Autore Topic: Autori con la pipa in bocca  (Letto 317810 volte)

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« Risposta #30 il: 08 Marzo 2006, 21:22:06 »
Con i rami di salice dello spessore di un pollice facevamo delle pipe. Si tagliava un pezzo di ramo della lunghezza di circa venti centimetri, lo si batteva a lungo con il coltellino da tasca, finchè la corteccia si staccava, così si poteva estrarre il legno vero. Su questo pezzo si intagliava innanzi tutto il bocchino, si faceva un'incisione nella corteccia, poi si inseriva di nuovo il legno nella corteccia. Chi era bravo riusciva a costruirsi addirittura un flauto in questo modo.
Marion Donhoff  "Infanzia prussiana" Neri Pozza editore 2005

- Bernardo -
ps. oggi ci dobbiamo ricordare della nostra metà.
Amplius invenies in sylvis quam in scriptis

Offline Cristiano

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #31 il: 08 Marzo 2006, 21:25:25 »
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"Bohhh tieniti le tue adorate dunhill e pipe da snobe i tuoi tabacchi da bancarella del mercato" Cit. toscano f.e.

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #32 il: 08 Marzo 2006, 21:34:58 »
Mark Twain

(Samuel Langhorn Clemens)
1835 -1910  fu un famoso e popolare umorista, scrittore, lettore universitario e conferenziere americano
Al massimo della sua notorietà egli fu con molta probabilità la maggiore celebrità americana del suo tempo.Faulkner  scrisse che fu il "primo vero scrittore americano". Il suo pseudonimo secondo alcuni deriva dall'urlo usato per segnalare la profondità delle acque nella navigazione fluviale by the mark, twain (Dal segno, due braccia) che indica una profondità di sicurezza (circa 3,7 metri). Altri lo fanno derivare dalle sue cattive abitudini nel bere alcolici. La pipa ha avuto in lui uno dei soui adepti più illustri.


Le avventure di Tom Sawyer


I due ragazzi tornarono indietro allegramente e ricominciarono a divertirsi con entusiasmo, cicalando a
non finire del piano stupendo di Tom e ammirandone la genialità. Dopo un pranzo squisito con uova e
pesci, Tom disse che adesso voleva imparare a fumare. Joe, contagiato dall’idea, disse che anche a lui
sarebbe piaciuto provare. Così Huck costruì due pipe e le caricò. I due novizi non avevano mai fumato
altro, prima di allora, che sigari fatti con foglie di vite, che “pungevano” la lingua e per giunta non erano
considerati “virili”.
Ora si distesero bocconi, appoggiati ai gomiti, e cominciarono ad aspirare circospetti, con scarsa fiducia.
Il fumo aveva un sapore sgradevole, e tossirono un po’, in preda alla nausea, ma Tom disse:
«Oh, ma è facilissimo! Se avessi saputo che era tutto qui, avrei imparato già da un pezzo.»
«Anch’io» approvò Joe. «È proprio una cosa da nulla.»
«Pensa un po’, molte volte ho guardato la gente fumare dicendomi: “Piacerebbe anche a me”, ma ho
sempre creduto che non ne sarei stato capace» soggiunse Tom. «Io sono fatto così, non è forse vero,
Huck? Me lo hai sentito dire un mucchio di volte, non è così, Huck? Huck può confermarlo che l’ho
detto.»
«Sì, un mucchio di volte» disse Huck.
«Oh, sicuro» continuò Tom. «Oh, centinaia di volte. Una volta al macello. Non te ne ricordi, Huck?
C’erano Bob Tanner, e Johnny Miller, e Jeff Thatcher, quando lo dissi. Non ti rammenti, Huck, che dissi
proprio così?»
«Sì, è vero» disse Huck. «Fu il giorno dopo che avevo perduto una bilia bianca... anzi no, fu il giorno
prima.»
«Ecco, vedi?» disse Tom. «Huck se ne ricorda.»
«Credo che potrei continuare a fumare la pipa per tutto il giorno» disse Joe. «Non mi dà affatto la
nausea.»
«Nemmeno a me» disse Tom. «Potrei fumarla anch’io tutto il giorno, ma sono pronto a scommettere che
Jeff Thatcher non ne sarebbe capace.»
«Jeff Thatcher! Figurarsi, cadrebbe svenuto dopo due boccate. Facciamolo provare, una volta; e se ne
accorgerà!»
«Sì, credo anch’io, e così Johnny Miller... vorrei vederlo, Johnny Miller, provarci una volta sola.»
«Ah, e io no?» esclamò Joe. «Senti, sono pronto a scommettere che Johnny Miller non riuscirebbe a
farcela, come non riesce in nessun’altra cosa. Una sola boccatina lo concerebbe per le feste!»
«Credo proprio di sì, Joe... Senti, vorrei che i ragazzi potessero vederci in questo momento.»
«Anch’io!»
«Ehi, senti, non diciamolo a nessuno che abbiamo imparato, e un giorno o l’altro, quando ci saranno
tutti, io salterò su a dire: “Joe, non hai mica la pipa? Voglio farmi una fumatina!”. E tu, noncurante, come
se niente fosse, risponderai: “Sì, ho la mia vecchia pipa, e ne ho anche un’altra, però il tabacco non vale
un granché”. Allora io dirò: “Oh, non importa. Purché sia forte abbastanza”. Dopodiché tu tirerai fuori le
pipe, e le accenderemo, calmi come se niente fosse, e vedrai allora la faccia che faranno!»
«Mamma mia, sarà divertente, Tom! Vorrei che fosse già quel momento!»
«E io no? E quando gli diremo che abbiamo imparato a fumare facendo i pirati, come vorranno essere venuti con noi!»
Continuarono a chiacchierare in questo modo, ma, di lì a poco, la conversazione cominciò a procedere
un po’ a rilento e divenne sconnessa. I silenzi si allungarono sempre più; le espettorazioni divennero
mirabilmente abbondanti. Ogni poro sulla superficie interna delle gote dei ragazzi si tramutò in una
fontanella ed essi quasi non riuscirono a svuotare lo scantinato sotto la lingua abbastanza rapidamente per
impedire un’inondazione; nonostante tutti i loro sforzi, si determinarono piccoli traboccamenti nella gola,
cui fecero seguito, ogni volta, improvvisi conati di vomito. Entrambi erano ormai pallidissimi e sconvolti.
La pipa cadde dalle dita snervate di Joe. Quella di Tom la imitò dopo. Le fontanelle di tutti e due
funzionavano furiosamente e le pompe dell’uno e dell’altro risucchiavano a più non posso. Joe disse
fiocamente:
«Ho perduto il temperino. Sarà meglio, credo, che vada a cercarlo.»
Tom disse, con le labbra tremule e la voce incerta:
«Ti darò una mano. Tu va’ da quella parte e io cercherò intorno alla sorgente. No, non è necessario che
venga anche tu, Huck... riusciremo a trovarlo.»
Così Huck si rimise a sedere e aspettò per un’ora. Poi trovò quell’attesa snervante e andò in cerca dei
compagni. Erano molto lontani l’uno dall’altro nei boschi, entrambi pallidissimi, ed entrambi
profondamente addormentati. Ma qualcosa gli fece capire che, se avevano sentito un peso allo stomaco,
erano riusciti a liberarsene.
Non furono loquaci a cena, quella sera; avevano un’aria umile. E quando Huck si preparò la pipa, dopo
il pasto, e si accinse poi a caricare le loro, dissero che non volevano fumare; non si sentivano troppo
bene... non erano riusciti a digerire qualcosa che avevano mangiato a pranzo.

