensili per accampamento; in una parola, un
abito metà civile e metà selvaggio.

IL PILOTA DEL DANUBIO

— Allora? — chiese Ilia Brusch, indicando la banchina.
Ma il suo interlocutore non mostrò di comprendere il
gesto, nonostante fosse chiaro. Aveva tirato fuor di tasca
una pipa e la riempiva con cura. L'indifferenza esasperò
Ilia Brusch.
— Dovrò dunque trascinarvi a terra? — esclamò fuor di
sé. Lo sconosciuto aveva finito di riempire la pipa.
Il facondo oratore, occupato ad accendere la pipa,
non si accorse dell'effetto delle sue parole. Mentre stava
per riprendere la sua tranquilla perorazione, un tizio che
Brusch, preso dalla discussione, non aveva visto
avvicinarsi, balzò nella chiatta. Il nuovo venuto indossava
l'uniforme dei gendarmi tedeschi.

Siete sul fiume? Sì. Avete documenti regolari?
No. Quindi vi debbo condurre da lui. Il resto non mi
riguarda.
— Ma è un'indegnità — protestò Brusch, disperato.
— È così — dichiarò il gendarme, con flemma.
L'aspirante passeggero, la cui arringa era stata
bruscamente interrotta, e che aveva ascoltato così
attentamente, tanto da lasciare spegnere la pipa, ritenne che
fosse venuto il momento di intervenire.

IL TESTAMENTO DI
UNO STRAVAGANTE


La regione, che il treno straordinario attraversava con incredibile
rapidità, non sembrava attirare l'attenzione dei viaggiatori. Ma, siamo
certi che esso trasportava qualche viaggiatore? Sì, ne siamo certi,
poiché ogni tanto apparivano dietro i vetri, per sparire subito dopo,
due visi burberi, o, per dir meglio, truci. Qualche volta, anzi, il vetro
del finestrino veniva abbassato, una mano pelosa scoteva fuori la
cenere di una corta pipa e subito rientrava.


KÉRABAN IL TESTARDO

— Ti consiglio anzi, di non fare battute simili in presenza del mio
amico Kéraban! Potrebbe non apprezzarle, discutere, ostinarsi...
— Ci starò attento, padrone — rispose Bruno. — Ma dato che non
ci si può ristorare, sarà ben permesso, credo, fumare la pipa! Non ci
vedete nessun inconveniente?
— Nessuno, Bruno. Nella mia qualità di mercante di tabacco,
nulla mi riesce più gradito di veder fumare la gente! Mi dispiace anzi
che la natura ci abbia dato una sola bocca! È vero che abbiamo il
naso per fiutare il tabacco...
— E i denti per masticarlo! — rispose Bruno.
E, mentre parlava, riempiva la sua enorme pipa di porcellana
dipinta; poi, l'accese con il suo accendisigari e tirò alcune boccate,
con evidente soddisfazione.
Ma in quel momento, i due turchi che avevano tanto protestato
contro le astinenze del Ramadan, riapparvero sulla piazza. Proprio
quello che non si faceva alcuno scrupolo di fumare la sigaretta vide
Bruno che passeggiava con la pipa in bocca.
— Per Allah! — disse al suo compagno — ecco un altro di quei
maledetti stranieri che osa sfidare la proibizione del Corano! Non lo
sopporterò...
— Spegni almeno la tua sigaretta! — gli rispose l'altro.
— Sì.
E, buttando via la sigaretta, mosse incontro al degno olandese, che
non si aspettava di essere apostrofato a quel modo.
— Al colpo del cannone! — disse. E gli strappò bruscamente la
pipa.—
Eh! la mia pipa! — esclamò Bruno, che il suo padrone cercava
inutilmente di trattenere.
— Al colpo del cannone! Cane di cristiano!
— Cane di turco sei tu!
— Calma, Bruno — disse Van Mitten.
— Mi restituisca la mia pipa almeno! — ribatté Bruno.
— Al colpo del cannone! — ripeté per l'ultima volta il turco,
facendo scomparire la pipa nelle pieghe del suo caffettano.
— Vieni, Bruno — disse allora Van Mitten. — Non bisogna mai
offendere le usanze dei paesi in cui ci si trova!
— Usanze da ladri!
— Vieni, ti dico. Il mio amico Kéraban non deve trovarsi su
questa piazza prima delle sette. Continuiamo dunque la nostra
passeggiata, e lo raggiungeremo quando sarà il momento.
Van Mitten trascinò Bruno, molto seccato d'essere stato separato
così violentemente da una pipa a cui teneva da vero fumatore.
E mentre essi se ne andavano a quel modo, i due turchi dicevano:
— Davvero, questi stranieri credono che sia loro permessa ogni
cosa!...
— Anche fumare prima del tramonto!
— Vuoi del fuoco? — aggiunse uno di loro, accendendo un'altra
sigaretta.
— Volentieri! — rispose l'altro.

Tabacchi di Macedonia per i nostri fumatori di sigarette, tabacchi di
Persia per i nostri fumatori di narghilè! E i miei corrispondenti da
Salonicco, da Erzerum, da Latakié, da Bafra, da Trebisonda, senza
dimenticare il mio amico Van Mitten, da Rotterdam! Da trent'anni,
ne ho spedite, di balle di tabacco, nei quattro angoli dell'Europa!
— E fumate! — disse Van Mitten.
— Sì, fumate... come la ciminiera di una fabbrica! E vi domando
se c'è qualche cosa di meglio al mondo!
— No, di certo! amico Kéraban.
— Sono quarantanni che fumo, amico Van Mitten, fedele al mio
chibuk, fedele al mio narghilè! Ecco tutto il mio harem, e non c'è
donna che valga una pipata di tombeki!
— Sono del vostro parere — rispose l'olandese.
E per terminare meglio ciò che per il momento era solo una
conversazione, egli estrasse la sua lunga pipa olandese. Questo fece
venir voglia al signor Kéraban di stordirsi anche lui col fumo del
narghilè. In breve la carrozza fu piena di fumo, e fu necessario
abbassare i vetri per dargli uno sfogo.

Doveva essere passata da poco la mezzanotte, quando Bruno ebbe
un'idea. Anzi avrebbe dovuto averla prima, lui, uno di quegli
olandesi purosangue, che venendo al mondo, cercano il bocchino di
una pipa più che il seno della nutrice. L'idea fu di mettersi a fumare,
di combattere l'invasione dei pappataci con nuvole di fumo di
tabacco. Come mai non ci aveva pensato prima? Se resistevano
all'atmosfera impregnata di nicotina che avrebbe invaso il cabriolet,
bisognava proprio dire che questi insetti hanno la vita dura in mezzo
alle paludi del basso Danubio!
Bruno estrasse allora dalla tasca la sua pipa di porcellana a fiori
smaltati gemella di quella che gli era stata rubata così
impudentemente a Costantinopoli. La caricò, come avrebbe fatto con
un'arma da fuoco, che volesse scaricare sulle truppe nemiche; poi,
batté l'acciarino, accese la pipa, aspirò a pieni polmoni il fumo di un
eccellente tabacco d'Olanda, e lo espirò in grosse volute.

— Però — continuò Kéraban — il governo turco ha fatto
malissimo, come sempre, mettendo sul tabacco un'imposta che ne ha
decuplicato il prezzo! In conseguenza di questa sciocca idea l'uso del
narghilè tende a poco a poco a scomparire, e un giorno scomparirà
del tutto!
— Sarebbe un peccato, infatti, amico Kéraban!
— Quanto a me, amico Van Mitten, ho per il tabacco una tale
predilezione, che preferirei morire piuttosto che rinunziarvi. Sì!
Morire! E se fossi vissuto al tempo di Amurat IV, quel despota che
volle vietarne l'uso sotto pena di morte, mi sarei lasciato tagliare la
testa con la pipa in bocca.
— Io la penso come voi, amico Kéraban — rispose l'olandese
tirando tutte di seguito due o tre boccate di fumo.
— Non così in fretta, Van Mitten, di grazia, non aspirate così in
fretta! Non avete il tempo di gustare il fumo profumato, e mi date
l'impressione di un ghiottone che mandi giù i bocconi senza
masticarli!

Là il signor Kéraban avrebbe potuto facilmente fare un'ampia
provvista di canne da pipa di legno di ciliegio, che sono materia di un
importante commercio. Il ciliegio, infatti, abbonda in quella parte del
pachalik, e Van Mitten si credette in dovere di raccontare alla sua
fidanzata questo importante fatto storico: cioè che proprio da
Kérésum il proconsole Lucullo mandò i primi ciliegi che furono
coltivati in Europa.

(http://www.agharta.com.ar/int1.jpg)








Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Gennaio 2010, 14:32:33
LA CACCIA ALLA
METEORA


Che cosa faceva, dunque, Zeffirino Xirdal?
Bisogna riconoscere che, generalmente, si accontentava di correre
dietro ai suoi sogni, nella nebbia odorosa di una pipa mai spenta. A
volte, però, a intervalli irregolari, egli aveva un'idea.
La mattina del 10 maggio, quest'uomo felice, comodamente
seduto sull'unica sedia con i piedi sollevati sul davanzale della
finestra, fumava con estremo piacere la sua pipa, divertendosi a
decifrare rebus e parole incrociate stampate sulla carta di un
sacchetto, dove il droghiere gli aveva incartato qualcosa da mangiare.

A due o tre metri dalla
macchina, quel cono di particelle impalpabili e turbinanti si
tramutava gradatamente in un cilindro di polvere di pochi centimetri
di diametro che continuava anche fuori, all'aria aperta, nonostante la
brezza abbastanza fresca, fino al momento in cui spariva lontano.
— Ho l'onore, signori, di annunciarvi che tutto va bene! — disse
Zeffirino sedendosi sull'unica sedia e accendendo la pipa
accuratamente riempita.
Per diciannove giorni egli procedette in
questo modo, con assoluta precisione.
Il ventesimo giorno aveva appena messo in azione la macchina e
acceso la fedele pipa, quando il demone dell'invenzione si impadronì
ancora una volta del suo cervello.

Il superbo Orinoco

Tornati a bordo per l’almuerzo, il sergente Martial e Jean non
erano più discesi a terra. Dalla parte posteriore del ponte, dove lo zio
fumava la pipa, essi scorsero da lontano Miguel e i suoi colleghi che
tornavano a bordo.

— Se il governatore mi farà qualche domanda, non rifiuterò
certamente di rispondergli; cercherò anzi di ottenere da lui qualche
utile informazione.
Il sergente borbottò qualcosa tra sé, trasse rabbiosamente qualche
boccata di fumo dalla pipa e si accostò al nipote, al quale il
governatore si era ora rivolto parlandogli in spagnolo, lingua che
Jean conosceva perfettamente.

Con che cura, perciò, lo zio accomodò il velo protettore intorno al
giaciglio del nipote! E che boccate di fumo poi egli trasse dalla pipa
per tenere lontani, almeno temporaneamente, i terribili insetti! E con
quali energici colpi schiacciò quelli che cercavano di introdursi
furtivamente attraverso le pieghe del velo non perfettamente chiuse!
impraticabile.
Seduti l'uno accanto all'altro, i due amici chiacchieravano del più
e del meno. Il primo fumava il sigaro: aveva fatto una provvista
abbondante di tabacco, essendo questo una comune merce di
scambio tra gli abitanti delle rive dell'Orinoco. L'altro tirava grosse
boccate di fumo dalla pipa di radica, alla quale era tanto fedele
quanto il sergente alla propria.
— Acconsentire… è la parola giusta, Jacques — ripete Germain
Paterne, scotendo la cenere dalla pipa. — Proprio, acconsentire…
perché è stato certamente il ragazzo ad avere l'idea del viaggio. È lui
che si è portato dietro lo zio. No, sono sicuro che quel vecchio
brontolone non è lo zio. Mi sembra di ricordare che il colonnello De
Kermor non avesse più parenti, allorché lasciò Nantes.

La Jangada

Tuttavia, Torres non era di quelli che si addormentano senza
prima prepararsi a ciò con certi preliminari. Aveva l’abitudine,
innanzitutto, di trangugiare qualche sorso di un liquore forte, poi, di
fumare la pipa. L’acquavite eccita il cervello, e il fumo del tabacco si
mescola bene con il fumo dei sogni; questo, almeno, era il suo
pensiero.
Torres cominciò dunque appoggiando le labbra alla fiaschetta che
portava al fianco. Essa conteneva quel liquido conosciuto
generalmente sotto il nome di chica nel Perù, e più particolarmente
con quello di caysuma sull’Alto Amazzone. È il prodotto di una
leggera distillazione della radice della manioca dolce, fatta
fermentare, e al quale il capitano dei boschi, da uomo il cui palato era
ormai bruciato, credeva di dover aggiungere una buona dose di tafia.
Quando Torres ebbe bevuto alcuni sorsi di quel liquore, agitò la
fiaschetta, e notò, non senza rammarico, che era quasi vuota.
— Da riempire! — disse semplicemente.
Poi, togliendo di tasca una corta pipa di radica, la riempì di quel
tabacco acre e ordinario del Brasile, le cui foglie appartenevano a
quell’antico petun portato in Francia da Nicot, al quale si deve la
volgarizzazione della più produttiva e della più diffusa delle
solanacee.
Quel tabacco non aveva nulla in comune con il tabacco trinciato di
prima qualità che producono le manifatture francesi, ma Torres non
era più difficile su questo punto come non lo era su altri. Egli batté
l’acciarino, accese un po’ di quella sostanza vischiosa, conosciuta
sotto il nome di «esca di formiche», che secernono certi imenotteri, e
accese la pipa.
Alla decima aspirazione, i suoi occhi si chiudevano, la pipa gli
sfuggiva dalle dita, ed egli si addormentava, o meglio cadeva in una
specie di torpore, che non era vero sonno.

LA SFINGE DEI GHIACCI

E Hurliguerly accompagnò tali parole con un lampo dell'occhio
destro, mentre chiudeva il sinistro. Sembrava che tutta la vivacità dei
suoi due occhi fosse passata attraverso la pupilla d'uno solo! Inutile
aggiungere che l'ultima di quelle belle frasi si concluse in un
bicchiere di whisky, del quale il nostromo non doveva lodare la
bontà, dato che il «Cormorano Verde» si forniva soltanto alla cantina
dell'Halbrane.
Poi quel diavolo d'uomo tolse dalla giacca una pipa nera e corta,
la scosse, la caricò con una presa di tabacco, l'accese, e dopo averla
saldamente fissata nell'interstizio dei due molari all'angolo della
bocca, si circondò di tale fumo, come un piroscafo di cui sono state
accese tutte le caldaie, tanto che la sua testa spariva dietro una nuvola
grigiastra.
– Hurliguerly m'indirizzò un sorriso di intesa. Poi,
dondolando il suo grosso busto sul doppio arco delle gambe,
circondato dal fumo che fuoriusciva dal fornello della sua pipa, egli
uscì e si diresse a nord-est del «Cormorano Verde».

LA STRADA PER LA FRANCIA

Salii nella mia
cameretta, di fianco a quella di mia sorella, e, dopo essermi lavato le
mani, ridiscesi subito.
La cena non durò che mezz'ora. Siccome dai signori de Lauranay
si sarebbe andati un po' più tardi, chiesi il permesso di aspettare
fuori. Là, sulla soglia di casa mi abbandonai al piacere del fumo,
quello che noi piccardi chiamiamo una buona pipata di tranquillità.

L'ABBANDONATO DEL
CYNTHIA


Solo
dopo avere fumato la sua pipa, mastro Hesebom aprì la lettera.
La lesse due volte da cima a fondo senza aprir bocca, la
richiuse, la mise in tasca, caricò una seconda pipa, la fumò
lentamente e rimase assorto in riflessioni tutta la sera.
Non era un tipo chiacchierone, però quel suo silenzio stupiva
tutti.

LA STRABILIANTE AVVENTURA
DELLA MISSIONE BARSAC


Quel Dugutigui è un vecchio negro dai grossi baffi ed assomiglia
ad un ex sottufficiale dei tiragliatori. Fuma una lunga pipa di ottone,
il cui fuoco è mantenuto acceso da un orribile negriciattolo.
Ci riceve con molta cordialità e ci offre del dolo. Per non
rimanere in arretrato di cortesia, gli facciamo alcuni regalucci che lo
colmano di gioia, poi, compiuti questi riti, visitiamo il villaggio da
touristes. Sulla piazza, un barbiere ambulante opera all'aria libera,
accanto a lui dei ragazzetti, pedicuri e manicuri, tagliano con delle
vecchie forbici, le unghie dei piedi e delle mani. Quattro caurîes a
testa è il prezzo del loro servigi; ma essi debbono vendere ai loro
clienti i ritagli delle loro unghie che quelli si affrettano ad andar a
seppellire devotamente dentro a piccole buche.
Tuttavia, così come i
rappresentanti della razza inglese predominavano in quella folla
eteroclita, altrettanto la lingua inglese aveva il sopravvento sulle
altre. Era in inglese che venivano redatti i proclami del Capo, gli atti
dello stato civile, dato che vi fosse uno stato civile, ed, il giornale
ufficiale del luogo: The Blackland's Thunder (Il tuono di Blackland).
Curiosissimo, quel giornale, come si potrà giudicarne da questi
frammenti, estratti da qualcuno dei suoi numeri:
«Ieri John Andrew ha impiccato il negro Koromoko che aveva
dimenticato di portargli la pipa dopo il lunch».
«Domani sera, alle sei, partenza per Kurkussu e Bidi di dieci
palloni con dieci Merry Fellows, (allegri camerata), al comando del
colonnello Hiram Herbert. Razzia completa di questi due villaggi che
non abbiamo visitato da tre anni. Ritorno nella stessa notte».

(http://img.photobucket.com/albums/v310/palaeogothica/Disney%20Posters/spacemountainad4.jpg)


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 10 Gennaio 2010, 15:32:59
Ho glissato i brani più banali,segnalo poi come a volte vi siano con temi simili fra loro
es: isola deserta,scimmia con pipa.
Ma come alcuni pittori famosi hanno fatto variazioni su rari temi,penso che anche lui
sia perfettamente nel lecito,se riscrive qualcosa cambiando non poco il contesto,
oltretutto molto piacevole.

L'AGENZIA THOMPSON & C.

Il saggio olandese, rinunciando a inseguire l'irrealizzabile, si
era praticamente creato una vita da pascià. Ogni tanto, per debito di
coscienza, ripeteva a qualcuno la sua famosa frase, che la maggior
parte dei passeggeri ora cominciava a sapere a memoria. Il tempo che
gli rimaneva egli lo passava mangiando, digerendo, fumando e
dormendo… enormemente. La sua vita era racchiusa in questi
quattro verbi. Possedeva una salute sfacciata, che gli consentiva di
trascinare il suo corpo immenso da una sedia all'altra, sempre armato
della sua immensa pipa, dalla quale sfuggivano enormi nuvole di
fumo.

Dopo avere ingoiato quantità enormi di
lupini senza dare segni di malore, egli si lasciava cullare
tranquillamente dai due asini. Comodamente sistemato, disprezzava
le difficoltà della strada e, pacatamente, si circondava della perenne
nuvola di fumo della pipa con la quale allietava il suo riposo.
Alle svolte brusche la sua amaca si trovò
ripetutamente sospesa al di là del sentiero seguito. Rimase
impassibile, bisogna dargliene atto, e se provò qualche timore, il
fornello della sua pipa non ne fu turbato neppure per un istante.
Con gli occhi rivolti al
cielo, tirando dalla pipa boccate di fumo con la regolarità di un
pistone, sembrava avere definitivamente allontanato da sé le volgari
preoccupazioni di questo mondo.

Per sorpreso che fosse, sir Hamilton lo era ancora di più. Anche se
indignato per il modo in cui erano trattati quei gentiluomini, egli
aveva posto prudentemente la sordina alle sue incessanti proteste. Per
il momento egli si limitò a chiedere qualche chiarimento a un
marinaio accanto al quale il caso lo aveva posto.
Ma Hamilton era caduto male. Vecchio e abbronzato, ma con lo
spirito reso troppo libero dalla lunga contemplazione dell'immensità
dei mari per interessarsi alle piccole umane vicende, quel marinaio
non sapeva nulla e, nella sua superba indifferenza, non ci teneva
affatto a sapere ciò che accadeva. Alla domanda del baronetto alzò le
spalle per significare che non sapeva nulla. Ebbe la degnazione,
tuttavia, di togliersi la pipa dalla bocca.
— Sono dei privati — spiegò — che hanno mangiato dei
ciottolini, a quanto si dice. Pare che il Portogallo lo proibisca.
Hamilton dovette contentarsi della risposta. Soddisfatto della
spiegazione data, il vecchio marinaio riprese a tirare dalla sua
enorme pipa, e già pensava ad altro, con lo sguardo smarrito dietro le
rapide onde.

LE AVVENTURE DI ETTORE
SERVADAC


Qual era la causa dell'alterco? Nient'altro che una discussione
intervenuta fra il marinaio Panofka e il caporale Pim. E il motivo di
questa discussione? Perché la palla lanciata dal cannone, dopo avere
spezzata una delle pertiche della goletta, aveva pure rotta la pipa di
Panofka non senza intaccare leggermente il suo naso, che era forse
un po' lungo per essere un naso russo.
Dunque, mentre il conte Timascheff e il capitano Servadac
stentavano a intendersi con gli ufficiali, ecco che gli uomini della
Dobryna minacciavano di venire alle mani con la guarnigione
dell'isolotto.
Naturalmente, Ettore Servadac prese le parti di Panofka, e si ebbe
questa risposta dal maggiore Oliphant: che l'Inghilterra non era
responsabile delle sue palle da cannone, che la colpa era del marinaio
russo, il quale era andato a mettere il naso dove non doveva essere
durante il passaggio della palla e che, d'altra parte, se questo naso
fosse stato camuso, la disgrazia non sarebbe accaduta, e via dicendo.

LE INDIE NERE

Questa lampada di sicurezza fu perfezionata in venti maniere.
Se per caso si spezza, si spegne subito, e si spegne anche quando il
minatore cerca di aprirla, nonostante sia severamente proibito.
Perché dunque avvengono ancora gli scoppi? Perché nulla può
rimediare all'imprudenza d'un operaio, che voglia a ogni costo
accendere la pipa, o all'urto del piccone che può produrre una
scintilla.
Simon Ford e Madge, terminato il loro pranzo, si erano
accomodati nel cortile del cottage. Il vecchio overman si godeva
come al solito la siesta, fumando la sua pipa colma di eccellente
tabacco francese. Quando i due coniugi discutevano, era per parlare
di Neil, del loro figliolo, di James Starr, e del viaggio alla superficie
della terra. Dove erano in quel momento? Che cosa facevano? Come
mai potevano rimanere fuori per tanto tempo, senza provare nostalgia
della miniera?

L'ISOLA DELLO ZIO
ROBINSON


"Il Signore non ci abbandonerà
— disse lo zio — Quanto ai ragazzi, signor Clifton, son certo felici di
essere qui. — Allora, zio Robinson, non rimpiangete nulla? — Nulla,
anzi sì, una cosa sola. — Quale? — Devo proprio dirlo? — Sì, zio.
— Be'… il tabacco. Non so cosa darei, per fumarmi una pipa!".
Al Robinson-Ben Gunn manca il formaggio, allo zio Robinson
manca il tabacco. Nei meandri del sogno di infiniti lettori restano le
indicazioni che toccano questi emblemi, modesti fin quasi al mistero.

— Cos'altro si può fare, con questa preziosa pianta? — domandò
Marc.
— Con la corteccia, tagliata in striscioline flessibili, si fanno cesti
e panieri. La corteccia, macerata e ridotta in pasta, serve anche per la
fabbricazione della carta di Cina. E dai fusti, a seconda della
grossezza, si ricavano canne, cannucce da pipa, condutture per
l'acqua. I bambù più grandi forniscono, inoltre, ottimi materiali da
costruzione, solidi, leggeri, mai attaccati dagli insetti. E per finire, ed
è questo l'uso cui li destineremo noi, se ne ricavano anche dei vasi di
diverse capacità.

Il 22 giugno, Clifton e Marc stavano esplorando la parte boscosa
sulla riva destra del fiume, quando, correndo in mezzo all'erba alta, il
ragazzo fu colpito dall'odore di alcune piante con lo stelo dritto,
cilindrico e ramificato in alto. Erano molto viscose, con i fiori a
grappolo e dei semini piccolissimi. Marc ne prese qualcuna da far
vedere a suo padre, chiedendogli che genere di pianta fosse.
— Dove l'hai trovata? — domandò il signor Clifton.
— Laggiù, in una radura. Ce ne sono tantissime. Mi sembrava di
conoscerle, ma…
— Sappi che hai fatto una scoperta preziosissima, e che d'ora in
poi non mancherà più nulla alla felicità dello zio.
— Tabacco! Ecco cos'è! — esclamò Marc.
— Sì, figliolo.
— Ah, che bello! — gridò il ragazzo. — Che gioia per lo zio! Ma
per il momento non gli diremo nulla, vero, padre? Gli faremo una
bella pipa, e un giorno gliela presenteremo piena di tabacco.
— D'accordo, Marc.
— Sarà difficile trasformare le foglie in tabacco da fumare?
— No, figliolo. Ed anche se non sarà tabacco di prima qualità,
sarà pur sempre tabacco, e lo zio si accontenterà di sicuro!
Dopo averne fatto una buona provvista, Clifton e suo figlio la
introdussero "di frodo" nella grotta e con precauzioni enormi, come
se lo zio fosse stato il più severo dei doganieri. Il giorno seguente,
approfittando di un'assenza del marinaio, l'ingegnere staccò le foglie
più sottili e le mise a seccare, per poi sminuzzarle e sottoporle a
torrefazione sulle pietre calde.

Durante la cena, dove campeggiò un'ottima aragosta catturata da
Marc fra gli scogli, Clifton raccontò tutti i dettagli dell'escursione.
Ma chi, alla fine del pasto, fu molto sorpreso, e addirittura molto
commosso? Lo zio Robinson, quando Belle gli si avvicinò
offrendogli una grossa zampa di crostaceo, tutta rossa e luccicante, e
piena zeppa di tabacco. Mentre, dall'altraparte, Jack gli offriva un
carbone ardente, a mo' di accendino.
— Tabacco! E non mi avevate detto niente! — esclamò lo zio, con
gli occhi che gli luccicavano, un po' umidi suo malgrado. E non
appena la pipa fu accesa, un gradevole odore di tabacco trinciato si
diffuse nell'aria.
— Vedete, caro amico — disse allora Clifton — che per quanto
avesse già fatto molto per noi, la Provvidenza vi riservava ancora una
bella sorpresa!

Fra le tante, innumerevoli occupazioni, lo zio non trascurava certo
l'educazione della sua scimmia. Un allievo d'intelligenza notevole,
che si dedicava ai lavori più pesanti con grande coraggio e abilità. Lo
zio gli era molto legato, e poi ci fu un altro piccolo dettaglio che
rafforzò ulteriormente la loro amicizia. Un giorno, lo zio trovò
mastro Jup che fumava la pipa, sì, proprio la sua pipa di zampa
d'astice, e sembrava che il tabacco gli procurasse un piacere senza
pari. Stupito e felicissimo, lo zio riferì la cosa al signor Clifton, il
quale non rimase poi così sorpreso, citandogli vari esempi di
scimmie cui l'uso del fumo era divenuto familiare. Da quel giorno,
mastro Jup ebbe una sua pipa personale, che venne appesa nella sua
capanna, accanto alla sua personale provvista di tabacco. Mastro Jup
se la riempiva da solo, l'accendeva con un carbone ardente, e se la
fumava estasiato, con un piacere sublime. Ogni mattina, poi, lo zio
gli offriva un bicchierino di cocco fermentato, e alla signora Clifton,
preoccupata che Jup potesse prendere l'abitudine del bere, lo zio
rispondeva invariabilmente:
— State tranquilla, signora, è una scimmia ben educata. Non
diventerà mai un gran frequentatore di osterie!

PADRONE DEL MONDO

Il sindaco di Morganton mi aveva ricevuto alla buona, senza
complimenti, con la pipa in bocca, il bicchiere di brandy sulla tavola.
Subito un altro bicchiere fu recato dalla domestica, e io dovetti fare
onore al mio ospite prima di iniziare la conversazione.
— È il signor Ward che vi manda — mi disse in tono allegro —
ebbene, beviamo prima di tutto alla salute del signor Ward!
Elias Smith mi aveva ascoltato senza pronunciar parola, ma non
senza avere più volte colmato il suo bicchiere ed il mio. Fra le volute
di fumo della sua pipa era evidente che mi prestava grande
attenzione.
Quando terminai la mia esposizione, Elias Smith, guardandomi in
faccia testò in silenzio alcuni istanti.
— Insomma, — mi disse — là a Washington vorrebbero sapere
quello che il Great-Eyry ha nella pancia?
— Sì, signor Smith.
— E anche voi?
— Anch'io.
— E anch'io, signor Strock!
E se il sindaco di Morganton era curioso quanto me, avremmo
fatto una bella coppia!
— Capitemi — aggiunse scuotendo la cenere della pipa, — come
proprietario, le storie sul Great-Eyry mi interessano, e come sindaco
devo preoccuparmi della situazione dei miei amministrati…


Un biglietto della lotteria

CHE ORA È? — chiese mamma Hansen, dopo aver
gettato via la cenere della pipa, le cui ultime volute di fumo
andarono a perdersi fra le travi dipinte del soffitto.
— Le otto, mamma — rispose Hulda.

Un vento impetuoso spazzava le cime del Gusta, avvolte
di nuvole, e si cacciava nella valle con violente raffiche.
Il viaggiatore non si arrischiò ad uscire. Ma non perdette
tempo. Fumando la pipa, passeggiò per l'albergo, cercò di
rendersi conto della disposizione interna, ne visitò le
diverse camere, esaminò il mobilio, aperse gli armadi,
proprio come si fosse trovato in casa sua. Si sarebbe detto
un perito che procedeva a una stima giudiziaria.
A intervalli, la pioggia batteva sui vetri
come una mitraglia. Ma il viaggiatore, sotto il suo pesante
pastrano foderato di pelle, non era tipo da temere la bufera.
A colazione finita, bevette un ultimo bicchiere di
acquavite, accese la pipa, indossò il mantello, ritornò nel
salotto e chiese il conto.
— Vado a prepararlo — rispose Hulda, andando a
sedere accanto al banco.


(http://ageofsteam.files.wordpress.com/2009/05/jules_verne_middle_age1.jpg)

Fine Colonna

















Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Gennaio 2010, 12:38:59
Anche di questo prolifico scrittore abbiamo già parlato,scriveva sui "pulp" le sue pipe sono sempre inserite in un'affresco di descrizioni minuziose.
Quasi sempre l' atmosfera noire inizia col fumo della pipa,proviamo a buricchiare fra le sue opere,diciamo in 3 -4 post...

Le pipe gialle di Edgar Wallace

Bosambo Del Fiume


Coulson, inginocchiato di fianco al natante, una corta pipa di radica
penzoloni da un angolo della bocca, alzò lo sguardo con un sogghigno.
- "Sanders stronca un traffico illegale" - citò. - Ti ricordi quel cinese
pelato che faceva uscire le donne dall'Angola e le portava al vecchio re per
conto di Bannister Fish?
Jim non disse nulla. Tirò fuori dalla tasca un rotolo di treccia di tabacco,
ne staccò un pezzo con un morso e cominciò a masticare filosoficamente. -
In questa spedizione non c'è nessun commercio di schiavi - obiettò. - Sono
sicuro che perfino il vecchio Fish non oserebbe mettere il becco da queste
parti... che il diavolo se lo porti! - Ormai non correva più buon sangue fra i
due avventurieri e Bannister Fish, il quale era intento a discutere proprio in
quel momento con Ofesi neppure a cinquanta chilometri dal punto in cui
era arenato il Grasshopper, sarebbe stato estremamente felice di sapere
che i suoi occupanti si trovavano proprio lì.
- Fish si trova davvero da queste parti -

- Questo è il bottino - rispose Jim in tono significativo. - Stanotte lo
nasconderemo a scanso di guai peggiori.
- Oh, mio Dio, quest'uomo! - pregò Coulson appellandosi al cielo. -Con
gli occhi della dannata moltitudine barbara puntati su di lui, cammina a
grandi passi nella landa desolata con le mani piene d'oro e il viso
traboccante di innocente astuzia!
Prima di replicare Jim si riempì di nuovo la pipa con calma tirando fuori
il tabacco da una borsina di pelle che teneva appesa alla vita. - Coulson -
disse fra una sbuffata e l'altra - per dirla con il linguaggio di quel ridicolo
artista di vaudeville che abbiamo visto prima di lasciare Londra, forse
avrai anche del cervello nella testa ma nei piedi hai il sangue di un
coniglio.

Caccia Al Milione Scomparso

La stanza numero 375 era molto piccola e, nonostante le finestre fossero
sempre aperte e i ventilatori fossero sempre in funzione, era costantemente
piena di fumo perché gli occupanti erano accaniti fumatori di pipa. Solo
Sepping aveva un debole per i sigari che giungevano in grandi quantità
dall'Havana.
Bill Dicker, con la pipa in bocca, stava guardando il panorama dalla
finestra.

Il Bandito Misterioso

Non si sentiva assolutamente stanco e, dopo
aver acceso la pipa, fu invaso da una sensazione di benessere e di
contentezza.
Si diresse verso la strada, lasciandosi la casa sulla destra.

Il Brigante

Era un mattino d'estate, in cui persino fumaioli e vicoli deserti, nella luce
dorata del sole, appaiono poetici agli occhi di un giovane traboccante di
fiducia nelle proprie capacità.
Il suo compagno, Bill Farrel, aveva appena gustato con comodo un
piatto abbondante di uova e prosciutto e ora, la pipa tra i denti, si sentiva in
pace con il resto del mondo.

Si diceva che la sua massima felicità fosse sedere in un luogo appartato
in riva a un laghetto, con i piedi nudi immersi nell'acqua, e fumare una
pipa di creta leggendo le cause di divorzio sui quotidiani della domenica.

Pinkey era giovane e calvo. Dalla fronte all'occipite era di un rosa
lucente. Fumava una grossa pipa e non prendeva mai l'autobus.

Il mio bisnonno era
marinaio... per anni abbiamo tenuto per ricordo la sua gamba di legno.
Bill batté la pipa e la svuotò dalla cenere.
Bill, il tuo tabacco è forse più caro del solito?

Il Castigo Della Spia

Beryl era
in piedi davanti al camino, con le mani dietro la schiena e fissava i carboni
ardenti.
- Non devi essere offesa, mia cara - disse riempiendosi la pipa per la
fumatina con cui concludeva sempre la giornata.
Cominciò a passeggiare su e giù per la stanza, con la pipa
tra i denti e gli occhi bassi, fissi sul tappeto.


IL CONSIGLIO DEI 4

GONZALES e Poiccart, nell’elegante salotto del loro appartamentino in West
Kensington Gardens, facevano la consueta fumata dopo il pranzo, immerso ciascuno
nei propri pensieri. Poiccart scaraventò il suo sigaro nella grata e, estratta di tasca la
lucida pipa di radica, si diè a riempirla da una gigantesca borsa. Leon lo guardava
attraverso gli occhi socchiusi, mettendo insieme i dati che gli era stato possibile
raccogliere circa lo stato d’animo del compagno.
— Vai diventando sentimentale, vecchio mio! — decretò.
Poiccart lo fissò attonito.
— Stavi fumando uno dei sigari di Giorgio senza farci caso. A metà della fumata ti
accorgi che non ne hai tolta la fascetta, e ti accingi a farlo. La marca ti dice che è Uno
dei sigari preferiti di Giorgio, e ciò ridesta in te un mondo di considerazioni poco
allegre che ti disgustano del sigaro; via il sigaro!
Poiccart accese lentamente la pipa prima di rispondere.

Il Laccio Rosso

Gilder, che era un tipo pignolo e con una certa attitudine alla
matematica, aveva calcolato che raggiungeva, a ritmo sostenuto,
cinquantasei movimenti al minuto, rallentando, a volte, fino a cinquantuno.
Quando era nella sua camera, il signor Brooks fumava una grande pipa,
che caricava con una miscela di tabacchi particolarmente dolciastra che
importava a carissimo prezzo dalla California.

Quella sera, in paese c'era una festa. Bighellonò per le strade, dove lo
raggiunse la musica bizzarra di un complesso jazz, e, arrampicandosi su
per la collina, giunse a una scaletta dinanzi a una siepe.
Si accomodò e iniziò a riempire la pipa, abbandonandosi al piacevole
pensiero della sua buona sorte. Le banconote di Zibriski erano, infatti, un
buon affare, e lui era certo di poterci ricavare un profitto del cento per
cento.
Vide qualcuno che si inerpicava per la strada, una strana figura che
indossava una veste lunga e ampia e un turbante. C'era la luna, quella sera;
Briggs scese qualche gradino, e scrutò nell'oscurità, incuriosito: un
indiano? Poi si ricordò del ballo in maschera.
Passandogli davanti, l'uomo gli augurò allegramente la buona notte.
Dalla sua voce, Briggs intuì che aveva alzato un po' il gomito. L'indiano
salì la scaletta, diretto verso il grande castello. Briggs si riaccomodò sul
gradino e riaccese la pipa, che si era spenta.

Alla fine, giunse in un punto da dove si vedeva
chiaramente la casa del guardacaccia. Stava per tornare indietro, quando
vide un seggiolino pieghevole sotto un albero. In quel punto l'erba era
disseminata di cenere di tabacco da pipa e, per terra di fianco al seggiolino,
Totty scorse una pipa fumata a metà. Vide anche dei rimasugli di tabacco
non usato e almeno una dozzina di fiammiferi consumati. C'erano delle
impronte di scarpe chiodate.

Analizzò le canne con maggiore attenzione; il fucile non aveva fatto
fuoco: non c'erano tracce di polvere da sparo, né odore di fumo.
- Lo conoscete? - domandò.
- Sembra uno di quelli del guardacaccia.
- E questa la conoscete? - Totty esibì la pipa.
- No, signore; non mi ricordo di averla mai vista - rispose Gilder,
impassibile. - Non fumo la pipa. Forse, analizzando la cenere troverete un
altro indizio, sergente Totty. Mi pare di aver letto che...

Totty, mettiti in comunicazione con Scotland Yard, e chiedi
che venga stampato un questionario indirizzato a tutti i tabaccai che
potrebbero aver venduto una pipa di radica a un uomo tra le otto e mezza e
le dieci. Si tratta di una pipa brevettata, chiamata "Orsus".
- Quella di Tilling? Tanner annuì.
- Qualcuno che perda la sua pipa preferita, inevitabilmente ne acquista
una uguale. Di' loro di esaminare tutte le risposte, e di farmi avere una
descrizione esatta dell'uomo che l'ha comprata.

(http://www.online-literature.com/authorpics/edgar-wallace.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Gennaio 2010, 22:41:37
Terrore

Riprese cappello e ombrello, tirò fuori la pipa con gesto meccanico, la
guardò, ne sfregò il fornello e la ripose in fretta.
- Potete fumare, signor Goodman, non v'impicchiamo per questo -
ridacchiò Hallick.
Accompagnò il visitatore per il lungo corridoio, fino alle scale e fino
all'ingresso dove lo salutò. Sperò di averlo mandato via un po' più felice, e
la sua speranza non era senza fondamento.

MASCHERA BIANCA

Wender era un uomo piccolo, con un paio di baffetti bianchi e gli enormi
occhiali di tartaruga che peggioravano l'aria leggermente ebete del suo
viso. Arrivò tenendo sotto il braccio un mucchio di documenti e tra i denti
una corta pipa di radica. Era in smoking, poiché era stato a teatro; anzi, era
stato chiamato d'urgenza, durante la rappresentazione, perché esaminasse
certi indizi riguardanti il grave delitto.
«S'accomodi, Wender» fece Mason. «Fa piacere vedere qualcuno che ha
l'aria allegra a quest'ora del mattino.»

Louba Il Levantino

Era un nebbioso sabato pomeriggio di dicembre e gli unici occupanti
della sala per fumatori dell'Elect Club erano i due uomini sprofondati nelle
poltrone davanti al caminetto e il dottor John Warden, che era stato
trattenuto in città da un'operazione. Dopo aver infilato la lettera che aveva
appena finito di scrivere in una busta, il dottore la consegnò a uno dei
camerieri perché la imbucasse e si diresse verso i suoi due amici,
riempiendosi la pipa lungo il tragitto.
Alle nove e mezza, Hurley Brown lasciò il club, diretto a Scotland Yard.
- Farò una capatina da Louba; è possibile che a quest'ora la rabbia gli sia
sbollita - disse Warden, scuotendo la cenere dalla pipa e avviandosi
insieme all'amico.

Credo sia meglio non dare mai una
spiegazione delle proprie convinzioni - aggiunse, prendendo una pipa dalla
scrivania. La riempì macchinalmente e la accese, prima di ricominciare a
parlare. - Avete trovato la donna? - chiese.
- Se trovassi la donna, dottore, troverei anche Hurley Brown... questa è
la mia idea.
Il dottore tirò delle lente e pensierose boccate di fumo dalla pipa.
- Forse ha ragione - mormorò. -
"D'un tratto, mi è venuto in mente che dovevi aver scoperto la verità e
che, naturalmente, lo avevi ucciso. Dov'è Kate, adesso?"
Mi sedetti dietro la mia scrivania e, prima di replicare, mi riempii la
pipa.
"Non posso dirtelo", risposi. "È a Londra con Berry."
"Berry è quel tipo che lavorava con te, non è vero? Ho riconosciuto
immediatamente il nome." Io annuii. "E, beninteso, Kate non è fuggita con
lui, bensì con Louba. Berry ha semplicemente fatto da paravento a Louba."
Continuai a fumare la pipa in silenzio per un po'; poi, raccontai a Jimmy
tutto quello che sapevo, tutto quello che avevo fatto e tutto quello che era
accaduto.

L'Orma Gigante

La campana di una chiesa lontana batteva le due del mattino quand'egli spense
la luce e si mise a letto Trascorse una mezz'ora Non riusciva a dormire;
raramente si era sentito così sveglio Il suo pensiero vagava a Barley
Stack, da Elfa Leigh a Cardew, da Cardew a Hannah per tornare a Elfa
invariabilmente Infine si alzò sospirando, caricò la pipa, l'accese e se ne
andò a contemplare la notte dalla finestra La luna, nella sua ultima fase,
era ridotta a una falce filiforme nel cielo relativamente chiaro Mandava
una pallida fosforescenza e gettava una strana luce in giardino.
Lepareti del suo bel salottino erano letteralmente coperte di quadri di buon
gusto e di acquerelli che a suo padre piaceva collezionare La vecchia
poltrona che egli aveva amato era collocata al posto d'onore, vicino alla
finestra; la sua collezione di pipe era appesa al muro, sotto la sua spada
(egli aveva prestato servizio nella cavalleria americana) sempre
scintillante.

Se mi diceste di sedermi, obbedirei, ma se mi diceste:
"Minter, fumate pure" non oserei farlo, perché la qualità del mio
tabacco..
— Potete perfettamente sedervi e fumare Le finestre sono aperte e in
fondo a me piace l'odore del tabacco, qualunque sia
— Sì, ma quello che fumo io non si sa esattamente cosa sia Alcuni
assicurano che è tabacco, altri sostengono di no — spiegò l'investigatore
caricando la pipa — Suonate il pianoforte, signorina?

L'Arciere Verde

Dietro il bar c'era un altro locale, e l'ispettore seguì il proprietario,
attraverso il dominio privato del barista, in una stanza di anguste
dimensioni. Mentre Coldharbour girava l'interruttore della luce, Jim aspirò
l'aria con le narici sensibilissime e subito il suo sguardo gelido folgorò
Coldharbour, palesemente a disagio.
- Smettetela di fumare, Smith - disse perentorio. - Chiudiamo un occhio
su tante cose... ma smettetela di fumare.
- È stato uno di quei portoghesi - si affrettò a dire Coldharbour. - Il
direttore li ha lasciati entrare qua dentro. Nel mio locale non permetto
neppure che si accenda una pipa, ve lo giuro, capitano. La cosa si è
verificata durante la mia assenza e, non appena lo sono venuto a sapere, ho
cacciato fuori quell'individuo a calci.

Featherstone sentì il rumore della griglia e capì d'essere in trappola. La
sua prima reazione, una volta rimasto solo, fu quella d'esaminare il
contenuto di tutte le tasche. Trovò pipa e fiammiferi ma, a eccezione del
coltellino a serramanico, nessun'arma.

Completato il frugale pasto, l'uomo prese una pipa dalla tasca, la riempì
con calma, l'accese, si appoggiò allo schienale della sedia Windsor e si
mise a contemplare la parete con uno sguardo immobile che stava a
indicare che la sua mente era da qualche altra parte.

L'Angelo Del Terrore

Che cosa vi piacerebbe, signor Jaggs?
Il signor Jaggs si accarezzò la barba, si grattò la testa, e pensò che gli
sarebbe piaciuto avere una pipa.
- Vi ringrazio, signorina, ma non voglio nessun regalo.
- Vi regalerò la pipa più bella che troverò - fece la ragazza. - Ma mi
sembra poco.
- Mi piacerebbe una pipa di radica, signorina - disse il vecchio Jaggs.
Era di servizio la mattina in cui lei partì, e nonostante Lydia si fosse
alzata molto presto, lui se ne era già andato. La ragazza rimase delusa,
perché non era riuscita a dargli la bella scatola di pipe che gli aveva
comperato, e inoltre avrebbe voluto ringraziarlo. Le pareva di essersi
comportata male con lui. Quell'uomo le aveva salvato la vita due volte.

L'Abate Nero

Dick stava lavorando
in maniche di camicia, con la pipa tra i denti e gli occhi protetti dalla luce
che gli stava sopra il capo da una grande visiera verde, fissata a una banda
che portava in testa,mentre con un sorriso beffardo
metteva da parte la vecchia e rovinata macchina per scrivere, riaccese la
pipa e si stiracchiò
Con la pipa in bocca, attraversò l'atrio ed entrò nella biblioteca poco
illuminata.
I tre lampadari che pendevano dal soffitto erano spenti. Solo le due
lampade da lettura, schermate di verde, che fiancheggiavano i due lati
della scrivania, erano accese e la loro luce aumentava per contrasto
l'oscurità circostante. Dick chiuse la porta alle proprie spalle e si avvicinò
con calma alla scrivania, tirandosi dietro una sedia.
Harry aggrottò la fronte vedendo suo fratello.
- Davvero, Dick - disse, con irritazione. - Vorrei che non ti aggirassi per
casa in camicia e pantaloni. È molto sconveniente.
- Ma è incredibilmente fresco come abbigliamento - rispose Dick,
sedendosi. - I tuoi nervi sopporteranno l'odore di un po' di onesto tabacco?
Lord Chelford si agitò, a disagio, sulla sedia. Poi, aprì una scatola in oro
e prese una sigaretta.
- La mia pipa contro le tue cose puzzolenti per cento sterline! - esclamò
Dick, con un sorriso allegro. - Posso tollerare le sigarette, ma quelle
aromatiche...
- Dick, se non ti piacciono, poi anche andartene - brontolò Sua Signoria,
con stizza. E poi, nella sua maniera brusca, aggiunse: - Hai visto questo
ritaglio di giornale?
- Non essere stupido. Come ha fatto ad arrivare al giornale questa storia?
- Come succede di solito? - chiese Dick pigramente. - Il nostro spettro è
utile quasi quanto un agente pubblicitario.
Harry lo interruppe. - Non riesci a prenderla seriamente? Non vedi che
questo fatto mi preoccupa a morte? Conosci lo stato dei miei nervi! Dick,
non hai compassione, sei duro come la roccia! Sembra che tutti mi
detestino.
Dick aspirò dalla pipa, cupo.
L'altro giorno ho ricevuto
una lettera da qualcuno che diceva di essere disposto a pagare un prezzo
molto alto per Creethorpes. Non vedo ragione al mondo per cui non
dovremmo vendere.
- Ma io sì - intervenne Dick, emettendo fumo lentamente dalla pipa. - ho
avuto anch'io l'offerta e quando ne riceverò una che si avvicini quanto più
possibile al valore di Creethorpes, potremo vendere. Ma il prezzo proposto
è ridicolo.

La Porta Del Traditore

Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, e si fermò sul mobiletto. Strinse i
denti, corse, quasi, sul soffice tappeto e con le dita tremanti fece scivolare
la chiavetta presa dalla borsa...
Vuota! La sua bocca si spalancò per lo stupore. Il nascondiglio poco
profondo non nascondeva nulla.
Qualcosa la fece voltare, e quasi cadde. Dalla poltrona saliva un sottile
ricciolo di fumo blu.
- Vi dispiace chiudere la porta? C'è corrente. La voce era morbida e
soffocata.
Rimase ferma guardando in direzione della voce, e poi, in preda alla
disperazione, sfilò dalla borsetta una piccola Browning.
- Non muovetevi! - disse, a bassa voce. - Sono armata.
Dalla poltrona si alzò un uomo alto, dai capelli bianchi, la corporatura
robusta, e con un paio di enormi occhiali scuri che nascondevano il volto
sottile. Tra i denti gli penzolava una grande pipa. Indossava un abito da
sera, sebbene la giacca per la cena fosse di velluto nero.
- Venite a sedervi, avvicinatevi al fuoco - la esortò. - Dovete essere
bagnata.
- Immagino abbiate una pistola o qualcosa di altrettanto impegnativo in
mano? È una pessima cosa! - E dopo: - Parlavo seriamente riguardo alla
porta, vi dispiace chiuderla? Non sopporto il freddo.
Hope andò alla porta. Aveva una possibilità; doveva fuggire? In pochi
attimi sarebbe stata fuori di casa. Ma lui l'aveva veduta: sarebbe stato
davvero poco dignitoso andarsene in quel modo. Era strano come in un
simile momento lei pensasse alla dignità.
Chiuse la porta e tornò davanti al fuoco. Era ancora seduto, la pipa
stretta fra i denti, la faccia rivolta ai carboni ardenti.

La Mano Rossa

- Si accomodi, ispettore - disse indicando con la mano una sedia. - Una
sigaretta?
L'ispettore sorrise.
- Troppo dolci per me - disse - io fumo la pipa.
- La riempia dunque - disse il professore con un leggero sorriso.
E non gli fece l'insulto di offrirgli il suo tabacco perché sapeva che ogni
fumatore di pipa che si rispetta ha la propria miscela di tabacco che non
solo non ama cambiare ma che difende accanitamente.
- Ebbene? - domandò il professore mentre l'altro riempiva
metodicamente la sua pipa.
Questi uomini contro i quali noi lottiamo sono senza
misericordia.
Lei non sa neanche cosa intenda quando dico senza
misericordia; forse per lei significa essere crudeli. Ma, amico caro,
crudeltà... - ebbe un piccolo riso amaro. - Voi inglesi non conoscete, non
potete conoscere, cosa sia la crudeltà... Oh! non glielo voglio dire, non ne
dormirebbe la notte.
L'ispettore sorrise.
- Ne ho una piccola idea - disse con voce pacata lanciando in aria una
spirale di fumo e guardandola disperdersi con occhi meditabondi.

Il Segno Del Potere

Fece il bagno e, quando ritornò in camera da letto, trovò
Bullott in maniche di camicia, una pipa nera in bocca, una smorfia di
profonda disperazione sul volto non ancora rasato. Era in piedi, accanto
alla finestra e osservava il mosaico variopinto creato dai fiori del giardino.
- Cerca di essere allegro, accidenti - grugnì Bill. - Sarò io a essere ucciso
stanotte!
Bullott si tolse la pipa di bocca e girò il capo lentamente. - Non andrai in
Epping Road!
- Perché no? - chiese Bill. - Alle nove sarà ancora chiaro e la strada sarà
gremita di ciclisti e macchine; nessuno cercherà di rapirmi.
Bullott rimise in bocca la pipa e assunse nuovamente un'aria di infelicità.

(http://likeawhisper.files.wordpress.com/2009/02/king_kong_poster_edgar_wallace_1933.jpg)







Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Gennaio 2010, 22:57:01
Da giovane lui ha frequentato molto i bassifondi e la comunità cinese,stiamo parlando della fine dell'800 e primi del 900.
Questo fatto ha ispirato e gli ha fatto ambientare molti racconti,percui molte pipe ivi contenute sono,per così dire ambigue.
Ho escluso tutto quello che non interessa noi, puri e fieri fumatori di tabacco.
Mi è sembrato doveroso inserire un paio di brani,diciamo fra i più innocui,(in una mix fumata c'è anche un po' di tabacco,forse latakia) unicamente a scopo di esempio chiarificatore,vanno comunque considerati l'epoca e il contesto.

Il Pugnale Di Cristallo

Solo un uomo in tutta Londra sapeva che lui era "Priscilla Fairlord",
l'autore di Cuori Infiammati o che "Mary Janet Colebrooke", il cui
appassionato romanzo, Separati sull'Altare, era stato a lungo un bestseller,
in realtà indossava i pantaloni e fumava la pipa. Ma, grazie ai suoi
successi editoriali, Bill condivideva un appartamento a Curzon Street con
Selby Lowe, poteva permettersi il lusso di avere una macchina e di
sostenere le modeste spese di un ufficio.
Aprì la porta dell'anticamera esterna, il cui solitario occupante, un
ragazzino che nascondeva una sigaretta dietro la schiena, gli annunciò
l'arrivo di una visitatrice.


La Legge Dei Quattro

Al primo piano, dietro triple tende di velluto nero, uomini e donne
fumavano giorno e notte. Era un locale grande, in quanto erano due stanze
riunificate in un'unica, decorato secondo i dettami del signor Ballam. In
questa stanza si fumava solamente oppio. Se voi aveste avuto un debole
per l'hashish, avreste fatto meglio a indugiare nell'appartamento al piano
seminterrato. A volte lo stesso signor Ballam veniva a fare una fumatina
dell'erba dei sogni, ma in genere riservava queste visite per delle occasioni
particolari, come l'introduzione di un nuovo e danaroso cliente. Il fumare
non aveva un effetto negativo sul signor Ballam. Di ciò egli si vantava
sempre, e anche ora, con un nuovo cliente, un ricco artista spagnolo che
era stato condotto lì, al Club Internazionale degli Artisti, da uno dei suoi
sciacalli e complici.
- Neppure a me fumare fa male - disse il nuovo arrivato, facendo segno
di allontanarsi a un cinese con la faccia gialla addetto a venire incontro alle
necessità dei fumatori. - Io porto sempre con me il mio fumo.
Ballam si chinò in avanti, mentre l'uomo prendeva una scatola d'argento
dalla tasca e ne estraeva una pillola verde dall'apparenza appiccicaticcia.
- Cos'è questa cosa? - domandò con curiosità Ballam.
- È una mistura del mio fumo privato, canabis indica, oppio e un po' di
tabacco turco tutto mischiato insieme. È più leggera dell'oppio e il risultato
è infinitamente più bello.
- Non potete fumarla qui - disse Ballam scuotendo la testa. - Provate
questa pipa, vecchio mio.
Ma il "vecchio"... che in effetti era veramente giovane nonostante i suoi
capelli grigi, disse con calore: - Non importa, posso fumarla a casa mia.
Sono venuto qui solo per curiosità - e si alzò per andarsene.
- Non abbiate fretta - disse impetuosamente Ballam. - Vedete, qui
abbiamo un appartamento al piano seminterrato, giù per le scale, dove si
fumano le pipe caricate a canapa indiana, poiché i fumatori di qui sopra
non amano questo odore; andiamo giù e proverò una pipa con voi.
Portatevi il vostro caffè.
Il seminterrato era vuoto e scegliendo un comodo divano il signor
Ballam e il suo ospite si sedettero.
- Potete accenderlo con un fiammifero, non c'è bisogno di aiutarsi con la
stufetta ad alcol - disse lo straniero.
Ballam sorseggiava il suo caffè guardando dubbiosamente la pipa che
Gonsalez gli stava offrendo.
- C'è una domanda che volevo farvi - disse Leon. - Gestire un posto
come questo vi fa dormire sonni tranquilli?
- Non siate stupido - ribatté il signor Ballam, accendendo lentamente la
sua pipa e inspirando il fumo con evidente piacere. - Questo vostro fumo
non è per niente cattivo. Tenermi sveglio di notte? Perché dovrebbe?
- Beh - replicò Leon. - Un sacco di gente si rovina qui, non è vero?
Voglio dire, la gente si rovina quando fuma queste cose.

(http://www.horror-wood.com/wallac10.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Gennaio 2010, 20:03:34
Restiamo sulle pipe gialle,rispolverando la vecchietta malefica,quando c'è una pipa bella
fa si che si rompa sempre,quando c'è una bella donna è un'assassina, o un cadavere etc..

Agatha Christie

IL TERRORE VIENE PER POSTA

Restammo in silenzio, mentre fumavo la pipa. Era un silenzio che ci teneva
compagnia, ma Megan ad un tratto disse con violenza: «Certo anche
voi, come tutti gli altri, penserete che sono terribile».
Ero così soprappensiero che al suono della sua voce mi cadde la pipa di
bocca. Era una pipa di schiuma, di un colore bellissimo, e cascando a terra
si ruppe.
Rimproverai Megan.
«Ecco che cosa avete combinato!»
Ma la stranissima ragazza, invece di mostrarsi spiacente, disse: «Mi piacete
davvero!». E lo disse con calore.
Era una frase che avrebbe potuto dire un cane al suo padrone, se un cane
potesse per un momento parlare. E pensai che Megan, pur somigliando
molto a un cavallo, aveva inclinazioni canine. Non era comunque del tutto
umana.
«Che cosa stavate dicendo prima della catastrofe?» domandai raccogliendo
con cura i cocci della mia diletta pipa.
«Dicevo che certo mi credete una ragazza terribile» rispose Megan, ma
il suo tono di voce era diverso da quello di prima.
«Perché mai dovrei pensare una cosa simile?»
Megan disse con serietà:
«Perché lo sono in realtà.»


LA SERIE INFERNALE


Era una bottega squallida e disadorna. Alcune riviste illustrate e alcuni
quotidiani erano sparsi sul banco. Uno scaffale era stipato di pacchetti di
sigarette, di sigari a buon mercato e di pessimo tabacco da pipa. Due vasi
di vetro, pieni di caramelle, troneggiavano accanto alla piccola bilancia
d'ottone.
Il poliziotto ci fece vedere dove era stato rinvenuto il cadavere.
«Aveva qualche cosa in mano?» domandò Poirot.
«No» rispose l'agente, «però in terra, accanto a lei, c'era un pacchetto di
Player's.»
«Insomma, qualcuno vi ha visto entrare nella tabaccheria, l'ha detto alla
polizia, e così l'ispettore vi ha mandato a chiamare. L'ispettore è rimasto
soddisfatto della vostra deposizione?»
«E perché non avrebbe dovuto esserlo? Insomma, a che gioco giochiamo?
Io non sono il tipo da lasciarmi intimorire da nessuno, sapete? La vecchia
non l'ho fatta fuori io. Lo sanno tutti che è stato quel bestione di suo
marito.»
«Però, ieri sera Ascher non è nemmeno passato per quella strada e voi
sì.»
«Continuate? E che cosa volete che avessi da fare con la vecchia tabaccaia?
Credete che l'abbia ammazzata per riempire la pipa gratis? O volete
farmi passare per un maniaco?»


VERSO L'ORA ZERO

Thomas Royde, la pipa fra i denti, stava sorvegliando il suo agilissimo
servo malese che finiva di preparargli i bagagli. Ogni tanto lasciava vagare
lo sguardo sulla piantagione.
«Be'» disse «buona caccia!»
Royde borbottò qualcosa fra i denti, e Drake lo guardò curiosamente.
«Flemmatico come sempre» osservò. «Non so come tu faccia. Da quanto
tempo manchi da casa?»
«Sette... quasi otto anni!»
«È molto. Mi chiedo come hai fatto a non diventare del tutto un indigeno.
»
«Forse lo sono...»
«Già, sei sempre stato più vicino alla natura che agli esseri umani. Hai
già fatto programmi per la tua vacanza?»
«Sì... in parte.» L'impassibile viso abbronzato si tinse di un cupo rossore.
Allen Drake esclamò divertito: «Thomas, c'è sotto una donna! Caspita,
stai arrossendo!»
«Non fare lo stupido!» rispose brusco Royde. Tirò una lunga boccata
dalla pipa. E batté tutti i precedenti record continuando a parlare.
«Immaginoche troverò molte cose cambiate.»
Thomas Royde chinò lo sguardo e le sue dita si strinsero sul cannello
della pipa.

È Un Problema

Clemency aprì dicendo: Questo è lo studio di mio marito.
Avanti! disse Roger. Avanti!
Mi sfuggì un sospiro di sollievo. Fortunatamente, là dentro non c'era
nulla della fredda austerità degli altri locali, anzi, ogni cosa rivelava la
sensibilità di chi la abitava. Un'ampia scrivania girevole era letteralmente
sommersa di fasci di carte, pipe, scatole di tabacco. Tutt'in giro,
magnifiche poltrone, ampie e comodissime. C'erano ampi tappeti persiani
sul pavimento e alle pareti molti quadri e fotografie sportive o di vita
militare. Si notavano acquerelli con deserti, minareti, navi, tramonti, mari
in burrasca. Una stanza decisamente simpatica, e modellata per un uomo
altrettanto simpatico e cordiale.
che troverò molte cose cambiate.»

(http://www.abebooks.com/blog/wp-content/uploads/2009/02/agatha-christie-books.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Gennaio 2010, 15:05:43

William Cuthbert Faulkner 1897 – 1962)

E' stato uno sceneggiatore e drammaturgo, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1949 e considerato uno dei più importanti romanzieri statunitensi, autore di opere spesso provocatorie e complesse.
Le opere di William Faulkner sono caratterizzate da una scrittura densa di pathos e di grande spessore psicologico, da periodi lunghi e sinuosi e da una cura meticolosa nella scelta dello stile e del linguaggio.




NON SI FRUGA NELLA POLVERE

Il primo accenno a "Non si fruga nella polvere" il cui titolo
originale è "Intruder in the Dust", Faulkner lo diede a uno dei suoi
editori nel 1940. Descrisse il futuro romanzo poliziesco come un'idea,
«un mistery originale in quanto a risolvere il complotto è un negro,
in prigione per assassinio e sul punto di essere linciato, che spiega
l'assassinio per autodifesa».
L'idea rimase in mente a Faulkner per sette anni e mezzo e quando
Howard Hawks, il regista e produttore.........



Aveva passato la maggior parte della vita nella capanna
di Paralee la madre di Aleck Sander nel cortile interno dove quando
erano piccoli giocava con Aleck Sander nei giorni di pioggia e Paralee
cucinava per loro veri e propri pasti tra i due pasti regolari e lui e
Aleck Sander li mangiavano insieme, e il cibo aveva lo stesso sapore
per entrambi; non riusciva neanche a immaginare un'esistenza dalla
quale l'odore potesse scomparire per non ritornare mai più. Lo aveva
annusato sempre, lo avrebbe annusato sempre; faceva parte del suo
passato inevitabile, faceva gloriosamente parte della sua eredità di
sudista; non dovette neanche scacciarlo, si limitò a non annusarlo più
come il fumatore di pipa da un pezzo non annusa più il freddo tanfo di
pipa che fa parte del suo abbigliamento come i bottoni e gli
occhielli, e rimase seduto perfino sonnecchiante nel caldo fetore
raccolto della trapunta.

Era un sabato pomeriggio tre anni fa all'emporio sul crocicchio a sei
chilometri dalla casa di Edmonds dove tutti i mezzadri i fittavoli e i
fattori bianchi e negri della zona il sabato pomeriggio passavano e di
solito si fermavano, spesso perfino per comprare qualcosa, legando le
mule e i cavalli sellati e sfiancati dai finimenti tra i salici e le
betulle e i fichi nel fango calpestato sotto la fontana e invadendo
l'emporio stesso sul marciapiede di fronte coperto di polvere, in
piedi o accoccolati sui talloni a bere gazose dalla bottiglia e a
sputar tabacco e a fare senza premura sigarette e ad accendere con
fiammiferi pigri pipe già fumate.

Sedette dietro la tavola ingombra che lo zio
usava invece della scrivania a serranda dei tempi del nonno e sulla
quale erano passate le questioni legali della Contea da tanto tempo
che non riusciva a ricordarlo, da quando il ricordo fosse veramente un
ricordo o comunque un ricordo suo, e così la tavola sciupata e le
carte sgualcite e sbiadite e le necessità e le passioni da esse
rappresentate e la Contea coi suoi limiti e i suoi vincoli tutto era
una cosa sola e contemporanea, l'ultimo sole che filtrava dal gelso e
la finestra alle spalle sulla tavola le carte ammassate in disordine
l'inchiostro il piatto di clips e di pennini sporchi arrugginiti e i
nettapipe e la pipa rovesciata nel suo mucchietto di cenere vicino
alla tazza e al piattino del caffè macchiati e non ancora lavati e la
ciotola colorata della "stübe" di Heidelberg piena di riccioli di
giornale attorcigliati con cui accendere la pipa come il vaso posato
sulla mensola di Lucas.

la signora Downs: una vecchia
bianca che viveva sola in una casa che pareva una scatola sporca e
puzzava come una tana di volpi ai bordi della città in un gruppo di
case negre, dove tutto il giorno era un continuo andirivieni di negre
e certo quasi tutta la notte: la quale (questo non lo seppe da Paralee
che pareva sempre non saperne niente o per lo meno non aver tempo di
parlarne in quel momento, ma da Aleck Sander) non soltanto prediceva
l'avvenire e guariva dal malocchio ma trovava gli oggetti: ed era lì
che era finito il mezzo dollaro e lui credette con tanta prontezza e
sicurezza che ormai l'anello fosse trovato che dimenticò subito e per
sempre quella fase e soltanto il corollario lo interessò, e disse a
Ephraim: «E' tutta la settimana che sai dov'era e non gliel'hai ancora
detto?» e Ephraim lo guardò un momento, dondolandosi sereno e senza
scomporsi e succhiando la pipa fredda piena di cenere mentre ogni
dondolìo pareva il rumore di un piccolo cilindro asmatico: «Avrei
potuto dirlo a vostra madre. Ma aveva bisogno di aiuto. Così ho
aspettato voi.

Aveva dimenticato Miss Habersham.
L'aveva cancellata; aveva detto «Scusatemi» e così l'aveva scacciata
non soltanto dalla stanza ma anche dal tempo come il prestigiatore con
una parola o un gesto fa scomparire l'albero o il coniglio o il vaso
di rose e soltanto loro rimasero, loro tre: lui sulla porta ancora con
la maniglia in mano, entrato a metà nella stanza nella quale non era
entrato effettivamente e non avrebbe neanche dovuto entrare fino a
quel punto e già a metà strada per uscirne nell'atrio dove per prima
cosa non avrebbe dovuto perder tempo a passare, e lo zio mezzo disteso
dietro alla tavola anch'essa coperta di giornali e un altro boccale di
birra tedesca pieno di riccioli di giornale e probabilmente una
dozzina di pipe a vari gradi di carbonizzazione.

'orologio d'oro a spilla aperto sul petto e aveva l'aria di pensare
che ormai lo sceriffo non soltanto avrebbe dovuto essere già ritornato
con Crawford Gowrie ma probabilmente già diretto con lui verso il
Penitenziario: poi lui sulla seggiola solita vicino al barilotto
d'acqua e finalmente lo zio accese il fiammifero sulla pipa
continuando a parlare non attraverso il fumo ma dentro il fumo col
fumo.

«"Bene, va avanti" e lui disse:
«"... ho avuto il messaggio di andarlo a incontrare all'Emporio
però..."» e ora lo zio accese di nuovo il fiammifero e fece sbuffare
la pipa continuando a parlare, parlando attraverso la cannuccia della
pipa col fumo come se si guardassero le parole stesse: «Solo che non è
mai arrivato all'Emporio, Crawford gli è andato incontro nei boschi e
si è fatto trovare seduto su un tronco vicino al sentiero ad
aspettarlo quasi prima che Lucas si fosse allontanato da casa



(http://www.mentalfloss.com/wp-content/uploads/2009/01/faulkner.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Gennaio 2010, 10:42:04
Forse il più prolifico scrittore-pipante è di casa nostra,(de noantri)
Poi ha girato tutto il mondo senza mai uscire di casa.
Ci vorranno molti post  8)

Le pipe piratesche di Emilio Salgari

CAPITAN TEMPESTA

Haradja non aveva cessato di chiacchierare con molto brio, provocando sovente
delle risa, poi quando le chicchere furono portate via, si fece recare un
ricchissimo cofanetto d'atgento, meravigliosamente cesellato e adorno di pietre
preziose di molto valore e levò due piccoli rotoli bianchi offrendone uno
alla duchessa. - Che cosa sono? - chiese questa, osservandoli con curiosità. - Si fumano,

perché sotto questa leggera carta vi 8 del tabacco. Non ne hai
mai vedute nel tuo paese, effendi? - No, signora. - Non fumano in Arabia? , alcuni usano la

pipa, ma di nascosto, onde non correre il pericolo di farsi
tagliare le labbra od il naso. Sai che Selim ha proibito l'uso del tabacco e che
ha dato ordini severissimi contro coloro che ne fanno uso.
Haradja proruppe in uno scoppio di risa.

- Aprire un buon buco per lasciar entrare l'acqua e mandare la galera a picco.
- Non abbiamo nemmeno un coltello, papa Stake.
- Purtroppo, signor Perpignano - rispose il lupo di mare.
- Io avrei forse un'idea migliore - disse in quel momento Nikola Stradioto che
fino allora non aveva aperto bocca.
- Butta fuori, greco - disse papa Stake. - GiA i tuoi compatrioti godono fama
di essere pih furbi di tutti i levantini e di dar dei punti perfino agli smimesi.
- I turchi mi hanno levate le armi e mi hanno lasciato l'acciarino e l'esca.
- Buono per accendere la pipa se avessi un po' di tabacco - disse il vecchio
mastro.
- E anche per accendere una nave - rispose il greco, serio.

I BRIGANTI DEL RIFF

Gli studenti ed i gitani, ai quali l'appetito non faceva difetto, diedero l'assalto
alla pentola, vuotandola rapidamente. I1 kuskwsìi marocchino, se ben fatto,
non i? cattivo, e non spiace nemmeno ai palati europei. Una tazza di caffe mise
fine a quella magra cena.
- La Snega dei Vhti non si lascia mancare nulla - disse Pedro, il quale, frugando
fra i sacchetti dei viveri, era riuscito a scoprire due vecchie pipe, del tabacco
ed una bottiglia d'aguardiente. -Non avrei mai immaginato di poter passare
quassù una serata così deliziosa ...
La luna rovesciava sulla macchia dell'altipiano miriadi di raggi azzurrini ed in
lontananza, in fondo alle gole, gli sciacalli ricominciavano la loro musica
noiosa accompagnata dagli ululati delle jene.
I due studenti, accese le pipe, sorseggiato l'aguardiente, si erano messi a suonare,
mentre Zamora, stesa su di un angareb, stava ad udirli.

- Fuori! ... Fuori! ... - gridò Carminillo.
Gli studenti nascosero le chitarre sotto gli angareb, presero le armi, le pipe, il
tabacco e la bottiglia d'aguardiente, e si slanciarono verso il minareto.

Erano smontati tutti, nascondendo i loro cavalli entro una folta macchia di
acace, e si erano tranquillamente accampati, accendendo le loro pipe.

- Sono segreti che appartengono a me sola. Dormi, dolce Colomba, finché
consumo una carica di tabacco.
La vecchia trasse da un cassettone una pipa annerita e puzzolente, l'accese alla
lampada e si mise a fumare lanciando a destra ed a sinistra nuvole di fumo profumato.
Si alzb fmgb nel cassettone e trasse una bottiglia di vetro nero che mise in trasparenza
attraverso alla lampada.
- Tre dita abbondanti - soggiunse. -Non credevo di averne ancora tanto.
Si mise la bottiglia alla bocca e ingoiò alcuni sorsi, senza fare alcuna smorfia,
poi tornò a sedersi e riprese la pipa.
- Mia dolce Colombella di Siviglia, ne vuoi un sorso? Ti darà un po' di forza e
ti metterà un po' di allegria.
- Bevilo tu il tuo aguardiente - rispose Zamora, saettandola con due occhi di
fuoco.
-Non diventerai mai buona tu dunque con tua madre?
- Mia madre era una regina dei gitani che non fumava la pipa, nè si ubriacava
come te, strega!
Siza Baba invece di rispondere vuotò d'un colpo la bottiglia dell'aguardiente,
poi tornò a riaccendere la sua nera pipa: era la terza carica che bruciava.
La vecchia lascib cadere la pipa e si prese la testa fra le mani.
-Non ero allora la brutta Strega dei Venti - disse, con voce quasi piangente.
Si alzò, fece il giro della cuba due o tre volte,buttò via anche la pipa,
poi tornò a sedersi sul vecchio tappeto, riprendendosi la testa fra le mani.

LA CADUTA DI UN IMPERO

- Siamo in due, signore, e non abbiamo mai avuto paura.
- Riaccendi la sigaretta ed entriamo. Vedremo se il bramino ci proibirà ancora
di fumare.
Attraversarono la galleria e passarono nel carrozzone.
I1 bramino fingeva in quel momento di dormire. Doveva essersi però coricato
da qualche momento. Udendo però i due viaggiatori entrare, si alzò di scatto e
disse con voce quasi minacciosa:
-Vi ho detto che sono un bramino, e poi le mie vesti ve lo indicano. Io ho diritto
a dei riguardi.
- Di che cosa vi lamentate, signore? - chiese Kammamuri, tirando fumo a gran
boccate. - Io non posso soffrire la sigaretta. - Allora cambieremo.
I1 maharatto si cacciò una mano in tasca e trasse una vecchia pipa che era già
carica di quel fortissimo tabacco che usano i montanari assamesi, e che stordisce
anche i più vecchi fumatori se non vi sono abituati.
- Che cosa fai? - chiese il bramino, con voce irata.
-Voi dimenticate, signore, che io sono un principe assamese. Mi pare di averlo
detto. - Io non ho veduto le tue carte.
- Datemi del voi o chiamatemi Altezza. Le mie carte poi non le mostrerò che
alle autorith inglesi di Calcutta.
- Non si rispettano più dunque i bramini nel vostro paese, dopo che Sindhia
non è più sul trono?
- Sempre, signore.
- Ed allora gettate via quella pipa puzzolente.
- La spegnerò e la rimetterò in tasca, purchè voi, sahib, mi diate il permesso di
fumare delle sigarette.
- Non c'è più religione oggi in India! ... -gridò il bramino. -Non si distinguono
più le alte caste da quelle basse.
- Io sono un seguace di Siva, e quindi per me i sacerdoti di Brahma non valgono
nulla.
- 11 dio più grande è quello che adoro io.
- Io mi accontento di Siva - rispose Kammamuri, il quale aveva riacquistata
prontamente la sua calma. - A me basta, e non ho mai avuto da lagnarmi di
lui.
- È un dio bugiardo non meno di Visnh.
- Di questi affari non me ne intendo, signor sacerdote.
Accese la pipa e si mise a fumare rabbiosamente, intanto che Tmul faceva
strage di sigarette.

Continuando il cammino giunse al suo scompartimento pieno di fumo come
una zolfatara, poiché né Kammamuri né Timul avevano cessato di pipare.
- Non avete ancora finito? - chiese, sbattendo violentemente lo sportello e
facendo un gesto d'ira.

- Avete sempre l'idea fissa che andiamo tutti all'aria?
- Sempre - rispose il bramino.
-Allora prima di morire ci permetterete di fare alcune fumate.
- Non solo, ma vi offrirò anzi io dei sigari che mi ha regalato quel tale funzionario
inglese col quale mi sono trattenuto a parlare.
- E che voi non fumerete mai.
- Oh no! ... - esclamò il sacerdote, facendo un gesto d'orrore. - Vengono da
mani impure.
- Se non vi dispiace ne proveremo qualcuno.
- Anzi, ve li offro tutti: sono sei Londres, i sigari piu fini e più costosi che abbiano
gl'inglesi.
- Ne ho udito parlare, - disse Kammamuri, - però non li ho mai provati.
I1 bramino trasse da una tasca un porta-sigari di cuoio con le coste d'argento, e
lo offrl a quei terribili fumatori.
- Per Siva! ... - esclamò Kammamuri, - sono confezionati meravigliosamente e
anche con molto lusso.
Mise da parte la pipa che aveva già caricata, ne prese uno e l'accese, gettando
in aria una grossa boccata di fumo piuttosto oleoso e niente profumato.
Alzò la stuoia che gocciolava, gettò il sigaro che aveva appena cominciato, ma
si mise in tasca il porta-sigari, pensando che a Calcutta avrebbe potuto servirgli.
Sospettoso per natura, dopo gli avvelenamenti dei ministri lo era diventato
doppiamente, e diffidava di tutto e di tutti.
- Ora, signor sacerdote, - disse abbassando il cane della pistola, - lasciate che
mi accomodi la bocca con una buona pipata.
- Fate pure, non me ne lagnerò - rispose il bramino, masticando però amaro.
Kammamuri accese la sua pipa, e alzata la grossa stuoia gocciolante d'acqua, si
mise a fumare tranquillamente, cercando di distinguere qualche cosa.
Un'oscurità assoluta avvolgeva il treno il quale aveva già cominciato a cacciarsi
in mezzo alle jungle formate da bambh, alti quindici ed anche venti piedi,
e grossi come la coscia d'un uomo alla loro base. Le lampade mandavano
però, di quando in quando, sprazzi di luce, i quali permettevano di distinguere
ancora, a tratti, qualche cosa.

