Autore Topic: Il fumatore di pipa  (Letto 203997 volte)

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #105 il: 22 Gennaio 2013, 18:33:19 »
Bruno Coppola :
è nato a Napoli nel 1942.
 Insegna Didattica della filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo “Federico II” di Napoli.
Ha tre figli adulti, uno adolescente, un nipote (da poco) e un cane.
Fuma la pipa.
Scrive saggi di epistemologia, didattica e filosofia della letteratura ("Fisica e storia. Due percorsi paralleli", Napoli 1981, "Metodologia e storia della scienza in Th. S. Kuhn", Napoli 1983, "Lo stupore e la malia", Napoli 1989 e "L’ineffabile bellezza", Milano 1996), nonché romanzi, racconti e poesie ("Romanzo ‘75", "Icaro", Napoli 1992, "Limina coralia", Napoli, 1992, "Meridiani", Salerno 1995).
 Bruno Coppola è autore di una serie di gialli, l’eroina dei suoi libri è Clotilde, giovane e bella
 filosofa napoletana ("Clotilde e il segreto di San Rocco", 2003; "Clotilde e la maledizione degli Altamura", 2004; "Clotilde e il passato non passato", 2005; "Clotilde sulle tracce del minotauro", 2006).
 Ha partecipato a "Napolipoesia" nel 1999.

da www.casadellapoesia.org


 

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #106 il: 23 Gennaio 2013, 12:21:32 »
Luis Cernuda Bidón
(Siviglia, 21 settembre 1902 – Città del Messico, 5 novembre 1963)
......è stato un poeta spagnolo.

La sua educazione è rigida ed intransigente, a causa del carattere di suo padre, un militare di professione. Comincia a studiare giurisprudenza presso l'Università di Siviglia, dove segue i corsi di Pedro Salinas. Alla morte dei suoi genitori entra in possesso dell'eredità paterna, con la quale fa un viaggio a Malaga, dove conosce il poeta ed editore Manuel Altolaguirre. Durante gli anni venti si trasferisce a Madrid, dove entra in contatto con gli ambienti letterari della città che più tardi saranno conosciuti come la "Generazione del '27". Lavora in una libreria e si innamora del giovane Serafín, che non ricambia l'attenzione. A questo periodo si fanno risalire i libri Donde habite el olvido e Los placeres prohibidos. Benché sia definito "disadaptado" a causa della sua omosessualità, lui non negò mai questa sua condizione, diversamente da Federico García Lorca: perciò ebbe la fama di ribelle, ed effettivamente si ribellò alla mentalità chiusa e bigotta della Spagna del Dopoguerra, "un paese dove tutto nasce morto, vive morto e muore morto", come dirá in Desolación de la Quimera. Per questo si considerò sempre un emarginato, "come una carta che ha perso il suo mazzo".
 
Lavorò come lettore di spagnolo presso l'Università di Tolosa per un anno. Dopo la proclamazione della Seconda Repubblica Spagnola collabora con movimenti che mirano ad una Spagna più tollerante, colta e liberale. L'anno dello scoppio della Guerra Civile Spagnola pubblica la prima edizione della sua opera poetica completa fino ad allora, con il titolo La realidad y el deseo (1936). Durante il conflitto partecipò al II Congresso degli Intellettuali Antifascisti di Valencia. Nel 1938, dopo aver tenuto alcune conferenze in Scozia, trascorrendo le estati ad Oxford in compagnia del pittore Gregorio Prieto, inizia il suo esilio nordamericano, dove insegna letteratura ed ottiene la tanto agognata stabilità aconomica. Si trasferisce in Messico nel 1952, dove si innamora di un culturista, al quale dedica Poemas para un cuerpo. È qui che conosce Octavio Paz e la famiglia di Altolaguirre, in particolar modo con sua moglie Concha Méndez, ed è qui che muore.

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #107 il: 23 Gennaio 2013, 12:31:01 »
FRANCO PACINI


Franco Pacini (Firenze, 10 maggio 1939 – Firenze, 26 gennaio 2012)
........ è stato un astrofisico italiano.
 
« Come fai a fare un altro lavoro, quando puoi fare l'astronomo? »
 (Franco Pacini, Sezze 16 Febbraio 2009, Auditorium Costa)

Nato a Firenze nel 1939, ha vissuto gli anni della gioventù ad Urbino, dove ha svolto gli studi secondari.
Nel 1964 si è laureato in fisica presso l'Università di Roma.
Dal 1966 al 1973 è stato research associate e poi visiting professor alla Cornell University (Ithaca (New York) - USA).
Dal 1967 al 1975 ha lavorato come ricercatore all'Istituto di Astrofisica spaziale del CNR presso Frascati.
Dal 1975 al 1978 ha ricoperto le funzioni di responsabile della divisione scientifica dell'ESO.
Dal 1978 è stato professore ordinario presso l'Università degli Studi di Firenze, e direttore dell'Osservatorio astrofisico di Arcetri dal 1978 al 2001
Si è occupato di astrofisica teorica e di astrofisica delle alte energie, con particolare attenzione a: supernovae e loro resti; stelle di neutroni e pulsar; nuclei galattici attivi; astronomia a raggi X e gamma.
 Nel 1967 ha portato un fondamentale contributo all'astrofisica, prevedendo i fenomeni associati all'intenso campo magnetico di una stella di neutroni rapidamente rotante.[2] Questa previsione fu confermata l'anno seguente con la scoperta delle prime pulsar, ad opera di astronomi inglesi. È stata poi confermata un'altra sua ipotesi (avanzata insieme all'astrofisico Martin Harwit) secondo la quale le galassie ultraluminose nella banda infrarossa sono la conseguenza di un intenso episodio di formazione stellare[3].
 Come direttore dell'Osservatorio astrofisico di Arcetri, ha partecipato a varii progetti di collaborazione internazionale. Uno di questi ha portato alla costruzione del Large Binocular Telescope (LBT), il più grande telescopio ottico su singola montatura mai realizzato; inaugurato in Arizona, all'osservatorio internazionale del monte Graham, il 15 ottobre 2004, è stato realizzato da Italia (con una quota pari al 25% delle spese complessive di studio e realizzazione), Stati Uniti e Germania.
Ha tenuto a Firenze corsi universitari di Astronomia, Astrofisica, Astrofisica delle Alte Energie, Cosmologia, Istituzioni di Astrofisica.
Si è dedicato nella diffusione della cultura scientifica nelle scuole e nella società italiana, attraverso conferenze, lezioni, articoli su giornali e riviste, radio e TV. È stato coautore di libri di divulgazione astronomica per bambini che sono stati tradotti anche nelle lingue cinese e arabo [4].
 Come Presidente dell'IAU, alla sua XXV Assemblea Generale a Sydney nel 2003, propose di designare il 2009 come anno internazionale dell'Astronomia IYA2009.[5].
 Ha sviluppato anche lo studio di fattibilità per costruire un “Museo dell’Universo” nella Torre del Gallo a Firenze.
Onoreficenze :
Membro dell'Unione Astronomica Internazionale[6], dove ha ricoperto varie cariche fra le quali quella di Presidente (dal 2000 al 2003).
 Socio Nazionale dell'Accademia nazionale dei Lincei.
 Premio Borgia dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
 Premio della Presidenza del Consiglio per la Scienza (1997).
 Membro onorario della Royal Astronomical Society.
 Premio Lacchini (1999)[7].
 Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2001).
 Cittadino onorario della città di Urbino (2002).
 premio Fiorino d'Oro della Città di Firenze (2002).
 In suo onore è stato battezzato l'asteroide 25601 Francopacini.

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #108 il: 23 Gennaio 2013, 12:49:54 »
CARLO LEVI


Carlo Levi (Torino, 29 novembre 1902 – Roma, 4 gennaio 1975)

.......... è stato uno scrittore e pittore italiano, tra i più significativi narratori del Novecento.