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #33 il: 08 Marzo 2006, 21:40:53 »
Citazione da: "Cristiano"
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Bene! apriamo un po' di dibattito e portiamo un contributo,siamo sulla rotta giusta (A Ovest di Paperino)
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #34 il: 09 Marzo 2006, 12:01:03 »
Conan Doyle, Arthur (1859-1930)


Studio' presso lo Stonyhurst College in Austria e poi all'Universita' di Edimburgo, dove si laureo' in medicina nel 1885. Dopo avere lavorato come medico di bordo su di una baleniera decise di stabilrsi in Inghilterra e di aprire uno studio a Southsea. Non divenne mai un medico di successo, e di questo possiamo essere grati, fu infatti durante le lunghe ore di inattivita' tra la visita di un paziente ed il successivo che iniziò a scrivere le storie di Sherlock Holmes.
Scrisse soltanto 5 romanzi e tantissimi racconti,sempre di genere fantastico od horror,fumava la pipa e la pipa che mette in bocca a SH non è mai una Calabash.
In due estratti,infatti parla di una vecchia pipa di terra e di una vecchia pipa di radica,poi ne parla solo come di una pipa.



Uno Studio in Rosso
   
    Lei mi ricorda il Dupin di Edgar Allan  Poe.  Non  avevo  l'idea  che
    simili  persone esistessero nella vita reale." Sherlock Holmes si alzò
    e accese la pipa
    Senza dubbio,  crede di farmi un complimento paragonandomi  a
     Dupin"
    osservò.  Ora,  secondo la mia opinione,  Dupin era un mediocre. Quel
    suo trucco di "intervenire" nei pensieri del suo amico, dopo un quarto
    d'ora di silenzio, è pretenzioso e superficiale.

    La sua richiesta di aspettarlo era stata superflua, poichè‚ sentivo che
    non avrei mai potuto dormire prima di conoscere i risultati della  sua
    avventura.
    Erano  quasi le nove quando era uscito,  e non avevo un'idea di quanto
    potesse tardare, ma mi armai di pazienza e mi sedetti a fumare la pipa
    e a sfogliare la "Vie de Bohème" di Henri Murger.