LA CROCIERA DELLA TONANTE

Il mastro aspirò una buona boccata d'aria marina, diede uno sguardo alle vele ed un altro

alla
baleniera, che guizzava rapidissima, sotto la battuta di dodici remi, verso le navi

americane che
s'avanzavano lentamente, essendo il vento debolissimo. Tirò fuori la sua storica pipa,

ancora intatta
malgrado le tante avventure provate dal suo proprietario, la caricò per bene, e dopo averla

accesa,
andò a sedersi sul pezzo favorito, il pezzo da caccia prodiero di babordo.
«Forse ho risolto un gran problema,» mormorò, dopo essersi avvolto in una nuvola di fumo.
«Il Baronetto salterà, ma bà!... Al vecchio mastro molte cose si perdonano.»
Vuotò la pipa, la ricaricò, bevette un altro sorso di quel vinaccio, che avrebbe fatto

ottima
figura in una insalata, e si cacciò in un angolo della cella fumando e borbottando. E

Piccolo Flocco,
dal canto suo, si rannicchiò su se stesso, mancando il posto, e chiuse gli occhi per

prendere, se lo
poteva, qualche ora di sonno.

Un grido sfuggì dalle labbra di Testa di Pietra. Si era scordato della storica pipa e aveva
cacciato le mani nelle tasche, paventando un disastro.
E il disastro era infatti avvenuto. Il cannuccio della pipa, nell'urto si era spezzato. Il

mastro
si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e mormorò con voce commossa:
«Vi ho fumato trent'anni! Mio nonno e mio padre l'hanno pure usata, consumando montagne
di tabacco. L'ho salvata da sette naufragi, ed ora eccola rovinata per sempre.»
«T'inganni, Testa di Pietra,» disse il giovane gabbiere. «Puoi fumare egualmente.»
«Sì, ma non colla storica piva del borgo di Batz.»
«Ma sì, ma sì; carica e tira, se il tabacco è asciutto.»
«Forse hai ragione, ragazzo: può servire ancora. L'acciarino e la pietra focaia son chiusi
ermeticamente in una scatola impermeabile.»
Per sua fortuna, il tabacco regalatogli da Wolf non si era bagnato; così egli caricò
rabbiosamente la pipa mutilata, si cacciò sotto la tenda, affondandosi nel letto di fuchi, e

si avvolse
fra nubi di fumo denso.
Testa di Pietra, terminata la sua pipata, si era placidamente addormentato e russava come un
contrabbasso; l'Assiano aveva creduto bene d'imitarlo, e russava come una trottola

d'Alemagna.
Piccolo Flocco, tanto per fare qualche cosa, strappava le piume all'albatros decapitato dal

mastro,
sagrando perché non volevano venir via. «Bell'arrosto!» borbottava scotendo il capo. «Tra il
merluzzo secco e questo, non so quale scegliere. E poi non avremo più dello champagne per
digerire questo bestione, che pare enorme, ma pesa poco. E queste sono le belle cacce dei
Bretoni di Batz!»
L'aveva già spiumato più di mezzo, quando i suoi sguardi si fissarono su un grosso punto
nero sormontato da qualche cosa di bianco, o, meglio, di grigiastro.
«Una nave!» esclamò lasciando cadere l'uccellaccio e balzando in piedi fra una nuvolaglia di
piume. «Che sia la maledetta fregata? Dio ce la mandi buona!»
In due salti piombò addosso a Testa di Pietra, il quale continuava a russare, stringendo
ancora fra i denti la storica pipa mozzata.


(http://duemilaragioni.myblog.it/media/02/01/1353633126.jpeg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Gennaio 2010, 20:27:04
LA SCOTENNATRICE

Osservato l'orizzonte per vedere se qualche pericolo li minacciava,
accesero le loro pipe e si gettarono a gambe all'aria, mentre le stelle fiorivano
in cielo scintillando vagamente. - Io mi domando - disse John, dopo aver lanciato in aria quattro o cinque nuvolette
di fumo - se sia proprio vero che io sia ancora vivo o non mi trovi invece
fra le deliziose praterie del grande Manitou, nel paradiso delle pellirosse.
Che cosa dici tu, Hany? - Che questo tabacco non mi è mai sembrato cosl ottimo come questa sera -
rispose lo scorridore, il quale fumava come una vaporiera. - Se gusto il tabacco
vuol dire, mi pare, che sono ancora vivo.

Si erano lasciati cadere al suolo, col capo stretto fra le mani,
oppressi da una cupa disperazione. Tumer si tolse da una tasca la pipa, la caricò
cogli ultimi rimasugli di tabacco che ancora possedeva, aprì la lampada e
l'accese, borbottando:
- Se vi è ancora del grisou, niente di meglio. Almeno salteremo tutti in aria e
le volte ci schiacceranno ben bene. Non si possono sempre raggiungere i
cent'anni, specialmente da parte di chi abita la prateria, che diamine! ...
E si mise a fumare tranquillamente, approfittando degli ultimi sprazzi di luce
che mandava ancora la morente lampada.


I CORSARI DELLE BERMUDE

- Possiedi una vecchia pipa alla quale tieni molto?
- La comprò mio nonno a Smirne, centocinquantanni or sono.
- Benissimo, - disse il baronetto. - Se riuscirò nel mio giuoco, mi regalerai quel vecchio
ricordo di famiglia; se perderò ti darò cento ghinee, che andrai a raccogliere in fondo al mare dopo
la battaglia, perché il baronetto William Mac Lellan morrà sul ponte di comando, ma non si
arrenderà. Va', Testa di Pietra.

In quel momento Testa di Pietra comparve sul ponte di comando tenendo fra le callose mani,
dentro un astuccio di legno tutto tarlato, una pipa nera come un pezzo di carbone e che puzzava
orribilmente di tabacco.
- Capitano, disse, facendo un goffo inchino - avete vinto la scommessa e vi consegno la pipa
dei miei avi.
Il baronetto proruppe in una gran risata.
- È vero; ho vinto - disse poi. - Avrei il diritto di prenderti la famosa pipa di schiuma dell'Asia
Minore, ma non fumerò mai in quell'anticaglia inzuppata di nicotina. Tienila pure e prendi invece
questa ghinea con la quale potrai bere alla mia salute sotto le mura di Boston.
- Per il borgo di Batz! - esclamò il vecchio lupo di mare, mettendosi precipitosamente in una
delle sue profondissime tasche il ricordo di famiglia ed il pezzo d'oro insieme. - Quando vi sarà
necessaria una pelle da marinaro per l'altro mondo, pensate alla mia, capitano.
- Per una pipa!
- Ricordi di famiglia, sir William, - disse il luogotenente. - È il blasone della sua stirpe.
- Sì, della tribù dei pipardi, - rispose gravemente il mastro.


I PESCATORI DI BALENE

- Temo che si scateni un uragano - disse il capitano abbordando il tenente che passeggiava, in
coperta colle mani in tasca e la pipa in bocca.
- Danzeremo! - si accontentò di dire il flemmatico uomo.

- Guadagneremo la scogliera che ci è vicina.
- E là moriremo probabilmente di freddo e di fame.
- Dietro la scogliera vi sarà la costa americana, Koninson, ne sono certo. Sei stanco?
- Stanco no, ma ho le membra quasi irrigidite e le vesti così pesanti che fatico assai a mantenermi a
galla. Ah, se potessi levarmele di dosso!
- Non farlo, Koninson. Come resisterai dopo a questo freddo?
- Ma se non troviamo da asciugarci…
- Bah! Sulla costa americana gli alberi non mancano.
- Ma chi li accenderà?
- Ho la mia pipa e il mio tabacco, Koninson, e tu sai che assieme a queste due cose va sempre unito
l'acciarino.
- E anche un pezzo d'esca, spero.
- Nella mia scatoletta ho anche l'esca. Ora bada a non romperti le costole contro la scogliera; siamo a
meno di una gomena dai primi scogli. Avanti, fiociniere!

Leva dal fuoco il fegato, che mi
pare sia cotto a puntino.
Il fiociniere obbedì e lo depose su di un sasso ben levigato.
II tenente lo divise per metà e tutti e due cominciarono a lavorare di denti e così bene, che in cinque
minuti più nulla restava.
- Ora, - disse il tenente - facciamo una pipata e poi una dormita.
- E non pensate al «Danebrog»? - chiese Koninson.
- La tempesta continua, Koninson, e il «Danebrog» non tornerà finchè non sarà finita.
- Ma sperate che ritorni?
- Ne sono certo; ti ho detto che il capitano Weimar non è uomo da abbandonare i suoi marinai,
II tenente accese la pipa che aveva ritrovata in una tasca della sua giacca assieme alla scatola del
tabacco che era rimasto perfettamente asciutto, si sdraiò sullo strato di licheni e si mise a fumare.
Eccoli tutti là, stretti accanto alla stufa che funziona senza posa e che non abbandonano se non spinti
da un motivo imperioso e dopo molte preghiere e anche minaccie dei loro superiori. Hanno i visi pallidi, gli
occhi infossati, le barbe ispide e coperte sempre di ghiacciuli; i loro movimenti sono incerti, le loro parole
sono mozzate da un incessante tremolio delle labbra, la loro volontà è paralizzata, i loro pensieri sono tardi.
Il freddo li ha piombati tutti in una specie di torpore che invano cercano di vincere.
L'acquavite che bevono già è gelata formando un blocco color del topazio, la carne e il pane che
mangiano più non si spezzano che a colpi di accetta, poichè hanno acquistato la durezza del ferro; la legna
che bruciano è diventata così resistente dal non potersi quasi rompere, le ferramenta, le armi, gli attrezzi di
metallo di cui si servono sono diventati, per l'eccessivo freddo, così roventi che posandovi sopra la mano
nuda la pelle vi rimane aderente e la carne riporta dolorosissime bruciature; i bicchieri sono diventati pure
tali, e a segno che per servirsene bisogna vuotare il liquido in gola onde le labbra non li tocchino; persino le
pipe non funzionavano più, poichè a poco a poco la bocca di chi le fuma si riempie di ghiaccio; persino l'aria
che respirano cagiona dolorose sensazioni alla gola e ai polmoni

(http://www.corraini.com/admin/tmp/files/copertine/226.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Gennaio 2010, 21:35:24
IL LEONE DI DAMASCO

Subito due uomini le portarono il caffè su un vassoio d'oro, scolpito a rimbalzo,
ed un narghilk coll'acqua profumata di rose e la pipa ben carica del biondo
tabacco di Morea, essendo allora permesso anche alle donne di fumare. Pochi
lustri prima però, una favorita di Murad, il quale aveva proibito l'uso del tabacco
in tutti i suoi stati, sotto pena di morte, per poco non era stata strozzata
dai muti del Serraglio, perché sorpresa a fumare lo scibouk. La terribile donna
sorseggiò lentamente il cafm, mentre il capitano d'armi piombava in acqua,
con un sinistro tonfo, si fece accendere la pipa e si mise a fumare tranquillamente,
come se fosse coricata su una soffice ottomana del suo meraviglioso castello.

LA SOVRANA DEL CAMPO D'ORO

Parevano calmissimi; però lo sguardo che lanciarono sui tre prigionieri non
era tale da sperare da essi un po' di compassione.
In mezzo al circolo, su di un rialzo di terra battuta, stava il calumet, la gran pipa
della tribù, di terracotta, con una canna lunga due metri ed un camino capace
di contenere una libbra di tabacco.
- Si direbbe che questa è la tribù dei fumatori - disse Blunt che si sforzava di
mostrarsi indifferente. - Che facciano fumare anche noi? Non mi rincrescerebbe
ora che non ho più nemmeno un sigaro.
I tre prigionieri furono spinti in fondo alla sala e la scorta si mise ai loro fianchi,
tenendo i tomuhawaks in pugno.
Victoria scambiò coi vegliardi qualche parola, poi si sedette al posto d'onore,
su una enorme testa di bisonte dalle corna smisurate.
Subito un giovane indiano, l'hacksto, ossia il portatore di pipa, entrò nel circolo
portando una torcia d'ocore, accese il tabacco e porse la gigantesca canna
a Victoria, il quale aspirò quattro boccate, gettando il fumo verso i quattro lati
dell'orizzonte e pronunciando il nome di Quazicoatl, il Grande Spirito delle
tribù apaches.
I dodici vecchi fumarono alla loro volta, con lentezza studiata, poi l'hachesto
sparse al suolo il tabacco rimasto e ricollocò al suo posto la pipa.

L'UOMO DI FUOCO

- Che cosa avete scoperto?
- Una cuia colma di parità!
- Che C O S è
-Una polvere assai inebbriante che gl'indiani estraggono dal seme d'una pianta
leguminosa, l'inga, e che aspirano attraverso due penne d'avvoltoio.
- Ed a che cosa serve quella polvere? - Fa diventare allegri come il buon vino.
Ad un tratto mandò un grido di trionfo:
- Del tabacco! Era un bel pezzo che non ne fumavo! - Del tabacco! - esclamb Alvaro che non capiva nulla.
- Ah! Già, mi scordavo che in Europa non si sa ancora che cosa sia. Mandiamo
giù la colazione poi faremo una pipata, giacche vedo che il proprietario di
questa tettoia ha una collezione di pipe.
Non era da stupirsi che Alvaro si fosse mostrato altamente sorpreso a udir parlare
di tabacco, foglia che in quell'epoca era assolutamente sconosciuta a tutti
gli europei e anche agli asiatici.
Anche Cristoforo Colombo era rimasto assai stupito vedendo gl'indiani delle
terre da lui scoperte, gettar fumo dalla bocca, cib che gli aveva fatto supporre
dapprima che quegli uomini mangiassero il fuoco.
Quantunque i suoi marinai a più riprese e anche i navigatori spagnoli che continuarono
più tardi le scoperte, l'avessero provato, pure il tabacco rimase sconosciuto
in Europa fino al 1580, epoca in cui Nicoti, ambasciatore di Francia
alla corte del Portogallo, lo rese popolare, introducendolo alla corte francese
dove fu subito apprezzato non per fumarlo bensì per fiutarlo.
Fu Caterina de' Medici, regina di Francia, che per la prima diede a quell'aromatica
foglia una certa celebrità che divenne ben presto mondiale.
Sir Walter Raleigh, l'eploratore dell'orenoco, l'aveva però già fatta conoscere
in Inghilterra.
Vedendo gli indiani a fumare quelle foglie si provò ad imitarli e ne contrasse
presto l'abitudine.
Si narra anzi un grazioso aneddoto che dimostra la sorpresa che provarono i
primi europei nel vedere del fumo a uscire dalla bocca d'un uomo.
Tornato Raleigh in Inghilterra, stava un giorno seduto nella sua sala da pranzo,
dinanzi al caminetto, fumando in una pipa regalatagli da un capo indiano,
quando entrò improvvisamente un suo vecchio e devoto servo.
In vita sua, ed era da credervi, il brav'uomo non aveva mai veduto una cosa simile
ed attribuendo quel fumo che usciva dalla bocca del suo padrone, ad un
fuoco interno, corse nella camera vicina, afferrò una brocca d'argento piena
d'acqua e gliela rovesciò addosso gridando: - Al fuoco! Al fuoco!
Chi avrebbe detto che cent'anni più tardi quella pianta, ignorata dal mondo
intero e nota solo agl'indiani dell'America del Sud, avrebbe portata una vera
rivoluzione nei costumi e nelle abitudini di milioni e milioni d'uomini e che
tutti i governi ne avrebbero approfittato per arricchire le casse dello Stato?
Alvaro e Diaz avevano gih divorata la colazione e stavano provando il tabacco
dell'indiano, quando verso la riva udirono un cozzo come se due barche si fossero
urtate.

LA MONTAGNA D'ORO

Passarono sotto la porticina, infilarono uno stretto e buio corridoio e giunsero
in un bellissimo cortile di forma quadrata e del piiì puro stile orientale.
Tutto all'intomo vi era un porticato sorretto da colonnette corinzie di marmo,
col pavimento a mosaico ed in mezzo al cortile, fra quattro superbi banani che
spandevano un'ombra deliziosa, s'ergeva una grande fontana di marmo rosso,
la quale lanciava molto in alto un getto d'acqua.
Una tenda immensa, a svariati e brillanti colori, copriva tutto il cortile stendendosi
anche sopra le terrazze che correvano in giro.
Steso su alcuni cuscini di seta, all'ombra di uno dei quattro banani, i due europei
videro un vecchio arabo, dalla lunga barba bianca, dalla pelle molto bmna,
con un naso a becco di pappagallo e vestito di lanina bianca.
Teneva in mano una lunga pipa colla canna adorna di perle e di placche d'argento
e fumava placidamente, godendosi il fresco prodotto dal getto d'acqua.
Quell'uomo era El-Kabir, uno dei più noti commercianti di Zanzibar, che si diceva
possessore d'immense ricchezze.
Narravasi che nella sua gioventù aveva viaggiato moltissimo in Africa, facendo
il trafficante di came umana, ossia il negriero, accumulando un vistoso patrimonio,
raddoppiato o triplicato piiì tardi col commercio dell'avorio e dei
tappeti persiani. Vere o false quelle voci, si sapeva che era ricchissimo e questo
era bastato per creargli una posizione invidiabile in tutta l'isola.
Vedendo comparire il greco, l'arabo aveva deposta la pipa e s'era prontamente
alzato, dando mostra di un'agilità veramente giovanile, non ostante i suoi sessanta
anni.

LE MERAVIGLIE DEL DUEMILA

Uscito dalla cinta, il piccolo cavallo aveva preso una via abbastanza larga che costeggiava l'oceano,
slanciandosi ad un trotto rapidissimo, senza che il dottore avesse avuto bisogno di eccitarlo colla frusta.
Brandok era ridiventato taciturno, come se lo spleen lo avesse ripreso; il notaio pure non parlava, tutto
occupato a fumare la sua pipa che eruttava un fumo denso come la ciminiera d'un battello a vapore.
Il dottore badava che il poney filasse diritto e non mettesse le zampe in qualche crepaccio o s'avvicinasse
troppo alla scogliera, che in quel luogo cadeva a picco sull'oceano.


Parecchie persone, assai barbute, avvolte in pelli d'orso bianco, si erano raccolte intorno al tramvai parlando
diverse lingue: spagnolo, russo, inglese, tedesco e perfino italiano.
Quasi tutti fumavano enormi pipe di porcellana, gettando in aria delle vere nuvole di fumo.
"Siamo al polo, amici miei" disse Holker, prendendo i bagagli.
"E chi sono questi uomini che ci guardano di traverso?" chiese Toby.
"Anarchici pericolosi, provenienti da tutti i paesi del mondo e condannati a finir qui la loro vita."
"Che triste esistenza devono condurre fra queste nevi!"
Dovettero constatare, e ne furono molto lieti, che quegli uomini, un giorno così pericolosi, erano diventati
assolutamente pacifici e mansueti come agnellini.
Era l'influenza del freddo o l'isolamento che aveva operato quel prodigio su quei cervelli esaltati?
Probabilmente l'una e l'altra cosa insieme.
Certo non ci trovavano più gusto a parlare di bombe, d'incendi e di stragi, con un freddo di 45° sotto zero!
Preferivano fumare la pipa accanto ad una lampada a radium, godendosi il calore che essa mandava.
Come si vede, i governi d'Europa e d'America avevano avuto una eccellente idea a mandarli in quel clima,
perché... si raffreddassero.



(http://static.blogo.it/guide/racconti_italiani/316886.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Gennaio 2010, 14:11:09
I MISTERI DELLA JUNGLA NERA.

Hider in quel frattempo era sbarcato. Era un bell'uomo di alta statura, sui quarant'anni, con una barba
nerissima e folta, occhi lucentissimi e membra muscolose. Tra le labbra teneva una corta pipa e fumava
vigorosamente.
- Amici miei, - disse, avvicinandosi, - qui succedono delle cose assai gravi.
- Lo sappiamo, - disse Tremal-Naik.
- Chi sei tu? - chiese il quartier-mastro, con diffidenza.
Tremal-Naik gli mostrò l'anello che portava in dito. Il marinaio cadde in ginocchio.
- Ordina, inviato di Kâlì, - disse con voce tremante.
- Conosci il capitano Macpherson?
- Forse più di te.
- Sai dove conduce la fregata?
- Nessuno sa ove vada la Cornwall, ma io ho un sospetto.
- La conduce a Raimangal.
- Il quartier-mastro scagliò la pipa a fracassarsi sui sassi.
- A Raimangal!... - esclamò egli. - A Raimangal hai detto?

Caricò la pipa e discese nella camera della macchina.
I tre affiliati erano al loro posto, dinanzi ai forni, discorrendo a voce bassa.
L'ingegnere fumava, seduto su di una scranna e leggeva un libriccino. Hider con un'occhiata avvertì gli
affiliati di tenersi pronti, e s'avvicinò alla lanterna sospesa alla volta, proprio sopra il capo dell'ingegnere.
- Permettetemi, sir Kuthingon, d'accendere la pipa, - gli disse il quartier-mastro.- Sopra tira un ventaccio che
spegne l'esca.
- Con tutto il piacere, - rispose l'ingegnere.
S'alzò per tirarsi indietro. Quasi nel medesimo istante lo strangolatore lo afferrava per la gola e così
fortemente, da impedirgli di emettere il più lieve grido, poi con una scossa vigorosa lo rovesciò sul tavolato.
- Grazia, - poté appena balbettare il povero uomo che diveniva nero sotto il ferreo pugno del quartiermastro.
- Sta zitto e non ti verrà fatto alcun male, - rispose Hider.
Gli affiliati ad un suo cenno lo legarono e lo imbavagliarono, trascinandolo dietro un grande ammasso di
carbone.
- Che nessuno lo tocchi, - disse Hider. - Ed ora andiamo a vedere se il capitano ha bevuto il narcotico.
- E noi?- chiesero gli affiliati.
- Non vi muoverete di qui, sotto pena di morte.
- Sta bene.
Hider accese tranquillamente la pipa e salì la scala.

I PREDONI DEL SAHARA

Dopo avergli offerta una pipa colma di eccellente ta
bacco, che non fu rifiutata dal santone, e dopo d'aver parlato con lui del deserto
e dei Tuareg, gli chiese a bruciapelo.
- Sicché voi avete assistito certamente alla distruzione della colonna francese
guidata da Flatters?
Udendo quelle parole il santone aveva levata dalle labbra la pipa, guardando
il marchese con profondo stupore.

Terminato il magro pasto, ognuno si stese sui tappeti,
cercando d'ingannare la sete colle pipe. Una tranquillità assoluta regnava
sul deserto ed un silenzio perfetto. Nessun rumore si notava in alcuna direzione,
nè alcun alito di vento soffiava da quegli sconfinati orizzonti. Era la
gran calma del Sahara, quella calma che infonde negli animi dei viaggiatori
un senso di strano benessere e che tuttavia non è disgiunto da una profonda
tristezza.
Si sente fortemente l'isolamento, si sente l'immensità, si sente la paura
dell'ignoto. La luna si era alzata in tutto il suo splendore e seguiva silenziosamente
il suo corso, attraverso miriadi di stelle, prolungando indefinitamente
le ombre proiettate dalle dune, dalle tende e dai cammelli. I suoi raggi azzurrini,
d'una grande trasparenza si riflettevano vagamente sulle sabbie, le quali
avevano degli strani scintillii. Pareva che l'astro si specchiasse nelle acque
d'un lago stendentesi attorno all'orizzonte. I1 marchese aveva lasciata cadere
la sua pipa, e guardava, rapito da quella scena meravigliosa, a fianco di Esther,
la quale si era sdraiata sul tappeto, fuori della tenda.

IL RE DEL MARE

Il valoroso marinaio anzi si era seduto tranquillamente su una sedia a dondolo, che aveva fatta
portare sul ponte di comando e si era messo a fumare la sua pipa, con una calma che aveva stupito
gli stessi malesi.
Alle minacce di Yanez di farlo imbarcare colla violenza, egli aveva risposto con una semplice
scrollata di spalle.
Addio, signore, siete un coraggioso.
- Addio comandante e buona fortuna, - rispose l'inglese, un po' ironicamente. - Ah! vi pregherei
di un favore.
- Dite pure.
- Di far avvertire i miei armatori di Bombay, se ne avrete l'occasione, che John Kopp è morto a
bordo della sua nave, come un vero uomo di mare.
- Lo farò, ve lo prometto. Fra dieci minuti avrò l'onore di cannoneggiarvi.
- Per quel momento avrò terminata la mia pipata.

La SCIMITARRA DI BUDDA

I1 bandito si scusò di non essersi procurata una compagnia drammatica, senza
la quale un gran pranzo non è completo, accoppiando i cinesi e i tonchinesi
alla soddisfazione del palato quella della vista e dell'udito.
- Non importa - disse l'americano che faceva crepitare la sua sedia tanto era
diventato grosso. - Io preferisco una pipa e una bottiglia di liquore a una compagnia
drammatica.
I1 generoso bandito capi a volo ciò che desiderava l'insaziabile convitato, e fece
portare parecchie caraffe piene di spiritosi rosoli, delle pipe e un vaso di tabacco
odoroso. Tosto la conversazione cominciò animatissima.

L'americano, felicissimo di trovarsi finalmente sul dorso di un buon cavallo,
chiacchierava per dieci facendo sbellicare dalle risa i compagni. I1 burlone
parlava nientemeno di fondare una colonia americana in quei luoghi, facendole
adottare la religione di Fo, religione che, al suo dire, cominciava ad attirarlo
e molto seriamente.
- Uditemi - diceva egli. - Diventato bonzo, condurrei una vita patriarcale,
una vita alla No& Diventerei tanto grasso da mettere spavento a un ippopotamo;
peggio ancora, diverrei una vera balena. A dispetto di tutti i Fo del globo,
comincerei con l'ammazzare un bue al giomo per fame beef-steak, col riempire
la grotta del tempio di pipe e di tabacco e col mettere una botte di whisky sulla
cima della rupe, al posto occupato da quel brutto idolo. Mi incaricherei di
adorarla ogni giomo.

Appena in strada, malgrado i prudenti consigli del Capitano e del cinese, accesero
le pipe, rialzarono i baffi, si tirarono il cappello sull'orecchio e cominciarono
a farsi largo, l'americano distribuendo calci e scappellotti e il polacco
cacciando le dita negli occhi a quei cinesi che si ribellavano a quel brusco trattamento.
Orsù, cerchiamo una taverna.
- Eccone là una che fa per noi. A dire il vero mi sembra un po' oscura e...
- Meglio, ragazzo - l'interruppe l'americano. - Potremo torcere qualche collo
e strappare qualche coda senza essere visti.
I due valentuomini entrarono nella taverna che, a giudicarla dall'aspetto, doveva
essere la peggiore della città. Era vastissima, assai bassa, a mala pena illuminata
da otto o dieci lanterne di talco, ingombra di tavoli di bambù zoppicanti
e inzuppati di liquori e di grasso, attorno ai quali dimenavansi e urlavano
facchini, barcaioli, ladri, banditi, borsaioli e soldati, ingoiando enormi tazze di
forti bevande. Tutt'all'intorno si vedevano tazze infrante, lanterne sfondate,
pipe rotte, sgabelli fracassati, montagne di ossami, ubriachi stesi sotto i tavoli
e tralicci di bambù sui quali russavano fragorosamente e si agitavano convulsamente
schiere di fumatori d'oppio.
L'americano e il polacco, soffocati dal fumo delle pipe e dalle esalazioni dei liquori,
assordati dalle urla, dai canti, dal baccano di tutti quei bevitori, in orgia
forse da due o tre settimane, si misero a girare cercando un posticino per sedersi.

AL POLO AUSTRALE IN VELOCIPEDE

- Calmatevi, signor Linderman - disse una voce. - Volete diventare idrofobo?
- E vi prego di non rovesciare le nostre tazze - disse un'altra. - Che diavolo! ...
Metterete in subbuglio tutto il club! ...
Un secondo scroscio di risa, più fragoroso e più allegro di prima, echeggiò intomo
al tavolo dinanzi al quale stavano sedute otto o dieci persone, fumando
nelle pipe monumentali o dei puros o dei veri londres.
- Volete farmi scoppiare? - gridò il signor Linderman.
- C'è del tempo! - esclamò il signor Wilkye. - Un inglese non scoppia così
presto! ...
- Ma quali sono dunque i vostri progetti? Noi tutti li ignoriamo.
- SI, spiegatevi - dissero tutti.
- Servite quel punch che fiammeggia, - disse Wilkye a Bisby - poi accendete le
pipe e vi spiegherò ogni cosa.
Riempite le tazze dell'ardente bevanda e accese le pipe, Wilkye spiegò sulla
tavola una carta del Polo Australe.

I FIGLI DELL'ARIA

Fortunatamente, fra una portata e l'altra, vi era un intervallo passabilmente
lungo, durante il quale tutti potevano liberamente fumare. Dei giovani valletti,
messi a disposizione dei convitati, erano pronti offrire le pipe, gia accese
prima ancora che venissero richieste.
Sing-Sing ne dava l'esempio. Quando però fumava, Fedoro che lo osservava di
frequente, lo vedeva immergersi come in dolorose meditazioni. Pareva che allora
dimenticasse perfino i suoi convitati, non sorrideva pih e rimaneva parecchi
minuti silenzioso.
Fingeva di assaporare il delizioso e profumato tabacco che bruciava nella pipa;
ma realmente un pensiero tetro lo tormentava perché la sua fronte si annuvolava
e nei suoi occhi si vedeva passare un lampo di terrore. Nondimeno, deposta
la pipa, riacquistava prontamente il suo buon umore, sorrideva ai convitati
e li incoraggiava incessantemente a far onore alla sua modesta cucina.

- E fumandolo, invece? - chiese il capitano.
- I fenomeni sono quasi identici, tuttavia meno intensi. Volete fame la prova?
I1 tartaro non mancherà di pipe, n6 di oppio; devo avvertirvi, innanzi a tutto,
che le prime volte quel narcotico produce nausee e acuti dolori di testa.
- Non ne ho alcun desiderio. Ho udito a raccontare che si beve anche col
caffe.
- SI, nel Turkestan e quella bevanda eccitantissima si chiama koknar. È anzi
tale l'abitudine che hanno ormai quegli abitanti, che non potrebbero farne
a meno. Per loro è diventata una vera necessita, come per la maggior
parte degli europei il vermouth, l'assenzio o la birra. L'uomo che volesse rinunciarvi,
non potrebbe resistervi a lungo; diverrebbe presto un infelice,
privo di qualsiasi energia, apatico, svogliato e non saprebbe imprendere
qualsiasi lavoro.
-Al diavolo l'oppio! - esclamb Rokoff. - Preferisco mille volte la mia pipa carica
di buon tabacco.
Aveva mangiato con buon appetito, senza mai parlare o limitandosi a rispondere
con dei semplici cenni al cosacco ed al russo e facendo loro comprendere
che conosceva male la loro lingua, poi aveva accesa una vecchia pipa di porcellana,
simile a quelle che usano i tedeschi e gli olandesi e non si era più mosso
dal suo posto.




(http://www.indicius.it/Politica/images_politica/pirati.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Gennaio 2010, 14:56:58
Mi stupisce quando dopo battaglie,nufragi,incendi,terremoti etc..
i protagonisti tirano fuori pipe delicatissime,intarsiate di perle etc..
vabbè succede,anche se in mano ad un fiero pirata,vedrei bene una pipa curva,bocchino flock. ;D 8)

SULL'ATLANTE

Seguirono poi un mezzo agnello arrostito convenientemente, croccante, accompagnato
da certe pallottoline di frumento che fino a un certo punto potevano
surrogare il pane, quindi i due schiavi servirono un eccellente ca& e
portarono pipe e tabacco.
- Grazioso questo beduino, quantunque abbia una faccia da birbante - disse
Enrico caricando la pipa e sdraiandosi sul tappeto. -Come sono ospitali questi
ladri!
- Ci tengono a esserlo - disse Hassi il quale aveva pur egli accesa la pipa.
- Possiamo fidarci poi di questi carissimi ladroni?
-Tutto dipende dal non lasciar capire che possediamo degli zecchini. Se Si immaginassero
che i miei forzieri nascondono una fortuna considerevole, non risponderei
più di nulla. L'avidità del beduino è proverbiale e questi sono in numero
bastante per metterci subito fuori di combattimento.
- Diremo loro che i nostri forzieri non racchiudono che palle e polvere da regalare
ai briganti dell'Atlante
Lasciarono consumare i fuochi, poi, rassicurati dalla grande calma e dal
profondo silenzio che regnava nella pianura, si cacciarono sotto la tenda.
11 toscano era rimasto invece sdraiato presso i mahari ed i cavalli, con la pipa
in bocca ed il fucile sulle ginocchia.

I MINATORI DELL'ALASKA

Salutarono il Gran Cacciatore con un A' hu prolungato, poi sedettero tutti attomo
al fuoco, mentre un giovane guerriero portava il calumet, una pipa colla
scodellina di terra dura e nera, e con una canna lunga oltre un piede, i1 tutto
scolpito con figure grossolane rappresentanti due uomini, un canotto e una
scure.
Nube Rossa la caricò con tabacco già precedentemente bagnato con acquavite
e quindi seccato, aspirò gravemente alcune boccate sperdendo il fumo ai quattro
lati dell'orizzonte e pronunziando alcune parole misteriose, e la passò a
Bennie, il quale la fece circolare.
Quando tutti ebbero fumato e che la pipa fu riportata nella tenda della medicina,
il cow-boy prese la parola fra il più profondo silenzio.

SANDOKAN ALLA RISCOSSA

Sandokan trasse dalla sua larga fascia una ricchissima pipa adorna di perle e di
piccoli smeraldi, la empì di tabacco e l'accese con un tizzone che ancora fiammeggiava
dinanzi ad una capanna in rovina.
Quattro uomini camminavano dinanzi a Sandokan, il quale non aveva spenta
la pipa, per segnare la via ed evitare qualche sorpresa da parte degli abitanti
delle foreste.
Per il momento credo che non vi sia alcun pericolo. Anche
i dayaki devono essere stanchissimi, e poi la foresta e la montagna stanno
dietro di noi.
Si sedette su una roccia caduta dal picco, si mise la sua splendida carabina fra
le ginocchia, caricò di nuovo la sua pipa e cominciò a fumare tenendo gli sguardi fissi
sulla tenebrosa pianura.

LA RICONQUISTA DI MOMPRACEN

- Stop in macchina!
I1 capitano, che era salito sul ponte per fumare liberamente una pipata di acre
tabacco inglese, udendo quel comando si era precipitato giù dalla passerella
urlando.

- Che cosa desiderate, signor Yanez?
- Sei sempre sicuro del tiro dei tuoi pezzi?
- Scommetterei di portare via con una palla la sigaretta che in questo momento
sta fumando il capitano.
- È una pipa.
- Niente di meglio, signor Yanez. Nello spezzarsi farà più fracasso. Non rispondo
però dei baffì.
- Non occuparti di quelli. A Varauni vi sono ancora dei bravi barbieri indù
che glieli rimetteranno a posto.
-Allora non chiedo altro. Mi date carta bianca?

IL TESORO DEL PRESIDENTE DEL PARAGUAI

I1 capo, che aveva assistito a quella scorpacciata con visibile soddisfazione,
quando vide che il figlio della luna aveva tenninato, gli offrì una pipa di legno
colla cannuccia d'argento, carica d'un eccellente tabacco, detto golk, che
il signor Calderon si affrettb ad accendere, servendosi del suo acciarino,
quantunque il previdente patagone gli avesse presentato il suo unitamente ad
un certo fungo che si raccoglie ai piedi delle Ande e che, ben seccato, serve
d' i esca. - Siedi, capo - disse il figlio della luna, dopo di aver aspirato alcune boccate - e se vuoi, discorriamo un poco.

- C'è pericolo che dopo diventino furiosi?
- Tanto peggio per loro, se vogliono prendersela con noi. Ho trovato i pacchi
delle cartucce che Hauka ci aveva presi quando ci fece prigionieri: possiamo
quindi mandare al diavolo tutti questi ubriaconi.. . E quattro!. . .
Infatti, altri due patagoni erano ruzzolati per terra, come se fossero morti. Gli
altri continuavano a immergere le loro manacce nei barili; ma non ne potevano
più e mantenevansi ancora in piedi per un prodigio di equilibrio.
Alcuni, diventati furibondi per le soverchie libazioni, altercavano già e si
scambiavano formidabili pugni, mentre altri cantavano a squarciagola e saltavano
disordinatamente coi capelli sciolti, i manti laceri, gli occhi strambuzzati,
e due o tre si dimenavano per terra in preda a violente convulsioni, mentre
nelle mani raggrinzate stringevano delle strane pipe, nelle quali avevano fumato
chissA mai quale strana miscela.
- Che si siano avvelenati? - chiese Cardozo, che si era alzato per meglio osservare
quegli strani fumatori.
-No: si divertono - rispose il mastro.
- Ma non vedi che si contorcono come se soffrissero?
- Ti ripeto che si divertono.
- Mi spiegherai un po' in qual modo.
- Osserva quel fumatore e non perderlo di vista.
Un patagone, che si manteneva in equilibrio per un vero miracolo, si era in
quel momento allontanato dai compagni, che continuavano a disputarsi accanitamente
gli ultimi sorsi di cana, tenendo in mano la sua pipa di pietra.
Sdraiatosi, o, meglio, lasciatosi cadere fra le erbe, la caricò con un pizzico di
tabacco, mescolandovi una certa sostanza che pareva avesse raccolto da terra.
- È sterco - disse il mastro, prevenendo la domanda di Cardozo: - sterco di cavallo,
che il fumatore ha mescolato al goik (tabacco).
Acceso il miscuglio, l'ubriaco si rovesciò sul ventre ed aspirò sette od otto vol.
te il fumo, inghiottendolo e rigettandolo solamente qualche minuto dopo dalle
narici e tutto in una sola volta. Un fenomeno strano si verificò allora in
quell'uomo: la pipa gli sfuggì dalle mani, stralunò gli occhi, mostrando solamente
il bianco, le forze improwisamente lo abbandonarono e ricadde lungo
e disteso agitando convulsivamente le membra, soffiando fortemente ed emettendo
dalle labbra semiaperte larghi getti di saliva.
- È ubriaco? - chiese Cardozo.
- Lo hai detto - rispose il mastro sorridendo.
- E tu mi assicuri che quell'uomo si diverte?
- Così dev'essere, poich6 i patagoni fumano quasi sempre in questo modo: essi
dicono che anche il loro dio ha partecipato a questo bizzarro godimento; anzi
prima di fumare offrono a lui qualche boccata e una preghiera.
- E durano molto quelle convulsioni?
- Pochi minuti, poiché ordinariamente i compagni dei fumatori le fanno cessare
con una lunga sorsata d'acqua.

(http://imago.foodelicious.it/d/395-1/malesia08.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Aprile 2010, 14:53:05
Una sorpresa trovata nell'uovo di Pasqua:

J.R.R. Tolkien  Racconti Incompiuti

3. Su Gandalf, Saruman e la Contea

Un altro gruppo di carte risalenti allo stesso periodo contiene un gran numero di resoconti incompiuti dei primi rapporti di Saruman con la Contea, soprattutto quelli riguardanti la «foglia dei Mezzuomini», argomento trattato in connessione con l'«uomo del Sud strabico» (v. pp. 461462). Il testo che segue è una delle molte versioni ma, per quanto più breve di altre, è la più compiuta.
Saruman ben presto divenne invidioso di Gandalf, e la rivalità alla fine si trasformò in odio, tanto più profondo perché tenuto nascosto, e tanto più violento perché Saruman in cuor suo sapeva che il Grigio viandante aveva molta forza e grande influenza sugli abitanti del
Terradimezzo, ancorché celasse il proprio potere e non aspirasse né a incutere paura né a essere riverito. Saruman non lo riveriva ma cominciava a temerlo, turbato più dai suoi silenzi che dalle sue parole. Per questa ragione, apertamente trattava Gandalf con minor rispetto di quanto facessero altri dei Saggi, ed era sempre pronto a contraddirlo o a tenerne in non cale i pareri; in pari tempo, prestava la massima attenzione a tutto ciò che Gandalf diceva, pesandolo attentamente e tenendone d'occhio, nei limiti del possibile, tutti i movimenti.
E così fu portato a riflettere sui Mezzuomini e sulla Contea, che altrimenti avrebbe ritenuto indegni di attenzione. In un primo tempo non aveva pensato che l'interesse del suo rivale per quella gente avesse un qualche rapporto con i grandi problemi del Consiglio, e men che meno con gli Anelli di Potere. In effetti, nessi del genere all'inizio non ce n'erano stati, e l'interesse di Gandalf era mosso semplicemente dal suo affetto per i Piccoletti  a meno che in cuor suo non avesse profonde premonizioni di cui non era chiaramente consapevole. Per molti anni, Gandalf si era recato a visitare apertamente la Contea, parlando dei suoi abitanti a chiunque fosse disposto a prestargli orecchio; e Saruman ne sorrideva come di vuote chiacchiere di un vecchio giramondo, anche se in realtà stava con gli orecchi bene aperti.
Resosi così conto che Gandalf riteneva che valesse la pena di visitare la Contea, Saruman lo fece a sua volta, ma travestito e nella massima segretezza, esplorando e rilevandone tutte le strade e le terre, finché non si persuase di avere appreso tutto quanto c'era da conoscerne. E persino quando non gli sembrò più né prudente né utile recarvisi, continuò ad avere spie e servi che vi entravano o che ne tenevano d'occhio le frontiere. Continuava comunque a restare sul chi vive. Era ormai caduto tanto in basso, da ritenere che tutti gli altri membri del Consiglio perseguissero diségni segreti e di vasta portata per il loro personale tornaconto, e che questo condizionasse tutto ciò che facevano. Sicché quando, molto tempo dopo, gli giunse all'orecchio qualche notizia del ritrovamento

dell'Anello di Gollum da parte del Mezzuomo, non potè non credere che Gandalf lo avesse sempre saputo; e questo era il suo massimo rodimento, perché riteneva che fosse di suo esclusivo monopolio tutto quanto riguardava gli Anelli. Che la diffidenza di Gandalf nei suoi confronti fosse fondata e giusta, non bastava minimamente ad attenuarne il risentimento.
In verità, però, l'attività spionistica e la grande segretezza di Saruman all'inizio non avevano avuto scopi malvagi: erano state semplicemente frutto di folle orgoglio. Ma piccole cose, apparentemente indegne di essere riferite, in fin dei conti possono rivelarsi di grande momento. Va detto che, notato l'amore di Gandalf per quella che chiamava «erbapipa» (per la quale, non foss'altro, bisognava, diceva, far tanto di cappello ai Piccoletti), Saruman aveva finto un atteggiamento di disprezzo per la sostanza, ma segretamente l'aveva provata e ben presto aveva cominciato a usarla; e per questo motivo la Contea aveva continuato a essere importante ai suoi occhi. Temeva però che la cosa venisse scoperta, che le sue beffe gli si rivoltassero contro e che si finisse per ridere di lui perché imitava Gandalf e lo si disprezzasse perché lo faceva di nascosto. Era questa dunque la ragione per la quale manteneva la massima segretezza sui suoi rapporti con la Contea, e ciò prima ancora che l'ombra di un dubbio lo sfiorasse e mentre la Contea era scarsamente vigilata, aperta a chiunque volesse entrarvi. Anche per questa ragione, Saruman cessò di recarvisi di persona; gli era infatti giunto all'orecchio che la sua presenza non era passata del tutto inosservata agli occhi acuti dei Mezzuomini, alcuni dei quali, scorgendo quella che sembrava la figura di un vecchio ammantato di grigio o di ruggine che si aggirava nei boschi o transitava al crepuscolo, l'avevano scambiato per Gandalf.
Saruman dunque non andò più nella Contea, temendo che voci simili si diffondessero e giungessero magari all'orecchio di Gandalf. Questi però era al corrente di quelle sue visite, ne indovinava la ragione e ne rideva, ritenendolo il più innocuo dei segreti di Saruman; ma non

ne disse nulla ad altri, poiché non gli piaceva che qualcuno fosse messo alla berlina, Ciò non toglie che, quando le visite di Saruman cessarono, non gli dispiacesse affatto, perché già cominciava a nutrire sospetti sul suo conto, sebbene non potesse ancora prevedere che sarebbe suonata l'ora in cui la conoscenza che Saruman aveva della Contea si sarebbe rivelata pericolosa e utilissima per l'Avversario, tanto da assicurargli quasi la vittoria.
In un'altra versione, un giorno Saruman si fece apertamente beffe dell'uso dell'erbapipa da parte di Gandalf:
A causa dell'antipatia e paura che provava per lui, da quel momento Saruman evitò Gandalf, e i due si incontravano di rado, quasi solo alle assemblee del Consiglio Bianco. Fu al grande Consiglio tenutosi nel 2851 che per la prima volta si parlò della «foglia dei Mezzuomini», allóra in tono scherzoso, sebbene in seguito la cosa apparisse sotto tutt'altra luce. Il Consiglio si riunì a Rivendell, e Gandalf se ne stette seduto in disparte, silenzioso ma intento a fumare sfrenatamente (cosa che mai aveva fatto prima in occasioni del genere) mentre Saruman parlava contro di lui dicendo che non bisognava seguire il parere di Gandalf e lasciare ancora tranquillo Dol Guldur. Ma il silenzio e il fumo di Gandalf parvero irritare assai Saruman, il quale, prima che il Consiglio sciogliesse, disse a Mithrandir: «Qui si discute di cose di grande momento, e mi meraviglia alquanto che tu ti balocchi con il tuo fumo e fuoco, mentre altri fanno discorsi seri».
Ma Gandalf rise e replicò: «Non te ne meraviglieresti, se usassi tu stesso quest'erba. Costateresti allora che sbuffando fumo la tua mente si libera delle ombre che contiene. E comunque, ti permette di avere la pazienza necessaria per prestare orecchio senza irritarti a propositi senza senso. Comunque, non è un mio balocco. Si tratta di un'arte dei Piccoletti che vivono laggiù all'ovest: gente degna e allegra, anche se forse ha scarso peso nei tuoi alti disegni»

«Tu stai scherzando, messer Mithrandir, secondo il tuo solito. Io so benissimo che sei divenuto un curioso esploratore delle cose piccole: erbe, creature selvatiche, popoli infantili. Del tuo tempo puoi disporre a tuo piacimento, se non hai niente di meglio da fare; e puoi fare amicizia con chi vuoi. A me, però, questi giorni sembrano troppo oscuri per prestare orecchio a racconti di vagabondi, e non ho tempo da dedicare a semplici contadini».
Questa volta Gandalf non rise e neppure rispose; ma, guardando ben bene Saruman, tirò sulla pipa, emettendo poi un grande anello di fumo seguito da molti più piccoli. Quindi allungò la mano quasi ad afferrarli, e gli anelli scomparvero. Dopodiché si alzò e lasciò Saruman senza più dir nulla; Saruman però rimase per qualche istante ancora in silenzio, rabbuiato in volto, in preda al dubbio e all'irritazione.
Quest'episodio appare in una mezza dozzina di manoscritti diversi, in uno dei quali si dice che Saruman era sospettoso,
e si chiedeva se aveva interpretato esattamente il significato del gesto di Gandalf con gli anelli di fumo, e soprattutto se esso era indicativo di un qualche nesso tra i Mezzuomini e l'importante questione degli Anelli di Potere, per quanto improbabile sembrasse; e dubitava che uno così grande si interessasse a un popolo come i Mezzuomini senza fini reconditi.

(http://www.itacalibri.it/System/31686/RaccontiIncompiuti_1.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Aprile 2010, 12:49:42
Le feste sono finite,proviamo ad andare sul "tosto"

Ingmar Bergman

nasce il 14 luglio 1918 a Uppsala, figlio del cappellano della corte reale. Facile dunque comprendere come il piccolo Ingmar fosse educato secondo i concetti luterani di "peccato, confessione, punizione, perdono e grazia", temi che in qualche modo saranno ricorrenti anche nei suoi film.
Come se non bastasse, non era infrequente che a scopo punitivo il bambino fosse rinchiuso nell'armadio luogo in cui, rannicchiato, maturava il suo odio per il padre e la sua rabbia contro il Dio-padrone falsamente inserito in quel clima culturale.


Come in uno specchio

DAVID: Poi sono partito mercoledì.
MARTIN: Allora non t’è arrivata.
DAVID: Già, ma era importante?
MARTIN: Si trattava di Karin.
David che era intento ad aggottare si raddrizza e guarda preoccupato Martin che è rimasto sul pontile con la rete in spalla.
DAVID: Di Karin, cosa vuoi dire?
MARTIN: Ma... non saprei. Ad ogni modo mi sembrò necessario scriverti, anche se in questo modo avrei potuto disturbare il tuo lavoro col romanzo.
Il tono di Martin è leggermente ironico. Sale sulla barca e afferra i remi. David osserva la pipa che sta spegnendosi e la mette nella tasca dell’accappatoio, poi scioglie gli ormeggi.


MINUS: Ci scommetto che papà si è ricordato dei regali quando era già a Stoccolma.
KARIN: È stato lo stesso un pensiero gentile.
MINUS: Avrei preferito dei soldi.
David si affretta verso la sua camera, chiude la porta e si ferma ansimante dopo qualche passo guardandosi attorno indeciso come se cercasse qualcosa. Si muove toccando diversi oggetti, incomincia a piangere senza lacrime, singhiozzando, prende fiato ed il pianto diventa sempre più convulso, batte ripetutamente il pugno sul tavolo cercando di reprimere la disperazione che lo travolge.
Alla fine riesce a dominarsi, cerca la scatola del tabacco e la mette sotto il braccio dopo essersi soffiato il naso ed asciugato gli occhi. Quando ritorna a tavola tutti con molto tatto lo colmano di ringraziamenti. Si siede e riempie la pipa, porge la scatola a Martin e sorride imbarazzato.

KARIN: Allora buona notte, papà.
DAVID: Buona notte, Karin.
MINUS: Buona notte a tutti.
Vengono scambiate alcune parole nella notte quieta, quasi immobile. David si è seduto accanto al tavolo e fuma la sua pipa. Osserva Karin e Martin che stanno mettendo in ordine la camera. Minus ha acceso la luce nella sua stanza, dall’altra parte dell’ingresso. Abbassa un avvolgibile rotto. David sospira e comincia a radunare i piatti.

DAVID: Malgrado ciò hai desiderato più volte che Karin morisse.
MARTIN: No. Assolutamente no. Soltanto a te può venire una simile idea.
DAVID: Puoi giurarmi di non averlo mai pensato? D’altronde sarebbe abbastanza logico. Sono sicuri dell’incurabilità del suo male e tu sei convinto che la vostra sofferenza sia senza scopo. In tal caso sarebbe meglio morisse.
MARTIN: Sei grottesco.
DAVID: Dipende solo da che punto di vista si considera la cosa.
David accende la pipa, le sue mani tremano ma per il resto appare assolutamente calmo.
MARTIN: È inutile parlare.
MARTIN: Ma tu hai il tuo conforto nella fede.
DAVID: Sì.
MARTIN: E nella grazia imperscrutabile.
DAVID: Sì.
MARTIN: È incomprensibile?
David solleva il capo e guarda il mare ventoso oltre l’insenatura che odora di resina e di alghe. La sua mano continua a tremare e la pipa si è spenta.
DAVID: Voglio che tu sappia che non intendo più salvare le apparenze. La verità non implica delle catastrofi: vedo me stesso.
Dà alcuni colpetti alla pipa soffiandoci dentro. Martin si china in avanti invaso da una profonda angoscia repressa.

KARIN: Ho visto Dio.
Lo dice completamente calma, ma dietro la calma si agita un nuovo e immenso terrore, che rapidamente avvolge le sue crescenti radici attorno all’anima di lei.
Si sentono delle voci provenienti dal cortile. Qualcuno bussa alla porta. David esce. Dopo alcuni istanti ritorna nell’ingresso.
DAVID: Aspettano accanto al pontile.
Martin tocca con cautela il braccio di Karin. Lei reagisce appena. Allora Minus la prende per mano e la conduce in camera, l’aiuta ad indossare il soprabito, la pettina e le porge la borsetta. Lei la apre, prende gli occhiali da sole e se li mette.
David la conduce fuori adagio fino al pontile, lei lo segue ubbidiente e completamente apatica. Di quando in quando si lamenta debolmente. Minus rimane nell’ingresso, si siede appoggiando la schiena alla stufa di ferro arrugginita e singhiozza senza lacrime. Quando sente avviare i motori si precipita sul declivio. L’elicottero si solleva e scompare rapidamente nella foschia. Laggiù in fondo c’è David con una lunga ombra nera sulla sabbia bianca. Minus corre attraverso il giardino fino all’angolo più remoto dove in una pietosa penombra si trova il padiglione. David è andato dove ci sono le reti e le esamina con attenzione mentre riempie la pipa. Poi la mette in bocca senza accenderla, e di volta in volta strizza gli occhi alla luce tagliente del pomeriggio, quasi volesse liberarsi da brucianti lacrime d’autocompassione.

Il posto delle fragole

ANNA: Guardate, arriva papà.
ZIA: Finalmente. Sigbritt, prendi il piatto di portata e va’ a scaldare il porridge. Charlotta, va’ a prendere dell’altro latte in cantina.
Ci fu un po’ di agitazione tra le donne, ma Sara corse fuori dall’ingresso e giù per la discesa, e scomparve dietro il piccolo pino che delimitava il giardino dal boschetto di betulle. La seguii con curiosità, ma la persi di vista e mi ritrovai di colpo solo nel posto delle fragole. Fui assalito da una sensazione di vuoto e di tristezza. Mi riscossi a una voce di ragazza che mi chiedeva qualcosa. Alzai lo sguardo.
Davanti a me c’era una giovane donna in pantaloncini corti e camicia a scacchi da uomo, era molto abbronzata e i capelli biondi erano schiariti e arruffati dal sole e dall’acqua salata. Succhiava una pipa spenta, aveva ai piedi degli zoccoli di legno e sul naso un paio di occhiali da sole.

Caricammo i bagagli, salimmo tutti in macchina e, piano, con la vettura che sobbalzava, abbandonammo il mondo dell’infanzia. Sara si tolse gli occhiali da sole e rise. (Era così incredibilmente lei!).
SARA: Devo naturalmente confidare a Isak che Anders e io stiamo insieme. Siamo
pazzi uno dell’altra. Viktor ci fa da chaperon, l’ha voluto papà. Anche Viktor è innamorato di me e controlla Anders come un demente. È stata una mossa geniale da parte del vecchio. Probabilmente sarò costretta a sedurre Viktor per metterlo fuori gioco. È meglio che spieghi a Isak che sono vergine. È per questo che sono così sfrontata.
La guardai nello specchietto retrovisore. Stava comodamente appoggiata all’indietro e aveva allungato le gambe sugli strapuntini. Anders le teneva un braccio intorno alle spalle con un gesto di possesso e sembrava un po’ seccato (difficile dargli torto). Viktor, al contrario, appariva del tutto distaccato e fissava con interesse la nuca di Marianne e tutto ciò che riusciva a vedere della sua figura.
SARA: Io fumo la pipa. Viktor dice che è più sano. Viktor è fanatico di tutto quello che è sano.
Nessuno rispose o ritenne opportuno commentare la diagnosi di Sara. Continuammo il nostro viaggio in un silenzio che non aveva niente di ostile, solo un po’ imbarazzato.

Mi prese per mano e tutt’a un tratto ci trovammo sulla riva di uno stretto dalle acque buie e profonde. Il sole illuminava la riva opposta, che saliva dolcemente verso una macchia di betulle. Sulla spiaggia, al di là dell’acqua scura, era seduto un signore vestito di bianco, col cappello rigettato sulla nuca e una vecchia pipa in bocca. Aveva una morbida barba bionda e il pince-nez. Si era tolto scarpe e calze e teneva in mano una lunga e sottile canna da pesca di bambù. Un galleggiante rosso stava immobile sullo scuro specchio d’acqua.
Più in su, nella radura, era seduta mia madre, vestita di chiaro e con un grande cappello che le faceva ombra al viso. Leggeva un libro. Sara mi lasciò la mano e indicò i miei genitori.


(http://www.sentieriselvaggi.it/file/51/2123/image/Bergman.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Aprile 2010, 20:54:16
Andrea Camilleri

Il casellante

Quanno Minica 'ntistava... Attrovò il casello 'nserrato. E come avivano proveduto per il passaggio a livello?
A deci metri dal passaggio c'era la casa di 'Ntonio Trupia, un viddrano che aviva tri sarme di terra. Trupia era assittato fora della porta, supra a 'na seggia di paglia e fumava la pipa. Il fumo che nisciva faciva un feto da moriri.
«Bongiorno. Sono il casellante del...».
«V'accanoscio. Bongiorno».
«Mi potiti diri che è capitato?».
«Vinniro i carrabbineri e arristaro a Raffiele e a sò mogliere».
«Pirchì?».
«Boh».
«E il picciliddro?».
Raffiele aviva un figlio di otto anni.
«Si portaro macari a lui. M'hanno ditto che lo consegnano alla soro d'Assunta».
«E al passaggio a livello chi ci abbada?».
«Dissiro d'abbadaricci a mia. Cchiù tardo veni un casellante provisorio».
«Lo sapiti come si fa?».
«Me l'hanno spiegato. Quanno si metti a sonari il campanello che c'è fora del casello, abbascio le sbarre. Quanno passa il treno e il campanello finisci di sonari, le iso. Mi signaro macari l'orari».
«Scusate, livatimi 'na curiosità. Che ci mittite dintra alla pipa?».
«Trinciato forte e merda sicca di vacca».

Il campo del vasaio

Nella grutta faciva càvudo, c’era il foco addrumato dintra a un cerchio di pietre, un
lume a pitroglio da carritteri pinnuliava dalla volta e mannava ‘na luci bastevoli. Un
omo sissantino, la pipa ‘n vucca, e Mimì stavano assittati ognuno supra a uno
sgabello fatto di rami d’àrbolo e jocavano a scopa avenno ‘n mezzo un tavolinetto
fatto macari lui di rami. Ogni tanto, a turno, si vivivano un muccuni di vino da un
sciasco posato ‘n terra. Una scena pastorale. Tanto cchiù che del catafero non si
vidiva manco l’ùmmira. Il sissantino lo salutò, Mimì no. Da una misata Augello ce
l’aviva con l’universo criato.
«Il morto l’ha scoperto quel signore che joca col dottor Augello» disse Fazio
facenno ‘nzinga verso l’omo. «Si chiama Ajena Pasquale e questo terreno è suo. Ci
viene ogni giorno. E ha attrezzato la grotta perché qui dentro ci mangia, ci si riposa o
sinni sta a taliare il paesaggio».

Montalbano s’arricordava d’aviri viduto qualichi cosa di simile in una pittura
celebre. Bruegel? Bosch? Ma non era momento di pinsari all’arte.
Catarella, che era l’urtimo della fila, oltre che l’urtimo in ordine gerarchico, non
aviva coraggio d’appuiarsi a chi lo precedeva e accussì ogni tanto sciddricava supra il
fango, andava a sbattiri contro Fazio il quale sbattiva contro Augello il quale sbattiva
contro Montalbano il quale sbattiva contro Ajena e tutti arrischiavano di cadiri
abbattuti come birilli.
«Senta, Ajena» fici nirbùso Montalbano. «È proprio sicuro che il posto era
questo?».
«Commissario, qua è tutto mio e iu ci vegnu ogni jorno, acqua o suli».
«Allora vogliamo parlare?».
«Si vossia avi gana di parlari, parliamo» disse Ajena addrumandosi la pipa.
«Il cadavere, secondo lei, era qua?».
«Che è, surdo? E che significa secunno mia? Propio qua stava» rispunnì Ajena,
facendo ‘nzinga con la pipa verso il principio dei lastroni di crita, a picca distanza dai
so pedi.
«Quindi era allo scoperto».
«Dicemu di sì e dicemu di no».
«Si spieghi meglio»

(http://radiofrance-blogs.com/eric-valmir/files/2009/10/andrea_camilleri.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Aprile 2010, 21:24:51
Di lui abbiamo parlato in altri post



I SEGRETI DELLA NOTTE
 
Cornell Woolrich

Non c’era proprio ragione di allarmarsi; ma era una cosa
talmente incomprensibile... Ormai aveva abbandonato l’idea di tornarsene a letto,
finché la faccenda non fosse risolta. Continuò a passarsi una mano sulla nuca, dove i
capelli avevano urgente bisogno di una regolata.
Sapeva con certezza che non era sonnambula: per quanto potesse ricordare, non lo
era mai stata. Né era stata chiamata con urgenza da qualche parente, per il semplice
fatto che di parenti non ne avevano. E non se ne era certo andata di casa perché fosse
arrabbiata con lui, visto che andavano d’amore e d’accordo. Bastava pensare, per
esempio, a quella stessa sera, quando poco prima di andare a letto lui si era riempita
la pipa e lei aveva insistito per accendergliela: con quanta affettuosa premura lei
aveva tenuto il fiammifero finché il tabacco non era diventato rosso, e con quanto
gusto aveva fatto quel giochino che le piaceva tanto, di tenere in mano il fiammifero
finché non fosse completamente bruciato... Se tra loro le cose andavano così bene,
che cosa avrebbe potuto avere sua moglie contro lui? E poi, l’interesse che lei
mostrava nel sentirlo parlare del suo lavoro, alla sera; il modo con cui assorbiva
attenta ogni minimo particolare della sua routine quotidiana, chiedendogli delle case
che aveva ispezionato durante il giorno, e dei rapporti che aveva fatto per l’ufficio, e
mille altre cose: tutto questo non era solo una finzione, non poteva esserlo.

Uscì dall’ascensore, raggiunse il portone e si fermò lì a scrutare la strada deserta, in
su e in giù, in giù e in su. Avvertire la polizia gli sembrava ancora un po’ esagerato;
avrebbe creato altre complicazioni; ma se non fosse tornata al più presto... Si girò su
se stesso. «Da che parte è andata?» chiese al portiere.
«Giù verso la Terza Avenue.» E quella, delle due direzioni, era certamente la più
pericolosa. Che cosa mai doveva fare lei lì nel buio sotto il ponte della ferrovia, in
una zona in cui spesso nei portoni bivaccavano gli ubriachi? Si mise a passeggiare
avanti e indietro sul marciapiede di fronte all’ingresso illuminato. «Non riesco a
capire...» mormorò un paio di volte, senza curarsi del portiere che nel frattempo era
uscito e l’aveva raggiunto. Di solito fumava la pipa, ma questo non era proprio il
momento adatto. Tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca che si era
infilato sopra la maglia. Ne diede una anche al custode, poi si frugò in tasca alla
ricerca della bustina di fiammiferi. Non la trovò; l’aveva data a Marie quando lei gli
aveva chiesto di farle accendere la pipa, qualche ora prima, e probabilmente lei si era
dimenticata di restituirgliela.

Sentì la propria voce, come se fosse quella di un estraneo, dire al gioielliere che
dopo tutto preferiva non venderlo; uscì dal negozio come un automa, e si diresse
verso casa. Quando ci arrivò, non disse una parola, e si sedette a leggere e rileggere il
resoconto dell’incendio sul giornale del mattino, rabbrividendo un po’ di più ogni
volta. Alla fine, per smettere di tormentarsi, si alzò e si versò da bere.
«Da quale gioielliere hai lasciato il medaglione?» chiese con calma.
Stava rammendando una calza del bambino. Alzò gli occhi, e rispose senza esitare:
«Dal vecchio Elias. È l’unico che conosco, da queste parti».
Proprio dove lui era appena stato. Non disse nient’altro, in tutta l’ora seguente. Poi,
lentamente, verso le undici, tirò fuori la pipa come al solito, per l’ultima fumata della
sera. Dovette fare uno sforzo per tenere la mano ferma mentre prendeva la scatola di
tabacco e riempiva la pipa, premendola col pollice. Tenne gli occhi bassi per tutto il
tempo. Non era possibile capire dove stesse guardando. Tirò fuori di tasca una
bustina di fiammiferi. Subito lei gli andò vicino, col sorriso della brava moglie. «No,
no, questo è compito mio» disse. Gli accese la pipa, poi capovolse il fiammifero
tenendolo all’estremità, e lo lasciò bruciare fino alla fine. Lui continuò a tenere gli
occhi bassi, fissi sulla cavità della pipa, e sull’altra mano di lei. Adesso poteva vedere
solo un quarto della bustina di fiammiferi, perché la sua mano copriva tutto il resto.
Adesso era scomparsa del tutto, completamente nascosta. Lei si raddrizzò e si mosse
per la stanza. Si era dimenticata di restituirgli i fiammiferi, come la sera prima. Lui
aveva la faccia cosparsa di sudore, come se facesse troppo caldo nella stanza. Si alzò,
andò a letto e si infilò sotto le coperte tenendosi addosso le calze e i pantaloni.
Lei rimase in cucina qualche minuto, poi entrò in camera con una tazza fumante.
«Harry, prova a berne un po’, così sei sicuro di fare una bella dormita. Me l’ha
consigliata il farmacista con cui ho parlato ieri notte...»
«A quanto pare sei tu che ne hai bisogno, non io.»
«Io l’ho già bevuta di là» lo rassicurò.
Lui prese la tazza e si mise seduto, tenendo addosso le coperte con una mano.
«Be’, portami la scatola e fammi vedere che cos’è. A me piace sapere che cosa
mando giù.»

(http://www.otr.com/rdsh/images/woolrich.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Aprile 2010, 21:50:50
Avvocato ,poi famoso romanziere con la pipa.

Erle Stanley Gardner

Originario del Massachusetts, nato a Malden, Erle Stanley Gardner passò la sua infanzia nei campi minerari, dato che suo padre faceva il minatore. Ha compiuto i suoi studi al liceo di Palo Alto, in California e, dal 1909, all'Università dell'Indiana. Ammesso all'avvocatura nel 1911, a Oroville in California alternava la pratica legale presso lo studio di un vice procuratore distrettuale con l'attività di boxeur dilettante. Ha esercitato la professione di legale per numerosi anni a Oxnard, in California, spesso come avvocato delle minoranze messicane e cinesi.
Nel suo primo romanzo Perry Mason e le zampe di velluto del 1933 appare il celebre avvocato, capace di risolvere i casi più complicati con un'abilità legale diabolica e sconcertante. Mason sarà protagonista di una serie di ben 82 romanzi e pochi racconti, e determinerà l'incredibile successo mondiale del suo creatore. Fino al 1970 Gardner manterrà una produzione impressionante, con circa 130 opere poliziesche al suo attivo: una media di tre all'anno.

IL MONDO DI KK-KK



Una nebbiolina azzurra si stendeva all’intorno, e in alto l’aria era bianca per la
polvere del Sahara; ma giù l’odore della giungla restava appiccicato al terreno. Gli
uomini se ne stavano ancora intorno a me, nudi e silenziosi. Non uno si mosse.
Chi era l’orefice? E la ragazza?
Poi udii dei passi alle mie spalle e la giungla si aprì. Sentii un vago odore di
bruciato. Non era tabacco - perlomeno non come quello che fumiamo noi - ma ci
assomigliava un poco.
Un uomo entrò nel circolo, fumando una pipa.
«Come state?» domandò. E mi tese una mano.
Era un bianco (almeno in parte) e vestiva in modo buffo. Portava indumenti di
pelliccia, ma tagliati come avrebbe potuto farlo un sarto. Aveva perfino un cappello
con l’ala rigida, ricavato da una pelle verde da cui era stato raschiato il pelo.
Fumava una pipa d’argilla e aveva lo sguardo vacuo, indifferente, dell’uomo che
non sente più niente e che è diventato soltanto una macchina.
Gli strinse la mano.
«Non hanno intenzione di mangiarmi?» domandai.
Lui tirò qualche boccata prima di rispondere, poi si tolse la pipa di bocca e fece
cenno di sì con la testa.
«Ma certo» disse.
Non era incoraggiante.
«Sperate» venne la voce dalla giungla, la voce della ragazza. Sembrava che lei
fosse vicina, sempre nello stesso posto, ma non riuscivo a vederla.
Parlai al tipo con la pipa. Gli feci un bel discorso. Lui si voltò e riferì al circolo di
uomini, ma quelli non dissero niente.
Finalmente un vecchio grugnì e, come se quel grugnito fosse un ordine, tutti si
accoccolarono sui calcagni, rivolti verso di me.
Allora la ragazza della giungla emise dei suoni acuti e striduli. Il vecchio sembrò
ascoltarla. Gli altri, no. Mi fissavano soltanto, tutti con la stessa espressione in faccia:
una specie di curiosità. Non che gli interessasse il mio aspetto; sentivo che erano
curiosi di provare il mio sapore.
L’orefice ficcò un’altra foglia bruna nella pipa, sopra la cenere delle altre.
«La ragazza vi vuole come schiavo» disse.
«Chi è la ragazza?»
«Kk-Kk.»
Non capivo se quello fosse un nome o se con quel suono avesse voluto zittirmi.
Be’, pensai che era meglio diventare uno schiavo che finire arrosto, e me ne stetti
buono.
Poi l’uomo-scimmia, sull’albero, cominciò a ciarlare.
Gli altri non guardarono in su, ma capivo che stavano ascoltando. Quando lui
smise, la ragazza gridò con voce stridula qualche altra parola.
L’uomo-scimmia ricominciò a parlare e la ragazza rispose. II tipo con la pipa
espulse il fumo dal naso: gli occhi erano annoiati e socchiusi. Un uomo strano,
davvero.

Dopo un po’ udii dei passi e arrivò il vecchio orefice, fumando la sua pipa, uno
sbuffo ogni due passi. Aveva l’aria di una grossa locomotiva che arrancasse su per
una salita avanzando con ritmo regolare.
Non disse niente né a me, né agli insetti, ma questi lo sentirono venire e si divisero
in due colonne, agitando le antenne. L’uomo camminò in mezzo a loro fino alla
roccia dal filone d’oro. Una volta là, gettò altra legna sul fuoco, rastrellò un po’ di
cenere e scoprì il letto di brace.
Poi vidi che aveva un martello e un pezzo di metallo che pareva ferro rossastro.
Strappò via una pelle, scoprendo una quantità di grumi e frammenti d’oro. Era un oro
giallo, come freddo, così puro che luccicava.
Ne prese alcuni pezzi e cominciò a martellarli per ricavarne degli ornamenti.
«Che ne fate di quella roba?» domandai alla ragazza, con indifferenza perché non
capisse che ero molto interessato.
«Lo barattiamo con le tribù fanti» disse lei. «Quel metallo non serve a niente: è
troppo tenero per fare armi, troppo pesante per le punte delle frecce. Ma loro lo
portano intorno alle dita e alle caviglie. Ci danno molte pelli in cambio e a volte
cercano di invadere il nostro territorio per impadronirsi della rupe. Se stesse in me, la
smetterai di fare ornamenti. A noi il metallo non piace e non lo usiamo mai. E poi ci
procura un mucchio di guai. I Fanti sono un popolo feroce: stanno sterminando tutta
la nostra gente.»
Mi affrettai ad annuire, con profonda saggezza.
«Già» risposi «quella roba attira proprio i guai. Sarebbe meglio disfarsene.»
Il vecchio orefice alzò la testa, si rigirò la pipa in bocca e mi puntò addosso gli
occhietti cisposi; per un paio di minuti si comportò come se stesse per dire qualcosa,
poi tornò al suo lavoro.Dopo un po’ udii dei passi e arrivò il vecchio orefice, fumando la sua pipa, uno
sbuffo ogni due passi. Aveva l’aria di una grossa locomotiva che arrancasse su per
una salita avanzando con ritmo regolare.
Non disse niente né a me, né agli insetti, ma questi lo sentirono venire e si divisero
in due colonne, agitando le antenne. L’uomo camminò in mezzo a loro fino alla
roccia dal filone d’oro. Una volta là, gettò altra legna sul fuoco, rastrellò un po’ di
cenere e scoprì il letto di brace.
Poi vidi che aveva un martello e un pezzo di metallo che pareva ferro rossastro.
Strappò via una pelle, scoprendo una quantità di grumi e frammenti d’oro. Era un oro
giallo, come freddo, così puro che luccicava.
Ne prese alcuni pezzi e cominciò a martellarli per ricavarne degli ornamenti.
«Che ne fate di quella roba?» domandai alla ragazza, con indifferenza perché non
capisse che ero molto interessato.
«Lo barattiamo con le tribù fanti» disse lei. «Quel metallo non serve a niente: è
troppo tenero per fare armi, troppo pesante per le punte delle frecce. Ma loro lo
portano intorno alle dita e alle caviglie. Ci danno molte pelli in cambio e a volte
cercano di invadere il nostro territorio per impadronirsi della rupe. Se stesse in me, la
smetterai di fare ornamenti. A noi il metallo non piace e non lo usiamo mai. E poi ci
procura un mucchio di guai. I Fanti sono un popolo feroce: stanno sterminando tutta
la nostra gente.»
Mi affrettai ad annuire, con profonda saggezza.
«Già» risposi «quella roba attira proprio i guai. Sarebbe meglio disfarsene.»
Il vecchio orefice alzò la testa, si rigirò la pipa in bocca e mi puntò addosso gli
occhietti cisposi; per un paio di minuti si comportò come se stesse per dire qualcosa,
poi tornò al suo lavoro.

(http://lh3.ggpht.com/_Mq5qyAsSNIQ/SoiRCpFcteI/AAAAAAAAaBY/ZdyVqU8GU_A/s400/chandlercat-391x500.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: ismaele - 12 Aprile 2010, 18:20:25
Enzo, scusa, la fotografia non è di Erle Stanley Gardner ma di Raymond Chandler...non sono nemmeno sicuro che Gardner fumasse la pipa, di sue foto con pipa non ne ho vista nemmeno una. Questo era lui
(http://www.mysterycrimescene.com/image-files/erlestanleygardner.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Aprile 2010, 18:49:15
Vero ho sbagliato foto,la pipa la fumava.
(http://2.bp.blogspot.com/_fvm4kEL388A/SXzc-z-MyPI/AAAAAAAAAAk/yDHO819CTmE/s320/gardner.jpg)

La foto è un po' datata ma questa di Life si vede meglio,la pipa è una Sasieni Army Mounted. 8)

(http://cache4.asset-cache.net/xc/50455492.jpg?v=1&c=IWSAsset&k=2&d=E41C9FE5C4AA0A147AD33C0359540723AC9ECFC9C3D0B7129CC6698DB86E1EA5B01E70F2B3269972)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: ismaele - 14 Aprile 2010, 00:32:18
Bella foto, dove l'hai trovata? Io non l'ho vista! Ma della Sasieni dove se ne parla? Mica si può vedere dalla foto! O stavi scherzando?  ;)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Aprile 2010, 22:21:21
Ho finito in questo momento di esaminare una trentina di titoli e sono arrivato alla conclusione,che i personaggi di Simenon non fumano veramente la pipa.
Ovvero : scelse una pipa,caricò la pipa, accese la pipa,pulì la pipa,comprà una pipa,etc..
Non esiste nessuna descrizione dello stato d'animo dei personaggi in relazione all'azione di fumare,la pipa è un complemento marginale che caratterizza un personaggio e lo segue in una lunga serie di romanzi,es. Maigret.
Non essendo la protagonista di uno stato d'animo,o di una atmosfera distesa, diventa meccanica e marginale come una sigaretta o complementare come il cappello di un comico anni 50,con pochissime eccezioni.

GEORGES SIMENON

Félicie

Era la prima volta, quell’anno, che usciva senza cappotto, la prima volta che si trovava in campagna alle dieci del mattino. Anche la grossa pipa sapeva di primavera. Faceva ancora fresco. Maigret camminava a passi pesanti, le mani nelle tasche dei pantaloni. Félicie gli camminava accanto, leggermente più avanti, costretta a fare due passi rapidi per ognuno dei suoi.

«Salga... la seguo».
Félicie apre la porta della sua stanza. Un letto rivestito di cretonne a fiori funge da divano e le pareti sono tappezzate da fotografie di attori.
«Ecco... Mi stavo togliendo il cappello e ho pensato: “To’! Ho dimenticato di aprire la finestra nella stanza del signor Jules...”. Ho attraversato il pianerottolo... Ho aperto la porta e ho gridato...».
Tirando una boccata dopo l’altra dalla pipa che ha ricaricato in giardino, Maigret osserva sul parquet lucido di cera il profilo tracciato con il gesso del corpo di Gambadilegno, così come è stato scoperto la mattina di lunedì.

L’aria è tiepida. Il cielo si sta facendo viola. Ventate di aria fresca arrivano dalla campagna e Maigret, con la pipa in bocca, si accorge di stare un po’ curvo, proprio
come Lapie. Mentre si avvia verso la cantina, strascica persino un po’ la gamba sinistra. Apre la spina della botte del rosé, sciacqua un bicchiere, lo riempie.

A cavalcioni sulla sedia di paglia, con i gomiti appoggiati allo schienale e gli occhi semichiusi, un filo di fumo che sale dalla pipa, sembra sonnecchiare. Quattro uomini giocano a carte davanti a lui.

Lucas se lo chiede, ma non osa fare commenti. Dunque morde il freno e fuma una pipa dietro l’altra; e qualche volta, tanto per combattere la noia, prende a calci i sassi del viale.

«L’armadio?».
L’ha nominato per ultimo apposta. È sulle spine e stringe fra i denti il cannello della pipa sino a farlo scricchiolare.

Lei fiuta il pericolo: si nasconde lì, sotto quelle domande insidiose. Mio Dio! Com’è difficile difendersi da quest’uomo tranquillo che fuma la pipa e la accarezza con sguardo paterno! Lo odia! Mai nessuno l’ha fatta soffrire quanto questo commissario che non le da un attimo di tregua e che le dice le cose più sorprendenti con un tono pacato, aspirando brevi boccate di pipa.

(http://www.comune.torino.it/archiviostorico/mostre/antologia_immagini_2004/img/gdp-spettac2-05.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Aprile 2010, 15:30:36
Considerazioni su un giovane che fuma la pipa, da parte di una ragazzotta, con il dono di natura di essere un pochino ninfomane.



Tybor Fisher

I suoi genitori, giocatori di pallacanestro professionisti, lasciarono Budapest dopo la repressione russa seguita alla Rivoluzione ungherese del 1956. Cresciuto a Londra, ha studiato al Peterhouse College di Cambridge.