Lo scrittore e pittore scomparso nel 1975 e considerato all’unanimità come uno dei più importanti protagonisti della scena letteraria italiana.
Nato a Torino il 26 novembre 1902, Carlo Levi è stato uno dei più rilevanti narratori italiani. La sua traccia nella storia culturale del Paese è stata profonda, intensa e significativa e ha trovato felice realizzazione tanto nell’arte quanto nella letteratura. La sua opera più famosa, Cristo si è fermato ad Eboli, è ancora oggi uno dei romanzi più letti, apprezzati e diffusi in tutto il mondo.
Nasce in un'agiata famiglia ebraica della borghesia torinese, il 29 novembre 1902. Fin da ragazzo dedica molto del suo tempo alla pittura, una forma d'arte che coltiverà con gran passione per tutta la vita raggiungendo anche importanti successi.
 Dopo avere terminato gli studi secondari, si iscrive alla facoltà di medicina all'Università di Torino. Nel periodo degli studi universitari, per il tramite dello zio, l'onorevole Claudio Treves (figura di rilievo nel Partito socialista), conosce Piero Gobetti, che lo invita a collaborare alla sua rivista La Rivoluzione liberale e lo introduce nella scuola di Felice Casorati, intorno alla quale gravita l'avanguardia pittorica torinese.
 Levi, inserito in questo contesto multiculturale, ha modo di frequentare personalità come Cesare Pavese, Giacomo Noventa, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi e, più tardi, importante per la sua evoluzione pittorica, Edoardo Persico, Lionello Venturi, Luigi Spazzapan. Nel 1923 soggiorna per la prima volta a Parigi, dove viene a contatto per la prima volta con le opere dei Fauves, di Modigliani e di Soutine, leggendovi un incitamento alla ribellione contro la retorica fascista e la cultura ufficiale italiana[1]. Durante questo viaggio, scrive anche il primo articolo sulla sua pittura nella rivista Ordine nuovo. Si laurea in medicina nello stesso anno e rimarrà alla Clinica Medica dell'Università di Torino come assistente fino al 1928, ma non eserciterà la professione di medico, preferendo definitivamente la pittura e il giornalismo. La profonda amicizia e l'assidua frequentazione di Felice Casorati orientano la prima attività artistica del giovane Levi, con le opere pittoriche Ritratto del padre (1923) e il levigato nudo di Arcadia, con il quale partecipa alla Biennale di Venezia del 1924. Dopo altri soggiorni a Parigi, dove aveva mantenuto uno studio, la sua pittura, influenzata dalla Scuola di Parigi, subisce un ulteriore cambiamento stilistico, proseguito poi con la conoscenza, tra il 1929 e il 1930, di Modigliani. Con il sostegno di Edoardo Persico e Lionello Venturi, alla fine del 1928 prende parte al movimento pittorico cosiddetto dei sei pittori di Torino, insieme a Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell, che lo porterà a esporre in diverse città in Italia e anche in Europa (Genova, Milano, Roma, Londra, Parigi).
 Levi, per una precisa posizione culturale coerente con le sue idee, considerava espressione di libertà la pittura, in contrapposizione non solo formale, ma anche sostanziale alla retorica dell'arte ufficiale, secondo lui sempre più sottomessa al conformismo del regime fascista e al modernismo ipocrita del movimento futurista.
Nel 1931 si unisce al movimento antifascista di "Giustizia e libertà", fondato tre anni prima da Carlo Rosselli. Per sospetta attività antifascista, nel marzo 1934 Levi viene arrestato, e l'anno successivo, dopo un secondo arresto, condannato al confino, nel paese lucano di Grassano e successivamente trasferito nel piccolo centro di Aliano, da questa esperienza nascerà il suo romanzo più famoso, Cristo si è fermato a Eboli (nel racconto, il paese viene chiamato Gagliano imitando la pronuncia locale). Tale romanzo nel 1979 verrà anche adattato per il cinema e la televisione da Gillo Pontecorvo e Francesco Rosi.
 Nel 1936 il regime fascista, sull'onda dell'entusiasmo collettivo per la conquista etiopica, gli concede la grazia, e lo scrittore si trasferisce per alcuni anni in Francia, dove continua la sua attività politica. Rientrato in Italia, nel 1943 aderisce al Partito d'azione e dirige insieme ad altri Azionisti La Nazione del Popolo, organo del Comitato di Liberazione della Toscana.
 Nel 1945 Einaudi pubblica Cristo si è fermato a Eboli, scritto nei due anni precedenti. In esso Levi denuncia le condizioni di vita disumane di quella popolazione contadina, dimenticata dalle istituzioni dello Stato, alle quali "neppure la parola di Cristo sembra essere mai giunta". La risonanza che avrà il romanzo mette in ombra la sua attività di pittore: ma la stessa pittura di Levi viene influenzata dal suo soggiorno in Basilicata (sotto il fascismo chiamata Lucania), diventando più rigorosa ed essenziale e fondendo la lezione di Modigliani con un sobrio, personale realismo.
 Sempre nel 1945 Carlo Levi intrecciò una relazione amorosa che sarà trentennale con Linuccia Saba, l'unica figlia di Umberto.
 Levi continuerà nel dopoguerra la sua attività di giornalista, in qualità di direttore del quotidiano romano Italia libera, partecipando a iniziative e inchieste politico-sociali sull'arretratezza del Mezzogiorno d'Italia, e per molti anni collaborerà con il quotidiano La Stampa di Torino.
Nel 1954 aderisce al gruppo neorealista e partecipa alla Biennale di Venezia con apprezzabili dipinti, in chiave realistica come la sua narrativa. Dopo Cristo si è fermato a Eboli, di grande interesse sono Le parole sono pietre, del 1955, sui problemi sociali della Sicilia (vincitore nel 1956 del Premio Viareggio), Il futuro ha un cuore antico (1956), Tutto il miele è finito (1965), e L'orologio, pensosa e inquieta cronaca degli anni della ricostruzione economica italiana (1950).
 Nel 1963, per dare peso alle sue inchieste sociali sul degrado generalizzato del paese, e mosso dal desiderio di contribuire a modificare una politica stratificata su un immobilismo di conservazione di certi diritti acquisiti anche illegalmente, passa dalla teoria alla pratica e, convinto dagli alti vertici del partito comunista, incomincia a svolgere politica attiva. Candidato a un seggio senatoriale, viene eletto per due legislature Senatore della Repubblica (la prima volta nel collegio di Civitavecchia, nel secondo mandato nel collegio di Velletri) come indipendente del Partito comunista italiano.
 Nel gennaio 1973 subisce due interventi chirurgici per il distacco della retina. In stato temporaneo di cecità riuscirà a scrivere Quaderno a cancelli, che sarà pubblicato postumo nel 1979, e a tracciare più di 146 disegni della cecità, che saranno pubblicati nel volume "Carlo Levi inedito: con 40 disegni della cecità", a cura di Donato Sperduto, Edizioni Spes, Milazzo 2002 (D. Sperduto si è occupato di Levi anche nel libro "Maestri futili?", Aracne editrice, Roma 2009).
 Muore a Roma il 4 gennaio 1975. La salma dello scrittore torinese riposa nel cimitero di Aliano, dove volle essere sepolto per mantenere la promessa di tornare, fatta agli abitanti, lasciando il paese. In realtà Levi tornò più volte in terra di Basilicata nel secondo dopoguerra. Ne sono testimonianza le numerose foto custodite nella pinacoteca dedicatagli nel comune di Aliano che lo ritraggono nelle varie località della provincia di Matera assieme a suoi amici personali e assieme agli stessi personaggi protagonisti del libro.

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #109 il: 23 Gennaio 2013, 13:58:16 »
Guido Gallori :
Avvocato e Scrittore

Sei i romanzi pubblicati dopo le raccolte di poesie -
Dischi, matematica e... erotismo Ecco Gallori avvocato e scrittore

Avvocato e scrittore. Binomio non infrequente. Avvocato e poeta. Combinazione più episodica. Guido Gallori, vicino alle 70 primavere, si accende la pipa e parla. Del mestiere e dell'hobby, degli intrecci tra i due, del filone erotico, dei dischi.  Gallori, nasce prima l'avvocato o lo scrittore?  «Prima lo scrittore. Ero un ragazzetto quando ho cominciato a scrivere poesie. Ne ho pubblicate sei: nel '68 le prime, credo. Scrivevo anche narrativa, però una cosa indegna. E quindi lasciai perdere, in favore delle poesie».  Passione o lavoro?  «Passione. Per farne un lavoro bisognava avere tutto un altro percorso. Fare come fece Bianciardi: andare a Milano. Lì c'era la cultura, c'era l'editoria. Conoscevo meglio Cassola: una volta gli portai qualcosa e lui mi disse, giustamente, di lasciar perdere. Poi nel 1991 fu un periodo tutto particolare. Io il sabato tutti i pomeriggi andavo in giro e compravo dischi di sinfonica, rock e jazz: era il momento in cui cominciavano i compact disk. E mi sceglievo dischi 33 giri, i padelloni, che in quel momento venivano offerti a prezzi bassi. La sera me li ascoltavo».  Ispirato dalla musica?  «Una sera iniziai a dettare al registratore con la musica di sottofondo. Dettavo di tutto. Prime parole del primo libro: continuare a scrivere in questa serata di maggio. Cominciai a incidere ricordi, cose prese dai giornali, da riviste, ricordi di cose raccontati da un amico. Tutte le sere andato avanti, su cassette. Decine e decine. Forse centinaia. Non c'era niente di preciso. Erano appunti. Me le facevo trascrivere in dattilografia e poi al computer».  Il primo libro?  «"Ricercar", cioè la ricerca dello scrivere. Ho messo in fila i più disparati argomenti. Il legame? Lettere scritte dalle prime ragazze, gli insetti. Ho messo tra un pezzo e l'altro dei termini cinematografici: stacco, dissolvenza, carrellata laterale. È venuto un libro piuttosto grosso, poi sono stato più attento».  La professione quanto influisce?  «Qualcosa della mia vita professionale ho messo, qualche episodio particolare. Però devo tenere separate le cose, altrimenti diventa un altro lavoro. Approfitto del sabato e della domenica, per scrivere, dei rari tempi morti».  Argomenti?  «Per alcuni libri sono andato avanti con una specie di montaggio cinematografico. Ho messo gli argomenti a pagina 1, poi a pagina 5 a pagina 10 a pagina 15, con una cadenza precisa. Ho inserito di tutto: notizie giornalistiche, ad esempio. Ne ho fatti diversi di questo tipo. C'è anche il discorso del romanzo nel romanzo: come il Gruppo 63, ma all'epoca io ero ragazzetto, leggevo ma non sapevo... Mi hanno detto che sono uno di quel gruppo in ritardo con i tempi. In "Prova" c'è una specie di piccola storia: i sogni di un ragazzo in coma vigile dopo un incidente e della sua fidanzata. Il tutto accompagnato da una specie di catalogo di musica rock, in ordine alfabetico. Led Zeppelin è uno dei cardini della musica moderna».  Cosa c'è di autobiografico?  «Tanto, in parte. Ma tante cose sono inventate completamente. Mi sono ispirato ad articoli, fatti di cronaca, cosa mi hanno detto, cosa ho ascoltato al bar. Naturalmente diventa tutto autobiografico».  Personaggio ricorrente?  «Spessissimo scrivo di un avvocato. Un vincente? Uno normale. In uno di questi libri non pubblicato è invece assistente universitario di statistica che scrive un libro o una tesi. Ah, è uno cui piacciono tanto le donne. Specifichiamo: il personaggio è il personaggio e io sono io. E' vero che prima non ho tralasciato niente ma da quando mi sono sposato al massimo ho alzato gli occhi. Di quanto avvenuto prima ho molto da raccontare».  Gallori, lei scrive anche di temi erotici...  «Mi hanno detto che mi riesce particolarmente bene. Li metto sempre a cadenza. Accanto c'è il pezzo sulla matematica o sull'astrofisica, satelliti, sole, luna. Ma il filone erotico contraddistingue molto la mia produzione».  Come è cambiata la professione di avvocato?  «Moltissimo. Quando eravamo pochi c'era un certo spirito, scherzavamo, ci si conosceva tutti. Ora è diventata una professione femminile: sono tante e lo fanno bene, combattive. Sono molto gradevoli. E poi Grosseto è un paese traboccato fuori. Ci sono quartieri dove mi perdo».