Il Mastino di Baskerville

La mia prima impressione nell'aprire la porta fu che fosse scoppiato un incendio, poiché la stanza era talmente
impregnata di fumo che la luce della lampada posata sul tavolo ne era offuscata. Nell'entrare però le mie ansie si
placarono, poiché era solo l'acre esalazione del tabacco fortissimo, ordinario, che mi aveva preso alla gola e mi aveva
fatto tossire. Nella foschia ebbi una vaga visione di Holmes in veste da camera, raggomitolato in una poltrona, con la
pipa di terra nera tra le labbra. Vari rotoli di carta lo circondavano.
- Raffreddato, Watson? - mi chiese.
- Macché. É quest'atmosfera puzzolente.
- Già; adesso che me lo dice mi accorgo che è piuttosto densa.
- Densa? Ma è irrespirabile!
- E apra la finestra, allora! Vedo che è stato al circolo tutto il giorno.
- Ma Holmes!
- Sono nel giusto?
- Certo, ma come mai?...
Egli rise della mia espressione attonita.
- C'è in lei, Watson, un'ingenuità così deliziosamente fresca, che esercitare a sue spese le mie modeste facoltà mi
procura un vero piacere. Un gentiluomo se ne va a spasso in una giornata piovosa e fangosa. Se ne ritorna a sera lindo e
pulito, col cappello e le scarpe assolutamente immacolate. Perciò non può che essersene rimasto fermo come una
cariatide per tutta la giornata. Non è un uomo che abbia amici intimi. Dove può essere stato, dunque? La cosa non le
sembra ovvia?
- Effettivamente sì.
- Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si dà mai pena di notare. Dove crede lei che io sia stato?
- Fermo e immobile anche lei come un gatto di marmo.
- Niente affatto: sono stato nel Devonshire.
- In ispirito?
- Esattamente. Il mio corpo è rimasto in questa poltrona e ha consumato in mia assenza, mi spiace di doverlo
constatare, due enormi caffettiere e un'incredibile quantità di tabacco.

Il Segno dei Quattro

- La mia clientela, in questi mesi, si è estesa anche sul Continente - riprese Holmes dopo una
breve pausa, mentre riempiva la vecchia pipa di radica.

Già, mi sono reso colpevole di alcune monografie:
trattano tutte di argomenti tecnici. Eccone qui una, per esempio: Sulla distinzione tra le ceneri dei vari
tipi di tabacco. In essa elenco centoquaranta tipi di sigari, sigarette e tabacco da pipa, con tavole
colorate illustranti le varie differenze fra le ceneri dei diversi tipi. Si tratta di un particolare che ricorre
continuamente nei processi penali, e che può essere talvolta di importanza capitale come indizio.

- Perché? Tutt'altro - replicò Holmes, sprofondandosi ancor piú comodamente nella poltrona,
mentre dalla sua pipa uscivano dense volute azzurrognole. - Poniamo un esempio: l'osservazione mi
dimostra che lei stamane si è recato all'ufficio postale di Wigmore Street, mentre la deduzione mi
permette di capire che ha spedito un telegramma.


- Che donna interessante - esclamai, volgendomi verso il mio compagno.
Questi aveva riacceso la pipa, ed era tornato ad adagiarsi nella sua poltrona, le palpebre
socchiuse. - Trova? - disse languidamente. - Non lo avevo notato.
- Ma lei non è che un automa... una macchina calcolatrice! Francamente, a volte, mi sembra un
essere quasi inumano!



L'ultimo saluto di S.H.


Ecco i due uomini che irruppero bruscamente nel nostro salottino quel martedì sedici marzo, poco dopo la nostra prima colazione, mentre stavamo facendo una fumatina preparatoria per la nostra quotidiana passeggiata sulle lande.

"Signor Holmes", disse il vicario con voce agitatissima, "si è verificato durante la notte un fatto straordinario e spaventosamente tragico. Si tratta di un avvenimento inaudito, e possiamo considerare come un dono speciale della Provvidenza che lei si trovi qui in un simile frangente, dato che in tutta l'Inghilterra lei è proprio l'uomo di cui abbiamo bisogno".

Fissai il vicario con occhi tutt'altro che amichevoli; ma Holmes si tolse la pipa di bocca e si tirò su dritto sulla seggiola come un vecchio cane da caccia che senta squillare l'hallalì. Con un gesto della mano indicò il sofà, dove il nostro visitatore ansante e il suo esagitato compagno sedettero a fianco a fianco. Il signor Mortimer Tregennis appariva più composto del parroco, ma il tremito delle sue mani sottili e la lucentezza febbrile dei suoi occhi scuri rivelavano quanto condividesse l'emozione che sconvolgeva il suo padrone di casa.


Fu solo molto tempo dopo, quando fummo rientrati a Poldhu Cottage, che Holmes ruppe il suo lungo e ostinato silenzio. Si era tutto raggomitolato nella sua poltrona, la sua faccia magra e ascetica quasi spariva tra le azzurrognole spire della pipa, le sue nere sopracciglia erano contratte, la fronte solcata di rughe, gli occhi assorti vagavano nello spazio. Improvvisamente posò la pipa e balzò in piedi.

Il dottor Sterndale alzò la sua figura gigantesca, si inchinò gravemente e uscì dalla pergola. Holmes si accese la pipa e mi tese la sua sacca del tabacco.
"Un po' di vapori non velenosi saranno un diversivo gradito", disse. "Io spero che lei sarà d'accordo con me, Watson, che questo non è un caso in cui noi abbiamo il diritto d'intrometterci. La nostra inchiesta è stata indipendente, e indipendente resterà anche la nostra azione. Lei non denuncerebbe quest'uomo, non è vero?".
"Certamente no", risposi.