Il suo esordio letterario, nel 1992, con Sotto il culo della rana, ispirato alle vicende dei suoi genitori, è stato salutato da un meritato successo critico in Gran Bretagna: ha vinto il Betty Trask Award ed è stato nominato per il Booker Prize

Viaggio al termine di una stanza

Dopo essersi presentato, Janos si spogliò e io mi voltai dall’altro lato. Poi cavò di tasca una pipa e l’accese. Non era una pipa ad acqua, ma una pipa classica, con classico tabacco. Come quella che usavano i vecchi zii insignificanti quando eri piccola. Fumare la pipa è considerata una cosa da sfigati da almeno cent’anni e, nonostante l’aspetto ipervirile ed espansivo di Janos, gli dava un’aria comunque buffa. È importante essere fighi? Be’, sì che lo è. Perché stiamo al mondo, se non per
farci ammirare? La vita ti offre l’opportunità di scegliere tra il vestitino figo e il vestitino sciatto, tra la musica fatta da un musicista intelligente e impegnativo e quella fatta dall’imbecille con note stanche e rubate, e quelli che tra noi fanno la scelta giusta andrebbero applauditi. La vita non è forse fatta di una serie di scelte giuste per venire applauditi dalle persone giuste? Che altro ci stiamo a fare, se no? Mi dissi che forse Janos stava sdoganando la pipa tra i fighi, ma non riuscii a convincermi. Ma d’altronde, chi è perfetto?
Janos tirò una boccata profonda ed espirò uno straccetto ritorto di fumo. «Il jojo è buono qui» asserì. Non avevo idea di che significasse, ma avevo capito cosa intendeva.
Alzai gli occhi al paradisiaco cielo azzurro. Da qualche parte là fuori sei milioni di umani si calpestavano la faccia a vicenda. Ma io ero felice. Con tutto il trambusto del cercare lavoro e del viaggio fino a Barcellona non avevo avuto tempo per andare a caccia di uomini. Quel che mi mancava era un po’ di compagnia. Ero nel posto giusto.



(http://img1.fantasticfiction.co.uk/images/n24/n122124.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Aprile 2010, 11:55:41
Pipe sempre più folli.

Ken Kesey

Nel 1959 alla Stanford University Ken Kesey prese volontariamente parte ad uno studio sulle sostanze psicoattive finanziato dalla CIA, noto con il nome di MKULTRA. Queste sostanze includevano LSD, mescalina e psilocibina. Kesey scrisse resoconti molto dettagliati su quest'esperienza, sia durante lo studio vero e proprio, sia negli anni in cui proseguì privatamente la sperimentazione. Il suo ruolo di cavia lo ispirò nel redigere l' opera Qualcuno volò sul nido del cuculo nel 1962. Il successo ottenuto con questo suo libro e la vendita della sua abitazione a Stanford gli permisero di trasferirsi a La Honda, in California, vicino a San Francisco. Spesso organizzava insieme agli amici delle feste, soprannominate "Acid Tests", durante le quali gli invitati assumevano Lsd in un'ambientazione psichedelica con musica dei Grateful Dead, il gruppo preferito dell'autore. Queste feste sono descritte in alcune poesie di Allen Gisberg e nei libri "The Electric Kool-Aid Acid Test" di Tom Wolfe e "Hell's Angels" di Hunter S. Thompson.

Qualcuno volò sul nido del cuculo

Il giovane si rende conto di aver superato i limiti e tenta di far passare la cosa per uno scherzo, ridacchiando e sogghignando: «Sapete, qualcosa di simile a 'Chi non marcia al passo ode un altro tamburo'», ma è troppo tardi. Il primo interno si volta verso di lui dopo aver posato la tazzina del caffè ed essersi tolto dalla tasca una pipa grossa come un pugno.
«Francamente, Alvin,» dice al terzo interno «mi deludi. Anche non conoscendo i suoi precedenti, basterebbe prestare attenzione al comportamento di lui nella corsia per capire quanto sia assurda questa tesi. Quell'uomo è non soltanto molto, molto malato, ma è altresì, a parer mio, senza alcun dubbio, potenzialmente pericoloso. Penso che sia quanto ha sospettato Miss Ratched nel chiedere questa riunione. Non riconosci l'archetipo dello psicopatico? Non mi è mai capitato un caso più chiaro. Quest'uomo è un Napoleone, un Gengis Khan, un Attila l'Unno.»
Un altro interno interviene. Ricorda quanto ha detto l'infermiera a proposito del reparto Agitati. «Robert ha ragione, Alvin. Non hai visto come si è comportato quell'uomo là fuori, oggi? Quando non ha potuto realizzare uno dei suoi progetti, è balzato in piedi sull'orlo della violenza. Ci dica lei, dottor Spivey, che precedenti ha in fatto di violenza?»
«C'è una netta noncuranza nei confronti della disciplina e dell'autorità» dice il primario.
«Esatto. I suoi precedenti dimostrano, Alvin, che ripetutamente egli ha manifestato le sue tendenze ostili contro chi rappresentava l'autorità... a scuola, sotto le armi, in carcere! E io credo che la sua esibizione, dopo il furore causato dal voto di oggi, sia un indizio, il più conclusivo possibile, di quanto ci si può aspettare in avvenire.» Si interrompe, fissa accigliato la pipa, se la rimette in bocca, accende un fiammifero e succhia la fiammella nel fornello con forti suoni schioccanti. Quando la pipa è accesa, sbircia furtivamente, attraverso la nuvola di fumo giallo, la Grande Infermiera; ovviamente, considera il silenzio di lei un assenso, poiché continua con più foga e sicurezza di prima.
«Immagina per un momento, Alvin,» dice, e il fumo sembra rendere morbide come cotone le sue parole, «immagina che cosa potrebbe accadere a uno di noi quando rimanesse solo con il signor McMurphy per la Terapia Individuale. Immagina di avvicinarti a un progresso decisivo ma particolarmente faticoso e che egli decida di averne avuto abbastanza di tutto il tuo... come potrebbe esprimersi?... del tuo 'stupido e dannato curiosare da universitario'. Gli dici che non deve comportarsi in modo ostile e lui risponde: 'vada all'inferno'. Gli dici di calmarsi, in tono imperioso, si capisce, ed ecco che lui ti si lancia contro, oltre il tavolo, con tutti i suoi novantacinque chili di irlandese testarossa psicopatico. Sei disposto - o è disposto uno qualsiasi di noi, del resto - a tener testa al signor McMurphy in momenti del genere?»
Rimette nell'angolo della bocca l'enorme pipa, appoggia le mani a dita aperte sulle ginocchia, e aspetta. Tutti stanno pensando alle grosse e rosse braccia di McMurphy, alle sue mani segnate da cicatrici, e a come il collo di lui emerga dalla canottiera, simile a un cuneo arrugginito. L'interno a nome Alvin è impallidito
pensandoci, come se il giallo fumo di pipa che il collega sta soffiando verso di lui gli avesse macchiato la faccia.
«Sicché loro pensano che sarebbe opportuno» domanda il primario «trasferirlo al reparto Agitati?»
«Credo che sarebbe per lo meno prudente» risponde il tipo con la pipa, chiudendo gli occhi.
«Temo che dovrò ritirare quando ho detto prima e trovarmi d'accordo con Robert,» annuncia a tutti Alvin «se non altro per tutelare me stesso.»
Gli altri ridono. Sono più rilassati, adesso, sicuri di essersi comportati come voleva Miss Ratched. Bevono tutti un sorso di caffè, tranne il fumatore di pipa, il quale ha un gran da fare perché la pipa seguita a spegnersi; consuma un gran numero di fiammiferi e succhia e sbuffa e fa schioccare le labbra. Finalmente la pipa tira di nuovo in modo soddisfacente ed egli dice, non senza una certa fierezza: «Già, il reparto Agitati per il vecchio McMurphy, temo. Sapete che cosa ritengo di aver notato in lui, in questi pochi giorni?».
«Reazioni schizofreniche?» domanda Alvin. Il fumatore di pipa scuote la testa.
«Omosessualità latente con tendenza reattiva?» dice il terzo.
Il fumatore di pipa scuote di nuovo la testa e chiude gli occhi. «No» risponde, e rivolge un sorriso all'intera sala. «Complesso edipico negativo.»
Si congratulano tutti con lui.

(http://www.bbc.co.uk/manchester/content/images/2007/11/07/jack_nicholson_254x350.jpg)


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Aprile 2010, 17:03:05
J.R. MOEHRINGER

(New York City, 7 dicembre 1964)  giornalista e scrittore statunitense.
Diplomato alla Yale University, ha iniziato la sua carriera giornalistica come fattorino al New York Times. Dal 1994 lavora come corrispondente per il Los Angeles Times. Nel 2000 è stato vincitore del premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e costume (feature writing) per il suo " ritratto di Gee's Bend", una isolata comunità fluviale in Alabama dove vivono molti discendenti di schiavi, e di come la loro vita possa cambiare in seguito all'arrivo di un traghetto verso la terraferma

IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE

Il libro costituisce l'opera prima del giornalista J. R. Moehringer, in cui l'autore ripercorre i primi anni della sua giovinezza fino ai venticinque anni


Sembrava Franklin Delano Roosevelt, e io avevo un disperato
bisogno di un uomo che mi dicesse che non c’era niente di cui avere paura tranne la paura stessa.
Invece della sigaretta col bocchino di Roosevelt, il decano stringeva fra i denti una pipa nera che
spandeva un aroma delizioso - brandy, caffè, vaniglia, fumo di legna - l’essenza distillata di un
paterno interessamento. Guardando la colonna di fumo azzurrino della sua pipa, per un attimo ebbi
l’impressione che io e Franklin Decano Roosevelt stessimo facendo una bella chiacchierata davanti
al focolare. Poi ricordai che non eravamo padre e figlio, ma decano e studente; che non ci stavamo
parlando a cuore aperto, ma eravamo seduti uno di fronte all’altro nel suo piccolo ufficio
nell’istituto che stava per cacciarmi. «È complicato» borbottai.
Non potevo parlare di follia e lussuria con un uomo così distinto. Non potevo confessare a
Franklin Decano Roosevelt che ero tormentato da immagini di Sidney con altri uomini. Vede,
decano, non posso concentrarmi su Kant perché continuo a figurarmi un certo laureato che
accarezza la mia ex ragazza mentre lei gli sta a cavalcioni, coi capelli biondi sparsi sul... No. Per
quel decano, Kant era il massimo dell’eccitazione. Kant era il suo «Penthouse». Guardai le sue
pareti tappezzate di libri e mi resi conto che non avrebbe capito perché non trovavo nei libri tutta
l’emozione di cui avevo bisogno. Non lo capivo nemmeno io. Avrebbe perso qualunque simpatia
potesse nutrire per me, e se non riuscivo a ottenere il suo rispetto, potevo almeno aspirare alla sua
pietà. Lasciai passare i secondi scanditi dalla pendola alle mie spalle, gustandomi l’aroma della sua
pipa e fuggendo ostinatamente il suo sguardo. Volevo che fosse lui a rompere il silenzio.
Ma lui non aveva niente da dire. Che si poteva dire su un ragazzo così? Emise uno sbuffo di
fumo e mi osservò, come se fosse allo zoo e io fossi una pigra ma interessante creatura.






(http://www.audible.com/audiblewords/content/bk/hype/000033/t4_image.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Aprile 2010, 21:46:32
Quando gli autori con pipa diventano personaggi (con pipa)
Ovvero scrivendo il mito si entra nel mito.

Leonore Fleischer

Leonore (o a volta Leonora) Fleischer è una scrittrice specializzata in novellizzazioni. Dei tantissimi suoi romanzi basati su sceneggiature di film, ecco quelli usciti in Italia.
1979 - Il Paradiso può attendere (Rizzoli)
1980 - La rosa (Longanesi)
1984 - All’ultimo respiro (Rizzoli)
1989 - Betrayed. Tradita (Sperling & Kupfer)
1989 - Rain Man: l’uomo della pioggia (Longanesi)
1991 - La leggenda del Re Pescatore (Longanesi)
1993 - Eroe per caso (Longanesi)
1994 - Viaggio in Inghilterra (Sperling & Kupfer)
1994 - Rapa Nui (Rizzoli)

Viaggio in Inghilterra


Dalla sceneggiatura (tratta dall’opera teatrale)
William Nicholson, autore del soggetto, della pièce teatrale e della sceneggiatura del film Viaggio in Inghilterra (Shadowlands), nasce nel 1948 in Inghilterra. Laureato letteratura inglese a Cambridge, dirige decine di documentari per la BBC, fra gli anni ’70 e ’80, prima di passare a scrivere per il teatro, televisione e cinema. Fra i film da lui sceneggiati ricordiamo Il primo cavaliere (1995), Grey Owl - Gufo Grigio (1999), Il gladiatore (2000) ed Elizabeth - The Golden Age (2007).
Nel 1985 Nicholson porta il suo Shadowlands prima a teatro poi in televisione, in un film televisivo diretto da Norman Stone, dove C.S. Lewis è interpretato da Joss Ackland e Joy da Claire Bloom. Dopo che la pièce teatrale vince svariati prestigiosi premi, nel 1993 Richard Attenborough porta al cinema la sceneggiatura di Nicholson con il film Viaggio in Inghilterra, dove C.S. Lewis è interpretato da sir Anthony Hopkins e Joy da Debra Winger: quest’ultima e Nicholson vengono candidati al Premio Oscar, senza però vincerlo



Erano ventidue anni che Jack e Warnie Lewis abitavano in quella casa, da buoni fratelli e ancor più da buoni amici, procedendo uniti, tranquillamente, se non intimamente, verso la mezza età.
Le dimensioni dell’abitazione erano più che sufficienti per i loro bisogni e per le loro necessità di riservatezza. Al piano terra c’era un vasto studio che i due fratelli condividevano; era lì che preparavano i loro scritti, ognuno seduto alla propria scrivania, ognuno intento al proprio lavoro, senza disturbarsi. Lo studio era il cuore della casa, una stanza comoda ma trascurata, tappezzata di libri e intrisa di fumo rancido di pipa. Era lì che prendevano il caffè la mattina e spesso anche il tè nel pomeriggio. La signora Young, una governante grassoccia e taciturna, si occupava delle loro necessità domestiche.

Afferrando la sua mezza pinta, Lewis scivolò al suo posto e si accese la pipa. Subito ebbero inizio le consuete discussioni.
«E per l’armadio, Jack. Ho un’osservazione da fare riguardo all’armadio.» Monk si rivolse a Lewis in attesa di chiarimenti.
«Non intendo fare un’altra dannata conversazione intorno alla dannata stanza da giochi di Jack», bofonchiò Riley.
«Ho un treno da prendere», disse con voce pacata Jack. Ma Monk teneva molto alla questione e non intendeva mollare. Determinato a far sentire a tutti la sua domanda, insistette nonostante Riley fosse contrario. «Nel libro dici che la casa appartiene a un vecchio professore che non è sposato. Ma quando la bambina entra nell’armadio magico, lo trova pieno di pellicce.»
«Molto bene, Eddie!» applaudì sardonico Riley.
«È semplice», spiegò Jack. «Appartenevano all’anziana madre del professore.»
«Ah!» gridò Egan trionfante. «Allora, per raggiungere il mondo magico la bambina deve passare attraverso il pelo della madre?»
L’implicazione sessuale non sfuggì a Lewis. «No, assolutamente no», rispose accigliato. «Non c’entra affatto il tuo freudismo a buon mercato.»

A mano a mano che i giorni si accorciavano, Warnie Lewis passava più tempo seduto alla sua scrivania vicino a quella di Jack; a volte lavorava sul manoscritto dei suoi complessi studi di storia francese, altre volte sedeva tranquillo nella sua grossa sedia a fumare la pipa, sorseggiare whisky e leggere con soddisfazione alla luce della lampada finché non veniva l’ora di riempire le borse dell’acqua calda per andare a letto. Warnie non aveva mai parlato molto in nessun caso, e non disse nulla nemmeno della signora Gresham. Sembrava averla dimenticata.
Jack invece risentiva dei giorni più brevi. Ogni momento in cui era sveglio era prezioso. Fra i colloqui alla radio, le conferenze, le lezioni all’università e la sua vita a Oxford, era impegnatissimo. In più era occupato anche dalla stesura del suo nuovo libro, il quarto volume della serie Le cronache di Narnia. Avrebbe dovuto intitolarsi La sedia d’argento, e impegnava Lewis per quasi tutto il tempo che non era al college.

Doveva dirlo a Warnie. Quando ritornò a Oxford, Jack Lewis era determinato a far conoscere il proprio progetto al fratello il più rapidamente possibile. Nonostante questo, lasciò passare due giorni interi prima di dire una parola. Non che ci fosse nella notizia qualcosa da nascondere, o qualcosa che potesse sconvolgere Warnie, ma Jack non era sicuro che il fratello non si sarebbe comunque turbato. Inoltre, non poteva rimandare ancora la comunicazione.
«Avrei qualcosa da dirti, Warnie», esordì con il tono più impassibile. Accese la pipa e aspirò pensosamente.
«Mmmm?» Warnie alzò la testa dal libro che teneva in grembo.
I fratelli erano seduti nel giardino dei Kilns, godendosi il sole primaverile del pomeriggio, mentre alle loro spalle l’anziano giardiniere Paxford spingeva avanti e indietro una vecchia e rumorosa falciatrice. «Ho acconsentito a sposare Joy,» disse Jack tranquillo.

Lewis stava raggiungendo il suo studio al Magdalen, e stava per entrare quando vide un giovane dal viso serio fermo ad aspettare. Il ragazzo si schiarì la gola; evidentemente stava aspettando il professor Lewis. «Chi è lei?» chiese Jack.
«Chadwick, signore. Quest’anno sono nel suo corso.»
«Ah sì? Farebbe meglio a entrare allora, non crede?» Insieme, salirono le scale che conducevano allo studio di Lewis. Il ragazzo rimase in piedi nervosamente, finché Jack gli fece cenno di sedersi. Poi prese la sua vecchia pipa, si sedette sull’angolo della scrivania e guardò il ragazzo intanto che riempiva di tabacco la pipa. «Chadwick, ha detto?»
«Sì, signore.»
«Si sieda.»
Lewis accese la pipa e fece una lunga tirata. «Leggiamo per apprendere che non siamo soli.» Guardò di colpo lo studente. «Pensa la stessa cosa?»
«Non ci ho mai pensato prima, signore.» Gli occhi scuri del ragazzo mostravano un timore familiare. Il famoso C.S. Lewis lo stava interrogando.
«Neanch’io», disse Jack tranquillamente. «Immagino che certe persone direbbero che noi amiamo per sapere di non essere soli. Lo pensa anche lei?»

(http://schriftman.files.wordpress.com/2009/03/cs_lewis-socratic-club.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Aprile 2010, 22:12:46
Pipe in guerra

Sven Hassel

pseudonimo di Willy Arberg (Frederiksborg, 19 aprile 1917), è uno scrittore danese, autore di romanzi di guerra basati su esperienze pseudo-autobiografiche durante la seconda guerra mondiale. Lo stile dell'autore, peculiare e immaginoso, sa dare vita a vivide scene "dietro le linee" ma anche a tragiche e movimentate sequenze di battaglia. Il suo modus narrandi incrocia influenze del romanzo picaresco, di Niente di nuovo sul fronte occidentale e delle Avventure del buon soldato Sveik. La sua opera è stata una delle principali fonti di ispirazione per le Sturmtruppen di Bonvi.
Le opere di Hassel sono scritte in prima persona e raccontano le vicende del 27° Panzer Regiment (di disciplina), formato da criminali, "indesiderati" politici e da disertori, giudicati dalla corte marziale.

BATTAGLIONE D’ASSALTO

Lo stile è diretto, crudo e descrive la guerra in tutta la sua violenza. Hassel è abilissimo nel passare da situazioni di ilarità e rilassamento dei protagonisti al pieno dell'azione bellica, dove emergono le paure, il coraggio, l'ingegno dei personaggi. Raramente, nella narrazione, c'è spazio per il militarismo e l'esaltazione della guerra


Il Vecchio arrivò sbuffando: era stato dal comandante. Buttò il fucile mitragliatore nella neve e poi ci si buttò anche lui.
«Che ha detto il puzzone?», chiese Porta guardandosi le mani coperte di geloni purulenti.
Il Vecchio non rispose; si mise a caricare la pipa, la vecchia pipa con coperchio che si era fabbricata da sé. Il legionario gli tese l’accendino: era il migliore accendino del mondo che non faceva mai cilecca. L’aveva fatto con una cartuccia vuota, qualche straccetto di tela calcinata, una scheggetta di legno con un frammento di pietra focaia e un pezzetto di lama di rasoio. La lama faceva sprizzare una scintilla dalla pietra’ focaia, gli straccetti crepitavano, si accendeva la pipa o la sigaretta e poi si spegneva chiudendo il coperchietto. La più furiosa bufera non impediva all’accendino di funzionare e la sua luce debolissima era meno visibile di notte di quella di un fiammifero.
«Dunque, che ha detto?» domandò ancora Porta sputando con impazienza. Fratellino, intanto, si dava manate sulle cosce per scaldarsi.
«Gesù che freddo!» (Si strofinò con cautela la faccia incartapecorita.) «Credete che ci manchi ancora molto a primavera?»
«Imbecille!» esclamò Porta a denti stretti. «Fra tre settimane è Natale. Siamo appena al principio dell’inverno. Ma tu non avrai regali, salvo uno, forse, nella zucca. Te lo manderà Ivan.»1
Il Vecchio tirò fuori una mappa dalla giubba bianca. Con le dita intorpidite la stese sulla neve e con l’indice sporco indicò un punto nell’intrigo dei colori.
«Dobbiamo andare qua, tutto il plotone.»
Fratellino si issò tra i cingoli del carro e cercò di decifrare il nome del villaggio indicato.
«Questo posto qui, dove siamo ora, si chiama Kotilnikovo», spiegò il Vecchio guardandoci. «È a trenta chilometri dalle posizioni tedesche fuori di Stalingrado. Da Kotilnikovo dovremo andare verso Obilnoje per dare una occhiata alla concentrazione di truppe russe. Insomma andiamo in ricognizione dalla parte di Sarpa e lungo il mare. Se restassimo tagliati fuori e non potessimo rientrare», e il Vecchio abbozzò una risatella silenziosa, «abbiamo l’ordine di collegarci con la quarta armata rumena che si trova a sud-est del Volga. Supposto che esista ancora quando saremo là.»
Porta scoppiò a ridere e scorreggiò fragorosamente.
«Di’ un po’, siete pazzi voi due, tu e il puzzone? Ivan non è cieco. Vedrà i nostri carri da cento leghe. Che magnifico bersaglio!»
Il Vecchio si stropicciò il mento e strinse gli occhi. «No, ragazzo mio. La faccenda è tutto un ricamo di raffinata astuzia. Innanzitutto, una volta al giorno, dovremo mandare un messaggio radio al corpo d’armata.» Fece una pausa e tirando lunghe boccate dalla pipa che poi levò di bocca servendosene per grattarsi un orecchio.

Il Vecchio fermò la slitta, si alzò lentamente, si tolse le manopole e cominciò a caricare la pipa. Faceva tutto con calma, accuratamente. Era la sosta e per il Vecchio sosta significava pipata. Col pollice pigiò la brace, poi sorrise. Il sorriso del Vecchio! Ci riscaldava: non c’era niente di veramente terribile se il Vecchio sorrideva.
«Fate come i cani», disse il Vecchio, indicandoli col cannello della pipa. «I nostri dodici compagni a quattro zampe conoscono la musica e sanno che cosa bisogna fare. Un cane da slitta non muore mai di freddo.»

La terza notte, durante il bivacco, il vento cominciò a soffiare e, per la prima volta dopo la partenza, il commissario ci rivolse la parola; o meglio, la rivolse al Vecchio perché noi altri ci disdegnava tutti quanti eravamo.
«Ci sarà una bufera», dichiarò fissando il cielo verso oriente. «Una bufera terribile che durerà parecchi giorni; bisogna montare la tenda.»
Il Vecchio rimase pensieroso; accese la pipa e strinse gli occhi per osservare la fuga di nuvole basse.

«Sapete in quale specie di casa siamo?» domandò il legionario con la risata nella voce.
«Che vuoi dire?»
«Una buona casa, migliore di quanto immaginate! In tempi normali sul portone c’era una lanterna rossa.»
Fratellino spalancò la bocca e saltò giù dal divano.
«Vuoi dire che siamo insediati in una casa di puttane?»
«Precisamente e con servizio di prim’ordine se ti può interessare.»
«Accidenti!» gridò Porta. «Dov’è il personale?»
In un battibaleno Fratellino aveva rimesso a posto i cuscini e si era levati i pantaloni scaraventandoli sopra un armadio.
«Non mi serviranno per un bel po’ di tempo!»
Il Vecchio gli chiese: «E gli stivaloni te li tieni?»
«Certo! Con stivali e cinturone non si ha paura di nessuno!»
Porta si era levato i vestiti anche lui ed era nello stesso abbigliamento: costume d’Adamo, stivali e cinturone con pistola. In più aveva in testa il cilindro giallo; Fratellino sfoggiava la bombetta grigia.
«Pronti!» gridò Porta. «Portate le puttane! Vecchio coloniale, chiama la ruffiana.»
«L’avete già vista. È una troia, non c’è ombra di dubbio. Si versa addosso mezzo litro di profumo ogni mattina per mascherare il tanfo del sudore; non sa che cosa sia coscienza e pesa, ad occhio e croce, céntoventicinque chili. Le ho chiesto quante tonnellate di lardo aveva addosso. Mi ha risposto: ‘novanta chili’, ma ha mentito. Abita in un appartamento! Questo, al confronto, è una topaia. Fuma ininterrottamente una pipa curva e si ingozza di acquavite in gran quantità.»

«È disgustoso crepare da queste parti. Si affonda con tutti i denti e nessun poveraccio ne profitta.»
Cadeva la notte quando i due soldati rientrarono nella piccola città romena e il racconto della loro avventura fu fatto con accompagnamento di vodka e salsicce. Il Vecchio tirava grandi boccate dalla pipa a coperchio e si schiariva la gola.
«Non c’è dubbio, siamo accerchiati. Julius e Sven sono andati verso le retrovie e sono piombati su una compagnia di fanteria con autoblindo.» Rivolto a Porta: «Sei tu che sei andato sulla spiaggia col romeno? Avete visto i tiratori?»
«Quanto basta per sentirsi sfessati. Non si ha proprio voglia di fare una stagione di bagni di mare.»
«Uhmm!» Il Vecchio tirava boccate sempre più lunghe, poi si strinse con le dita il naso: segno che rifletteva intensamente. «Come passarci in mezzo?»
«Arrivano i russi?» chiese una ragazza in parure verde che giocava ai dadi con un caporale romeno.
Non rispose nessuno. La ragazza vinse e dimenticò i russi.

(http://www.nzhistory.net.nz/files/images/stories/pow/pow-003.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Aprile 2010, 12:35:52
Qualche frammento di pipa

 Dorothy L. Sayers

L’uomo che sapeva come

Pender lo guardò con disagio. Quel sorriso non gli piaceva: non era soltanto beffardo; era compiaciuto, quasi gongolante, trionfante... Pender non riusciva a definirlo.
—Vede — continuò il compagno di viaggio mentre estraeva la pipa e prendeva a riempirla, — è molto strano quanto spesso si legga, sui giornali, la notizia di persone trovate morte nella vasca da bagno. È un incidente davvero molto comune. Rappresenta una vera tentazione. Dopo tutto, nell’omicidio c’è del fascino. Uno comincia a pensarci, a pensarci... In ogni modo, immagino che sia così.
—È molto probabile — disse Pender.
—Io ne sono sicuro. No, non confiderei a nessuno quella formula... nemmeno a una brava persona come lei.
Le lunghe dita bianche premettero per bene il tabacco nel fornello della pipa, poi accesero un fiammifero.

ISABEL ALLENDE

LA SOMMA DEI GIORNI

Io e mia madre andammo a prenderli all’aeroporto e vedemmo comparire tuo fratello, con il suo solito aspetto da adolescente goffo, in compagnia di una persona che avanzava a falcate decise e portava sulle spalle qualcosa che da lontano sembrava un’arma, ma che da vicino risultò essere una custodia per chitarra. Immagino che fosse per irritare sua madre, un tempo reginetta di bellezza in un concorso ai Caraibi, che Celia camminava come John Wayne, si vestiva con pantaloni informi color oliva, scarponcini da alpinista e un cappellino da baseball calcato su un occhio. Bisognava guardarla due volte per accorgersi di quanto fosse carina: lineamenti fini, occhi espressivi, mani eleganti, fianchi larghi e un’intensità alla quale era difficile sottrarsi. La ragazza di cui mio figlio si era innamorato aveva un’aria di sfida, quasi a dire: «Se vi piaccio bene, altrimenti cazzi vostri». Mi sembrò così diversa da Nico che sospettai fosse incinta, ragione per cui stavano progettando di sposarsi entro breve, ma le cose non stavano così. Probabilmente aveva bisogno di scappare in fretta dal suo ambiente, che le stava come una camicia di forza, e si era aggrappata a Nico con la disperazione di un naufrago.
Quando arrivammo a casa, tuo fratello annunciò che il materassino in cucina non era più necessario, perché le cose fra loro erano cambiate. Li sistemai dunque nella stessa stanza. Mia madre mi prese per un braccio e mi trascinò in bagno.
«Se tuo figlio ha scelto quella ragazza, ci sarà un motivo. Ti tocca volerle bene e tenere la bocca chiusa.»
«Ma fuma la pipa, mamma!»
«Sarebbe peggio se fumasse oppio.»

Jacqueline Winspear

MAISIE DOBBS

“Il momento è sempre più vicino”, osservò Maurice. Guardò la pendola che scandiva pazientemente i secondi.
“Sì, vicinissimo. Maurice, voglio portare Billy via da quel posto.”
“Certo. Via da Jenkins. È interessante come in tempo di guerra gli esseri umani diventino più determinati. Specialmente quando questa determinazione, questo potere, per così dire, deriva da qualcosa di tanto essenzialmente malvagio.”
Dalla sua poltrona, Maurice allungò la mano verso il portapipe sulla mensola del camino. Scelse una pipa, afferrò il tabacco e i fiammiferi posati lì accanto e si appoggiò allo schienale, gli occhi sulla pendola. Prese un pizzico di tabacco dalla scatola e lo pressò nel fornello.
“A cosa pensi, Maisie?” Sfregò un fiammifero sui mattoni del camino e accostò la fiammella al tabacco.
Maisie trovava che il profumo del tabacco fosse troppo pungente, ma questo rito dell’accensione della pipa la rilassava. Sapeva che Maurice se lo concedeva solo in prossimità dei momenti cruciali;

Stephen King

Danse macabre

Il padre di Will era in piedi, riempì la sua pipa di tabacco, cercò i fiammiferi nelle tasche, tirò fuori un’armonica rovinata, un temperino, un accendino che non avrebbe funzionato e un blocco dove avrebbe voluto appuntare i pensieri più grandi, cosa che non gli era mai riuscito di fare...

Eva Ibbotson

FANTASMI SOTTO SFRATTO

Zio Blatta era naturalmente facile bersaglio di quelle signore con la puzza sotto il
naso. Lo schernivano perché biascicava sdentato e parlava con accento transilvano; si sganasciavano dal ridere quando si confondeva e si metteva la pipa nell’orecchio e cercava di fumare il cornetto acustico.

Awanaganà

Quando sono andato a fare i provini, il terzo giorno Noël Coutisson mi chiede qual è il mio nome. E io comincio a fargli l'elenco. Arrivato ad Awanagana, lui mi guarda, sempre con la sua pipa in bocca e ripete... Awanaganà hm hm ... au revoir. Un quarto d'ora dopo io ero nei corridoi, lui esce dall'ufficio come una lippa e fa "Monsieur Awanaganà, - mi giro -, génial, vous vous appellerez seulement Awanaganà, lei si chiamerà solamente Awanaganà».


L.Pirandello

Uno Nessuno Centomila

Sapete invece su che poggia tutto? Ve lo dico io. Su una presunzione che Dio vi conservi sempre. La presunzione che la realtà, qual'è per voi, debba essere e sia ugualmente per tutti gli altri. Ci vivete dentro; ci camminate fuori, sicuri. La vedete, la toccate; e dentro anche, se vi piace, ci fumate un sigaro (la pipa? la pipa), e beatamente state a guardare le spire di fumo a poco a poco svanire nell'aria. Senza il minimo sospetto che tutta la realtà che vi sta attorno non ha per gli altri maggiore consistenza di quel fumo.

(http://www.archeove.com/pubblic/pipe/PIPE1.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Maggio 2010, 00:22:16


Edgar Allan Poe

L'INCOMPARABILE AVVENTURA DI UN CERTO HANS PFAALL

Sembrerebbe che il... del mese di... (della data non sono esattamente informato) una folla immensa si fosse radunata, per uno scopo che non è specificato, sulla grande piazza della Borsa nella ricca città di Rotterdam. Faceva caldo, un caldo eccezionale data la stagione; l'aria era ferma, e la gente si assoggettava con piacere alla doccia di un benigno acquazzone largito a tratti dai grossi cumuli di nuvole bianche che si espandevano per l'azzurra volta del cielo. Verso mezzogiorno, tuttavia, si potè notare che la folla era presa da una leggera ma evidente agitazione. Diecimila voci si fecero sentire e, l'istante appresso, diecimila facce si volgevano verso il cielo, diecimila pipe venivano tolte di bocca, e un grido, a niente altro paragonabile che al rumore delle cascate del Niagara, risuonava lungo, alto, formidabile per tutta la città e i dintorni.
La causa di quel tumulto fu ben presto manifesta. Di dietro alla vasta mole di uno di quei nuvoloni nitidamente profilati, si vide spuntare in un aperto spazio d'azzurro una strana cosa eterogenea, solida in apparenza, e così curiosa di forma, così fantasticamente configurata, che la folla di quei ben piantati cittadini i quali di sotto l'osservavano a bocca aperta, non si stancava, pur senza capirne nulla, di ammirarla. Che poteva essere mai? In nome di tutti i diavoli di Rotterdam, che poteva mai significare? Nessuno lo sapeva, nessuno riusciva a indovinarlo; nessuno, nemmeno il borgomastro Mynheer Superbus Von Underduk, si trovava in possesso del più piccolo indizio per chiarire il mistero; dimodoché, non avendo nulla di meglio da fare, si rimisero tutti, non uno eccettuato, la pipa in bocca, e, senza lasciare di tener d'occhio il fenomeno, buttarono fuori una boccata di fumo, si fermarono, si dondolarono da destra a sinistra, poi da sinistra a destra, borbottaron qualcosa,
e tornarono a buttare una boccata di fumo.
L'oggetto di tanta curiosità e di tanto fumo scendeva frattanto sempre più, e in pochi minuti si trovò vicino abbastanza per esser distinto con precisione. Sembrava, anzi certamente era, una specie di pallone, ma un pallone come non se n'erano mai visti di uguali fino allora a Rotterdam. Perché, domando e dico, chi ha mai sentito parlare di un pallone interamente confezionato di vecchi giornali sporchi? In Olanda, nessuno di certo.

Disceso, come ho detto, a cento piedi circa dalla terra, il vecchietto venne improvvisamente colto da una grande agitazione, e non parve disposto ad avvicinarsi di più. Per cui, buttata giù una certa quantità di sabbia, da un sacco che sollevò a fatica, si fermò dov'era. Sempre agitatissimo si affrettò quindi a tirar fuori dalla tasca del soprabito un portafoglio di pelle, che soppesò nella mano con fare sospettoso e, come stupito del suo peso, esaminò con aria di sorpresa estrema. Infine si decise ad aprirlo e ne estrasse una grande lettera sigillata in rosso e legata con nastro rosso che lasciò cadere esattamente ai piedi del borgomastro Superbus von Underduk. Sua Eccellenza si chinò a raccoglierla. Ma l'aeronauta, sempre molto inquieto, e non avendo, a quanto pareva, da sbrigare altro a Rotterdam, già si apparecchiava alla partenza; e siccome, per tornare ad innalzarsi, bisognava scaricasse ancora della zavorra, buttò giù l'uno dopo l'altro, senza darsi la pena di vuotarli, una mezza dozzina di sacchi che caddero tutti sulla schiena del povero borgomastro facendogli fare una mezza dozzina di capriole al cospetto dell'intera cittadinanza di Rotterdam. Non è da supporre che il grande Underduk lasciasse impunita l'impertinenza del vecchietto. Si dice, anzi, che ad ognuna delle sei capriole egli emettesse non meno di sei ben visibili ed energiche boccate di fumo dalla pipa che teneva, con tutta la propria forza, stretta fra i denti, intenzionatissimo a tenersela stretta così, a Dio piacendo, sino al giorno della sua morte.

(http://www.poestories.com/images/gallery/gough_poe.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Maggio 2010, 00:48:52
Una nipote rievoca la passata gioventù dei nonni in tempi post bellici e parla di pipe.

Milena Agus

Nata a Genova da genitori sardi, vive a Cagliari dove insegna italiano e storia all’istituto tecnico “Meucci”.


Mal di pietre

Il romanzo, ha vinto il Premio Forte Village (2007) e si è segnalata fra i finalisti del Premio Strega e al secondo posto nel Campiello.


Una sera nonno, prima di sedersi nella poltrona sgangherata vicino alla finestra sul pozzo luce, andò a prendere dalla valigia di sfollato la sua pipa, tirò fuori dalla tasca un sacchetto di tabacco appena comprato e si mise a fumare, per la prima volta dopo quel maggio 1943. Nonna avvicinò lo scanno e rimase seduta a guardarlo.
“Così voi fumate la pipa. Nessuno mai ho visto fumare la pipa”.
E rimasero in silenzio per tutto il tempo. Quando nonno ebbe finito lei gli disse: “Non dovete più spendere i soldi per le donne della Casa Chiusa. Quei soldi dovete spenderli per comprarvi il tabacco e rilassarvi e fare la vostra fumata. Spiegatemi cosa fate con quelle donne e io farò tutto uguale”.

Quei giorni era felice anche se non aveva l’amore, felice delle cose del mondo anche se nonno non la toccava mai se non quando faceva le prestazioni della Casa Chiusa e nel letto continuavano a dormire sulle sponde opposte stando attenti a non sfiorarsi e si dicevano: “Fate una Buonanotte”. “Buonanotte anche a voi”.
E i momenti più belli erano quando nonno si accendeva la pipa a letto dopo le prestazioni e si capiva che stava bene dall’aria che aveva e nonna lo guardava dalla sua sponda e se gli sorrideva lui le diceva: “Te la ridi?” Ma non è che mai aggiungesse qualcos’altro, o la attirasse a sé, la teneva lontana. E nonna sempre si chiedeva come è strano l’amore, che se non vuole arrivare non arriva con il letto e neppure con la gentilezza e le buone azioni ed era strano che proprio quella, che era la cosa più importante, non ci fosse verso di farla venire in nessun modo.
Nonna se l’era sempre cavata egregiamente e dopo ogni prestazione il marito diceva quanto sarebbe costata alla Casa Chiusa e quella cifra la mettevano via per quando avrebbero ricostruito la casa della via Manno e nonna voleva che una piccola parte fosse sempre destinata al tabacco per la pipa.

(http://www.hobotraveler.com/2008-1/08-1221-girl-smoking-pipe.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Maggio 2010, 20:24:56
Rimarrà sempre al primo posto fra gl'investigatori affettati, con la pipa in bocca

Arthur Conan Doyle

L’avventura dei Faggi Rossi

«A chi ama l’arte per se stessa» osservò Sherlock Holmes, mettendo via la pagina con gli annunci pubblicitari del Daily Telegraph «piacciono di più gli aspetti meno importanti. E voi, caro Watson, appartenete a questa schiera; ho notato che nei casi e nelle vicende che mi riguardano e di cui avete preso nota, magari abbellendoli un po’, avete scartato le cause celebri, i processi clamorosi per porre l’accento sugli episodi, in apparenza banali, che mi hanno permesso di esplicare quelle facoltà di deduzione e di sintesi logica che considero i miei pregi maggiori.»
«Tuttavia» risposi, sorridendo «non riesco a farmi assolvere del tutto dall’accusa di aver dato ai miei scritti l’impronta del sensazionale.»
Holmes afferrò con le molle un tizzone che ardeva nel caminetto, ci accese la lunga pipa di legno di ciliegio che preferiva a quella di gesso quando era in uno stato d’animo più cavilloso che contemplativo e disse:
«Forse avete sbagliato cercando di aggiungere colore e vita in ciascuno degli episodi invece di limitarvi a registrare la rigida connessione tra causa ed effetto, che costituisce l’aspetto principale e più significativo delle nostre imprese.»
«Quanto a questo, mi sembra di avervi reso piena giustizia» replicai con una certa freddezza perché consideravo l’egocentrismo una delle caratteristiche salienti del carattere del mio amico.
«No, non si tratta né di egoismo né di vanità» disse Holmes, come se mi avesse letto nel pensiero. «Se chiedo piena giustizia per la mia arte è perché è qualcosa di impersonale, al di fuori di me. Il crimine è una cosa comune, la logica è rara. Perciò è sulla logica e non sul crimine che dovete soffermarvi. Invece a volte avete trasformato in una serie di racconti ciò che avrebbe dovuto essere un corso di conferenze.»
Era una fredda mattina all’inizio della primavera e, dopo aver fatto colazione ce ne stavamo seduti davanti a un bel fuoco nel vecchio salotto di Baker Street. Una nebbia spessa aleggiava intorno alle lunghe file di case grigiastre le cui finestre sembravano occhiaie vuote. Nella nostra stanza la lampada a gas era accesa e illuminava la tovaglia, traeva lievi barbagli dalle porcellane e dalle posate perché la tavola non era stata ancora sparecchiata. Quella mattina Holmes era di umore poco ciarliero e non aveva fatto che immergersi nella lettura delle colonne pubblicitarie di diversi giornali finché, abbandonate le sue ricerche, era emerso da quel silenzio con uno stato d’animo tutt’altro che disponibile per farmi un predicozzo sulle mie deficienze letterarie.
«Al tempo stesso» riprese dopo una pausa durante la quale aveva tirato lunghe boccate di fumo dalla sua pipa con lo sguardo fisso sul fuoco, «non posso neanche accusarvi di essere andato alla ricerca del sensazionale a ogni costo perché buona parte dei casi su cui avete scritto non riguardava delitti, non nel senso legale.


L’avventura del piede del diavolo

«Signor Holmes» disse il vicario in tono agitato, «durante la notte è accaduto qualcosa di straordinario, di tragico, qualcosa di inaudito. È un dono della Provvidenza che vi troviate qui in questo momento perché in tutta l’Inghilterra voi siete l’uomo più adatto per aiutarci.»
Lanciai un’occhiataccia al vicario; Holmes, invece, si tolse la pipa di bocca e si raddrizzò, fremente come un cane che segue le tracce della selvaggina.

«Che cosa intendete fare, adesso, signor Holmes?» aggiunse.
Il mio amico sorrise e mi pose una mano sul braccio.
«Credo, Watson, che a questo punto ricorrerò a una fumatina, anche se so che non mi approvate» disse. «Con il vostro permesso, signori, ora torneremo a casa nostra perché qui, per il momento, non abbiamo niente da fare. Ripenserò comunque agli avvenimenti, signor Tregennis e se accadesse di scoprire qualcosa mi metterò immediatamente in contatto con voi e con il vicario. Buongiorno a tutti.»
Solo molto più tardi, dopo esser rientrati al Poldhu Cottage, Holmes ruppe il silenzio. Se ne stava raggomitolato in poltrona e il fumo azzurrino della pipa velava il suo viso magro e ascetico; aveva le sopracciglia contratte, la fronte corrugata, lo sguardo perso nel vuoto. D’improvviso depose la pipa e balzò in piedi.


L’avventura della faccia livida

E con questo è uscito. Non saprei dire da che parte si sia diretto.»
«Grazie, hai fatto del tuo meglio» così Holmes rassicurò il domestico mentre entravamo in salotto. «Però tutto questo è molto seccante, non trovate, Watson? Al momento ho proprio bisogno di occuparmi di qualcosa e l’impazienza di quell’uomo dimostra che avrebbe potuto trattarsi di un caso importante. Ehi, non è mia quella pipa sul tavolo! Deve avercela lasciata lo sconosciuto. Una magnifica, vecchia pipa di radica con un bel bocchino d’ambra. Mi chiedo quanti bocchini d’ambra autentica esistano a Londra. Bene, dev’essere stato molto sconvolto per dimenticare una pipa a cui evidentemente attribuisce grande valore.»
«Perché questa affermazione, Holmes?»
«Ecco: direi che il prezzo di questa pipa oscilli sui sei, sette pence. Ora, vedete, è stata riparata per ben due volte, una volta nel cannello di legno e una nel bocchino d’ambra; ciascuna riparazione è stata fatta con lamine d’argento che devono esser costate più della pipa stessa. L’uomo deve dunque valutarla molto, se preferisce farla rappezzare piuttosto che comprarne una nuova allo stesso prezzo.»
«Avete scoperto qualche altra cosa?» chiesi, perché Holmes continuava a girare la pipa tra le mani e la osservava, pensoso.
Lui la alzò, la picchiettò con le lunghe dita sottili.
«A volte le pipe sono straordinariamente interessanti» disse. «Niente ha più personalità di una pipa, salvo forse gli orologi e i lacci da stivali. Le indicazioni di questa, comunque, non sono né molto marcate né importanti. Il proprietario è certamente un uomo muscoloso, mancino, ha una dentatura eccellente, si veste senza troppa ricercatezza e non ha bisogno di fare economie.»
Il mio amico buttò là quelle informazioni in tono noncurante, ma sapevo che mi fissava per controllare se seguivo i suoi ragionamenti.
«Pensate che un uomo sia uno scialacquatore solo perché fuma una pipa da sette pence?» azzardai.
«Usa anche la miscela di tabacco Grosvenor che costa otto pence all’oncia» rispose Holmes, versandone un po’ dalla pipa sul palmo della mano. «Potrebbe averne di altrettanto buono a metà prezzo: perciò non bada a spese.»
«E gli altri punti?»
«Ha l’abitudine di accendere la pipa alla fiamma della lampada o al beccuccio del gas. Guardate, il fornello è del tutto carbonizzato da una parte. Naturalmente non può esser stato un fiammifero a ridurlo così. Perché un uomo terrebbe un fiammifero di lato per accendere la pipa? Ma non si può accenderla a una lampada o a un beccuccio senza bruciacchiare il fornello. E tutto questo sul lato sinistro della pipa. Dal che io deduco che quel tale sia mancino. Avvicinate la vostra alla lampada e vedrete che, essendo voi una persona che si serve della mano destra, è il lato destro che tenete sulla fiamma. Potete agire anche al contrario, ma non abitualmente. Questa pipa invece è sempre stata tenuta così. Per mordere così un bocchino d’ambra bisogna essere individui muscolosi, energici e con un’ottima dentatura. Ma, se non mi
sbaglio, ecco che il misterioso visitatore sta salendo le scale, così avremo qualcosa di più interessante della sua pipa per studiarlo a fondo.»
Un istante più tardi la porta si spalancò e un uomo alto e giovane entrò nella stanza. Era sobriamente vestito di grigio e teneva in mano un cappello floscio a tesa larga. Gli avrei dato una trentina d’anni, in seguito appresi che ne aveva qualcuno in più.

(http://kevinthecoolguy.files.wordpress.com/2009/10/sherlock-holmes.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Maggio 2010, 12:35:00
Frammenti di pipe, secondo round

Alessandro Baricco
OCEANO MARE

Un tavolo, di fianco alla vetrata di ingresso. Un uomo seduto al tavolo, una pipa spenta in mano.
Nessuno sa quando è arrivato lì. Magari è lì da un attimo, magari è lì da sempre.

Michael Ende
LA NOTTE DEI DESIDERI

Con un gesto stanco le fece cenno di lasciar perdere e si avvolse nel fumo della pipa. Poi, con la fronte rannuvolata, rimase lì a rimuginare tra sé e sé. Sapeva che lo aspettavano grosse seccature, molto presto per giunta, al più tardi a mezzanotte - allo scadere dell’anno.
La pipa che il mago fumava aveva la forma di un piccolo teschio, con occhi di
vetro verde che si accendevano a ogni boccata. Le nuvolette di fumo disegnavano nell’aria le figure più strane: numeri e formule, serpenti attorcigliati, pipistrelli, piccoli fantasmi, ma soprattutto tanti punti di domanda.

Valerio Evangelisti
TORTUGA

Le Bon sputò nella sabbia un grumo catarroso, poi portò alla bocca la pipa, come se volesse incrementare la consistenza dei suoi sputacchi. «Da governatore ha dato la caccia ai suoi ex compagni. Da filibustiere, nascondeva la quantità esatta del malloppo per ingannare i fratelli e ingrossare la propria spettanza.

Gnone Elisabetta
L'incanto del buio

Assorto nei suoi ricordi fantastici, il Capitano aspirava lunghe boccate e il tabacco
nella pipa sfrigolava e si accendeva di rosso, mentre il fumo si levava in larghi cerchi
sopra le nostre teste.
— E poi cosa accadde, Capitano?

Ken Follett
LO SCANDALO MODIGLIANI

Gli amici gli dicevano che il quadro era orribile e lui li mandava al diavolo, ribatteva che erano troppo ignoranti per capire che quella era l’arte del ventesimo secolo. Alla fine, quando gli passava, riconosceva che avevano ragione e buttava la tela in un angolo.» Il vecchio aspirò la pipa, si accorse che era spenta e prese i fiammiferi. L’incantesimo s’era spezzato.
Dee si protese in avanti sulla seggiola, dimentica dello spinello che le si consumava tra le dita. La sua voce era vibrante e intensa.
«Che fine hanno fatto quei quadri?»
Il vecchio riaccese la pipa, si appoggiò alla spalliera e aspirò, ritmicamente. A poco a poco il ritmo lo ricondusse nel mondo dei ricordi. «Povero Dedo» disse. «Non poteva pagare l’affitto.

La pigione dello spettro
Henry James

Forse la rivedrò qui?» dissi.
«Oh, sono un vecchio dalle giunture rigide», rispose, «e qui è piuttosto lontano, per me. Devo avermi dei riguardi. Qualche volta sono rimasto seduto per un mese intero a fumare la pipa in poltrona. Ma mi farebbe piacere rivederla.

La maschera
Robert W. Chambers

Si trattava di uno stravagante ritrovo per rimasugli e pezzi di logora tappezzeria. Una vecchia spinetta dal dolce suono, in buono stato, stava vicino alla finestra. C’erano diverse panoplie di armi, alcune vecchie e opache, altre lucide e moderne, supporti di armi Indiane e Turche sopra la cappa del camino, due o tre bei quadri, e un porta-pipe. Era qui che venivamo per godere dei nuovi effetti del fumo. Dubito che non vi fossero presenti in quel portapipe tutti i tipi di pipe esistenti. Quando ne avevamo trovata una, la portavamo immediatamente da qualche altra parte e la fumavamo; infatti il posto era, nel complesso, più deprimente e meno invitante di qualsiasi altro posto della casa. Ma quel pomeriggio il crepuscolo ebbe un effetto calmante; i tappeti e le pelli sul pavimento sembravano scuri e soffici e inducevano al riposo; il grande divano era pieno di cuscini.
Trovai la pipa adatta e mi distesi là per una insolita fumata. Ne avevo scelta una con un cannello lungo e flessibile, e nell’accenderla cominciai a sognare.

Brian Garfield
Il cacciatore di gloria

Dopo cena, si misero tutti e tre a sedere nella veranda. Il sole era dietro la casa e
loro restavano in ombra; mancavano ancora dieci minuti al tramonto. I rossi raggi
obliqui incendiavano Longshot Bluff e l’alta guglia sembrava un segnale di fuoco che
si stagliasse contro il cielo già scuro. L’uomo riuscì a far tirare la pipa come voleva
lui, poi spezzò il fiammifero e contemplò il ragazzo che era venuto a ucciderlo. —
Quanto ti pagano per il mio scalpo, figliolo?


(http://www.bachecaannunci.it/adpics/01042009153944.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Maggio 2010, 16:12:00
Aaaa le statistiche ,quale meravigliosa meraviglia,per citare Il Poeta:
 
quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in orïente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna
 PURGATORIO - Canto XIX

KEITH DEVLIN e GARY LORDEN

Il MATEMATICO e il DETECTIVE


Cobb illustrò la differenza per mezzo di un famoso esempio tratto dalla lunga lotta che medici e scienziati hanno dovuto combattere per vincere sulla potente lobby del tabacco e convincere i governi e la gente che fumare sigarette causa il cancro ai polmoni. La tabella 2 mostra i tassi di mortalità per tre categorie di persone: non fumatori, fumatori di sigarette e fumatori di sigari e pipa.
Non fumatori
20,2
Fumatori dì sigarette
20,5
Fumatori di sigari e pipa
35,3
Tabella 2. Tassi di mortalità per 1000 persone per anno.
A prima vista, le cifre nella tabella 2 sembrano indicare che fumare sigarette non è pericoloso mentre fumare sigari e pipa lo è. Ma le cose non stanno così. C’è una variabile cruciale che si cela dietro ai dati e che i numeri di per sé non rivelano: l’età. L’età media dei non fumatori in quell’indagine era 54,9 anni, l’età media dei fumatori di sigarette era 50,5 anni e l’età media dei fumatori di sigari e pipa era 65,9 anni. Utilizzando tecniche statistiche per tenere conto delle differenze di età, le cifre furono corrette nel modo illustrato dalla tabella 3.
Non fumatori
20,3
Fumatori di sigarette
28,3
Fumatori di sigari e pipa
21,2
Tabella 3. Tassi di mortalità per 1000 persone per anno, corretti per età.
Ora emerge un risultato molto differente, che indica che fumare sigarette è molto pericoloso.
Ogni volta che viene effettuato un calcolo delle probabilità sulla base dei dati osservativi, il massimo che in genere si può concludere è che esiste una correlazione tra due o più fattori. Ciò può essere sufficiente per stimolare ulteriori indagini, ma di per sé questo risultato non stabilisce un rapporto di causalità. C’è sempre la possibilità di una variabile nascosta che giace dietro la correlazione.


(http://www.alfredtpalmer.com/Italy008%20old%20woman%20with%20pipe.jpg.renditions/Italy008%20old%20woman%20with%20pipe_medium.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Maggio 2010, 21:47:04
La bellezza delle pipe avventurose

Henry Rider Haggard

Un autore che non ha bisogno di commenti se proprio si deve: http://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Rider_Haggard (http://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Rider_Haggard)

Le miniere di re Salomone

«Scusatemi», disse, sporgendosi verso di me attraverso la tavola e parlando con voce bassa e profonda, una voce perfettamente in carattere con i grossi polmoni da cui usciva. «Scusate, vi chiamate per caso Allan Quatermain?»
Risposi di sì.
L’omone non fece ulteriori commenti, ma lo sentii mormorare attraverso la barba «fortunatissimo».
Il pranzo finì in fretta. Mentre stavamo lasciando il salone, Sir Henry mi chiese se mi sarebbe andato di raggiungerlo nella sua cabina per una tirata di pipa. Accettai. Ci fece strada fino alla cabina-ponte del Dunkeld. Era una gran bella cabina.

Nella cabina c’era anche un divano, con un tavolinetto davanti. Sir Henry mandò lo steward a prendere una bottiglia di whisky e tutti e tre sedemmo e accendemmo la pipa.

«Che notizie avete avuto sul viaggio di mio fratello a Bamangwato?», chiese Sir Henry, mentre io facevo una pausa per riempire la pipa prima di rispondere a Good.
«Ho sentito dire», risposi, «e non l’ho detto ad anima viva fino ad oggi, che era partito in cerca delle miniere di re Salomone.»

«Bene, signor Quatermain», disse dopo un po’ Sir Henry, «avete pensato alla mia proposta?»
«Già», gli fece eco il capitano, «che ne pensate, signor Quatermain? Spero che ci farete l’onore di accordarci la vostra compagnia fino alle miniere di Salomone, o fino dove possa essersi spinto l’uomo che conoscete come Neville.»
Mi alzai e sgrullai la pipa prima di rispondere. Non mi ero ancora deciso e avevo bisogno di un momento in più per farlo. Prima che la brace della pipa raggiungesse l’acqua, la decisione era presa;

Orbene, ce ne stavamo tutti e tre seduti a chiacchierare, nell’affascinante chiarore lunare, osservando i Cafri che, a qualche metro di distanza, succhiavano il loro intossicante daccha in una pipa col bocchino fatto di corno di eland, finché, uno dopo l’altro, si arrotolarono nelle coperte e si addormentarono accanto al fuoco. Tutti eccetto Umbopa, che se ne stava seduto un po’ discosto (notai che non si mischiava mai molto agli altri Cafri) e teneva il mento poggiato sulla mano. Sembrava assorto in profonde meditazioni.

Tagliammo alcuni pezzi sostanziosi dell’inco che avevamo portato con noi, li arrostimmo sulla punta di alcuni rami appuntiti, come fanno ì Cafri, e li mangiammo con gusto. Dopo esserci ben ben riempiti, accendemmo le pipe e ci concedemmo al piacere del fumo che, paragonato alle traversie che avevamo appena superato, aveva davvero l’aria di un dono celeste.
Il ruscello, le cui rive erano coperte da fitte siepi di una specie di capelvenere gigante, intercalate qua e là da soffici ciuffi di asparagi selvatici, ci scorreva accanto, scrosciando allegramente; l’aria tiepida mormorava tra le foglie argentate degli alberi; alcune tortore tubavano nei dintorni, e uccelli dalle ali lucenti saltavano come gemme viventi di ramo in ramo. Sembrava il paradiso.

Dopo cena riempimmo le pipe e le accendemmo, procedura che lasciò di stucco sia Infadoos che Scragga. I Kukuana erano evidentemente all’oscuro dell’abitudine divina di fumare il tabacco. La pianta veniva coltivata da loro estensivamente, ma, come gli Zulu, l’usavano solo per annusare, non riuscivano assolutamente a riconoscerlo in questa nuova forma.

(http://i.dailymail.co.uk/i/pix/2008/11/01/article-0-02514544000005DC-133_233x423.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 12 Maggio 2010, 22:03:55
Ancora la coppia pipa e corna

Marc Brandell 1919- 1994

(a volte scritto Brandel) è lo pseudonimo dello sceneggiatore britannico Marcus Beresford
Nasce  a Londra, figlio dell’affermato scrittore John Davis Beresford. Studia al St. Catherine’s College (Cambridge) e al Westminster College. Durante la Seconda guerra mondiale è nella marina mercantile.
Nel 1945 pubblica il suo primo romanzo, a cui faranno seguito una decina di altri titoli nell’arco di quarant’anni. Dal 1951 fino alla fine degli anni Settata è un prolifico sceneggiatore di telefilm e film televisivi.

La mano

Il suo romanzo del 1979, The Lizard’s Tail, viene ripreso da Oliver Stone ed adattato per il film del 1981 dal titolo La mano, diretto da Stone stesso e interpretato da Michael Caine.


Il fatto accadde un venerdì, all’inizio di luglio: era uno di quei giorni d’estate talmente splendidi da fare dimenticare che esista l’inverno nel Vermont. Quel pomeriggio terminai di passare a penna Miguel verso le quattro. Firmai l’ultimo disegno di ogni fumetto, mi riaccesi la pipa e mi crogiolai nel solito senso di soddisfazione che accompagna la fine di ogni lavoro.

Nell’aria c’era odore di fumo stantio. Spalancai la finestra dietro il tavolo da disegno. Quello studio era stato ricavato da un vecchio granaio e aveva grandi finestre panoramiche. La prima settimana cinque uccellini erano morti andando a sbattere contro i vetri. Quel fatto mi aveva talmente angosciato che avevo fatto sostituire le grandi vetrate con dei finestrini a riquadri.
Stesi un foglio di carta sul tavolo da disegno. In ospedale mi ero allenato a usare la mano sinistra: riuscivo a riempire e ad accendere la pipa, ad allacciare tutti i bottoni della camicia tranne quello del polsino sinistro

Guardai la pipa che tenevo in mano, spenta. Anche Best stava fissandola. «Impossibile.» La infilai in tasca. «Non ho svuotato la pipa nel cestino della carta. Non lo faccio mai. E anche se lo avessi fatto il fuoco non avrebbe covato più di dieci ore fra le cartacce.»

«Perché? Vai da qualche parte?»
«Te l’ho detto. Vado a cena con Pierre.»
Sempre Pierre. Per tutta la sera avevo tentato di non pensare a quella sua lettera. Improvvisamente mi venne voglia della mia pipa: era nella tasca della giacca ai piedi del letto. Da quando aveva smesso di fumare Ruth mi aveva detto e ripetuto diverse volte che il fumo le dava noia e io alla fine mi ero rassegnato a fumare solo in sala da pranzo. Presi comunque la pipa e me la misi fra i denti. Solo allora, mordicchiandola e succhiandola, mi sentii calmo abbastanza per parlare di Pierre.
«Hai una relazione con lui?»
«Non una relazione.» Ruth continuava a spalmarsi il viso di crema. «Non in quel senso. No.»
«Non in quale senso?»
«Devi sempre essere così pignolo?»
«Vai a letto con lui?»
«Ma non capisci?» Il suo viso, quando si voltò, era pallido e lucido di crema; i suoi
occhi sembravano più scuri, come quelli di un panda. «Se la metti su questo tono travisi i fatti.»
Forse non comprendevo il suo vero “io”? «Ti ho fatto una domanda.»
«La solita storia. Mi consideri una tua proprietà. Come Miguel.»
«Che cosa c’entra Miguel adesso?» Eravamo perfino comici; Ruth con i suoi occhi da panda e io con la pipa spenta fra i denti. Me ne resi conto, ma non servì ad attenuare la mia infelicità. «Che cosa c’entra Miguel con Pierre?»

(http://4.bp.blogspot.com/_ak4M6LIRZI4/R0rUy34EAXI/AAAAAAAAACk/5nfip1kleW4/s320/pipa.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Maggio 2010, 01:10:24
Frederick Forsyth

Nato ad Ashford, nel 1938, Forsyth frequentò la Tonbridge School. Quindi l'Università di Granada, in Spagna. All'età di 19 anni, divenne uno dei più giovani piloti  che la Royal Air Force abbia mai avuto. Lasciò l'aviazione nel 1958.
Quindi diventò un giornalista. Trascorse tre anni e mezzo lavorando per un piccolo giornale, prima di venire assunto dalla Reuters nel 1961 come corrispondente da Parigi, e successivamente in Germania e Cecoslovacchia. Nel 1965 passò alla BBC come reporter, sia in radio che in televisione. In questi anni prepara le bozze per i suoi primi due romanzi: Il Giorno dello Sciacallo e Dossier Odessa.
Durante la guerra in Nigeria è in Biafra per conto della BBC, ove rimane fino alla fine del 1967. Sul posto conosce la realtà dei mercenari, che descriverà ne I mastini della guerra. Tornato a Londra, la sua indagine sulla guerra in Biafra viene giudicata poco obiettiva, cioè di appoggio alla causa dell'indipendenza della regione. Per questo motivo lascia la BBC.


Il giorno dello sciacallo

«Noi tutti qui conosciamo le limitate opportunità del Corpo di sorveglianza
presidenziale» disse il commissario Ducret, con voce inespressiva. «Il nostro tempo,
lo passiamo vicino alla persona del Presidente. Sono necessarie indagini molto più
vaste di quelle che potrebbero fare i miei uomini senza trascurare altri compiti di
primaria importanza.»
Nessuno lo contraddisse, perché ogni capo sezione sapeva perfettamente che quello
che Ducret aveva detto corrispondeva a verità. Roger Frey guardò ancora gli uomini
seduti intorno al tavolo, poi si soffermò con lo sguardo sulla figura corpulenta del
commissario Bouvier, all'altra estremità, avvolto da una cortina di fumo.
«Qual è il suo parere, Bouvier? Lei non ha ancora parlato.»
L'agente investigativo si tolse tranquillamente la pipa di bocca, riuscì con l'ultima
boccata di fumo intensamente aromatico a raggiungere in piena faccia Saint-Clair che
s'era girato verso di lui e cominciò a parlare con voce tranquilla, come chi espone
alcuni semplici fatti che gli sono appena venuti in mente.
Di conseguenza, a
me sembra che il nostro primo compito sia quello di dare un nome a quest'uomo:
senza, ogni altra proposta non ha alcun senso. Con un nome abbiamo una faccia, con
una faccia un passaporto, con un passaporto un arresto. Ma trovare il nome, e farlo in
segreto, è puro e semplice lavoro da agente investigativo.»
Tacque di nuovo e si infilò il cannello della pipa fra i denti. Quello che aveva detto
fu assimilato e meditato da ognuno degli uomini intorno alla tavola. E tutti lo
giudicarono ineccepibile.

(http://www.clipser.com/vimages/7fea637fd6d02b8f0adf6f7dc36aed93/d645920e395fedad7bbbed0eca3fe2e0/25de6b51f059080c2444e869d6569876d31.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Maggio 2010, 13:25:50
Frammenti 3

WILBUR SMITH
IL DESTINO DEL CACCIATORE

Prese di nuovo la pipa tra le labbra e si mise a succhiare tra rumorosi gorgoglii.
Quando finì di leggere il fascio di carte scritte a mano aveva le ciglia aggrottate.
Senza alzare lo sguardo si tolse la pipa di bocca e la batté con un colpetto contro la
parete dell’ufficio, lasciando schizzi di nicotina gialla sulla calce bianca
dell’intonaco. Riportò la pipa alla bocca e tornò alla prima pagina del documento. Lo
lesse di nuovo con attenzione, lo posò con cura davanti a sé e finalmente alzò il capo.

T. Jefferson Parker
CALIFORNIA GIRL

Lesse le lettere mentre Lynette riempiva una pipa di tabacco in briciole nere e l’accendeva
con un fiammifero da cucina. Poi lei rimase a guardarlo fumando in silenzio; Andy si
sentì come in vetrina. Di solito era lui con le sue domande a far sentire in quel modo
la gente. Però non c’era una domanda più innervosente di quel comportamento.
Lynette sembrava una gatta rannicchiata in quel modo, con i piedi sotto le cosce e gli
occhi nascosti dai capelli. Dopo un po’ la sorella di Janelle mollò la pipa e si fuse con
il divano.

Roger Zelazny
Il mio nome è legione

Ci riflettei sopra mentre si accendeva la pipa e il fumo invadeva le sue larghe basette bianche. Mi stava forse solo prendendo in giro, faceva del sarcasmo o diceva sul serio?
Come per rispondere a questa mia domanda, si alzò in piedi, attraversò la stanza e aprì il cassetto di uno schedario. Vi frugò dentro per un po’ e ne tirò fuori un mazzetto di schede perforate, tenendole come delle carte da poker. Le lasciò cadere sulla scrivania di fronte a me.
— Questo sei tu — disse. — La settimana prossima, come tutti gli altri, verrai inserito nel sistema. — Sbuffò un anello di fumo e si rimise a sedere.

Arthur Wiegall

Vita domestica di un gatto sacro

Una sera afosa stavo fumando la pipa seduto sulla veranda, quando la mia attenzione fu attirata da due topolini che erano strisciati fino a una zona erbosa illuminata dalla luna, davanti ai miei piedi, e che rosicchiavano impavidi le briciole di un cracker che avevo buttato a Pedro, qualche ora prima. Rimasi a guardarli in silenzio per un po’, senza accorgermi che Bastet li aveva a sua volta adocchiati e si stava preparando all’attacco. Non avevo nemmeno notato un enorme gufo bianco seduto tra le rose rampicanti, anch’esso pronto all’offensiva.
All’improvviso, il gufo piombò sui topi dall’alto e, nello stesso istante, Bastet balzò su di loro da una postazione laterale. Seguì un violento tafferuglio,
accompagnato da un turbinio di pelo e piume. Io caddi dalla sedia. Dopodiché, il gufo se ne andò, emettendo versi striduli, in una direzione e la gatta si precipitò nella direzione opposta, mentre i topi, praticamente avvinghiati l’uno all’altro, rimasero pietrificati per qualche istante, troppo inorriditi per muoversi.

Phillips Mark
Enigma 1973

Lewis era un uomo alto e robusto, dall'espressione cordiale. Portava pantaloni di flanella e giacca di tweed scuro che dava risalto ai capelli color grigio acciaio.
Stringeva tra i denti il cannello di una pipa, con tanta forza che Malone si chiese come facesse ad aprire ancora le mascelle. L'agente federale chiuse la porta e il presidente si alzò, tendendogli la mano.
Che cosa esattamente vi ha indotto a venire fin qui? — disse Sir Lewis Carter. Il presidente della SRP aveva acceso la pipa e soffiò una fragrante nuvola di fumo verso il tavolo.

Ken Follett
La cruna dell’ago

David la prese per la mano e la guidò fuori dall’acqua e attraverso gli alberi.
Indicò una vecchia barca di legno a remi, che marciva capovolta sotto un
biancospino. «Da ragazzo di solito remavo fin qui, portandomi dietro una delle pipe
di papà, una scatola di fiammiferi, e una presa di tabacco in un cartoccio. Questo è il
posto dove venivo a fumare.» Erano in una radura, completamente circondata da
cespugli. Il tappeto erboso sotto i loro piedi era pulito e morbido. Lucy si lasciò
cadere a terra.

Sergio Bambarén
Il Guardiano del Faro

Il guardiano sedeva al secondo piano, fissando fuori dalla finestra, osservando i gabbiani incrociare traiettorie nel cielo blu. La sua orgogliosa pipa di legno era accesa, e se la coccolava nella mano destra, tenendosela stretta come una vecchia amica.

Keith Roberts
Molly Zero

L’uomo si alza e va a un tavolino a prendere una pipa e la borsa del tabacco.
Riempie il fornello con aria assente, premendo il tabacco col pollice. — Cosa vuol
dire ne abbiamo avuto abbastanza? Abbastanza di che?

(https://www.thebackyshop.co.uk/images/Bulwark%20Flake%20Pipe%20Tobacco.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 15 Maggio 2010, 13:56:45
Grande saggezza indiana

MICHAEL BLAKE

nato nel 1945 in Texas
Ha studiato giornalismo all'Università del New Mexico, e successivamente  cinema, a Berkeley.
Oltre al lavoro di giornalista per il Los Angeles Monitors ha scritto romanzi da cui sono stati tratti numerosi film  di successo

BALLA COI LUPI

Sembrava chiaro che ero io il motivo di quella riunione. Ero certo di essere stato
condotto lì al solo scopo di consentire al vecchio di studiarmi da vicino.
È comparsa una pipa e gli uomini hanno cominciato a fumare. Era una pipa dal
cannello molto lungo e da ciò che ho potuto capire, il tabacco era una miscela
indigena molto aspra, perché ero l’unico a essere escluso dal fumarla.
Ero ansioso di fare una buona impressione e avendo desiderio di una delle mie
sigarette, ho cavato la borsa del tabacco e le cartine e le ho offerte al vecchio.
L’indiano tranquillo gli ha detto qualcosa e il vecchio capo ha allungato una delle sue
mani nodose, prendendo la borsa e le cartine. Le ha esaminate accuratamente, poi mi
ha guardato cautamente con quei suoi occhi dall’aria piuttosto crudele sotto le pesanti
palpebre e me le ha restituite. Non sapendo se la mia offerta fosse stata accettata, mi
sono comunque arrotolato una sigaretta. Mentre lo facevo, il vecchio sembrava
interessato.
Ho allungato la sigaretta verso di lui e l’ha presa. Di nuovo, l’indiano tranquillo ha
detto qualcosa e il vecchio me l’ha restituita. Con i gesti, l’indiano tranquillo mi ha
chiesto di fumare e ho aderito alla sua richiesta.
Mentre tutti stavano a osservare, ho acceso la sigaretta, ho aspirato e ho soffiato
fuori il fumo. Prima che potessi tirare un’altra boccata, il vecchio aveva allungato la
mano. Gliel’ho data. L’ha guardata dapprima con sospetto, poi ha aspirato come
avevo fatto io. E, come me, ha soffiato fuori il fumo. Poi ha portato la sigaretta vicino
alla faccia.
Con mio dispiacere, ha cominciato ad arrotolarla fra le dita con rapidi movimenti.
La cenere accesa si è staccata ed è uscito tutto il tabacco. Ha accartocciato con la
mano la cartina e l’ha gettata nel fuoco.
Ha cominciato a sorridere e l’uno dopo l’altro anche tutti gli uomini intorno
stavano ridendo.
Forse ero stato offeso, ma il loro buonumore era tale che ne sono stato contagiato.

Dunbar si accorse che Uccello Saltellante era più che consapevole della presenza
della donna seduta nell’ombra della tenda. Quando offrì per la prima volta la pipa al
suo visitatore speciale, lo fece gettando uno sguardo di lato verso di lei.
Il tenente Dunbar aveva bisogno di assistenza per riuscire a fumare la pipa e
Uccello Saltellante cortesemente lo aiutò a posizionare correttamente le mani sul
lungo cannello e a regolare l’angolatura. Il sapore del tabacco era aspro come il suo
odore, ma il tenente Dunbar lo trovò ricco di aroma. Una buona fumata. La pipa era
fantastica. Pesante quando l’aveva presa in mano, diventò straordinariamente leggera
non appena cominciò a fumare, come se avesse potuto sfuggirgli se avesse allentato
la presa.
Si scambiarono la pipa per alcuni minuti. Poi, Uccello Saltellante la depositò con
cura di fianco a lui. Guardò apertamente Mano Alzata e con un breve movimento del
polso le fece cenno di venire avanti.

Il vecchio era ancora notevolmente in forma
ed era la gobba del bisonte che aveva ucciso quella che stavano arrostendo per prima.
Quando fu pronta, Dieci Orsi stesso ne tagliò via un pezzo. Rivolse qualche parola al
Grande Spirito e onorò il tenente porgendogli il primo pezzo.
Dunbar fece il suo breve inchino, diede un morso e galantemente restituì il pezzo
di carne a Dieci Orsi, un gesto che impressionò notevolmente il vecchio. Accese la
sua pipa e onorò nuovamente il tenente offrendogli la prima boccata di fumo.
La pipa fumata davanti alla tenda di Dieci Orsi segnò l’inizio di una folle notte.
Tutti avevano un fuoco acceso e sopra ogni fuoco arrostiva della carne fresca: gobbe,
costolette e tutta una serie di altri tagli di carne scelta.

Per due giorni il villaggio festeggiò il suo trionfo. A tutti gli uomini vennero
tributati onori a profusione, ma un guerriero spiccava fra tutti. Era Balla-coi-lupi.
Durante tutti i mesi che aveva passato nelle pianure, la visione primitiva che
avevano avuto di lui era mutata molte volte. E ora il cerchio si era chiuso. Ora lo
vedevano in un modo che era molto vicino alla loro idea originaria. Nessuno si fece
avanti per proclamarlo un dio, ma nel modo di vivere di quella gente era la migliore
alternativa subito dopo questo.
A qualsiasi ora del giorno era possibile vedere dei giovani guerrieri che
ciondolavano attorno alla sua tenda. Le ragazze da marito civettavano apertamente
con lui. Il suo nome era in cima ai pensieri di tutti. Nessuna conversazione,
qualunque fosse l’argomento, seguiva il proprio corso senza qualche accenno a Ballacoi-
lupi.
Il massimo encomio venne da Dieci Orsi. Con un atto che non aveva precedenti,
fece dono all’eroe di una delle sue pipe.

(http://www.adsic.it/wp-content/uploads/2007/09/balla_coi_lupi.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Maggio 2010, 14:57:39
in un capitolo la sua amicizia con Gianni Brera,la pipa e i sigari accennati fugacemente,
ma si parla di un Gianni autentico.