da Intevista sul " Tirreno"

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #110 il: 23 Gennaio 2013, 13:59:01 »
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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #111 il: 23 Gennaio 2013, 14:07:24 »
Mack Reynolds :
al secolo Dallas McCord Reynolds
(Corcoran, 11 novembre 1917 – San Luis Potosi, 30 gennaio 1983),
  .... è stato un autore di fantascienza statunitense.
 
Molti dei suoi racconti furono pubblicati in riviste di fantascienza come Galaxy e If Magazine. Fu un sostenitore del Partito Socialista Americano e di conseguenza molte delle sue storie hanno un tema riformista, e alcuni dei suoi racconti hanno uno sfondo economico. Fu molto popolare negli anni sessanta, ma molte delle sue opere sono state pubblicate solo in questi anni.
Mack Reynolds nacque a Corcoran, in California, nel 1917. Da giovane, Reynolds prestò servizio in vari giornali di economia. Combatté durante la seconda guerra mondiale nei Marines. Dopo la guerra, Reynolds divenne uno scrittore di racconti gialli. Si sposò con Helen Jeanette Wooley nel settembre 1947. Nel 1949 la famiglia si trasferì a Taos, nel Nuovo Messico dove Fredric Brown, suo amico e collaboratore, convinse Reynolds a scrivere racconti di fantascienza. Reynolds si trasferì in Messico nei primi anni cinquanta fino alla morte, avvenuta nel 1983 nella cittadina di San Luis Potosi. Negli anni cinquanta lavorò per la rivista Rogue e viaggiò per tutto il mondo.
Tra i suoi pseudonimi si ricordano Clark Collins, Mark Mallory, Guy McCord e Dallas Ross. Nel 1972 usò lo pseudonimo di Maxine Reynolds in due storie romantiche, House in the Kasbah e Home of the Inquisitor.

da wikipedia

Da Delos Rivista di Fantascienza :
Mack Reynolds (1917-1983) rappresenta un caso praticamente unico nel panorama della fantascienza made in Usa. Buona parte dei suoi racconti e romanzi, spesso genialmente anticipatori, di agile scrittura e dotati di una felice verve, si basa su tematiche insolite: i suoi interessi concernevano soprattutto le discipline economico-sociali e l’antropologia. Nel 1940 fu segretario di John Aiken, candidato alla presidenza del Partito Socialista dei Lavoratori, di ispirazione trotzkista. “Sono un radicale militante”, diceva di sé Reynolds, “né comunista né socialista, e penso che nell’immediato futuro interverranno grandi mutamenti nel nostro sistema socioeconomico. Nella mia narrativa io mi sforzo di lavorare su questi argomenti”. Ebbe una copiosa produzione, non sempre dai risultati perfetti, ma molte sue opere meriterebbero ampiamente un’adeguata riproposizione, e altre — del tutto trascurate — di essere tradotte nel nostro Paese.
Indagando sulle origini e le ascendenze culturali di Reynolds, si apprendono queste ulteriori notizie. Dallas McCord “Mack” Reynolds nacque il 12 novembre 1917 a Corcoran, California, figlio di Verne LaRue Reynolds (un rivoluzionario) e Pauline McCord. Nel settembre 1947 Mack sposò Nelen Jeanette Wooley, dalla quale ebbe tre figli: Emil, L’Verne e Dallas Mack.
Completati gli studi a New York, all’età di 19 anni Mack divenne reporter presso il “Catskill Mountain Star” e l’“Oneonta News”. Successivamente fondò una rivista, il “Catskill Mountain Digest”. Durante la seconda guerra mondiale combatté nella marina e fu ufficiale di rotta nel Sud Pacifico. Congedato nel ’44, si dedicò alla nuova carriera di scrittore free-lance. Intanto era corrispondente dall’estero per “Rogue” ed era stato supervisore presso l’IBM. I suoi interessi concernevano soprattutto le discipline economico-sociali, l’antropologia, le civiltà antiche (in particolare quella pre-colombiana, di cui collezionava reperti). Di sé Reynolds ha scritto ancora:
Sono nato nella fantascienza. Mio nonno era un acceso fan di Jules Verne, tanto che chiamò Verne L. Reynolds mio padre; il quale a sua volta rimase fortemente colpito dalla lettura di Looking Backward, il romanzo utopico di Edward Bellamy. Da giovane fu membro dell’IWW, l’International Workers of the World, e più tardi del Partito Socialista. Successivamente preferì passare al Partito Socialista dei Lavoratori, e ne fu il candidato alla vicepresidenza negli anni 1924, 1928 e 1932.
Nel dopoguerra incominciai a scrivere racconti e articoli, nel 1946 vendetti la mia prima storia a “Esquire”. Dopo aver pubblicato altre storie, specialmente di detective, decisi di diventare scrittore a tempo pieno. Con mia moglie l’accordo era che se dopo un anno non fossi riuscito a guadagnarmi da vivere, avrei rinunciato alla scrittura e sarei tornato a fare il giornalista o a lavorare per l’IBM.
Ci spostammo a Taos, nel Nuovo Messico, dove risiedeva Fredric Brown. Questi mi fece notare che dovevo essere matto a cercare di scrivere gialli durante il giorno e trascorrere le serate leggendo fantascienza. Ciò accadeva nel 1949. Da allora decisi di dedicarmi alla sf. Nel 1950 riuscii a vendere trentacinque racconti: fu l’avvio della mia carriera. Inoltre per un certo tempo “Rogue” mi affidò dei réportages di viaggio. Quel periodo durò dieci anni, nei quali visitai in totale settantacinque nazioni, anche per conto del Partito Socialista dei Lavoratori cui ero iscritto. Intanto continuavo a scrivere fantascienza. Infine mi stabilii in Messico, dove costruii una casa.
Credo che la fantascienza mi piaccia perché in essa vi sono pochi tabù: posso dire, e dico, qualunque cosa desideri. E penso di avere un sacco di cose da tirar fuori.
Inoltre credo che gli scrittori dovrebbero trattare delle cose che conoscono. Quando racconto storie che si svolgono nel centro del Sahara, o nel Borneo, il lettore può essere certo che io sono stato sulla scena.”


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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #112 il: 23 Gennaio 2013, 14:31:38 »
LEGGETE QUESTA INTERVISTA IN CUI PAOLO BORZI PARLA DI TABACCO E PIPE....

Intervista a Paolo Borzi :

Scrittore e fumatore di pipa: esiste una correlazione ?
Se si scrive e si fuma la Pipa, senz'altro sì. Sarò stato banale, ma l'immagine del mio idolo Simenon mi si stampa in mente a tale domanda, privandomi di ulteriore fiato per una specifica risposta. Una relazione materialmente diretta, è il titolo del mio lavoro poetico meno inquadrabile in un preciso genere letterario: Novostilvecchio o della Metamorfosi delle Pipe (2009).
 
A quale dei tuoi 5 libri finora editi sei più legato? e perchè?
 Quale trovi il più riuscito ?

 Sono 5 se si tiene conto dell'anteprima in stampa periodica del mio poema in ottava sul Ciclo bretone ("la Materia di Britannia") uscito poi in volume esattamente un anno fa. O 5 se si esclude questa anteprima e si include la versione in prosa dello stesso poema ("le Tavole della Leggenda"), ma che è ancora inedita. Altrimenti sono 4. La domanda è difficilissima, ma dico "le Sciamanicomiche" ( 2007) perché mi è davvero costato lacrime e sangue; e perché in tempo di supposta "neoepica" (ma il libro è uscito prima che se ne sentisse parlare e nato addirittura nei primi anni 80) conferirebbe senso pieno a questa definizione, perché è sì romanzo e saggio, ma anche poema epico: è il modello pasoliniano di Petrolio, e davvero, sarà bene o sarà male, non so se ce ne siano altri.
 

La tua poetica è ascrivibile ad un qualche filone-corrente-scuola, oppure ti ritieni calpestatore d'un sentiero tutto tuo ?