 
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #35 il: 09 Marzo 2006, 22:21:20 »
 Stevenson Robert Louis 1850-1894

Appartenne a quel complesso movimento letterario che reagì al naturalismo e al positivismo. L'originalità della sua narrativa è data dall'equilibrio tra fantasia e stile chiaro, preciso, nervoso. Artista estremamente versatile, affrontò i generi letterari più diversi, dalla poesia al romanzo semi- poliziesco, dal romanzo storico al racconto esotico. Il nucleo della sua opera è morale. Sfruttando la libertà narrativa consentita dal racconto fantastico e dal romanzo d'avventure, espresse in forma mitico-simbolica altamente suggestiva idee, problemi e conflitti, proiettandole nelle circostanze più insolite e inattese. Luoghi e fondali si pongono quasi come matrici dell'azione e del dramma. Quì una pipa per sottolineare coraggio e nervi saldi.

 L’Isola del Tesoro

Una volta soltanto il nostro uomo trovò chi gli tenne testa, e fu verso la fine, quando il mio povero padre era già molto minato dal male che doveva condurlo alla tomba. Il dottor Livesey giunse a sera a veder l'infermo; si fece servire un boccone da mia madre, poi se ne andò a fumare una pipata nella sala, in attesa che il suo cavallo gli fosse ricondotto dal villaggio, giacché al vecchio "Benbow" non avevamo stallaggio. Io ve lo seguii, e rammento ancora lo stridente contrasto che faceva il lindo e rilisciato dottore con la sua parrucca candida come neve, i suoi neri e scintillanti occhi e le sue compite maniere, con la rustica plebaglia e soprattutto con quel sudicio torvo e ripugnante spauracchio di pirata, acciaccato laggiù in quell'angolo dal rum, con le braccia sulla tavola. D'improvviso costui - dico il capitano - intonò la sua eterna canzone:
"Quindici sulla cassa del morto,
Yò-hò-hò, e una bottiglia di rum!
Satana agli altri non ha fatto torto,
Con la bevanda li ha spediti in porto.
Yò-hò-hò, e una bottiglia di rum!"
Io avevo da prima creduto che la "cassa del morto" fosse la stessa grossa cassa ch'egli teneva di sopra nella stanza davanti; e questa idea s'era fusa nei miei incubi con l'immagine del marinaio dalla gamba sola. Ma da lungo tempo ormai noi avevamo cessato di far attenzione al ritornello; solo agli orecchi del dottor Livesey quella sera giungeva nuovo; ed io m'accorsi dell'impressione tutt'altro che gradevole ch'egli ne riceveva, giacché alzò gli occhi e guardò per un momento con aria irritata prima di decidersi a continuare col vecchio giardiniere Taylor il suo discorso intorno a una nuova cura delle affezioni reumatiche. Frattanto il capitano s'andava accendendo della sua musica e alzando il tono; e alla fine schiaffò sulla tavola con la palma quel tal colpo che noi tutti sapevamo significava: Silenzio! Nessuna voce fu più udita, ad eccezione di quella del dottor Livesey, che continuò a parlare come prima, chiaro e cortese, tirando tra una frase e l'altra una vistosa boccata di fumo. Il capitano lo fissò bieco un istante, batté un nuovo colpo con la palma, gli lanciò un'altra occhiataccia, e, accompagnando la frase con una triviale bestemmia, gridò:"Silenzio, laggiù a prua!" "E' a me che il signore intende parlare?" disse il dottore; e non appena il ribaldo gli ebbe, con un'altra bestemmia, risposto affermativamente, "io non ho che una cosa da dirvi" replicò il dottore "ed è che se voi continuate a tracannare rum, il mondo sarà presto liberato da uno schifoso miserabile." Spaventevole fu lo scoppio d'ira del vecchio gaglioffo. Scattò in piedi, trasse e aprì un coltello a serramanico, e bilanciandolo sulla palma della mano, stava per inchiodare al muro l'avversario.


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Offline Cristiano

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« Risposta #36 il: 09 Marzo 2006, 22:51:58 »
suerte davvero!
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« Risposta #37 il: 09 Marzo 2006, 23:46:05 »
Enzo, stai davvero compiendo un lavoro ciclopico, interessantissimo ed encomiabile!!!!
"Percussus resurgo."  Ramingo
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« Risposta #38 il: 10 Marzo 2006, 00:17:53 »
Citazione da: "Cristiano"
suerte davvero!