TITO STAGNO SERGIO BENONI

MISTER MOONLIGHT

Brera era spesso brusco, sgarbato. Ma a me voleva bene. Aveva capito che con Tito, se voleva, poteva togliersi la maschera e lasciarsi un po’ andare. In quella sua stanza al Flora - un covo impestato dal fumo giallastro della pipa e dei sigari, con un disordine che avrebbe fatto tremare Hemingway - ci siamo scolati intere magnum di whisky millenari, facendo l’alba a parlare di calcio, di boxe, di colleghi stronzi o semplicemente cornuti. Gli avevo raccontato del mio scontro con Biagi. E di quell’altra volta, all’inizio della carriera al tg, che il buon Schepis si era lasciato scappare una battuta vagamente minacciosa. «La vedi questa?», gli avevo urlato, stringendo la boccetta d’inchiostro che teneva sul tavolo. «Sai cosa succede se te la getto in faccia? Nulla, perché mi hanno appena consegnato questo certificato: astenia neurovegetativa. Così, mentre ti rimetti in sesto, io me ne vado al mare... a curarmi».
Brera rideva e tossiva come un ossesso, sembrava che il cuore gli dovesse esplodere da un momento all’altro. Diceva che quando mi arrabbiavo gli sembravo un bandito sardo, «con quel muso da cinghiale». Per tutta la vita ha cercato di mettermi al tappeto con l’alcol, ma non gli ho mai dato la soddisfazione. Sin dalla prima volta che sono andato a trovarlo, sul lago di Pusiano, nella sua casa di campagna. Dovevo fargli firmare un contratto da commentatore per la Domenica Sportiva. Nel 1976, dopo l’infame riforma Rai, mi avevano mandato in esilio allo sport e a quel punto, stanco di lottare contro i mulini a vento, avevo scelto di fare di necessità virtù. La mia idea era quella di trasformare il programma della domenica notte, dando la precedenza ai servizi filmati, ma facendo intervenire dal vivo, in studio, uomini di sport che fossero personaggi. Ecco allora Nereo Rocco, Ugo Tognazzi, Omar Sivori. Ecco un corsivista geniale come Beppe Viola. Ecco, soprattutto, il grande Brera. L’intellettuale, il mito del giornalismo sportivo italiano. Ma anche l’autore di romanzi come Naso bugiardo e Il corpo della ragassa.
Così, una sera, in compagnia del fido Carlo Sassi, re indiscusso della moviola, alla guida di un’auto fiammante, mi avventuro in località Bosisio Parini, nella tenuta di campagna vicino a Lecco dove il grande scrittore lombardo si lasciava invecchiare tra le innumerevoli bottiglie del suo prediletto barbaresco e allevava galline prodigiose in grado di sfornare uova gigantesche che lui divorava, fritte nel burro e ricoperte di tartufo d’Alba. L’Orco Brera mi accoglie con in mano una bottiglia di champagne («Almeno non dirai che sono un taccagno» ), ma dopo la firma del contratto ci sediamo a tavola e passiamo alla sua vera passione: il vino rosso. Fiumi di sublime
barbaresco scorrono su quella tavola, bicchiere dopo bicchiere, portata dopo portata, bestemmia dopo bestemmia, risata dopo risata. L’intento di Brera era chiaro: vedermi soccombere, portarmi al collasso, infliggermi un’umiliazione che avrebbe segnato per sempre i nostri rapporti. E invece tengo duro. Mi alzo reggendomi al bordo del tavolo come per caso e non per assoluta necessità, riesco chissà come a tenere una traiettoria diritta, da 10 e lode, sino alla porta, saluto affettuosamente Sua Perfidia, salgo in macchina accanto al mio autista - praticamente astemio, beato lui - e alla prima curva lo faccio fermare. Il pregiato rosso delle Langhe inonda la moquette dell’auto e un’intera piazzola di servizio.
In quella sua stanza al Flora, dove quando era a Roma si barricava per intere giornate a scrivere, fumare e bere, non ho mai visto l’ombra di una femmina. L’unica ammessa era probabilmente mia moglie Edda. Per la quale aveva una sorta di adorazione. Riconosceva in lei la solidità e la schiettezza delle donne padane di una volta: poche chiacchiere e la naturale propensione a fare tesoro di ogni più piccola e insignificante esperienza. Edda ha sempre esercitato un fascino particolare sugli intellettuali. Negli anni Sessanta, la nostra casa era diventata grazie a lei un cenacolo di artisti e uomini di cultura. Di ritorno dai miei pellegrinaggi forzati (Stati Uniti, Estremo Oriente, Terra Santa, Sud America, Australia...) mia moglie, per farmi tornare il buon umore, mi accoglieva con belle cene alle quali invitava poeti come Rafael Alberti, Alfonso Gatto e Yves Lecomte, i pittori José Ortega, Valeriano Trubbiani e Giulio Turcato, attori, gente di spettacolo e scrittori come Zavattini, Giuseppe Berto, Roberto Gervaso. E poi gli amici di sempre. Brando Giordani e Fabiano Fabiani con le mogli, Ruggero Orlando, quando era di passaggio a Roma.
Al termine di una di quelle cene, tutti un po’ su di giri, una sera finiamo a chiacchierare sdraiati sul grande tappeto del soggiorno, con la schiena appoggiata ai divani. Si parla dello snobismo di certi ambienti intellettuali.


(http://www.paviacalcio.altervista.org/images/brera111.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Maggio 2010, 17:56:47
Michael Krüger

Nato nel 1943 a Wittgendorf, in Sassonia. Attualmente vive a Monaco di Baviera, dove dirige la casa editrice Hanser Verlag, di chiara fama internazionale.
Dal 1976 a oggi ha pubblicato circa trenta opere alternando con sorprendente assiduità raccolte di poesie, romanzi e novelle.
É responsabile della rivista letteraria Akzente e instancabile curatore di volumi di poesie.

POCO PRIMA DEL TEMPORALE
(antologia di versi)

Dove sono nato

(La traduzione è delle più ignobili,l'editore quasi a scusarsi che la poesia tradotta si è trasformata in una ciofeca,scrive:
"Si ricorda che la formattazione dei testi e la scelta dei vocaboli è ESATTAMENTE come nel testo originale, nulla è stato variato".)


Mio nonno sapeva riconoscere più di cento uccelli
dal loro verso, senza contare i dialetti,
che venivano parlati nelle siepi,
scuole buie dietro la cascina,
dove erano di guardia gli stiaccini.
Mio nonno era uno specialista di patate.
Le cavava con le mani, le spezzava con i pollici,
che si facevano bianchi,
mi faceva leccare dove si erano rotte.
Farinose, buone per maiali e uomini.
Anche dopo l'espropriazione continuava a credere, ad ogni costo, in Dio,
perciò dovevo scavargli le patate del campo di una volta.
Come su quadri olandesi nuvole pesanti attraversavano il cielo sassone,
venivano dalla Russia e dalla Polonia e proseguivano verso ovest,
il loro carico diventava così leggero,così trasparente e fine,
che in Francia venivano vendute per seta.
All'ovest, diceva, hanno luogo trasformazioni, veniamo trasformati.
In paese mancavano alcuni dei suoi amici;
erano in Russia a caricare le nuvole.


Mia nonna usava il ferro per i ricci,
per mettere in piega i suoi capelli sottili.
Bisogna presentarsi al Signore ben pettinati.
Questi di solito veniva di notte, quando io ero già a dormire,
si sedeva sulla sponda del letto e con lei conversava in sassone.
Bisbigliavano entrambi come se avessero un segreto.
A volte erano cortesi l'uno con l'altra,
altre volte invece litigava con lui
come con il nonno quando posava il suo occhio di vetro accanto al piatto.
Mettendolo alla rovescia si riesce a guardare all'interno, dentro la testa,
dove vivono i pensieri,
diceva caricando la pipa con produzione propria,
che era appesa alla parete accanto al tavolo,
foglie flosce,infilzate a filari.
Le maniche della giubba del nonno erano cosparse di cicatrici.
Come i tuoi polmoni, ripeteva la nonna,
tutte e due di materia materiale marrone.
Così scorrevano le giornate.
A cena c'erano patate con o senza salsa.
Quando alla cascina si macellava trovavo carne bollita nel mio piatto,
ma non dovevo chiedere com'era arrivata da noi.
La carne bollita vola, ecco tutto!
Mi figuravo dio come una persona, disposta a sopportare ogni cosa.


Mio nonno non leggeva più.
I libri ce li ho tutti in testa, diceva,
ma in gran disordine.
In cambio narrava volentieri, e soprattutto del re,
a quanto diceva si era interessato a lui.
A caccia avrebbe dovuto portargli una lepre a tiro,
ma il nonno aveva nascosto la bestia sotto il suo pastrano.
Ancora oggi sento battere il cuore della lepre,
esclamava toccandosi il punto, dove era appeso il suo orologio.
Le lepri hanno un cuore debole di cui non ci si può fidare.
Anche dallo stato non c'era da aspettarsi molto.
Quando la nonna non era in camera ascoltavamo la radio,
voci taglienti,
che facevano tremare il fumo della sua pipa.
Mascalzoni, diceva mio nonno,
che in verità non imprecava mai.
La musica era di casa nelle vicinanze di Beromünster,
un giorno ci andremo,
diceva, e ascolteremo Bach e Caikovskij.
Poi si addormentava.
Sull'occhio di vetro la palpebra non era mai chiusa del tutto.


(http://www.istanbulsiirfestivali.org/dosyalar/site_resim/ek_resim/michael%20kruger.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Maggio 2010, 23:21:15
Di lui abbiamo già parlato,fuma e scrive ogni volta qualcosa di  fantasticamente sublime,
il suo tabacco ha profumo e aroma d'infinito.

Ray Bradbury

Terriccio gratis

— Non scavate mai in inverno? Per qualche funerale particolare? Un morto
particolare?
— Alcuni cimiteri hanno delle specie di badili a tubo. Pompano acqua bollente
attraverso la lama; si può dar forma a una fossa in poco tempo con quei cosi, come
posare mine. Noi non si va d’accordo con quelle cose. Picconi e badili.
Il ragazzo esitò: — Non è mai preoccupato?
— Vuol dire, se non ho mai paura?
— Be’... Sì.
Dopo un po’, il vecchio tirò fuori una pipa, la riempì di tabacco che pressò con un
pollice calloso, l’accese, soffiò fuori una lunga nuvoletta di fumo.
— No — disse alla fine.
Il ragazzo si ingobbì.
— Deluso? — gli chiese il vecchio.
— Pensavo, forse, almeno una volta...
— Oh, quando si è giovani, forse. Una volta...
— Allora c’è stata un’occasione! — il ragazzo risalì di un gradino.
Il vecchio gli lanciò un’occhiata tagliente, poi riprese a fumare. — Una volta. —
Fissava le colline rivestite di marmo e gli alberi scuri. — Questo cimitero
apparteneva già a mio nonno. Io sono nato qui. Il figlio di un becchino impara a
ignorare certe cose.
Il vecchio inspirò alcune volte e continuò: — Avevo solo diciotto anni, i vecchi via
in vacanza, io qui a occuparmi di tutto, da solo, tagliare l’erba, scavare fosse, e così
via. Da solo, quattro fosse da scavare in ottobre. Dal lago venne un freddo cane,
ghiacciò le fosse, le lapidi sembravano coperte di neve, il terreno così gelato da
diventare compatto.
“Una notte uscii. Niente luna. L’erba era dura sotto le suole, mi vedevo il respiro,
tenevo le mani in tasca, camminavo, ascoltavo.”
Il vecchio esalò dei fragili fantasmi dalle narici sottili. — Poi sentii quel suono.
Restai pietrificato. Era una voce, gridava. Qualcuno si era risvegliato nella bara, mi
aveva sentito camminare e si era messo a gridare. Rimasi lì immobile. Gridava e
gridava. La terra vibrava. In una notte così fredda, il suolo diventa come porcellana,
risuona, capisce?
“Bene...” il vecchio chiuse gli occhi per ricordare. “Me ne stavo lì come se il vento
freddo del lago mi avesse gelato il sangue. Uno scherzo? Mi guardai attorno e pensai
‘Immaginazione!’ No, era sotto i miei piedi, acuta, chiara. Voce di donna. Conosco
tutte le lapidi!” Le palpebre del vecchio tremarono. “Posso elencargliele in ordine
alfabetico, o per anno, mese, giorno. Scelga un anno qualsiasi e vedrà. Che ne dice
del 1899? Se ne andò Jake Smith. E 1923? Perdemmo Betty Dallman. E 1933? P.H.
Moran! Scelga un mese. Agosto? Agosto, l’anno scorso, Henrietta Wells, seppellita.
Agosto 1918? Nonna Hanlon, l’intera famiglia! Influenza! Scelga un giorno, il
quattro di agosto? Smith, Burke, Shelby portati via. Williamson? E su quella collina,
marmo rosa. Douglas? Vicino al canalone...”
— La storia — lo sollecitò il ragazzo.
— Eh?
— La storia che stava raccontando.
— Oh, la voce da sottoterra? Bene, conosco tutte le pietre. Senza muovermi da
dove mi trovavo, avevo indovinato che quella era la voce di Henrietta Fremwell, una
ragazza a posto, aveva ventiquattro anni, suonava il piano al teatro Elite. Alta,
aggraziata, bionda. Come sapevo che era la sua voce? Lì dov’ero c’erano solo tombe
di uomini. La sua era la sola che appartenesse a una donna. Feci un salto e appoggiai
un orecchio sulla lapide. Sì! La sua voce, lì sotto, che gridava!
“‘Signorina Fremwell!’ urlai.
“‘Signorina Fremwell!’ urlai di nuovo.
“La sentivo, là sotto, adesso piangeva soltanto. Forse mi aveva sentito, forse no.
Piangeva soltanto. Mi lanciai giù dalla collina così in fretta che scivolai e mi ferii la
testa su una lapide. Mi rialzai gridando a mia volta! Tutto sporco di sangue, raggiunsi
il capanno degli attrezzi e trascinai fuori un badile e qualcos’altro. Poi rimasi lì, nella
luce della luna con un badile in mano. Il suolo era ghiaccio compatto, compatto. Mi
appoggiai a un albero. Mi ci sarebbero voluti tre minuti per tornare alla tomba della
ragazza e otto ore per scavare, in quella notte gelida, fino alla sua cassa. Il terreno era
come vetro. Una bara è una bara; c’è solo quel tanto d’aria. Henrietta Fremwell era
stata seppellita due giorni prima della gelata, aveva dormito per tutto quel tempo,
consumando aria. Proprio prima che venisse il freddo, aveva piovuto. La terra sulla
bara della ragazza si era imbevuta d’acqua piovana e poi era ghiacciata. Avrei dovuto
scavare per quasi otto ore; ma piangendo in quel modo, Henrietta doveva aver
consumato quasi tutta l’aria.”
Il vecchio aveva lasciato spegnere la pipa. Si dondolò nella sua sedia, avanti e
indietro, avanti e indietro, in silenzio.
— Ma — chiese il ragazzo — che cosa ha fatto?
— Niente — rispose il vecchio.
— Niente!?
— Non c’era niente che potessi fare. Il terreno era compatto come roccia. Neanche
sei uomini avrebbero potuto scavare quella fossa. Non c’era acqua calda lì vicino. E
la ragazza poteva aver gridato per ore prima che io la sentissi... così...
— Lei non ha fatto... nulla?
— Qualcosa... Ho rimesso via nel capanno badile e piccone, l’ho chiuso a chiave e
sono tornato a casa. Mi sono acceso un fuoco e ho bevuto una cioccolata calda,
tremavo e tremavo. Lei si sarebbe comportato in modo diverso?
— Io...
— Avrebbe scavato per otto ore nel ghiaccio, duro come roccia, per raggiungere
quella donna solo quando fosse stata già morta, davvero morta, per la disperazione, il
freddo, la mancanza d’aria, e solo per doverla seppellire di nuovo? E poi avrebbe
avvisato i genitori e glielo avrebbe raccontato?

Ancora una volta

Black, alla fine accese la pipa e proferì una teoria.
— Ti è mai capitato di chiederti — meditò dietro una nube di fumo — in quale
stagione dell’anno ci troviamo?
— Stagione dell’anno? — rispose Fentriss, esasperato.
— Be’, per caso, la notte in cui il tuo albero cadde e i minuscoli canzonettisti
lasciarono la città, non era la notte dell’equinozio d’autunno?
Fentriss chiuse una mano a pugno e si colpì la fronte.
— Vuoi dire?
— I tuoi amici hanno abbandonato il pollaio. Al momento, dovrebbero trovarsi più
o meno sopra San Miguel Allende.

Ma in quale città, sotto quale albero, di quale specie, dovrò fermarmi dopo aver a
lungo vagato? Un albero come il mio? I miei uccelli vanno alla ricerca di posatoi tutti
della stessa famiglia? o in Ecuador o in Perù qualsiasi albero andrebbe bene? Dio,
potrei sprecare dei mesi cercando di trovarli e tornare indietro con mangime per
uccelli nei capelli ed escrementi di volatili sui risvolti della giacca. Cosa facciamo,
Black? Parla!
— Bene, per prima cosa — Black riempì e riaccese la pipa, esalando pensieri
profumati — puoi liberarti questo ceppo e piantare un nuovo albero.
La conversazione si era svolta attorno al ceppo, da dogli, in cerca di ispirazione,
dei calci di tanto in tanto Fentriss si bloccò con un piede a mezz’aria. — Dillo
ancora?!
— Ho detto...
— Povero me, sei un genio! Lascia che ti baci!
— Preferirei di no. Forse potresti abbracciarmi.
Fentriss l’abbracciò, tutto eccitato. — Amico!
— Lo sono sempre stato.
— Andiamo a prendere un badile e una vanga.
— Vai tu. Io starò a guardare.
Un minuto più tardi, Fentriss tornò indietro di corsa con una vanga e un piccone.
— Sei sicuro di non volerti unire a me?
Black succhiò la pipa, esalò del fumo, — Più tardi.
— Quanto potrebbe costare un albero già alto?
— Troppo.
— Sì, ma se l’albero fosse qui e gli uccelli tornassero?
Black espirò dell’altro fumo. — Potrebbe essere un. buon affare. Opera numero
due: “L’inizio” di Charles Fentriss, una cosa simile.
— “L’inizio”, o forse, “Il ritorno”.
— Uno dei due.
— Oppure — Fentriss colpì il ceppo con il piccone — “Rinascita”. — Colpì
ancora. — “Ode alla gioia”. — Un altro colpo. — “Raccolto di primavera”. — Un
altro. — “Nuova musica dal Paradiso”. Che te ne sembra, Black?
— Preferivo l’altro — gli rispose Black.

(http://www2.colum.edu/bigread/images/ray_bradbury.gif)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Maggio 2010, 21:29:34
Creatura dell’inverno, della vegetazione o della notte, Babbo Natale fu per molto tempo rappresentato o in bianco o in verde o ancora in blu.
Poi all’improvviso, per iniziativa della Coca-Cola, il rosso si è imposto ,dopo è scomparsa la pipa.

Arnaud d’Apremont


La vera storia di Babbo Natale


Questo breve racconto rappresenta la primiere americana di Babbo Natale. Infatti nel dilizioso libro di Clement C. Moore, scritto nel 1822, compare per la prima volta Oltreoceano questo buffo vecchiatto, paffuto, bestito di pelliccia con un sacco di giocattoli sulle spalle. Entrano in scena anche la slitta e le renne "più veloci delle aquile"
L'iconografia di Babbo Natale è dunque relativamente recente e, nonostante il sempre più massiccio sfruttamento commerciale, ha mantenuto il suo fascino, almeno agli occhi dei più piccoli. E i pasticcieri non devono dimenticare che nel sacco, che l'allegro e rubicondo veccio dalla grande barba bianca porta sulle spalle, oltre ai giocattoli, c'è sempre tanto spazio per dolcetti, gelatine, cioccolatini ed altre leccornie artigianali.

Era la notte prima di Natale e tutta la casa era in silenzio,
nulla si muoveva, neppure un topino.
Le calze, appese in bell'ordine al camino,
aspettavano che Babbo Natale arrivasse.

I bambini rannicchiati al calduccio nei loro lettini
sognavano dolcetti e zuccherini;
La mamma nel suo scialle ed io col mio beretto
stavamo per andare a dormire
quando, dal giardino di fronte alla casa, iunse un rumore
Corsi alla finestra per vedere che cosa fosse successo,
spalancai le imposte e alzai il saliscendi.

La luna sul manto di neve appena caduta
illuminava a giorno ogni cosa
ed io vidi , con mia grande sorpresa,
una slitta in miniatura tirata da ott minuscole renne
e guidata da un piccolo vecchio conducente arzillo e vivace;
capii subito che doveva essere Babbo Natale.

Le renne erano più veloci delle aquile
e lui le incitava chimandole per nome.
"Dai, Saetta! Dai, Ballerino!
Dai, Rampante e Bizzoso!
Su, Cometa! Su, Cupido! Su, Tuono e Tempesta!
Su in cima al portico e su per la parete!
Dai presto, Muovetevi!"

Leggere come foglie portate da un mulinello di vento,
le renne volarono sul tetto della casa,
trainando la slitta piena di giocattoli.

Udii lo scalpiccio degli zoccoli sul tetto,
non feci in tempo a voltarmi che
Babbo Natale venne giù dal camino con un tonfo.
Era tutto vestito di pelliccia, do capo a piedi,
tutto sporco di cenere e fuliggine
con un gran sacco sulle spalle pieno di giocattoli:
sembrava un venditore ambulante
sul punto di mostrate la sua mercanzia!

I suoi occhi come brillavano! Le sue fossette che allegria!
Le guance rubiconde, il naso a ciliegia!
La bocca piccola e buffa arcuata in un sorriso,
la barba bianca come la neve,
aveva in bocca una pipa
è il fumo circondava la sua testa come una ghirlanda.
Il viso era largo e la pancia rotonda
sobbalzava come una ciotola di gelatina quando rideva.
Era paffuto e grassottello, metteva allegria,
e senza volerlo io scoppiai in una risata.
Mi fece un cenno col capo ammiccando
e la mia paura spari,

non disse una parola e tornò al suo lavoro.
Riempì una per una tutte le calze, poi si voltò,
accennò un saluto col capo e sparì su per il camino.
Balzò sulla slitta, diede un fischio alle renne
e volò via veloce come il piumino di un cardo.
Ma prima di sparire dalla mia vista lo udii esclamare:
Buon Natale a tutti e a tutti buona notte!

Santa Claus, il san Nicola del pastore protestante Moore non è il vescovo cristiano tradizionale, ma un piccolo elfo paffuto, uno spirito magico del solstizio d’inverno nordico.
Allo stesso modo Dickens metterà in scena i suoi spiriti del Natale passato, del Natale presente e del Natale futuro nel suo Racconto di Natale.
Le caratteristiche essenziali del «nostro» Babbo Natale sono tutte presenti: abiti di pelliccia (niente indica, tuttavia, che l’abito sia rosso, ma si dice che è coperto di fuliggine),
una folta barba bianca, la pipa (attributo del quale è stato privato da diverse legislazioni recenti),



(http://www.britannica.com/blogs/wp-content/uploads/2008/12/santa.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Maggio 2010, 14:35:56
In un'altra traduzione si parla di problema da tre pipe,chissà poi di che legno sarà stata la pipa nera di abete?
(It is quite a three pipe problem, and I beg that you won't speak to me for fifty minutes. )

Arthur Conan Doyle

La Lega degli uomini dai capelli rossi

— Va bene, signor Wilson. Sarò felice di esprimere la mia opinione sull’intera faccenda nel giro di un paio di giorni. Oggi è sabato, io spero entro lunedì di giungere a una conclusione.
— Bene, Watson — disse Holmes quando il nostro visitatore ci ebbe lasciati — che cosa ne pensi?
— Non ne penso nulla — risposi con franchezza. — È una faccenda alquanto misteriosa.
— Di regola — disse Holmes — più bizzarra si dimostra una cosa e meno misteriosa è. È il vostro luogo comune, i delitti senza caratteristiche sono veramente sorprendenti, proprio come la faccia ordinaria è la più difficile da identificare, ma io devo essere pronto per questa faccenda.
— Allora, che cosa farete? — chiesi.
— Fumerò — rispose — è un problema che richiede tre fumate e io vi chiedo di non parlarmi per almeno cinquanta minuti. — Poi si sistemò sulla sua sedia con le ginocchia magre raccolte fino a toccare il naso simile a quello di un falco, e restò lì con gli occhi chiusi e la pipa nera d’abete che sporgeva come il becco di qualche strano uccello. Ero giunto alla conclusione che si fosse addormentato, mentre invece faceva dei cenni con il capo e improvvisamente saltò su dalla sedia con i gesti di un uomo che è giunto a una decisione, poi posò la pipa sulla mensola.
— Questo pomeriggio alla St. James’s Hall ci sono le commedie di Sarasate — osservò — cosa ne pensate Watson? I vostri pazienti potrebbero fare a meno di voi per qualche ora?


(http://4.bp.blogspot.com/_AvrEgmWvcNk/SkJdYQEOpzI/AAAAAAAAB3U/ELs3iMpUK60/s400/sherlock-holmes-thomas-watson.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Maggio 2010, 15:09:45
Posto questo brano anche se la pipa è nominata una sola volta,però è inserita fra i modi di vivere di quel tempo.
Con uno spazio tutto suo,un suo ruolo e pari importanza con altri simboli e miti dell'epoca.
Non senza nostalgia si possono fare paragoni con  periodi successivi dove si perde ogni traccia della pipa e anche del suo grande ruolo di socializzazione.
Gli odierni status sono diversi,auto,internet,telefonino,tv,avvicinano quello che è lontano,ma isolano dai rapporti col "prossimo" più vicino.



Marco Ventura

IL CAMPIONE E IL BANDITO

La vera storia di Costante Girardengo e Sante Pollastro
Prologo
La storia che voglio raccontare è cominciata molti anni fa, quasi un secolo, e non è ancora finita.È la storia dell’amicizia tra Sante Pollastro, famoso bandito degli anni venti, e Costante Girardengo, primo campionissimo del ciclismo.
De gregori la narra con la sua canzone: «due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta, un’unica passione per la bicicletta».

Il quartiere italiano a Parigi, La petite Italie, era un concentrato di baracche tappezzate di carta di giornale contro gli spifferi, gabinetti in comune e cortili coltivati a zucchine con cui sfamare la prole, e vecchi che vegetano nei ripostigli delle scope. I mariti erano tutti visionari della dittatura del proletariato. Le donne battezzavano i figli di nascosto.
Negli anni venti, la comunità italiana si arricchisce degli esuli e dissidenti antifascisti. Crescono i cenacoli culturali italo-francesi. Parigi nel 1925 significa le nostalgie elencate da Armand Lanoux in Paris, 1925 (Il Saggiatore, 1958): la chitarra, lo xilofono, il pacchetto di tabacco e la pipa in terracotta dell’austerità cubista; il porto, lo stadio, il cronometro, l’allenamento, il massaggio; Paul Morand e Montherland; il locale notturno, la carlinga, la cupola, la villa, il sassofono negro e la capitana dell’esercito della salvezza; i volumi della psicoanalisi e i trattati sulla relatività; la tessera di residente privilegiato, il passaporto falso, il cosmopolitismo, il lirismo delle macchine; la mano in gesso di Cocteau, lo studio di Philippe Soupault su Lautréamont, le canzoni di Damia e di Yvonne Georges, le edizioni della Sirena, la mano tagliata di Cendrars, il coltellaccio corso di Francis Carco, Fantomas riveduto da Robert Desnos; l’assassino, il gangster e la ballerina spia;
i locali con pareti rosse laccate, lanterne di colore, globi a specchio, orchestre di tango e jazz, i dancing, il Charlestone lanciato da Josephine Baker al music-hall dei Champs Elysées, il giocatore alle corse, l’entraineuse, il barman, il gigolò; le 184 sale cinematografiche importanti, Rodolfo Valentino che si accinge a presentare Aquila nera in una festa di beneficenza e il suo solo apparire guarisce una ragazza;
la danza dei panini della Febbre dell’oro di Chaplin; le invettive Dada, gli atelier dei pittori, l’amore a prima vista tra la bionda vallona Lucie e il pittore Foujita che la espone nuda al Salone d’Autunno; la paglietta di Maurice Chevalier, la Renault 40 CV e la moda di Tutankamon, i romanzi degli autori con la M (Morand, Mauriac, Malraux, Montherland e Mac Orlan), l’architettura Gomma e i mobili di Sauvage, Mistinguett e Chevalier...


(http://aver.myblog.it/media/02/02/562040427.JPG)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Maggio 2010, 12:14:27
Paula Fox

È nata a New York il 22 aprile 1923. Figlia di uno sceneggiatore alcolizzato e di una giovane psicolabile, la Fox fu abbandonata in orfanotrofio e poi adottata. A sei anni viene affidata per poi vivere un lungo periodo a Cuba
Dal 1955 al 1958 ha frequentato la Columbia University.Negli anni Settanta ha scritto e pubblicato sei romanzi, di cui Quello che rimane è diventato anche un film nel 1971, diretto da Frank D. Gilroy e interpretato da Shirley McLaine.
Paula Fox è la nonna della cantante e attrice Courtney Love, ex moglie del leader dei Nirvana, Kurt Cobain.(il cerchio si chiude)
 
IL GATTO CON UN OCCHIO SOLO

La vigilia di Natale, poi, l’albero avrebbe pervaso tutta la chiesa del suo meraviglioso profumo e si sarebbe sentito l’aroma di menta dei bastoncini di zucchero. Ma lui non ci sarebbe stato! Sarebbe stato in viaggio verso Charleston con zio Hilary.
Il signor Scully gli stava dicendo che era così contento che forse avrebbe festeggiato fumando un po’ di buon tabacco, benché con tutta probabilità ormai la sua scorta si fosse seccata e non valesse neppure la pena di accendere la pipa. Questa era in salotto e quando il padrone di casa andò a prenderla Ned annusò l’aria fredda che sapeva di mele. David Scully teneva la cesta con i frutti in quella stanza, insieme a un sacco di patate e a uno di cipolle. Il vecchio tornò in cucina con la pipa di schiuma. Il suo fornello era decorato con l’incisione di un Collie. Ned ebbe la sensazione che il signor Scully fosse più in forze che mai, non lo vedeva così da molto tempo... Lo osservò mentre riempiva con gesti rapidi il fornello, pressava il tabacco, prendeva un fiammifero dal davanzale della finestra e lo accendeva.
— Il nostro gatto tornerà e io gli darò da mangiare — precisò il vecchio. — Avrà fame, ora, e vorrà recuperare le forze. La signora Kimball mi ha portato un pollo, ieri. Gliene darò un po’. Vedrai... presto ce lo ritroveremo intorno e correrà come non l’hai mai visto.
Un pomeriggio in cui il suolo del bosco era spugnoso per via della neve che si stava sciogliendo e Ned era in piedi sotto la veranda dei Makepeace, le calosce bagnate fradicie, vide in lontananza il guizzo di qualcosa di strano, un barlume in movimento, rapido e indeterminato, proprio là dove il prato finiva e cominciava il bosco. Scrutò il punto esatto in cui ciò era avvenuto come se lo stesse esaminando al microscopio. Era il gatto. O almeno, un gatto. Mentre il ragazzo guardava, l’animale
scomparve, come uno sbuffo di fumo della pipa del signor Scully catturato da una corrente d’aria. Aveva qualcosa in bocca.


(http://img684.imageshack.us/img684/4396/gatto2.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Maggio 2010, 23:22:46
Ancora qualche pipa caricata a gris

GEORGES SIMENON

Il morto di Maigret

«Le dicevo, signor commissario...».
«Un momento, signora, la prego!».
Si riempì accuratamente la pipa continuando a guardare dalla finestra.
Quella vecchia, con le sue storie di avvelenamenti, gli avrebbe fatto perdere l’intera mattina, se non di più. Si era portata un mucchio di carte, piante, certificati, persino analisi di alimenti che si era presa la briga di far eseguire dal suo farmacista.
«Ho sempre diffidato, capisce?...».
Emanava un profumo violento, nauseante, che aveva invaso l’ufficio e cancellato il buon odore della pipa.
Fatto sta che per quasi un’ora il commissario dovette ancora starla a sentire mentre raccontava di tutti quelli che, nella grande casa di rue de Presbourg, dove la vita non doveva essere granché allegra, le propinavano veleno dalla mattina alla sera.
Finalmente, a mezzogiorno Maigret poté aprire la finestra; quindi, con la pipa in bocca, entrò nell’ufficio del capo.

Bene! Moers ha scoperto che il morto camminava a papera».
«Come?».
«A papera! Con le punte dei piedi in fuori, per intenderci».
Fece segno alla signora Maigret di caricargli la pipa e sorvegliò l’operazione con la coda dell’occhio, raccomandandole a gesti di non premere troppo il tabacco.
«Le stavo dicendo delle descrizioni che abbiamo di lui. Sono vaghe, eppure due persone su cinque hanno avuto la stessa impressione. “Non sono sicuro...” ha detto il padrone delle Caves du Beaujolais. “È un’impressione vaga... Eppure mi ricorda qualcosa... Ma cosa?”. Sappiamo però che non è un attore del cinema. E neppure una comparsa. Un ispettore ha fatto il giro degli studi. Non è un uomo politico, né un magistrato...».
«Maigret!» esclamò la moglie.
Maigret accese la pipa, senza smettere di parlare, inframmezzando il suo racconto con sbuffi di fumo.

Per tre giorni e due notti il commissario era rimasto incollato al cancello di un giardino, su una strada deserta nei dintorni di Fécamp, aspettando che un uomo uscisse dalla villa di fronte. Non c’erano altre case intorno. Soltanto campi. Persino le mucche erano al riparo nelle stalle. Avrebbe dovuto percorrere due chilometri per trovare un telefono e chiedere che qualcuno venisse a dargli il cambio. Nessuno sapeva che era là. Lui stesso non aveva previsto di andarci.
Per tre giorni e due notti era venuta giù una pioggia torrenziale e ghiacciata che gli ammollava il tabacco nella pipa. In tutto quel tempo erano passati sì e no tre contadini con gli zoccoli ai piedi che lo avevano guardato con diffidenza affrettando il passo. Maigret non aveva niente da mangiare, niente da bere e, quel che è peggio, dalla fine del secondo giorno non aveva più fiammiferi per la pipa.

Maigret e il signor Charles

Maigret giocava nel raggio di sole tiepido di marzo. Non giocava con i cubi, come quando era bambino, ma con due pipe.
Ce n’erano sempre cinque o sei sul suo tavolo e ogni volta che ne riempiva una la sceglieva con cura secondo il suo umore. Lo sguardo era vago, le spalle tozze. Aveva appena preso un’importante decisione, circa la sua carriera. Non rimpiangeva nulla, ma sentiva una certa malinconia.
Macchinalmente, con la più grande serietà, sistemava le pipe sulla carta assorbente in modo da tracciare delle figure più o meno geometriche, o simili a qualche animale. Sul tavolo, alla sua destra, stava ammucchiata la posta del mattino ancora inevasa.
Arrivando alla Polizia Giudiziaria, un po’ prima delle nove, aveva trovato una convocazione del questore, il che accadeva raramente, e vi si recò chiedendosi che cosa desiderasse.
Il questore l’aveva ricevuto subito, cordiale e sorridente.
«Non indovina perché ho voluto vederla?»
«Le confesso di no.»
«Si sieda. Accenda la sua pipa.»
Il questore era giovane, sulla quarantina, e proveniva dalle scuole superiori. Era elegante, forse un po’ troppo.
«Lei non ignora che il direttore della Polizia Giudiziaria va in pensione il mese prossimo dopo essere rimasto dodici anni al suo posto... Ho discusso ieri della sua successione col ministro dell’interno e siamo d’accordo nell’offrirle questa nuova responsabilità...»
Il questore si aspettava certamente un’espressione di gioia sul viso del suo interlocutore.
Maigret, al contrario, era diventato cupo.
«É un ordine?» Aveva domandato quasi borbottando.
«No, naturalmente. Ma deve rendersi conto che è una promozione importante, la più importante che un funzionario della Polizia Giudiziaria possa sperare...»
«Lo so, ma preferirei rimanere a capo della brigata criminale.

Giocherellava con la mente vuota. Le pipe, nella loro ultima sistemazione, facevano pensare a un palazzo di giustizia. La finestra era scintillante di sole. Il questore l’aveva accompagnato fino alla porta e gli aveva stretto amichevolmente la mano.
Maigret sapeva però che gli avrebbero serbato del rancore. Accese lentamente una delle sue pipe e fumò a piccole boccate. In pochi attimi egli aveva deciso il suo avvenire che non era lungo perché, fra tre anni, l’avrebbero mandato in pensione. Almeno, perbacco, gli lasciassero passare quei tre anni a modo suo!

Si sentiva inquieto. Aveva paura che, dopo aver riflettuto, lo sforzassero, in un modo o nell’altro, ad accettare quella nomina. Ma non la voleva a nessun prezzo. Fissava le pipe che cambiava ogni tanto di posto, come i pezzi di un gioco di scacchi.


Il porto delle nebbie

«Lisieux: tre minuti di sosta!...».
Maigret va a sgranchirsi le gambe sul marciapiede, carica un'altra volta la pipa. Da quando hanno lasciato Parigi ha fumato tanto che ora l'aria dello scompartimento si taglia col coltello.
«In carrozza!...».

Maigret, caricata la pipa, allungò la borsa del tabacco agli astanti. Il capitano Delcourt preferì una sigaretta. Ma il capoguardiano, arrossendo, si mise una presa di tabacco in bocca e balbettò:
«Lei permette?».

Maigret aveva assunto la sua espressione più cocciuta. Camminava adagio, con le mani in tasca e la pipa tra i denti. Ed era una pipa perfettamente proporzionata alla sua faccia larga e massiccia: conteneva quasi un quarto di pacchetto di trinciato.
Il gatto bianco, disteso in tutta la sua lunghezza sul muretto riscaldato dal sole, balzò via all'avvicinarsi dei due uomini.


L’ISPETTORE CADAVRE

Un attimo prima della confessione, gli era sembrato che Maigret fosse commosso e pronto a commuoversi ancora di più, il che lo aveva indotto a sperare.
Adesso, invece, di quella commozione non c’era più la minima traccia. Al termine della scena, il commissario si era messo a fumare tranquillamente la pipa, e il suo sguardo lasciava trapelare solo un’intensa riflessione, senza sentimentalismi di sorta.
«Lei che cosa farebbe, al mio posto?» azzardò ancora Naud.
Bastò un’occhiata per fargli capire che forse stava esagerando, come quei bambini a cui si è appena perdonata una marachella e che approfittano dell’indulgenza altrui per mostrarsi più esigenti e più insopportabili che mai.
A che cosa stava pensando Maigret? Naud arrivò a sospettare che il suo atteggiamento fosse stato solo una trappola. Si aspettava quasi di vederlo alzarsi, tirar fuori le manette di tasca e pronunciare le parole di rito: «In nome della legge...».
«Mi chiedo...».
Maigret esitava, continuando a fumare e ad accavallare le gambe, prima in un senso, poi nell’altro.


(http://vsantoro.files.wordpress.com/2009/01/simenon.gif)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Giugno 2010, 12:30:25
Wow!! superate le 20000 visite è d'obbligo la celebrazione ,in 3 4 puntate . :o


Nathaniel Hawthorne

Testa di piuma. Leggenda con morale

Titolo originale: Feathertop (1852)
da cui il film: PURITAN PASSIONS (USA, 1923), Guild-Hodkinson
Regia: Frank Tuttle


I registi su entrambe le rive dell’Atlantico avevano ormai scoperto l’importanza
della letteratura come fonte d’ispirazione, e in America anche i palcoscenici di
Broadway seppero fornire validi contributi al film dell’orrore soprattutto negli anni
Venti e Trenta
Una storia di stregoneria ambientata a Salem e ricavata da un racconto
quasi sconosciuto di Nathaniel Hawthorne intitolato Pennacchio. Nel racconto una
vecchia porta in vita uno spaventapasseri e lo manda a corteggiare la figlia di un
pezzo grosso del luogo... con risultati inaspettati e davvero sorprendenti.
Il film, basato sia sul racconto originale che sul dramma teatrale, fu diretto
dall’abile Frank Tuttle e satireggiò il fanatismo che aveva circondato la stregoneria
nel diciassettesimo secolo. Possedeva inoltre un’aura bizzarra, quasi da altro mondo
– accentuata dalla mancanza di sonoro e musica – e ancor oggi conserva il potere di
provocare un brivido lungo la schiena perfino degli appassionati più incalliti.


«Dickon!» gridò Mamma Rigby. «Un tizzone per la mia pipa.»
La pipa si trovava in bocca della vecchia quando pronunciò quelle parole. Ve
l’aveva cacciata dopo averla riempita di tabacco, senza però chinarsi per appicciarla
al focolare, dove in effetti quella mattina non c’era la minima parvenza di fuoco.
Tuttavia, immediatamente dopo che quell’ordine fu impartito, nel fornello della pipa
vi fu un’intensa incandescenza rossastra e dalle labbra di Mamma Rigby uscì uno
sbuffo di fumo. Da dove fosse scaturito il tizzone e come fosse stato portato fin là da
una mano invisibile, non riuscii mai a scoprirlo.
«Bene» disse Mamma Rigby con un cenno del capo. «Grazie, Dickon! E ora
passiamo a fare questo spaventapasseri. Rimani a portata di mano, Dickon, nel caso
avessi ancora bisogno di te.»
La brava donna si era alzata così presto (perché era appena l’alba) allo scopo di
accingersi alla preparazione di uno spaventapasseri che intendeva mettere al centro
del suo campicello di granoturco. Era ormai l’ultima settimana di maggio e corvi e
merli avevano già scoperto le foglioline verdi arrotolate che spuntavano facendo capolino dal terreno. Mamma Rigby aveva dunque deciso di costruire il più
verosimile spaventapasseri che si fosse mai veduto e di eseguire il lavoro quanto più
in fretta possibile, in modo che potesse iniziare il suo servizio di guardia quel mattino
stesso. Ora, Mamma Rigby (come tutti devono aver sentito) era una delle streghe più
capaci e potenti della Nuova Inghilterra, ed era in grado, con pochissima fatica, di
preparare uno spaventapasseri abbastanza orrendo per terrorizzare perfino il diacono.
Ma in questa occasione, dal momento che si era svegliata insolitamente di buon
umore ed era stata ulteriormente raddolcita dalla sua pipa di tabacco, aveva stabilito
di creare qualcosa di elegante, bello e di piacevole aspetto piuttosto che brutto e
repellente.
“Non voglio mettere un orrendo spauracchio nel mio campo di granoturco, quasi
sulla soglia di casa mia” si disse Mamma Rigby sbuffando una boccata di fumo.
“Potrei farlo, se lo volessi, ma sono stanca di fare cose fuori del comune e quindi
rimarrò nei confini delle cose di tutti i giorni, tanto per amore di varietà. Inoltre, è
inutile spaventare i bambini per un miglio attorno, anche se è pur vero che sono una
strega.”
E così stabilì dentro di sé che lo spaventapasseri dovesse assomigliare a un
gentiluomo elegante dell’epoca, per quanto i materiali sottomano lo permettessero.
Forse sarebbe bene enumerare i principali articoli che parteciparono alla
composizione della figura.
Il più importante di tutti, probabilmente, anche se di non molta apparenza, era un
certo manico di scopa sul quale Mamma Rigby aveva compiuto molte sgroppate per
l’aria a mezzanotte e che ora fungeva da spina dorsale dello spaventapasseri, o,
secondo il termine popolare, da filo della schiena. Una delle braccia era una frusta
fuori uso che un tempo era stata maneggiata da Goodman Rigby, prima che la sua
sposa si preoccupasse di toglierlo da questo mondo di sofferenza; l’altro braccio, se
non sbaglio, era composto da un mestolo da budino e da un piolo spezzato di una
sedia, legati strettamente tra loro all’altezza del gomito. Quanto alle gambe, la destra
era un manico di zappa, e la sinistra uno stecco qualsiasi e senza forma tolto dalla pila
della legna da ardere. I polmoni, lo stomaco e le altre cose del genere non erano che
un sacco da farina riempito di paglia. Abbiamo fin qui descritto lo scheletro e l’intera
struttura corporea dello spaventapasseri, con l’eccezione della testa, e quella venne
lodevolmente fornita da una zucca secca e raggrinzita nella quale Mamma Rigby
praticò due fori per gli occhi e una fessura oblunga al posto della bocca, lasciando un
bitorzolo bluastro al centro che fungesse da naso. Era proprio una faccia rispettabile.
«Ne ho viste di peggio su spalle umane, comunque» disse Mamma Rigby. «E molti
raffinati gentiluomini hanno per testa una zucca vuota, come il mio spaventapasseri.»
Ma in quel caso dovevano essere gli abiti a determinare l’eleganza dell’uomo. La
buona vecchia tolse da una gruccia un’antica giubba color prugna confezionata a
Londra e con avanzi di ricami lungo le costure, i polsi, le patte delle tasche e le asole,
ma deplorevolmente consunta e scolorita, rattoppata ai gomiti, sdrucita lungo le falde
e ovunque lisa. Sulla parte sinistra del petto c’era un buco rotondo da dove o era stata
strappata una stella di nobiltà, oppure il cuore ardente di qualche vecchio proprietario
aveva bruciato la stoffa da parte a parte. I vicini dicevano che quel ricco capo di
abbigliamento facesse parte del guardaroba dell’Uomo Nero e che questi lo tenesse al casolare
di Mamma Rigby per la convenienza di poterlo indossare quando desiderava
fare una grandiosa comparsa al tavolo del governatore.
Per far paio con la giubba c’era un panciotto di taglia molto ampia, ricamato un
tempo con fogliame color oro brillante come le foglie di acero in ottobre, ma che ora
erano del tutto scomparse dalla trama del velluto. Poi c’erano un paio di calzoni
scarlatti indossati un tempo dal governatore francese di Louisbourg, le ginocchia dei
quali avevano toccato il gradino inferiore del trono di Louis le Grand. Il francese li
aveva regalati a uno stregone indiano, che a sua volta li aveva barattati con la strega
in cambio di un quarto di pinta di acqua di fuoco durante una delle loro danze nella
foresta. Per di più, Mamma Rigby aveva scovato un paio di calze di seta e le aveva
infilate sulle gambe della sagoma, dove apparivano inconsistenti come un sogno in
contrasto con la legnosa realtà dei due bastoni che spuntavano miseramente dalle
aperture. Per ultima, aveva messo la parrucca del marito defunto sul cranio pelato
della zucca e aveva coperto il tutto con un polveroso cappello a tre punte sul quale
era infilata la più lunga delle penne della coda di un galletto.
Poi la vecchia aveva appoggiato la sagoma in un angolo della sua casa
ridacchiando nell’osservare quella giallastra parvenza di viso con il suo nasetto
elegante che svettava nell’aria. Aveva un aspetto soddisfatto di sé, e pareva dire:
“Venite a guardarmi!”.
«E meriti proprio di essere guardato, infatti!» esclamò Mamma Rigby ammirando
la propria opera. «Ho creato molti burattini da quando sono una strega; ma credo che
questo sia il migliore di tutti. È quasi troppo bello per essere uno spaventapasseri. Mi
preparerò un’altra pipa piena di tabacco e poi lo porterò fuori nel campo di
granoturco.»
Mentre si riempiva la pipa, la vecchia continuò a guardare la figura nell’angolo con
affetto quasi materno. A dire il vero, sia che fosse successo per caso o per abilità, o
per effettiva stregoneria, c’era qualcosa di meravigliosamente umano in quella
ridicola forma agghindata nella sua sdrucita eleganza; e quanto all’espressione,
sembrava contrarre la superficie gialla del volto in un sogghigno bizzarro... qualcosa
a metà tra il disprezzo e la derisione... come se si rendesse conto di essere una burla
di essere umano. Quanto più Mamma Rigby lo guardava, tanto più ne era
compiaciuta.
«Dickon», gridò con voce acuta «un altro tizzone per la mia pipa!»
Aveva appena detto quelle parole quando, come l’altra volta, in cima al tabacco
apparve un carbone arrossato. Mamma Rigby aspirò profondamente e lasciò andare
una lunga boccata nella striscia di sole mattutino che entrava prepotentemente
dall’unico e polveroso vetro della finestra della sua casa. Le era sempre piaciuto
aromatizzare il gusto della sua pipa col carbone ardente di quel particolare angolo di
camino da cui appunto quello proveniva. Ma dove fosse quell’angolo o chi vi avesse
prelevato il tizzone – se si esclude che il misterioso ambasciatore sembrava
rispondere al nome di Dickon – non posso dire nulla.
“Quel pupazzo laggiù” pensò Mamma Rigby, ancora con gli occhi puntati sullo
spaventapasseri, “è un’opera troppo delicata per starsene tutta l’estate in un campo di
granoturco a spaventare corvi e merli. È capace di cose migliori.
Diamine, ho ballato con ben di peggio, quando i compagni scarseggiavano ai nostri convegni di streghe
nella foresta! E se gli lasciassi tentare la fortuna tra gli altri uomini di paglia e
individui vuoti che si agitano per il mondo?”
La vecchia strega tirò tre o quattro boccate dalla sua pipa e sorrise.
«Incontrerà dozzine di suoi simili ad ogni angolo di strada!» continuò. «Be’, oggi
non volevo impegnarmi in altre stregonerie tranne l’accensione della mia pipa; ma
strega sono e strega devo essere, è inutile tentare di dimenticarlo. Trarrò un uomo dal
mio spaventapasseri, fosse anche solo per il gusto di farlo!»
Mentre borbottava queste parole Mamma Rigby si tolse la pipa di bocca e la cacciò
nella fessura che vi corrispondeva sulla faccia di zucca dello spaventapasseri.
«Aspira, caro, aspira» disse. «Sbuffa, mio gentile compagno! La tua vita dipende
da questo!»
Senza dubbio era una strana esortazione da rivolgersi a un semplice ammasso di
legni, paglia e abiti vecchi, con niente di meglio che una zucca rinsecchita al posto
della testa. Tuttavia, come dobbiamo attentamente ricordare, Mamma Rigby era una
strega dai poteri e dall’abilità singolari, e se terremo debitamente questo fatto nelle
nostre menti nulla ci apparirà incredibile negli avvenimenti eccezionali della nostra
storia. In effetti, la maggior difficoltà sarà superata all’istante se solo riusciremo a
credere che, non appena la vecchia gli ordinò di soffiare, dalla bocca dello
spaventapasseri uscì uno sbuffo di fumo. Uno sbuffo debolissimo, a dire la verità; ma
che venne seguito da un altro e un altro ancora, ognuno più deciso del precedente.
«Soffia, carino; sbuffa, bello mio!» continuava a ripetere Mamma Rigby con il suo
sorriso simpatico. «Per te è il respiro della vita, puoi credere alla mia parola.»
Al di là di ogni questione la pipa era stregata. Doveva esserci un incantesimo nel
tabacco, o nel tizzone ardente che vi appariva in cima in modo tanto misterioso,
oppure nel fumo pungente e aromatico che si levava dall’erba bruciata. La figura,
dopo alcuni tentativi incerti, soffiò finalmente un getto di fumo che dall’angolo
oscuro raggiunse il raggio di sole, dove turbinò in un vortice fondendosi con esso fino
a svanire con i granelli di polvere. Dovette essere uno sforzo sconvolgente, perché i
due o tre sbuffi che seguirono furono più deboli anche se il tizzone continuò ad ardere
gettando un riflesso sul viso dello spaventapasseri. La vecchia strega batté tra loro le
mani secche, sorridendo con fare incoraggiante verso la sua opera. Controllò che
l’incantesimo funzionasse bene. Il viso giallo e raggrinzito, che fino a quel momento
non era affatto stato un viso, aveva già una vaga e fantastica apparenza, per così dire,
di sembianza umana, che a tratti svaniva completamente, ma che si accentuava via
via a ogni nuovo sbuffo di fumo della pipa. L’intera figura, allo stesso modo, assunse
un aspetto vivo. Se volessimo assolutamente analizzare a fondo la faccenda, si
potrebbe dubitare che fosse avvenuto un effettivo cambiamento, alla fin fine, nella
vile, consunta, scadente e male assortita materia dello spaventapasseri; ma piuttosto
un’illusione spettrale e un abile effetto di luci e ombre escogitato e messo a punto in
modo da trarre in inganno gli occhi della maggior parte delle persone. I miracoli della
stregoneria sembrano sempre avere un’indefinibilità molto elusiva; e se poi la
precedente spiegazione non colpisse la verità del processo, non saprei suggerire nulla
di meglio.
«Ben sbuffato, mio grazioso amico!» gridò ancora Mamma Rigby. «Forza, un altro
bel soffio deciso, con tutta la tua forza. Soffia per la tua vita, ti dico! Soffia dal fondo
del cuore; se possiedi un cuore, o se questo ha un fondo! Ben fatto, ancora! Hai
aspirato quella boccata come se ci provassi un gran gusto.»
Poi la strega chiamò con un cenno lo spaventapasseri, mettendo tanto potere
magnetico in quel gesto che parve impossibile non obbedirle.
«Perché ti nascondi in quell’angolo, pigraccio?» disse. «Vieni avanti! Hai il mondo
di fronte a te!»
In obbedienza alle parole di Mamma Rigby e allungando le braccia come per
raggiungere la sua mano tesa, la figura fece un passo in avanti – una specie di
sobbalzo strascicato, in realtà, piuttosto che un passo – poi barcollò e perse quasi
l’equilibrio. Che cosa poteva aspettarsi la strega? In fondo non era altro che uno
spaventapasseri piantato su due stecchi. Ma la vecchia testarda fece gli occhi torvi e
gesticolò, proiettando l’energia del suo scopo con tanta forza in quel povero ammasso
di legno marcito, paglia ammuffita e abiti stracciati, che questi fu costretto ad agire
come un uomo, nonostante la realtà delle cose.
Così lo spaventapasseri camminò fino alla striscia di sole. E là rimase – povero
diavolo di marchingegno che era! – con solo la più sottile parvenza di somiglianza
umana, attraverso la quale era evidente la rigida, malferma, assurda, sbiadita,
consunta, inutile accozzaglia della sua essenza, sul punto di crollare in ogni momento
in un mucchietto sul pavimento, quasi si rendesse conto della propria indegnità a
rimanere in posizione eretta. Devo confessare la verità? A questo punto del suo
processo di vivificazione lo spaventapasseri mi rammenta alcuni degli abortivi e
insignificanti personaggi (composti dalle caratteristiche più eterogenee, usati migliaia
di volte, senza che mai ne valessero la fatica) con i quali gli scrittori di romanzi (e me
stesso, senza dubbio, tra gli altri) hanno così sovrappopolato il mondo della narrativa.
Tuttavia, la vecchia megera cominciò ad arrabbiarsi e a mostrare un guizzo della
sua diabolica natura (come una testa di serpente che facesse capolino sibilando dal
suo petto) nei confronti del comportamento pusillanime della cosa che si era presa la
briga di mettere insieme.
«Soffia, sgorbio!» urlò adirata. «Soffia, soffia, soffia. Tu, fatto di paglia e di
niente! Tu, paio di stracci! Testa di zucca! Tu, niente! Dove troverò un nome tanto
vile per chiamarti? Sbuffa, ti dico, e aspira con il fumo la tua vita fantastica;
altrimenti ti leverò la pipa di bocca e ti scaglierò là da dove è venuto il tizzone.»
Minacciato a quel modo, all’infelice spaventapasseri non restava altro che soffiare
per la propria vita. Cominciò dunque a darsi da fare come si doveva con la pipa,
aspirando con bramosia e sbuffando svolazzi di fumo tanto abbondanti che la
minuscola cucina del casolare divenne satura di vapori. Il raggio di sole si fece strada
a fatica tra quella nebbia, riuscendo solo in modo imperfetto a definire l’immagine
del vetro crepato e polveroso della finestra contro la parete opposta. Mamma Rigby,
nel frattempo, con un braccio abbrunito sul fianco e l’altro teso verso la figura,
appariva truce nell’oscurità, con l’atteggiamento e l’espressione di quando gettava un
terribile incubo sulle sue vittime e rimaneva di fianco al loro letto per assaporarne
l’agonia. Terrorizzato e tremante il povero spaventapasseri continuava a sbuffare.
Ma i suoi sforzi, bisogna riconoscerlo, servivano a uno scopo eccezionale, perché a ogni
boccata successiva la figura perdeva sempre più la sua vaga e incerta tenuità, e
sembrava assumere un’essenza più concreta. Anche gli abiti, tra l’altro, ebbero una
parte importante nel magico cambiamento, e brillavano nella lucentezza del
rinnovamento luccicando per l’oro degli abili ricami che erano da tempo stati
strappati. E, semivisibile tra il fumo, un volto giallo abbassò i suoi occhi opachi verso
Mamma Rigby.
Da ultimo, la vecchia strega serrò il pugno e l’agitò verso la figura. Non che fosse
ancora arrabbiata, stava semplicemente comportandosi secondo il principio – forse
falso, o non completamente vero, sebbene da qualcuno all’altezza di Mamma Rigby
ci si potesse aspettare che lo sapesse – che i caratteri deboli e pigri, essendo incapaci
di migliori ispirazioni, dovessero essere mossi dalla paura. Ma qui era il punto. Se
avesse fallito in quello che ora si proponeva di attuare, lo spietato proposito di
Mamma Rigby era di ridisperdere il miserabile simulacro nei suoi elementi originali.
«Hai un aspetto d’uomo» disse la vecchia in tono grave. «Che tu abbia anche una
somiglianza di voce! Ti ordino di parlare!»
Lo spaventapasseri boccheggiò, sforzandosi, e alla fine emise un mormorio tanto
contemporaneo al soffio fumoso che non si poté quasi stabilire se fosse stata una voce
oppure solo uno sbuffo di tabacco. Alcuni narratori di questa leggenda erano convinti
che gli incantesimi di Mamma Rigby e la sua caparbia volontà avessero costretto uno
spirito familiare a entrare nella figura e che la voce fosse la sua.
«Madre», balbettò la povera voce soffocata «non essere così crudele con me!
Parlerei volentieri, ma essendo privo di intelligenza, che cosa posso dire?»
«Tu puoi parlare, mio caro, non è vero?» strillò Mamma Rigby rilassando in un
sorriso la sua espressione truce. «E che cosa puoi dire, mi chiedi? Dire, proprio così!
Appartieni alla genia dei crani vuoti e mi chiedi che cosa devi dire? Dovrai dire mille
cose, e dopo averle dette mille volte ancora non avrai detto nulla! Non temere, ti
dico! Quando entrerai nel mondo (dove ho intenzione di mandarti) non ti
mancheranno cose da dire. Parla! Diamine, potrai cianciare come un torrente da
mulino se lo vorrai. Per quello hai cervello a sufficienza, direi.»
K Al tuo servizio, madre» rispose lo spaventapasseri.
«Ben detto, bello mio» rispose Mamma Rigby. «Ecco che sai parlare senza dire
nulla. Ne avrai cento di simili frasi pronte, e altre cinquecento di riserva. E ora, mio
caro, mi sono presa tanta pena per te e tu sei così bello che, in fede mia, ti amo più di
ogni altro fantoccio di strega al mondo; e sì che ne ho fatti di tutti i tipi... di argilla,
cera, legno, nebbia notturna, foschia mattutina, schiuma di mare, e fumo di camino.
Ma tu sei di gran lunga il migliore. Fai dunque attenzione a quanto dico.»
«Sì, mia buona madre», disse la sagoma «con tutto il cuore!»
«Con tutto il cuore!» gridò la vecchia strega, portandosi le mani ai fianchi e
sghignazzando rumorosamente. «Hai un così bel modo di esprimerti. Con tutto il
cuore! E ti sei messo una mano sul lato sinistro del panciotto, come se ce l’avessi
davvero!»




 
(http://www.mvdaily.com/articles/2005/02/puritani00430018.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Giugno 2010, 12:32:17
E così, resa di ottimo umore da quella sua fantastica creatura, Mamma Rigby disse
allo spaventapasseri che doveva andare a recitare la sua parte nel gran mondo, dove neppure un uomo su cento, affermò, era dotato di mezzi più efficaci dei suoi. E
affinché potesse stare a testa alta tra i migliori di quelli, gli conferì all’istante
ricchezze di valore incalcolabile. Parte di esse consistevano in una miniera d’oro
all’Eldorado, e diecimila titoli di una bolla infranta, e mezzo milione di acri di vigneti
al Polo Nord, e un castello in aria, e uno château in Spagna con tutte le rendite e i
profitti che se ne ricavavano. Inoltre, gli trasferì la proprietà di una certa nave carica
di sale di Cadiz che lei stessa, in virtù delle sue arti negromantiche, aveva fatto colare
a picco dieci anni addietro nel punto più profondo dell’oceano. Se il sale non si era
disciolto e si poteva portarlo al mercato, avrebbe reso un discreto gruzzolo
vendendolo tra i pescatori. Perché non gli mancasse il denaro spicciolo gli diede un
“farthing” di rame coniato a Birmingham, essendo quelle le uniche monete che lei
aveva a disposizione, e parecchi altri di ottone, che applicò alla fronte dello
spaventapasseri rendendola più gialla che mai.
«Solo con quell’ottone» disse Mamma Rigby «potrai aprirti le strade di tutto il
mondo. Baciami, mio caro! Per te ho fatto quanto di meglio potevo.»
Oltre a ciò, affinché l’avventuriero non dovesse rinunciare a possibili vantaggi al
momento del suo ingresso alla vita, la benevola vecchia gli diede un segno con il
quale doveva presentarsi a un certo magistrato, membro del consiglio, mercante, e
dignitario della chiesa (cariche, queste quattro, tutte riunite in un solo uomo), che era
forse l’uomo più autorevole della vicina metropoli. Il segno non era né più né meno
che una singola parola che Mamma Rigby bisbigliò allo spaventapasseri e che questi
avrebbe dovuto bisbigliare al mercante.
«Pur malato di gotta qual è, il vecchio correrà qua e là a tuo piacimento una volta
che gli avrai mormorato quella parola all’orecchio» disse la vecchia strega. «Mamma
Rigby conosce l’eccellentissimo giudice Gookin, e l’eccellentissimo giudice Gookin
conosce Mamma Rigby!»
A questo punto la strega avvicinò il suo viso grinzoso a quello del fantoccio,
ridacchiando irrefrenabilmente e compiacendosi in tutta là sua persona all’idea di
quanto stava per comunicargli.
«L’eccellentissimo Gookin» mormorò «ha per figlia un’avvenente fanciulla. Ora
ascoltami, mio caro! Tu hai un aspetto grazioso e abbastanza intelligenza. Già,
abbastanza intelligenza! Te ne renderai conto tu stesso quando avrai visto il cervello
di molte altre persone. Ora, con il tuo esterno e il tuo interno, sei proprio l’uomo
adatto a conquistare il cuore di una giovane fanciulla. Non ci sono dubbi! Ti dico che
sarà così. Ti basterà usare la faccia tosta, sospirare; sorridere, agitare il berretto,
spingere in avanti la gamba come un maestro ballerino, mettere la mano destra sul
lato sinistro del panciotto, e la bella Polly Gookin sarà tua!»
Per tutto questo tempo la nuova creatura aveva continuato ad aspirare e sbuffare la
vaporosa fragranza della pipa, e sembrava voler proseguire in quell’occupazione
anche per il piacere che gli procurava oltre che per essere la condizione
indispensabile alla sua esistenza.
Era meraviglioso vederlo comportarsi con la
superiorità di un essere umano. I suoi occhi (perché sembrava ne avesse un paio)
erano rivolti a Mamma Rigby e grazie alle giunture appropriate egli annuiva o
scuoteva la testa. Non gli mancavano neppure le parole adatte all’occasione:
«Davvero! Proprio così! Dimmi, per favore! È possibile! Sulla mia parola! Per nessun motivo!
Oh! Ah! Ehm.» e altre simili gravi espressioni che indicavano attenzione,
richiesta, sottomissione, o dissenso da parte dell’ascoltatore. Se anche foste rimasti là
a guardare mentre lo spaventapasseri veniva fabbricato, difficilmente avreste potuto
resistere alla convinzione che assimilasse alla perfezione gli astuti consigli che la
vecchia strega gli sciorinava in quell’imitazione di orecchio. Con quanta più serietà
egli applicava le labbra alla pipa, tanto più riconoscibile era la sua somiglianza
umana e tanto più sagace diventava la sua espressione, più reali i suoi gesti e più
intellegibile la sua voce. Perfino gli abiti brillavano ancora più luminosi in
un’illusione di magnificenza. La pipa stessa, nella quale ardeva l’incantesimo di tutta
quella meraviglia, cessò di sembrare un pezzo di terracotta annerito dal fumo e
divenne una pipa di schiuma di mare, con il fornello dipinto e il bocchino d’ambra.
Sarà necessario spiegare, tuttavia, che sebbene l’illusione apparisse autentica
grazie al fumo della pipa, essa sarebbe terminata immediatamente con la riduzione in
cenere del tabacco. Ma la vecchia aveva previsto questa difficoltà.
«Reggi la pipa, mio prezioso amico», disse «mentre io te la riempirò di nuovo.»
Fu triste osservare come l’elegante gentiluomo cominciò a sbiadire nuovamente
nelle sembianze di uno spaventapasseri mentre Mamma Rigby scuoteva le ceneri
dalla pipa e si accingeva a ricaricarla dalla sua tabacchiera.

«Dickon», strillò, nel suo tono alto e stridulo, «un altro tizzone per la mia pipa!»
Non aveva ancora finito di dirlo, che una macchia rossa di fuoco brillò
intensamente nel fornello della pipa e lo spaventapasseri, senza neppure aspettare
l’ordine della strega, applicò le labbra al cannello e aspirò alcune boccate brevi e
frenetiche che presto, comunque, divennero regolari e uniformi.
«E ora, delizia del mio cuore», disse Mamma Rigby «qualsiasi cosa possa
accaderti non separarti mai dalla pipa.
La tua vita dipende da lei; questo almeno
sappilo, se anche non sapessi nient’altro. Resta attaccato alla pipa, ti dico! Fuma,
aspira, soffia la tua nuvola. Alla gente dirai, se ti chiederanno qualcosa, che è per la
tua salute e che te l’ha ordinato il dottore. E, mia dolcezza, quando ti accorgerai che
si sta scaricando, appartati in qualche angolo (dopo esserti riempito di fumo) e grida
con voce acuta: “Dickon, una nuova pipa di tabacco” e cacciatela in bocca più presto
che puoi. Altrimenti, invece di un elegante gentiluomo dalla giubba ricamata d’oro,
non diventerai che un insieme di stecchi e abiti sdruciti e un sacco di paglia con una
zucca secca. Ora vai, mio tesoro, e buona fortuna a te!»
«Non temere, madre!» disse la sagoma con voce stentorea, sbuffando un’ardita
boccata di fumo. «Avrò tanto successo quanto si conviene a una persona onesta e a
un gentiluomo!»
«Oh, tu mi farai morire!» strillò la vecchia strega quasi soffocando dalle risate.
«Hai detto bene. Quanto si conviene a una persona onesta e a un gentiluomo. Reciti la
parte alla perfezione. Ti fai proprio passare per un bel tipo; e io scommetterei su di te,
come uomo in carne ed ossa, con un cervello e quello che chiamano un cuore, e tutto
il resto che un uomo deve avere, contro qualsiasi altra cosa su due gambe. Mi
considero una strega migliore di quanto non fossi ieri; per amor tuo. Non sono stata
forse io a farti? E sfido ogni altra strega della Nuova Inghilterra a fare qualcosa di
simile! Tieni, prendi con te il mio bastone!»
Il bastone, sebbene fosse solo un semplice ramo di quercia, prese subito l’aspetto
di un bastone da passeggio dall’impugnatura d’oro.
«Quella testa d’oro ha tanto discernimento quanto ve n’è nella tua», disse Mamma
Rigby «e ti guiderà direttamente alla porta dell’eccellentissimo Mastro Gookin. Vai,
mio tesoro, e se qualcuno ti chiedesse il tuo nome, quello sarà Pennacchio. Poiché hai
una piuma sul cappello e io ho ficcato una manciata di penne nel cavo della tua testa,
e anche la tua parrucca è del tipo che chiamavano a Pennacchio... dunque,
Pennacchio sia il tuo nome!»
E, uscendo dalla casa, Pennacchio si incamminò coraggiosamente verso la città.
Mamma Rigby rimase in piedi sulla soglia, compiaciuta di vedere che i raggi del sole
brillavano su di lui come se tutta la sua magnificenza fosse reale e che fumava la sua
pipa con amore e diligenza, camminando con grande prestanza anche se con una
leggera rigidità alle gambe. Lo guardò finché usci di vista e lanciò una benedizione di
strega al suo caro quando una curva della strada le impedì di continuare a vederlo.
Quel mattino di buon’ora, quando la strada principale della vicina città era proprio
nel pieno della vita e dell’attività, uno straniero dall’aspetto molto distinto venne
visto sul marciapiedi. Il suo portamento e gli abiti che indossava indicavano la sua
nobiltà. Aveva una giubba color prugna riccamente ricamata; un panciotto di velluto
costoso adornato in modo mirabile con fogliame d’oro, un paio di splendidi calzoni
scarlatti e le più fini e scintillanti calze di seta bianche. Il suo capo era coperto da una
parrucca, così perfettamente incipriata e acconciata che sarebbe stato un sacrilegio
rovinarla con un cappello; che pertanto (ed era un cappello dai lacci d’oro,
completato da una piuma candida) egli portava sotto il braccio. Sul petto della giubba
brillava una stella. L’uomo maneggiava il suo bastone da passeggio con la testa d’oro
con la grazia boriosa tipica dei gentiluomini dell’epoca; e, per dare il tocco finale più
elevato possibile al suo abbigliamento, aveva polsini di pizzo della più eterea
delicatezza che garantivano sufficientemente quanto inoperose ed aristocratiche
dovessero essere le mani che nascondevano per metà.
Un particolare degno di nota nell’equipaggiamento di quel brillante personaggio
era che reggeva nella mano sinistra una pipa fantastica dal fornello dipinto con
squisitezza e il bocchino in ambra. La portava alle labbra ogni cinque o sei passi,
inalando una profonda boccata che, dopo aver trattenuto per un istante nei polmoni,
liberava visibilmente sbuffandola con grazia dalla bocca e dalle narici.
Come si può facilmente immaginare, tutta la via era in agitazione per scoprire il
nome dello straniero.
(http://utenti.multimania.it/mrlp/puritani1.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Giugno 2010, 12:34:44
«È un grande nobiluomo, senza dubbio» disse uno dei popolani. «Avete visto la
stella che ha sul petto?»
«No; brilla troppo per poterla guardare» disse un altro. «Già, deve proprio essere
un nobile, come dici tu. Ma con quale mezzo di trasporto pensi che sua signoria abbia
viaggiato per arrivare fin qui? Non ci sono stati vascelli dal vecchio continente da
oltre un mese; e se è giunto per via di terra, dal sud, dove sono i suoi attendenti e il
suo seguito?»
«Non ha bisogno di seguito per dimostrare il suo rango» fece notare un terzo. «Se
anche venisse tra noi coperto di stracci, la sua nobiltà risplenderebbe da un foro sul gomito.
Non ho mai visto tanta dignità d’aspetto. Ha l’antico sangue normanno nelle
vene, ve lo garantisco io.»
«Io direi piuttosto che sia un olandese, o uno dei vostri nobili tedeschi» disse un
altro cittadino. «Gli uomini in quelle nazioni hanno sempre la pipa in bocca.»
«Se è per questo anche i turchi» ribatté il suo compagno. «Ma, a mio giudizio,
questo straniero è stato educato alla corte di Francia ed è là che ha imparato il galateo
e la grazia dei modi, che nessuno comprende tanto bene quanto i nobili francesi.
Quello sì che è un portamento! Un volgare osservatore potrebbe considerarlo
rigido.... potrebbe chiamarla andatura a sobbalzi, ma ai miei occhi possiede una
maestà indescrivibile che deve essere stata acquisita solo attraverso l’osservazione
costante del comportamento del Grand Monarque. Il carattere dello straniero e il suo
grado sono abbastanza evidenti. È un ambasciatore francese, venuto a trattare con i
nostri governanti per la cessione del Canada.»
«Più probabilmente è uno spagnolo», disse un altro «e di qui la sua carnagione
gialliccia; oppure, con più facilità, viene dall’Havana o da qualche porto della costa
appartenente alla Spagna, ed è venuto per investigare sugli atti di pirateria di cui il
nostro governatore è sospettato di complicità. Quei residenti del Perù e del Messico
hanno la pelle gialla come l’oro che estraggono dalle loro miniere.»
«Giallo o no», strillò una signora «è un bell’uomo... così alto, così esile! Che viso
fine e nobile, con un naso di quella fattura e la delicatezza dell’espressione della
bocca! E, Dio mio, come luccica la sua stella! Sembra proprio che ne scaturiscano
fiamme!»
«Come dai vostri occhi, bella dama» disse lo straniero che stava passando di lì, con
un inchino e un movimento della pipa. «Sul mio onore, mi hanno completamente
abbagliato.»
«Fu mai un complimento tanta originale e squisito?» mormorò la signora in
un’estasi di piacere.
Tra l’ammirazione generale provocata dall’apparizione dello straniero c’erano solo
due voci di dissenso. Una era quella di un cagnaccio impertinente che, dopo aver
annusato i tacchi della figura scintillante, si mise la coda tra le gambe e andò a
nascondersi nel cortile del suo padrone lasciando andare un ululato esecrabile. L’altro
dissenziente era un bambinetto che strillò a pieni polmoni, blaterando insulsaggini
incomprensibili a proposito di una zucca.
Pennacchio, nel frattempo, eseguiva il suo cammino lungo la via. Con l’eccezione
delle poche parole di complimento verso la signora e qualche movimento del capo di
tanto in tanto in risposta alle profonde riverenze degli astanti, sembrava totalmente
assorbito dalla propria pipa. Non erano necessarie altre prove del suo rango e della
sua importanza oltre alla perfetta equanimità con la quale si comportava, mentre
attorno a lui la curiosità e l’ammirazione della città crescevano al limite del clamore.
Con una folla crescente che seguiva i suoi passi, raggiunse finalmente il palazzo
dell’eccellentissimo giudice Gookin, entrò dal cancello, salì i gradini della porta
principale, e bussò. Nel frattempo, prima che gli venisse risposto, lo straniero fu visto
scrollare la cenere dalla sua pia
«Che cosa ha detto in quel tono acuto?» chiese uno degli spettatori.
«Non lo so» rispose il suo amico. «Ma il sole mi abbaglia gli occhi in modo
bizzarro. Come scialba e scolorita mi appare all’improvviso sua signoria! Dio mio,
.che mi sta succedendo?»
«Lo straordinario è» disse l’altro «che la pipa, che era spenta solo un attimo fa, è di
nuovo perfettamente accesa, e con le braci più rosse che abbia mai veduto. C’è
qualcosa di misterioso in quello straniero. Ehi... che sbuffo di fumo! Scialbo e
scolorito l’hai chiamato? Diamine, quando si è girato, la stella che ha sul petto
sembrava incandescente.»
«Proprio così», dissero gli altri «e abbaglierà la bella l’olly Gookin che sta
affacciandosi alla finestra della sua camera.»
Mentre la porta si apriva, Pennacchio si voltò verso la folla, fece un solenne
inchino come un grand’uomo che accettasse la riverenza degli inferiori, e scomparve
all’interno della casa. Sul suo viso c’era un sorriso misterioso, se non si poteva
addirittura chiamarlo un sogghigno; ma fra tutta la moltitudine che lo contemplava
nessuno sembrò possedere tanto intuito da riuscire a scorgere il carattere illusorio
dello straniero, con l’eccezione di un bambinetto e di un cane bastardo.
Il nostro racconto perde qui un po’ di continuità e, sorvolando le spiegazioni
preliminari tra Pennacchio e il mercante, si interessa subito della graziosa Polly
Gookin. Era una damigella dalla figura morbida e perfetta, con capelli chiari e occhi
azzurri, e un viso grazioso e roseo che non sembrava né troppo astuto né
eccessivamente ingenuo. Questa fanciulla aveva visto di sfuggita lo straniero
scintillante in piedi sulla soglia e aveva subito indossato un copricapo di trine, una
fila di perle, la gonna di damasco più rigida con il più elegante dei fazzoletti, in
preparazione dell’incontro. Affrettandosi dalla sua camera alla sala dei ricevimenti, si
era, come sempre, guardata nell’ampio specchio che le serviva per far pratica di belle
maniere... ora un sorriso, ora un atteggiamento dignitoso, ora un sorriso più dolce del
precedente, baciandosi persino la mano, scrollando il capo e agitando il ventaglio;
mentre dall’altra parte dello specchio una ragazzina incorporea ripeteva ogni gesto e
faceva tutte le sciocchezze che faceva Polly, ma senza farla vergognare di esse. In
breve, era per manchevolezza di ingegno della bella Polly, piuttosto che per sua
volontà, se la giovane non era un completo artificio come l’illustre Pennacchio; e
facendo lei esercizio a quel modo della sua semplicità, il fantoccio della strega poteva
ben sperare di conquistarla.
Non appena Polly udì i passi gottosi del padre avvicinarsi alla porta della sala,
accompagnati dal secco scalpiccio delle scarpe a tacco alto di Pennacchio, si mise a
sedere impettita e cominciò innocentemente a canticchiare una canzone.
«Polly, figlia mia!» gridò il vecchio mercante. «Vieni qui, piccola.»
L’aspetto di Gookin, quando aprì la porta, era esitante e preoccupato.
«Questo gentiluomo» continuò, presentando lo sconosciuto «è il Cavalier
Pennacchio... che dico, chiedo perdono, il Lord Pennacchio... che mi ha portato un
segno del ricordo di una mia vecchia amicizia. Rendi omaggio a sua signoria, figliola,
e onoralo come si conviene al suo rango.»
Dopo aver detto queste poche parole, l’eccellentissimo magistrato lasciò subito la
stanza. Ma, anche in quei brevi istanti, se la graziosa Polly avesse guardato di lato verso il padre,
anziché essere completamente assorbita dal brillante ospite, avrebbe
potuto trarre avvertimento di qualche pericolo incombente. Il vecchio era nervoso,
agitato, e molto pallido. Abbozzando un sorriso di cortesia aveva deformato il viso in
una sorta di smorfia che, mentre Pennacchio aveva le spalle girate, aveva trasformato
in un’occhiata torva, agitando contemporaneamente il pugno chiuso e battendo a terra
con forza il piede gottoso... un’indegnità che portò con sé l’immediata e dolorosa
punizione.
La verità sembra essere che la parola di presentazione di Mamma Rigby,
qualunque essa fosse, avesse fatto leva molto più sulla paura del mercante che sulla
sua buona volontà. Per di più, essendo egli un uomo dallo spirito di osservazione
eccezionalmente acuto, si era accorto che le figure dipinte sul fornello della pipa di
Pennacchio erano in movimento. Guardando più da vicino si era reso conto che
quelle figure rappresentavano un convegno di minuscoli diavoli, ognuno debitamente
provvisto di corna e coda, che danzavano mano nella mano con gesti di diabolica
soddisfazione attorno alla circonferenza del fornello della pipa. Come per confermare
i suoi sospetti, mentre Gookin accompagnava il suo ospite lungo un tetro corridoio
dalla sua stanza privata alla sala dei ricevimenti, la stella sul petto di Pennacchio
aveva brillato di vere fiamme, proiettando un bagliore guizzante sulle pareti, il
soffitto e il pavimento.
Con tali sinistri presentimenti che si manifestavano da ogni parte, non c’era da
meravigliarsi se il mercante si sentiva come se stesse costringendo la figlia a una
conoscenza molto discutibile. Malediceva in cuor suo l’eleganza insincera dei modi
di Pennacchio mentre il brillante personaggio si inchinava, sorrideva, portava la mano
al cuore, aspirava lunghe boccate dalla sua pipa e arricchiva l’atmosfera con i vapori
fumosi di un sospiro fragrante e visibile. Volentieri il povero Gookin avrebbe
cacciato nella strada il suo pericoloso ospite, ma su di lui gravava la costrizione del
terrore. Questo rispettabile vecchio gentiluomo, ne abbiamo il timore, durante un
precedente periodo della sua vita doveva aver dato qualche pegno alla causa del male,
ed ora forse era il momento di riscattarlo mediante il sacrificio della figlia.
Si dava il caso che la porta della sala dei ricevimenti fosse in parte di vetro,
schermata da una tenda di seta le cui pieghe pendevano in modo obliquo. Tanta era la
curiosità del mercante di osservare ciò che sarebbe intercorso tra la bella Polly e il
galante Pennacchio che, dopo aver lasciato la sala, non riuscì assolutamente a
trattenersi dallo sbirciare attraverso la fessura della tenda.
(http://www.rainews24.rai.it/ran24/speciali/bellini/foto/puritani.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Giugno 2010, 12:39:21


Ma non c’era nulla di tanto miracoloso da vedere – tranne i particolari
insignificanti che aveva precedentemente notato – nulla che potesse confermare
l’idea di un pericolo soprannaturale che circuisse la bella Polly. Lo straniero, in
verità, era decisamente un uomo di mondo, abile ed esperto, metodico e sicuro di sé,
e quindi proprio il tipo di persona alla quale un genitore non dovrebbe affidare
un’ingenua fanciulla senza la dovuta vigilanza per evitare eventuali conseguenze.
Il rispettabile magistrato, che aveva dimestichezza con ogni tipo e genere di
umanità, non poteva non accorgersi che tutti i movimenti, tutti i gesti del distinto
Pennacchio erano appropriati. In lui non c’era nulla di maleducato o rozzo; un
conformismo perfettamente collaudato si era incorporato nel profondo della sua
essenza, trasformandolo in un’opera d’arte. Forse era proprio quella peculiarità che gli conferiva un aspetto spettrale e spaventoso. Il tipico effetto di qualcosa di
completamente ed esageratamente artificiale nella figura umana con cui una persona
ci colpisce come irreale, quasi non possedesse abbastanza corporalità da proiettare
un’ombra al suolo. Nel caso di Pennacchio, tutto ciò risultava in una stravagante,
bizzarra e fantastica impressione, come se la sua vita e la sua essenza fossero simili al
fumo che si levava in spire dalla sua pipa.
Ma la bella Polly non notava tutto questo. La coppia stava ora passeggiando lungo
la sala; Pennacchio con la sua andatura delicata e una non meno delicata smorfia; la
fanciulla con la sua naturale grazia femminile, appena macchiata, non contaminata,
da un atteggiamento lievemente affettato che pareva rubato alla perfetta perizia del
suo compagno. Quanto più a lungo continuava l’incontro, tanto più ammaliata ne era
la bella Polly; finché, dopo il primo quarto d’ora (come il vecchio magistrato osservò
sul suo orologio) lei cominciò visibilmente a innamorarsi. E non sarebbe neppure
stata necessaria una stregoneria per vincerla tanto in fretta; il povero cuore della
giovane, probabilmente, era così ardente che si dissolse per il proprio calore riflesso
dalle vuote sembianze di un amante. Non importava ciò che Pennacchio dicesse; le
sue parole trovavano profondità e risonanze nelle orecchie di lei, non importava ciò
che facesse, le sue azioni apparivano eroiche ai suoi occhi. Ormai c’era un certo
rossore sulle guance di Polly, un sorriso dolce sulle sue labbra e una morbidezza
acquosa nel suo sguardo, mentre la stella continuava a scintillare sul petto di
Pennacchio e i minuscoli diavoli erano impegnati in una baldoria più frenetica che
mai lungo la circonferenza del fornello della pipa. Q graziosa Polly Gookin, perché
quei maligni si rallegravano così follemente che il cuore di una giovane sciocca stesse
per cedere a un’ambra? È forse una sventura tanto insolita, un trionfo così raro?
Poco dopo Pennacchio si fermò e assunse un atteggiamento di comando, invitando
quasi la ragazza a contemplare la sua figura e a resistergli più a lungo, se poteva. La
sua stella, i suoi ricami, le fibbie, brillarono in quell’istante di uno splendore
indicibile; i colori pittoreschi del suo abbigliamento assunsero una profondità di tono
più ricca; su tutta la sua figura calò un luccichio luminescente che annunciò il
perfetto compimento dell’incantesimo. La fanciulla alzò gli occhi e si sforzò di
lasciarli posati sul suo compagno in uno sguardo di timida ammirazione. Poi, come se
fosse desiderosa di giudicare il valore della sua semplice bellezza di fianco a tanto
splendore, lanciò un’occhiata verso lo specchio a grandezza naturale di fronte al
quale stavano passando. Era quello uno dei cristalli più sinceri del mondo, incapace
di adulazioni. Non appena le immagini riflesse colpirono l’occhio di Polly, la ragazza
urlò, ritraendosi dal fianco dello straniero. Lo guardò per un attimo, nella più assoluta
incredulità, e crollò a terra svenuta. Anche Pennacchio aveva guardato nello specchio
e vi aveva scorto non la luminosa parodia del suo spettacolo esteriore, ma l’immagine
dello squallido raffazzonamento della sua composizione reale, spogliata di ogni
incantesimo.
Che sciagurata contraffazione! Ne abbiamo quasi compassione. La sagoma proiettò
in aria le braccia in un’espressione disperata che superò ogni precedente tentativo di
farsi passare per umano; per la prima volta, forse, da quando questa vuota e ingannevole vita di mortali iniziò il suo corso, un’illusione aveva visto se stessa,
riconoscendosi perfettamente per quale era.
Mamma Rigby era seduta accanto al focolare della sua cucina al crepuscolo di
quella giornata ricca di avvenimenti e aveva appena scosso le ceneri da una nuova
pipa, quando udì un tramestio frettoloso lungo la strada. Eppure quello non sembrava
tanto un suono di passi umani, quanto uno scalpitio di legni o uno sbattere di ossa
rinsecchite.
“Ehi!” pensò la vecchia strega. “Che razza di passi sono questi? Quale scheletro
sarà mai uscito dalla tomba a quest’ora?”
Una figura irruppe dalla porta del casolare. Era Pennacchio! La sua pipa era ancora
accesa, la stella fiammeggiava ancora sul suo petto, i ricami continuavano a
risplendere sui suoi abiti e non aveva perduto in nessun grado o misura, che si potesse
notare, l’aspetto che lo associava con i nostri fratelli mortali. Ma pure, in qualche
modo indescrivibile (come è il caso di tutto ciò che ci delude una volta che ne
abbiamo smascherato l’essenza), la misera realtà era avvertibile al di sotto dell’abile
finzione.
«Che è successo di sbagliato?» chiese la strega. «Quell’ipocrita dal naso
gocciolante ha scacciato il mio caro dalla sua porta? Che furfante! Manderò venti
diavoli a tormentarlo finché verrà da te in ginocchio a offrirti sua figlia!»
«No, madre», disse Pennacchio abbattuto «non è stato quello.»
«Forse la ragazza ha respinto il mio tesoro?» chiese Mamma Rigby con gli occhi
ardenti come due carboni di Tophet. «Le coprirò il viso di pustole! Avrà il naso rosso
come le braci della tua pipa! Le cadranno i denti davanti! Tra una settimana sarà così
orribile che non varrà la pena per te di averla!»
«Lasciala stare, madre» ribatté il povero Pennacchio. «La ragazza era quasi
conquistata, e credo che un bacio delle sue dolci labbra mi avrebbero trasformato del
tutto in un uomo. Ma...» aggiunse dopo una breve pausa e un sospiro di
autocommiserazione «mi sono visto, madre! Ho visto me stesso come la cosa misera,
stracciata e vuota che sono in realtà! Non continuerò ad esistere!»
Cavandosi la pipa di bocca, Pennacchio la scagliò con tutta la sua forza contro il
camino e nello stesso istante crollò sul pavimento in un mucchio di paglia e abiti
sdruciti, con alcuni stecchi che spuntavano dall’ammasso e una zucca disseccata nel
mezzo. I buchi degli occhi erano ora opachi, ma la fessura tagliata rozzamente, e che
fino a poco prima era stata una bocca, sembrava ancora contorta in una smorfia
disperata e tuttora umana.
«Poveretto!» disse Mamma Rigby con uno sguardo pietoso ai resti della sua
sfortunata creazione. «Mio povero caro, grazioso Pennacchio! Ci sono migliaia e
migliaia e migliaia di ciarlatani e damerini nel mondo, costruiti dallo stesso insieme
di pattume vecchio, abbandonato e buono a nulla, come eri tu! Eppure vivono in
ottima reputazione e non vedono mai se stessi per quello che sono. Perché dovrebbe
essere il mio povero fantoccio l’unico a riconoscersi e a morirne?»
Mentre borbottava queste parole, la strega si era riempita di nuovo la pipa di
tabacco e la teneva con il cannello tra le dita, incerta se cacciarla nella sua bocca o in
quella di Pennacchio.
«Povero Pennacchio!» continuò. «Potrei facilmente dargli un’altra possibilità e
rimandarlo indietro domani. Ma no, i suoi sentimenti sono troppo delicati, la sua
sensibilità troppo profonda. Si direbbe che abbia troppo buon cuore per muoversi a
proprio vantaggio in un mondo tanto vuoto e privo di cuore. Bene! Bene! Dopo tutto
posso sempre farne uno spaventapasseri. È un’occupazione innocente e utile e si
adatterà bene al mio caro; e se ognuno dei suoi fratelli umani ne avesse una
altrettanto appropriata, sarebbe molto meglio per l’umanità. Quanto a questa pipa di
tabacco, serve più a me che a lui.»
Così dicendo Mamma Rigby si infilò il bocchino tra le labbra. «Dickon!» gridò nel
suo tono alto e stridulo. «Un altro tizzone per la mia pipa!»