 Chi segue realmente la Tradizione e non un suo feticcio accademico, calpesta inevitabilmente un sentiero anche tutto suo. Questo slogan, unito alla citazione pasoliniana di sopra, è anche un "programma" rispetto l'anno prossimo, che segna i cinquanta anni dalla Neovanguardia nata a Palermo nel 63. Allora ci fu molta opposizione tra Pasolini e Sanguineti, ma ora che il problema non è rinnovare la cultura, ma salvarne l'esistenza e lo stesso concetto, certe distanze-tra tradizione e innovazione, per generalizzare- possono e devono essere accorciate, e di fatto il mio lavoro tenderebbe ad abbreviarle.
 Rispetto a Pasolini, seguendo un filone poco battuto nella teoretica del suo maestro Gramsci, ho un forte interesse per il Folklore, in specie per quelle categorie concettuali presenti nella poesia Epica e dunque nella letteratura ancestrale, che chiamo "psiconti": sono le forme e formule d'un "esoterismo dei poveri", il Folklore appunto, che diventa musica e racconto eroico (ma anche comico, al di là del cliché dell'eroicomico), capace ancora di divertire e nutrire i poveri che stiamo tornando e che in fondo siamo sempre rimasti. Ecco, rispetto a Pasolini, che ha forse spostato una certa vocazione "epica" nell'immagine cinematografica e in parte nella narrativa, io tendo a contrarre tutto nella poesia (verso o prosa per me conta poco); ma in fondo, si tratta di una sintesi che lui stesso stava attuando prima che lo assassinassero.

Sei un divoratore di libri, oppure come Pessoa credi non ci sia ormai più niente di interessante da leggere?

 Né l'una e né l'altra cosa; e visto che le risposte cominciano a diventare necessariamente toste, questa la fermo qui.
 

Quali sono i libri di altri scrittori che ultimamente ti hanno appassionato ?
 E fra i classici ?

 Circa i contemporanei assoluti che come tutti posso "distinguere", la distanza è verosimilmente troppa, per ragioni assolutamente obiettive, perché ci si possa appassionare a vicenda. Ma una delle disgrazie di quello che amici critici chiamano "il diluvio" (montagne di pubblicazioni e solo o quasi commercianti come gestori delle operazioni) è che non riesci nemmeno a sapere se scrittori di certo "stampo" semplicemente non esistono più, si sono suicidati, autodistrutti, o semplicemente nascosti, magari contro la propria volontà. Però, per non fare di tutte le erbe un solo fascio, riconosco di essere costretto anche da limiti, personali e di tempo, per cui mi dedico in genere al serbatoio sempre inesauribile dei meno contemporanei.
 Per la poesia, dove anche l'emerso è nella sostanza ormai immerso, il discorso cambia un po': c'è una vitalità indagabile con meno difficoltà, rispetto quella di leggere tutti i testi di narrativa che escono, anche per la dimensione dei componimenti; indagabile sia editorialmente (tante ma non infinite piccole e credibili casi editrici); sia personalmente, se attraverso amici o tamtam di rete si decidesse di assistere o addirittura partecipare a qualche reading, e ce ne sono dovunque.
 Ancora diverso il discorso per la saggistica, e un libro di cui mi sto appassionando molto è proprio uno che dovrò presentare il mese prossimo: l' Ideologia del Denaro tra psicanalisi, letteratura e antropologia (Bruno Mondadori, 2011). E' un libro "laico" che visto lo scottante e ormai apocalittico argomento, ti porta senza forse del tutto volerlo nel cuore della sacralità vera del messaggio religioso, che non può che essere "anti ideologia del denaro". E qui toccherebbe riparlare di Pasolini, limitandomi però solo a citare i suoi "scritti corsari" e "lettere luterane" (così ho risposto anche con un esempio sui meno contemporanei omessi sopra).
 Circa i Classici, da poeta che fa epica, non posso tacere lo studio costante di Torquato Tasso, su cui Franco Fortini, poeta e critico di "Officina" e dunque anche legato alla linea pasoliniana, ha scritto pagine indimenticabili e fatta una lettura integrale della Gerusalemme su radio 3, circa venti anni fa, poco prima della sua morte. Tasso è solo all'apparenza "retrogrado", ma in realtà, facendo poesia "storica" e lavorando audio-visivamente sul singolo frammento (l'ottava), è poeta d'avanguardia ventura, secondo il concetto di prima, cioè favorevole a una linea eteronoma della poesia (cioè che parla d'altro, secondo un concetto più dantista e aristotelico che crociano), ma anche enciclopedica (come deposito di saperi allotri) e barocca nel significato modernissimo di organica internamente (in tutte le sue parti) ed esternamente (ai conflitti del tempo in cui si scrive), e in più "popolare"… e su quest'ultimo punto, cioè della unione tra popolare e concettuale, lascio solo immaginare le enormi ulteriori implicazioni, che sono poi i miei "pene e pane" quotidiani.
 

Di te si trovano poche informazioni.
 Come era Paolo Borzi da giovanissimo ? quali studi? Ora vivi del tuo lavoro di scrittore oppure hai da rimboccarti le maniche ?

 Le poche informazioni sono soprattutto per pigrizia e timidezza, che per civetteria mi piace talvolta far passare per assoluta serietà. Sono realmente "estraneo all'onda" anche in questo: se solitamente si cercano i riflettori, io scanso anche quelli che per sbaglio mi sfiorano… tant'è, c'entri o meno anche un pizzico di "stile". Da giovanissimo ero pensieroso e inquieto, ma molto socievole, ospitale e spesso anche cuoco per gli amici. Ho fatto consistenti letture filosofiche, letterarie ed etnologiche, sia in sede universitaria che "sul campo", ma completando " i corsi" solo nella scrittura. Mi rimbocco le mani per evidenza, vista anche la natura delle mie opere; seguite però da editori che stimo tantissimo (la parte viva tra i semplici stampatori e i puri mercanti) e dagli unici "lettori professionali" che nella grande confusione tra ciò che ti accredita o discredita a seconda dei punti di vista (ad esempio, un mass media), sono credibili: accademici di consistente caratura che non scambiano nulla. Volessi-e potessi- lavorare anni e anni su un'opera anche la più ambiziosa, li ritroverei tutti a prestarmi almeno attenzione. E questo è il mio nobel.
 
Ora parliamo di pipa.
 Come è stato il tuo approccio a questo strumento da fumo ?
 E' stato un incontro deciso razionalmente e scientemente, oppure è stato un incontro dettato dall'ambiente circostante, quasi una scelta spontanea ? te lo chiedo perchè per me (e penso per molti giovani) in genere vale la prima.

 Intorno ai 20 anni ne avevo già quasi 10 di fumo di sigaretta, come si usava nelle mie classi (sia intendendo aule, che generazioni). Volevo smettere e un amico fraterno, già iscritto a medicina e attualmente persona assai in vista nel ramo della docenza sessuologica, mi diede due vecchie pipe del padre, e del Balkan Sobranie bianco. Di lì a poco avevo in casa confezioni da 5 dei 3 Balkan (bianco, 759 e Virginia 10) e Three Nuns, reperiti in Vaticano, dove avevo l'accesso grazie all'insegnamento di mio padre presso licei cattolici.
 Ma non mi bastava, ogni scatola o busta dovevo per forza comprarla, aprirla e quasi sempre fumare tutta. Escudo e Amphora Nero li comprai assieme, non sapendo assolutamente nulla di entrambi. Coi primi stipendi (1986) e la strutturazione del mio lavoro letterario, si è aperto l'abisso dell'ingozzamento e della cognizione che solo nei primi anni 2000, con la "rete", ha trovato i primi sbocchi comunicativi. Penna improvvisata, infettata da abitudini extra-internettaie e da passione anche ideologica divorante, che da subito ha diviso le mie povere vittime in chi non ci capiva nulla e chi, al contrario e tutt'ora, mi ritiene un rilevante comunicatore in questo campo.


Tu hai l'invidiabile capacità di saper apprezzare -come se sapessi cogliere sempre il lato positivo delle cose- moltissime miscele di tabacco. Ma esistono dei prodotti cui sei particolarmente legato e ti ci sei fatto abitudinario ? Insomma: solo ramingo, o semistazionario ?

 Non so se Internet, da dove hai cortesemente tratto queste impressioni, sia stato il luogo migliore per operare, miracoli delle nuove amicizie a parte. Di certo, mi ci sono trovato anche perché non potevo fare molto altro, e ne taccio qui i non gradevoli motivi. La penna e la carta mi portavano contemporaneamente ad altro; e quando in seguito anche queste hanno parlato di pipe e tabacchi (in Novostilvecchio o della Metamorfosi delle Pipe), ciò è stato in forma prettamente allegorica, dunque sostanzialmente diversa da quella internettiana, a parte qualche 3d come la "Calabash Esoterica" di Fumare la Pipa.
 La "capacità" che mi riconosci, nasce dalla voglia-o semplice illusione-di essere utile con una mia anomalia, quella cioè di averle davvero provate tutte, e di poterle descrivere comparativamente, cosa invero insana, per la psiche e il portafoglio, ma forse utile perché le descrizioni comparative sono le meno soggettive e anche le meno abusate. Il "postatore alfa" di un sito, essendo utile a suo modo e senza dubbio più sano, normalmente non può che celebrare quello che fuma o a suo dire andrebbe fumato e-aiutato da alcune categorizzazioni rituali-deprezzare più o meno implicitamente il resto, o al meglio tacerne. La verità-per me-è che esistono eccellenze ma non esistono quasi schifezze, e tutto può essere fumato "a verso", per tempi, luoghi, e soddisfazioni specifiche
 Fumo ancora di tutto ma ho un àncora nella Scottish Mac baren e i pressati di Virginai. Tabacco di sempre: l'Escudo.


Per quanto abbia spulciato qualunque cosa tu abbia scritto in fatto di tabacchi, non ho mai trovato nulla inerente l'odierna produzione americana (mi riferisco a Pease, C&D, McClelland). Non ne parli perchè non apprezzi, oppure perchè non conosci ?
 Se conosci l'argomento anche solo di striscio, altrimenti togliamo la domanda: come giudichi la loro interpretazione delle Em ? hanno re-interpretato salvaguardandone l'anima, oppure hanno sviato creando un qualcosa di diverso ed il richiamo a quella tradizione è fuorviante e illusoria ? Oppure c'è una terza interpretazione ?