In attesa di trattare con tutto il merito che gli spetta questo autore, allego questa chicca,convinto che probabilmente la apprezzerai.
http://www.toscopipa.com/coppermine/albums/userpics/10001/050903_IBL_Lettere_Guareschi.pdf
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« Risposta #39 il: 10 Marzo 2006, 20:21:18 »
Umberto Saba (1883-1957)

Vittima della persecuzione razziale per via della sua origine ebraica, cerca rifugio prima a Parigi, poi a Roma sotto la protezione di Ungaretti ed infine a Firenze ospite di Montale.Trieste rappresenta  l’espressione del suo stato d’animo, possiamo dire che egli si rende compartecipe dei sentimenti da lui espressi nelle sue stesse poesie; egli è infatti legato a ciò che racconta da una forte affettuosità.Tutti gli aspetti della vita giornaliera e della sua stessa vita entrano nella sua poesia attraverso parole domestiche.Da vivo fumò e amò  la pipa , da morto gli Uliganazziantifumo l'hanno rubata due volte dalla sua statua a Trieste.


Il Canzoniere


In Treno


Guarda gli alberi spogli,la campagna
deserta,a tinte invernali.A te penso
che ti allontani,che lasciai da poco.
Mette la sera come un roseo fuoco
sulle cassette,sugli armenti: il treno
in fuga volge nella corsa folle
qualche animale giovane e galline
versicolori.

Straziato è il mio cuore come sente
che più non vive nel tuo petto.Tace
ogni altra angoscia per questo.Ed appena
la dura vita a tanti mali regge.

Ma tu muti conforme la tua legge
e il mio rimpianto è vano.
Alberto
uno morendo m'hai lasciato in dono
fiasco di vecchio vino e la tua pipa

da quella fumerò nell' ore dense
di memorie pensendo la dolcezza
che si sparse da te come la vita
ti si fece impossibile
quel vino


Cielo

La buona la meravigliosa Lina
spalanca la finestra perchè vede
il cielo immenso.
Quì tranquillo a riposo,dove penso
che ho dato invano,che la fine approssima,
più mi piace quel cielo, quelle rondini,
quelle nubi.Non chiedo altro.
Fumare
la mia pipa in silenzio come un vecchio
lupo di mare.


 
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« Risposta #40 il: 10 Marzo 2006, 20:30:27 »
Citazione da: "Aqualong"
Umberto Saba (1883-1957)


Cielo

La buona la meravigliosa Lina
spalanca la finestra perchè vede
il cielo immenso.
Quì tranquillo a riposo,dove penso
che ho dato invano,che la fine approssima,
più mi piace quel cielo, quelle rondini,
quelle nubi.Non chiedo altro.
Fumare
la mia pipa in silenzio come un vecchio
lupo di mare.


 




Davvero bella, grazie!! :D
"Io vo' gustar quanto più posso dell'opra divina!"
Tosca-2° atto-Puccini

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« Risposta #41 il: 10 Marzo 2006, 21:41:48 »
Tchi Ch'ong Tzu  

Taoista cinese 300 a.C.più o meno

Il Giusto Comportamento

Il discepolo Tsai Wo si recò una volta nel villaggio di Kiang-han per acquistare una pipa d'avorio da portare in dono al maestro Ch'ong (essendo questi appena ritornato da un lungo viaggio).
L'artigiano Ku Bo Yu , abile fabbricante di pipe, magnificò a lungo al discepolo Tsai Wo una pipa dal bocchino ricurvo, sostenendo con parole dolci come miele di favo e penetranti come un pungiglione d'ape che allorquando il maestro avesse fumato le sue erbe aromatiche con quella speciale pipa, certo ne avrebbe ricavato un piacere così perfetto da non desiderare altro che di tornar a fumare, scordando addirittura la via che travalica il Compasso dagli otto Orizzonti e l'esercizio della Virtù.
Il discepolo Tsai Wo comperò a peso d'oro la pipa prodigiosa e s'incamminò per fare rientro alla città di Yuan-ping (dove abitava in quel periodo Tchi Ch'ong Tzu).
Lungo la strada provò stanchezza. Sedette dunque sul ciglio della via e provò a fumare la pipa d'avorio scolpita dall'artigiano Ku Bo Yu, maestro nell'arte di fabbricare pipe.
Fu in questo modo che il discepolo Tsai Wo dimenticò per sempre il maestro Ch'ong, il Compasso dagli otto Limiti, l'esercizio della Virtù e si smarrì nell'illusione delle mille incarnazioni.
Quando riferirono al maestro l'increscioso incidente egli, dopo aver considerato a lungo la questione in ogni suo dettaglio, disse: "Una pipa valeva forse un discepolo come Tsai Wo? Ahimè: ora non ho più né discepolo né pipa. In un volo di calabroni ho perduto la certezza dell'uno e la possibilità dell'altra!"
E per tutto il giorno e tutta la notte non volle prendere cibo né acqua ritirandosi in solitudine a meditare le cronache Cento autunni ove si narrano le gesta del duca di Tui P'eng di cui è scritto: "Perse trecento battaglie ma non rimase sconfitto neppure in una delle tremila dispute che sostenne con la madre della sua sposa."