(http://www.pianetadonna.it/gallery/foto_gallery/casa/foto-di-decorazioni-fai-da-te-e-idee-per-halloween/strega-silhouettes_thumbnail.jpeg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Giugno 2010, 12:00:58
Frammenti atto terzo

Maxence Fermine

L’apicoltore

La sera del secondo giorno di cammino, la carovana si fermò nei pressi di un uadi, per abbeverare i cammelli. Dopo aver mangiato, gli uomini stesero a terra le stuoie e si addormentarono.
Il Faranji riempì di tabacco una piccola pipa di schiuma e si mise a fumare guardando le stelle. Aurélien gli si avvicinò in silenzio e si sedette di fronte a lui.
“Cosa facevi quand’eri in Francia?” chiese Rochefer.
“Mi annoiavo.”

J.G. Ballard

La zona del disastro

E la tua mano, zio? — Conrad indicò il bendaggio che avvolgeva fino al polso la mano dello zio. Il velo d’ironia nella voce dello zio rammentò al ragazzo la studiata ambiguità del dottor Knight. Già Conrad intuiva che, attorno a lui, la gente prendeva partito.
— La mia mano? — Zio Theodore si strinse nelle spalle. — Mi ha servito per sessant’anni, ormai. Un dito mancante non impedirà certo di accendere la pipa.

William Wilkie Collins

Il truffatore truffato

Come altri tipi dissoluti, ha mangiato poco o niente a colazione. Poi ha fumato la pipa, una sporca pipa in terracotta, che un signore si vergognerebbe di tenere fra le labbra. Dopo aver fumato, ha preso una penna, l’inchiostro e la carta e si è seduto a scrivere tirando un profondo respiro, che non sono in grado di dire se fosse per il rimorso d’aver preso le banconote o per disgusto circa il compito che aveva dinanzi.

Truman Capote

UN NATALE E ALTRI RACCONTI

L’olezzo virile dei sigari, il pungente aroma delle pipe, l’opulenza variegata che evocavano erano per me come un’esca, che mi attirava costantemente dal salotto nella veranda; preferivo però il salotto per via delle sorelle Conklin, che suonavano a turno sul nostro piano scordato, con molta abilità e altrettanta allegria, ma senza darsi arie.

Gettò un’occhiata di riconoscenza alle signore grasse e sfiorite, agli uomini che fumavano la pipa sui gradini di pietra bruna di un edificio. Nove ragazzine pallide facevano chiasso all’angolo intorno a un carretto di fiori per farsi dare qualche margherita da infilare nei capelli.

James Lloyd Carr
Un mese in campagna
(pipa archeologica)

Quello era l’inizio abituale di quasi tutte le mie giornate: una tazza di tè nello scavo di Moon. Di solito non parlavamo molto. Lui fumava la pipa. Gli chiedevo come andavano le cose, chi aveva dato un’occhiata dentro il suo buco; poi lui mi chiedeva come andava in cima alla scala, chi era venuto a farsi due passi in chiesa. Di tanto in tanto, oltre la nuvola di fumo della pipa, mi guardava con aria meditabonda.

«Dritti sul bersaglio!». Ma non volle proseguire prima di essersi fatto una tirata di pipa. «Calma, calma», disse. «Abbi pazienza. Qualunque cosa ci sia lì dentro, ci è rimasta per parecchio tempo;
certamente non scapperà entro i prossimi venti minuti».

Jeffery Deaver
Requiem per una pornostar

Tucker era concentrato sull’elaborato rituale dell’accensione della pipa. Ben
presto, una nuvola di fumo che odorava vagamente di ciliegia invase la stanza.
Indicò la sedia, e Rune si accomodò. Inarcò un sopracciglio, come a voler dire:
continua.

Tracy Chevalier
La ragazza con l’orecchino di perla

Il quadro mi aveva talmente sbigottito che non mi accorsi della donna che stava in un angolo, fino a quando non la sentii dire: «Bene, ragazza, questa è certo una novità per te». Sedeva in una poltrona e fumava la pipa. I denti con cui stringeva il bocchino erano ingialliti dal tabacco, le dita macchiate di inchiostro. Quanto al resto – il vestito nero, l’ampio colletto di pizzo, la cuffia bianca inamidata – tutto era impeccabile. Il volto rugoso era severo, ma gli occhi castano chiaro sembravano divertiti.

DONATO CARRISI
IL SUGGERITORE



Si misero a tavola. Il pollo con il contorno di patate era condito a puntino e
croccante. Joseph si riempì più volte il piatto. Il tizio - ormai nella sua mente lo
chiamava così - mangiava con la bocca aperta e aveva bevuto già tre birre. Dopo cena
tirò fuori una pipa intagliata a mano e del tabacco. Mentre si preparava da fumare, gli
disse: «Sai, ho pensato molto a quello che mi hai detto stamattina».
«A cosa esattamente?»
«A quel discorso sul ‘desiderare’. Mi ha colpito.»
Il tizio prese un rametto dal fuoco e con la punta rovente si accese la pipa. Aspirò
una profonda boccata prima di rispondere. «Potere e desiderio vanno di pari passo.
Sono fatti della stessa, maledettissima sostanza. Il secondo dipende dal primo, e viceversa.
E non lo dice un filosofo del cazzo, perché è la natura stessa che lo stabilisce.

(http://www.anto2ni.it/ludovico/pipachioggia/immagini/Image56.gif)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 05 Giugno 2010, 12:36:06
Recensione rinvenuta buricchiando quà e là,mi sembra notevole,libro compreso.

UNA PIPA POCO FA. . .

nostalgie, ricordi, citazioni, notizie sul modo di

fumare piu ' anacronistico e da alcuni piu' amato nel

libro di Alexis Liebaert e Alain Maya " il grande libro

della pipa " , ed. IdeaLibri  Pagine 216, lire 80.000



- - - - - Sulla mensola del caminetto stavano allineate

venti pipe. Ero nella casa di Georges Simenon, in Avenue

des Figuiers a Losanna, e il grande scrittore mi lascio'

, sorridendo, il tempo di contarle. Gli domandai: "Sono

sue o di Maigret?". Rispose: "Di entrambi perche' mi

hanno aiutato a far vivere Maigret. Lui, per la verita'

, ne possedeva soltanto tre, e la prediletta era di

radica e lievemente curva". Quel pomeriggio piovoso, che

risale al maggio del 1985, e' tornato nella memoria

leggendo Il grande libro della pipa dei francesi Alexis

Liebaert e Alain Maya, con prefazione di Giuseppe

Bossini e con uno straordinario apparato d'

illustrazioni. Fumatore, ma non di pipa, mi sono

accostato a queste pagine con la curiosita' di uno che

si accinga a un viaggio in un mondo pressoche'

sconosciuto. Fin dall' inizio, i due autori mi hanno

immerso nei tanti aromi del tabacco prima e dopo la

combustione: aromi, essi scrivono, "di cacao, di rum o

di vaniglia, e sentore di sottobosco in autunno, lieve

effluvio di terra bagnata di pioggia, un po' di spezie

orientali". Se questa immaginosa atmosfera corrisponde

alla realta' , e' facile capire perche' il genio di

Baudelaire possa aver dato la parola alla pipa che dice

del suo padrone: So allacciargli l' anima e cullarla

.nella rete mobile e azzurrina. che sale dalla mia bocca

ardente. Qui comincia il carosello delle citazioni. Un

filosofo della grandezza di Schopenhauer: "Fumare la

pipa dispensa dal pensare". Mallarme' : "Avevo appena

fatto il primo tiro, e subito dimenticavo i grandi libri

da scrivere, stupito, intenerito, respiravo "inverno

passato che tornava". I fratelli Goncourt: "Tutto

sommato, l' amore e' terra terra se paragonato alla

spiritualita' di una bella pipata". Einstein: "Prima di

rispondere a una domanda, bisognerebbe sempre accendersi

la pipa". Il Gotha dei pipatori comprende altri nomi:

Rimbaud (che cito' la sua pipa nel sonetto "Preghiera

della sera"), Tristan Corbie' re, Francis Jamme,

Apollinaire, Arthur Conan Doyle (e, dunque, Sherlock

Holmes), Mark Twain, Hemingway, Sartre, Van Gogh, Manet

e, fuori della letteratura e della pittura, Bismarck,

Oppenheimer, Konrad Lorenz, Bertrand Russell, Bing

Crosby, Clark Gable, Jacques Tati, il generale MacArthur

e Stalin: tra i crimini che gli si attribuiscono, anche

quello di non pulire mai le sue pipe e di appestare i

suoi collaboratori. Rare le donne: la Pompadour che ne

aveva collezionate trecento e l' intrepida George Sand.

Liebaert e Maya s' interrogano sulle ragioni del declino

della pipa. Con i riti lenti e claustrali che

accompagnano la preparazione e l' accensione, essa e'

simbolo di un tipo d' esistenza che trova riscontri

sempre piu' rari nelle nostre giornate. Contro la

pacatezza e l' assorta calma che la pipa esige, si

accampano gli opposti riti della fretta, della velocita'

, dell' immediatezza. La sigaretta e' in perfetta

sintonia con questo "modus vivendi" che morde e incalza:

tra il desiderio, c' e' uno scatto minimo di qualche

secondo. La pipa, invece, e' come un bacio ottenuto dopo

un lungo corteggiamento, e' l' amore devoto al posto del

rapido flirt. C' e' anche un' altra, importante

differenza. Mentre la sigaretta e il sigaro si

estinguono nel nulla della cenere e nella derelitta

poverta' della cicca, la pipa resta perche' e' un

oggetto. Questo chiama in campo la varieta' dei

materiali di cui e' composta: la schiuma, la radica, l'

argilla, la porcellana, la calabassa (scorza di zucca

tropicale), il mais (detto "schiuma del Missouri"), sono

stati trasformati dalla sapienza artigianale in piccoli

capolavori, ai quali si accede anche attraverso un

lessico che per un profano risulta vagamente misterioso.

Ma il libro di Liebaert e Maya spiega che cosa sono la

ghiera e il pigin, l' astina e lo scovolino, la grana

dritta e la rusticata. Nella prefazione Giuseppe

Bozzini, che confessa di nutrirsi "di pane (poco) e pipe

(tante)", scrive che noi italiani non abbiamo avuto, a

cantare la pipa, un Baudelaire o un Rimbaud, e ci siamo

dovuti accontentare di due poeti dialettali, il veronese

Berto Barbarani e il romano Cesare Pascarella. Di

Barbarani e' nota una "Canzone d' autunno" che comincia

cosi' : O ciosota pipa mia,. can da cassa dei pensieri,.

quanto mal me trovaria . no savendote vissin... ("O pipa

mia chioggiotta, . cane da caccia dei pensieri, . quanto

mi troverei male (non sapendoti vicina..."). Mi permetto

di aggiungere un altro poeta, Umberto Saba, e riascolto

la sua limpida malinconia: Qui tranquillo a riposo, dove

penso . che ho dato invano, che la fine approssima,.

piu' mi piace quel cielo, quelle rondini, . quelle nubi.

Non chiedo altro.. Fumare . la mia pipa in silenzio come

un vecchio . lupo di mare.



Nascimbeni Giulio
(24 ottobre 1994) - Corriere della Sera

(http://farm3.static.flickr.com/2340/2107922377_cf5e25ae47.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 16 Giugno 2010, 10:47:08
Pipe doppiogiochiste........

John Le Carre'

La Talpa.

"Arabi" ripeté Alleline, spingendo da parte la cartella e tirando fuori dalla
tasca una rozza pipa ''Qualunque imbecille può bruciare un arabo, non trovi
Bifl? Puoi comprarti tutto un gabinetto arabo con mezza corona, se ti salta il
ticchio." Da un'altra tasca cavò fuori una borsa di tabacco che gettò
tranquillamente sul tavolo. "Mi dicono che lei è andato sgavazzando col nostro
fratello Tarr, buon'anima.
Come se la cava?"
Un turbine di pensieri attraversò la mente di Guillam mentre sentiva la propria
voce rispondere.
Che, ne era sicuro, la sorveglianza al suo appartamento era cominciata soltanto
la sera prima; che durante il weekend non gli stavano addosso, a meno che Fawn,
il piantone, non facesse il doppio gioco, ciò che era difficile; che Roy Bland
somigliava straordinariamente al defunto Dylan Thomas (Roy gli aveva sempre
ricordato qualcuno, e fino a quel momento non era mai riuscito a stabilire chi),
e che Mo Delaware era sempre riuscita a passare per una donna grazie alla sua
scura mascolinità. (Si chiese anche se Dylan Thomas aveva gli occhi
straordinariamente chiari di Roy.) Che Toby Esterhase stava prendendo una
sigaretta dal suo portasigarette d'oro e che Alleline di solito non tollerava le
sigarette ma soltanto le pipe, per cui Toby doveva proprio essere in ottimi
rapporti con lui.
Che Bill Haydon aveva una strana aria giovanile e che le voci che circolavano
nel Circus sulla sua vita amorosa dopotutto non erano tanto ridicole, dicevano
che era ambidestro.
Che Paul Skordeno aveva un palmo scuro schiacciato sul tavolo e il pollice
leggermente sollevato, in maniera da tendere al massimo la surperficie di
contatto.
Pensò anche alla sua borsa da viaggio: Alwyn l'aveva consegnata alla navetta?
Oppure se ne era andato a colazione lasciandola lì perché venisse ispezionata da
uno di quei giovani mastini avidi di promozione? E, non certo per la prima
volta, si chiese da quanto tempo Toby s'aggirava li nell'archivio prima che lui
avesse cominciato a notarlo?
Scelse un tono faceto: "Esatto, capo.
Tarr e io ci incontriamo ogni pomeriggio da Fortnum and Mason".
Alleline stava succhiando la pipa spenta, provando la consistenza della carica di tabacco.
"Peter Guillam" disse lentamente, col suo forte accento, forse non se ne rende
conto, ma io ho un carattere molto gentile.
In realtà, trabocco letteralmente di buona volontà.
quello che desidero sapere è l'argomento della sua conversazione con Tarr.
Non chiedo infatti la sua testa né alcuna altra parte del suo maledetto corpo e,
personalmente, soffocherò l'impulso di strangolarlo.
O a strangolare lei." Strofinò un fiammifero e accese la pipa, producendo una
fiammata mostruosa. "Arrivo fino al punto di pensare di passarle una catena
d'oro intorn al collo e di riportarla al palazzo da quell'odiosa Brixton."
"In tal caso, non vedo l'ora che si faccia vivo" rispose.
"E c'è la grazia per Tarr, finché non gli metto le mani dosso."
"Glielo dirò.
Ne sarà eccitato."
Una gran nube di fumo veleggiò sul tavolo.


All'improvviso divenne una conversazione animata.
Bland aveva cacciato le mani in tasca e, attraversata a passo pesantc la stanza,
s'era andato ad appoggiare alla porta in fondo.
Alleline aveva riacceso la pipa e stava spegnendo il fiammifero con un ampio
movimento della mano mentre, attraverso il fumo, scrutava Guillam. "Chi sta
corteggiando in questi ultimi tempi, Peter, chi è la fortunata prescelta?"
Porteous stava facendo scivolare un foglio di carta verso Guillam perché lo
firmasse. "Per te, Peter, per piacere." Paul Skordeno stava bisbigliando
qualcosa nell'orecchio di uno dei Russi e Esterhase stava sulla porta dando
ordini male accolti alle madri.

Spalancò la porta spingendola con tutta la forza e si precipitò dentro con la
pistola in pugno.
Haydon e un uomo tarchiato con un ciuffo di capelli neri sulla fronte stavano
seduti intorno a un tavolino.
Poljakov,Guillam lo riconobbe dalle fotografie,stava fumando una pipa
inglesissima.
Indossava un maglione grigio con una lampo sul davanti, come la blusa di una
tuta.
Non s'era tolto neppure la pipa di bocca quando Guillam afferrò Haydon per il
collo.

(http://www.coverbrowser.com/image/time/2852-1.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 07 Luglio 2010, 12:33:12
ARTHUR C. CLARKE

Arthur Charles Clarke nacque a Minehead, nel Somerset (Inghilterra), il 16 dicembre del 1917. Da ragazzo, Clarke si divertiva leggendo con trasporto ed entusiasmo vecchie riviste di fantascienza. Dopo le scuole superiori (secondarie), non riuscì ad entrare in nessun college e di conseguenza iniziò a lavorare. Il suo primo lavoro fu di revisore dei conti per il governo.
Durante la seconda guerra mondiale lavorò per la Royal Air Force come esperto di radar e fu coinvolto nel successivo sviluppo del sistema di difesa radar che aveva consentito alla RAF di vincere la battaglia contro le forze aeree tedesche. Dopo la guerra si laureò al King's College dell'Università di Londra.
Il suo più importante contributo scientifico può essere considerato l'idea che i satelliti geostazionari potrebbero essere il sistema ideale per le telecomunicazioni: propose questo concetto in un articolo scientifico dal titolo Can Rocket Stations Give Worldwide Radio Coverage? ("Possono le stazioni razzo fornire una copertura radio mondiale?"), pubblicato su Wireless World nell'ottobre del 1945. Proprio grazie a questo contributo, l'orbita geostazionaria è oggi nota anche come orbita Clarke o fascia di Clarke in suo onore.
Clarke è ai più noto per il suo romanzo 2001: Odissea nello spazio del 1968, cresciuto assieme alla sceneggiatura del film omonimo realizzato con il regista Stanley Kubrick.

PRELUDIO ALLO SPAZIO

Era un tipo dall'aspetto piuttosto duro che faceva ricordare Winston Churchill. La rassomiglianza era un po' guastata dalla sua mania per le pipe, delle quali, a quanto si diceva, possedeva due varietà: "normale" e "di emergenza". Il modello "emergenza" era sempre pronto per essere messo in azione immediatamente quando giungevano visitatori indesiderati. Si pensava che la miscela segreta usata a questo scopo consistesse di foglie di tè solforate. Sir Robert era un tipo così singolare che una serie di leggende si era creata intorno a lui. Molte di queste erano state inventate dai suoi assistenti, che sarebbero andati fino all'inferno per il loro capo.

(http://rlv.zcache.com/arthur_c_clarke_on_religion_tshirt-p235487192998880861qmkd_400.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 11 Luglio 2010, 15:28:36
ROBERT McCAMMON

Nato a Birmingham nel 1952, ha frequentato liceo e universita' in Alabama. Nel corso degli anni ha pubblicato 13 bestseller e numerosi racconti brevi, creando successi come Swan Song, Baal, Stinger, Mistery Walk e Usher’s Passing, molti dei quali usciti anche in Italia.

TENEBRE

C'era una volta una relazione amorosa fra noi e il fuoco, pensò il presidente
degli Stati Uniti, accostando al fornello della pipa il fiammifero appena
acceso.
Fissò la capocchia ardente, ipnotizzato dal colore... e mentre la fiammella
avvampava, ebbe la visione di un'altissima torre di fuoco che vorticava
per il suo amato paese, incendiava città e villaggi, mutava in vapore i corsi
d'acqua, passava a grande velocità fra le rovine del cuore agricolo della
nazione, scagliava nel cielo nero le ceneri di settanta milioni d'esseri umani.
Osservò, inorridito, la fiammella strisciare lungo il fiammifero e capì
che lì, in scala minuscola, c'era il potere di creare e di distruggere: un potere
che cuoceva il cibo, illuminava le tenebre, fondeva il ferro, bruciava la
carne umana. Una sorta di piccolo occhio scarlatto dallo sguardo fisso si
aprì al centro della fiammella; il presidente ebbe voglia di urlare. Si era
svegliato alle due del mattino, sconvolto dall'incubo dell'olocausto; aveva
cominciato a piangere e non riusciva a smetterla; la First Lady aveva provato
a calmarlo, ma lui aveva continuato a tremare e a singhiozzare come
un bambino. Era rimasto nello Studio Ovale fino all'alba, a esaminare le carte topografiche e i rapporti segretissimi. Dicevano tutti la stessa cosa:
Primo attacco.
La fiammella gli bruciò le dita. Il presidente spense il fiammifero e lo lasciò
cadere nel posacenere con il sigillo in rilievo, posto davanti a lui. Il
sottile filo di fumo si arricciò verso il foro dell'impianto di filtraggio d'aria.
«Signore?» disse una voce. Il presidente sollevò lo sguardo: un gruppo
d'estranei sedeva con lui nella sala operativa; lo schermo del computer mostrava,
ad alta risoluzione, la mappa del mondo; la schiera di telefoni e di
televisori formava un semicerchio come nell'abitacolo di un caccia a reazione.
Desiderò ardentemente che un altro sedesse al suo posto, desiderò di
essere ancora un semplice senatore all'oscuro della verità.
«Sì?» rispose il presidente, rivolto a Bergholz.
Hannan bevve un sorso d'acqua. «Signore, le domandavo se desidera che
continui a leggere» disse. Batté il dito sulla pagina del rapporto.
«Ah.» La pipa è spenta, pensò il presidente; non l'avevo appena accesa?
Guardò nel portacenere il fiammifero bruciato, senza riuscire a ricordare se
ce l'aveva messo lui. Per un attimo gli venne in mente la faccia di John
Wayne, nella scena di un vecchio film in bianco e nero visto da ragazzo: il
Duca diceva qualcosa a proposito del punto dal quale non si torna indietro.
«Sì» rispose. «Continui pure.»

BAAL

— Sì — disse Virga. Accese un fiammifero e lo portò al fornello della
pipa. — Sì, è curioso. Non segue il consueto schema del "risorgimento spirituale"
che si ha quando un "messia" comincia a prendere controllo delle
masse. Di solito il suo nome viene gridato ai quattro venti dai poveri seguaci,
che si accorgono troppo tardi di essere usati come strumento.
Un filo di fumo azzurrino si alzava dalla pipa di Virga. Naughton proseguì:
— Forse le interesserà sapere che una volta Crowley si calò i calzoni e
defecò nel bel mezzo di una cena elegante. Poi suggerì ai suoi ospiti di
conservare le sue deiezioni perché, disse, erano divine.

Vogliamo sapere dove sono atterrati — ripetè Michael, fissando l'altro
uomo negli occhi.
Zark sopportò il suo sguardo per alcuni secondi, poi si voltò di lato. Frugò
nel parka e ne trasse una pipa che sembrava intagliata nell'osso. La
riempì di tabacco nero e ceroso, la accese e aspirò il fumo azzurrino. —
Non so dove siano atterrati — disse. — Non voglio saperlo. Non sono affari
miei.

HANNO SETE

«Le dispiace?», chiese Palatazin alla giovane donna bionda dall'ombretto sgargiante seduta di fronte alla sua scrivania. Mostrò, sollevandola, una pipa che un tempo era stata di schiuma perfettamente bianca e che adesso era un pezzo di carbone pieno di cicatrici.
«Eh? Oh, no, non c'è problema». L'accento era marcatamente del Midwest.
Lui annuì, accese un fiammifero e avvicinò la fiamma al fornello. La pipa era stata un regalo di Jo per il loro primo anniversario di nozze, quasi dieci anni prima. Era intagliata a raffigurare le fattezze di un principe magiaro, uno dei selvaggi guerrieri a cavallo che avevano compiuto sanguinose scorrerie nell'Ungheria del secolo IX. La maggior parte del naso e un sopracciglio si erano sgretolati, e ora la faccia sembrava più quella di un pugile nigeriano. Si assicurò di non aver sbuffato il fumo addosso alla ragazza.

IL VENTRE DEL LAGO

— Entra, entra! — mi esortò il sindaco.
Entrai nel suo ufficio. Tutti i mobili erano di legno scuro e lucido. L'aria
odorava di tabacco dolce da pipa. C'era una scrivania che sembrava grande
come il ponte di una portaerei. Gli scaffali erano pieni di grossi volumi rilegati
in pelle. A me sembrava che non fossero mai stati toccati, perché
nessuno di loro aveva neppure un segnalibro. Due grosse poltrone di cuoio
erano sistemate di fronte alla scrivania, sopra una distesa di tappeti persiani.
Le finestre davano su Merchants Street, ma al momento erano rigate di
pioggia.
Il sindaco Swope, i capelli grigi pettinati all'indietro a partire da un ricciolo
sulla fronte e gli occhi azzurri e amichevoli, chiuse la porta e disse:
— Siediti, Cory.
Il sindaco
fece un passo indietro, il fumo della pipa che gli saliva a spirale intorno alla
testa.
Tirava sempre boccate da una pipa di radica, come una locomotiva che
brucia carbone su una salita particolarmente lunga e ripida, e portava calzoni
dalla piega perfetta e camicie con le sue iniziali sul taschino. Aveva
l'aria di un uomo d'affari di successo, cosa che poi era: possedeva sia lo
Stagg Shop for Men che la Zephyr Ice House, che erano di proprietà della
sua famiglia da anni.

LA VIA OSCURA

Forrest sorrise e annuì. Tirò fuori un sacchetto di tabacco e una pipa di radica, e armeggiò per riempirla. La accese dopo due tentativi e cominciò a riempire di fumo la stanza. «Sono contento che le piaccia», disse sollevato.
«Ma», riprese in tono calmo Falconer, «mi piacciono più di tutti il messaggio e la scritta del secondo manifesto».
«Oh, possiamo combinarli in qualunque modo lei voglia. Nessun problema».
Falconer avanzò finché non si trovò con il viso a pochi centimetri dalla sua stessa fotografia. «È questo che voglio. Quest'immagine parla. Voglio che ne siano stampati cinquemila, ma con l'altro messaggio e l'altra scritta. Li voglio per la fine del mese».
Forrest si schiarì la gola. «Be'... credo che dovremo andare un po' di fretta. Ma ce la faremo, nessun problema».
«Bene». Il predicatore si voltò radioso e tolse la pipa dalla bocca del pubblicitario, strappandola come un leccalecca a un bambino. «Non tollero i ritardi, signor Forrest. E le ho ripetuto più e più volte quanto detesto il puzzo dell'erba del Diavolo». Il suo sguardo era luminoso e acuto. Il sorriso sul viso di Forrest divenne sbilenco, mentre Falconer immergeva la pipa nel bicchiere di limonata. Si sentì un debole sibilo quando il tabacco si spense. «Le fa male alla salute», disse con voce tranquilla il predicatore, come se parlasse a un bambino ritardato. «Fa bene solo al Diavolo». Lasciò la pipa incriminata nel bicchiere di plastica, diede una pacca sulla spalla dell'artista e indietreggiò in modo da poter ammirare di nuovo il manifesto.

L'ORA DEL LUPO

Un paio di ciocchi nuovi erano stati aggiunti nel camino, dove bruciava un fuoco lento. Vide una nuvola di fumo di pipa fluttuare sopra la sedia di pelle nera dallo schienale alto, posta di fronte alla fiamme. La branda era vuota.
«Parliamo, Michael», disse l'uomo che si faceva chiamare Mallory.
«Sì, signore». Gallatin prese una sedia e si accomodò, posando la lampada su un tavolo che si trovava fra i due uomini.
Mallory  non era il suo nome vero, ma uno dei tanti  rise sommessamente, serrando fra i denti il bocchino della pipa. Nei suoi occhi brillava il bagliore del fuoco e adesso non sembrava minimamente vecchio e malfermo come quando era entrato nella casa. «"Restate nelle vostre stanze"», disse, poi rise di nuovo. La sua vera voce, non mascherata, possedeva un tono cavernoso. «È stata un'ottima mossa, Michael. Gli hai fatto cascare le palle dalla paura, a quel povero yankee».
«Ma le ha?»
«Oh, è un ufficiale piuttosto abile. Non lasciarti ingannare dai modi bruschi e da spaccone; il maggiore Shackleton conosce il suo lavoro». Lo sguardo penetrante di Mallory scivolò verso l'altro uomo. «E anche tu». Michael non rispose. Mallory fumò la pipa in silenzio per un attimo, poi disse: «Non è tua la colpa di quello che è accaduto a Margritta Phillipe in Egitto, Michael. Conosceva i rischi e faceva il suo lavoro bene e con coraggio.


LORO ATTENDONO

Il dottor Markos trasse
una pipa scheggiata di radica dalla tasca della camicia, sfregò un fiammifero
e lo avvicinò al tabacco già carbonizzato. — Ha pensato che potrebbe
essere una caverna naturale senza alcuna connessione con queste rovine?
Se così fosse, ci potrebbe essere un tratto franoso, una parete di roccia solida,
un labirinto inestricabile di passaggi attraverso cui nessun uomo riuscirebbe
più a trovare la via d'uscita. Io non vedo nulla, in quel luogo, che
meriti una esplorazione affrettata e pericolosa.
— Un'altra cosa interessante — riprese Blackburn, mentre sfregava un
altro fiammifero per la pipa. — Si diceva che Themiscrya fosse infestata.
Evan fissò negli occhi il suo interlocutore. — Infestata?
— Esatto. — Il tabacco si accese; Blackburn esalò una boccata di fumo.
— C'era un villaggio chiamato Caraminya vicino agli scavi; da quanto ho
ricostruito, gli abitanti pensavano che i terremoti frequenti nella zona fossero
causati dall'ira delle amazzoni uccise.


(http://misiglo.files.wordpress.com/2009/03/vlaminck-8-el-hombre-de-la-pipa-1900-elmundoes.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Agosto 2010, 11:15:08
Francesco Dimitri

"Pietra che rotola non fa muschio, si dice. Io me ne sono andato da casa a diciotto anni, e nove anni dopo ho sentito l’esigenza di spostarmi di nuovo. In questo periodo l’Italia è un ghetto culturale, e dai ghetti si scappa, con o senza cervello. Poi, io non credo in radici, nazioni, eccetera, credo solo nelle persone. Non mi sento Italiano più di quanto mi senta pugliese o romano o londinese. Sono un individuo, sono fatto di molti sogni diversi."

Pan

"Avevo voglia di mettere le mani sul "Peter Pan" originale, un grande libro poco capito. L’ho sempre trovato inquietante, nero, disturbante. Ma al tempo stesso è un inno alla libertà, alla gioia selvaggia e pericolosa. Peter Pan è una forma di Pan, e Pan/Fauno è un dio greco-romano noto per essere, appunto, selvaggio e pericoloso."

Gli alberi sono curatissimi, la pavimentazione è un misto di mattoni
e brecciolina, e sulla sinistra c’è una piscina rotonda. Quando Giovanni aveva cinque
anni e faceva caldo, papà lo portava a fare il bagno lì. Se ne stava con zio Augusto sul
bordo a parlare e farsi una pipata, mentre lui e Angela facevano i pazzi in acqua. Bei
tempi. Altri tempi.
Quante volte ho percorso quella
strada, in passato! Ed erano sempre occasioni liete: un pranzo tutti insieme, una
giornata in piscina, una pipata davanti al camino. Ora invece andavo per litigare, e
forse per combattere, con ,un traditore che mi era accanto da vent’anni.

Ed eccole, Giada e Wendy, sdraiate sull’erba a pochi metri dal campo. Tra il
fogliame sulle loto teste si muovono animali e altro, dal buio profondo giungono voci
di gufi, civette e cose. Anche senza il consiglio di Peter non si sarebbero spinte là
dentro, da sole, stanotte. Si stanno passando una pipa piena di un tabacco strano, dal
profumo dolce, che gli ha regalato Tincker Bell. Non ha effetti stupefacenti, per ora, è
solo molto rilassante.
«Sei pensierosa» commenta Wendy.
«Ho ucciso un uomo.»
«Se lo meritava.»
Giada tira una boccata di fumo. «Ti ricordi che diceva Gandalf a Frodo, su
questo?»
«Sì, certo» dice Wendy, che non legge molto, ma potrebbe citare a memoria interi
passi del Signore degli Anelli. «Che molti tra i vivi meritano la morte, e molti tra i
morti avrebbero meritato la vita. Siccome non sei in grado di ridare la vita ai morti,
dovresti evitare di dare la morte ai vivi.»
«Ecco.»
«Però Aragorn ne scannava un sacco, di gente.»
«Orchi, per lo più.».
«Perché, Laccio cos’era?»
«Questo è vero» ammette Giada, passando la pipa. «Capiamoci, tornando indietro
lo rifarei senza pensarci.»

(http://lauminja.files.wordpress.com/2010/01/pan.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Agosto 2010, 15:34:58
Altri frammenti di pipe

RADIO BALILLA

Alessandro Perissinotto

Intanto, il notiziario era terminato e la radio trasmetteva ora dei ballabili eseguiti
dall’orchestra di Pippo Barzizza. La conversazione si protrasse ancora un po’, lontana
da ogni tema pericoloso come la religione, la politica o il calcio, poi, gradualmente,
come ogni sera, si spense. Le prime a lasciare la tavola furono le due anziane sorelle,
che erano solite ritirarsi presto per recitare il rosario. I tre uomini più maturi,
compiendo anch’essi il loro rito quotidiano, s’accesero la pipa e stettero seduti ad
assaporare il tabacco e a guardare le volute di fumo che parevano attorcigliarsi
intorno al filo della lampadina che pendeva nuda dal soffitto, punteggiata di
escrementi di mosca. Dopo qualche minuto, il signor Tarcisio si alzò, raccolse da
sotto la sedia la sua cartella di pelle e salutò la compagnia: «Permettetemi di
augurarvi la buona notte».


GIUSTIZIA SOMMARIA

Giancarlo Narciso

Al centro della barca, il maresciallo Vendôme, in abito rosso, era attorniato da una
mezza dozzina di ufficiali. Il granatiere e il tenente si tolsero i cappelli piumati
inchinandosi al passaggio del loro comandante. Vendôme non rispose al saluto, ma
restò a contemplare il lago che gli si apriva di fronte.
«Sembra di pessimo umore» disse il maggiore schiacciando del tabacco nella sua
pipa.
«E chi non lo sarebbe al posto suo» commentò l’ufficiale più giovane. «A
quest’ora dovremmo esserci già congiunti a Innsbruck con l’elettore di Baviera.
Invece ci stiamo ritirando. Maledetti Savoia. Dopo tutto quello che gli abbiamo
concesso a Vigevano, c’era da aspettarsi che Vittorio Amedeo tenesse fede ai patti, e
invece...»
«Temo che abbiate ancora molto da imparare sul mondo della politica, mio
giovane amico. Ai Savoia non è mai importato nulla di Casale o di Pinerolo.»
«E cosa vogliono allora? L’intero Piemonte? Milano?»
«Vogliono un regno. E prima o poi l’avranno, a costo di allearsi con Belzebù.
Potete stare sicuro che questo è il prezzo che il duca di Savoia è riuscito a strappare
agli Asburgo per il suo tradimento: la promessa di una corona reale da giocarsi sui
tavoli della diplomazia. Avete capito, tenente... Tenente?»
Il giovane dragone scattò sull’attenti sbattendo i tacchi.
«Chiedo scusa, signore. Tenente Louis De Valseine. Secondo reggimento, quarta
compagnia.»
«Riposo, tenente. Io sono il maggiore Marcel Clermand. Se siete della quarta
conoscerete il capitano Philippe Saunière. Un buon ufficiale, oltre che un caro amico,
abbiamo combattuto insieme a Suzzara. So che è rimasto di stanza ad Arco mentre
marciavamo su Trento. Come sta?»
Il giovane non rispose. Un’ombra gli era scesa sul viso.
«Che vi prende?» chiese il maggiore.
«Nulla, signore. Vedete, anch’io ero amico del capitano Saunière. Amico di
infanzia. Siamo tutti e due di Chateau Saint Martin, nei pressi di Tolosa.»
«Eravate amico, avete detto?»
«Il capitano Saunière è morto, signore.»
«Oh, mio dio. Certamente caduto da prode. Cosa lo ha ucciso? Una lama austriaca?
O la vile palla di uno schützen?»
«Nulla di tutto ciò, signore, ma è una storia lunga...»
Clermand si tolse la pipa di bocca, si sedette sul ponte e fissò il giovane tenente.
«E con ciò? I Savoia non sono nuovi a questi giochi, non è la prima volta e non
sarà l’ultima. Di sicuro preparavano la loro mossa da tempo. La vecchia avrà avuto
informazioni su quanto stava per succedere da qualche spia che frequentava. Questi
ciarlatani vivono di trucchi.» Il maggiore accese di nuovo la sua pipa e soffiò fuori un
perfetto anello di fumo. «Vinceremo questa guerra e metteremo fine a tutte le guerre,
siano esse di religione o di successione. Il mondo sarà dominato dalla Francia e
conoscerà finalmente la pace duratura.»

IL DONO DI GIUDA

Danila Comastri Montanari

Ma padre Bernardo, in mezzo agli amerindi era vissuto a lungo e li conosceva
bene. Ricordava la donna che aveva masticato ogni boccone per imboccarlo, quando
stava per morire di fame, il vecchio che lo aveva curato con le erbe, mentre delirava
dalla febbre, e i bambini che gli si avvicinavano timidi per toccare con stupore la sua
chioma rossastra e gli uomini pronti a condividere con lui il sudato bottino della
caccia.
Fu quindi con una sorta di devoto affetto che si rigirò tra le mani l’arco levigato, il
copricapo di piume e il pugnale di osso che aveva spediti a Gerolamo.
I suoi doni erano tutti in bella vista sugli scaffali, mancava solo la pipa, la lunga
pipa da cerimonia in cui gli indigeni bruciavano lentamente le foglie di una pianta
inebriante, nel corso di una complessa cerimonia che tanti, nella loro tetragona
ignoranza, avrebbero ritenuto diabolica. Lui però, era certo che i sacrifici rivolti allo
spirito della foresta sarebbero giunti al cielo, accolti di buon grado anche dall’unico e
vero Dio, di cui quegli uomini inermi erano figli, come tutti coloro che, in altre
contrade, calcavano la nuda terra.
“Ecco la pipa sacra” pensò con una fitta al cuore. «Provala» aveva raccomandato a
Gerolamo: «il rito della pipa che passa di mano in mano, è segno di amicizia, nelle
Americhe...». Bernardo, chino a mani giunte sotto il peso dei ricordi, non sentì
nemmeno entrare il cappellano.
«Dio sia con voi, padre. So che eravate amici da tanti anni, voi e Sua Eminenza,
anche se spesso manifestavate opinioni contrarie.»
«Parlate come se gli usi barbarici di un pugno di esseri brutali fossero paragonabili
alla nostra luminosa civiltà, dimostrando di essere in preda alla stessa malia che ha
intossicato il domenicano Bartolomeo» scosse la testa il segretario. «E comunque, c’è
molto di più: è necessario comprendere come il problema degli indigeni americani
vada inserito in un contesto più vasto di opportunità politiche, per non arrecare offesa
ai governatori delle loro Maestà Cristianissime, i re di Spagna e Portogallo.»
«Ma si tratta di vite umane e di anime immortali ! » protestò livido il gesuita.
«Può darsi, può darsi... in ogni caso, ora che Sua Eminenza è venuto a mancare, le
vostre discutibili opinioni hanno molte più probabilità di venire ascoltate dal Santo
Padre, rimasto privo del più valido e intransigente dei suoi consiglieri» sibilò
acidamente il segretario.
Bernardo tacque. “Inutile prendersela con un morto” si disse, gli amerindi
sarebbero stati sterminati ugualmente, con o senza battesimo. Ma la Chiesa di Cristo
non poteva, non doveva avallare il massacro...
«Voglio che sappiate, padre Bernardo» proseguì il segretario, visibilmente
risentito, «che Sua Eminenza aveva preso in seria considerazione il vostro punto di
vista, studiando i manufatti indigeni in ogni dettaglio. Proprio ieri notte, poco prima
di morire, esaminava ancora la pipa: l’abbiamo trovata sotto la poltrona, dev’essergli
rotolata là quando è mancato.»
«Volete dire che...» sgranò gli occhi il gesuita.
«Sì, aspirare le vostre foglie è stato il suo ultimo gesto terreno: non c’è bisogno di
dire che le ho fatte immediatamente analizzare dal medico» insinuò il cappellano con
sussiego, come a precisare che a Roma non ci si fidava dei gesuiti. «Pare si tratti di
una nuova pianta americana da fiuto, che gli eccentrici cominciano ad annusare anche
in Europa: assolutamente innocua, come è stato già appurato» ammise, quasi con
rincrescimento.
«Lo chiamano tabacco» spiegò Bernardo con voce spenta.
«Sua Eminenza ha voluto provarlo di persona, dopo aver fatto sperimentare
all’assaggiatore quelle vostre tisane dal sapore orribile...»

«Allora sosterrai che gli abitanti delle Americhe non sono degni di essere accolti
come nostri fratelli nell’abbraccio della redenzione? Non protesterai per l’eccidio di
cui sono spietatamente fatti oggetto, non leverai il pastorale a difendere i perseguitati,
gli inermi, i reietti?» aveva chiesto Bernardo con la voce incrinata.
«Mi dispiace, non posso: il momento è difficile e poco opportuno.»
«Ma stanno uccidendoli tutti, Gerolamo. Li macellano come animali, li fanno
morire di inedia...»
«La questione verrà ridiscussa in futuro: la Chiesa ha tempi lunghi.»
«La Chiesa o Sua Eminenza il cardinal Gerolamo, che conta sull’appoggio di
Spagna e Portogallo nel prossimo conclave?» aveva obiettato livido il gesuita.
«Attento a quello che dici, Bernardo!» era impallidito il cardinale.
«Capisco, non insisterò più. Ti chiedo ancora una cosa, in nome della nostra
vecchia amicizia, un solo gesto, che ti sembrerà sciocco: tira qualche boccata dalla
pipa che ti ho portato, nelle Americhe è un segno di pace. Metti i pezzi di tabacco nel
fornello e accendilo, poi aspira forte: sentirai un aroma penetrante e la mente ti si
schiarirà... non pensare a me, allora, pensa agli uomini che per generazioni si sono
passati quella cannula, e chiediti se hai il diritto di rifiutare loro la vita in terra, e
quella eterna, in Cielo!»
Poi il gesuita se n’era andato, il manto nero svolazzante come un nefasto presagio.
Ora era troppo tardi per convincere il suo vecchio compagno, pensò Bernardo,
inginocchiandosi davanti al feretro.
“Sì, amico mio, hai mantenuto la promessa” disse fra sé avvicinandosi al fastoso
catafalco dove giaceva immobile il principe della Chiesa, ricoperto dai lussuosi
paramenti purpurei. “Non ti servono il manto e la mitra, ora che gli orpelli della tua
potenza terrena sono polvere. In morte, sei nudo davanti alla verità, come uno
qualsiasi dei selvaggi sterminati nelle Americhe.
Ora sai che c’è tanto da imparare dagli altri popoli, nel bene e nel male. Hai
scoperto il meccanismo della molla imprigionata nella cera, responsabile della tua
morte, che è noto da secoli nel Catai. Quando hai acceso il fornello della pipa, la cera
si è sciolta e ha fatto scattare la molla, liberando una punta che ti si è conficcata in
gola, così profondamente da non lasciar traccia visibile....
Il miscuglio di veleni in cui era intinto l’ago è ancora sconosciuto da noi, ma gli
indigeni delle Americhe lo chiamano curaro.

Les Roberts

Scritto col sangue

Radisson accese una pipa di radica riempita di un tabacco così aromatico che ne sentivo il profumo anche da spento. Un buon profumo. Secondo me, quasi tutti i fumatori di pipa sfruttano il complesso cerimoniale di preparazione del loro strumento per riflettere con calma. Era quello che anche Radisson stava facendo. Disse, alla fine: — Siccome sono sicuro che, prima o poi, lo verreste a sapere, è meglio che ve lo dica subito io. Buck Weldon ha intenzione di citarmi.
Sbarrai gli occhi. La vita era ancora piena di sorprese. — In base al numero di copie vendute de L’angelo della vendetta, Buck pretende molto più di quanto gli abbiamo potuto offrire noi.
— A quanto ammonta la richiesta di Buck?
— I legali stanno ancora trattando, ma la cifra si aggira sul mezzo milione di dollari.
— Salata.
— Potete dirlo forte! — Tirò una boccata dalla pipa. Si agitò sulla sedia, mentre io lo fissavo.
Poi dissi: — Posso farvi ancora qualche domanda? — Annuì. — Se finirete in tribunale, sarete voi a vincere?
Il fumo blu della pipa si perse sopra la valle.

Adam Hall

Matto in sedici mosse

L’uomo alzò di scatto il capo e un fiocco di cenere cadde, tra i pezzi degli scacchi, dalla sua pipa di schiuma.
— Un lavoro?
— Sì. Oggi. Potrebbe anche essere drammatico, perché ha a che fare col teatro.
— Niente. Non voglio trovarmi a tu per tu con prime donne acclamate che perdono braccialetti di brillanti, pellicce di visone o cagnolini ringhiosi e si fanno venire crisi isteriche.
— Mi fai parlare o no?
— Oh! — borbottò lui, fissando la Regina nera su cui era caduta la cenere della pipa. — Avanti. Che c’è?
— C’è questo. Si tratta d’una giovane donna. Si chiama Nicole Pedley. Non è un’attrice, ma è innamorata d’un attore. Ed è sposata.
— Ma non all’attore di cui è innamorata.
— No. Ma ci dev’essere qualcosa di più.
— Me lo figuro. Un bambino. Di quanti anni?
— Niente bambino. Tutto quello che posso dirti è che stasera lei ti aspetta, alle sei, al Dutch Inn. Qualcuno le ha fatto il tuo nome. Siccome sei un famoso criminologo, potresti essere capace di ritrovare un tizio che si chiama Trafford. Sarebbe l’attore di cui è innamorata e che sembra sparito. Basta questo, per cominciare?
L’uomo si alzò e prese a camminare su e giù per la stanza. Il sole ora batteva sul tappeto persiano ravvivandone le tinte.
— Sì. M’interessa. Ti sono molto grato, Gorry.
La signorina Gorringe, che da molti anni gli faceva da segretaria e governante, era grassoccia e aveva un bel po’ di anni più di lui. Lo guardò con gli occhi chiari, di cui sapeva celare qualsiasi espressione in qualsiasi occasione.
— Ecco tutto, Ugo — brontolò. — Sono la solita stupida che ti sta probabilmente cacciando in qualche nuovo guaio. Parola d’onore, a volte preferirei che tu andassi a lavorare in cima a un campanile o in fondo a una miniera. Quasi quasi mi sentirei più sicura.
Lui smise di camminare e fece un viso compunto.
— Ho mai rischiato la pelle? — domandò.
— Ma se non fai altro! — ribatté lei. — Pensa al mese scorso, quando misero quella bomba nel tuo aeroplano...
— Be’, l’ho sbattuta fuori, no?
— Già, ma che cosa sarebbe successo se non l’avessi vista?
— Sarei stato sbattuto fuori io. D’accordo, non posso sempre cavarmela. Ma posso sempre tentare, no?
Schiacciò, con una penna stilografica, la cenere nel fornello della pipa e si frugò in tasca per cercare i fiammiferi. Lei gliene porse una scatola.
— Comunque — proseguì lui — quella era una banda di pazzoidi. Invece questo romanzetto amoroso fra le quinte che hai scovato per me, mi sembra meno pericoloso di una partita a briscola.
La signorina Gorringe si strinse nelle spalle, soffiando sulla cenere caduta sulla regina nera.
Le maglie d’oro del braccialetto di Nicole brillarono alla luce gialla degli abat-jour. Le lunghe dita di lui pigiarono qualche filo di tabacco nella pipa di schiuma.
— Devo prendere appunti?
— Magari. Non fosse che per rimanere sveglia intanto che io mi imbarco in un lungo monologo. Dopo li potrai archiviare oppure bruciare a tuo piacimento.
Lei tirò fuori taccuino e matita, andandosi a sedere su una sedia meno comoda per essere sicura di rimanere bene sveglia. Bishop appoggiò i gomiti al tavolo, lasciando che il fumo della pipa gli salisse alle nari, come fosse incenso.

(http://www.brebbiapipe.it/img/museo_smaltate.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 14 Agosto 2010, 11:09:32
Oscar Wilde

Ritratto di Mr. W.H.

Ero stato nel teatro circolare dal tetto aperto e
gli ondeggianti stendardi: avevo visto la scena parata di nero per una
tragedia o adorna di gaie ghirlande per qualche rappresentazione più
vivace. I giovani bellimbusti coi loro paggi prendevano posto davanti al
sipario giallastro, sospeso ai pilastri scolpiti del boccascena. Erano
insolenti ed eleganti nei loro fantasiosi vestiti. Alcuni portavano i boccoli
alla francese, giustacuori rigidi, coperti di ricami d'oro, all'italiana, e
lunghe calze di seta celesti o paglierino. Altri, tutti in nero, ostentavano la
moda spagnola dei grandi cappelli piumati. Giocavano a carte soffiando
sottili arabeschi di fumo dalle pipe che i paggi accendevano per loro,
canzonati dai garzoni di bottega e dagli scolari oziosi che gremivano la
piazza. Ma essi non scambiavano sorrisi che tra di loro. Nei palchi laterali
sedevano alcune donne mascherate.

Edgar Wallace

La Mano Rossa

- Si accomodi, ispettore - disse indicando con la mano una sedia. - Una
sigaretta?
L'ispettore sorrise.
- Troppo dolci per me - disse - io fumo la pipa.
- La riempia dunque - disse il professore con un leggero sorriso.
E non gli fece l'insulto di offrirgli il suo tabacco perché sapeva che ogni
fumatore di pipa che si rispetta ha la propria miscela di tabacco che non
solo non ama cambiare ma che difende accanitamente.
- Ebbene? - domandò il professore mentre l'altro riempiva
metodicamente la sua pipa.

Phillips Oppenheim

Il Corriere Scomparso

Poi, presa una borsa
di tabacco, si riempì la pipa. Non seppe resistere, e ritornò in cucina, pur
vergognandosi della sua debolezza. Prese uno sgabello e si sedette nel
punto preciso dove aveva scoperto Anna Cox, intenta ad ascoltare. Stette lì
per dieci minuti buoni, senza sentire il più lieve rumore. Alla fine scattò in
piedi.
— Ma è naturale, si tratta di una pazza! — mormorò.
Tornato nel salotto, si versò un bicchiere di whisky e seltz, riaccese la
pipa che si era spenta, e si accomodò nella profonda poltrona accanto al
fuoco. Il vento infuriava, scuotendo senza posa le imposte delle finestre.
Sbadigliò, cercando di convincersi che aveva sonno.

Alfred E.W. Mason

La Belva

Seguì un silenzio
interrotto da Stirland che cavò di tasca un portasigarette.
— Posso offrirvene una?
— Vi ringrazio; se permettete fumerò la mia pipa.
Il colonnello represse a stento un sospiro. Incominciò a calcolare quante
sigarette si potevano fumare per ogni pipata; una intanto, certamente,
mentre la pipa veniva riempita e accesa.
Generalmente una delle cose che più interessano le persone che avete
nominato poco fa, persone della mia classe sociale, sono i cavalli; non è
così?
— Lo suppongo — disse Thorne sorpreso.
— Il tratto che unisce noialtri, è che dei cavalli non ce ne importa niente.
Thorne prese per buona quella ragione e cessò le sue domande; ma si era
rabbuiato. Sarebbe basta quest'ultima spiegazione per persuaderlo che
Stirland non era neanche lontanamente della razza dell'uomo di cui lui
andava in cerca.
— Sono spiacente di avervi disturbato — disse spegnendo la pipa.

F.W. Crofts

Il Mistero Di Starvel

Lasciò la via maestra e si addentrò nella brughiera. Sedutosi per terra nel
pallido sole autunnale, con le spalle appoggiate contro un masso, riempì
lentamente la pipa, l'accese e proseguì il filo delle sue meditazioni.
Ma il tempo passava con lentezza mortale. Si mise a seguire il lento corso
del sole in cielo, fece innumerevoli pipate della sua speciale miscela di
tabacco; e intanto rimuginava la tragica vicenda in cui era impegnato e
fantasticava sul suo avvenire.

(http://4.bp.blogspot.com/_lnCs2Vz8Yys/TB85I3nbxJI/AAAAAAAAB-U/PCqtCZN_9Uo/s1600/pipe5.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Settembre 2010, 10:43:31

Jack Kerouac

Non era fatto come noi,molto di più!!!
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=818&biografia=Jack+Kerouac (http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=818&biografia=Jack+Kerouac)

Sulla Strada

(On The Road) tratta del suo incontro con Neal Cassady e di quella che lui stesso definì la mia vita sulla strada alla maniera degli hobo. Questo romanzo, pubblicato solo nel 1957, fu classicamente definito il manifesto della beat generation, ovvero quel movimento culturale americano che gravitava attorno ad autori come Allen Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Gary Snyder, Michael McClure, Charles Olson e ovviamente Jack Kerouac, che influenzò profondamente la società del tempo.

Un sacco d'individui diventano
molli a far la guardia ai detenuti, e son proprio quelli che di solito si
mettono nei pasticci. Prendiamo te adesso: da quel che ho potuto osservare
di te, mi sa che tu sei un po' troppo acconscendente con gli uomini.» Alzò
la pipa e mi guardò severamente. «Se ne approfittano, capisci.»

Noi gli piombammo addosso come una nuvola, tutti affamati, persino
Alfredo, l'autostoppista storpio. Hingham indossava un vecchio golf e
fumava la pipa nell'aria pungente del deserto. Sua madre si presentò e ci
invitò a mangiare nella sua cucina. Cucinammo vermicelli in una grossa
pentola.
Poi andammo tutti con la macchina a una rivendita di liquori all'incrocio,
dove Hingham incassò un assegno di cinque dollari e mi diede il denaro.

Mi
pareva che sarei morto da un momento all'altro. Ma non morii, e camminai
per sei chilometri e raccolsi dieci lunghe cicche e me le portai nella stanza
all'albergo di Marylou e ne versai il tabacco nella mia vecchia pipa e
l'accesi. Ero troppo giovane per capire quel che era avvenuto. Alla finestra
annusai il profumo di tutti i cibi di San Francisco.


(http://clatterymachinery.files.wordpress.com/2008/03/jack-kerouac-typing.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Settembre 2010, 12:43:20
Susana Fortes Lòpez

Susana Fortes (Pontevedra, 1959) è una scrittrice e giornalista spagnola.
Laureata in Geografia e Storia all'università di Santiago di Compostela, e in Storia americana all'università di Barcellona, unisce la sua passione per i romanzi con il lavoro come professoressa a Valencia. Ha tenuto conferenze negli Stati Uniti d'America (Louisiana e California).


Quattrocento

l'odore che avvolgeva la biblioteca, lo stesso aroma vagamente coloniale
che avevo sentito sui vestiti del professor Rossi fin dal primo giorno, senza
tuttavia riuscire a decifrarlo. Un odore prettamente maschile, solido, come
tostato a fuoco. Lo vidi riempire la pipa da marinaio di piccoli filamenti
scuri e dorati, finissimi, che aveva estratto con parsimonia da una scatola
di latta col marchio Cornell & Diehl. Appoggiò la testa contro lo schienale
del divano, facendo un lungo tiro e, attraverso quella nube di fumo
aromatico, che avvolse il mio universo sensoriale, d'un tratto riemerse uno
strato profondissimo della memoria: vidi una bambina, quasi dimenticata,
che giocava con le cartine sul tavolo di cucina di una casa di pietra nel
centro storico di Santiago.
Gli odori che hanno plasmato la nostra anima sono anche vie diconoscenza e di attrazione. Ecco perché non è affatto strano che ci si
commuova a causa di un profumo; a causa di quel movimento che
allontana una pipa dalla bocca, seguito dall'abbassarsi del braccio e dallo
sguardo che va verso una finestra e si appunta su un giardino illuminato da
lampioni bianchi; per via di un polso ossuto, simile a una piccola isola, che
spunta dalla manica del maglione; per l'amore che ci chiude la bocca prima
che si possa pronunciare il suo nome. Ma come si può nominare la persona
di cui ci si è innamorati, mi chiedevo, se è qualcuno cui hai sempre dato il
lei, qualcuno che ha quasi il doppio della tua età, che ti fa da relatore e che
è anche stato amico di tuo padre? È impossibile. Non si può. Ci sono
distanze insuperabili.
Il professor Rossi mi servì dell'altro tè, mentre mi raccontava
pacatamente non so quale vicenda che illustrava la ferocia nella politica
fiorentina del XV secolo. Per me, in quel momento, era come se mi stesse
parlando del Paleolitico inferiore. Sembrava essersi dimenticato
completamente di ciò che gli era successo nelle ultime ore. Senza dubbio
non dava l'impressione di essere appena uscito dall'ospedale, né di avere
da poco subito un furto. Nessuno che avesse ricevuto una simile notizia
avrebbe potuto continuare a fumare la pipa e a parlare dell'onore dei
Medici come se niente fosse. Delle due, l'una, pensai: è matto oppure
davvero non gli interessa granché di ciò che potrebbe succedergli.
Provai dunque a concentrarmi su
ciò che stava dicendo.
«Quando la necessità di vendicarsi s'infiltrava nella politica, non esisteva
nessun limite. Era permessa qualsiasi atrocità», concluse. La mia cartelletta, piena di fogli attentamente redatti e stampati, era sul tavolo,
accanto alla scatola di latta col tabacco della Virginia. C'erano caduti sopra
alcuni filamenti dorati e il professore li spostò col lato della mano. Poi
slegò gli elastici della cartelletta, prese i fogli con la mano sinistra e passò
il pollice destro sulle pagine, come se le stesse contando. «Vedo che hai
lavorato parecchio. Con profitto, spero.»
«Anch'io lo spero», replicai, sorridendo, lasciandogli intendere che
attendevo con impazienza il suo verdetto.
«Quello che non riesco a capire, Ana, è perché non mi hai raccontato
delle tue conversazioni all'Archivio con quel tipo... Come hai detto che si
chiama?»
«Bosco Castiglione», risposi.
«Be', no, non capisco, Ana. Non lo so... Sembra che tu non ti fidi di
me.» Aveva appoggiato la pipa su un piattino rettangolare. Mi sembrò che
nella voce ci fosse un pizzico di delusione.
«Va bene. Allora raccontami cosa c'è di nuovo.
Quali novità hai scoperto?» disse con un sorriso vago, cercando di
cambiare discorso e indicando i fogli sul tavolo.
Prese la pipa della pace dal posacenere e la riaccese, proteggendo la
fiamma del fiammifero con l'incavo della mano. L'aria tornò a riempirsi di
quelle fragranze d'oltremare che molto tempo fa, quando ogni avventura
iniziava con un racconto, impregnavano le sentine delle navi cariche di
spezie e foglie di tabacco. E allora io gli parlai della confessione del
soldato.
Dopo aver esaminato i quaderni di Masoni dalla prima all'ultima pagina,
ero arrivata alla conclusione che, per sviscerare il complotto contro i
Medici, dovevo allontanare il mio sguardo dal punto focale, ovvero da
papa Sisto IV e da Ferdinando I d'Aragona, e prestare maggiore attenzione
ad alcuni personaggi secondari.

(http://mardelossargazos.files.wordpress.com/2007/10/424px-federico_da_montefeltro.jpg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Agosto 2011, 18:21:19
E' troppo caldo per qualsivoglia  attività,propongo qualche brano mentre me ne stò al fresco.

Jon Fasman

La biblioteca dell'alchimista

Lei è Paul? domandò con una voce tonante e un forte accento. Il suo
odore di pipa e stantio mi raggiunse prima di lui. Mi chiamo Tonu
Phapaev. Io e la sua amica stiamo tenendo una sorta di
commemorazione... una piccola veglia, potremmo dire... per il mio povero
fratello minore.
Piacere di conoscerla. Non sapevo che Jaan avesse dei parenti.
Oh, si Oh, si Non molti, naturalmente. Ormai soltanto me. Un vecchio
e un altro vecchio. Ridacchiando con aria distratta, si diede dei colpetti
alle tasche dei cascanti pantaloni di velluto a coste e ne estrasse una tozza
pipa marrone, una confezione di tabacco Shipman's e una scatola di
fiammiferi. Anche lei conosceva Jaan? I baffi e la barba erano ingialliti
intorno alla bocca, e dovette strofinare il fiammifero tre volte contro la
striscia ruvida prima di riuscire ad accenderlo. Una volta accostatolo al
fornello della pipa, tornò a sedersi con la stessa prudenza ed esitazione con
cui si era alzato.
Ho un vecchio passaporto di Jaanja a casa.
Forse due. Vede, un proverbio russo dice: "Senza un pezzetto di carta, che
cosa sei? Con un pezzetto di carta sei un uomo". Ridacchiò si agità sulla
poltrona e diede boccate alla pipa finchè gli occhi  gli si accesero di
arancione, come se fossero illuminati dall'interno.

(http://www.unitedmask.com/costumes/images/corn_cob_pipe.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Agosto 2011, 18:26:13
3 o 4 post per segnalare fumate e impieghi della pipa molto eterodossi

C. Mortmain

Non solo il dragone

Il fuoco interiore è l'amore divino. Lo scoprii
dopo essermi scottato la mano con una
manifestazione del fuoco esteriore mentre
cercavo di accendermi la pipa appeso a testa
ingiù a una trave del tetto.

(http://chiara1985.files.wordpress.com/2010/11/still_life_pipe_tobacco_match_hi.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 18 Agosto 2011, 19:40:15
Pipe come armi inproprie,oppure pipe minacciose.

Oriana Fallaci

Un uomo

No, nel fisico non vedevo proprio nulla che mi potesse innervosire o
incantare. E allora? Forse la voce.
Quella voce che al solo gorgogliare ciao sei venuta era entrata in me come una
coltellata: gutturale, profonda, intrisa d'una indefinibile sensualità. Oppure
l'autorevolezza con cui ti muovevi e trattavi la gente? Andrea! La calma di chi è
molto sicuro di se e non ammette repliche a ci che dice perché non ha dubbi su ci
che dice. Avevi tirato fuori una pipa, l'avevi caricata flemmatico, l'avevi accesa
flemmatico, t'eri messo a fumarla con lunghe boccate da vecchio, e ci sottolineava
il distacco con cui rispondevi alle mie domande.

Posasti la pipa, mi afferrasti
entrambe le mani, le stringesti forte bucandomi gli occhi con gli occhi. Sei qui, ci
siamo trovati.

E stavolta la domanda suonò come un colpo di frusta.
Sì, Alekos, sbaglio. Stai riproponendo lo stesso sbaglio di cinque anni fa: ho già
spiegato che le dittature non si cancellano facendo l'eroe solitario o eliminando da
soli un tiranno.
Si cancellano educando le masse alla rivolta collettiva, alla lotta organizzata.
Sennò, morto un tiranno, ne viene un altro e tutto riprende come prima. Vidi i
tuoi denti mordere con forza la pipa. sicché io non sarei servito a nulla, non servo
a nulla.

Ad esempio i bruschi cambiamenti d'umore che ora ti
trasformavano in un fanciullo ora in un vecchio, l'uno e l'altro estranei all'uomo
che avevo conosciuto e che il mondo credeva di conoscere: tuttavia fusi in lui
come due fiumi in un mare. Il vecchio camminava a testa china, le spalle curve,
non si staccava mai dalla pipa che fumava lento, con gli occhi socchiusi,

L'unico atto di guerra al quale
indulgevi, sia uscendo di casa che rientrando, era brandire la pipa come una
spada: impugnarla cioè dalla parte del fornello. Sai che arma è questa? Se uno ti
aggredisce non hai che infilargliela in un occhio. E se manchi l'occhio? E lo
stesso, ovunque tu colpisca fai un buco. Purché il bocchino sia lungo, s'intende, e
non curvo. E guai a replicare che sarebbe stato meglio avere una rivoltella, che
avrei comprato una rivoltella, che l'avrei tenuta in borsa.
Niente armi! Te lo proibisco! La tua fiducia nell'uso bellico della pipa col bocchino
lungo e non curvo era così illimitata da renderti sordo ad ogni mia perplessità e,
del resto, non ti avrei mai visto con una rivoltella in mano.
Tu che passavi per un
dinamitardo, un cultore di esplosivi e di armi, assalti alle caserme, resistenza
armata, per le armi avevi come una ripugnanza fisica. Non sapevi nemmeno
usarle, non eri nemmeno capace di imbracciare correttamente un fucile da
caccia: tenevi il calcio basso, non ci appoggiavi la guancia, e mancavi sempre
l'obiettivo. Anche se questo era un uccello addormentato su un ramo a due metri.
Poi ti consolavi dicendo: Se lo rivedo, quello lì, gli dò un colpo di pipa e lo stendo!

Parcheggiasti accanto alla Cadillac nera che s'era fermata all'imbocco del garage.
Impugnasti la pipa dalla parte del fornello. Scendesti. Vieni. Obbedii. Nel garage
non c'era nessuno, oltre ai tre. E neanche nel vicolo. Unico segno di vita, l'ombra
di un gatto che balzava via muto nella luce verdognola dell'insegna al neon.
Guardali. I tre ci attendevano l'uno accanto all'altro. Petto in fuori, mani sui
fianchi, gambe divaricate: la posa dei picchiatori. Il terzo, impacciato da un
pacchetto cilindrico che reggeva nell'incavo del braccio sinistro. Si assomigliavano
curiosamente: stesso ghigno, stessa corporatura, stessa carnagione olivastra,
stessi baffetti a virgola. E stesso abbigliamento da poveri, pantaloni sformati,
giacca consunta, cravatta a sghimbescio. Non ci voleva molto a capire che non
erano loro i proprietari della Cadillac e che il cervello dell'intera faccenda era
stato l'uomo dai capelli grigi. Ma proprio perché si trattava di semplici esecutori,
di tre disgraziati in vendita per poche dracme, il pericolo era grosso e, d'istinto,
ficcai la mano destra nella borsa: fingendo d'agguantare un'arma che
naturalmente non esisteva. Gesto non del tutto inutile, forse, ma del quale il tuo
mostruoso coraggio non aveva bisogno. Gli occhi fermi, le mascelle serrate,
avanzavi adagio verso di loro, così adagio che tra un passo e l'altro sembrava
gocciolare l'eternità, e ogni muscolo del tuo volto emanava un furore talmente
gelido e incontrollabile che non sembravi più un essere umano bensì una belva
vestita da essere umano. Avanzando ansimavi, li fissavi e ansimavi, e quando gli
fosti davanti ti fermasti: per squadrarli, uno a uno, con esasperata lentezza. Dopo
averli squadrati battesti il bocchino della pipa sul pacchetto cilindrico e, senza
che nessuno dei tre si ribellasse o facesse un gesto o dicesse una parola,
scandisti nella mia lingua e nella tua:
Vedi, questa è una bomba. Non una bomba da tirare a un tiranno: una bomba da
tirare sulla gente. E questo è un fascista greco, un servo senza coglioni. Un servo
della Cia e del Kyp e di Averoff . Dopo aver detto così girasti intorno a loro due
volte, col solito passo, la solita esasperata lentezza, poi ti fermasti davanti a
quello che stava nel mezzo, gli agguantasti la cravatta, gliela tirasti ripetutamente
con colpi secchi e sprezzanti: Anche questo è un fascista greco. Neanche questo,
vedi, ha coglioni. Anche questo è un servo della Cia e del Kyp e di Averoff. Infine,
e sempre senza che i tre si ribellassero o facessero un gesto o dicessero una
parola, sicché io non credevo ai miei occhi e continuando a tenere la mano dentro
la borsa pensavo non è possibile che se ne stiano lì intirizziti a lasciarsi insultare,
sbeffeggiare, non è normale, tra poco gli salteranno addosso e lo massacreranno,
ti dedicasti al terzo.
Sollevasti la pipa, gli appoggiasti il bocchino sul cuore, glielo pigiasti due volte sul
cuore come se fosse un coltello e: Anche lui. Non si direbbe vero? Guarda che
mani. Colpo sulle mani. Guarda che giacca. Colpo sulla giacca. Guarda che
faccia.. Colpo sulla faccia. Si direbbe un figlio del popolo. Tutti e tre si direbbero
figli del popolo. In un corteo passerebbero per figli del popolo. E invece sono servi
senza coglioni, fascisti. E lo sai cosa faccio io ai servi senza coglioni, ai fascisti?
Lo sai? Non c'era nulla che tu potessi fargli. Assolutamente nulla.
Eri solo con una pipa e una donna che, impacciata da un abito lungo, fingeva di
stringere una rivoltella inesistente. Se uno dei tre si fosse svegliato, saremmo
stati massacrati in un lampo. E lo sapevi. Per con la coda dell'occhio avevi notato
finalmente il mio bluff e ora te ne servivi per puntare sulla sorte: rouge ou noir le
jeuest fait rienneva plus. O la va o la spacca. O si vive o si muore. Nell'uno e
nell'altro caso che importa.