 Con la spulciatura di cui ti ringrazio, non avrai trovato nulla di quelli e di molti altri, perché io sono un esclusivista dello "scaffale italiano" e vivo e lavoro vicino solo ai confini vaticani. E non acquisto in rete. Però, una idea ce l'ho e mi conturba, come tutto quello che viene dalle manifatture americane, che è denso, famigliare ed "esotico" ad un tempo, come i grandi amori nella fase del colpo di fulmine.
 Le EM sono classiche solo se spiccatamente interpretate e dunque personalissime. Se il taglio o le micro profumazioni non sono molto atipici e lo schema segue l'unica tripartizione sommamente celeberrima, cioè la classica Dunhill (Mild, Medium, Full), la miscela è tanto più classica quanta più personalità ha, e questo ormai spetta sia a quello che resta in madrepatria, quanto, ormai soprattutto, all'estero, specie America Germania e Danimarca. Non sono per i purismi e gli animismi, EM è quello che si definisce tale, se no si antepone sempre una opinione personale, cioè carismatica. Poi segue un giudizio di valore, che è necessariamente personale ma non per questo destituito di attendibilità. EM è quella cosa lì come la vedi, dunque tale anche con altri tabacchi naturali o cmnq unflavoured fuori schema, Black Cavendish compreso. Altrimenti devi considerare la categoria Modern quando invece un prodotto non ci azzecca con la eccentricità di quest'ultima; o inventarne una specifica (né Classica, né Modern), e non se ne esce più. Em con punti più o in meno funziona meglio.
 L'unica "auto dicitura" di "classich EM" che mi crea qualche problema, è quella del genere "Mullinghar Kenmare", più recentemente, Brebbia 7 o Wellauer, in VBLP, che poi è la traccia americana del Revelation. Qui è proprio "quella cosa lì" che cambia, apparentandosi più col genere Mixture Mellow della Benson, o della Westmorland SG, anche se la composizione è diversa. Calcolato che dopo un certo confine cede la dicitura nazionale ed emerge forse meglio quella del componente (es., natural, flavoured virginia, anche se puntato un poco di "neri"), e poco oltre ancora rispunterebbe se vogliamo la nazionale con la fantomatica dicitura "irish", per queste EM di confine e per le mellow da madrepatria, adotterei l'espressione EMB (Enghlish Mellow Blends), valida come però tante altre possibili.


Non voglio chiederti con quale tabacco sarebbe ideale iniziare a fumare la pipa, voglio chiederti qualcosa di più: quali sono quei cinque-dieci tabacchi che possano fare da perimetro indispensabile affinchè il fumatore provetto abbia una visione completa del campo pipa ? Insomma affinchè possa scegliere il suo cammino del gusto senza zone d'ombra e con matura consapevolezza ?

 Ci tengo invece ad accennare al problema che mi vorresti risparmiare, anche se assurdo, come dimostra il fatto che si può cominciare da zero, a 16 anni, o a quaranta anni, magari con altrettante Marlboro pro die d'abitudine. Per entrambi consiglierei un tabacco scuro, precombusto e predigerito, dunque moderno o proprio ben latakioso. Dolce o secco a seconda di orientamenti d'istinto e poi via, o l'uno o l'altro. Poi dall'indomani o anche subito attacca un'altra cosa, ma dovendomi inventare un vago criterio, adotterei questo, che poi è quello della supponibile (non) "irritabilità".
 Lo spettro ovviamente seguirebbe le massime diversità possibili, di taglio e nazionalità, che aiuterebbe subito a uscire dalle antinomie mediante profumi, che senvono solo per i men che principianti. Se un tabacco profumato è una variante d'una base, la categoria è la stessa con specifica in seconda battuta, altrimenti tabacchi opposti (e tanto più opposti anche per eventuale diversa profumazione) si trovano dalla stessa parte. Ora, tutti i generi sono imputabili della biforcazione in "natural e flavoured", a parte le EM, per cui vale meglio "chlassic e modern". Essendo aromatici tutti i tabacchi ancestrali, e tutti i tabacchi moderni, quando i primi non siano pressati (navali) o trinciati rurali (ecclesiali), possiamo parlare di "aromatic blends, biforcato in "old" e "modern". Tutti questi sono infatti abbastanza caratterizzati dal gioco V-(B)-C, e dal fatto che sono normalmente mixtures di taglio generoso. Ma è una concessione che non mi convince ancora completamente.
 Allo stato, tra cose qui reperibili, come spettro direi: Best Brown flake, Squadron Leader e Vintage Syrian , Trinciato Comune, Skipper Tabak, Amphora (marrone e-o rosso e-o verde), Mac Baren Scottish e Golden, Erinmore giallo, 7 seas bianco.
 
Quante pipe fumi in un giorno ?

 3-4 diverse, e circa il doppio delle pipate, ma molte brevi, abbastanza compulsive, anche, lo confesso.


Fumi anche sigari ? se si, quali ?

 Sì, anche sigari, soprattutto antichi toscani.


Il tuo fumare segue una qualche stagionalità (tipo latakia in inverno, dolci in estate) ?

 No, di tutto e sempre… d'estate un po' meno la pipa in sé, piuttosto.


Quali generi di pipe sono le tue predilette ? Esiste uno shape cui sei particolarmente affezionato ?

 Le pipe predilette sono singole, non tipi. Posso dire di non prediligere troppo peso e capienze per larghezza. Amo i cannelli lunghi, quasi "per signora", per somministrazioni speciali, in purezza. Ma anche per i flakes.


Esiste oggigiorno una certa tendenza ad inserire la pipa in nicchie sempre più elitarie ? Insomma la pipa è stata si anche quella del notaio, ma fu anche quella del bracciante. Sarà possibile salvare entrambe ?

 No, la pipa si è molto imborghesita in senso non necessariamente deteriore; ma è rimasta un po' "out" all'interno di questa stessa democratizzazione. Non immagino differenze se non di capacità di spesa tra un notaio e un operaio. Mentre l'iconografia rurale tende a sparire completamente, non i trinciati che l'hanno distinta, che vanno conservati ma forse finalmente adattati e meglio selezionati.
 
La pipa, contestualizzata nella frenesia d'oggi, ha ancora qualche carta ed asso da giocare ?

 Di tutti e di più, per rilassatezza, socievolezza, libido e volendo economia. In contesti di migliore filiera cognitiva e rapporto più sano e stretto con i produttori.


La pipa sopravviverà nei decenni a venire ? Se si, come te la immagini ?

 La pipa va con la specie umana, il problema è immaginare sopravvivenze d'ampio spettro. Ma il discorso "dis-topico" (o dis-inthopico) può farsi drammatico. Meglio per adesso fumarci sopra.
 
Per queli tabacchi del passato ormai scomparsi provi più nostalgia ?
 Si fuma meglio oggi, o ieri ?

 Si fumava meglio ieri, almeno tra raffronti interni al Vecchio Mondo. Ma se i "rigeneratori dell' impero", cioè i paesi che hanno sonnecchiato nella filiera breve medievale, in primis noi-sotto esclusive da monopolio- e soprattutto da un bel po' i tedeschi-liberi e attivissimi- riescono nei loro migliori intenti, il gap tra oggi e ieri va a ridursi notevolmente, posto che ad esempio il genere "Latakia"-e forse anche "Perique"- temo sia definitivamente perduto alle possibilità di un tempo.


Se ti chiedessi un ritratto di quello che ti salta in mente al pronunciare la parola "osteria", quale suggestione ci regaleresti ?

 L'Osteria è una chiesa gaia, luogo di socievolezza affettuosa e gioiosa. O cornice di solitudini che fuggono da un nido sfasciato per anestetizzare spaventosi dolori. Come anche luogo di gioco, come svago, azzardo, innocenza o depravazione. Ri-farne un luogo accogliente, ma non esclusivo, e ricco di poesia (anche quella popolare che tanto ha "spopolato" in questi ambienti) è impiantare una fondata speranza di salvezza.

TRATTO DA : Osteria della Melanotte

Offline StefanoG

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #113 il: 23 Gennaio 2013, 14:44:10 »
Tristan Tzara :
pseudonimo di Samuel Rosenstock :
(Moineşti, 16 aprile 1896 – Parigi, 25 dicembre 1963),
.... è stato un poeta e saggista rumeno di lingua francese e rumena.
 
Ebreo, visse per la maggior parte della sua vita in Francia. È conosciuto soprattutto per essere il fondatore del Dadaismo, un movimento di avanguardia rivoluzionaria nelle arti.
Il movimento Dada nacque a Zurigo durante la Prima Guerra Mondiale. Tzara scrisse i primi testi Dada, La première aventure céleste de Monsieur Antipyrine (1916), Vingt-cinq poèmes (1918) e il manifesto del movimento, Sept manifestes Dada (1924).
 
A Parigi, assieme ad altri artisti come André Breton, Philippe Soupault e Louis Aragon fu protagonista di attività artistiche rivoluzionarie con l’intento di scioccare il pubblico e di disintegrare le strutture del linguaggio. Alla fine del 1929, stanco del nichilismo e del distruzionismo, si unì ai suoi amici nelle attività più costruttive del Surrealismo. Si spese per conciliare il Surrealismo con il Marxismo ed entrò a far parte del Partito Comunista Francese nel 1937. Combatté in Spagna per la repubblica contro i franchisti e fu un attivo resistente francese nella Seconda guerra mondiale. Lasciò il Partito nel 1956, in protesta contro la repressione Sovietica della Rivoluzione Ungherese.
 