 
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« Risposta #42 il: 10 Marzo 2006, 23:50:25 »
William M. Thackeray (1811-1863)
La sua attività di scrittore inizia con una serie di articoli su periodici, e di romanzi pubblicati su vari giornali. Tra essi la serie di bozzetti Le carte di Yellowplush (The Yellowplush papers, 1838) per la rivista «Fraser's magazine», e "The Paris sketchbook" (1840). Nel 1840 . Nel 1842 inizia la collaborazione con il giornale umoristico «Punch», con una serie di articoli e schizzi satirici intitolata Gli snob inglesi visti da uno di loro (The snobs of England by one of themselves), raccolti poi nel volume Il libro degli snob (The book of snobs, 1855) che rappresentano una spietata e minuziosa denuncia delle menzogne sociali e dei difetti umani. E' Thackeray che dà al termine snob il significato che ne diamo oggi noi.

LE MEMORIE DI  BARRY LYNDON
SCRITTE DA LUI MEDESIMO


I primi giorni di matrimonio sono abitualmente molto difficili; ed io ho conosciuto coppie, che hanno vissuto insieme come colombi per tutto il resto della loro vita, ma che sono state sul punto di cavarsi gli occhi durante la luna di miele. Io non sfuggii alla sorte comune; nel nostro viaggio verso ovest Lady Lyndon stabilì di bisticciarsi con me perché tirai fuori una pipa (avevo preso l'abitudine di fumare in Germania, quando ero soldato nell'esercito di Bulow, e non ho mai potuto liberarmene) e mi misi a fumare in carrozza; e Sua Signoria decise anche di prendersela a male tanto ad Ilminster che ad Andover perché la sera, quando ci fermammo, io volli invitare gli albergatori della "Campana" e del "Leone" a stappare una bottiglia con me. Lady Lyndon era una donna altera, ed io invece odio la superbia; ma vi assicuro che in tutti e due i casi domai questo suo difetto. Nel terzo giorno del nostro viaggio mi feci accendere la pipa da lei con le sue stesse mani, ed essa me la consegnò con le lacrime agli occhi; e alla "Locanda del Cigno" ad Exeter l'avevo sottomessa così completamente, che ella mi chiese umilmente se non volevo invitare anche l'albergatrice, oltre all'albergatore, a cenare con noi. Io non avrei avuto obiezioni a questa proposta, perché, per la verità, la signora Bonnyface era proprio una donna di bell'aspetto; ma aspettavamo una visita da Sua Signoria il Vescovo, che era un parente di Lady Lyndon, e le "bienséances" non permettevano di appagare la richiesta di mia moglie. Io feci la mia comparsa con lei al servizio della sera, per porgere i miei complimenti al nostro molto reverendo cugino, e misi la firma di mia moglie per venticinque ghinee, e la mia per cento alla sottoscrizione per il famoso organo nuovo che stavano allora fabbricando per la cattedrale. Questo modo di comportarmi, proprio all'alba della mia carriera in quella contea, mi rese non poco popolare; e il canonico residente, che mi fece il favore di cenare con me alla locanda, se ne andò dopo la sesta bottiglia, formulando fra i singhiozzi i più solenni voti per la felicità di un gentiluomo così p-p-pio.

La Fiera delle Vanità

Era lecito presumere che, una volta in camera da letto, non facesse nient'altro atto ad aggravare la situazione. E invece lo sciagurato giovanotto ci riuscì. La luna splendeva lucente sul mare, e Jim, affascinato dalla romantica visione del mare e del cielo - e di conseguenza attratto al davanzale della finestra - pensò che avrebbe potuto gustarsi maggiormente lo spettacolo facendosi una fumatina con la pipa. Nessuno, pensò avrebbe potuto percepire l'odore del tabacco se avesse avuto la precauzione di tenere la pipa e la testa fuori della finestra, all'aria libera. Così fece, infatti; ma dato il suo stato di eccitazione Jim aveva dimenticato aperta la porta della camera, cosicché la brezza che entrava dalla finestra stabiliva una corrente perfetta portando nuvole di fragrante tabacco al piano di sotto, ove si trovavano Miss Crawley e Miss Briggs.
   Questa pipa e questo tabacco furono la goccia che fece traboccare il vaso, e la famiglia di Bute Crawley non seppe mai quante migliaia di sterline gli siano costati. La Firkin si precipitò da Mr. Bowls, che in quel momento era impegnato a leggere con voce possente e cavernosa al suo aiutante di campo qualche pagina de La padella e la brace. L'orrendo segreto gli venne rivelato dalla Firkin con uno sguardo talmente sconvolto dallo sgomento, che a tutta prima Bowls e il suo giannizzero pensarono a un'incursione ladresca e che la Firkin avesse scorto le gambe del malfattore sotto il letto di Miss Crawley. Ad ogni modo Bowls, una volta informato dell'avvenimento, senza por tempo in mezzo corse di sopra salendo i gradini a quattro a quattro ed entrò nella stanza dell'ignaro James gridando con voce soffocata dall'indignazione: «Mr. James, per l'amor del cielo, smettete subito di fumare quella pipa! Oh, Mr. James, che cos'avete fatto!» Poi con voce patetica e profondamente addolorato, mentre gettava l'abominevole oggetto dalla finestra aggiunse: «Miss Crawley non sopporta assolutamente il fumo!»
   «Chi obbliga Miss Crawley a fumare la pipa?» rispose James scoppiando in una risata clamorosa e del tutto inadatta alla circostanza, convinto com'era che si trattasse di uno scherzo bello e buono. Ma fu costretto a cambiare bruscamente idea quando l'indomani mattina l'aiutante di Mr. Bowls, il quale gli puliva gli stivali e gli portava l'acqua calda per radersi quei quattro peli che ambiva tanto a togliersi dalle guance, gli consegnò mentre ancora giaceva fra le coltri un bigliettino pugno di Miss Briggs.