L'altro braccio era invece piegato ad angolo retto sul cuore dove la mano stringeva
la pipa. Quanto agli occhi, fermissimi, puntavano il presidente come una preda:
ignorando di proposito Hazizikis e Teofilojannacos, quasi che tu non li avessi mai
conosciuti. Raggiungesti il microfono. Infilasti la mano destra nella tasca della
giacchetta. Portasti la pipa spenta alla bocca e: Devo chiedere a questo
tribunale... Vidi le immobili maschere dei giudici in uniforme ravvivarsi nello
stupore e il visuccio del presidente sbiancare: Lei non chiede nulla! E il tribunale
che chiede! Dica soltanto quando e dove è stato detenuto! Fatti e non giudizi,
inteso? Un lampo. Ecco perché il veto posto ai fotografi e agli operatori della Tv ti
serviva; ecco perché, appena t'era giunta la notizia di quel veto, avevi accettato di
andare a deporre; ecco perché eri entrato a quel modo, senza degnar d'uno
sguardo Teofilojannacos o Hazizikis: per attaccar rissa e dire ad alta voce ci che
avresti voluto dire nell'aula di Koridallos, e cioè che i veri imputati ormai non
erano i mascalzoni sotto giudizio bensì coloro che li processavano per la propria
convenienza. Be', allora non restava che trattenere il fiato e aspettare lo scoppio.
Togliesti la pipa di bocca. La levasti a mo' di lancia: Sono stato detenuto dal 13
agosto 1968 al 21 agosto 1973, signor presidente, e parlerò di fatti precisi. Solo
fatti, signor presidente, e fatti che del resto sono già a conoscenza di cotesta Corte
perché io non ho avuto bisogno che cambiasse il regime per accusare gli imputati
in questa aula: per risparmiare tempo lei non avrebbe che leggere le mie denunce
di sette anni fa, ovviamente ignorate dalla magistratura al servizio di
Papadopulos. Tali denunce si trovano nel fascicolo che sta sotto il suo naso. Ma
pongo una condizione per ripetere quei fatti: che lei si rivolga a me con civiltà,
usando il mio nome e cognome, chiamandomi signore anzi signor deputato, e
spiegando perché ha proibito ai fotografi e agli operatori della Tv di assistere alla
mia testimonianza. E il suo ministro della Difesa Evanghelis Averoff che glielo ha
imposto? Testimoneee! Incurante dell'urlo, la pipa colpì l'aria due volte: Ripeto la
domanda, signor presidente. E il suo ministro della Difesa Evanghelis Averoff che
glielo ha imposto? Testimoneee! Sono io che pongo le domandeee! E io vi
risponderò purché lei si giustifichi. Testimone! Lei dimentica dov'è! Non lo
dimentico.
Sono in un tribunale militare per deporre sulle colpe di uomini che ho
combattuto per sette anni mentre i magistrati come lei li servivano. Sono in
un'aula dove si processano torturatori le cui vittime lei condannava applicando le
leggi della dittatura. Un'aula dove vengo trattato con minor rispetto di quello che
mi era riservato dai magistrati di Papadopulos.

(https://www.reproarte.com/files/images/S/schiele_egon/0285-0089_oesterreichischer_soldat_mit_pfeife.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Agosto 2011, 00:44:18
Molto strane anche le pipe di Harry Potter.....


J.K. ROWLING

HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE

Per essere un posto famoso, Il paiolo magico era molto buio e dimesso. Alcune vecchie erano sedute in un angolo e sorseggiavano un bicchierino di sherry. Una di loro fumava una lunga pipa. Un omino col cappello a cilindro stava parlando al vecchio barman, completamente calvo, che sembrava una noce di gomma. Il sordo brusio della conversazione si arrestò al loro ingresso. Sembrava che tutti conoscessero Hagrid; lo salutarono e gli sorrisero, e il barman prese un bicchiere dicendo: «Il solito, Hagrid?»
«Non posso, Tom, sono in servizio per Hogwarts» disse il gigante dando una grossa pacca con la manona sulla spalla di Harry, al quale si piegarono le ginocchia.
«Buon Dio!» esclamò il barman scrutando Harry. «Questo è... non sarà mica...?»
Nel locale cadde d'un tratto il silenzio; tutti si immobilizzarono.
«Mi venisse un colpo...» sussurrò con un filo di voce il vecchio barman. «Ma è Harry Potter! Quale onore!»
Uscì di corsa da dietro il bancone, si precipitò verso Harry e gli afferrò la mano con le lacrime agli occhi.
«Bentornato, signor Potter, bentornato!»
Harry non sapeva che cosa dire. Tutti lo guardavano. La vecchia continuava a dar tirate alla pipa senza accorgersi che si era spenta.


HARRY POTTER E IL PRIGIONIERO DI AZKABAN

«Che cosa sai di Hogsmeade?» chiese Hermione curiosa. «Ho letto che è l'unico insediamento completamente nonBabbano di tutta la Gran Bretagna...»
«Sì, credo di sì» disse Ron in tono sbrigativo, «ma non è per quello che mi attira. Io voglio assolutamente andare da Mielandia!»
«Che cos'è?» chiese Hermione.
«È un negozio di dolci» disse Ron con aria sognante, «dove hanno di tutto... Le Piperille, che ti fanno uscire il fumo dalla bocca, e dei Cioccoli giganti ripieni di crema alla fragola e panna, e certe deliziose penne d'aqui
la di zucchero che puoi succhiare in classe e sembra che tu sia lì a pensare che cosa scrivere...»
«Ma Hogsmeade è un posto molto interessante, vero?» insistette Hermione entusiasta. «In Siti Storici della Stregoneria c'è scritto che la locanda è stata il quartier generale della Rivolta dei Folletti nel 1612, e la Stamberga Strillante dovrebbe essere l'edificio più infestato dai fantasmi di tutto il paese...»
«...ed enormi palline frizzanti che ti alzano da terra mentre le succhi» disse Ron, che evidentemente non aveva ascoltato una parola del discorso di Hermione.

C'erano scaffali su scaffali di dolci e caramelle, i più deliziosi che sì potessero immaginare. Blocchi di torrone cremoso, quadretti rosa lucenti coperti di glassa al cocco, mou color del miele; centinaia di tipi diversi di cioccolato disposti in pile ordinate: c'era un barile di Gelatine Tuttigusti + 1, e un altro di Api Frizzole. le palline di sorbetto levitante di cui aveva parlato Roti; lungo un'altra parete c'erano le caramelle Effetti Speciali; la SuperPallaGomma di Drooble (che riempiva una stanza di palloni color genziana che si rifiutavano di scoppiare per giorni interi), i curiosi frammenti di Fildimenta Interdentali, le minuscole Piperille nere («sputate fuoco davanti ai vostri amici!»), I Topoghiacci («per far squittire i vostri denti!»), i Rospi alla Menta («saltano nello stomaco come se fossero veri!»), fragili piume di zucchero filato e bonbon esplosivi.



 
HARRY POTTER E L'ORDINE DELLA FENICE

Che razza di nome è Mundungus?
Il nome ideale per uno che puzza come lui. È un'antica parola che indica il tabacco maleodorante o
qualsiasi cosa odori di spazzatura.  (DAVID COLBERT)

Era poco meno tetra dell'ingresso di sopra, una stanza cavernosa con le pareti di pietra viva. La luce proveniva per lo più da un gran fuoco all'altra estremità. Una cortina di fumo di pipa aleggiava nell'aria come vapori di battaglia, attraverso cui affioravano indistinte le forme minacciose di pesanti pentole e padelle di ferro appese al soffitto buio. Molte sedie erano state stipate nella stanza per la riunione, attorno a un lungo tavolo di legno, carico di rotoli di pergamena, calici, bottiglie di vino vuote, e un mucchio di quelli che sembravano stracci. Al capo del tavolo il signor Weasley e il suo figlio maggiore Bill parlavano piano, con le teste vicine.
«La riunione è finita, Dung» disse Sirius, e si sedettero tutti al tavolo attorno a lui. «Harry è arrivato».
«Eh?» fece Mundungus, scrutando cupo Harry attraverso i capelli rossicci impastati. «Accidenti, allora è arrivato. Sicuro... stai bene, Harry?»
«Sì» rispose.
Mundungus frugò nervosamente nelle tasche, senza smettere di fissare Harry, ed estrasse una pipa nera incrostata di sporcizia. Se la ficcò in bocca, accese il fornello con la bacchetta e trasse una bella boccata. Enormi nuvole fluttuanti di fumo verdastro lo oscurarono in pochi secondi.
«Ti devo le mie scuse» grugnì una voce dal centro della nube odorosa.
«Per l'ultima volta, Mundungus» gridò la signora Weasley, «vuoi smetterla di fumare quella roba in cucina, soprattutto quando stiamo per mangiare?»
«Ah» disse Mundungus. «Giusto. Scusa, Molly».
Mundungus ripose la pipa in tasca e la nube di fumo svanì, ma un acre odore di calzini bruciati rimase nell'aria.

«Sto cercando la professoressa Caporal» spiegò Harry. «La mia civetta è ferita».
«Una civetta ferita, hai detto?» La professoressa Caporal apparve alle spalle della McGranitt; fumava la pipa e teneva in mano una copia del La Gazzetta del Profeta.
«Sì» disse Harry, sollevando con cautela Edvige dalla spalla, «è arrivata dopo gli altri gufi e ha l'ala strana, guardi...»
La professoressa Caporal si ficcò la pipa tra i denti e prese Edvige, sotto gli occhi della McGranitt.
«Mmm» mormorò, muovendo appena la pipa mentre parlava. «Sembra che sia stata aggredita, ma non riesco a immaginare da cosa. A volte i Thestral attaccano gli uccelli, certo, ma Hagrid ha addestrato quelli di Hogwarts a non toccare i gufi».

HARRY POTTER E IL PRINCIPE MEZZOSANGUE

Soffitto e pareti erano stati ricoperti da arazzi color smeraldo, cremisi e oro: sembrava di essere dentro un'enorme tenda. La sala era affollata, calda e inondata dalla luce rossa di un elaborato lampadario d'oro appeso al soffitto: dentro svolazzavano delle vere fate, ciascuna una lucente scheggia di luce. Voci accompagnate da mando
lini cantavano in un angolo remoto; un'aura di fumo di pipa aleggiava sulle teste di molti stregoni anziani immersi in conversazione, e un certo numero di elfi domestici si faceva strada strillando nella foresta di ginocchia, portando pesanti vassoi d'argento carichi di cibo, tanto da sembrare tavolini errabondi.
(http://static1.akpool.de/images/cards/27/277129.jpg)



Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 19 Agosto 2011, 09:48:26
Storia inedita nel nostro paese apparsa a puntate negli USA sul più famoso dei "Pulp"Weird Tales, agosto, settembre, ottobre, novembre,
dicembre 1931, gennaio, febbraio, marzo 1932 col titolo The Wolf-Leader, in francia pubblicata in antologia nel 1857 titolo:
Le Meneur Des Loups

Alexandre Dumas

Il Signore Dei Lupi


Lo rivedo nei miei ricordi con un cappello a tricorno, una giubba verde con bottoni d'argento, calzoni corti di velluto a co-ste, alte ghette di cuoio, carniere a tracolla, fucile imbracciato, una corta pipa in bocca.
Parliamo un momento di questa pipa. La pipa era diventata non un accessorio, ma una parte integrante di Mocquet. Nessuno poteva dire di averlo mai visto senza la sua pipa. Quando, per puro caso, non la teneva in bocca, la teneva in mano. Questa pipa, destinata ad accompagnare Mocquet in mezzo ai più fitti bo-schi, doveva presentare la minor presa possibile ai corpi solidi che avrebbero potuto distruggerla. E la distruzione di una pipa ben stagionata sarebbe stata per Mocquet una perdita alla quale solo gli anni avrebbero potuto porre rimedio.
L'abitudine di non separarsi mai dalla sua pipa, che si era scavata una specie di nido tra il quarto incisivo e il primo molare di sinistra, facendo sparire quasi completamente i due canini, aveva provocato in Mocquet il formarsi di un'altra abitudine; quella di parlare a denti stretti, il che dava a tutto ciò che diceva un carattere di ostinazione. Carattere che diventava ancora più accentuato quando si toglieva momentaneamente la pipa di boc-ca, quando cioè nessun ostacolo impediva alle sue mascelle di chiudersi e ai suoi denti di serrarsi, dimodoché le parole gli u-scivano di bocca simili a una specie di fischio appena intelligibi-le.
(http://www.streetwisebulletin.co.uk/emailmarketer/admin/temp/newsletters/284/alexander%20dumas.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Agosto 2011, 00:35:34
Una storiella ancora proveniente dai Pulp, "Uknown" del dicembre1941
Viene evocato un demone che poi infesta una pipa,incredibile ,tenuto conto ,poi,che era una pipa inglese. ;D 8)


Anthony Boucher
Snulbug

Niente funziona mai bene», aggiunse, mesto. «Neppure con lei».
Bill si sedette e si riempì la pipa. Evocare i demoni non era poi una cosa tanto terrificante. Aveva un che di tranquillo e confortevole. «Oh, sì, funzionerà», disse. «Questo è a prova di errore».
«È quello che pensano sempre tutti. La gente...» Il demone guardò con nostalgia il fiammifero, quando Bill si accese la pipa. «Ma tanto vale che la finiamo subito. Che cosa vuole?»

«Senti, mio buon amico dalla chioma di serpenti. Non è questione di che cosa ti piace oppure no. Ti piacerebbe venir lasciato in quel pentacolo, senza nessuno che ti butti i fiammiferi?» Snulbug rabbrividì. «Lo pensavo. Ora, dimmi: puoi viaggiare nel futuro?»
«Ho detto, un po'».
«E...» Bill si sporse in avanti e tirò con forza dalla sua pipa , mentre poneva la domanda cruciale, «... puoi riportarne indietro oggetti materiali?»
Snulbug parve interessato più alle calde nuvolette di fumo della pipa che alla domanda. «Certo», disse, «nel limite del ragionevole lo posso...» s'interruppe e alzò gli occhi con aria miseranda. «Non intende dire che... Lei non può voler ricorrere a quell'espediente trito e ritrito?»
Bill troncò le sue parole: «Allora, non appena ti avrò liberato da quel pentacolo, tu dovrai portarmi il giornale di domani».
Snulbug si sedette sul fiammifero bruciato e si batté addolorato la fronte con la punta della coda. «Lo sapevo», gemette, «lo sapevo. È già la terza volta che mi capita. Io ho poteri limitati, sono un demonietto meschino, ho un nome buffo, perciò è inevitabile che mi tocchi intraprendere missioni insensate».

Bill fece schioccare le dita. Ecco! Quella era la sua possibilità. Tornò a cacciarsi la pipa in bocca, s'infilò alla meno peggio il soprabito, si ficcò l'inestimabile quotidiano in tasca, e fece per uscir fuori. Ma si arrestò e si guardò intorno. Si era dimenticato di Snulbug. Non avrebbe dovuto esserci una sorta di congedo ufficiale?
Quel piccolo, lugubre demonio non si vedeva da nessuna parte. Né dentro il pentacolo, né fuori di esso. Neppure il più piccolo segno della sua presenza. Bill si accigliò. Questo, decisamente, sfidava il metodo scientifico. Accese automaticamente un fiammifero e lo tenne sospeso sopra il fornello della sua pipa.
Un intenso sospiro di piacere uscì dalla pipa.
Bill si tolse la pipa di bocca e la fissò. «Così, ecco dove ti eri cacciato!» disse, pensoso.
«Gliel'ho detto che il salamandrismo è dominante», dichiarò Snulbug, cacciando la testa fuori dal fornello. «Voglio venire anch'io. Voglio proprio vedere che razza di figura da sciocco ci farà». La sua testa scomparve nuovamente in mezzo al tabacco ardente, brontolando qualcosa d'incomprensibile sui giornali e gli incantesimi, e irradiando dosi massicce del più desolato disprezzo nei confronti degli uomini.


(http://www.davidlouisedelman.com/wp-content/uploads/writer-smoking-pipe.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Agosto 2011, 11:43:54
«Quando Sol est in Leone
bonum vinum cum popone
et tabacum cum pipone».
(Pneumatico da Pergamo)
 

BOILEAU NARCEJAC

I DIABOLICI

Alle nove meno un quarto avevano bevuto un bicchierino di cognac, per ridarsi coraggio. Poi Ravinel si era tolto le scarpe, aveva indossato la sua vecchia vestaglia, bucherellata sul davanti da scintille cadute dalla pipa. Lucienne aveva preparato la tavola. Non avevano trovato più niente da dirsi.

«Riconosci la stanza, eh?... Appena il letto e l'armadio... Nessuno sotto il letto e nessuno nell'armadio... Senti!... Annusa... più forte... Sì, c'è odore di pipa, perché fumo prima di addormentarmi... Ma se pensi di trovare una traccia di profumo, puoi scommetterci... Nella stanza da bagno, adesso... E in cucina, sì, ci tengo...»
Aprì, per gioco, la dispensa. Mireille si asciugava gli occhi, cominciava a sorridere attraverso le lacrime. Lui le fece fare dietrofront, bisbigliandole all'orecchio: «Allora, convinta?... Bambina! In fondo, non mi dispiace che tu sia gelosa... Ma fare un simile viaggio... In novembre! Ti hanno dunque raccontato delle cose tanto orribili?»

Si vedevano, dietro i vetri appannati dei caffè, delle ombre cinesi. Un naso, una grande pipa, una mano aperta che, di colpo, s'ingrandiva, sembrava una frattura a stella, e delle luci, tante luci... Ravinel aveva bisogno di vedere delle luci, di riempire di luce quell'involucro di carne, improvvisamente troppo grande per lui. Fermò davanti alla "Brasserie de la Fosse", s'infilò nella porta girevole dietro una ragazza alta e bionda che rideva. Si trovò in un altro fumo, quello delle pipe e delle sigarette, serpeggiante tra le facce, appiccicato alle bottiglie che un cameriere portava in giro su un vassoio.
(http://www.artvalue.com/photos/auction/0/32/32718/pechstein-hermann-max-1881-195-selbstbildnis-mit-pfeife-958551.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Giala - 22 Agosto 2011, 18:11:56
Ho letto con grande piacere!
Grazie Aqualong  ;)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Agosto 2011, 22:05:17
Un grande quesito esistenziale del fumatore:
Fumo per il mio piacere,oppure, il mio piacere è mostrarmi con la pipa in bocca.
Non mi mostro con la pipa,o, non mi può fregare di meno.
Fumo la pipa  che più mi piace,oppure quello che c'è scritto sulla pipa.
Fumo pipe costose per ostentarle in giro,fumo quelle che soddisfano il mio palato.
La gente che mi vede con la pipa deve dire "ma che czz fuma quello" etc...
Poi anche l'autoerotismo spirituale in contemplazione della pipa,con tutte le auto giustificazioni del caso.
Insomma avere per essere o essere,apriamo una fumosa meditazione.

John Franklin Bardin

REQUIEM PER PHILIP BANTER

Il dottor George Matthews terminòdi infilare il tabacco nella pipa di schiuma, accese
un fiammifero e tiròvigorosamente qualche boccata fino a quando la sua testa
non fu circondata da una nuvola di fumo. Il fornello della pipa dai colori delicati rifletteva
allegramente un raggio di sole che filtrava da una delle finestre a volta del
club. Matthews teneva la pipa a una certa distanza da s‚, e di tanto in tanto le lanciava
degli sguardi ammirati: era un bell'oggetto, un esempio eccellente di artigianato reperibile
solo in Svizzera prima della guerra e ora indubbiamente insostituibile. Continuando
ad ammirare la pipa, Matthews si rivolse a Philip:  Quella tua segretaria mi
sembra un po' una scocciatrice, Phil  dissee non ti biasimo quando dici che ti arrabbi
con lei. Peròsento che sei anche molto teso, e dalla tua espressione intimidita e
chiusa mi viene da pensare che ci sia qualcos'altro.
Inoltre, ho notato una certa Angst in
quella telefonata frettolosa con la quale mi chiedevi di pranzare con te oggi e, se posso
dirlo, un'apprensione quasi traumatica. "Banter" mi sono detto "Š piuttosto turbato."
Riportò lentamente la pipa alla bocca, con cautela, come se fosse stato il pezzo di un apparecchio da laboratorio.
 Dimmi, non ho ragione?

Matthews parlò in tono aperto, cercando di calmarlo.  Tu hai detto che il dattiloscritto
"prediceva". Eppure, sostieni che si presentava come una "Confessione" scritta
dal tuo amico. Non ti sembra una contraddizione?
 Si sarebbe portati a pensarlo, vero? E questa Š una delle ragioni per cui ho definito
quello che Š successo al mio amico un'illusione.  Philip allontanòla sedia dal
tavolo e accavallòle gambe.  Ma lui dice di no. Dice che sebbene il dattiloscritto
fosse intitolato "Confessione" e dichiarasse che gli eventi raccontati erano accaduti la
sera prima, i fatti descritti non si erano effettivamente verificati se non dopo la lettura,
e cioŠ quella stessa sera. Perciòla "Confessione" era una profezia a tutti gli effetti.
Matthews prese la pipa, la riempi di tabacco che poi premette per bene. Gli piaceva
davvero il forte aroma del fumo e si vantava di essere un collezionista di pipe; ma la
sua abitudine gli dava anche un vantaggio pratico, oltre che estetico. Un uomo che
traffica con la pipa puòrestare in silenzio per lunghi intervalli ed essere libero di osservare
ciòche fa il suo interlocutore: uno stratagemma assolutamente necessario per
uno psichiatra. Per questo le pipe di Matthews avevano bisogno di essere curate pi—
sovente di quelle della maggior parte dei fumatori; cosi, quando trafficava con fiammiferi
e scovolini, i suoi pazienti non si accorgevano dello sguardo del medico che li
stava scrutando. Adesso, mentre usava quel trucchetto con Philip, Matthews era sempre
più consapevole dell'ansia che attanagliava il suo amico.

Matthews appoggiò la pipa tra il piattino e la tazza. Sebbene non la tenesse più in
mano, con un dito continuava a sfiorarla e ad accarezzarne il fornello, traendo piacere
da quel tepore.  Dovrai dirmi qualcosa di più di questo tuo amico, prima che possa
rispondere a una domanda del genere. Che lavoro fa?


(http://giandri.altervista.org/PipaSchemnitz/PipeScontornate.JPG)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 24 Agosto 2011, 11:03:48
Enzo Biagi in questo libro commenta gli appunti di Enzo Ferrari,riguardanti eventi e personaggi incontrati nella sua carriera.
Un personaggio con un'immagine fortemente bonaria,quando è con la pipa in bocca.

Enzo Biagi

FERRARI TESTIMONE DEL TEMPO

C'erano sul suo tavolo molte bottiglie, e tanti piatti, e gli faceva piacere vedere gli
ospiti mangiare. Lui assaggiava un po' di tutto, caviale, salmone, trota affumicata,
cetrioli freschi, melanzane in salamoia, pasticci di carne, formaggi piccanti, torte e
tanti tipi di frutta. Non è vero che fosse ingordo: era, magari, piuttosto goloso ».
Churchill, che di bevute se ne intendeva, racconta che durante un pranzo Stalin
brindò trenta volte; Bidault, che a un festino gli sedeva accanto, a metà della serata lo
portarono via ubriaco; Gilas parla di una cena che si prolungò per sei ore; i vecchi
compagni narrano di certe scampagnate sul Mar Nero, con uova di fagiano cotte nella
cenere, e fuochi di faggio sui quali si cuoceva lo sciaslik, l'agnello allo spiedo.
Del resto, Stalin diceva, ed è Trotzki che ne dà conferma, che non c'è nulla di
meglio che « identificare l'avversario, predisporre ogni cosa, vendicarsi per bene,
mangiarsi un arrosto, bere una bottiglia di Mukuzani, accendere la pipa, e poi
andarsene a dormire ».
Una « Dunhill » fa parte dell'iconografia privata: non c'è uno Stalin allegrone, con
gli amici o coi visitatori, che non mostri la sua predilezione per il fumo. Smise
soltanto, e per ragioni di salute, pochi mesi prima di morire.

Raccontava Ehrenburg che Litvinov, durante la seduta nella quale fu espulso dal
Comitato centrale, chiese con concitata apprensione al segretario: « Ma allora, mi
considerate un nemico del popolo? ».
Silenzio. Al termine della discussione, e uscendo dalla sala, Stalin si tolse la pipa di
bocca e finalmente rispose: « No ».
(http://www.purotutun.com/UserFiles/urunresim/577-277179630598.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Agosto 2011, 11:42:57
Per far felice qualche amico d'oltralpe e per inserire un autore funambolico  che non poteva mancare.
Il tutto in un paio di post. 8)

Lèo Malet (Montpellier, 7 marzo 1909 – Parigi, 3 marzo 1996)

A sedici anni si trasferisce a Parigi e incontra André Colomer, che lo introduce negli ambienti anarchici. Collabora come freelance alle pubblicazioni del movimento (l'En dehors, l'Insurgé, Journal de l'Homme aux Sandales, La Revue Anarchiste).
In gioventù esercita diversi mestieri: commesso, impiegato di banca, magazziniere da Hachette, operaio, lavatore di bottiglie, venditore di giornali e comparsa, soprattutto per i film sceneggiati dall'amico Jacques Prévert. Vagabonda per Parigi e, nel 1925, debutta come chansonnier al cabaret Vache énragée.
Nel 1931, su invito di André Breton, si lega all'ambiente surrealista, facendo amicizia con Dalí, Tanguy, Prévert. Nel 1932 il suo nome compare nel primo dei dodici manifesti del surrealismo e vi resta legato fino al 1949. Scrive tra l'altro alcune raccolte di poesie surrealiste: Ne pas voir plus loin que le bout de son sexe (1936), J'arbre comme cadavre (1937) e Hurle a la vie (1940). Viene espulso dal movimento perché accusato di essere diventato "il seguace di una pedagogia poliziesca". Si sposa con Paulette Doucet e insieme fondano il Cabaret du Poète Pendu.
Dopo una dura esperienza in un campo di concentramento nazista, nel 1941 inizia a scrivere polizieschi firmandosi con svariati pseudonimi: Frank Harding, Leo Latimer, Louis Refreger, Omer Refreger, Lionel Doucet, Jean de Selneuves, John Silver Lee. In particolare, con lo pseudonimo di Frank Harding, crea il personaggio del reporter Johnny Métal, protagonista di una decina di romanzi gialli.
Nel 1943 pubblica 120, Rue de la Gare, con cui esordisce il suo personaggio più celebre, l'investigatore privato Nestor Burma, che sarà protagonista di una trentina di avventure, inclusa un'interessante "serie nella serie" intitolata I nuovi misteri di Parigi, che va dal 1954 al 1959 e che comprende quindici racconti, ognuno dei quali dedicato a un diverso arrondissement di Parigi. Sarà proprio il personaggio di Nestor Burma a far riscuotere a Malet i primi consensi di pubblico (mentre la critica lo "riscoprirà" parecchi anni più tardi), guadagnandosi l'onore di alcune trasposizioni cinematografiche e di una serie televisiva (1991-1995) di 85 episodi, con protagonista l'attore Guy Marchand.
In secondo piano rispetto a quella di giallista, ma comunque degna di nota, è la sua attività di scrittore di romanzi del genere cappa e spada, circoscritta al periodo tra il 1944 e il 1945. Nel 1948 viene insignito del Grand prix de littérature policière. Nel 1958 la serie I nuovi misteri di Parigi viene premiata con il Gran Prix de l'Humour noir.

Negli anni ottanta Jaques Tardi inizia l'adattamento a fumetti in bianco e nero dei romanzi che hanno per protagonista Nestor Burma.
(http://www.hazardedizioni.it/public_html/immagini/burma1.jpg)

120, rue de la Gare

Si era in luglio. Faceva bel tempo. Un tiepido sole addolciva
lo spoglio paesaggio. Spirava una brezza leggera da sud. Sulla
torretta, la sentinella continuava il suo andirivieni. La canna del
fucile riluceva al sole.
Tornai di lì a poco al mio tavolo, tirando di gusto nella pipa.
Il belga s’era sbrogliato alla meno peggio. Potevamo ricominciare.
Col mio coltello, appuntii meticolosamente la matita
all’anilina fornitaci dalla Schreibstube, poi trassi a me una scheda
bianca.
- Il primo, – dissi, senza alzare il capo. – Nome?
Non lo so.

I piedi affondati nel terreno viscido, fumavo la pipa
fantasticando, addossato alla baracca.
Tagliato nel mezzo dalle rotaie traballanti e sbilenche della
linea Decauville, il viale centrale del campo mi squadernava
dinanzi la sua lunga prospettiva. Evitando le pozze di fango,
gruppi di prigionieri passeggiavano. Sulle soglie delle baracche,
appoggiati agli stipiti delle porte o seduti sugli scalini, mani infilate
nei cinturoni o sprofondate nelle saccocce, altri fumavano
chiacchierando. Biancheria mossa dal vento asciugava alle
finestre.
Battei la pipa contro i gradini di legno. Al posto della cenere,
sparsa sui magri ciuffi della brughiera, misi il prodotto polacco
che ci veniva venduto allo spaccio sotto il nome di tabacco. Era
una specie di dinamite da sfondare lo stomaco, affumicare il
paesaggio e spandere all’intorno un odore polveroso,
piacevolmente acre.

Rividi con emozione l’avenue de la République, poi i piccoli
passages, nei pressi della statua di Carnot, in uno dei quali c’era il
celebre Guignol. In un angolo di quell’intrico di strade coperte,
c’era un tempo un piccolo cabaret da cui ero stato
ignominiosamente sbattuto fuori perché mi mancava qualche
franco al porto-flip che avevo bevuto.
Spipacchiando, cercai quel bistrò… se ancora esisteva.
Il 40 di rue de la Monnaie corrispondeva a un albergo di
terz’ordine (camere a mese e a giornata), ma pulito, tenuto da una
specie di ex boxeur che fumava la pipa davanti al camino
ascoltando con aria scettica i lamenti di un arabo che domandava
verosimilmente una dilazione di pagamento.

Mi offrì un lussuoso astuccio d’oro.
- Prendete, – disse. – Non ne troverete da nessuna parte.
Sono Philip Morris. Ne ho una piccola riserva.
-E ’ una marca rarissima, in effetti, ma… Scusatemi, non
sono un amatore… preferisco la mia pipa.
- Ah, la vecchia vaporiera… Come volete…
Accese la mia pipa e la sua sigaretta.
- Per tornare a Colomer, – disse, esalando un’odorosa nuvola
di fumo, – il brillante detective ha qualche idea?

Mi guardò preoccupato.
- Qualcosa non va, vero? Lo capisco da come tirate nella
pipa vuota. Niente più tabacco?
Indicò la sua giacca gettata su una sedia.
- Prendete una sigaretta.
- No. Mi piace solo la pipa.
- Scorticate una Gauloise e ficcatela nel fornello.
-No.
- Un goccetto di rum, allora? Ho un fondo di…
- Sentite, lasciatemi in pace, fate voi stesso domande e
risposte.
Mi alzai dalla poltrona.
- Volete che vi accompagni? – propose Montbrison.
- Siete matto? Che penserebbero vedendomi presentare con
un avvocato? Mi metterebbero di sicuro le manette.
Rise e non insistè. Promisi di tenerlo al corrente e me ne
andai. Avevo tempo davanti a me. Scrissi tre cartoline in un
ufficio postale lì accanto. Comprai quindi un pezzo di pane e lo
mangiai in un bar, annaffiato da un caffè con abbondante
saccarina. Acquistai da un tabaccaio un pacchetto di gris e caricai
la pipa dirigendomi verso i locali della polizia.




Baraonda agli Champs-Élysées

Entrammo nel bar,
brulicante di un’umanità chiassosa. Marc Covet scelse uno
sgabello, quindi mi abbandonò quasi immediatamente per andare
a salutare qualcuno. Mi sedetti, tirai fuori la pipa, la riempii e
ordinai da bere. Poi mi sbottonai il colletto che mi dava fastidio e,
tenendolo staccato dalla pelle con due dita, mi misi a pensare, in
quell’elegante posa, a un seno intravisto furtivamente. «Ni vu ni
connu, le temps d’un sein nu…» come dice il poeta. Attorno a me
si discuteva di Sourdes menaces. Qualcuno dichiarava con voce di
testa che era sen-sa-zio-na-le. Il tizio separava le sillabe, tagliando
le parole a fette, come fossero salsicce, di cui si riempiva la bocca.
«…pletamente d’accordo con lei. Un linguaggio ellittico
davvero riuscito».
«Sì, grande arte. Potrebbe vincere qualsiasi festival».
Con un solo movimento, puntai mento e pipa verso l’ingresso
del bar. Nel locale stava entrando una coppia, salutata da
mormorii di adulazione. L’uomo, un ciccione dal cranio sguarnito
di capelli e madido di sudore, l’avevo già incontrato nei corridoi
del Cosmopolitan.

«Piacere di conoscerla, signor Nestor Burma», mi salutò il
mio ospite.
Mi venne incontro, con la mano calorosamente tesa. Un
metro e ottanta. Sulla quarantina. Ben piazzato. Capelli corti. Viso
abbronzato. Occhi grigi simpatici brillavano dietro le spesse lenti
degli occhiali cerchiati d’oro. Dettaglio che mi piacque: fumava la
pipa. Spinse verso di me una borsa di tabacco e il giornale già
segnalato. Era «Le Crépu». Ne ero certo. Cominciai a riempire la
pipa.




Febbre nel Marais

Entrai nel mio ufficio privato, appoggiai sul tavolo un revolver,
una foto e una busta rosa barrata in diagonale con la
scritta in lettere blu pervinca: «Rosyanne, calze, biancheria intima
». Mi sedetti, riempii la pipa, guardai la pistola, la foto e le
mutandine di nylon, infilai il tutto in un cassetto, eccetto la
pipa, che tenni in bocca, e presi il telefono.

Ripensai a tutto ciò per una buona oretta, fumando una
pipa dietro l’altra, e cogitazioni e tabacco mi fecero venire sete.
In ufficio avevo solo dell’armagnac. La gola richiedeva però un
liquido meno nobile e meno forte. Scesi dal tabaccaio di fronte
dove la scelta era ben più vasta.
Checché ne pensino alcuni, talvolta è utile avere sete e bere
un bicchiere.
Uscito dal locale, dopo aver bevuto la mia birretta, il pacchetto
di tabacco che avevo appena comprato mi sfuggì dalle
dita. Rotolò sul marciapiede, pericolosamente diretto verso il
tombino. Per fortuna non ci si infilò dentro. Mi abbassai per
raccoglierlo e un passante fu costretto a eseguire un brusco
scarto, più per non stritolarmi la mano che per non calpestare il
mio acquisto. Poi, dopo qualche secondo, un’altra scarpa, questa
volta di donna, si fermò a qualche centimetro da me.
Mi sembrò di essere riportato indietro di due giorni.
Al mondo non c’è un solo paio di scarpe da donna in pelle
di serpente. Sarebbe troppo bello per i serpenti.


«I matti vivono nel loro mondo… Ebbene, credo che me
ne andrò. Ha l’aria calma…».
«Oh! Ma certo, signore… Non è vero piccolo mio che tu
sei buono, sempre tanto buono?».
Per coccolarlo, mi girò le spalle. Mi misi la pipa in bocca e
accesi un fiammifero.
«Dio Mio!», gridò la vecchia, girandosi. «Ma lei non sa quindi?
Il fuoco… il fuoco…».
Il malato si contrasse nella sua poltrona come sotto l’effetto
di una scarica elettrica. Il suo volto espresse un terrore atroce.
Poi si mise le mani a uncino tra i capelli e lanciò un lugubre
e atroce urlo.

(http://media.paperblog.fr/i/122/1227975/7-mars-1909-leo-malet-L-1.jpeg)

Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Agosto 2011, 14:52:01
Malet Léo

Il sole non è per noi

Terminato l’interrogatorio, ho atteso nella stanza attigua che
Gina finisse il suo. Seduti a un tavolo, gli sbirri che ci avevano
accompagnato stavano sudando mille camicie sul loro rapporto. È
arrivato un arzillo giovanotto con la pipa in bocca. Ha stretto la
mano ai poliziotti e m’ha lanciato un’occhiata interessata. —
Novità su Villejuif?
— Nessuna — ha risposto un agente. — Non avevano
complici. Hanno commesso il crimine da soli.
La pipa si è puntata su di me. — E quello?
— Un amico dei due. Carne da galera pure lui. Per ora se la
cava, ma non tarderà a ritrovarsi con le manette ai polsi.

Ci siamo scoperti compaesani, il che ha definitivamente rotto
il ghiaccio. Grabel era simpatico. Doveva avere sei o sette anni
più di me, e non avere mai avuto a che fare con la miseria. Se ci
teneva, potevo metterlo al corrente di quanto conoscevo. Ha
svuotato e ricaricato la pipa, e tolto di tasca un pacchetto di
sigarette riservato agli intervistati. Abbiamo acceso con il suo
accendino.

L’ampia sala del ristorante del Centro Vegetariano, con i suoi
sgabelli di legno bianco intorno a tavoli ricoperti di tela cerata,
profumava di pulizia e di un certo puritanesimo. I manifesti
contro il tabacco e l’alcol appesi ai muri smaltati evangelizzavano
un pubblico verosimilmente già fedele.


IL SOLE SORGE DIETRO IL LOUVRE

Strinsi i denti sul cannello della pipa, abbassai la testa per sembrare un corridore e mi diressi verso rue Jean-Lantier, riparata dalla tramontana.
Qualche mese prima, in quella strada, una bionda chiamata Gaby consumava accuratamente le suole delle scarpe tra due ingressi dalbergo. Forse era ancora lì.

Lei sospirò laconica: «In questo ufficio non c'è bisogno di zucchero. C'è sempre qualcuno pronto a fare lo sdolcinato. Non ha niente di meglio da fare con quel Corbigny?».
«Fare la guardia del corpo non è poi così impegnativo».
Infilai la lettera in un cassetto e riempii una pipa: «Guardia del corpo! Di cosa ha paura quel cliente?».

Sul camino, la pendola scandiva melanconica il tempo. Labat-jour proiettava un cerchio di luce sul sottomano immacolato su cui le mie mani giocavano con un biglietto da visita e un pezzo di carta strappata. Con la pipa in bocca, riflettevo. Nella piccola sala dattesa lì vicino, scricchiolò un mobile. Due piani sotto passò uno strillone, che proponeva, ruggendo, la propria mercanzia: «Lultimo “Crépuscule”… Le ultime del “Crépu”…». Si allontanò o entrò a fare qualche gargarismo al bar tabacchi dellangolo. Di nuovo silenzio, disturbato solo dal tic tac della pendola e dalla mia pipa che gorgheggiava. Mi misi a pulirla. All'improvviso, all'incrocio, per poco due auto non si scontrarono. I freni stridettero, facendomi drizzare i peli delle braccia. Scoppi di voci corrucciate arrivarono fino a me, attraverso le persiane e i vetri chiusi.
Feci scivolare il biglietto da visita e il frammento di carta nellangolo di cuoio del sottomano e mi alzai. Caricai la pipa, curata e ricurata, l'accesi, indossai il cappotto e andai a vedere nella notte fredda e buia se c'era qualcosa per Nestor.
Qualcosa c'era.
La solita manganellata. La classica botta in testa cui sono abbonato.

Entrai nel cabaret, lasciai il cappotto nel guardaroba e scesi nella sala dello spettacolo, dove regnava un'atmosfera satinata e lussuosa. C'era odore di tabacco biondo, alcol e profumi costosi. Forse anche di pelle. Sul fondo era allestito un minuscolo palcoscenico e il pubblico si affollava intorno a una minuscola pista da ballo. Solo i bicchieri in cui si beveva non erano minuscoli. Era perfetto.

Tirai fuori dalla tasca il piccolo utensile che mi serve a pulire la pipa, ma anche ad altre cose. Sottili bastoncini di nickel per gente distratta, che perde spesso le chiavi. La serratura cedette subito, come una donna facile, ma con meno rumore.


La notte di Saint-Germain des-Prés

Tornai sui miei passi, lentamente. Un po sonnambulo anchio, a mia volta. Appoggiato al parapetto del ponte guardai scorrere la Senna, fumando la pipa. Tutto considerato, preferiva il buon Dio ai suoi santi. La banale guardia di quartiere andava bene per le stupidaggini. Lui, quando scopriva un cadavere, avvertiva direttamente la Tour Pointue. In pochi minuti, stipata di poliziotti in divisa, unauto sarebbe sbucata da quegli duri edifici e si sarebbe fiondata a tutta velocità e a sirene spiegate verso rue des Quatre-Vents e… come non detto! Rue des Quatre-Vents? Che sciocchezze! Già si fa fatica a credere a Babbo Natale a dicembre, ma in giugno poi…
…Le acque scure della Senna scorrevano pigramente…
«Dormiamo o ci tuffiamo?», strombazzò una voce dalle sonorità rauche.
Mi scossi, alzai uno sguardo affaticato sul poliziotto che mi parlava. Stava arrivando il tramonto. Ero lì da un secolo.
«Credo che sia così», dissi.
Gli feci un sorriso, un sorriso da scemo, un sorriso triste.
«Così cosa?».
«Non lo so… una fortuna che non mi sia caduta la pipa in acqua, eh?

«Sputa il rospo. Ma niente storie, ok? Lascia il tuo corno a Roncisvalle.
«Cerca di non dimostrarti coglione quanto MacGow».
Gridò:
«Maledetto sbirro schifoso, perché gli dà del coglione?».
«Non lo era? Be, tanto meglio. Ma io lo considero un povero negro deficiente per essersi fatto ammazzare così prima che avessi finito con lui. Si può dire che mi abbia complicato lesistenza».
Per un momento credetti che mi volesse saltare al collo. Illividì, fremette, strinse spasmodicamente i pugni. Riuscì a controllarsi:
«Le auguro di incontrare nella sua vita schifosa una così bella persona, maledetto sbirro figlio di puttana», sputò lui, con la voce vibrante di emozione. «Me ne vado, addio».
«Ti accompagno», dissi. «Non vorrei che ti cadesse una tegola in testa».
Non protestò. Infilai la pistola nel fodero, la pipa in tasca e i soldi che il signor Grandier aveva depositato sul tavolo nel portafoglio. Nemmeno lui protestò. Voleva che lo liberassi dal pacco. Lo stavo facendo.

(http://www.islamicpluralism.eu/WP/wp-content/uploads/2010/06/Malet4.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Tino Bombarda - 26 Agosto 2011, 09:08:22
la pipa con le corna! me l'aveva regalata mia madre 20 anni fa... brebbia se non ricordo male...
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Agosto 2011, 12:33:43
In spagna ne ho viste alcune,con corna di varie dimensioni,detto fra noi che se le fumino


Léo Malet

PANDEMONIO A RUE DES ROSIERS

«Ho urgente bisogno di vederla», ha detto con una strana voce.
E sono venuto al quai d'Orléans per trovarlo in compagnia della giovane ebrea morta.
«Bere e scervellarmi», prosegue. «Non sono riuscito a riubriacarmi granché… forse dovrei ingoiare un torcibudella… né sono riuscito a capirci qualcosa, eccetto che ho un cadavere in casa di cui farei volentieri a meno. Ma adesso che è arrivato lei, forse andrà meglio».
Dalla tasca della veste da camera estrae una sigaretta come fosse un cavatappi, se la mette in bocca e l'accende. Seguo il suo esempio e introduco la mia pipa nell'arredo.

«Forse è stata la lega contro l'alcolismo. Ovunque la gente si ubriachi, loro depositano un cadavere. È sicuramente più efficace del delirium tremens per ricondurre sulla strada della salute-sobrietà… Comunque, prima parlava di una pelliccia e di una borsetta, mi sembra».
«Sono di là».
La pelliccia e la borsa non mi dicono più di quanto abbiano già detto al mio ospite. La borsa non contiene nulla di
interessante e la pelliccia non ha alcun marchio di fabbrica o del negozio in cui è stata acquistata.
Torno dalla morta e frugo le tasche del trench. Contengono polvere di tabacco, il fornello di una pipa rotta e un biglietto da visita stropicciato su cui leggo: «Jacques Ditvrai».

Una sigaretta finisce di consumarsi nel posacenere sul tavolo, accanto a una macchina per scrivere portatile, una bottiglia di acqua minerale, un tubo di aspirina e diverse cartacce. È un fumatore eclettico. Una pipa in schiuma è appoggiata su un pacchetto di Gauloises e uno di tabacco.
«Prego si accomodi», mi invita il tipo indicandomi la poltrona.
Lui prende posto sul divano ingombro di giornali e riviste e si appoggia allo schienale, in una posa che deve essergli molto familiare.

Oeters sta per chiudere – ha già tirato dentro l'espositore esterno – ma è ancora aperto. Quando mi annuncio, sta terminando con una cliente bionda del tipo che amo. Tacchi a spillo, gonna a tubo che sagoma le natiche e il resto.
«Chi si vede!», fa lui. «Nestor Burma! Sta seguendo un'inchiesta da queste parti?».
«Sono a passeggio».
Dà il resto alla bionda e lei, con l'acquisto sotto il braccio, si congeda sorridendoci gentilmente.
Oeters mi stringe la mano, sceglie una pipa tra la dozzina che orna la sua scrivania – begli strumenti di ogni forma e tipo – la riempie, l'accende e sorride, anche lui:
«Sta davvero passeggiando?».
«Diciamo che cerco il libro di un certo Ditvrai e ho pensato a lei».

Con le mani in tasca e la pipa in bocca, mi avventuro nella buia rue des Lombards, come un ometto. Di notte come di giorno il posto brulica di una s;rana umanità, circospetta e furtiva, allo stesso tempo dimessa e agitata, indefinita e precisa. Ma la notte il suo carattere è decisamente più percepibile. Di giorno è piena di auto che la percorrono, madri di famiglia accompagnate dalla progenie che vi si perdono dirette al Bazar de l'Hotel de Ville o verso casa, con le borse della spesa. La notte è invece il regno incontestato delle prostitute e tutto ciò che ne consegue. Mentre certe ragazze passeggiano sui marciapiedi, altre restano immobili all'ingresso degli hotel o in angoli bui. Ce ne sono per tutti i gusti, se non per tutte le tasche. Giovani e anzianotte. Di prima o seconda mano. Come in tutti i posti dove ci si prostituisce. Avviluppate in un impermeabile, un cappotto o un semplice maglione. E tutte con tette e natiche di dimensioni impressionanti. Le prime aggressivamente a strapiombo, le seconde per illustrare la teoria della meccanica ondulatoria. Un corridoio semibuio vomita un cliente che si allontana di fretta, rasente i muri, colmo di vergogna, con la testa bassa. Lo assorbe la notte. Altri amanti dei brevi accoppiamenti gironzolano facendo la scelta al loro passaggio o immagazzinando immagini in testa, sognando un po' a occhi aperti per alimentare, più tardi, il proprio cinema personale.

Dédé versa da bere. A quel punto ci raggiunge il grassoccio, sempre adorabile, con in bocca un altro fiammifero. Dédé accende una Gauloise e il turista una profumata sigaretta inglese. Tengo loro compagnia con la mia pipa. Beviamo tutti un bicchiere, poi finalmente Dédé comincia.

NEBBIA SUL PONTE DI TOLBIAC

Con la pipa in una mano, la borsa del tabacco nell’altra,
contemplavo il paesaggio esterno che sfilava sotto i miei occhi, ma
continuavo a sentire su di me il peso dello sguardo della giovane gitana.
Il fiume trascinava acque color piombo. Ne saliva una timida
bruma, che avrebbe di certo preso coraggio. Al port d’Austerlitz era
ormeggiato un cargo battente bandiera britannica su cui si
affaccendavano alcuni tozzi marinai, sfidando la maledetta pioggerellina
che il cielo basso non cessava di far cadere. Poco oltre, verso il pont de
Bercy, una gru scheletrica il ruotava sulla propria base, come
un’indossatrice che presenta un nuovo abito.
Riuscii a caricare la pipa solo quando spuntarono nel mio campo
visivo le gigantesche travi metalliche disposte a X che costituiscono la
barriera mediana alla gare d’Austerlitz, sullo sfondo fumoso della
prospettiva dei binari della linea di Orléans. Il metrò si fermò facendo
stridere tutti i freni a sua disposizione.
Scesi.
Anche la gitana era scesa dal vagone.
Se non era un pedinamento, ne era comunque un’ottima
imitazione. A dire il vero mi stava davanti, ma certi pedinamenti si
fanno così. Non credevo però di avere a che fare con una collega gitana.
La vidi fendere la marea di viaggiatori e dirigersi verso la pianta
della rete metropolitana, con il passo morbido e aggraziato di una
ballerina, indifferente alla curiosità che suscitava intorno a lei.
La gonna di feltro, animata dal dolce e armonioso movimento
delle anche, era un po’ più lunga del trench e sfregava contro i comodi
stivali di cuoio marrone, dalla forma elegante malgrado la mancanza di
tacco.
Si fermò davanti alla pianta come per studiarla, ma il tutto sapeva
molto di messinscena.
Il metrò ripartì. Arrivò un altro convoglio, sul marciapiede
opposto, si fermò e ripartì a sua volta, comunicando alle mie suole
intense vibrazioni. Nella cabina del capostazione si sentì squillare la
suoneria del telefono. Accesi la pipa.
Adesso eravamo soli sul marciapiede. I viaggiatori lasciati dal
convoglio che ci aveva portati lì, per la maggior parte gente che andava
a visitare i malati dell’ospedale, non si erano attardati e l’operatore
incaricato di tracciare con tanta arte, e l’aiuto di un annaffiatoio, degli
otto in parte per terra in parte sulle scarpe dei passeggeri in attesa, non
aveva ancora preso servizio, forse proprio perché il marciapiede era, per
l’appunto, deserto.
Mi avvicinai alla bella creatura.
Non doveva avermi perso di vista un attimo perché si girò di
scatto verso di me proprio quando ci separavano appena due passi. Non
mi lasciò il tempo di aprir bocca. Attaccò per prima:
«Lei è… Nestor Burma, vero?».
«Sì. E lei?».
«Non ci vada», disse in risposta. «Non ci vada. È inutile».
Con un gesto automatico, portò la mano alla tasca del trench,
tomba di messaggi urgenti, tirò fuori un pacchetto di Gauloise tutto
accartocciato e lo infilò di nuovo in tasca senza prendere nemmeno una
sigaretta. Quel gesto mi ricordò la mia pipa, che avevo lasciato
spegnersi. Non la riaccesi e la feci sparire.


La nebbia si era fatta più spessa. Avvolgeva il triste
paesaggio nel suo perfido cotone. Tirai fuori la pipa e la caricai. Mi
tremavano le dita, mi sentivo a disagio.
Bélita era indaffarata. La sentii aprire la credenza, maneggiare una
pentola. Accesi la pipa.
C’erano solo verdure e niente vino. L’insegnamento di Lenantais
aveva dato i suoi frutti. Frutti e verdure. Personalmente io mi sarei fatto
volentieri una bistecca succulenta e un litrozzo di rosso, ma per una
volta non sarei morto. Bélita tirò fuori un tavolo pieghevole da dietro la
credenza, uno di quei tavoli da giardino o da bistrot di campagna, lo
sistemò, andò a cercare due sgabelli al piano terra e si mise a preparare
la cena. Seduto sul letto, la pipa in bocca, la guardai andare e venire,
darsi da fare tra i dolci fruscii della sua gonna di feltro. Buon Dio! In
cosa mi ero imbarcato questa volta?
«Ho tutti i vizi», dissi per scuotermi. «Fumo. Spero che non la
disturbi».
Mi sentivo pietoso e ridicolo.
«Anch’io fumo», rispose lei. «Ogni tanto».


Mentre preparava il
caffè tirai fuori la pipa e la riempii.
Mi alzai e mi avvicinai alla finestra. Se gli orizzonti che speravo di
scoprire erano ostruiti come quello che vedevo dal mio osservatorio,
non avremmo fatto molta strada. Sembrava che il passage des Hautes-
Formes non esistesse più. La nebbia l’aveva inghiottito.
«…Non si vede a due metri. Posso tentare di forzare la serratura
del portone senza attirare l’attenzione. A meno che lei non possegga
una chiave…».
«Non ho la chiave», disse Bélita, raggiungendomi. (Il suo profumo
a buon mercato e il suo odore di giovane animale mi accarezzavano le
narici). «I poliziotti me le hanno chieste e io gliele ho date. Ma si può
entrare a casa sua anche senza passare dal portone sulla strada. Laggiù,
in cortile, c’è una porticina…». «Andiamo!».
Mi rimisi la canadese, la gitana si avvolse nel suo trench e
scendemmo. La nebbia che invadeva il cortile si appiccicò alle nostre
spalle come biancheria bagnata. Il fumo della mia pipa e il vapore
condensato dei nostri fiati si mescolavano alla bruma fuligginosa.

Più vicino, steso sul letto, sognante, calmo e solitario, un giovane fumava
beatamente una pipa dal lungo cannello. Lo chiamavano il Poeta, ma nessuno aveva
mai letto i suoi versi. Sotto le coperte, lo spagnolo si agitava. Il suo vicino russava
protetto da un manifesto che annunciava per la sera stessa, alla Casa dei Sindacati,
boulevard Auguste-Blanqui, la seduta del “Club degli Insorti”. Argomento trattato:
Chi è il colpevole? La Società o il Bandito? Oratore: André Colomer.
Un uomo magro, capelluto e
barbuto, con i piedi nudi calzati in sandali di cuoio entrò nel dormitorio,
martellando il pavimento di legno con un bastone nodoso, e chiese:
«Il compagno Dubois c’è?».
«No», rispose qualcuno.
L’uomo aspirò profondamente:
«C’è puzza qui. Puzza di…».
Si interruppe vedendo il Poeta che fumava. Si precipitò verso di lui, gli strappò
la pipa dalla bocca e la lanciò con violenza contro un muro, facendola andare in
mille pezzi. Si sollevarono diverse proteste e Lenantais prese la parola:
«Compagno Garone, hai appena compiuto un atto autoritario, indegno di un
anarchico. Non è che per caso un giorno vorrai obbligarci a seguire il tuo esempio e
farci mettere tutti a quattro zampe a mangiare verdura perché, secondo le tue teorie, è
il solo modo per consumarla secondo natura? Sei libero di agire come vuoi,
denunciando la nocività del tabacco — io stesso me ne astengo, non fumo – ma devi
convincere i compagni ancora schiavi di queste passioni, di questi bisogni, con
argomentazioni, non con atti di autorità. È importante…».
I.‘incidente diede il via a una discussione che si prolungò.


Uscimmo. Appena fuori dall’edificio, caricai la pipa e l’accesi.
Senza offesa per l’idiota che aveva forse ormai finito di rompere le pipe
– e le scatole – agli altri, il fumo che mi riempì i polmoni mi procurò un
certo benessere.
Il commissario accese la sigaretta, mescolò il suo fumo a quello
della mia pipa.
«…Non militava più, non frequentava alcun gruppo politico o
filosofico.
Quella lettera rischia di cambiare ogni cosa. È davvero
seccante che l’abbia mandata a chiamare, Burma! Che abbia aspettato di
essere in un letto di ospedale, ferito a coltellate, per riprendere i contatti.
Così l’ha tirata nel mezzo. Non so in mezzo a cosa, ma…». Mi strinsi
nelle spalle:
«In mezzo a cosa vuole che mi abbia messo? Lei sta facendo di un
buco una voragine. È una deformazione professionale. L’ispettore…».
Indicai con la pipa il subalterno di Florimond:
«…l’ispettore ha una sua teoria, credo».
I baffi superiori assorbirono il rilascio della mia pipa.


Nestor Burma e la spilla a forma di cuore


Restammo un buon mezzo minuto faccia a faccia, studiandoci a vicenda, lei in poltrona, io di fronte in piedi, il cappello in mano, la gola attanagliata da una voglia furiosa di fumare, come sempre quando capisco che sarebbe scorretto mettere all‘opera la pipa. Un mezzo minuto a squadrarci in silenzio.
Mi raschiai la gola, gli occhi bassi sulla grana tuttora in mano mia. Provavo sempre più
violentemente quella maledetta voglia di fumare, esasperata dalla vista di uno gnomo in biscuit di Sèvres, sul ripiano di un tavolinetto, con un'enorme pipa nel becco. Oh! Presto sarei andato a inebriarmi a sazietà e a spese mie. Non c‘erano molti chilometri per ritornare ai miei cari riti tabagici. Lo sentivo. Troppo intelligente, Nestor Burma. Talmente intelligente, sottile e astuto che passa per una testa di rapa. La signora Ailot sospirò. Sorrise.
— Lei è un uomo dalle molte risorse.

Passai sul marciapiede opposto, preparandomi una bella pipa rilassante. Mentre imbottivo il fornello della mia pipa a forma di toro, e mi domandavo se qualcuno non avesse tentato di riempirmi la testa di fandonie, lanciai un ultimo sguardo alla casa da dove ero uscito. Una tendina fremette, a una finestra del primo piano, agitata dalla corrente d‘aria o sollevata da una mano. Uhm… La signora Ailot forse trovava anche me un bel ragazzo. Non si sa mai! Accesi la pipa, mi diressi verso il mio macinino, mi sedetti e rimasi stravaccato sul sedile a fumare, più o meno pensieroso. In quel momento, una voce giovane e fresca mi salutò con un cordiale: — Buongiorno, signore.
Senza trucco, assomigliava a una piccola selvaggia simpatica, con la sua camicetta blu generosamente aperta, per l‘assenza dei bottoni in alto.
— Buongiorno, signorina. — E le ricambiai il sorriso, togliendomi la pipa di bocca. Un po‘ di fumo, che si levava dal
fornello, le sfiorò il naso. Lo fiutò, quasi voluttuosamente. Strizzò l‘occhio.
— So chi è lei — disse.
— Addirittura! E chi sono?
— Il principe azzurro.
— Sbagliato. Sono d‘Artagnan.

(http://img.over-blog.com/243x389/1/49/87/62/Policier/EDITEUR/F/EFLN1.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 29 Agosto 2011, 15:02:38
Ancora Isabelita.....


Isabel Allende

Ritratto in seppia

Frederick Williams giocava a bridge e leggeva quotidiani
inglesi, come gli altri gentiluomini della prima classe. Si era lasciato
crescere basette e baffi frondosi dalle punte impomatate che gli
conferivano un aspetto distinto, fumava la pipa e sigari cubani.
Confessò alla nonna di essere un fumatore accanito e che la cosa più
difficile del suo lavoro da maggiordomo era stato l'astenersi dal farlo
in pubblico; finalmente adesso poteva assaporarsi il suo tabacco e
buttare nell'immondizia quelle pastiglie alla menta comprate
all'ingrosso che gli avevano perforato lo stomaco.

Me ne vado sereno, Tao, perché nessuno
più di lei potrebbe aver maggior cura di mia figlia."
"Nessuno potrebbe amarla più di me, signore."
"Quando non ci sarò più, qualcuno dovrà occuparsi di mia sorella.
Lei sa che Rose è stata come una madre per Eliza..."
"Non si preoccupi. Io ed Eliza ce ne occuperemo," gli promise il
genero.
"La morte... intendo dire... sarà veloce e dignitosa? Come farò a
sapere che sta arrivando la fine?"
"Vomiterà sangue, signore," disse Tao Chi'en tristemente.
Accadde tre settimane dopo. In mezzo al Pacifico, nell'intimità della
sua cabina di capitano. Non appena fu in grado di reggersi
nuovamente in piedi, il vecchio navigatore ripulì le tracce di vomito,
si sciacquò la bocca, si cambiò la camicia insanguinata, accese la pipa
e si diresse a prua, dove si sistemò a guardare per l'ultima volta le
tremule stelle nel cielo di velluto nero. Diversi marinai lo videro e si
tennero a distanza in attesa, con i berretti in mano. Quando il tabacco
finì, il capitano John Sommers scavalcò il parapetto e si lasciò cadere
silenziosamente in mare.

La foresta dei pigmei

Angie Ninderera fumava delle sigarette che, secondo lei,
rappresentavano il suo unico lusso, ed era orgogliosa del tanfo del suo
aereo. "Chi non gradisce l'odore di tabacco può andare a piedi" era solita
dire ai clienti che si lamentavano. Da fumatrice pentita, Kate seguiva con
occhi avidi la mano della nuova amica. Aveva smesso di fumare da poco
più di un anno, ma la voglia non era sparita e contemplando l'andirivieni
della sigaretta di Angie le veniva da piangere. Estrasse allora dalla tasca la
pipa vuota, che portava sempre con sé per i momenti duri, e si mise a
masticarla con tristezza.

Camminarono per ore tra la fitta vegetazione. Nadia e Alexander si
lasciavano guidare senza fare domande anche se spesso sembrava loro di
essere già passati diverse volte per il medesimo luogo. I cacciatori
procedevano fiduciosi, a passo sostenuto, senza mangiare né bere,
infaticabili, sorretti solamente dal tabacco nero delle loro pipe di bambù.
Insieme alle reti, alle lance e ai dardi, quelle pipe erano gli unici loro beni.
I due ragazzi li seguivano inciampando di continuo, finché non si
sentirono sul punto di svenire per la stanchezza e il caldo e si buttarono a
terra, rifiutandosi di andare avanti. Avevano bisogno di riposare e di
mangiare qualcosa.

Il Regno del Drago d'oro

A un lato del computer c'era una caraffa di tè ghiacciato con vodka, una
miscela esplosiva della cui invenzione si sentiva molto orgogliosa.
Dall'altro, riposava la sua pipa da marinaio, spenta. Si era rassegnata a
fumare meno da quando la tosse non le dava tregua, ma teneva la pipa
sempre carica a farle compagnia: il profumo del tabacco nero le
risollevava lo spirito. "A sessantacinque anni non sono molti i vizi che una
befana come me si può permettere" pensava. E non era disposta a
rinunciare a nessuno di essi.

La città delle Bestie

Era fiera dei suoi denti, grandi
e forti, capaci di rompere noci e stappare bottiglie; era anche orgogliosa di
non essersi mai rotta un osso, di non aver mai dovuto far ricorso a un
medico e di essere sopravvissuta ad attacchi di malaria e persino a punture
di scorpione. Beveva vodka liscia e fumava tabacco nero in una pipa da
marinaio. D'inverno e d'estate indossava sempre gli stessi comodi
pantaloni e un gilet con molte tasche in cui riponeva l'indispensabile per
sopravvivere in caso di cataclisma. In alcune occasioni, quando era
necessario vestirsi elegante, si toglieva il gilet e si metteva una collana di
canini d'orso, regalo di un capo apache.
Dopo cena, mentre la nonna beveva vodka e fumava la pipa in
compagnia degli uomini, Alex andò all'imbarcadero con Nadia. La luna
luccicava nel cielo come una lampada gialla. Il rumore della foresta faceva
da musica di sottofondo: gridi di uccelli, urli di scimmie e gracidio di rospi
e grilli. Migliaia di lucciole correvano veloci accanto ai ragazzi, sfiorando
loro il viso.

Poi gli aveva insegnato a staccare le sanguisughe bruciandole con una
sigaretta, per evitare che i denti restassero incastrati sotto pelle provocando
un'infezione. Non era un metodo semplicissimo per Alex, visto che non
fumava, ma aveva scoperto che un po' di tabacco caldo della pipa di sua
nonna sortiva lo stesso effetto. Era più facile farle fuori che vivere
nell'angoscia di evitarle.


"Così giovane e già fumi, Alexander?" gli aveva chiesto con tono
allegro. Lui aveva tentato di abbozzare una risposta negativa, ma la nonna
non gliene aveva dato il tempo. "Vieni con me, andiamo a fare una
passeggiata" aveva detto.
Il ragazzo era salito in macchina, aveva allacciato per benino la cintura
di sicurezza e aveva mormorato tra i denti uno scongiuro perché sua nonna
era una terrorista del volante; guidava come se fosse sempre in corso un
inseguimento. L'aveva condotto a scossoni e frenate fino al supermercato,
dove aveva comprato quattro grandi sigari di tabacco nero; poi si era scelta
una via tranquilla, aveva parcheggiato lontano da sguardi indiscreti e
aveva acceso un sigaro a testa. Avevano continuato a fumare con le
portiere e i finestrini chiusi fino a quando il fumo impedì di vedere fuori.
Alex sentiva che la testa gli girava e che lo stomaco saliva e scendeva. Ben
presto non ce l'aveva più fatta, aveva aperto lo sportello e si era lasciato
cadere per strada come un sacco, in preda a un terribile malessere. Sua
nonna aveva atteso sorridendo che finisse di vomitare l'anima, senza
offrirsi di tenergli una mano sulla fronte e di consolarlo, come avrebbe
fatto la mamma, e poi si era accesa un altro sigaro e glielo aveva passato.
"Forza, Alexander, dimostrami che sei un uomo e fumane un altro"
l'aveva sfidato, quanto mai divertita.
Per i due giorni successivi il ragazzo era dovuto rimanere a letto, verde
come una lucertola, convinto che la nausea e il mal di testa l'avrebbero
ucciso. Suo padre aveva pensato che si trattasse di un virus mentre sua
madre aveva subito sospettato della suocera, ma non aveva osato accusarla
direttamente di aver avvelenato il nipote. Da allora il vizio del fumo, che
tanto successo riscuoteva tra alcuni dei suoi amici, ad Alex faceva rivoltare
le budella.


La figlia della fortuna

Giusto mentre il pubblico si stava disperdendo
dopo il combattimento dell'orso, nell'unica strada del paese stavano
entrando dei carri trainati da muli preceduti da un ragazzino indiano che
suonava un tamburo. Non erano veicoli come tutti gli altri, i rivestimenti di
stoffa erano dipinti, dai tetti pendevano frange, pompon e lampade cinesi e
i muli, addobbati come animali da circo, erano accompagnati da un
insopportabile tintinnio di campanacci di rame. Seduta a cassetta sulla
prima vettura si trovava un donnone dai seni enormi, vestita con abiti
maschili e con una pipa da bucaniere tra i denti. Il secondo carro era
guidato da un gigantesco individuo ricoperto da lise pelli di lupo, testa
rasata, cerchi alle orecchie, armato come se dovesse partire per il fronte.
Entrambe le carrozze ne avevano una a rimorchio su cui viaggiava il resto
della compagnia: quattro ragazze acconciate di velluto sgualcito e broccato
avvizzito, che mandavano baci al pubblico stupefatto. Lo sbigottimento
durò solamente un istante; non appena riconobbero i carriaggi, una salva di
grida e di colpi di pistola in aria ravvivò il pomeriggio. Fino ad allora le
colombe infangate avevano regnato senza concorrenza femminile, ma la
situazione era cambiata quando nei nuovi paesi si erano insediate le prime
famiglie e i predicatori che scuotevano le coscienze minacciando la
condanna eterna. In mancanza di chiese, organizzavano le funzioni
religiose negli stessi saloon dove prosperava il vizio. Per un'ora veniva
sospesa la vendita d'alcol, i mazzi di carte venivano ritirati, i quadri lascivi
girati, e gli avventori ricevevano i severi rimproveri del pastore per i loro
errori e la loro dissolutezza. Affacciate al balcone del secondo piano, le
prostitute sopportavano filosoficamente la lavata di capo, consolate dalla
certezza che nel giro di un'ora tutto sarebbe tornato nel suo alveo naturale.
Finché gli affari andavano bene, non aveva molta importanza se chi le
pagava per fornicare poi le incolpasse di ricevere il pagamento, come se il
vizio fosse non di chi lo cercava, ma di chi induceva in tentazione. Una
netta divisione tra le donne decenti e le donnacce veniva così stabilita.
Stanche di corrompere le autorità e di sopportare umiliazioni, alcune si
spostavano con i loro bauli in un altro luogo, dove prima o poi il ciclo si
compiva nuovamente. L'idea di un servizio itinerante offriva il vantaggio
non solo di eludere l'assedio delle mogli e dei religiosi, ma anche di
espandere l'orizzonte alle zone più remote dove si incassava il doppio. Gli
affari andavano a gonfie vele quando il clima era buono, ma l'inverno era
alle porte, presto sarebbe caduta la neve e le strade sarebbero diventate
intransitabili; questo era uno degli ultimi viaggi della comitiva.
I carri percorsero la strada e si fermarono all'uscita del paese, seguiti da
una processione di uomini ringalluzziti dall'alcol e dal combattimento
dell'orso. Anche Eliza si avviò in quella direzione per vedere da vicino la
novità. Capì che sarebbero venuti meno i clienti della sua attività
epistolare e che doveva trovarsi un altro modo di guadagnarsi la cena.
Approfittando del cielo sereno, diversi volontari si offrirono per sganciare
i muli e aiutare a scaricare un pianoforte sconquassato, che collocarono sul
prato agli ordini della tenutaria che tutti chiamavano con il grazioso nome
di Joe Spaccaossa. In un battibaleno fu sgomberato un pezzo di terra,
vennero sistemati i tavoli e per magia apparvero bottiglie di rum e pile di
cartoline di donne nude. E anche due casse di libri a poco prezzo che
vennero annunciati come "romanzi d'alcova con le scene più piccanti di
Francia". Venivano venduti a dieci dollari, una bazzecola, perché grazie a
loro ci si poteva eccitare tutte le volte che si voleva e si potevano anche
prestare agli amici; erano molto più convenienti di una donna vera, spiegò
la Spaccaossa, e per dimostrarlo lesse un passaggio che il pubblicò ascoltò
in un silenzio di tomba, come se si trattasse di una rivelazione profetica.
Uno scroscio di risate e di battute accolse la fine della lettura e in pochi
minuti non rimase un solo libro nelle casse. Nel frattempo era scesa la
notte e si dovette illuminare la festa con torce. La maîtresse annunciò il
prezzo esorbitante delle bottiglie di rum, ma ballare con le ragazze costava
un quarto. "C'è qualcuno che sappia suonare questo maledetto pianoforte?"
chiese. Allora Eliza, che ci vedeva doppio dalla fame, si fece avanti senza
pensarci due volte e si sedette di fronte allo strumento scordato, invocando
Miss Rose. Non suonava da dieci mesi e non aveva un buon orecchio, ma
accorsero in suo aiuto l'allenamento di anni con la bacchetta metallica sulla
schiena e i colpi sulle mani del professore belga. Attaccò con una delle
canzonette ammiccanti che Miss Rose e suo fratello, il capitano, erano
soliti cantare in duetto nei tempi innocenti delle serate musicali, prima che
il destino desse un colpo di coda e il suo mondo si capovolgesse. Con
stupore notò che la sua goffa esecuzione veniva accolta molto bene. In
meno di due minuti comparve un rozzo violino di accompagnamento, si
animò il ballo e gli uomini si contendevano le quattro donne per saltare e
trottare sulla pista improvvisata. L'orco con le pelli tolse il cappello a Eliza
e lo mise sul piano con un gesto talmente risoluto che nessuno osò
ignorarlo e presto si riempì di mance.
Uno dei carri veniva usato esclusivamente come alloggio della tenutaria
e del figlio adottivo, il bambino del tamburo; su un altro viaggiavano
pigiate le altre donne, e i due rimorchi erano trasformati in alcove. Ognuno
di essi, foderato con foulard multicolori, conteneva una branda con quattro
colonnine e baldacchino con lembi di zanzariera, uno specchio dalla
cornice dorata, lavamano e bacinella di maiolica, tappeti persiani stinti e
un po' tarlati, ma ancora appariscenti, e bugie con grandi candele. Questa
decorazione teatrale incoraggiava gli avventati, nascondeva la polvere
delle strade e i danni derivanti dall'uso. Mentre due ragazze ballavano al
suono della musica, le altre due sbrigavano rapidamente il loro compito
nei carriaggi. La maîtresse, dotata di mani di fata per le carte, non
trascurava di frequentare i tavoli da gioco né di riscuotere anticipatamente
i servizi delle sue colombe, di vendere il rum e di ravvivare la baldoria,
sempre con la pipa tra i denti.


(http://www.arte-line.com/foto_grandi/Vincent_van_Gogh_%C2%A0Natura_morta_con_tavolo_da_disegno_pipa_cipolle_e_cera_grandem.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Settembre 2011, 18:49:09
Frammenti di pipa

Joseph S. Fletcher

Il Doppio Mistero Di Ravensdene Court

Attraversai il villaggio di Lesburg per raggiungere la costa e presto mi
trovai davanti al mare, immensa distesa di scintillante raso azzurro. La
superficie splendeva sotto i raggi del sole primaverile. All'orizzonte non
una vela, non un filo di fumo che rivelasse la presenza di una nave. Ebbi
l'impressione del silenzio e della solitudine assoluta; era un assaggio della
vita nuova che stavo per vivere almeno per qualche tempo. Avevo
compiuto, proprio allora, trent'anni.
A prima vista la costa del Northumberland mi affascinò e provai un vero
piacere a vagare lungo quei pendii.
Verso mezzogiorno il sole cominciò a scottare come se fossimo d'estate.
Per ripararmi dal grande calore mi distesi ai piedi di una enorme roccia
sporgente. Le delizie di una buona pipa mi misero in uno stato di beata
fantasticheria.

Arturo Pérez-Reverte
La Regina del Sud

Chiunque, a seconda della prospettiva, poteva essere un bravo ragazzo. O una brava ragazza. Il mondo era un brutto posto, c'erano regole complicate, e ognuno ricopriva il ruolo che gli era stato assegnato dal destino. E non era sempre possibile scegliere. Tutte le persone che conosco, avevano sentito dire al dottore una volta, hanno le loro buone ragioni per fare quello che fanno. Una volta che hai accettato questa verità sui tuoi simili, concludeva, non è difficile andarci d'accordo. Il trucco è cercare sempre il lato positivo. E fumare la pipa aiuta parecchio. Richiede tempo, riflessione. Ti permette di muovere lentamente le mani, di guardare in te stesso e di guardare gli altri.
Il dottore ordinò un secondo cognac e Teresa  non servivano tequila nella locanda  un orujo galiziano che faceva uscire fiamme dal naso.
Fumava con pipe dai forelli bruciati, riempiendole con flemma  di un tabacco inglese conservato in scatole di latta che gli deformavano le tasche piene di chiavi, monete, accendini, curapipe, e di altri oggetti inimmaginabili. Una volta, tirando fuori un fazzoletto  li aveva con le iniziali ricamate, come andavano un tempo  gli era caduta per terra una piccola torcia agganciata a un portachiavi gadget dello yogurt Danone. Quando camminava, tintinnava come un ferrivecchi.

Andy McNab
Azione Immediata

Jack, Bob e io tornammo ai locali incrostati di muffa e puzzolenti di
piscio di gatto. Con loro sommo disappunto, i due piloti avevano finito di
parlare di squash per occuparsi dell'analisi di alcune fotografie aeree del
bersaglio che erano appena state consegnate. Per riportare la bilancia in
pari, Steve tirò fuori la sua premiata pipa da lupo di mare e lanciò un
attacco di gas tossici nei confronti di tutti. L'aggeggio maledetto
continuava a spegnersi, e lui continuava a riaccenderlo. In breve, quei
locali, già fetenti di per sé, si trasformarono nella camera a gas di San
Quintino.
 
Hermann Hesse
Pellegrinaggio d’autunno

Era una bella mattina e la terra e l’aria, ancora autunnali, erano sfiorate dal primo
profumo invernale, la cui aspra chiarezza scemò con l’avanzare del giorno. Grandi
stormi di storni volavano sui campi in formazione a V, con un forte frullar d’ali.
Nella valle avanzava lentamente il gregge di un pastore nomade e alla sua leggera
polvere si mischiava l’esile fumo azzurrognolo della pipa del pastore. Tutto
questo,insieme alle catene montuose, alle variopinte dorsali coperte di boschi e ai
corsi d’acqua costeggiati dai salici, risaltava nell’aria cristallina come un quadretto
dipinto: e la bellezza della terra parlava la sua lingua lieve e struggente, senza curarsi
di chi la ascoltasse.


Ken Follett
LA CADUTA DEI GIGANTI

Lev intascò le banconote e riempì la pipa.
«Dimmi una cosa, Grigorij.» Era così che Lev aveva detto di chiamarsi, dato che viaggiava con i documenti del fratello. «Cosa faresti se rifiutassi di darti la tua parte?»
Il discorso aveva preso una piega pericolosa. Lev con un gesto lento mise via il tabacco e ripose la pipa spenta nella tasca della giacca. Poi afferrò Spirya per il bavero e, spingendolo contro il parapetto, lo fece piegare all‟indietro e sporgere nel vuoto. Spirya era più alto di Lev ma di gran lunga meno forte. «Ti spezzerei il collo e mi prenderei tutti i soldi che ti sei fatto grazie a me.» Lo spinse ancora più in fuori. «Poi ti farei volare in questo dannatissimo mare.»
Spirya era terrorizzato. «D‟accordo! Lasciami andare!»
Lev mollò la presa.
«Gesù!» esclamò Spirya ansimante. «Ti ho fatto solo una domanda.»
Lev accese la pipa. «E io ti ho dato una risposta. Non dimenticartene.»

(http://m2.paperblog.com/i/49/496867/the-chappist-i-rivoluzionari-armati-di-tweed-L-nbzIVm.jpeg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Settembre 2011, 12:05:13
Ancora un uso eterodosso della pipa

CLARA MICCINELLI  e CARLO ANIMATO
Clara Miccinelli, docente di Lettere e giornalista, è un’audace investigatrice dell’insolito, affascinata
dai misteri del passato. E’ proprietaria di una straordinaria collezione di manoscritti e oggetti
antichi appartenuti all’enigmatico Principe di Sansevero, di cui è la riconosciuta biografa: su di lui
ha pubblicato infatti tre saggi, ricavandone un serial televisivo per la Rai.