I suoi ideali politici lo portarono poco a poco a divenire un poeta lirico. Le sue poesie dicono l'angoscia della sua anima, presa in mezzo tra rivolta e meraviglia nella tragedia quotidiana della condizione umana. I suoi lavori maturi sono considerati L'Homme approximatif (1931) e continuarono con Parler seul (1950) e La face intérieure (1953), dove le parole, affiancate in modo anarchico nel Dada, sono sostituite da un linguaggio ancora difficile ma più esplicito.
 
Morì a Parigi nel 1963. Il suo corpo è interrato nel Cimitero di Montparnasse.

da Wikipedia


IL CORRIERE DELLA SERA IN PROPOSITO HA SCRITTO :
Per chi ha voglia di occuparsi dei grandi fenomeni spirituali della modernità, la «sindrome romena» è una materia obbligata. Ha arricchito la carta dell’Europa, già intersecata da innumerevoli rotte, di un’ulteriore linea d’energia, una freccia che da Bucarest (o da più sonnacchiose cittadine della provincia romena) punta dritta verso Parigi. Con le sue orrende dittature, la Storia si incaricherà ben presto di rendere questo movimento irreversibile, senza possibilità di ritorno, fino alla totale dissoluzione dell’idea di esilio in quella di destino. La lingua francese è abbastanza accogliente da trasformare le dure necessità della lontananza in straordinarie virtù artistiche. Ma questi romeni sono tutt’altro che disposti, una volta ottenuta l’ospitalità, a sperticarsi tutta la vita nelle lodi dei padroni di casa. La loro vocazione fondamentale, semmai, è una sovversione totale delle arti e dei saperi, capace di generare conseguenze irrimediabili, e dissidi mai sopiti.
 
Stiamo evocando il fantasma del più terribile di tutta questa banda di terribili romeni, nonostante l’aspetto distinto, e imodi gentilissimi. Era Samuel Rosenstock il vero nome di Tristan Tzara, cresciuto nella comunità ebraica di Bucarest, e accolto a Parigi, dopo la tappa fondamentale di Zurigo, come un nuovo Rimbaud, colui che si era spinto più oltre di tutti nei territori aperti dalle avanguardie. Scritti a partire dal 1916 e pubblicati nel 1924, i Sette manifesti Dada sono un’opera irresistibile di corrosione dei dogmi borghesi e di affermazione illimitata della libertà. Oggi gli stessi concetti di «avanguardia» e di «manifesto» ci appaiono remoti come reperti archeologici di civiltà estinte da millenni. Non potrebbe essere diversamente, eppure, unica eccezione possibile, nell’impresa dadaista c’è qualcosa che ancora ci può parlare da vicino, suggerirci un futuro. Tzara aggrediva i significati istituzionali del linguaggio, e le gerarchie immutabili che vi sono custodite, con le più lievi ma inesorabili delle armi: il riso infantile, il gioco, lo scherzo. Possedeva, insomma, segreti psicologici e risorse poetiche capaci di assicurare al suo messaggio quell’efficacia e quella leggerezza che sono condizione essenziale di ogni vera durata. Tzara fu in tutti i sensi un uomo giusto: combatté in Spagna contro i franchisti, partecipò alla Resistenza, e nel 1956 se ne andò dal Partito Comunista, per protesta contro i fatti d’Ungheria. Meno lineari, com’è fin troppo noto, sono state le vicende ideologiche dei tre più illustri protagonisti della sindrome romena, di una decina d’anni più giovani dell’inventore del Dadaismo. E se ogni storia che si rispetti possiede almeno un’immagine emblematica, non possiamo esimerci dall’evocare una fotografia ormai celebre, scattata nel 1977 da Louis Mounier nel cuore di Parigi, nell’incanto architettonico di Place Fürstenberg, a pochi passi da Saint-Germain-des-Prés. È un giorno freddo e tre uomini ormai anziani, riparati nei loro impermeabili, dialogano amabilmente, come si fa tra vecchi amici, in piedi al centro della piazza. Il più anziano dei tre, con la sua pipa, è Mircea Eliade, che ha appena raggiunto i settanta anni e da molto tempo insegna Storia delle religioni all’università di Chicago (ne farà, appena velata da un nome inventato, una perfida caricatura Saul Bellow nel suo ultimo libro, Ravelstein). Eugène Ionesco, al centro del gruppo, è del 1909, mentre Emil Cioran, il più giovane, è nato nel 1911. L’armonia di questa foto non è finta, ma nemmeno racconta tutta la verità. In un libro che ha fatto discutere, eloquentemente intitolato Il fascismo rimosso, Alexandra Laignel-Lavastine ha ricostruito una vicenda spinosa, nella quale le esperienze politiche vissute dai tre grandi scrittori nella Romania degli anni Trenta, prima di spiccare il volo per Parigi, sono oggetto di un inesausto tentativo di rimozione e cancellazione. È come se la scelta di una nuova patria e di una nuova lingua avesse significato, allora, una specie di lavacro rituale, di cancellazione dei peccati. I documenti resi pubblici dagli storici negli ultimi anni sono così abbondanti che sarà possibile a tutti ricavarne un giudizio più o meno negativo. A mio parere, nelle opere maggiori di questi scrittori si potrà ritrovare, tra tante inquietudini ed illuminazioni, una specie di anarchismo di destra, ma mai del fascismo, o del razzismo. E se lo storico ha sempre il diritto e il dovere di indagare, non si può mai negare, in un eterno e necessario gioco delle parti, all’eventuale colpevole il diritto di confondere le acque, e cancellare le tracce spiacevoli. Rimane il fatto che l’ingresso di questi tre spiriti straordinari nella nuova vita e nella nuova lingua ha qualcosa di solenne e quasi di leggendario. Penso aMircea Eliade asserragliato tra il 1946 e il 1948 in una stanza dell’Hotel de Suède, dove vive con la figliastra, scrivendo il Trattato di storia delle religioni e Il mito dell’eterno ritorno, raccontando in pagine limpide e gremite di citazioni suggestive il senso di quelle «ierofanie» durante le quali l’uomo vive l’esperienza del sacro come apparizione ed esperienza totale dell’essere. Proprio negli stessi mesi, durante un periodo di vacanza in Normandia nel quale tenta di tradurre Mallarmé in romeno, Cioran intuisce la possibilità di esprimersi in francese. Ed ecco che nel 1949 appare da Gallimard il Sommario di decomposizione, con quel suo memorabile attacco, la Genealogia del fanatismo, che converrebbe imporre come lettura obbligata in tutte le scuole («il passaggio dalla logica all’epilessia è consumato… così nascono le ideologie, le dottrine e le farse sanguinose»). Quanto a Ionesco, passano pochi anni, e arriva il giorno, nel 1952, in cui va in scena La cantatrice calva. In un minuscolo teatro del Quartiere Latino, non si smetterà di recitarla, fino ai nostri giorni, con la costanza di un rito religioso. In effetti, pochi atti di consapevolezza sulla natura del linguaggio umano e sulla sua connaturata assurdità sono paragonabili a questo di Ionesco. «Siamo stati visitati a fondo dagli Unni», scrisse una volta Cioran in una lettera privata, rievocando la Storia della sua patria. A sua volta visitata a fondo dai romeni, la nostra cultura ne ha ricavato un’inquietudine metafisica, un’idea del pensiero, una propensione all’azzardo che converrà custodire e trasmettere.
 
Emanuele Trevi
Il Corriere della Sera

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #114 il: 23 Gennaio 2013, 15:00:10 »
Maurizio Maggiani :

Scrittore :
Maurizio Maggiani (Castelnuovo di Magra 1951) con Feltrinelli ha pubblicato Vi ho già tutti sognato una volta (1990), Felice alla guerra (1992), Il coraggio del pettirosso (1995, premi Viareggio Rèpaci e Campiello 1995), màuri màuri (1996), La regina disadorna (1998, premi Alassio e Stresa per la Narrativa 1999), È stata una vertigine (2002, premio letterario Scrivere per amore 2003, finalista premio Chiara), Il viaggiatore notturno (2005, premio Ernest Hemingway, premio Parco della Maiella e premio Strega), Mi sono perso a Genova (2007) e, con Gian Piero Alloisio, Storia della meraviglia. 12 canzoni e 3 monologhi (2008).

