Edgar Allan Poe ha creato un personaggio caratteristico, un detective stravagante che risolve i suoi casi con l'ingegno e la deduzione,ha un amico che è anche il suo biografo,fuma la pipa,ama la musica e in questo caso si occupa per conto di un ministro,della ricerca di un prezioso documento rubato.
Conclusioni: E A Poe ha copiato spudoratamente Conan Doyle e che quindi Sherlock Holmes aveva già un tentativo di imitazione 50 anni prima di esistere.
LA LETTERA RUBATANil sapientiae odiosius acumine nimio.
Seneca
Nel 18... ero a Parigi. Dopo una triste e tempestosa serata autunnale, potevo godere la
doppia voluttà d'un meditativo raccoglimento e d'una pipa di schiuma, in compagnia del mio amico
C. Auguste Dupin, nella sua piccola biblioteca - che fungeva anche da studio - al terzo piano del
numero 33 della via Dunôt al Faubourg Saint-Germain. Durante un'ora intera restammo in silenzio,
per modo che ciascuno di noi-, al primo venuto, sarebbe apparso profondamente ed esclusivamente
compreso delle arricciolate anella di fumo che volteggiavano per la stanza.
«Ove si tratti d'un caso che richieda della riflessione», osservò Dupin, astenendosi in quel
punto dall'accendere la calza, «sarà per noi più conveniente procedere nel nostro esame al buio».
«Ecco ancora una delle vostre bizzarre trovate», disse il prefetto, il quale aveva la mania di
chiamare bizzarre tutte le cose al di fuori delle sue capacità di comprendere, e che si trovava in tal
modo a vivere in mezzo a una immensa legione di bizzarrie.
«È proprio così», disse Dupin porgendo una pipa al nostro visitatore e spingendo verso di lui
una comoda poltrona.
«Qual è dunque questo caso imbarazzante?», chiesi io, a questo punto. «Spero bene che non
si tratti, anche questa volta, d'un assassinio».
«Del tutto», disse il prefetto; «io l'ho fatto fermare ben due volte da alcuni agenti camuffati
da borsaiuoli e la sua persona è stata scrupolosamente frugata da capo a piedi sotto i miei stessi
occhi».
«Avreste potuto risparmiarvene la pena», disse Dupin; «il ministro D. non è per nulla così
pazzo, secondo almeno quel ch'io ne so, da non prevedere tali imboscate come incidenti tutt'affatto
naturali».
«Egli non è per nulla un pazzo, è vero», disse Monsieur G.; «ciò nondimeno egli è un poeta,
il che, secondo il mio parere, non è molto diverso dall'esser pazzo».
«D'accordo», disse Dupin dopo avere a lungo e pensosamente soffiato fuori qualche boccata
di fumo dalla sua pipa di schiuma, «benché io stesso mi sia reso colpevole d'un qualche libero
verso».
A un mese all'incirca da quella conversazione, il degno uomo ci fece una seconda visita e ci
trovò occupati, press'a poco, nei medesimi esercizi dell'altra volta. Prese così anch'egli una pipa e
una poltrona e cominciò a chiacchierare seco noi del più e del meno.
«E allora? caro Monsieur G. E la vostra lettera rubata? Suppongo che vi siate rassegnato,
infine, ad ammettere che non è davvero una bagatella sbaragliare un ministro».
«Che il diavolo se lo porti! Non ch'io non abbia seguito il consiglio
«Ma... sì ...», disse Dupin strascicando le parole frammezzo alle fumate della sua pipa. «Io
credo, a esser sincero... caro Monsieur G., che voi non abbiate fatto tutto il vostro dovere... è
impossibile non riconoscere che voi non siete arrivato fino in fondo alla questione... voi potreste
fare... un po' di più. Questa è almeno la mia franca opinione. Che ne dite?».
«Come? In che senso?».
«Ma ...» e una fumata, «voi potreste ...» e due fumate, una sull'altra, «voi potreste mettere un
po' più d'impegno nell'affare ...» e tre fumate. «Vi rammentate la famosa storia d'Abernethy?».