NEROFUMO

«La llicta, stemperandosi in bocca, sollecita la secrezione delle ghiandole salivari.
Il bolo costituito da foglie e llicta si chiama acullico. Va messo sulla lingua e masticato
lentamente. S’imbibisce di saliva e va fatto riposare a lungo nelle concavità dell’una
e dell’altra guancia. Infine se ne inghiotte il succo.»
«Così facendo, assomigli a un ruminante!»
«Ne sono fiero. Del resto io l’acullico posso offrirvi per i vostri disturbi. Avete di
meglio? Oppure preferite il fumo del sayri, insufflato con la pipa per via rettale, allo
scopo di scacciare tutti i perfidi umori dal corpo? Se non sbaglio, siffatta trovata è di
voi civilizzatori. Mai a noi peruviani sarebbe venuta in mente l’idiozia di infilarsi
dentro il culo un clistere di tabacco! Che ne deducete, caro il mio gesuita?»
L’altro non rispose, prese la paccottiglia, la osservò con sospetto, poi la mise in
bocca. Il meticcio urlò: «Reverendo, per amor di Dio, succhiatela ma non ingoiatela!
Solo così vi stimolerà circolazione e nuova linfa vitale».
(http://www.artvalue.com/image.aspx?PHOTO_ID=1394205&width=500&height=500)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Settembre 2011, 12:32:41
Ancora...


Frederick Forsyth

IL QUARTO PROTOCOLLO

Il mercoledì mattina, Louis Zablonsky passò senza difficoltà attraverso i
controlli dell'aeroporto di Heathrow. Con il cappotto pesante e il cappello
di tweed, la valigetta in mano e la grossa pipa di radica fra i denti, si
mescolò alla fiumana di uomini d'affari che ogni giorno partivano da
Londra per Bruxelles.
Sull'aereo, una delle hostess si chinò su di lui e bisbigliò: «Mi dispiace,
signore, ma non può accendere la pipa in cabina». Zablonsky si scusò e si
cacciò in tasca la pipa di radica. Quel divieto non rappresentava un
inconveniente. Non fumava, e anche se avesse acceso la pipa non avrebbe
tirato molto bene. Non poteva tirare bene, con quattro diamanti a goccia a
58 sfaccettature nascosti nella base, sotto il tabacco ben pressato.
All'aeroporto nazionale di Bruxelles prese a nolo una macchina e si
diresse verso nord, lungo l'autostrada, uscendo da Zaventem per puntare
verso Mechelen, dove svoltò a destra, verso nord-est, per proseguire fino a
Lier e Nijlen.
(http://www.midnightanimation.com/gallery/robotech/unspacy/character/flag/26rt42.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 02 Settembre 2011, 13:23:33
E poi....

Ezio Greggio

È Lui O Non È Lui?
(Cerrrrto Che È Lui)


Alberto, forse per lo champagne o forse abbagliato da quella figura che
ostruiva l'ingresso, prese una topica pazzesca e urlò: «Maurizio Costanzo,
che piacere, si accomodi».
«A' bischero,» lo rimbrottò la Rosy col suo tipico accento tosco-sanitario
«ma che Costanzo e Costanzo, so' la Bindi, o che tu c'hai gli occhi foderati
con le fiches del casinò di Montecarlo?»
Alberto si scusò immediatamente e, andatole incontro dopo essersi
beccato uno sputo in un occhio, fece accomodare il ministro della Sanità
accanto alla Schiffer.
Mai scelta si rivelò più errata.
La Rosy, per ingraziarsi Alberto, si lanciò in una serie di complimenti
che avevano il sapore dell'adulazione finalizzata alla conquista.
«A' Ranieri, lo sai che tu c'hai proprio un bel gozzetto... potresti venire a
prendermi sull'Arno e poi, ovvia, si potrebbe andare insieme al Vespro.»
Tra una portata e l'altra (che la Bindi divorava a bocca spalancata), il
ministro ammollava sorrisetti maliziosi al principe.
La Schiffer, che essendo contrattualmente fidanzata col mago
Copperfield conosceva tutti i trucchi e aveva scritto a tal proposito il libro
Due sistemi per conquistare tutti: dal principe al mago - successo
garantito, cominciò a spazientirsi.
Dapprima le starnutì nella minestra, poi si soffiò il naso con la tagliata di
manzo del ministro, infine le vuotò la pipa sul tiramisù.
Ma la Bindi, un po' per non attaccar briga, un po' perché aveva un
appetito da bovino, mangiò tutto, senza fare neppure un piega.
Saranno state poi le ceneri ancora accese della pipa della Schiffer a darle
fastidio nello stomaco o la gelosia, fatto sta che la Rosy cominciò a
pizzicare con velate allusioni e nello stesso tempo a provocare la
fotomodella tedesca.
«O' Topa Modella, la stia un po' attenta quando la si gira,» attaccò con
foga la Bindi «con quella lametta fine fine che c'ha al posto del su' nasino
la rischia di sgozzarmi.»
«Non si prieocchiupi del mio nasio,» rispose la Schiffer con la cantilena
di Stan Laurei «se anchie fosse, con tiutto quel lardo che c'ha sotto pelle
non riuscirei mai a ferirla, ah ah ah.»
I commensali esplosero in una risata piegandosi sul tavolo. Poggiolince
e De Loronzo, approfittando della posizione, con un risucchio fulmineo si
ciucciarono un portasale e un portapepe in argento.
«O' scostumata, ora ti fo' vedere io chi l'è un omo vero fra noi due.»
La cena degenerò.
La Bindi saltò sul collo della povera Claudia, e cominciò a martellarle la
testa con uno stinco di maiale.
(http://www.asia.ru/images/target/photo/50176097/Smoking_Pipe.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Settembre 2011, 10:35:35
Pipe Immerse.......

Tom Clancy

La Grande Fuga Dell'Ottobre Rosso

Appoggiato all'indietro sulla sedia girevole, Franklin fumava con aria
contemplativa una vecchia pipa di radica. Tutt'intorno a lui, la sala era
immersa in un silenzio sepolcrale; ma, anche se non lo fosse stata, la cuffia
da cinquecento dollari l'avrebbe comunque efficacemente isolato dal
mondo esterno "Capo" ventiseienne, Franklin aveva percorso tutta la
carriera a bordo di cacciatorpediniere e fregate Per lui, sommergibili e
sommergibilisti erano il nemico, indipendentemente dalla bandiera battuta
o dall'uniforme indossata.
Un sopracciglio inarcato, la testa quasi calva s'inclinò da una parte, e gli
sbuffi della pipa si fecero irregolari. La mano destra si posò sul quadro di
controllo a spegnere i processori di segnale, così da eliminare dal suono
l'interferenza elettronica.  No, niente da fare: il rumore di fondo era
sempre troppo intenso Reinseriti i filtri, Franklin provò allora a variare i
comandi azimutali I sensori SOSUS erano programmati in modo da
consentire controlli di rilevamento per mezzo dell'impiego selettivo di
ricevitori individuali manipolabili elettronicamente Franklin poteva così
prima effettuare un rilevamento, poi valersi di un gruppo attiguo di sensori
per la triangolazione Il contatto era debolissimo, ma non troppo lontano
dalla linea Il terminale, interrogato, gli disse che da quelle parti c'era
l'USS Dallas,beccato , si disse con un sorrisetto Arrivò un altro
rumore, un brusio a bassa frequenza che diminuì dopo soli pochi secondi
senza spegnersi del tutto, però, Come mai non l'aveva udito prima
della variazione dell'angolo di ricezione? Deposta la pipa, passò a regolare
il quadro di controllo.
Capo?, gli arrivò in cuffia, la voce dell'ufficiale di servizio
Comandante può venire in sala controllo? C'è qualcosa che vorrei farle ascoltare.


(http://www.dreamstime.com/pretty-woman-smoke-tobacco-pipe-thumb10886860.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 04 Settembre 2011, 11:00:16
Serene atmosfere di pipe archeologiche....

Paul Sussman

L'Armata Perduta Di Cambise

Lo vide appena entrata in fondo alla sala,
intento a fumare una pipa, con la testa china sulla scacchiera di una
tavola reale, assorto. Non era molto diverso dall'ultima volta che lo aveva
visto sei anni prima, sebbene con i capelli lunghi e il volto più abbronzato.
Lo fissò per un momento, dominando un senso di nausea, poi andò da lui.
Gli era davanti prima che lui alzasse la testa.
Tara! Sgranò gli occhi scuri, si guardarono per un lungo momento,
senza che nessuno dei due parlasse, poi, sporgendosi in avanti, lei alzò il
braccio e lo schiaffeggiò
Pezzo di merda!

Raccolse il papiro dal tavolo, lo appallottolò e lo gettò nel cestino.
Girò intorno alla scrivania e si sedette pesantemente nella vecchia
poltrona di pelle, prese una pipa di radica da una mensola che aveva alle
spalle, la caricò e l'accese. Khalif si accese una sigaretta e si tolse di tasca
l'involto con i manufatti, che posò sul tavolo davanti a Habibi.
Bene, disse con un sorriso. Ora tocca a lei. Che cosa mi sa dire di
questi?
Habibi lo fissò attraverso un velo di fumo azzurrognolo e disfece
l'involto con un sorriso incuriosito sulle labbra. Abbassò quindi lo sguardo
sui sette oggetti che Khalif aveva trovato nel negozio di Iqbar.
La sua pipa si era spenta e si prese un altro minuto per
ricaricarla e riaccenderla con tutta calma. Stava gustando quel momento,
come qualcuno a cui è stato chiesto di identificare un vino molto raro e,
dopo un attento assaggio, intimamente sicuro di avercela fatta.
Occupazione, persiana dichiarò

Ormai nell'ufficio il buio era fitto, a parte il cono di luce proiettato dalla
lampada sulla scrivania. Di tanto in tanto il professore udiva i passi della
guardia nel corridoio, ma per il resto nel museo regnava la quiete assoluta.
L'aria sopra la sua testa era densa di fumo di pipa, come un nembo
azzurrognolo.
(http://d30opm7hsgivgh.cloudfront.net/upload/430410_Wh8ES4fF_b.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 06 Settembre 2011, 20:58:36
Gary Jennings

(Buena Vista, 20 settembre 1928 – Pompton Lakes, 13 febbraio 1999) è stato uno scrittore e giornalista statunitense.
Visse per lungo tempo in Messico, dove studiò e svolse numerose e accurate ricerche sulla civiltà azteca. A diretto contatto con le antiche tribù locali, ne condivise i riti e le usanze.
Grazie al suo lavoro di giornalista e corrispondente di guerra ebbe modo di viaggiare in tutto il mondo.
Giunse al successo nel 1980 grazie al romanzo storico L'azteco, che nel 1982 vinse il Premio Bancarella.
Le sue cronache sono intrise di bestialità,incesti,omicidi truculenti.
Le vittime il popolo amerindo,i carnefici missionari e coquistadores


L'Autunno Dell'Atzeco

Ho già accennato al modo in cui la nostra gente di solito fumava il
picìetl: avvolto in quello che chiamiamo poquietl, un tubetto di canna o di
foglia che brucia lentamente insieme alle foglie più piccole e non in una pipa d'argilla
che non brucia, come invece fanno gli spagnoli.
Talvolta sia noi sia i bianchi amavamo mescolare al picìetl qualche altro
ingrediente  cacao in polvere, certi semi o certi fiori secchi  per
modificarne il gusto.

Non lontano, Mateo riposava accanto al suo otre di vino, spesso il suo
compagno preferito, circondato dalle nuvole di fumo che si alzavano dal
tabacco che fumava senza l'aiuto della pipa. Questo tabacco era stato
compresso e arrotolato fino ad assomigliare a un escremento umano, e
quando lo avevo assaggiato, avevo scoperto che era molto peggio di come
immaginavo fosse la mierda.



Il sangue dell'azteco

Guzmàn viaggiava spesso con persone più vecchie di lui. Il vecchio
stregone indio poteva aver bisogno di un giovane che lo assistesse e lo
servisse, durante il viaggio, ma anche durante le sue esibizioni.
Ben presto ebbi la pancia piena di tortillas calde, fagioli e chilis.
Calmata la fame, mi accovacciai vicino al fuoco mentre il Guaritore
fumava la sua pipa.
L'oggetto era finemente intagliato e aveva le sembianze di un dio azteco
- Chac Mool - che si vedeva spesso scolpito nella pietra in molte antiche
rovine. La divinità veniva raffigurata sdraiata sulla schiena con una grande
ciotola sulla pancia in cui venivano gettati i cuori strappati dal petto delle
vittime sacrificali per nutrire gli dei.
La ciotola di Chac Mool adesso era colma di tabacco, che il Guaritore
accese.
"Sono scappato dal mio padrone spagnolo" gli dissi.
"Mi picchia troppo e mi fa lavorare più di una coppia di muli." Inventai
quelle bugie come solo un lèpero sapeva fare.
Il vecchio mi ascoltò in silenzio, mentre il fumo si alzava in volute dalla
sua pipa. Mi venne in mente che forse il fumo avrebbe potuto dirgli che
stavo mentendo, ma il solo suono che provenne da lui fu un flebile
mormorio.

A mezzogiorno arrivammo a un piccolo villaggio e fummo accolti dal
cacique, il capo indio, che ci invitò a sedere fuori della sua capanna
insieme ad alcuni anziani.
Gran parte degli abitanti del villaggio erano a lavorare nei campi.
Il Guaritore distribuì alle persone riunite in cerchio il tabacco per
accendere le pipe e parlò con loro del raccolto e degli altri abitanti.
Qualunque fosse il motivo che ci aveva portati in quel villaggio, non ne
parlarono. Ne mostrarono urgenza di farlo. Per quegli anziani la vita
scorreva lenta, solo la morte arrivava al galoppo.
Una cortina di fumo si alzò dalle sei persone che fumavano la pipa.


In un villaggio dove ci eravamo fermati per curare gli abitanti, qualcuno
aveva rubato la preziosa pipa del Guaritore, quella che aveva le sembianze
del dio Chac Mool.
Solo uno sciocco avrebbe rubato la pipa di uno stregone, e di uno
sciocco sicuramente si trattava. Il Guaritore possedeva la sua pipa da molto
prima che io nascessi, e dalla silenziosa intensità del suo sguardo capii che
la perdita lo aveva contrariato molto più di quanto non rivelasse la sua
impassibile espressione.
Per prendere il ladro, mi disse, avrebbe usato la trappola del serpente.
"Che cos'è la trappola del serpente?" domandai.
"La trappola del serpente sono due uova e un anello.
L'anello è attaccato a un bastoncino. Le due uova devono essere
sistemate davanti all'apertura della tana di un serpente con l'anello in
mezzo.
Quando il serpente vede l'uovo, esce dalla tana e lo inghiotte. Ma i
serpenti, come gli esseri umani, sono ingordi, e invece di rubarne uno solo,
appena il primo uovo è sceso un po' nel suo corpo, subito il serpente esce
di nuovo dalla tana, si infila dentro l'anello e ingoia anche il secondo uovo.
E così facendo si mette in trappola da solo, perché finché non digerisce il
cibo, non può più strisciare via dall'anello, rimasto stretto tra le due uova."
"Ma non puoi aspettarti che un uomo sgusci dentro a un anello per un
uovo."
Il Guaritore cinguettò. "Non per un uovo, ma forse per un po' di tabacco
da fumare nella pipa che ha rubato sì."
Il Guaritore allora mise una borsetta di tabacco nel punto in cui era stata
rubata la pipa. Ma dietro alcune foglie di tabacco sparse un po' di polvere
di peperoncino piccante.
"Il ladro ha già infilato la testa nell'anello, quando è venuto al nostro
campo per rubare la pipa. Adesso vediamo se, invece di ritirarsi dall'anello,
prende il tabacco."
Lasciammo il nostro campo e andammo alla capanna del cacique, dove
si erano riunite le persone che avevano bisogno delle cure del Guaritore.
Dopo un'ora tornai al campo con il pretesto di prendere qualcosa. Il
tabacco non c'era più. Tornai indietro di corsa per dirlo al Guaritore.
Qualche momento dopo il cacique ordinò a ogni persona del villaggio di
uscire in strada e di sollevare le mani.
Un uomo aveva della polvere rossa sulle dita. E trovammo la pipa sotto
il pagliericcio della sua capanna.
Lasciammo il ladro ai suoi compagni di villaggio per la punizione.
E quando il Guaritore spiegò come la punizione dovesse essere
impartita, imparai un'altra lezione sulla tradizione azteca.
"Il nostro popolo crede che un crimine dovrebbe essere punito con lo
stesso strumento con cui viene commesso. Quindi, se un uomo uccide un
altro uomo con un coltello, l'assassino verrà ucciso con un coltello,
possibilmente lo stesso; in questo modo il male che l'assassino ha inferto
con il coltello torna indietro all'assassino stesso." La scelta della punizione
per il furto di tabacco era meno chiara rispetto a quella per un omicidio.
Chissà che punizione avrebbero deciso il cacique e gli anziani del
villaggio?
Si sedettero in cerchio e si consultarono bevendo il pulque, e fumando
l'onnipresente tabacco, ovviamente.
Infine giunsero a una conclusione.
Il ladro fu legato a un albero con un sacco di tela sulla testa in cui era
stato aperto un piccolo foro. Uno a uno, gli uomini del villaggio si
avvicinarono al sacco con le pipe accese e soffiarono una boccata di fumo
nel foro.
All'inizio udii solo qualche colpo di tosse. Poi la tosse divenne un
accesso irrefrenabile. E, quando cominciò a suonare come il rantolo della
morte, me ne andai e tornai al nostro campo.



(http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRVzGvPOJ1WHUtnAe2m7jGxN7ILUtyBAI-V_GVrgiH-u64FBlD5)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 08 Settembre 2011, 18:01:26
Sir Fred Hoyle

(Bingley, 24 giugno 1915 – Bournemouth, 20 agosto 2001) è stato un matematico, fisico e astronomo britannico, noto al grande pubblico soprattutto per le sue argomentazioni non convenzionali e per svariate teorie non ortodosse entro la comunità scientifica.
I suoi numerosi contributi scientifici vanno dalla spiegazione della genesi degli elementi "pesanti" a quella della frammentazione del gas in stelle, ma egli è noto soprattutto come sostenitore della teoria cosmologica dello stato stazionario e dell'ipotesi della Panspermia.

Il Viaggio di Ossian

Un ometto di
circa sessantanni, molto abbronzato, dall'aspetto sportivo, calvo, mi indicò
una sedia. Aveva il volto provato dalle intemperie, le tempie segnate da una
fitta ragnatela di rughe e tra i denti stringeva con forza un'enorme pipa di
schiuma.
Emise sbuffi di fumo per qualche momento, osservandomi con attenzione.
Poi scoppiò in una risata chiocciante: « Bene, bene, signor Sherwood, e così è
caduto nella vecchia trappola delle tredici e quindici, dopo tutto! »
« Sono anche troppo soddisfatto che la trappola non sia soltanto un volgare
sbaglio, signor...? »
« Parsonage, Percy Parsonage, per servirla. »
Bussarono alla porta e la brunetta entrò reggendo un vassoio.
« Il pranzo per il signor Sherwood », spiegò.
« Benissimo, alimentiamolo », annuì Parsonage. « Io non mi sento di
mangiare... ho fatto colazione alle undici e mezzo. »
Mi ero messo in bocca il primo boccone, quando mi domandò: « Che ne
direbbe di fare una gita in Irlanda? »
Inghiottii placidamente. « Da quanto ho sentito dire a proposito
dell'Irlanda, uno si può ritrovare assassinato al massimo nello spazio di una
settimana... nel suo mestiere, signor Parsonage! »
« E lei che cosa ne sa del mio mestiere? »
« Assolutamente nulla. Proprio per questo sarebbe una pazzia per me
andare in Irlanda per i suoi interessi. »
Papà Percy (così veniva chiamato, come appresi ben presto) impugnò la
grossa pipa e disse: « Non credevo fosse quel tipo di giovanotto che si affretta
a girare alla larga appena sente odore di pericolo ».
"Parsonage si diresse con aria pensosa verso una parete sulla quale stava
appesa una grande carta geografica dell'Irlanda. Indicandola disse: « Mi
consenta di mostrarle il cordone al di là del quale nessun comune viaggiatore
che si rechi in Irlanda può passare e che nemmeno gli stessi irlandesi possono
superare senza essere stati sottoposti al più rigoroso controllo per la sicurezza.
Guardi come si stende da Tarbert, nel nord, verso Athea, a sud di Kanturk e
direttamente oltre e sopra i monti Boggerath fino a Macroom e a Dunmanway.
Guardi come piega qui verso il mare nella Dunmanus Bay ».
Per un momento emise furiosi sbuffi di fumo, poi continuò: « Entro questo
muro impenetrabile stanno accadendo cose incredibili. L'attività maggiore, a
quanto pare, è limitata alla penisola di Kerry, immediatamente a sud del lago
Caragh...
Tirò fuori tre documenti da una piccola cassaforte e li gettò sulla scrivania,
accanto a me. Il primo trattava un argomento batteriologico; il secondo aveva
tutto l'aspetto, a prima vista, di essere il progetto per una fornace. Il terzo,
costituito da formule matematiche, mi era più congeniale. Quando
incominciai a leggerlo con più attenzione, Parsonage ruggì: « Lasci perdere.
Si tratta di madornali sciocchezze. Lasci che le dica qualcosa a proposito di
questo». Prese il primo documento. « Ce ne siamo impadroniti grazie a una
delle più disperate operazioni. Due dei miei uomini migliori sono rimasti
uccisi. E ciononostante non contiene altro se non assurdità senza senso. »
Incominciò a percorrere la stanza a grandi passi, masticando con foga la pipa
di schiuma.
« Vede, quando ci troviamo ad avere a che fare con questa roba scientifica,
tutte le nostre idee in fatto di lavoro spionistico perdono ogni significato. »
Afferrò i fogli e li sventolò in aria. « I nostri uomini non possono rendersi
conto se si tratta di roba di valore o no. Tutto quello che riescono a fare è
combattere per impossessarsene, e combattono, spesso lasciandoci la pelle. »
« Quindi vorrebbe che io esaminassi questa roba? Non sono poi così
esperto in fatto di scienze, sa? »
« Voglio molto di più! Suppone do che queste porcherie contenessero
qualche verità, fino a che punto ci potrebbero servire? Potrebbero
ragguagliarci in misura minima su quello che sta succedendo da quelle parti?
» Puntò il cannello della pipa in direzione della carta geografica alla parete. «
No, voglio molto di più di questo, infinitamente di più. Sto per tenerle una
conferenza. Non mi interrompa! Quanto ne sa a proposito dell'I.C.E.?
Pochissimo, glielo garantisco io. Nessuno di noi ne sa molto, quanto a questo.
Le dirò quello che ne so io. » L'ometto aveva un aspetto strano mentre andava
su e giù per la stanza, circondato da nuvole di fumo e con le mani dietro la
schiena.

Emisi un sibilo di stupore. Le ricerche nel campo termonucleare
rappresentano, è ovvio, una attività dalle vastissime applicazioni, e quindi non
possedeva una precisa competenza di come stessero le cose in Gran Bretagna
o negli Stati Uniti o in qualsiasi altro posto. Ma era ormai evidente che l'intera
faccenda stava per rivelarsi un problema assai poco piacevole.
« Ma com'è possibile? »
Parsonage posò la pipa con un ampio gesto. Ci fu una pioggia di scintille
che mi affrettai a spegnere.
« Ma perché ha scelto proprio me? »
« E perché no? »
Mentre meditavo su una impossibile risposta, egli continuò: « Possiede
tutte le qualifiche di bisogno ». (C'era qualcosa che non andava
grammaticalmente in quella frase.) « Proprio come un bambino riesce a
imparare a parlare dalla madre, così un giovane delle sua età deve riuscire a
rendersi padrone delle informazioni. È stato accuratamente allenato a pensare
nella giusta maniera. Questo è un problema logico, non ha niente a che fare
con quesiti di carattere scientifico o tecnico. »
Batté con una mano sulla carta geografica. « L'ambiente in cui si svolgerà
la vicenda è una contrada selvaggia. Lei è un ragazzo cresciuto in campagna;
un cittadino potrebbe trovarsi nei guai in un posto simile. Cosa potevamo
desiderare di più? » Mentre meditavo sulla cosa, riempì con grosse prese di
tabacco il fornello della pipa. Nonostante la sua esposizione confusionaria,
Parsonage aveva condotto in porto la sua iniziativa.
« Potremmo farla entrare di straforo in Irlanda attraverso il solito
oleodotto, oppure preferisce viaggiare più all'aperto? Sta a lei decidere. Ci
pensi per un paio di giorni. Ha bisogno di soldi? »
Annuii ed egli mi offrì un fascio di banconote. Dissi: « Non una cifra
simile, circa quindici sterline mi basteranno. Non ho nessuna intenzione di
farmi notare. E tanto vale che cominci subito a non mettermi in mostra ».
C'era una domanda che avrei voluto porre, ma me ne mancò il coraggio.
Avevo sempre sentito dire che il pericolo maggiore per un agente segreto era
rappresentato proprio da quelli che stavano dalla sua parte. Temevo che
Parsonage e la sua pipa potessero esplodere qualora mi fossi azzardato a
domandargli se le cose stessero effettivamente così.
(http://www.economics.soton.ac.uk/staff/aldrich/fisherguide/Doc1_files/image001.gif)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Settembre 2011, 13:20:56
Un personagglo,più che scrittore che va assolutamente approfondito ci vorranno  3-4 post

Mario Rigoni Stern

Nato ad Asiago, sull'Altopiano dei Sette Comuni, nel 1921 da Giovanni Battista Rigoni e Annetta Vescovi, terzo di sette fratelli, e una sorella, trascorre l'infanzia tra i pastori e la gente di montagna dell'altopiano di Asiago. La famiglia Rigoni soprannominata "Stern" commerciava con la pianura in prodotti delle malghe alpine, pezze di lino, lana e manufatti in legno della comunità dell'Altipiano. Studia fino alla terza avviamento al lavoro, poi lavora presso la bottega di famiglia.
Nel 1938 si arruola volontario alla Scuola Centrale Militare di Alpinismo (ora Centro Addestramento Alpino) di Aosta e ha come istruttori: il maestro di sci Gigi Panei, la guida alpina Renato Chabod e l'alpinista Giacomo Chiara. Più tardi, combatte come alpino nella divisione Tridentina, nel battaglione Vestone, al confine con la Francia al tempo dell'entrata in guerra dell'Italia, quindi Albania, Grecia, e Russia dove vive l'immane tragedia della ritirata. Fatto prigioniero dai tedeschi allorché l'Italia firma l'armistizio di Cassibile (8 settembre 1943), è deportato come IMI in un campo di concentramento a Hohenstein (oggi Olsztynek), in Prussia Orientale, ove rimane prigioniero rifiutando, come la stragrande maggioranza dei militari italiani catturati dai nazisti, di ottenere la libertà in cambio dell'arruolamento nelle forze armate della Repubblica sociale italiana. Dopo la liberazione del campo durante l'avanzata dell'Armata Rossa verso il cuore della Germania, rientra a casa a piedi dopo due anni di prigionia, il 5 maggio 1945.

Le stagioni di Giacomo

 Ma se vai qui dietro
il barco del Zai trovi un ciliegio selvatico che adesso
ha tutte le foglie rosse. Forse quello va bene anche per la
tua maestra. Ferme è un bell'alberello».
Le patate raccolte dalla terra sassosa erano tutte dentro
i sacchi. Le donne si erano sedute sull'argine a riposare
e da quel terrazzo guardavano il paese, laggiù, dentro
la cerchia dei monti, nel colori dell'autunno. Bepi si
accese la pipa. Giacomo andò a tagliare il ramo che gli
era stato suggerito. Poco dopo ritornò tenendolo alto,
con cura per non rovinare le foglie.
U sole se ne andava dietro il Pasubio che già aveva messo
il cappello bianco, le cornacchie si chiamavano volando
alte per raggrupparsi prima di andare a pollaio sugli
alberi. Un merlo venne a beccolare fra la terra smossa.
Bepi spense la pipa e aiutò le donne a caricare i sacchi sui
carrettini e tutti insieme presero la redola del Rossebech.
Nella contrada i camini avevano ripreso a fumare.

Chi, poi, aveva
combattuto proprio tra queste montagne di casa, bene
ricordava come erano piazzate le artiglierie e dove sparavano;
i magazzini e i depositi e certi angoli fuori mano
dove qualcosa la guerra aveva lasciato. E come certi repani,
durante uno spostamento si alleggerissero del peso
delle munizioni, nascondendole tra le fessure delle
rocce o nelle forre dei boschi.
Dai resti dei caduti, dalle piastrine di riconoscimento
ancora leggibili, da tracce come coltelli, barattali, gavette,
pipe, scatole per il tabacco, portamonete, bottiglie,
medagliette con santi e madonne particolari si veniva a
conoscere di quale corpo fossero, da quale regione d'Italia
0 dell'Impero asburgico venissero.

Le squadre addette a questo lavoro molte volte nel discoprire
le tombe, specialmente quelle nei cimiteri sui
campi di battaglia, raccoglievano gli oggetti sepolti con i
caduti: le cartucce dentro le giberne diventavano materiale
da vendere come recupero mentre medagliette,
portafogli, pipe o altro venivano consegnati al cappellano.

Il padre di Giacomo spense la cicca su un sasso e la ripose
dentro la scatola del trinciato; riprese in mano il
piccone. Scavava. Il Colonnello Matto commentava sottovoce
quello che usciva dai sassi frantumati dalle sue
cannonate. Quando vide una mandibola con tutti i denti
sani e bianchi, la raccolse la baciò e la ripose accanto
al materiale recuperato; quindi si mise sull'attenti e salutò
portando la mano destra alla tesa del cappello di
paglia e se ne andò saltellando tra i massi che la mina
dell'8 giugno 1916 aveva scagliato tutt'intorno.

Quota Albania

Anche il vecchio servitore ubriacone e bestemmiatore
era stato licenziato, e il pomeriggio che andai a salutarlo
nella sua casetta in fondo al paese, era a letto ammalato.
In tasca avevo per lui due pacchetti di tabacco da pipa,
per farmi perdonare le birbonate di una volta. Ero impacciato
e non sapevo come darglieli. Rimasi per un po'
in fondo al letto a raccontargli della cantina francese
piena di bottiglie, e quando lo salutai per uscire gli scesero
due lagrime sino a bagnargli i baffi bianchi e lunghi:
«Stai attento, stai attento» mi raccomandava, «e
quando sparano nasconditi bene dietro un sasso».

Siamo infreddoliti e assonnati, non abbiamo desiderio
di parlare; Marco mi chiede se ho sigarette, lui sa che
non fumo e che le poche che ci danno ogni tanto, le passo
a lui. Nel taschino della giubba ho ancora il pacchetto
che ci avevano distribuito a Durazzo: una confezione
elegante della manifattura di Zara. Gliele offro. «Fumane
una anche tu» mi dice, «tiene compagnia.» L'accende
e me la passa. È la mia prima sigaretta. In Val d'Aosta,
l'estate scorsa, avevo comperato una pipa di marasca;
ma quello era un fumare per posa, come il tentativo di
farmi crescere la barba al corso rocciatori era per im
ptessionare le reclute. Ora no, questa sigaretta è cosa seria
e ì miei compagni non ridono o scherzano su questo.



Sentieri sotto la neve

Nel pomeriggio scrivevo qualcosa su un quaderno, o andavo a
camminare per le montagne. E a sera, attorno al fuoco, fumando trinciato forte, ci
raccontavamo storie e vicende della vita.
Il più anziano tra tutti noi era Barba Matto. Non era sposato e aveva sempre fatto il
servo pastore o servo vaccaro. Non imprecava mai e il suo parlare era pacato e saggio;
fumava volentieri tabacco da sentieri nella sua corta pipetta, vecchia quasi quanto lui.
Quella notte, quando l'oste e la moglie avranno abbandonato l'Osteria, dall'ampio
sottotetto, dalle stanze disadorne, dai corridoi ma anche da strade che partono da lontano,
gli spiriti si ritroveranno davanti al focolare - è sempre quello da secoli, l'unico manufatto
rimasto dopo guerre e incendi! - dov'è acceso il fuoco che non si consuma; come non si
consuma il petrolio che alimenta la lampada, e il vino e la grappa, il pane e il formaggio.
Le sedie di legno con il fondo di paglia verranno occupate da chi primo arriva accanto
al fuoco. Potrà capitare che il feldmaresciallo barone Franz Conrad von Hötzendorf si
segga sulla pietra del focolare e il contrabbandiere Tönle nella comoda sedia, che Musil
rimanga in piedi appoggiato alla cornice di marmo, il generale conte Luigi Cadorna
accanto a Tönle, e Barba Matto, così, per abitudine piacevole, curi il fuoco e la sua
pipetta. Parleranno della vita trascorsa, dei fatti grandi e piccoli e di molte altre cose.
Tutti, chi più chi meno, hanno avuto rapporti con questa Osteria di confine.
Una sera giungerà anche il conte Pula Dolfin a parlare delle sue cacce al Polo Nord;
un'altra Brocca il partigiano a spiegare perché e come ha vendicato il padre ucciso dai
fascisti sull'uscio di casa; anche Nello, il casaro del Dosso che vuole raccontare di pascoli,
vacche e formaggi. Una sera Tan, il boscaiolo, discuterà con l'Ispettore forestale su come
vorrebbe vedere governati i boschi che incominciano a infittirsi troppo. Insomma, queste
ombre diranno delle cose passate e delle presenti.
- Per conto mio, - dirà una sera Tönle a Vittorio Emanuele e a Francesco d'Asburgo,
- avete sbagliato a dichiararvi guerra. Non eravate anche parenti ? E poi, cosa credete di
avere risolto? Niente. Tanto di guerra ne hanno fatta un'altra più brutta. Non vedete
com'è andata a finire? Io stavo bene con la gente. Con tutti, di qua e di là dei confini.
Vedi, caro amico, - risponderà Francesco Giuseppe, - non ero io che volevo la
guerra. Nella tua Italia c'erano alcuni che alzavano la voce, e chi grida più forte viene
ascoltato anche se ha torto. Io, in Austria, avevo i generali con in testa Conrad von
Hötzendorf che voleva addirittura che vi attaccassi al tempo del terremoto di Messina. E
poi non si fidavano dell'Alleanza. Avevano ragione, siete stati voi a tradire il patto.
- Non noi, non noi mein lieber Franz, quelli che governavano. Insieme mi avete
distrutto la casa e disperso la famiglia.
- Vedi cugino, - interverrà Vittorio Emanuele, - nel mio proclama dicevo che seguivo
l'esempio del mio grande Avo e chiedevo ai miei soldati di compiere l'opera con tanto
eroismo iniziata dai nostri padri. Tu ai tuoi popoli richiamavi la memoria di Novara,
Mortara, Custoza, Lissa, battaglie gloriose della tua gioventù, lo spirito di Radetzky. Ci
dicevi perfidi nemici e chiedevi la benedizione dell'Onnipotente...
Barba Matto ascolterà tirando il fumo dalla sua pipetta e a un
Barba Matto ascolterà tirando il fumo dalla sua pipetta e a un certo punto interverrà
dicendo: - Ma come fate a dire «miei soldati», «mio popolo»? Credete di essere padroni
della vita degli uomini ? Se è vero, come andate ragionando, che è stata tutta colpa dei
generali, dei ministri e degli industriali, delle banche, dei poeti, che re e imperatori eravate
mai voi ? Non contavate proprio niente? Era meglio se vi giocavate il Trentino a dama e
Trieste a briscola...
- Bambinate, ignoranza storica, - si intrometterà a questo punto il feldmaresciallo
Conrad, - il mio imperatore doveva mettere in atto la mia proposta: lasciare pure avanzare
l'esercito italiano fino a Lubiana o anche oltre verso Vienna, e poi sferrare il nostro
attacco da qui. Sarebbe tutto finito in fretta...
Robert Musil, fino a quel momento un po' appartato, uscirà dall'ombra, accenderà una
sigaretta sottile prendendo il fiammifero dalla scatola che è sul tavolo, con un cenno del
capo saluterà, sorriderà a Tönle, e dopo aver espirato il fumo dirà sottovoce alla
compagnia:
Miei signori, ascoltate qui rivolti,
batte l'orologio i suoi dodici colpi.
Fate attenzione alla luce e al fuoco,
che una sventura è questione di poco!

Ma poi l'inverno diventava lungo; le scorte di legna si assottigliavano perche il focolare
mangiava, mangiava.
 La sedia del nonno era vicina alla stufa, era lì che amava fumare la pipa e io,
quando rientravo bagnato e infreddolito,
mi mettevo tra la sedia e la stufa per appoggiare la schiena al caldo della parete. L'Amia mi
brontolava perché diceva che mi cucinavo il sangue.
Quando l'inverno stava per finire la sneea diventava haapar. Sulle rive al sole andava via
per la terra in mille e mille gocce, e appariva il bruno del suolo. Era in questo periodo che
si sentivano le prime allodole: una mattina ti correva un brivido per la pelle ed era il loro
canto alto nel cielo sopra l' haapar.
La primavera aveva sciolto la neve, la pioggia lavato i tetti e le strade; i due pioppi
dell'orto avevano aperto le loro gemme e nella strada, di sera, era un allegro giocare: come
nel cielo i rondoni e nel cortile le vitelle.
Il nonno fumava la pipa sulle scale di pietra e guardava il cielo, il cortile, la strada, i
ragazzi, il fumo della sua pipa. Il ragazzo aveva passato il giorno sul prato a spargere il
letame odoroso e ora giocava come tutti nelle sere di primavera.
(http://www.natisone.it/gnovis/foto2010/100529rualis39.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Settembre 2011, 15:23:01
LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Dopo tutto questo, mi sembra che tra la Sardegna di
Lussu e il mio Altipiano ci sia un legame di sangue per i
tanti sardi che qui riposano per sempre e per quel pacchetto
di tabacco che un caporale della brigata Sassari
diede a un nostro vecchio profugo che si allontanava dal
paese in fiamme, Ora non so dire il rimorso che ho in
cuore quando al suo ultimo biglietto che mi invitava ad
andare a trovarlo ancora per una volta, non fui sollecito:
pochi giorni dopo morì. Ma quando risalgo alle trincee di
monte Fior o dello Zebìo, o di Valbeila dove tu gravissimamente
ferito nel Natale del 1917, è come se venisse
con me,

L'ANNO DELLA VITTORIA

Delle barelle con dei feriti vennero portate davanti all'ospedaletto
dove, accanto alla porta bassa e stretta ricavata
in una parete di cemento, un ufficiale medico alto e
magro nel suo camice bianco era in attesa fumando la pipa.
Attorno ai feriti si avvicinarono i soldati che erano lì;
Matteo passò via lesto e nessuno gli chiese dove volesse
andare con quell'andatura frettolosa.

Matteo raccontò , ma quando arrivò
a parlare di tanti soldati morti e di come aveva ritrovato
la casa non seppe trattenere una smorfia di dolore e
di rabbia. Il nonno sbuffava cercando nelle tasche vuote
le briciole di tabacco per la pipa spenta; sua madre lo
guardava in silenzio, poi con le mani che aveva belle ma
rovinate dai lavori, gli prese la testa dicendo: «Basta,
adesso. La casa la rifaremo»..

Caterina, che sembrava avesse superato la crisi, un
pomeriggio del tardo novembre spirò. Matteo lo seppe
nella bottega del fornaio della Mordsa dove si era recato
per comperare un pane bianco per la sorella convalescente.
Sentì il cuore restringersi come quando vide sua
madre abbracciare Orsola e, ritornato a casa, stette per
lungo tempo in silenzio e immobile a fissare le braci del
focolare. Finalmente il nonno gli chiese che avesse.
«Anche la Caterina dei Nicoli è morta di spagnola.
L'anno scorso e anche quest'anno abbiamo lavorato insieme
il fieno.»
Si alzò e uscì perché non aveva niente da dire. U vecchio,
rimasto solo, frugò con un chiodo da maniscalco
nel fornello della pipa, batté sul palmo della mano i resti
umidi del tabacco e se li cacciò in bocca pensando: "Se
mastico tabacco tengo lontano la febbre spagnola".

Accesero la pipa dopo che il vecchio Tana aveva accettato
con entusiasmo l'offerta del tabacco. Se non fosse
per il terreno che è ancora gelato e coperto in parte di
neve, diceva il padre dì Matteo, anche loro sarebbero saliti
dalla pianura per dar mano a ripulire i campi per seminare
le patate, e gli orti, e tirar su un tetto per mettere
intanto sotto la testa. Ma tra un mese, affermava, saremo
qui anche noi. Prima dei saluti il vecchio Tana raccomandò
che alla prossima venuta gli portassero tabacco
da naso e da pipa; tra le macerie delle case dei Pùne aveva
sì trovato un vaso di tabacco, ma ora l'aveva finito e
tra le cose abbandonate dagli eserciti non c'era verso di
trovare mezzo sigaro.
Matteo levò dalla tasca due pacchetti di trinciato
per il vecchio Tana che subito caricò e accese la pipa.
«Giorni fa» incominciò, «sono stati qui anche i Sech e i
Ballot e la settimana scorsa anche i Zai e i Pùne. Entro il
mese saremo qui nuovamente tutti. O quasi» aggiunse
sottovoce. Si era accorto che nel gruppo mancava una
bambina; ricordava che quando erano fuggiti la donna ne
aveva due, ma sapeva anche della febbre spagnola che
aveva fatto più morti che la guerra.
La bambina si era addormentata in braccio alla madre;
lei si alzò e andò a posarla sul saccone coprendola
assieme alla bambola. Anche Matteo e il nonno andarono
a dormire perché erano molto stanchi. Il vecchio Tana
voleva ancora restare, come a filò, ma capì che età
tempo di andare; ricaricò la pipa, l'accese con una brace,
diede la buona notte; si mise'smla spalla il suo fucile
e uscì per ritornare al suo ricovero, ai Raitele
Era ritornato il silenzio, un grande silenzio come d'inverno
quando nevica e pareva che tra quelle macerie
fosse ritornata la vita. I due uscirono a guardare la loro
terra. Sentirono gli uccelli del ripasso che si chiamavano
in volo, una leggera pioggia primaverile che lavava via la
guerra e un odore nuovo, di bosco in amore. Rientrarono
nella loro casa tenendosi per mano.


STORIE NATURALI

Veniva a piedi
dalla città con sulle spalle una gabbia con diverse civette
per Ì cacciatori del paese; a mezzogiorno si fermava
a mangiare un piatto di minestra con le foglie fresche
del cumino, polenta e lumache e sorseggiava un bicchie
rino di grappa. Prima, però, voleva sentire le lordine e
lui le portava sotto il ciliegio in fiore per farle cantare; e
loro partivano con una melodia che ad ascoltarle era come
sentire un'orchestra. Dopo il pranzo il nonno, lo zio,
suo padre e l'uomo delle civette tabaccavano una presa,
accendevano la pipa e prendevano a parlare di richiami,
di cani, di ripassi primaverili e delle mute degli uccelli e
di date e di riti che da secoli sono stati fissati,
Lui era ancora bambino e si sedeva per terra ad ascoltare
i loro discorsi.

Quando partirono nella notte era già sveglio da un
bel po', immobile nel letto troppo grande: aveva sentito
battere le ore sulla torre, poi l'abbaiare festoso dei cani,
le porte delle macchine sbattere, i motori avviarsi e, infine,
ritornare il lungo silenzio con i ricordi. Allora si alzò
ancora una volta, mise i vestiti consunti dal tempo, prese
la doppietta delle nozze d'oro, le cartucce, il tascapane;
e non c'era più nessun cane impaziente. Sulla porta accese
accuratamente la pipa, guardò il cielo che schiariva
a oriente, pensò ai giovani su per le montagne che il primo
sole arrossiva e si avviò.
Era come se tutti i cani d'una volta lo seguissero: il Sirio,
l'Alba prima, la Cia, l'Elsa, Mane, l'Alba seconda; e
con loro tutti gli amici e i compagni di un tempo.
Camminò per un paio d'ore e tutto era come allora
perché i ricordi gli venivano vividi: un sasso, un albero
antico, la linea di un monte, una radura, il frullo di un
volo, un sentiero, uno stabbio, un cespuglio: ogni cosa,
insomma, aveva per lui una storia e una vita. In uno slargo
dì bosco si sedette sotto un grosso abete bianco, riaccese
la sua pipa e serenamente aspettò che ritornassero
giù i cacciatori dalla montagna perché gli raccontassero,
Nel frattempo ascoltava il bosco.

(http://www.cimeetrincee.it/pipe13.gif)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Settembre 2011, 16:37:59
La seconda guerra mondiale

Teneva gli occhi aperti fissando la candela che alluri
gava le ombre sulle pareti e le faceva ballare ogni volta
che il vento soffiava più forte per il camino della stufa. Il
russo fumava con una corta pipetta e lo guardava in silenzio;
d'un tratto gli disse sottovoce: «No vot cavarte le
scarpe? Chi l'è tutt cahno... Càvete le scarpe».
Questa volta era certo, aveva inteso giusto e di scatto
si alzò a sedere: «Ma voi» disse, «sé taliàn?».
Si guardarono, ma il russo stava zitto, fumando. Dopo
si alzò dalla panca, da uno stipo trasse una bottiglia e
porgendola al caporale gli disse: «Bevi un poco. No pensarghe,
dopo dormirai meglio».
Era vodka forte che sapeva di cipolla, ma scaldava
dentro. Bevctte un lungo sorso anche il vecchio; «Io son
nato sotto l'Austria, ai tempi di Francesco Giuseppe,
nell ' Ottantaq uattro... ».
Il caporale ascoltava quel parlare sommesso ma sentiva
che la vodka ora gli saliva alla testa. Desiderava distendersi
e dormire. "Svegliarsi in primavera" pensava,
"che bello! " Poi chiese al vecchio: «Ma in che paese siete
nato sotto l'Austria?».
«Ne] Trentino. Sono delle Giudicarle.»
«In che paese delle valli Giudicane?»
Il russo lo pronunciò alla vecchia maniera e il caporale
al sentire il nome del suo paese fu come se una scossa elettrica
lo avesse percorso. Quasi a faticasi ateo dal giaciglio,
si sedette sulla panca, con una mano tirò accanto il vecchio
che gli stava davanti in piedi: «Disème, disème...».
La vecchia sedeva sotto le icone, immobile, come assorta;
la giovane donna si era stesa accanto ai ragazzi, e i
due soldati dormivano. Nel sonno l'alpino si lagnava e
muoveva le gambe come se stesse arrancando nella neve.
«Disème» ripete il caporale, «anca mi son nat là,»
Il vecchio gli stava seduto accanto, lentamente ricaricava
la pipa con torsoli di tabacco tagliati sottili; forse
non voleva parlare, forse aveva già detto troppo a questo
soldato dell'esercito italiano, che in una sera di bufera
gli era capitalo in casa. Erano fatti lontanissimi, ormai;
non solo trent'anni erano passati, ma trecento potevano
essere.
Ricordava i compagni di gioco e di scuola: l'aula
con i banchi, come erano disposti nelle tre file, il forno
di corto, l'inchiostro che gelava dentro i calamai, la carta
geografica dell'Impero, il ritratto di Francesco Giuseppe,
e il maestro con la bacchetta e il cipiglio fiero che insegnava
le aste miste, poi le vocali, le consonanti, la dottrina
cristiana, l'aritmetica: «L'è ancora vivo il maestro
Andrea?» chiese d'un tratto.
«E vivo» rispose il caporale, «E stato anche il mio
maestro. Era severo ma bravo.»
«E don Bortolo?»
«No, don Bortolo è morto quando è scoppiata la
guerra. Al suo funerale è venuta tutta la v a l lo
Don Bortolo, il maestro Andrea, il paese. Il vecchio
lasciava spegnete la pipa tra le mani e i suoi occhi fissavano
i vetri della finestra di fronte dove sbatteva la neve.
Il vento si era fatto più impetuoso e pareva volesse
Strappare il tetto dell'isbà. Lui voleva chiedere ancora,
chiedere della donna che aveva lasciato laggiù, dei parenti.
Ma che diritto aveva?
Il caporale stava zitto, anche lui immerso nei ricordi;
ma anche, a momenti, voleva sapere di più di questo
vecchio compaesano trovato in un angolo del mondo e
come lui portato qua dalle guerre. «Ma voi, chi siete?»
gli chiese.
Non gli rispose, forse non voleva farlo sapere, Il vecchio
si alzò, prese dal forno una bracia e riaccese la pipa,
riattizzò il fuoco e tomo a sedersi sulla panca dicendo:
«Conosci il Matteo dei Baross?».
«Il Matteo? Quello che fa il carraio su alla Riva? Ma
quello è il mio santolo!»
«E la Betta del Maso, la conosci?»
«La Betta del Maso, el santolo Mattio. La Betta l'è sua
marna, la maina là del Toni, quello che dorme tacà al
forno.»
Il vecchio prese la bottiglia e bevette un sorso; sospirò
profondo, la passò al caporale e anche lui bevette come
trasognalo. «Senti, toì, ascoltami: chi sei?»
«Marco dei Longhì. La me mamma l'è la Margherita
del Maso, Me pare l'era el Piero che è morto nella guerra
del Quattordici, quando sono nato.»
Il vecchio si alzò, camminò verso la porta, l'aprì a
guardare fuori la tormenta e subito rinchiuse contro il
vento che spingeva torte. Andò alla finestra; poi guardò
la vecchia rincantucciata sotto le icone, la donna e i ragazzi
sulla stufa, e ritornò davanti a Marco dei Longhi,
fissandolo. Tremava nelle mani e gli tremava la barba
rossiccia: «Tua madre» disse rauco, «tua madre ti ha
partorito quando ero al fronte, me lo scrisse nel marzo
del Sedici. Ricordo. Sei nato il 2 marzo del Sedici, Ero in
Volinia. Mi, Marco, son to pare».
Prima di giorno il vento calò e ora il silenzio sembrava
coprire il villaggio sperduto nella balka, Il vecchio
batté la pipa contro il palmo della mano per far cadere
la cenere, si alzò in piedi, trasse un profondo sospiro e
girò attorno lo sguardo sui dormienti: dal palco sopra la
stufa al pavimento; quindi si avvicinò alla porta che piano
piano aprì.



Mi piaceva andare lungo una vecchia
strada, forse la più vecchia e intatta e paesana via di
questa Char'kov rifatta nuova dopo tante battaglie. Su
questa mia cara strada, dei gradini scendono verso le
porte illuminate delle botteghe seminterrate: lì sotto è
caldo, è intimo. Entro in tutte: vendono libri, stampe,
tabacco, tè, ciambelle, bottoni. Sono riuscito a trovare
un pacchetto di machorka, il vecchio e rustico tabacco
ucraino che noi e i nostri paesani russi riuscivamo a fumare
nei Lager. «Mario, davài gazeta» mi diceva Pètr
Ivanovic. E con un pezzo di giornale propagandistico
tedesco faceva delle grosse sigarette che quando aspirava
si incendiavano. Ora questo ritrovato machorka mi
sembra il tabacco più prezioso e più buono del mondo.
La vecchia che l'ha spolverato dal più riposto angolo
della bottega me lo porge scrollando la testa e non vuole
nemmeno i copechi del prezzo segnato sulla carta gialla;
forse ha capito cosa cercavo.

STORIE DALL'EUROPA

La sera è già scesa sopra il villaggio; piccole luci di lanterne
si muovono in qualche cortile o verso le Stalle; le
case, la campagna e gli alberi sono avvolti da un silenzio
antico ma non ostile; la pioggia sì è attutita e le tre donne
vestite di nero e con i grembiuli bianchi di farina
aspettano il pane che cuoce nel forno,
L'uomo si è seduto a lato della bocca con la schiena appoggiata
alla parete per godersi il calore, e con uno stecco
che sulla punta conserva la brada si accende la pipa. Forse
la cottura del pane è regolata sul tempo della sua pipata.
Altre donne, delle vicine che vengono a trovare le amiche,
si affacciano sotto l'arco di pietra ma vedendoci, noi
stranieri, si ritirano e vanno via dopo aver salutato il «signor
padre Antonio» e noi. Mi dispiace vederle andare,
chissà cosa avrebbero potuto raccontarci.
Padre Fontes, parlando sottovoce quasi le parole disturbassero
il pane che sta cuocendo, mi spiega che O
Forno do Poro, il Forno del Popolo, è anche per tradizione
ìl luogo dove i viandanti e i vagabondi possono
trovare rifugio e calore: nessuno li potrebbe mandare
via da qui, anzi: per loro ci sarà sempre un pane e un po'
di fuoco.

LA PRIGIONIA

Il tempo passava e nessuno si
muoveva; i viaggiatori incominciarono a domandarsi cosa
mai fosse successo; chi stava leggendo aveva ripiegato
il giornale e guardava preoccupato la neve che incominciava
ad accumularsi sui vetri; qualche donna incominciò
a rivolgere la parola ai prigionieri; un vecchio dopo
aver acceso la pipa di maiolica borbottò: «SchciJk
Krieg», e un soldato molto pallido che forse era in viaggio
per andare in licenza di convalescenza lo guardò ap
provando. Un prigioniero osò domandare a una signorina
che aveva ripiegato il giornale nella borsa dove erano
arrivati gli americani e se i russi avevano ripreso l'offensiva.
«Siamo in fase di ritirate strategiche» disse il vecchio
della pipa, «e in attesa dell'arma segreta,» Il prigioniero
ricordò la scritta nella latrina della miniera e disse:
«L'arma segreta di Hitler sono le rape; hanno tante vitamine
». Al che il vecchio aggiunse dopo aver levato la pipa
dalla bocca: «Anche le patate e i cavoli!». E rise apertamente.

L'uomo
e la donna che erano stati aiutali dal prigioniero italiano
restavano seduti immobili sulla panca e non parlavano;
l'uomo teneva la mano della ragazza e gli occhi, dietro
gli occhiali molto spessi, sembrava guardassero lontano,
oltre la porta. Ambedue erano giovani, dai lineamenti
molto delicati e molto somiglianti tra loro; forse erano
fratelli, e vestiti con una certa ricercatezza, ma non certo
da inverno. Quando il tepore della stufa incominciò a
farsi sentire i due si parlarono sottovoce, quasi bisbigliando.
Ogni tanto la ragazza alzava gli occhi per cercare
il prigioniero che li aveva aiutati e che ora, vicino alla
stufa, fumava la pipa di maiolica che il vecchio gli aveva
porto dopo averla caricata di tabacco. I due giovani parlarono
ancora più animatamente, la ragazza a un certo
punto si alzò e andò a chiamare il prigioniero, lo prese
per mano e Lo accompagnò davanti all'uomo dicendo:
«È stato questo soldato italiano; un prigioniero che lavora
nella miniera di ferro».
L'uomo mise una mano nella tasca interna della giacca
e levò un portasigarette d'argento con le cifre in oro e
senza aprirlo e senza dire una parola glielo porse. Al pri
gioniero venne da sorridere e disse «no» con la testa e
con la voce. «Dtulle! Eine sigarette» disse. Allora l'uomo
aperse con difficoltà l'astuccio d'argento e oro e con la
mano a dita aperte abbrancò tutte le sigarette che c'erano
dentro porgendole con il braccio disteso.
Fu a questo punto che il prigioniero si accorse che
quell'uomo non vedeva, che forse era completamente
cieco, e gli venne una grande compassione che gli spense
quel senso di euforia che aveva provato neli'affrontare
la tormenta e che ancora assaporava con la pipa del
vecchio e con il vecchio vicino alla stufa come fòsse in
un rifugio sulle montagne di casa, La ragazza gli disse:
«È successo in guerra, accetti almeno queste sigarette».
Allora le prese, Ritornò vicino alla stufa; la tormenta stava
calando e, oltre i vetri della finestra, si incominciavano
a intrawedere i profili delle montagne.

Il  vecchio polacco che lavorava con il mio gruppo si
chiamava Johannes, non Ivan o Hans, e anche lui diceva
che la sua casa era molto lontana, era un cattolico fervente,
innamorato dell'Italia e di Roma dove c'era Petrus.
Per farsi comprendere usava con noi il latino che aveva
imparato con le preghiere e con la messa; era anche molto
buono e pudicissimo e quando sentiva qualche nostra
imprecazione si faceva il segno delia croce. Ogni tanto, a
rumo, ci regalava una fettina di pane sottile come un'ostia
o una patata lessa, ci faceva anche dare una tirata dalla
sua pipa dove fumava machorka, le nervature delle foglie
di tabacco non conciato.
(http://farm3.static.flickr.com/2102/2523486347_a23bc867d5.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 25 Settembre 2011, 17:40:26
STORIE
DALL'ALTIPIANO


Vecchia America

Durante una marcia il tenente vicecomandante della
batteria volle provare i garretti di quel soldato veneto dagli
occhi azzurri e mentre tutti gli altri soldati salivano per
il normale sentiero, lo invitò a seguirlo e insieme presero
la montagna di petto per rocce e burroni come i camosci.
Arrivarono alla batteria che gli altri non erano ancora a
metà strada e il soldato dagli occhi azzurri sorrideva felice
e sudato perché l'ufficiale non era riuscito a staccarlo.
11 tenente lo volle suo attendente. E lustrava stivali, puliva
la sciabola e la pistola, e mentre gli altri faticavano attorno
ai pezzi, fumava la pipa guardando tra le valli i paesetri
dispersi o, in alto, le cime scintillanti di ghiacci.

Anni s'erano accumulati ad anni. Aveva visto lo sviluppo
dell'America. Lavorando sodo aveva guadagnato
dei buoni dollari, poteva anche infischiarsene e vivere in
pace, ma, a sentire queste cose del suo paese, in Italia,
un qualcosa dal profondo, come venisse da un altro uomo,
gli si muoveva dentro. A volte restava lontano da se
stesso e dagli altri, con la pipa che gli si spegneva tra le
labbra.

«Allora tu non gli hai mai scritto?»
«Una volta. Quand'ero in Francia; prima di venire in
America. E inutile, è inutile. Andiamo e così vediamo le
novità.»
«Be'! qualche notizia sul tuo conto l'ho mandata io.»
«Il nostro vecchio paese» fece una lunga pausa tirando
nella pipa e poi continuò: «chissà come sarà ora; vi è
passata la guerra e sarà tutto cambiato».
Stavano in silenzio nelle poltrone vicino al caminetto.
Fumavano la pipa e i bambini erano usciti in giardino.
«Non ci sarà più la nostra vecchia casa con le grondaie
di legno; e il ponte per andare nell'orto. Quanto abbiamo
giocato sul ghiaccio della roggia! Ed il vecchio tiglio nel
prato dietro la casa? Una volta ci sei caduto giù.»
«Ricordo. Fu quella volta che misi le panie per le
cince.»
Stavano in silenzio nelle poltrone vicino al caminetto.
Fumavano la pipa e i bambini erano rientrari dal giardino.
Ora che erano vecchi ritrovavano tutta la loro infanzia.
Improvvisamente erano tornati tutti i ricordi assopiti
dal lavoro e dal tempo. Nei particolari, come fosse
stato ieri e non sessantanni e più fa: le gabbie per le cince,
i nidi dei fringuelli, gli sciami dei calabroni, la polenta
con il latte nelle sere d'inverno, gli amici, le donne che
andavano a prendere i secchi d'acqua alla fontana, il
vecchio parroco che tabaccava sempre, il maestro zoppo,
il nonno che aveva fatto il militare sotto l'imperatore
Ferdinando, lo stanzino buio dove erano riposte le tele
di lino ed i mastelli di legno. Tutto: tutto ritornava come
allora.

ALBA E FRANCO

No, non è questa la storia di due innamorati. E nemmeno
di una società per azioni: ma solamente quella di due
cani segugi dal pelo fulvo.
Vissero sino a qualche tempo fa vicino al mio paese.
in una casa presso il bosco, isolata e tranquilla, dove non
giungono rumori di motociclette o di altre diaboliche
macchine. Solo di notte, tre volte alla settimana, si sente
volare alto un aeroplano di linea che ogni tanto accende
e spegne i lumi come una lucciola in un campo di segala.
Ma ìl suo rumore non disturba; è familiare anzi, e, quando
il vecchio Cristiano lo sente, smette per un attimo di
tirare nella pipa dicendo:
«Eccolo.» E mentalmente gli manda l'augurio di
buon viaggio.

Diventò la disperazione della povera vedova perché le
lamentele dei vicini le portarono l'intimazione della guardia
comunale: o pagare la multa, o ucciderlo, O venderlo.
La notizia arrivò sino alla casa vicino al bosco e un sabato
seta il più giovane venne in paese dalla vedova per
sentite se fosse disposta a venderlo. Questa ben volentieri
lo cedette, e senza alcun compenso. Disse solo «fatemi
mangiate una volta lepre».
Bruno lo legò con una funicella e lo condusse a casa.
Quando attivò era sul tramonto; gli altri due fratelli lo
avevano visto venire da lontano e gli si avviarono incontro.
Rimasero male e non dissero niente. Il vecchio padre,
seduto nell'orto a fumar la pipa sotto il ciliegio, sbruffò
forteil fumo e brontolò trai denti; «Che razza di bestia ci
porti?». Disse "bestia" e non cane e non animale.
Questa bestia, appena entrata in cucina, annusò negli
angoli e pulì rapidamente la coppa del cibo che avevano
preparato per Alba. Annusò ad una ad una tutte le persone
senza dimostrare alcun sentimento e quando Piero
slegò Alba e la fece entrare in cucina, la bestia l'annusò
ben bene da tutte le parti e finalmente scodinzolò.

SÌ alzarono che era ancor buio e l'ampia cucina fu ripiena
della loro impazienza. I cani fiutavano qualcosa di
nuovo ed erano eccitati e frementi quanto i loro padroni.
II vecchio tirava come un dannato nella pipa spenta e
ogni tanto andava all'uscio a guardare verso il nero del
bosco e verso il cielo a sentire l'aria.

Il vecchio aspettava sulla porta di casa e fumando la
pipa guardava verso il bosco. Li vide venire dal sentiero
e chiamò verso la cucina da dove venivano rumori di
pentole e di fuoco. Disse:
«Ehi donna, guarda i tuoi figli!»
Prima che cadesse la neve novantaquattro lepri e tre
caprioli avevano finito la loro corsa: fermati per sempre
dai fucili dei tre fratelli. Erano segnati giorno per giorno
sul lunario appeso dietro la porta della stalla, sotto il
quadro di sant'Antonio abate.

I tre fratelli, oltre alla caccia, avevano un'altra passione:
correre sugli sci. Ogni giorno, per qualche ora, calzavano
gli sci da fondo leggeri e stretti e si rincorrevano,
come giocando, per i prati e i boschi. Divennero bravi e
incominciarono a gareggiare e a vincere. La pista passava
vicino alla casa: saliva proprio li davanti, costeggiava
l'orto, sfiorava il bosco e correva via veloce sulla neve
cristallina e secca. Quando c'erano le gare i due vecchi,
con Alba e Franco, stavano sull'uscio della cucina per
vederli passare. Li scorgevano ancora da lontano e dall'andata
distinguevano uno dall'altro; sparivano poi nella
valletta, sbucavano dal bosco e salivano su. Il vecchio
controllava i tempi sulla sveglia e si dimenticava persino
di accendere la pipa lasciando che i fiammiferi gli bruciassero
le dita.

Così andò per molti anni, tanti per due cani segugi-
Vollero conservare la loro razza e una primavera Alba
venne coperta da Franco. Partorì tre cuccioli e un mese
dopo il parto morì di sua morte naturale, La seppellirono
nell'orto, sotto il ciliegio, dove a sera il vecchio è uso
a fumar la pipa e ascoltare il pigolio dei pettirossi,
Un anno dopo se ne andò anche Franco. Era d'autunno
tardi, poco prima della neve che già s'annusava nell'aria.
Lo portarono a cacciare nei pascoli vicino alla malga.
Franco trovò la pastura del lepre, abbaiò stanco, corse
qua e là barcollando e s'inoltrò nel fitto. Non ritornò più.



(http://lh3.ggpht.com/_x7UHDdDrgdI/TRszv2hoLsI/AAAAAAAAAaM/E7JIfIiaQFE/Pipa.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Novembre 2011, 19:37:09
EMMANUEL DONGALA
 
(14 luglio 1941)
Nato nella Repubblica Centrafricana, Emmanuel Dongala ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza nel Congo Brazzaville. Laureatosi negli Stati Uniti, rientra nel suo paese dove si impegna in ambito culturale e sociale. Dopo la guerra civile del 1997 è costretto a tornare in America, dove attualmente insegna chimica e letteratura africana francofona.

L'UOMO DI VENTO


Non dimenticare che
sempre, prima di cominciare qualsiasi cosa, bisognerà che tu me ne parli, i
giovani devono rispettare gli anziani; il giorno in cui questa regola sarà infranta
il clan sarà distrutto, gli antenati ci abbandoneranno e sarà la fine del
mondo. Spero che tu abbia capito. Dai, va' a cercarmi la pipa con un po' di
tabacco secco, poi mi spiegherai dove si trova codesta radice che ridà virilità
agli uomini e come preparare quel rimedio contro la malaria».
Mankunku, obbediente, gli portò la pipa, poi tornò a casa.

Mankunku osservava il suo malato che fumava avidamente la pipa in
una sorta di ritrovata gioia di vivere. Mankunku attese pazientemente la
partenza di chi era venuto a visitarli, fino a quando si ritrovarono soli.
«Mankunku, ragazzo mio, ti ringrazio per quanto hai fatto per me».

«Ma cosa fate di quelle mani?» domanda timidamente.
I miliziani sorridono.
«Se non ammazziamo quelli che rifiutano di consegnare il caucciù o di
pagare l'imposta, siamo puniti molto severamente e qualche volta gli ufficiali
bianchi di Stato arrivano al punto di farci fucilare. Allora, piuttosto di
morire noi, uccidiamo i recalcitranti, e la prova del nostro lavoro sono le
mani. Qualche volta, aggiunge con un sorriso allegro, tagliamo loro anche
il pisello».
«Ma... ma... che cosa se ne fanno delle mani?».
«Oh, dipende dai capi. Certi le contano, poi le fanno gettare nel fiume;
altri invece le fanno affumicare e le utilizzano come pigiatabacco per la
pipa e le portano al loro paese...



(http://giandri.altervista.org/MaliDogon/6Trekking/UomoConPipa.JPG)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 13 Novembre 2011, 19:42:52
Frammenti di vecchie pipe gialle
John Buchan

I Trentanove Scalini

Di solito Paddock arrivava puntualmente alle sette e mezzo e apriva egli
stesso la porta di cui aveva le chiavi. Misi una pipa in saccoccia e mi
disposi a rifornire la mia borsa di tabacco prendendone da un vaso in cui
ero solito conservarlo e che si trovava sul tavolo presso il camino. Ed ecco
che, manipolando il tabacco, la mia mano incontrò un corpo duro. Era il
piccolo taccuino di Scudder. La cosa mi parve di buon augurio. Sollevai il
telo che copriva il cadavere e mi meravigliai di vedere tanta pace e tanta
dignità su quel viso cereo.
— Addio, vecchio camerata — gli dissi — mi accingo a fare tutto quello
che è possibile per accontentarti. Augurami buona fortuna dovunque io
vada.


R. Austin Freeman

L'Impronta Scarlatta


- Ti dispiacerebbe aiutarmi, in termini di affari, naturalmente, e lavorare
su questo caso? Ho molto altro lavoro tra le mani e la tua assistenza mi
sarebbe molto valida.
Dissi, molto sinceramente, che ne sarei stato felicissimo.
- Allora - disse Thorndyke - passa a colazione domani: stabiliremo i
termini e potrai prendere servizio subito. Ed ora accendiamo le pipe e
terminiamo i nostri racconti come se non esistessero clienti agitati e
avvocati testoni.
A ciò non diedi replica, poiché mi ero appena acceso la pipa e avevo
insolitamente sonno, il mio compagno seguì il mio esempio e fumammo in
silenzio, diventando sempre più assonnati, finché il treno non si arrestò al
capolinea e scendemmo, tra sbadigli e brividi, sulla piattaforma.

Mary R. Rinehart

L'Uomo Della Cuccetta N° 10

A mano a mano che il cero da chiesa
impallidiva alla luce del camino, fummo invasi da un dolce torpore. Io
trascinai un divano nella zona riscaldata e mi ci sdraiai per dormire.
Hotchkiss disse che il dolore alla gamba lo teneva sveglio e rimase seduto
a occhi spalancati accanto al fuoco, fumando la pipa.
Non ho idea di quanto tempo fosse trascorso quando qualcosa si scagliò
violentemente contro il mio petto. Mi svegliai di soprassalto e saltai in
piedi e un grosso gatto d'angora cadde a terra con un tonfo sordo. Il fuoco
era ancora acceso e nella stanza c'era un odore di pelle bruciata
proveniente dalle scarpe di Hotchkiss. Il piccolo investigatore dormiva
profondamente, la pipa spenta fra le dita. Il gatto si accovacciò e miagolò.
La tenda davanti alla porta del corridoio si gonfiò lentamente e si
afflosciò di nuovo. Il gatto guardò verso di essa e aprì la bocca per
emettere un altro miagolio. Io lo spinsi con il piede, ma lui rifiutò di
muoversi. Hotchkiss si agitò nel sonno e la pipa cadde sul pavimento.
Il gatto si era alzato e guardava fisso dietro di me. In apparenza seguiva
con gli occhi un oggetto a me invisibile che si muoveva alle mie spalle.

(http://pipesmagazine.com/wp-content/uploads/wppa/thumbs/1842.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 22 Gennaio 2012, 16:31:52
Ancora Zelazny che ci mostra dal maestro che era,come una pipa possa sottolineare lo stato d'animo di una situazione.la conversazione che segue senza una pipa accesa,non avrebbe che scarso interesse.
 

ROGER ZELAZNY

Le rocce dell’impero

— Ritengo che lei sia aggiornato in merito ai regolamenti di questa università.
— Li riesamino regolarmente.
— Posso anche dedurre che lei sia al corrente dei corsi che vengono tenuti questo semestre?
— È una deduzione corretta.
Wexroth trasse di tasca una pipa ed un sacchetto di tabacco, e cominciò a caricare la pipa lentamente, facendo attenzione ad ogni filo di tabacco e dando l’impressione di godere molto di quel momento; quanto a me, lo avevo bollato come fumatore di pipa dal primo momento che lo avevo visto. Wexroth si mise in bocca la pipa, l’accese, aspirò una boccata di fumo, poi si tolse l’arnese di bocca e mi fissò attraverso la nuvoletta di fumo da lui creata.
— Ed allora — disse, — la possiamo incastrare con una promozione obbligatoria in base alla regola dipartimentale principale.
— Ma lei non ha neppure visto la mia scheda di preregistrazione!
— Non ha alcuna importanza. Ho già fatto esaminare da qualcuno della sezione computer ogni possibile scelta che lei potrebbe fare, ogni possibile combinazione di corsi che le permetta di mantenere la sua condizione di studente a tempo pieno, poi ho confrontato ciascuna di quelle possibilità con il suo curriculum di studi alquanto esteso, e, in ciascun caso, sono arrivato al modo per liberarmi di lei: non importa cosa lei potrà scegliere, lei finirà comunque per ricadere con qualche materia nell’ambito della principale regola dipartimentale.
— A sentirla sembra che lei abbia fatto un lavoro completo.
— Infatti.
— Le spiacerebbe se le chiedessi come mai è tanto ansioso di liberarsi di me?
— Niente affatto — replicò Wexroth. — Il nocciolo della questione è che lei non è altro che un automa.
— Un automa?
— Un automa: lei non fa altro che ciondolare in giro.
— E cosa c’è di male in questo?
— Lei è un onere, una fonte di prosciugamento di energie emotive ed intellettuali per la comunità universitaria.
— Stupidaggini! — osservai. — Ho pubblicato diverse ricerche decisamente buone.
— Precisamente. Lei dovrebbe essere fuori di qui, ad insegnare o a svolgere un lavoro di ricerca... con un paio di titoli dietro al suo nome... invece di continuare ad occupare un posto che spetterebbe ad una povera matricola.
Mi sforzai di allontanare dalla mente l’immagine astratta di questa povera aspirante matricola... magra, con gli occhi incavati, il naso e le punte delle dita premute contro il vetro appannato dal suo stesso respiro, in tormentosa attesa di quell’istruzione che le veniva negata per causa mia... e dissi:
— Ancora sciocchezze. Lei vuole davvero liberarsi di me?
— Quando comincia a fare domande elementari come questa — replicò Wexroth, dopo aver fissato in modo pensoso la sua pipa per un momento, — lei mi è semplicemente antipatico.
— Ma perché? Lei mi conosce appena.
— Io so tutto di lei..., il che è più che sufficiente — picchiettò con il dito sul mio incartamento, aggiungendo: — È tutto qui, e lei rappresenta un tipo di atteggiamento per il quale io non provo alcun rispetto.
— Le spiacerebbe essere un po’ più specifico?
— D’accordo — fece Wexroth, svoltando le pagine del fascicolo fino al punto contrassegnato da uno dei molti segnalibro che ne sporgevano. — Stando a questa documentazione, lei sarebbe studente qui da... vediamo, approssimativamente da tredici anni.
 — Mi sembra abbastanza esatto.
— A tempo pieno — aggiunse Wexroth.
— Sì, lo sono sempre stato, a tempo pieno.
— È entrato in questa università ad un’età inferiore alla media, dimostrandosi un giovane precoce, ed i suoi voti sono sempre stati decisamente buoni.
— Grazie.
— Quello non era un complimento, era solo una constatazione. Nel suo curriculum c’è anche una quantità di materiale sufficiente ad ottenere un titolo di studio, ma sempre sfruttato allo scopo di rimanere studente. In effetti, dal punto di vista quantitativo, ci sarebbe materiale sufficiente per ottenere un paio di dottorati, e sarebbe possibile suggerire parecchie composizioni...
— Le composizioni di materie non ricadono sotto la regola principale dipartimentale.
— Sì, ne sono perfettamente consapevole. Nel corso degli anni si è reso evidente che la sua intenzione era quella di mantenere la sua posizione di studente a tempo pieno, senza però mai arrivare alla laurea.
— Io non l’ho mai detto.
— Un riconoscimento delle sue intenzioni sarebbe ripetitivo e sovrabbondante, Mister Cassidy: il suo curriculum parla da solo; una volta eliminati dal suo cammino
tutti i requisiti di carattere generale per la laurea, è stato ancora relativamente facile per lei evitarla spostando periodicamente il suo campo principale di studi ed ottenendo sempre nuovi gruppi di materie particolari da studiare. Dopo qualche tempo, tuttavia, anche questi sono venuti a scarseggiare, e ben presto è per lei divenuto necessario operare lo spostamento ogni semestre. A quanto mi pare di capire, la regola relativa alla laurea obbligatoria in seguito al completamento di un gruppo maggiore dipartimentale di materie è stata approvata esclusivamente a causa sua. Lei ha operato un sacco di deviazioni dal piano di studi normale, ma questa volta non ha più possibilità di farlo: il tempo scarseggia e l’orologio sta per battere l’ora fatidica. Questo è l’ultimo colloquio che avremo in merito a questo argomento.
— Lo spero. Sono soltanto venuto per far firmare la mia scheda.
— Lei mi ha anche posto una domanda.
— Sì, ma adesso che posso vedere quanto lei sia occupato, sono disposto a lasciar perdere.
— È tutto a posto: io sono qui apposta per rispondere alle sue domande. Per continuare, quando ho sentito parlare per la prima volta del suo caso, è sorta in me una naturale curiosità in merito al motivo del suo strano comportamento, cosicché, quando mi è stata offerta l’opportunità di diventare il suo consigliere, mi sono naturalmente dato da fare per scoprirlo...
— Offerto? Vuole dire che sta facendo questo per sua scelta?
— Proprio così. Volevo essere quello che le avrebbe detto addio e che le avrebbe indicato la strada verso il mondo vero.
— Se lei mi firmasse semplicemente la scheda...
— Non ancora, Mister Cassidy. Lei voleva sapere il perché della mia antipatia nei suoi confronti, e, quando se ne andrà di qui... da quella porta... lo saprà. Tanto per cominciare, sono riuscito dove i miei predecessori hanno fallito, dal momento che sono al corrente delle disposizioni del testamento di suo zio.
Annuii: avevo avuto la sensazione che la conversazione avrebbe preso quella piega.
— Mi sembra che lei sia andato al di là dello scopo connesso alla sua carica — dissi. — Quella è una questione personale.
— Nel momento in cui interferisce con la sua attività qui, viene ad entrare nella mia sfera d’interesse... e di riflessione. Per quel che ne capisco io, il suo defunto zio le ha lasciato un patrimonio di cospicue dimensioni, del quale lei potrà usufruire nel modo più libero fintanto che continuerà ad essere uno studente a tempo pieno che lavora per arrivare alla laurea. Una volta che lei avrà conseguito una qualsiasi laurea, tale disponibilità verrà a cessare, ed il resto di quel patrimonio dovrà essere distribuito fra i rappresentanti dell’Armata Repubblicana Irlandese. Ho descritto esattamente la situazione?
— Per quanto correttamente possa essere descritta una situazione scorretta, suppongo. Povero, stupido vecchio zio Albert, ed anche povero me. Sì, avete afferrato in pieno la situazione.
— Sembrerebbe che l’intenzione di quell’uomo fosse quella di fornirle i mezzi per ottenere un’adeguata istruzione... né più né meno... per poi permetterle di farsi strada nel mondo con i suoi mezzi. Un’idea estremamente ragionevole, per come la vedo
io...
— L’avevo già indovinato.
— Ed un’idea che lei, chiaramente, non condivide.
— Vero. Evidentemente in questo caso sono coinvolte due differenti filosofie in merito all’educazione di un individuo.
— Mister Cassidy, sono convinto che la situazione attuale sia dominata dall’economia piuttosto che dalla filosofia: per tredici anni lei ha fatto in modo di rimanere semplice studente a tempo pieno invece di conseguire una laurea, e ciò allo scopo di continuare a percepire i suoi assegni. Lei si è grossolanamente approfittato della scappatoia contenuta nel testamento di suo zio perché lei è un play-boy ed un dilettante che non ha alcun desiderio di lavorare, di avere un lavoro fisso, di ripagare la società che tollera la sua esistenza. Lei è un opportunista, un irresponsabile, un automa.
— D’accordo — annuii. — Lei ha soddisfatto la mia curiosità sul suo modo di pensare. Grazie.
Le sue sopracciglia si avvicinarono in un’espressione aggrondata, mentre mi esaminava.
— Dal momento che lei potrebbe essere il mio consigliere anche per parecchio tempo, volevo conoscere la sua posizione — aggiunsi. — Ed ora la conosco.
— Lei sta bluffando — ridacchiò Wexroth.
— Se lei si decidesse a firmare la mia scheda — feci, scrollando le spalle, — me ne potrei anche andare.
— Non ho bisogno di vedere quella scheda — disse lentamente Wexroth, — per sapere che io non sarò il suo consigliere per parecchio tempo. Questa, Cassidy, è la fine della sua sfacciataggine.
Tirai fuori la scheda e gliela porsi, ma lui la ignorò e proseguì:
— E con l’effetto demoralizzante che la sua presenza esercita qui all’università, non posso fare a meno di chiedermi come si sentirebbe suo zio se fosse a conoscenza del modo in cui i suoi desideri sono stati distorti. Lui...
— Glielo chiederò quando lo vedrò di nuovo in giro — dissi. — Ma quando l’ho visto, il mese scorso, non dava esattamente l’impressione di rivoltarsi per l’indignazione.
— Prego? Non ho afferrato...
— Lo zio Albert è stato uno dei pochi fortunati che se la sono cavata nello scandalo della Bide-A-Wee. Circa un anno fa, ricorda?
— Temo di no. — Wexroth scosse il capo lentamente. — Credevo che suo zio fosse morto, e deve esserlo, se il testamento...
— Si tratta di un delicato punto filosofico — dissi io. Legalmente è morto, d’accordo, ma lui si è fatto ibernare e conservare alla Bide-A-Wee... una di quelle organizzazioni crioniche. I proprietari, tuttavia, si sono dimostrati soggetti poco scrupolosi, e le autorità lo hanno fatto trasferire in un altro istituto analogo, insieme agli altri sopravvissuti.
— Sopravvissuti?
— Suppongo che questa sia la parola più adatta. Alla Bide-A-Wee avevano più di cinquecento clienti registrati sui loro libri, ma in realtà soltanto una cinquantina erano
effettivamente sotto ghiaccio. In questo modo facevano enormi guadagni.
— Non riesco a capire. E che ne era degli altri?
— Le loro parti migliori andavano a finire nel mercato nero degli organi, e quello era un altro settore da cui la Bide-A-Wee traeva un enorme profitto.
— Adesso mi sembra di averne sentito parlare. Ma cosa ne facevano dei... resti?
— Uno dei soci possedeva anche un’impresa di pompe funebri, ed era lui ad occuparsi di quei resti nel corso della sua attività.
— Oh. Bene... aspetti un momento, ma cosa facevano se arrivava qualcuno che voleva vedere un suo amico o parente congelato?
— Si limitavano a cambiare le targhette con i nomi; un corpo congelato visto attraverso un pannello altrettanto gelato somiglia a qualsiasi altro, un po’ come un oggetto avvolto nel cellophane. Comunque, lo zio Albert è stato uno di quelli che hanno tenuto per farli vedere: è sempre stato un tipo fortunato.
— E come hanno fatto alla fine ad incastrarli?
— Evasione delle tasse: erano diventati avidi.
— Capisco. Allora suo zio potrebbe davvero saltar fuori un giorno o l’altro per chiederle conto dei suoi atti?
— Esiste sempre una possibilità, anche se, naturalmente, fino ad ora ci sono stati ben pochi risvegli coronati da successo.
— E questa possibilità non la turba?
— Io tratto i problemi man mano che insorgono, e, fino ad ora, lo zio Albert non lo ha fatto.
— Concordemente con i desideri dell’Università e di suo zio, mi sento obbligato a farle presente che lei sta esercitando una violenza anche nei confronti di qualcun altro.
Mi guardai in giro nella stanza, scrutai perfino sotto la mia sedia.
— Mi arrendo — dissi infine.
— Lei stesso.
— Me stesso?
— Lei stesso. Accettando la facile sicurezza economica che le deriva dall’attuale situazione, lei sta cedendo all’inerzia, sta rovinando tutte le sue possibilità di poter arrivare ad essere qualcuno, sta peggiorando nel suo automatismo.
— Automatismo?
— Automatismo: nel persistere a ciondolare in giro senza far nulla.
— E così lei agirebbe davvero nel mio migliore interesse se le riuscisse di sbattermi fuori, eh?
— Precisamente.
— Non mi va affatto di dirglielo, ma la storia è piena di gente come lei, e si tende a giudicare aspramente quei soggetti.
— La storia?
— Non mi riferivo al dipartimento, ma al fenomeno in sé.
Wexroth sospirò e scosse il capo, poi, presa la mia scheda, si appoggiò all’indietro, e, aspirando il fumo della pipa, lesse quello che io vi avevo scritto, mentre io mi chiedevo se era davvero convinto di farmi un favore distruggendo il mio modo di vivere: probabilmente era così. 