 
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #43 il: 11 Marzo 2006, 07:20:53 »
Federigo Tozzi (1883-1920)

Il mondo, per lo scrittore, prima d'essere oggetto di ripresentazione letteraria fu essenzialmente oggetto di sofferenza personale, di un pessimismo che in ultima analisi non risultò più né verista né decadentista, da cui scaturì una prosa che, oltre a un efficacissimo uso del lessico dialettale, rimase essenzialmente 'scarna e violenta'.



- Dunque, né meno una cicca?
Rebecca, spazzando la trattoria, metteva in serbo le cicche trovate, e lo incaricava di portargliele.
Masa intervenne un'altra volta:
- Non fuma mica il padroncino!
E ne rise insieme con lui come di una burla. Dopo avere riso, storceva le labbra e se le mordeva. Il vecchio cavò dal taschino una pipa sbocconcellata, con una cannuccia corta quanto il palmo della mano.
- Grazie a Dio, ci ho sempre quello che la sua mamma mi dette la settimana passata. Guardi se non è vero!
Batté la pipa in proda alla tavola: schizzò fuori una specie di polvere incenerita. Egli la radunò insieme, la mescolò e la rimise dentro. Poi prese, dal focolare, un fuscello acceso. A stento, gli uscì di bocca un poco di fumo, azzurro chiaro. Ed egli, guardandolo, disse:
- Oh, c'è poco trinciato, oggi!
Indi con il pollice che aveva l'unghia mozzata da un taglio fattosi da giovine, pigiò dentro il pezzetto di brace rimasta nella pipa.
Pietro vide un'altra volta quel fumo, e, dentro di sé, come una cosa reale, che gli dette un malessere, la mamma che andava a un cassetto, in casa, e voleva prendere qualche cosa. Ma tutti s'erano allontanati da lei! E mentr'ella si ostinava, il cassetto spariva nel muro. Allora gli parve di sentire sul volto le sue mani, come un grande bacio, come se le mani lo baciassero.
Masa, meravigliata della sua espressione sbigottita, gli chiese:
- A che pensa?
Il vecchio si avvicinò all'uscio, e disse:
- Bisogna che vada a governare le vacche. Dammi la fune.


Nel cielo cominciavano quegli immensi chiarori, che vengono dall'alba ancora lontana; le strade erano tetre ed umide.
Di solito, soltanto poche persone passavano, camminando in fretta; e si udiva bene quel che dicevano: le voci risuonavano come le scarpe con i chiodi su le pietre. E qualcuno, per lo più facchini che si recavano all'arrivo dei treni, accendeva la pipa, coprendo con ambedue le mani il fiammifero.
Domenico, quasi a metà della strada, entrava in un bar dov'era una ragazza con una veste così scollacciata che Pietro aveva paura si aprisse tutta.
Ella rideva agli avventori; e allora le sue gote incipriate, sode e rotonde, si gonfiavano fino a farle socchiudere gli occhi. Dava quel sorriso come le tazzine di porcellana filettate d'oro.

Seguitando la china, sentivano i loro passi risonare; perché la strada si fa più stretta tra i suoi muri sempre più alti. La poggiaia fuori di Porta Romana s'appiana, aprendosi con le sue campagne sparse da per tutto. Più in là, ma come della stessa altezza, i poggi azzurri, dopo una striscia violacea; con le file nere dei cipressi.
Giunsero, quasi senza più parlare, ad una villa con la facciata scolorita dall'umidità; con una finestra finta e le persiane verdi; con rappezzature fatte a calce, come patacche bianche.
Incontrarono un portalettere sciancato; con la pipa in bocca; volta in giù; con la borsa logora a tracolla ed una fazzolettata di chiocciole in mano.
Chiarina e Lola fecero le boccacce. Poi, incontrarono due preti: uno basso, tarpagno; e un altro secco come un nocciolo d'oliva. E alle due sorelle venne da ridere.


 
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #44 il: 11 Marzo 2006, 22:15:32 »
George Simenon

Nasce a Liegi (Belgio) il 12 febbraio 1903. Sebbene non si consideri un autore di romanzi polizieschi e abbia pubblicato numerosissimi romanzi d'altro genere, è conosciuto da tutti, grazie anche a complicità cinematografiche e televisive, come il creatore di Maigret, ispettore della polizia parigina, ed una delle figure più popolari della narrativa poliziesca contemporanea. Maigret non è né un duro alla Dashiell Hammet né l'ennesima riincarnazione di Sherlock Holmes: è semplicemente un uomo,con la sua pipa che ama la birra e il calvados.