Dice di Se sul proprio sito :
Sono nato il primo di ottobre del 1951 da Dino, detto Dinetto per il suo animo gentile, e da Maria, detta Adorna in memoria della mula preferita da suo padre, mio nonno Armando, detto Garibà, Garibaldi, per il suo carattere, portamento e tempra politica. Sono nato nella casa costruita da mio nonno con gli scarti della fornace di mattoni del paese a ridosso della via Aurelia, nella frazione Molicciara di Castelnuovo Magra, la piana che dai suoi abitanti è chiamata Luni, perché è lì, da qualche parte nei campi, che ancora inciampano sulle rovine dell’antica città romana. La casa aveva un’aia, un orto e al di là dell’orto i campi che i miei avevano in affitto per coltivare patate, cavoli e formentone; lì io sono cresciuto indisturbato e felice. La casa e l’orto sono ancora lì, abitati da chi è restato della mia famiglia, ma quando mio padre Dinetto si è fatto operaio, ha preso sua moglie e i suoi figli e li ha portati in città, alla Spezia. Lì io sono arrivato fino alla giovinezza in solitudine e desolata nostalgia. Quello che ho fatto di buono è andare a scuola, primo e unico nella mia famiglia a spingermi fino a un diploma. Sono stato licenziato con il diploma magistrale e il consiglio di proseguire gli studi alla facoltà di architettura; questo a ragione di una propensione all’arte che i miei esaminatori avevano intravisto non saprei dire dove, se non nel fatto che non ero bravo in niente, ma avevo una macchina fotografica e ci scattavo delle fotografie. Era una Zenit sovietica che Dinetto aveva comprato per sé con 40 rate mensili da 1000 lire l’una; assieme all’orologio Omega era il suo orgoglio, ma non ci ha mai scattato una fotografia: è sempre stata mia finché non l’ho venduta per comprarne un’altra. Tre mesi dopo il diploma facevo già il maestro nella quinta classe di un prefabbricato che faceva da scuola nella periferia operaia della città. Avevo diciannove anni e crescevo assieme ai miei alunni; erano gli anni delle sommosse, ed ero certo di lavorare per il mondo nuovo. Ho ancora quella certezza e penso anche di essere stato un buon maestro; ho insegnato nel corso degli anni in carcere, nelle sezioni speciali per handicappati e in quelle sperimentali per il loro inserimento, e oggi so che è il più bel mestiere che abbia mai fatto. Ma sono curioso e mi piace stare in movimento, e ero un giovane uomo nell’epoca in cui in questo paese era ancora possibile muoversi con curiosità lavorando per vivere. Ho cambiato lavori e città continuando a crescere. Non ricordo più bene tutto quello che ho fatto per campare, ma so che ma mia vita è sempre stata movimentata e ricca di momenti fortunati. A ventidue anni sono stato chiamato dalla Olivetti nei suoi servizi sociali, e il mio primo stipendio era il doppio di quello di mio padre; me ne sono andato via per amare perdutamente una donna così come andava fatto. Nel ’74 mi sono procurato il primo videoregistratore portatile in circolazione e ho provato a farci qualcosa con i ragazzini di una scuola di montagna; da allora non ho più smesso di pensare che qualunque strumento è buono per creare qualunque cosa, anche la più meravigliosa. Ma poi sono andato in giro a vendere pompe idrauliche e mi piaceva moltissimo; ho fatto il fotografo industriale, e ho girato film pubblicitari per gli industriali del marmo e gli stagionatori di prosciutti, mentre fabbricavo audiovisivi politici con l’idea che immagini e suoni potessero essere un buon modo per far discutere la gente; a quel tempo funzionava, anche se erano strumenti poco adatti agli effetti speciali. Nel momento del bisogno ho fatto anche il mercante di arte contemporanea abbastanza autentica, anche se non del tutto, e venditore di libri, soprattutto dei miei. E nel ‘78 mi sono rotto la schiena facendo delle riprese in una cava di granito, e mi sono cercato un posto adatto a chi si prende una gran paura: sono diventato pubblico impiegato. Nell’85 mi sono comprato, firmando 36 cambiali, un computer Apple, il primo che si fosse visto in circolazione, e con quello ho imparato a scrivere. Perché scrivere su quell’apparecchio mi dava un gran piacere tattile e visivo, perché ho scoperto che potevo costruire parole, e con le parole pensieri, che erano immagine composta così come si compone un’inquadratura fotografica, o cinematografica. E poi mi sono rotto una gamba in cinque pezzi, in uno strepitoso incidente di motocicletta, e tutto quello che ho potuto fare per tre lunghi anni è stato di volerle abbastanza bene per non lasciare che me la portassero via, e inventarmi qualcosa per non intristirmi di deboscia da antidolorifici. Con il mio Apple ho scritto una lettera al quotidiano della città e di lì in poi mi hanno chiesto di scrivere a pagamento; sempre con quello ho scritto una lettera a una donna e quella lettera è stata spedita a cura del mio miglior amico a un concorso per componimenti letterari inediti che divenne leggendario per la straordinaria partecipazione popolare. La lettera vinse il concorso sotto forma di racconto letterario. La lettera era intitolata “Prontuario per la donna senza cuore”, c’erano dei sospesi pesanti tra me e quella signora, e quel titolo è rimasto. Tra me e lei le cose non sono cambiate se non in peggio, ma ho cominciato a ricevere telefonate da editori che mi chiedevano se per caso avessi “qualcosa nel cassetto”. Il mio cassetto era vuoto, ed è sempre rimasto così, ma alla quinta telefonata ho detto che sì, avevo qualcosa. Ero curioso di vedere cosa sarebbe successo, non ho mai smesso di essere curioso, e sono diventato romanziere. Da allora credo di aver scritto e pubblicato una decina di storie romanzesche e un migliaio di articoli, qualcosa che assomiglia a una carriera. Comunque, vivo di quello, onorevolmente e con orgoglio mantengo la mia famiglia con il sudore delle mia dita e il patimento dei miei occhi. Come per tutto il resto che di buono mi è capitato nella vita, ed è stato molto, ne sono debitore alle fortunate coincidenze, all’amicizia di uomini e donne generosi, alle strade che cammino e agli incontri che mi regalano. Ah, adesso che mi viene in mente, ho fatto anche il conduttore televisivo, qualcosa come un centinaio di puntate di “La Storia siamo Noi”, nel ’99 se ricordo bene, e in quella occasione ho imparato molto di quello che mi piace e non mi piace fare. So che non mi piace lavorare più del necessario, e non mi piace neppure guadagnare più di quello che mi serve. E questo mi mantiene ancora in forma, nonostante sia un vecchio zoppo ormai ipovedente. L’anno passato ho ereditato l’orologio Omega di mio padre Dinetto e mi capita di far caso al suo tic tic tic. È un suono armonioso e rassicurante, il suono di una cosa fatta a regola d’arte.

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #115 il: 23 Gennaio 2013, 15:12:15 »
DANIEL PENNAC

Daniel Pennac : pseudonimo di Daniel Pennacchioni (Casablanca, 1º dicembre 1944),

....................................................... è uno scrittore francese.
 

Già autore di libri per ragazzi, nel 1985, comincia – in seguito ad una scommessa fatta durante un soggiorno in Brasile – una serie di romanzi che girano attorno a Benjamin Malaussène, capro espiatorio di "professione", alla sua inverosimile e multietnica famiglia, composta di fratellastri e sorellastre molto particolari e di una madre sempre innamorata e incinta, e a un quartiere di Parigi, Belleville.
Nel 1992, Pennac ottiene un grande successo con Come un romanzo, un saggio a favore della lettura.
« L'uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire. »
Nato nel 1944 in una famiglia di militari, passa la sua infanzia in Africa, nel sud-est asiatico, in Europa e nella Francia meridionale. Pessimo allievo, solo verso la fine del liceo ottiene buoni voti, quando un suo insegnante comprende la sua passione per la scrittura e, al posto dei temi tradizionali, gli chiede di scrivere un romanzo a puntate, con cadenza settimanale.
 Ottiene la laurea in lettere, all'Università di Nizza, diventando contemporaneamente insegnante e scrittore.
La scelta di insegnare, professione svolta per ventotto anni, a partire dal 1970, gli serviva inizialmente per avere più tempo per scrivere, durante le lunghe vacanze estive. Pennac, però, si appassiona subito alla professione di insegnante.
 Inizia l'attività di scrittore con un pamphlet e con una grande passione contro l'esercito (Le service militaire au service de qui?, 1973), in cui descrive la caserma come un luogo tribale, che poggia su tre grandi falsi miti: la maturità, l'uguaglianza e la virilità. In tale occasione, per non nuocere a suo padre, militare di carriera, assume lo pseudonimo Pennac, contrazione del suo cognome anagrafico Pennacchioni.
 Abbandona la saggistica in seguito all'incontro con Tudor Eliad, con il quale scrive due libri di fantascienza: (Les enfants de Yalta, 1977, e Père Noël, 1979) ma che ebbero scarso successo commerciale. Successivamente, decide di scrivere racconti per bambini.
 Nel 1997 scrive Messieurs les enfants. Ma, soprattutto, scopre il romanzo giallo. In séguito, scommettendo contro amici che lo ritenevano incapace di scrivere un romanzo giallo, scrive Au bonheur des ogres.

da Wikipedia


La Feltrinelli di lui scrive :
Daniel Pennac, già professore di francese in un liceo parigino, è autore della serie di romanzi di straordinario successo centrati sulla figura di Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, e della sua colorita famiglia, tutti editi da Feltrinelli tra il 1991 e il 1999: Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola, Signor Malaussène e La passione secondo Thérèse, oltre a Ultime notizie dalla famiglia; sempre con Feltrinelli, ha pubblicato il saggio sulla lettura Come un romanzo (1993), il romanzo Signori bambini (1998), la storia a fumetti Gli esuberati, con disegni di Jacques Tardi (2000), il romanzo Ecco la storia (2003), il monologo Grazie (2004) e la sua rielaborazione L’avventura teatrale. Le mie italiane (2007), il racconto La lunga notte del dottor Galvan (2005) e Diario di scuola (2008). Pennac ha vinto il Premio internazionale Grinzane Cavour “Una vita per la letteratura” nel 2002.

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« Ultima modifica: 18 Febbraio 2013, 13:04:37 da StefanoG »

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #116 il: 23 Gennaio 2013, 15:28:23 »
Paolo Canè:
Scrittore :
Bolognese, grande appassionato di storia e di letteratura dialettale, è nato nella città delle due torri nel 1939.
Diplomatosi in studi tecnico commerciali, dedicata una vita professionale all’azienda di famiglia, poi ad una lunga attività nel settore dei giocattoli.
Una volta in pensione, ha finalmente potuto dedicarsi alle sue passioni in campo umanistico e musicale, in altri termini:
Suonare ed a, scrivere.
 Ha compiuto interessanti studi e ricerche soprattutto in campo dialettale, spaziando dalla storia medievale alla letteratura di interesse regionale.
 Di recente ha pubblicato in coppia con Tiziano Costa e per la «Collana di storie bolognesi» della Costa Editore:
Vgnì mò qué bulgnìs (2006 ristampato nel 2007) e Brisa par critichèr (2008).