(http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSwwpocsX_ZdGeWhlTYLfPQ9MMGLNDOKO0-9WcHfWYsABmpCcU-jbmlyPXPbA)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Luglio 2012, 22:02:09
Eduardo ScarpettA  1853 – 1925

Fu il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Creò il teatro dialettale moderno, che ancora oggi si usa e si specializzò nell'adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio.
Vanta una carriera lunghissima di commediografo (dal 1875), interrotta bruscamente da una celebre causa intentatagli da Gabriele D'Annunzio nel 1904.
Scarpetta fu anche attore cinematografico agli albori della “settima arte”. Egli girò alcuni film per una casa di produzione milanese, la “Musical Film” di Renzo Sonzogno, tratti dalle sue commedie: Miseria e nobiltà (1914, diretto da Enrico Guazzoni), La nutrice (1914, diretto da Alessandro Boutet), Un antico caffè napoletano (1914), Tre pecore viziose (1915) e Lo scaldaletto (1915) diretti da Gino Rossetti. Di questi film ci rimangono solo alcune foto di scena di Scarpetta e di altri interpreti.
Le sue sceneggiature contengono molte descrizioni di pipe,con lo scopo di sottolineare le varie "macchiette" es:
(Camillo esce dalla seconda a sinistra con bastoni, ombrello,
involto di panni su di un bastone, valigia, gabbia con uccello e due lunghe pipe in tasca.)
Oppure per giustificare brevi uscite di scena di qualche personaggio es:
CICCIO: Io me vaco a fumà la solita pippa fore a lo ciardino, sotto a lo pergolato.
Etc...

’NO PASTICCIO

PASQUALE: Dunque sig.r D. Felice Sciosciammocca, vi prego di sentirmi bene. Tutti i padri che
hanno figlie da maritare, tengono l’uso che quando si presenta un giovine qualunque, dopo di
essersi appena appena informati, lo ammettono in casa, e lo fanno sposare. Io no, io tengo un’altro
sistema, chi si vuole sposare mia figlia, deve fare 2 mesi di prova in casa mia. Prima di tutto, non
deve fumare, capirete na giovinetta bene educata, il fumo non lo può soffrire. 2° non deve bere
vino, perché il vino, prima di tutto fà male, e poi l’uomo che beve vino, a me non mi piace.
FELICE: Nu poco miscato cu l’acqua.
PASQUALE (gridando): Niente!
FELICE: (Puozze murì de subito)!
PASQUALE: 30 la mattina s’ha da sosere priesto, in punto alle 5, deve fare il cafè per tutta la
famiglia; la stanza che io v’assegno per questi 2 mesi, ve l’avite d’arricetta vuje, vuje v’avita fà lo
lietto e vuje v’avita scupà. Dovete tirare 6 cati d’acqua al giorno... (Felice s’alza e vuole andar
via.) Che cos’è, perché vi siete alzato?
GIOVANNINO: No, papà, diceva se sbaglia e ne tira più assai.
PASQUALE: Non fa niente, meno di 6 no, ma se ne tira 10, 12 nun fa niente.
FELICE: (Sì, 30, 40, aggio venuto ccà a tirà l’acqua per i bagni).
PASQUALE: Oh, dovete pulire le scarpe a me e D. Giovannino; tenta, scovette, tutte cose sta dinto
a la cucina. La sera non potete uscire, tranne qualche volta con mio genero, qui presente.
Qualunque cosa io vi dico, dovete ubbidire. Il giorno dopo pranzo, siccome io fumo me caricate la
pipa e me la portate. Siccome io sono Notaio, tutte quelle carte che si devono copiare, le dovete
copiare voi. In ultimo poi, colle donne dovete essere freddo, impassibile, insensibile, insomma se
vi capita di parlare con qualche bella figliola, nun ve n’avita j de capo, nun v’avita movere, e
questa è la prova la più essenziale. Quando avete fatto questo per lo spazio di 60 giorni, sposerete
mia figlia con 80 mila lire di dote, altrimenti ne siete cacciato fora a la porta come diversi altri.
Che rispondete?
FELICE: Ecco qua io...
GIOVANNINO: Ma che deve rispondere, l’amico mio è un uomo modello, sono sicuro che questa
prova non lo sgomenta, è vero che non ti sgomenti?
FELICE: No, io non mi sgomento.


(http://1.bp.blogspot.com/-gxoABbm25D4/T28Fy3pRwCI/AAAAAAAAAjQ/Yq12wxxEFYA/s1600/scarpettae.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 23 Luglio 2012, 22:13:21
Luigi Pirandello

Giustino Roncella nato Boggiòlo

Presa sotto braccio la busta di cuojo, dove, tra articoli e bozze di stampa della rassegna, aveva
ficcato un fascio di carte che si riferivano al banchetto, s'avviava verso la casa di Dora Barmis,
sapientissima consigliera dalle colonne de Le Grazie alle signore e signorine italiane della bellezza
e di tutte le raffinatezze intellettuali, quand'ecco, verso Piazza Venezia, un clamor confuso, lontano,
e un corri corri di gente.
Costernato, s'accostò in via San Marco a un grosso mercante di stoviglie d'alluminio che, sbuffando,
tirava giú le bande su le vetrine della bottega.
- Perché? Cos'è?
- Mah, dice... non so, - grugní quello in risposta, senza voltarsi.
Uno spazzino, seduto tranquillamente su una stanga del carretto con la giornata in ispalla a mo' di
bandiera e un braccio a contrappeso sul bastone di essa, si cavò la pipetta di bocca; sputò; disse:
- Ciarifanno.

Non poteva soffrire quel suo nuovo nipote, Giustino Boggiòlo.
- Afa! Afa! - sbuffava, appena qualcuno glielo nominava.
Che è l'afa? Ristagno di luce in basso, che snerva l'elasticità dell'aria. Quel suo nuovo nipote era
come l'afa: s'indugiava a far luce, la piú inutile luce, terra terra; vale a dire a spiegare le cose piú
ovvie, piú chiare, come se le vedesse lui solo e gli altri, senza il suo lume, non le potessero vedere.
Soffiava, il signor Ippolito, soffiava piano piano prima, per non offenderlo; alla fine, non potendone
piú, sbuffava e sbatteva anche le mani per restituire l'elasticità all'aria da respirare.
Per fargli dispetto, intanto, invece di starsene nella sua stanza ch'era forse la migliore
dell'appartamentino, se ne stava quasi tutto il giorno nello studiolo arredato di vecchi mobili, se non
meschini, certo molto comuni; e lí dàgli a fumare, non ostante che il medico lo avesse ammonito
piú volte di smettere, se non voleva incorrere in qualche serio malanno. Ma sapeva che Giustino
non poteva soffrire il fumo. A certi terribili assalti di tosse per l'intossicamento dei bronchi,
strozzato, paonazzo in volto, con gli occhi schizzanti dalle orbite, tempestava coi pugni, coi piedi, si
convelleva; ma seguitava a fumare perché Giustino non poteva soffrire il fumo. E fumando, si
lisciava con una mano su la spalla il fiocco d'un berretto da bersagliere che teneva sempre in capo.
Come un poppante la poppa della mamma, cosí egli, fumando in quella sua grossa pipa di schiuma,
aveva bisogno di lisciare qualcosa, e non volendo la magnifica barba grigia ricciuta, lavata e
pettinata ogni mattina con grandissima cura, si faceva venire su la spalla con una mossa del collo il
fiocco di quel berretto da bersagliere e si metteva a lisciar quello.
Fumando e lisciando, pensava.

(http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTqGyGdYfNtGzZysrPNcn0K4iRaqITpAGmjK3nf_oe6mEbbal1Pyp1yCrSvxA)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 17 Agosto 2012, 12:15:13
Charles Dickens

Cantico di Natale


In fondo a cotesta spelonca infame, sotto l'aggetto di una tettoia, aprivasi una bottega lurida e bassa,
dove s'andava a comprare cenci, ferri, bottiglie, untume di rimasugli. Dentro, sull'impiantito, erano
ammontati chiodi, uncini, chiavi rugginose, catene, lime, bilance, pesi, ferri vecchi d'ogni maniera.
Ascondevansi forse e brulicavano segreti che non era bello approfondire in quella montagna di
cenci nauseabondi, di grasso corrotto, di ossami. Un vecchio furfante sulla settantina, grigio di
capelli, se ne stava a sedere in mezzo a coteste sue mercanzie, presso una stufa di vecchi mattoni.
Difeso dall'aria fredda di fuori mediante un sudiciume di tenda fatta di tante pezze spaiate, sospese a
una corda, s'andava fumando la sua pipa con tutta la voluttà di una solitudine indisturbata.
Scrooge e il Fantasma vennero in presenza di costui nel punto stesso che una donna con un grosso
fardello sgusciava nella bottega. E subito dopo di lei, un'altra donna entrò, carica allo stesso modo;
e le tenne dietro un uomo vestito di nero rossiccio, il quale non meno stupì in vederle tutt'e due
ch'esse non avessero fatto riconoscendosi a vicenda. Dopo un momento di muto stupore, al quale si
unì il vecchio della pipa, tutt'e tre dettero in una gran risata.
- Passi avanti la giornaliera! - gridò la donna ch'era entrata per la prima. - Poi venga la lavandaia;
poi l'appaltatore delle pompe funebri. Vedi un po' che bazza, vecchio Joe! Pare che ci siamo dato la
posta, pare!
- Non vi potevate incontrare in un posto migliore, - disse il vecchio Joe, togliendosi la pipa di
bocca. - Venite in salotto. Ci siete da un pezzo come a casa vostra; e gli altri due non son mica
forestieri. Lasciate che chiuda la porta della bottega. Ah, come stride! sfido a trovar qui dentro una
sferra più rugginosa di questi arpionacci o delle ossa più vecchie delle mie.. Ah, ah! Siamo in
armonia del mestiere, capite, siamo bene assortiti. Venite in salotto. Venite in salotto. -
Il salotto era lo spazio difeso dalla tenda di stracci. Il vecchio rattizzò il fuoco con un ferro
rugginoso di ringhiera, e smoccolato che ebbe la lucerna fumosa (perché già era notte) col cannello
della pipa, si pose questo di nuovo fra le labbra.

Le avventure di Nicholas Nickleby

Le pensioni di Golden Square son molto musicali, e le note dei pianoforti e delle arpe fluttuano nell'aria vespertina intorno alla testa della lugubre statua che è il genio tutelare d'una piccola landa di cespugli nel centro della piazzetta. Le sere d'estate, le finestre si spalancano, e i passanti veggon dei gruppi di uomini bruni e baffuti appoggiati ai davanzali e occupati a fumare come camini. Suoni di rudi voci che si esercitano nella musica vocale invadono il silenzio della sera, e i fumi del tabacco più scelto profumano l'aria di tabacco in cenere; e sigari, pipe tedesche e flauti, violini e violoncelli si dividono la supremazia. È quella la regione del canto e del fumo. Le bande musicali si sforzano di dare le loro migliori prove in Golden Square, e i cantanti girovaghi tremano involontariamente levando la loro voce nell'ambito di quei confini.

(http://rlv.zcache.com/charles_dickens_a_quiet_pipe_at_the_cantebury_poster-re00e3f83cc264f2caa90eb9a7eba02f0_a8ef_400.jpg)


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 20 Agosto 2012, 16:38:27
Charles Dickens

La Bottega dell'Antiquario

Con questo oggetto, il signor Quilp si accampò nel salotto in fondo, dopo aver messo, con la
chiusura del negozio, un punto fermo a qualunque altro affare. Avendo cercato, fra i vecchi mobili,
la poltrona più comoda e più bella che fosse possibile trovare (e riservare per suo uso particolare) e
una specialmente incomoda e brutta (che per partito preso assegnò all'insediamento dell'assistente
suo amico), le fece trasportare tutte e due nel salotto, stabilendovisi in pompa magna. Il luogo era
molto lontano dalla camera del vecchio, ma il signor Quilp stimò prudente, per precauzione contro
l'infezione della febbre, e per l'adozione d'un salutare suffumigio, non solo di fumare lui, in
continuazione, ma d'insistere con l'amico perchè facesse la stessa cosa. Inoltre, mandò un espresso
al molo per il ragazzo acrobata, il quale, arrivato a tutta velocità, ebbe l'ingiunzione di gettarsi in
un'altra poltrona messa accanto all'uscio, e di fumare senza sosta in una gran pipa provvedutagli dal
nano, e di non togliersela dalle labbra per qualunque motivo, neppure per un minuto, altrimenti
guai!

Quilp guardò il suo consigliere legale, e vedendolo agitare continuamente le palpebre nel
tormento che gli dava la pipa, a volte rabbrividire aspirandone in pieno la fragranza e sempre
scacciarsi d'attorno il fumo, si sentì più contento d'una pasqua, e si fregò le mani deliziato.
— Continua a fumare, animale — disse Quilp, volgendosi al ragazzo; — riempiti di nuovo
la pipa e tira rapidamente, fino all'ultima boccata, se non vuoi che ti arroventi la punta della
cannuccia e te la metta così sulla lingua.
Fortunatamente il ragazzo era ben temprato, e si sarebbe fumato una fornace di calce se
qualcuno gliel'avesse data. Per la qual ragione, egli mormorò soltanto una breve sfida al padrone e
fece come gli veniva ordinato.
— Magnifico, Bronzi, squisito, fragrante! Non ti senti come il Sultano? — disse Quilp.
Il signor Bronzi pensò che se egli si sentiva come il Sultano, le condizioni di costui non
dovessero essere per nulla affatto invidiabili; ma affermò che il tabacco era straordinario, e che a lui
pareva di trovarsi nella pelle di quel potentato.
— Questa è la maniera di tener lontana la febbre — disse Quilp; — Questa è la maniera di
evitare ogni calamità nella vita. Non cesseremo mai, per tutto il tempo che staremo qui... Fuma,
animale, o ti farò inghiottire la pipa!

Grandi Speranze

Sono un gran mangiatore, disse a mo' di scusa garbata alla fine del
pasto, da sempre. Se di costituzione ero meno vorace, ce n'avevo di meno, di
guai. E neanche del fumo posso fare a meno. Quando facevo il pastore laggiù
dall'altra parte del mondo, son sicuro che ci diventavo anch'io una pecora
mezza matta se non avevo da fumare.
Così dicendo si alzò da tavola, infilò la mano nel giaccone che aveva
addosso, ne tirò fuori una corta pipa nera e una manciata di tabacco sfuso del
tipo chiamato Testa di moro. Dopo essersi riempito la pipa, rimise a posto il
tabacco avanzato, come se la sua tasca fosse stata un cassetto. Prese con le
molle un carbone ardente e vi si accese la pipa, poi voltò le spalle al fuoco
e dal tappeto steso davanti al camino, fece il suo gesto favorito di tendere
entrambe le mani verso le mie.
E questo, disse, muovendomele su e giù mentre tirava boccate di fumo
dalla pipa, e questo è il signore che ho fatto io! Un vero e proprio signore!
Mi fa un gran bene guardarti, Pip. Non chiedo altro che stare a guardarti,
ragazzo mio!

(http://www.visitfai.it/dimore/villadellaportabozzolo/img/sezioni/1_musei3.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 01 Settembre 2012, 11:04:35
Frammenti di atmosfere fumose..




SHAUN HUTSON
MASSACRO INFERNALE


Attraverso le finestre dell'ufficio di Mayfair si facevano strada vividi raggi di sole, in cui galleggiavano granelli di polvere come se fossero magnetizzati.
La luce del sole brillava sul lucido ripiano della scrivania di Jeffrey Donaldson. Lui stava appoggiato allo schienale della poltrona girevole e fumava soddisfatto la pipa. Il fumo saliva in piccole nuvole e si dissipava in alto sopra la sua testa, vorticando attorno all'enorme lampadario di cristallo appeso al centro del soffitto.
Mentre si muoveva avanti e indietro, la poltrona faceva poco rumore. In realtà tutta la stanza sembrava silenziosa in modo innaturale; anche i passi dell'altro uomo che vi si trovava erano soffocati dallo spesso tappeto.
Tom Westley attraversò l'ufficio e depose un bicchiere di cristallo vicino a Donaldson, che alzò lo sguardo dal dossier che stava consultando e ne esaminò il contenuto.
«È un po' presto per questa roba, non ti sembra, Tom?» osservò sorridendo.


Heinrich Mann
L’angelo azzurro


La musica era ripresa; i suoi vicini le andavano dietro cantando. Unrat si pulì gli occhiali e cercò di orizzontarsi. Tra il fumo denso delle pipe, i vapori dei corpi e dei bicchieri di grog vide un numero infinito di teste, tutte possedute dalla stessa torpida beatitudine, che oscillavano qua e là come voleva la musica. Capelli e visi erano rosso fuoco, gialli, bruni, color mattone; quei cervelli che ondeggiavano ricacciati dalla musica nel mondo dell’istinto occupavano tutta la sala come un gran campo di tulipani variopinti mossi dal vento, che nel fondo s’ingolfava tra i fumi. Laggiù, tra il fumo, si distingueva solo una cosa scintillante, un oggetto vivacissimo, qualcosa chiara illuminata a giorno da un riflettore, e spalancava una gran bocca nera. Quella creatura cantava, le parole però erano soffocate dal pianoforte e dalle voci del pubblico.



CORNELL WOOLRICH
APPUNTAMENTI IN NERO


Vi siete imbarcati a San Francisco.
— Esatto.
— La vostra destinazione?
— Prima Yokohama. E poi...
I due ufficiali guardavano attentamente la donna che, al suo tavolo da toilette, continuava indifferente a curarsi le unghie con meticolosa precisione.
— Sigarette? — chiese Allen allungando una scatola.
Martine si voltò subito sorridendo. — Joe! Mai offrire una sigaretta a un fumatore di pipa! È tempo sprecato, vero? — E volse lo sguardo nella direzione di dove era venuta la voce più profonda.
Allen esclamò: — Come fai a sapere che fuma la pipa? Non potevo immaginarlo!
— Ma se ne ha una che gli spunta dal taschino della giacca!
Vi fu una pausa. L'agente si guardò il taschino e sorrise.
— Infatti — disse. — Fumo solo la pipa.



 LA NOTTE HA MILLE OCCHI


Era seduto davanti a un tavolo, in piena luce, e armeggiava con i vari pezzi di una pipa smontata sparsi su un giornale. Stava pulendo il cannello con uno strofinaccio, e vidi che di tanto in tanto lo asciugava passandoselo sulla gamba dei pantaloni.
Fu così che ci apparve la prima volta.
Era come se si fosse alzato il sipario su un palcoscenico dopo grandi squilli di tromba e giochi di luce solo per rivelare... nulla. Una scena vuota, dove un macchinista trascurato da tutti batteva un chiodo su un'asse qualsiasi.
Dopo una preparazione così estenuante, il dramma si era sgonfiato subito.
Lui alzò lo sguardo verso di noi per un attimo. L'attimo successivo era già tornato a occuparsi della pipa.
«Jerry, io... io vorrei farti conoscere due amici miei» balbettò Eileen.
Lui non rispose, continuando sempre ad armeggiare col cannello della pipa.
«Il signor Reid e sua figlia...»
Lui guardò Eileen, non noi.
«È la famiglia presso cui lavoravi, no?»
Lei terminò le presentazioni in tono quasi disperato. «Il signor Tompkins, un nostro vecchio conoscente.»
Qualcuno doveva pur dire qualcosa. Mi decisi. «Possiamo sederci?»
Lui prese tempo. Prima ci guardò, poi rivolse di nuovo la sua attenzione al cannello della pipa. «Accomodatevi» disse alla fine, quasi a malincuore.
«Mi... mi pare di aver sentito la mamma chiamarmi» disse Eileen. «Meglio che scenda a vedere cosa vuole. Torno subito.» Sparì all'istante.
Noi restammo soli con lui. Io stavo per aprire bocca, ma vidi lo sguardo di mio padre e mi bloccai subito. Voleva che fosse Tompkins a parlare per primo. Eravamo in casa sua, dopotutto. Ecco perché cercava di sfruttare questo tenue vantaggio psicologico. Per quello che valeva, naturalmente.
Per alcuni minuti, ci fu un pesante silenzio. Tompkins, intanto, ebbe
tempo di rimontare la pipa. Quando parlò, lo fece senza alzare la voce, ma con una ruvidezza quasi sconcertante.
«Avete finito di guardarmi?»
Io mi sentii mozzare il respiro. «Non avevo intenzione di guardarla.»
«Siete venuti qui in spirito d'amicizia o per soddisfare la vostra curiosità? Se fossi per caso zoppo o monco, mi fissereste in quel modo?»
«Chiedo scusa se le è parso che la fissassimo» disse mio padre con molta dignità.
«Siamo venuti qui per ringraziarla...» mormorai premurosamente.
Lui continuò, rivolgendosi a mio padre: «Lei è venuto qui per prendersi gioco di me. Voleva smascherarmi per offrire uno spettacolo istruttivo a sua figlia e impedirle di riflettere troppo su quanto è accaduto.»
«Le assicuro che mio padre non ha mai...» cominciai amaramente.
«Non lo ha detto a lei, forse. Ma lo pensa.»
Mio padre arrossì violentemente. Era quella la risposta alle accuse di Tompkins.
Quest'ultimo gli si avvicinò, guardandolo duramente. «Lei crede di potermi sottoporre a un piccolo test, vero? Bene, io rifiuto il suo esame. Non intendo competere in astuzia con lei. Non sono sotto processo.» 
Noi non facemmo commenti.
All'improvviso, lui batté un pugno sul tavolo con rabbia incontenibile. Le labbra gli sbiancarono e le mascelle divennero rigide per la tensione.
«Ma lei è un uomo molto più intelligente di quel tipo» dichiarò con amarezza. «E ha manovrato l'intera faccenda con una perizia tale che mi ha praticamente costretto a raccontare l'unica cosa che non volevo dirle.»
Lanciai uno sguardo furtivo in direzione di mio padre, sinceramente sorpresa, e notai le minuscole rughe agli angoli della bocca che conoscevo ormai da un pezzo. Anche quella era una risposta.
«Non l'ho affatto costretta» ribatté gentilmente lui.
«Be', le conviene approfittarne, già che c'è. Vada da tutti i suoi amici e dica loro che vengano qui a fare la coda e ad avvelenarmi l'esistenza. Tanto, non è più una novità per me.» La sua angoscia e la sua emozione sembravano sincere. Stava cercando di accendersi la pipa, ma la sua mano tremava talmente nell'operazione che faticò non poco a condurla a buon fine.
«Ora potete pure andarvene, se non vi dispiace» riprese dopo un po' con voce stanca. «Avete visto il vostro fenomeno da baraccone e soddisfatto la vostra curiosità. Non c'è più niente che vi trattenga, no?»
Mio padre si alzò di scatto, come se quell'insulto velato lo avesse preso alla sprovvista costringendolo a balzare meccanicamente dalla sedia. Poi fece qualche passo un po' di lato e si piazzò per un momento vicino a un cassettone traballante, immerso in qualche profonda meditazione. Dava le spalle al padrone di casa e io lo vedevo sfiorare un barattolo di tabacco e
altri oggetti, come se pensasse a cosa doveva dire.
Alla fine, si voltò. «Mi dispiace se siamo stati importuni» disse dolcemente. «Noi non siamo venuti qui per sottoporla a un test, e tantomeno per prenderla in giro. Siamo venuti qui per mostrarle tutto il nostro apprezzamento e porgerle i nostri più sinceri ringraziamenti.»
«Non è necessario» disse Tompkins, sempre più accigliato. «Non ho fatto nulla.» Fumava la pipa e teneva lo sguardo basso, lontano da noi due.
«Noi invece pensiamo di sì» disse mio padre. «Quanto a dirlo ai nostri amici, posso assicurarle che non ne faremo parola con nessuno, se è questo che desidera. E so di poter parlare anche a nome di mia figlia.»
Poi lui si avvicinò a Tompkins e gli tese la mano.
«Se c'è qualcosa che posso fare per lei... Se posso essere d'aiuto in qualsiasi modo...»
«In nessun modo» replicò testardamente Tompkins. «Io non voglio niente da nessuno. Non chiedo nulla, solo di essere lasciato in pace.»
Mi domandai se, alla fine, avrebbe stretto la mano che gli veniva tesa. Lo fece, in effetti, ma con aria burbera, contrariata, ritraendo subito la mano.
Per un attimo, mentre guardavo la scena, mi capitò di pensare che lui, a prescindere dai poteri che aveva o non aveva, fosse per natura un povero di spirito, un tipo sordido e meschino. Lo aveva rivelato proprio in quel banale episodio. Meglio che non avesse accettato affatto quella mano, invece che stringerla in un modo così poco amichevole. Non era altro che un miserabile campagnolo, un povero disadattato che era stato costretto a portarsi sulle spalle per tutta la vita un fardello che era troppo pesante per lui.
Vidi che guardava la mano di mio padre per un istante, prima di lasciarla andare, e io mi ricordai delle parole che lui aveva detto una volta alla madre di Eileen quando era un ragazzo. Erano ancora fresche nella mia memoria: "Tutte le volte che noi pensiamo a qualcosa, nella nostra mente si crea un'immagine ben precisa dell'oggetto delle nostre fantasticherie".
«Non abbiamo niente in comune, lei e io» disse Tompkins in tono caustico. «Non sono stato io a chiederle di venire qui, non lo dimentichi. Ma ora che è venuto, la prego solo di non tornare. Qualche giorno finirà per crearmi un sacco di guai, se non mi lascia in pace. Ora se ne vada. Torni alla sua vita di sempre e lasci me alla mia. Se ne torni nella sua bella casa, sempre piena di ospiti che portano orologi con brillanti persino alle ginocchia. Se ne torni dai suoi agenti di cambio e pensi ai suoi acquisti azionari. E cerchi di non investire nessuna ragazzina mentre si dirige verso casa...»
«Andiamo, Jean» disse rapidamente mio padre, aprendo la porta per farmi passare.
Lo vidi voltarsi e scoccare un'occhiata a Tompkins, prima di chiuderla. Non riuscii a vedere cosa ci fosse in quello sguardo, perché la sua faccia era girata, ma dal modo rigido in cui teneva la testa capii che era molto seccato per la scortesia gratuita mostrata dal padrone di casa.
Anch'io feci in tempo a lanciare un'ultima occhiata all'uomo che eravamo venuti a vedere prima che la porta si chiudesse definitivamente. Se ne stava seduto davanti al tavolo con la pipa in bocca, la testa leggermente china in avanti .

(http://i40.tinypic.com/8znp1u.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 21 Dicembre 2012, 20:23:18


BOB SHAW 1931  1996
Nato e cresciuto a Belfast, nell'Irlanda del Nord, negli anni settanta si trasferì in Inghilterra con moglie e figli a causa dell'instabilità della situazione politica.
Laureato in ingegneria meccanica, lavorò anche come giornalista prima di dedicarsi interamente alla letteratura

Fire Pattern

PROLOGO
«Quando poi riuscirai a prendere fuoco» disse Maeve Starzynski «non venire a lamentarti da me.»
«Molto divertente» commentò suo padre spazzando via dal cardigan diversi minuzzoli di tabacco ardente. Stava fumando la sua più vecchia pipa di radica, che aveva il cannello avvolto in nastro isolante verde, quando era stato colpito da un accesso di tosse.
«Non avevo intenzione di essere divertente. Fumare è un'abitudine di-sgustosa. I dottori sono tutti d'accordo nel dire che è dannoso alla salute.»
«Parlano di sigarette. La pipa è diversa» Art Starzynski sorrise in quel modo particolare di quando era arrabbiato, e abbassò le palpebre per iso-larsi dalle opposizioni al suo punto di vista. «La pipa fa bene. Gli uomini che la fumano sono più longevi degli altri.»
«Sì, perché avvelenano chi gli sta vicino.»
Gli occhi di suo padre erano quasi chiusi. La faccia del Buddha. «Caffè» disse con voce accattivante. «Buono e bollente, buono e appena fatto e che non sia caffè istantaneo.»
«Oh, vorrei che morissi bruciato!» sbottò Maeve dominando l'esaspera-zione mentre si avviava verso la cucina sul retro della casa.
Suo padre aveva solo sessant'anni, ma aveva preso le abitudini e le esi-genze di un uomo anziano, dando l'impressione di approfittare della malattia che lo aveva colpito un mese prima.
Maeve cercò di fare il minimo rumore possibile mentre preparava il caffè e disponeva due tazze -sbatacchiare le stoviglie era un modo troppo ovvio per rivelare il proprio risentimento - e mentre l'acqua cominciava a bol-lire andò alla finestra e aspirò una profonda boccata d'aria per rilassarsi. Il dottor Pitman le aveva dichiarato che l'esito delle radiografie era stato ina-spettatamente buono. A quanto sembrava i dolori addominali che accusava suo padre erano dovuti solo a una colica. Fra un paio di giorni i medici sa-rebbero stati più precisi in merito, gli avrebbero ordinato la terapia del caso e lei avrebbe potuto riprendere il suo lavoro e la sua vita normale.
Smettila di pensare a questo si ammonì. Sii positiva!
Mentre aspettava che il caffè terminasse di filtrare, cominciò a sentire un odore dolciastro di bruciato che stava pervadendo la cucina e pensò che suo padre stesse provando, com'era sua abitudine, qualche nuova marca di tabacco esotico. Versò il caffè e dispose le due tazze su un vassoio per portarlo in soggiorno. L'odore si accentuò mentre attraversava l'ingresso e Maeve notò alcune volute azzurrine nell'aria, primo indizio che stava suc-cedendo qualcosa di insolito.
«Papà?» Aprì la porta del soggiorno e trattenne il fiato, scioccata nel vedere che era pieno di fumo azzurrino. Lasciando cadere il vassoio, corse nella stanza aspettandosi di vedere che una poltrona aveva preso fuoco. Aveva sentito dire che i mobili moderni possono incendiarsi con facilità e sapeva come fosse d'importanza vitale evitare che si respirasse troppo a lungo il fumo.
Ma non si vedevano fiamme e nemmeno suo padre era visibile.
Era difficile distinguere qualcosa in mezzo a quelle strane volute di fu-mo azzurro, ma Maeve ebbe l'impressione che vicino al televisore ci fosse una chiazza scura. Si avvicinò, respirando a fatica quell'aria fumosa e per-vasa da un odore dolce e disgustoso, e si portò le mani alla bocca quando vide che quello che aveva scambiato per una chiazza scura era in realtà un buco che metteva a nudo il tavolato del pavimento sotto la copertura di vi-nile. La superficie del tavolato era annerita e ricurva, ma non c'erano fiamme. Nella cavità, sostenuta dalle travi del soffitto della cantina sotto-stante, c'era un mucchio di fine cenere grigia.
Papà?
Maeve si guardò intorno incerta, spaventata, e aggiunse con voce appena percettibile: «Papà, cos'hai?...»
In quella le scivolò il piede su un oggetto. Lo guardò - ancora inconsa-pevole, non ancora in preda al panico - e quando vide cos'era cominciò a urlare.
L'oggetto, facilmente riconoscibile dall'anello a sigillo, era la mano sinistra di suo padre.
(http://digiphotostatic.libero.it/sonottunfuoco/med/3bf7b1ca2a_5980626_med.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Giala - 24 Dicembre 2012, 10:47:35
Se c'è già sarò perdonato.



Giuseppe Ungaretti

NATALE

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

Napoli, il 26 dicembre 1916


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 24 Dicembre 2012, 21:53:30
Aqualong e Giala, ben fatto, gran belle letture, e un piacere leggere.....
Poi, Ungaretti. ..Fantastico.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Aqualong - 26 Dicembre 2012, 23:54:30
Ho gia detto chi era,in un precedente post,ma ho trovato una sua foto giovanile dove ostenta una lovat bellissima
Il tutto assieme due delle sue pipe aliene e come sempre bucoliche. 8)

Clifford Simak

Infinito

Amos Hicklin raccolse un altro ceppo, e lo buttò nel fuoco. Il fuoco era un fuoco da boscaiolo, un falò circoscritto e allegro.
La cena era finita, e la padella e la caffettiera erano già state lavate sulla riva del fiume inargentato dalla luna, con una manciata di sabbia per sostituire il detersivo. E adesso era il momento, con il cadere dell'oscurità, era il momento in cui un uomo dei boschi doveva appoggiarsi a un tronco d'albero, e fumare la pipa come la si doveva fumare, lentamente, pacificamente, prendendo tempo per riflettere.
Da un lontano angolo del bosco un animale solitario fece udire la sua canzone della sera, un richiamo lamentoso e interrogativo, che pareva venire da un altro mondo. Nel fiume, un pesce fece udire un vigoroso tonfo, uscendo per un istante dall'acqua per inghiottire un insetto che aveva volato troppo vicino alla superficie del fiume. Hicklin allungò la mano verso la catasta di legna da ardere, prese due ceppi e li gettò nel fuoco. Poi si appoggiò al tronco d'albero ed estrasse dalla tasca della camicia la pipa e la borsa del tabacco.
Era bello, pensò... era giugno e il tempo era buono, la luna splendeva sul fiume, un vecchio uccello cantava nel bosco, e le mosche non davano troppo fastidio.
E domani, forse...
Il tabacco era finito, e la pipa gorgogliava. Se la tolse di bocca, e la batté contro un sasso, per farne uscire la cenere.
Il mattino dopo avrebbe trovato dei pesci, appesi alle lenze che aveva lasciato nell'acqua, e gli restava ancora un sacco di farina, e aveva delle altre provviste. Si alzò in piedi, e si avvicinò alla canoa, per prendere il sacco a pelo.

Oltre L'Invisibile

Sutton lasciò il marciapiede della stazione e prese un viottolo
appena tracciato che portava al fiume. Scendeva badando a
dove metteva i piedi, perché il sentiero era sdrucciolevole e
cosparso di pietre che rotolavano sotto i piedi.
Alla fine del viottolo s'imbattè nel vecchio.
Stava seduto su un grosso sasso mezzo affondato nella
melma, tenendo tra le ginocchia una canna da pesca. Una
vecchia pipa spuntava da due mustacchi grigiastri e una
bottiglia che aveva per tappo mezza pannocchia era posata lì accanto, a
portata di mano.
Cautamente, Sutton si mise a sedere, sulla malagevole
sponda vicino al vecchio, piacevolmente sorpreso dalla frescura
che si godeva in quel posto, doppiamente benvenuta dopo il
sole feroce che picchiava spietato sul villaggio pochi metri più
in alto.
— Preso niente? — chiese, rivolgendosi al pescatore.
— No — rispose il vecchio.
Tirò dalla pipa un paio di boccate, e Sutton restò a osservarlo
affascinato. Avrebbe giurato che i mustacchi stessero per
prendere fuoco.
— E neanche ieri ho preso niente — aggiunse il vecchio. Si
tolse la pipa di bocca con un gesto meditato e sputò netto nel
centro di un gorgo. — E neanche l'altro ieri ho preso niente.
— Ma volete prendere qualcosa, vero? — disse Sutton.
— No. — Il vecchio afferrò la bottiglia, estrasse il tappo e
pulì accuratamente il collo del recipiente con la mano sudicia.
— Prendete un sorso — disse gentilmente.
Sutton, reprimendo l'istinto di rifiutare, accettò il sorso
nonostante la mano sudicia. Alzò la bottiglia alle labbra e
bevve.
Il liquido gli gorgogliò in gola: sembrava fuoco misto a bile,
con in più una goccia di zolfo. Depose la bottiglia e rimase a
bocca aperta, affinché l'aria fresca entrasse a rinfrescargli e a
deodorargli le mucose.
A sua volta il vecchio bevve una lunga sorsata e, dopo essersi
pulito la bocca con il dorso della mano, tirò un grosso sospiro
di soddisfazione. Posò di nuovo la bottiglia vicino a sé e rimise
a posto la pannocchiatappo.
— Siete forestiero, vero? — disse. — Non mi ricordo di
avervi mai visto in giro, da queste parti. Siete in vacanza
perché domani è il quattro luglio, no?
Sull'acqua passò una cavalletta su una foglia galleggiante.
L'insetto cercò di spiccare un salto fino a riva, ma saltò troppo
corto. La corrente l'afferrò e lo trasportò lontano in un attimo.
— È il fiume più birbante di tutti gli Stati Uniti, questo
Wisconsin — disse il vecchio. — Non ci si può fidare. Molti
anni fa hanno tentato di farci navigare i piroscafi, ma è stato un
fiasco: dove oggi c'è un canale, domani c'è un banco di sabbia.
La corrente trasporta una quantità spaventosa di sabbia, sapete?
Da molto lontano venne il rumore di un treno che
sferragliava, sbuffando, sul ponte metallico gettato sopra il
fiume: un lungo treno merci che risaliva faticosamente la
vallata. Dopo che il convoglio ebbe passato il fiume, Sutton
sentì ancora a lungo il suo ansimare.
— Il destino — disse il vecchio — non è stato propizio per
quella cavalletta, vi pare?
Sutton trasalì. — Che cos'avete detto?
— Non ci badate — gli rispose il vecchio. — Borbotto tra
me.
— Ma il destino... avete detto qualcosa del destino.
— Vi interessa, eh? Ho scritto un romanzo sul destino, una
volta. Quand'ero giovane passavo il tempo scrivendo.
Sutton tentò di rilassare i propri nervi e si distese supino.
Presso la sponda, un po' più a valle, un piccolo pesce spiccò un
salto fuori dell'acqua e scomparve, lasciando un cerchio di
piccole onde concentriche.
— Avete l'aria di uno a cui non importa gran che di tirar su
qualcosa — disse Sutton.
— Preferisco di no — disse il vecchio. — Quando prendete
qualcosa dovete tirar su l'amo. Poi infilare un'altra esca e
tornare a gettare l'amo nell'acqua. Quindi dovete mettervi a
pulire il pesce. Una cosa orribile. — Si tolse la pipa di bocca e
sputò nel fiume: — Avete mai letto Thoreau, giovanotto?
Sutton fece segno di no. Tutto ciò che riusciva vagamente a
ricordare era un frammento in un testo di letteratura antica,
durante gli anni dell'università.
— Peccato — continuò il vecchio. — Dovreste leggerlo.
Thoreau vedeva giusto.
Sutton si alzò, spazzolandosi la polvere dai calzoni.
— Potete restare — disse il vecchio. — Non mi date nessun
fastidio, davvero.
— Devo continuare per la mia strada — disse Sutton.
— Passate a trovarmi un'altra volta. Faremo quattro
chiacchiere.
— Lo farò senz'altro — disse gentilmente Sutton.
— Lo gradireste un altro sorso, prima di riprendere il
cammino?
— No, grazie — rispose Sutton indietreggiando. — Davvero,
no.
— Come volete — fece il vecchio. Afferrò la bottiglia e
ingollò un'altra lunga sorsata gorgogliante.






(http://3.bp.blogspot.com/-KtlMUOODXB8/UJrCbtg4jKI/AAAAAAAAC5Y/k9Fw0FISfZk/s1600/simak.jpg)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Giala - 19 Gennaio 2013, 14:58:03
Lo steddazzu

L’uomo solo si leva che il mare è ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov’è il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest’è l’ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti
pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquìo.
L’uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarà come il fuoco, avvampante.

Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
che l’inutilità. Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall’alba.
Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
a cui l’uomo, per fare qualcosa, si scalda;
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov’è un letto di neve. La lentezza dell’ora
è spietata, per chi non aspetta più nulla.

Val la pena che il sole si levi dal mare
e la lunga giornata cominci? Domani
tornerà l’alba tiepida con la diafana luce
e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l’ultima stella si spegne nel cielo,
l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende.

Cesare Pavese (inverno 1935 – 36, mentre era al confino in Calabria)


Questa mattina mi sono svegliato con in testa alcuni versi di questa poesia che non leggevo da tantissimo tempo e mi ero completamente dimenticato di un particolare importante...
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Giala - 20 Gennaio 2013, 12:43:51
Sooft ich meine Tabakspfeife

Sooft ich meine Tabakspfeife,
Mit gutem Knaster angefüllt,
Zur Lust und Zeitvertreib ergreife,
So gibt sie mir ein Trauerbild -
Und füget diese Lehre bei,
Dass ich derselben ähnlich sei.

Die Pfeife stammt von Ton und Erde,
Auch ich bin gleichfalls draus gemacht.
Auch ich muss einst zur Erde werden -
Sie fällt und bricht, eh ihr's gedacht,
Mir oftmals in der Hand entzwei,
Mein Schicksal ist auch einerlei.

Die Pfeife pflegt man nicht zu färben,
Sie bleibet weiß. Also der Schluss,
Dass ich auch dermaleinst im Sterben
Dem Leibe nach erblassen muss.
Im Grabe wird der Körper auch
So schwarz wie sie nach langem Brauch.

Wenn nun die Pfeife angezündet,
So sieht man, wie im Augenblick
Der Rauch in freier Luft verschwindet,
Nichts als die Asche bleibt zurück.
So wird des Menschen Ruhm verzehrt
Und dessen Leib in Staub verkehrt.

Wie oft geschieht's nicht bei dem Rauchen,
Dass, wenn der Stopfer nicht zur Hand,
Man pflegt den Finger zu gebrauchen.
Dann denk ich, wenn ich mich verbrannt:
O, macht die Kohle solche Pein,
Wie heiß mag erst die Hölle sein?

Ich kann bei so gestalten Sachen
Mir bei dem Toback jederzeit
Erbauliche Gedanken machen.
Drum schmauch ich voll Zufriedenheit
Zu Land, zu Wasser und zu Haus
Mein Pfeifchen stets in Andacht aus.



Edifying Thoughts of a Tobacco Smoker

Whene’re I take my pipe and stuff it
And smoke to pass the time away,
My thoughts as I sit there and puff it,
Dwell on a picture sad and grey:
It teaches me that very like
Am I myself unto my pipe.
Like me, this pipe so fragrant burning
Is made of naught but earth and clay;
To earth I too shall be returning.
It falls and, ere I’d think to say,
It breaks in two before my eyes;
In store for me a like fate lies.
No stain the pipe’s hue yet doth darken;
It remains white. Thus do I know
That when to death’s call I must harken
My body too, all pale will grow
To black beneath the sod ’twill turn.
Or when the pipe is fairly glowing,
Behold then, instantaniously,
The smoke off into thin air going,
Till naught but ash is left to see.
Man’s frame likewise away will burn
And unto dust his body turn.
How oft it happens when one’s smoking:
The stopper’s missing from the shelf,
And one goes with one’s finger poking
Into the bowl and burns oneself.
If in the pipe such pain doth dwell,
How hot must be the pains of Hell.
Thus o’er my pipe, in contemplation
Of such things, I can constantly
Indulge in fruitful meditation
And so, puffing contentedly,
On land, on sea, at home, abroad,
I smoke my pipe and worship God.

Johann Sebastian Bach (Eisenach, 31 marzo 1685 secondo il calendario gregoriano, 21 marzo 1685 secondo quello giuliano – Lipsia, 28 luglio 1750)


Musica 1.
http://www.youtube.com/watch?v=fkgKdVzexsI

Musica 2.
http://www.youtube.com/watch?v=eIWaL8qqiqs


Caporal in Castello natural vergin kk
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 20 Gennaio 2013, 15:14:09
Grandeee Giala  !!!

Cesare Pavese è stato un grande, immenso scrittore, putroppo poco famoso, non almeno quanto meriterebbe ed avrebbe meritato essere.
Specie tra i giovani di oggi, Cesare Pavese è poco conosciuto.....i giovani d'oggi meriterebbero più altre illustri letture che, le varie ameni sfumature di grigio.....anzi sfumature di gigio ;)

Si, Pavese nel 1935 fu in confino in Calabria, in confino perchè all'epoca la Calabria non faceva parte ancora dell' Italia, ci voleva il
passaporto per andarci, l'unità arrivò solo molto molto dopo  ;)

A parte di scherzi, l'altro giorno mi sono bloccato su una frase letta su un libro che, mi fece pensare, Giuseppe Verdi ( 1813-1901 ) da Roncole ( Busseto ) a Milano, doveva viaggiare con il passaporto dato che, Milano era governata dall'Austria e, per attraversare i confini da uno stato all'altro necessitava di passaporto ed, ad ogni viaggio doveva prima farsi convalidare , credo da un prefetto o, chi per lui , il passaporto ecc....ed erano solo pochi chilometri, attualmente sono più o meno cento chilometri che, si fanno un una oretta abbondante.
Questa notizia fa il paio con quella letta quanche giorno prima sul libro di A. Penacchi, Canale Mussolini in cui, si racconta che
per andare da un comune del nord Italia ad un altro comune, mettiamo Milano - Ferrara, occorreva che il prefetto o, chi per lui, dasse
prima il nulla osta, si doveva avere in mano un documento convalidato altrimenti non ci si poteva spostare, ecc.
Ed eravamo in pieno ventennio.
Spostamenti di persone, erano strettamente controllati e, disciplinati. Non si poteva mica spostare con facilità da un posto all'altro
per cercare nuovo impiego di lavoro....occorrevano carte firmate dallo stato ecc.


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: rais - 20 Gennaio 2013, 16:39:46
te possino ...
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 21 Gennaio 2013, 10:46:16
...ma che se fa così, Giala ?
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: coureur-des-bois - 21 Gennaio 2013, 11:26:25
Oggi si può viaggiare a piacimento, mentre devi dare giustificazioni per spendere il tuo denaro.
Bernardo
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Giala - 21 Gennaio 2013, 11:29:43

Si, Pavese nel 1935 fu in confino in Calabria, in confino perchè all'epoca la Calabria non faceva parte ancora dell' Italia,

Non ho notizie certe, ma credo che ancora oggi non faccia parte dell'Italia, come il Salento.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: rais - 21 Gennaio 2013, 11:41:01
Sul Salento ci son notizie certe per la Calabria non saprei.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 21 Gennaio 2013, 11:57:07
Le mie notizie non sono di prima mano ma, mi dicono che, entrambe sono già fuori dall' italia causa...fallimentoooo...  ;)


" Oggi si può viaggiare a piacimento, mentre devi dare giustificazioni per spendere il tuo denaro."
 - Bernardo -
A chi,....?  a tu moglie ?  iihh eeehhh aaahhh  ;D
Se scherzaa Bernarduccio caro  :D
E meno male che io non ho moglie ne socera, la metà dei miei amichetti spostati c'ha la paghetta della moglie e la socera che gli fa
da portinaia so tempi duri, so tempi molto durii...
Hai ragionisimissimo Bernardo, oggi in Italia entrano tutti e di tutto, tranne il tabacco ovviamente, guarda caso, è un tutto correre di qui e di là
in modo isterico che non se capisse nagot, solo una cosa non si muove, IL DENARO !!!
Aho...fatelo circolà  ;)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 22 Gennaio 2013, 11:28:24
Aooo.... che state leggendo in sti giorni ?
Io ho finito di leggere l'ultimo di Camilleri e, ho iniziato un simpatico romanzetto di Marco Malvaldi.
Ho un po di libri sul comodino che attendono e, ne ho ordinati due nuovi in libreria....voi che state leggendo ?
Ieri sera o, l'altro ieri, hanno ridato per la seconda volta in un mese Maigret a Pigalle. Me lo sono rivisto....per amor di pipe e tabacco....
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: mificrozet - 22 Gennaio 2013, 13:15:55
Maigret a Pigalle è pallido (nonostante sia l'unico girato a colori), è stato un tentativo, fallimentare, di portare sul grande schermo il successo del Maigret Televisivo, che aveva un taglio teatrale, quindi completamente diverso, persa l'ambientazione familiare quel Maigret a Pigalle sembra fare il paio con "Una Testa in Gioco", unico romanzo di Maigret che Simenon scrisse espressamente per la trasposizione cinematografica e del quale ebbe sempre a pentirsi poiché tradiva lo spirito di Maigret.

Dagli scrittori italiani mi sono disintossicato da molto tempo, incapaci di suscitare emozioni, solamente narcisi intenti a leggersi e rileggersi beandosi delle idiozie che scrivono, l'ultimo libro italiano che ho letto è stato Quattro Gocce di Acqua Piovana, di Valpreda.

L'ultimo libro che ho letto è stato L'Ombra del Vento di Carlos Ruiz Zafón.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 22 Gennaio 2013, 14:24:15
Oooo si si Pietro Valpreda, quattro goccie di acqua piovana, l'ho letto è carino.
Ho letto tutti i romanzi di Pietro Valpreda e, Piero Colaprico. Memorabili. Adesso che la copia si è persa, causa la morte di uno dei due, siamo
un po tutti orfani di questa felice coppia giallista. Iniziai a leggerli poichè ambientavano le vicende a Milano, ed essendo io di Milano avevo
piacere che si raccontasse di vicende Milanesi, si luoghi e sensazioni o stati d'animo tipici delle mie parti...
Carlos Zafòn l'ho letto pure io, tempo fa, con il suo più famoso romanzo " L'ombra del Vento ".
Storia carina, ben costruita, libro avvincente, ma in questi romanzi esteri commerciali trovo sempre una forma lessicale tropo primitiva, banale, per noi italiani abituati ad una lingua più complessa ma, assai bella....forse però complice c'è la difficoltà di tradurre in Italiano, e rendere giustizia all'autore.
Molto abile, credo sia tra gli scrittori Iberici come Zafon, Montalban.
Chi ama il giallo non può non provare a leggere Montalban, così tanto amato da Camilleri che, decise di scippare il nome e donarlo al suo
noto commissario Montalbano. Montalban pur essendo solo un autore squisitamente di romanzi gialli ha in se la peculiarità di, toccare
campi sociali-politici e, far riflettere ma, soprattutto, scirve bene, non usa un lessico banale, non gioca a fare frasi semplici ma, di buon livello letterario, scrive gialli che non sono già più gialli ma, letteratura vera.
Altro autore Ispanico sudamericano Argentino che merita di leggere, lo consiglio è....Bolano, da noi poco noto, in Argentina molto noto.
Consiglio la letteratura ispanica poichè, il linguaggio letteraio è assai dimile al nostro Italiano, e forse conserva note più aracaiche una capacità stilistica narrativa e lessicale più, classica ed antica.
A me piace molto leggere gialli, polizieschi, noire, thriller, ecc....mi dedico molto a questi generi, contemporanei e, non contemporanei, ho una
vasta libreria a casa ricca di autori sul genere, di Camilleri ho per esempio tutto, Simenon ho moltissimo e non solo di gialli, ho autori Italiani
che riguardano i primi gialli storici italiani, anni 30 ecc.
Preferisco la letteratura Italiana, romanzi Italiani.
Forse perchè amo la scrittura la forma letteraria italina più che quella estera, spesso mal tradotta o, poco adatta a traduzioni in italiano.
Trovo per esempio che tradurre romanzi dall' Inglese se pur sia facile non renda bene allo stile letterario.....difficilmente trovo un romanzo
inglese, americano, bello a titolo puramente letteraio.
Non leggo solo ovviamente gialli.
Questi sono la mai passione, ma leggo in realtà di tutto. Non amo però il fantasy che lessi solo verso i 14 anni poi....zero.
Evito i generi femminili rosa e, similari....non considero per nulla i generi che strizzano l'occhio al fantasy-gotico, horror ecc...ed il commerciale
del genere Dan Brown, meno che meno tutto il genere commerciale americano-inglese ecc....aborro il tipo le sfumature di grigio....ecc
Di autori esteri mi piacciono solo quelli belli di spessore, tipo Cormac Mc Carthy che adoro....fantastico.

In questi giorni mi sto concentrando su cose più leggere e, carine, tutti i romanzi scritti dal nostro italianissimo Malvaldi, toscano verace,
se non lo conoscere beh, provate a leggere uno dei suoi, merita. Non è romanzo di spessore ma vi divertire senza d'ubbio.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: mificrozet - 22 Gennaio 2013, 14:43:09
E' vero Zafon ama spesso scrivere per il solo gusto di far vedere quanto è bravo a scrivere perdendo talvolta lo scopo principale: raccontare una storia. Tuttavia essendo quel romanzo ambientato nella Barcellona Franchista e Gotica l'ho trovato molto ben fatto e soprattutto se si ha avuto modo di visitare, in precedenza, il luoghi della narrazione, se ne ha una visione perfetta.

Leggo prevalentemente autori francesi e non disdegno le letture "per donne", sono l'unico modo per tentare di capirci qualcosa.

 8) 8) 8)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 22 Gennaio 2013, 15:24:38
" Leggo prevalentemente autori francesi e non disdegno le letture "per donne", sono l'unico modo per tentare di capirci qualcosa".

Io ho smesso da tempo di cercare di capir qualcosa sulle donne ed, il loro mondo...

L'ombra del Vento ha una storia avvincente, ben costruita, i luoghi e le atmosfere ben rese.....l'unica pecca a mio avviso, è che si parla
di scrittura commerciale, semplice, poco ricercata, per cui un po monotona, veloce ecc....

Se sei interessato al genere " Franchismo " ti segnalo un libro che a me è piaciuto tantissimo, anche se ad essere franco non è sul Franchismo
ma, imbientato in Portogallo sul di Salazarismo, assai simile al franchismo. Il clima è lo stesso e, i luoghi sono assai simili o, lo paiono.
Autore Tabucchi, titolo  " Sostiene Pereira". Letteratura vera, altro che Zafon, Tabucchi sapeva scrivere molto bene.
Scritto divinamente, in fine è un libricino che si divora in poco tempo, ma una gemma.

Non conosco la letteratura moderna, contemporanea Francese, mia grande pecca, ho letto davvero poco autori francesi e per lo più commerciali, tipo Grangè con tutta la sua seria di thriller, come per esempio il noto " Fiumi di Porpora " da cui tratto il famoso film. Poi ovviamente ho letto tutto ciò che ha scritto Pennac. Ho letto piuttosto quella Inglese, Irlandese, Americana e Sud Americana, di quella Belga solo, la famosa Amelie Nothomb che ti consiglio molto vivamente davvero fantastico il suo "Metafisica dei tubi" ma, mi sto concentrando su quella Italina, ora mi piace riscoprire autori Italiani del passato del 900 meno noti ecc...ma anche i contemporanei,
mi piace la lingua Italina.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: mificrozet - 22 Gennaio 2013, 19:09:54
Di Tabucchi ho letto "La testa perduta di Damasceno Monteiro", non mi è sembrato un capolavoro, anzi, l'ho trovato piuttosto noioso, ridondante, quasi scritto con l'intento di non essere commerciale, il che è non certo una buona idea visto che, al di là di ogni altra considerazione, i libri si scrivono per venderli.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Onofrio del Grillo - 04 Febbraio 2013, 14:07:10
 Giorno per Giorno

"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…"
E il volto già scomparso
ma gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo sparse
per distrarre il suo bimbo...

Ora potrò baciare solo in sogno
le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch’io regga a tanta notte?...

Mi porteranno gli anni
chissà quali altri orrori,
ma ti sentivo accanto,
m’avresti consolato...

Mai, non saprete mai come m’illumina
l’ombra che mi si pone a lato, timida,
quando non spero più...

Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce
che in corsa risuonando per le stanze,
sollevava dai crucci un uomo stanco?...
La terra l’ha disfatta, la protegge
un passato di favola...

Ogni altra voce è un’eco che si spegne
ora che una mi chiama
dalle vette immortali...

In cielo cerco il tuo felice volto,
ed i miei occhi in me null’altro vedano
quando anch’essi vorrà chiudere Iddio...

E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!...

Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo...
Non conta… Ascolto sempre più distinta
quella voce d’anima
che non seppi difendere quaggiù...
M’isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice...

Sono tornato ai colli, ai pini amati
e del ritmo dell’aria il patrio accento
che non riudrò con te,
mi spezza ad ogni soffio...

Passa la rondine e con essa estate,
e anch’io, mi dico, passerò...
Ma resti dell’amore che mi strazia
non solo segno un breve appannamento
se dall’inferno arrivo a qualche quiete...

Sotto la scure il disilluso ramo
cadendo si lamenta appena, meno
che non la foglia al tocco della brezza...
E fu la furia che abbatté la tenera
forma e la premurosa
carità d’una voce mi consuma...

Non più furori reca a me l’estate,
né primavera i suoi presentimenti;
puoi declinare, autunno,
con le tue stolte glorie:
per uno spoglio desiderio, inverno
distende la stagione più clemente!...

Già m’è nelle ossa scesa
l’autunnale secchezza,
ma, protratto dalle ombre,
sopravviene infinito
un demente fulgore:
la tortura segreta del crepuscolo
inabissato...

Rievocherò senza rimorso sempre
un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
dal comune castigo ancora illesa...”

Mi abbatterà meno di non più udire
i gridi vivi della sua purezza
che di sentire quasi estinto in me
il fremito pauroso della colpa?

Agli abbagli che squillano dai vetri
squadra un riflesso alla tovaglia l’ombra,
tornano al lustro labile d’un orcio
gonfie ortensie dall’aiuola, un rondone ebbro,
il grattacielo in vampe delle nuvole,
sull’albero, saltelli d’un bimbetto...

Inesauribile fragore di onde
si dà che giunga allora nella stanza
e alla freschezza inquieta d’una linea
azzurra, ogni parete si dilegua...

Fa dolce e forse qui vicino passi
dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l’aurora e intatto giorno”


Giuseppe Ungaretti
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Onofrio del Grillo - 05 Febbraio 2013, 19:13:17
Fumatori di pipa

Noi,
fumatori di pipa,
siamo
esseri strani.
Appoggiati
al balcone,
in una siciliana
notte d'estate,
siamo anche capaci
di contemplare
le stelle
e
parlare
con loro
...d'amore.


Salvatore Azzaro da Giarratana
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 06 Febbraio 2013, 09:56:28
Bravooo Giala...applauso  :D


ahh Mifricozet scusa il ritardo, mi sono accorto solo adesso che avevi risposto alla mai, scusaa.
Si, hai ragione, Tabucchi ha scritto un mare di libri tediosi, poco commerciali ecc....ma sai, da noi in Italia una certa critica di livello è ancora
legata a quelle dinamiche che vogliono lo scrittore intellettuale tedioso, pedante ecc, in Italia resiste ancor una certa idea che per fare
buona letteratura occorre scrivere drammoni pedanti, il melodramma, il dramma ecc.....lento, retorico, pedante, che si scrive addosso ecc.
Forse perchè noi Italiani siamo proprio scarsi in quanto melodramma, dramma ecc, le nostre qualità svettano nel genere commedia,
la classica commedia all'italiana, le vicende comiche e reali che si tingono nella realtà quotidiana e si alimentano, capaci nel realismo,
anche nel genere giallo ecc, ma il melodramma il drammone ci riesce male, forse per questo è così tanto ricercato dalle critiche lo scrittore che
sa far del buon melodramma, dramma, romanzo tedioso e poco scorrevole, non commerciale.
In ogni modo, se molti libri di Tabucchi sono per lo più pedanti, lenti, noiosetti, questo da me indicato non lo è.
Davvero ti segnalo questo " sostiene Pereira " piccolo romanzo, composto da poche pagine ma, credo sia il suo capolavoro.
Da questo hanno almeno tratto due film famosi, uno dei quali protagonista il famoso nostro Mastroianni ecc....e, credo che tra l'altro,
nonostante i film siano riusciti bene, il libro sia meglio.

Se vuoi leggere un libricino, anche questo non molto lungo, molto piacevole ed originale e che, io trovo bellissimo, è " La Metafisica dei Tubi "
della scrittrice Nothomb, di orgine Belga e che visse a lungo in Giappone.

Ho ritirato ieri dalla libreria due romanzi che avevo ordinato :
Senza lasciare traccia di Harlam Coben, thriller-giallo
Il detective è morto di Bill james, altro giallo...
....Io leggo di tutto ma, ho un debole per la letteratura di questo genere, antica o moderna, pur che sia di qualità, non amo del genere quella
commerciale fine a se stessa, per cui non prendo di tutto, cerco e ricerco.
Per esempio, cercando ho trovato questa estate dei romanzi di De Angelis, riediti da Sellerio, romanzi gialli scritti da questo bravo autore negli
anni 30-40, poi un fascista lo uccise , così, quasi per scherzo, gioco .....e perdemmo un bravo scrittore di genere.
Nel dopo guerra furono girati sceneggiati che, divenirono presto famosi.
Dopo tanti anni Sellerio lo ha riscoperto e, meritatamente ripubblicato, io li ho presi tutti, ....credo.

Ma se ti piace il genere, trovo molto interessanti i tre romanzi scritti da uno scritore contemporaneo Siciliano, Santo Piazzese, prendi sopratutto il primo : I delitti di via Medina-Sidonia, ...davvero bello. Edito da Sellerio.


Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: rais - 06 Febbraio 2013, 10:15:55
robba bella  ;)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Onofrio del Grillo - 06 Febbraio 2013, 17:42:45
 Le Tre Pipe

Un vecchio saggio indiano dava questo consiglio agli irruenti giovani della sua tribù:
"Quando sei veramente adirato con qualcuno che ti ha mortalmente offeso e decidi di ucciderlo per lavare l’onta, prima di partire siediti, carica ben bene di tabacco una pipa e fumala.
Finita la “prima pipa”, ti accorgerai che la morte, tutto sommato, è una punizione troppo grave per la colpa commessa.
Ti verrà in mente, allora, di andare a infliggergli una solenne bastonata.
Prima di impugnare un grosso randello, siediti, carica una “seconda pipa” e fumala fino in fondo.
Alla fine penserai che degli insulti forti e coloriti potrebbero benissimo sostituire le bastonate.
Bene! Quando stai per andare ad insultare chi ti ha offeso, siediti, carica la “terza pipa”, fumala, e quando avrai finito, avrai solo voglia di riconciliarti con quella persona".


Bruno Ferrero

Il Canto del Grillo
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: rais - 06 Febbraio 2013, 19:50:10
Onofrio sei un mito  ;)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 07 Aprile 2017, 16:33:30
Ho finito di leggere "Una spina nel cuore" di Piero Chiara, romanzo nel quale la pipa ha un ruolo centrale, fumata da uno dei personaggi, precisamente il dott. Trigona. Approfitto per dire che questa sezione, amorevolmente coltivata da Enzo Foresti per anni, meriterebbe di essere ulteriormente implementata.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 07 Aprile 2017, 17:39:44
 Da  Auprès de mon arbre

Je suis un pauvr' type
J'aurais plus de joie
J'ai jeté ma pipe
Ma vieill' pipe en bois
Qu'avait fumé sans s' fâcher
Sans jamais m'brûlé la lippe
L'tabac d'la vache enragée
Dans sa bonn' vieill' têt' de pipe
J'ai des pip's d'écume
Ornées de fleurons
De ces pip's qu'on fume
En levant le front
Mais j'retrouv'rai plus ma foi
Dans mon cour ni sur ma lippe
Le goût d'ma vieill' pipe en bois
Sacré nom d'un' pipe !



Sono un poveraccio
Non troverò più nessuna gioia
Ho buttato la mia pipa
La mia vecchia pipa di legno
Che aveva fumato senza arrabbiarsi
Senza mai bruciarmi il labbro
Il tabacco da pochi soldi
Nella sua buona vecchia testa di pipa
Ho delle pipe di schiuma
Ornate di fregi
Di quelle pipe che si fumano
A testa alta
Ma non ritroverò più, davvero
Nel mio cuore né sul mio labbro
Il gusto della mia vecchia pipa in legno,
Sacramento di una pipa!


George Brassens
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 08 Aprile 2017, 09:32:41
Sartre
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 08 Aprile 2017, 09:43:13
https://www.youtube.com/watch?v=aRZBUwZ1L5k
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 08 Aprile 2017, 14:44:06
 Maigret E Il Signor Charles

Il questore l’aveva ricevuto subito, cordiale e sorridente. «Non indovina perché ho voluto vederla?» «Le confesso di no.» «Si sieda. Accenda la sua pipa.» Il questore era giovane, sulla quarantina, e proveniva dalle scuole superiori. Era elegante, forse un po’ troppo. «Lei non ignora che il direttore della Polizia Giudiziaria va in pensione il mese prossimo dopo essere rimasto dodici anni al suo posto… Ho discusso ieri della sua successione col ministro dell’interno e siamo d’accordo nell’offrirle questa nuova responsabilità…» Il questore si aspettava certamente un’espressione di gioia sul viso del suo interlocutore. Maigret, al contrario, era diventato cupo. «É un ordine?» Aveva domandato quasi borbottando. «No, naturalmente. Ma deve rendersi conto che è una promozione importante, la più importante che un funzionario della Polizia Giudiziaria possa sperare…» «Lo so, ma preferirei rimanere a capo della brigata criminale. La prego di non fraintendere la mia risposta. Sono quarantanni che faccio parte della polizia attiva. Sarebbe penoso per me passare le giornate in un ufficio, a studiare pratiche e a occuparmi di questioni più o meno amministrative.» Il questore non nascondeva la sua sorpresa. «Non crede che dovrebbe riservarsi un po’ di tempo per riflettere e darmi la sua risposta tra qualche giorno? Forse potrebbe consultare la signora Maigret.» «Mi capirebbe.» «Anch’io la capisco e non voglio insistere…»
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 08 Aprile 2017, 16:57:10
Segnalo, a chi ne fosse interessato, che la casa editrice
 "Fazi Editore" sta ripubblicando un autore Francese
assai conosciuto in patria e meno qui da
da noi, trattasi di Leo Manet, le prime opere uscite
sono "Le acque torbide di Javel" "Nebbia sul ponte
di Tolbac" , genere giallo noire francese, autore e
protagonista contemporanei di Simenon e Maigret,
...lo stile del personaggio
centrale e, dei racconti, sono una commistione
tra genere polizziesco americano
anni 50 e, il genere alla Simenon-Maigret.
Sottolineo che il personaggio centrale dei
 racconti di Leo Malet è un investigatore
privato, tale Burma, fumatore di pipa, nel
seconto libro pubblicato di recente
Il nostro Burma è quasi sempre
infaccendato con la pipa in mano
 e/o tra i denti.
Buone letture a Voi tutti.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 08 Aprile 2017, 17:16:02
Ottima la segnalazione di Malet!
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 08 Aprile 2017, 17:24:40
Ho appena finito di leggere i due sopra citati, in attesa
di nuovi seguiti...un vero peccato che un tale autore
in Italia sia stato cosi trascurato, speriamo che ora
Fazi editori faccia giustizia e, ci doni le sue opere.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 08 Aprile 2017, 17:53:00
Questo Autore, che scrive per hobby, è un dirigente di industria petrolifera, è un mio amico, ecco due foto fatte da Noli e le copertine dei suoi libri.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 08 Aprile 2017, 17:53:43
.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 10 Aprile 2017, 18:56:06
“Mira sempre e tira più alto di quanto tu sappia di poter fare. Non preoccuparti solo di essere migliore dei tuoi contemporanei o predecessori. Cerca di essere migliore di te stesso.”

WILLIAM CUTBERTH FAULKNER
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 07 Settembre 2017, 15:39:49
Negli ultimi tempi, dato che mio padre ne aveva, nel tempo, collezionato l'opera completa, ho letto molti romanzi di Piero Chiara. La pipa è spesso rammentata. Ne "La spina nel cuore", storia amara e struggente, ha un ruolo fondamentale.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 26 Settembre 2017, 21:29:43
Ho appena ternimato l'ultimo libro del mio amico Renzo, dirigente di azienda petrolifera che scrive per passione e fuma, purtroppo, dopo anni di EM, Comune e Forte! ;D
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 28 Settembre 2017, 08:26:18
Non so se l'autore fumi o, eventualmente, cosa fumi, di pipe non ne ricordo in questo roomanzo pervaso dal fumo di tabacco dall'inizio alla fine.
Ecco il suo bellissimo incipit.

La donna dei fiori di carta – Donato Carrisi

La notte fra il 14 e il 15 aprile del 1912, mentre il transatlantico Titanic affondava senza aver terminato il viaggio inaugurale, uno dei passeggeri scese nella sua cabina di prima classe, indossò uno smoking e risalì sul ponte.
Invece di cercare di salvarsi, si accese un sigaro e attese di morire.

Lettura molto piacevole e disimpegnata, ve lo consiglio.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 28 Settembre 2017, 12:32:33
Donato Carrisi è assunto alle cronache o, meglio, è stato reso famoso dal suo noto romanzo thriller  dal
titolo, " Il suggeritore ", a mio avviso è la sua opera meglio riuscita, lettura disimpegnata ma, di qualità,
quindi lo consiglio vivamente. Non mi risulta che Donato Carrisi, fumi pipa o, altro.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: caporaiss - 28 Settembre 2017, 12:33:20
Lieto di rilegerti Stefano, mi mancavi  ;)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 28 Settembre 2017, 12:35:48
Capo, ben ritrovato, lieto di vedere che stai bene ...sono contento di poterti nuovamente rileggere  ;)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: NCH - 30 Settembre 2017, 09:12:21

Maigret si trasferisce.
La brigata anti crimine lascia il quai des Orfèvres e si trasferisce a Batignolles, nel nuovo palazzo di Giustizia disegnato da Renzo Piano nel XVII, nella zona nord-ovest di Parigi.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: StefanoG - 02 Ottobre 2017, 15:08:07
Il fascino del 36 quai des Orfèvres è inseparabile dalla pacata epopea del commissario Maigret.
Dopo l’uscita del primo romanzo Pietro il Lettone nel 1931, il direttore della polizia giudiziaria
Xavier Guichard scrisse all’autore: «Signor Simenon, il suo commissario è inverosimile.
Conduce inchieste in provincia, viola la procedura, pedina come un ispettore debuttante.
Venga a trovarci e faccia uno stage da noi».
Così nacque il vero commissario Maigret. Il primo ispiratore è il patron della brigata
 criminale, Marcel Guillaume ribattezzato dalla stampa «L’asso della PJ (la polizia giudiziaria)».
 Scrive di lui Simenon: «Un Maigret in carne e ossa, talmente testardo che fuma la sigaretta
a costo di rovinarmi il personaggio». Guillaume è magro e Maigret più rotondo, e poi seduttore
 mentre il personaggio di Simenon pensa solo a tornare a casa dalla moglie al numero 132
di boulevard Richard Lenoir. Perché oltre al commissario Guillaume l’altro modello di Maigret è
 il suo segretario e successore Georges Massu: lui sì che fumava la pipa.
Al 36 quai des Orfèvres  era un habitué Serge Gainsbourg, altro mito francese. «Mi veniva spesso
 a trovare — ha raccontato a Le Monde l’ex commissario Patrick Riou —. Si sedeva in poltrona
 davanti alla scrivania e si  fermava a fumare e a chiacchierare, era un vero piacere.
Ho scoperto dopo la sua morte che ogni anno dava soldi agli orfani della polizia».
Jean-Paul Belmondo e Alain Delon qualche mese fa sono andati a dare l’addio ai vecchi locali.
Per volere del comune di Parigi la nuova sede conserva lo stesso numero civico: in rue du Bastion,
ma almeno al numero 36.
Gli ultimi faldoni hanno lasciato gli scaffali consunti del «36» per essere trasportati negli uffici
di vetro e acciaio di Batignolles, nel nuovo palazzo di Giustizia disegnato da Renzo Piano,
 e anche se il commissario Maigret non è mai esistito davvero — per la delusione di
non pochi turisti — questo è un momento storico per Parigi e per il mito che la avvolge.

Tratto dal Corriere della Sera
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 16 Maggio 2018, 09:25:39
Piccole spigolature.
Apprendo dal bellissimo blog di Ramon che Paolo Monelli fumava la pipa. Nel museo della grande guerra a Borgo Valsugana vi è una vetrina a lui dedicata ove è conservata una latta di Craven. https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Monelli#/media/File:Dettaglio_vetrina_Monelli_-_Borgo_Valsugana.jpg

Mario Soldati, che fu per il Toscano ciò che Ramazzotti fu per noi, scrisse le "Lettere da Capri" fumando la pipa.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: ludwig - 16 Maggio 2018, 11:13:55
 :)
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: Cristiano - 16 Maggio 2018, 11:27:13
Riferisce Aldo Santini, nel suo libro circa il Toscano, che Soldati riteneva che la pipa, con tutte le operazioni di pulizia ecc, alla fine stancasse. Io non mi sono stancato.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: ludwig - 16 Maggio 2018, 11:37:31
Neanche io,..  anzi la pulizia è parte di ciò...!!!
Benché ami i toscani è sempre una fumata di ripiego,  la pipa è molto più ampia.. in tutti i senzi.
Titolo: Re:Autori con la pipa in bocca
Inserito da: enrikon - 16 Maggio 2018, 14:39:49
C'è del vero in entrambe le posizioni. Adesso sono pro pipa e non so se ritornerò mai (se non saltuariamente) al sigaro.