Maigret a new york

 Nell'istante in cui le macchine si fermavano, Maigret si era buttato
 sul pigiama un pesante cappotto ed era salito sul ponte, dove ombre
 andavano e venivano zigzagando ed apparivano, per il beccheggio, in
 un'altalena di oscure immagini. La pipa in bocca, si era fermato a
 guardare le luci delle altre navi all'ancora che aspettavano la visita
 sanitaria.
 Maigret continuava a fumare la pipa nel piovischio e guardava una
 piccola imbarcazione grigia, che le onde sollevavano e abbassavano
 ritmicamente, eseguire ardite manovre per accostare il barcarizzo.
 Alcuni agenti salivano in fretta a bordo del piroscafo e sparivano
 nella cabina del capitano.

Poco più tardi i due uomini si infilavano in un taxi, e il
 capitano diede un indirizzo all'autista. Fumavano la pipa, in
 silenzio. Poi, come per caso, entrambi aprirono la bocca
 contemporaneamente e si volsero l'uno verso l'altro, sorridendo della
 coincidenza.

 Maigret, che era rimasto seduto, vuotò lentamente la pipa in un
 portacenere che aveva a portata di mano. Poi estrasse un'altra pipa da
 una tasca della giacca e si mise a caricarla guardando, ora l'uno ora
 l'altro, i due uomini che gli stavano davanti. Finalmente si alzò, e
 pareva volesse imporre la sua mole. Sembrava più alto e più massiccio
 del solito. «Vi saluto» disse semplicemente, con una voce così
 inattesa che il tagliacarte si spezzò fra le dita di Little John.

 «Pronto... Il capitano O'Brien?... Sono Maigret.»
 Sorrideva. Tirava piccole boccate dalla pipa e guardava la tappezzeria
 a fiori un po' scolorita che ricopriva la parete della camera.
 «Come?... No, non sono più al "Saint-Régis"... Perché?... Per svariate
 ragioni. La più importante è che non mi sentivo più a mio agio.
 Capisce? Bene Ma sì, ho trovato un altro albergo. Il "Berwick". Lo
 conosce? Non ricordo più il numero della via. Non ho mai avuto memoria
 per i numeri, e in questo paese siete ben noiosi con tutte queste
 strade numerate, come se non poteste chiamarle via Victor Hugo, via
 Pigalle o via del Presidente pinco pallino... Pronto?... Si ricorda
 che a Broadway, non so a che altezza, c'è un cinema che si chiama
 Capito? Bene. La prima o seconda via a sinistra. E'; un alberguccio
 piuttosto modesto, dove credo diano le camere anche a ore. Come? A New
 York non è permesso? Tanto peggio per voi!»

la Quinta Strada e con i suoi lussuosi negozi. Restò per parecchio
 tempo fermo davanti a una vetrina a contemplare alcune pipe, poi,
 sebbene quello fosse il regalo della moglie a ogni festa o ricorrenza,
 decise di acquistarne una.
 Uno strano e buffo particolare. La pipa costava parecchio. Uscendo dal
 negozio, Maigret si ricordò di quanto aveva pagato il taxi la sera
 prima e si ripromise di economizzare.

 Maigret aveva lasciato spegnere la pipa, ma ora per tornare nella
 realtà sentiva il bisogno di riaccenderla. La teneva in mano
 impacciato, finché con un sorriso di bambola le vecchia gli disse:
 «Fumi pure. Anche Robson fumava la pipa. E l'ho fumata anch'io gli
 anni subito dopo la sua morte. Forse non capisce, ma era come una
 parte di lui.»
Ora Maigret fumava beatamente la pipa, come un uomo che ascolta da un
 ragazzo una storiella divertente.

 Stringeva persino la pipa fra i denti in un modo diverso, fumava a
 brevi boccate, si guardava intorno con aria sorniona; ma in verità era
 completamente assorbito dalla propria attività interiore. I personaggi
 del dramma avevano finito di essere entità, pedine, marionette:
 diventavano uomini.

Gli fu chiesto cosa desiderasse, e lui tranquillamente,
 battendo con aria distratta la pipa contro i tacchi: «Nulla».
Dopo di che scese allegramente con la pipa in bocca e scelse
 un ristorantino come si deve. Ordinò i suoi piatti preferiti, del vino
 vecchio e un cognac riserva; esitò fra sigaro e pipa, optando alla
 fine per quest'ultima e si ritrovò fra le luci chiassose di Broadway.

Maigret fissava davanti a lui il tappeto della tavola, e ora evitava
 di ripetere le parole. Stringeva le mascelle con tanta forza che a un
 certo punto il bocchino della pipa gli si spezzò fra i denti.
 Nessuno si muoveva intorno a lui. Si alzò pesantemente, raccolse il
 fornello della pipa andata in pezzi, lo posò sulla tavola.

Dieci giorni dopo, la signora Maigret domandava al marito: «Insomma,
 che cosa sei andato a fare di preciso in America?». «Assolutamente
 nulla.»
 «Non ti sei preso nemmeno una pipa, come ti avevo scritto...» Fece il
 tonto, e riprese: «Laggiù, vedi, sono molto care... E poi sono poco
 solide...»



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