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #117 il: 23 Gennaio 2013, 17:31:32 »
Giovanni Maria Flick :
(Cirié, 7 novembre 1940)

.....è un giurista e politico italiano.
Ministro della Giustizia del governo Prodi I.
Presidente della Corte costituzionale dal 14 novembre 2008 al 18 febbraio 2009.

Cresciuto in una famiglia di tradizioni cattoliche, padre di origine tedesca, quinto di sette figli, studiò presso l'Istituto Sociale, la scuola dei Padri Gesuiti di Torino. Iscritto all'Università Cattolica di Milano nel 1958, vinse una borsa di studio che gli permise di studiare presso il Collegio Augustinianum. Dopo la laurea in giurisprudenza, nel 1962, vinse il concorso per entrare in magistratura.
 Dal 1964 al 1975 è stato magistrato al tribunale di Roma, sia come giudice sia come pubblico ministero. In questi anni ha insegnato come professore incaricato di istituzioni di diritto e procedura penale presso l'Università di Perugia e come professore incaricato di diritto penale presso l'Università di Messina. Nel 1980 diviene professore ordinario di Diritto penale alla Luiss e inizia a svolgere la professione di avvocato penalista. Ha collaborato anche come editorialista per Il Sole 24 Ore e per La Stampa.
 Nel 1996 è stato nominato Ministro di Grazia e Giustizia del governo guidato da Romano Prodi. Presenta lo stesso anno in Parlamento una serie di leggi organiche di riforma del sistema giudiziario che verranno approvate quasi integralmente, in un iter che terminerà alla fine del 1999. Fra queste vi è l'istituzione di un singolo giudice per i reati di entità minore che prima richiedevano l'impiego di tre magistrati, varato con l'intento di venire incontro al problema della lentezza dei procedimenti giudiziari italiani.
 Dopo l'esperienza di ministro, è stato scelto dal governo D'Alema I come rappresentante italiano nella Commissione per i diritti umani europea.
 Il 14 febbraio 2000 è stato nominato giudice della Corte costituzionale dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi; ha giurato il 18 febbraio.
 Il 17 novembre 2005 è stato nominato vicepresidente della Corte dal neoeletto presidente Annibale Marini e confermato nella carica l'11 luglio 2006 dal neoeletto presidente Franco Bile.
 Il 14 novembre 2008 viene eletto 32º presidente della Corte Costituzionale. Cessa dalla carica il 18 febbraio 2009.[1]
 Dal 18 gennaio 2012 è il nuovo presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, succedendo a Don Luigi Maria Verzé.[2]
 Il 27 aprile 2012, a seguito di votazioni degli studenti di tutte le Facoltà di Giurisprudenza italiane, ha ricevuto da ELSA Italia (The European Law Students' Association - Italia) il Premio Giurista dell'Anno 2012.
 È poi scelto come delegato del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, a titolo gratuito, al Tavolo di coordinamento per l’Expo 2015[3].
 Il 14 gennaio 2013 si autosospende dal ruolo di garante per candidarsi alle elezioni nelle liste di Centro Democratico
Onoreficenze : Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana

da Wikipedia

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #118 il: 23 Gennaio 2013, 18:12:39 »
DI QUESTO ARTISTA, NON SONO SICURISSIMO CHE FUMI LA PIPA...HO SOLO TROVATO UNA FOTO INERENTE

Art Spiegelman (Stoccolma, 15 febbraio 1948) è un fumettista statunitense.
 
Spiegelman è codirettore della rivista di fumetti e grafica Raw, di cui è stato uno dei fondatori, ed è tra gli artisti che hanno compilato e illustrato graficamente i lemmi del Futuro dizionario d'America (The Future Dictionary of America, pubblicato da McSweeney's nel 2005).
Ha pubblicato svariati lavori su riviste statunitensi come New York Times, Village Voice e New Yorker.
Di quest'ultimo da anni è anche art director. In Italia le sue storie sono pubblicate dal settimanale Internazionale.
 
Nel 1982 ha ricevuto il Premio Yellow Kid a Lucca comics.
Attualmente insegna alla School of Visual Arts di New York.
Art Spiegelman deve la sua fama principalmente ad un'unica opera, Maus, un romanzo grafico (auto)biografico pubblicato tra il 1973 ed il 1991, dove si narra la storia del padre, Vladek Spiegelman, un ebreo polacco sopravvissuto alla Shoah.
Maus usa la forma di fumetto allegorico (i nazisti sono gatti, gli ebrei topi, gli americani cani, i polacchi maiali, i francesi rane e i russi orsi) per dare corpo all'essenza della narrazione spogliandola degli elementi di identificazione e lasciando l'essenza della dimensione tragica. Di questo romanzo - che nel 1992 gli ha fruttato uno speciale premio Pulitzer - Umberto Eco ha detto: «Maus è una storia splendida; ti prende e non ti lascia più».
Dopo avere visto i suoi lavori pubblicati sulle più autorevoli riviste e anche giornali americani, Spiegelman coltiva ugualmente molti progetti per il futuro, fra i quali un prototipo di rivista-libro da fare uscire annualmente intorno a Natale, con lo scopo che gli adulti la comprino per leggerla ai bambini (quindi il target è localizzato nei bambini in età prescolare). Questa rivista, Little Lit, dovrebbe trattare argomenti seri come politica, economia, cultura, e attualità, ma con un linguaggio comprensibile per i bambini più piccoli e che interessi sia i piccoli ascoltatori che i lettori ormai adulti.
Inoltre sta lavorando ad un'altra opera di carattere teatrale, Drawn to death (un gioco di parole in inglese sul doppio significato di drawn, "disegnato" e "trascinato" fino alla morte), presentata in anteprima in un video di una conferenza svoltasi a Milano. Fra le tante dichiarazioni e interviste rilasciate ai giornali merita una particolare attenzione una dichiarazione fatta al quotidiano Diario (uscito il 29 settembre 2001) riguardo al film di Roberto Benigni vincitore di 3 premi Oscar La vita è bella:
 «Benigni è pericoloso ne La vita è bella perché riprende la storia reale per trasformarla in fantasia. Usa la forma della metafora per dire che Auschwitz non è Auschwitz, ma solo un sinonimo di un brutto periodo: è terribile, è una vergogna. Sembra che alla fine l'unica cosa importante sia prendere i brutti periodi con ironia. Anche Maus usa la metafora, ma per aiutare a capire una storia precisa, circostanziata, e poi è una metafora che sfuma nella drammaticità del racconto.»

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #119 il: 23 Gennaio 2013, 18:19:09 »
Elio Pagliarani:
(Viserba, 25 maggio 1927 – Roma, 8 marzo 2012)
.....è stato un poeta italiano appartenente al gruppo '63, presente con i suoi scritti nell'Antologia I Novissimi del 1961 e autore di molte opere.
 
La sua opera più significativa è un poemetto sperimentale intitolato La ragazza Carla; apparso dapprima su una rivista letteraria nel 1960, è stato successivamente pubblicato in volume nel 1962.
Laureatosi in Scienze politiche a Padova, si trasferisce negli anni quaranta a Milano, dove lavora nella scuola e collabora a giornali e riviste. Negli anni sessanta il poeta si trasferisce a Roma, abitando, fra l'altro, dalla fine degli anni '60 al 1991, nello storico indirizzo di Via Margutta 51 A, interno 29, quello la cui terrazza, un tempo fiorita di gelsomini, rose e viole, troneggia sull'ampio giardino a ghiaietta dello stabile. Collaboratore attivo e presente sulla scena della nuova cultura, Pagliarani, collabora alle più importanti riviste del secondo Novecento, tra le quali Officina, Quindici, Il Verri, Nuovi argomenti, Il Menabò.
Nel 1971 fonda la rivista Periodo Ipotetico diventandone il direttore; fa pure parte della redazione di Nuova Corrente. Negli anni Ottanta fonda e dirige con Alessandra Briganti la rivista di Letterature Ritmica.
Negli anni cinquanta svolge la sua attività come redattore dell'Avanti e a partire dal 1968, diventa critico teatrale per Paese Sera.
Oltre a far parte del Gruppo 63 e ad essere presente nell'antologia dei Novissimi, fu tra i fondatori della Cooperativa di scrittori
Risale al 1954 la sua prima raccolta di poesie, Cronache e altre poesie a cui seguiranno Inventario privato nel 1959 e, nello stesso anno, nel n.14 di Nuova Corrente "Progetti per la ragazza Carla". Il poemetto sarà poi interamente pubblicato nel 1960 nel n.2 de Il Menabò e ripubblicato nel 1962, insieme alla precedente produzione con il titolo La ragazza Carla e altre poesie.
Nel 1964 l'autore pubblica Lezione di fisica che nel 1968 farà parte di Lezioni di fisica e Fecaloro.
Inizia in questo periodo la stesura de La ballata di Rudi, il suo secondo romanzo in versi, di cui una parte verrà pubblicata nel 1977 con il titolo Rosso corpo lingua oro pope-papa scienza. Doppio trittico di Nandi mentre l'edizione definitiva e completa si avrà solamente nel 1995.
 La ballata di Rudi narra le vicende del protagonista eponimo e di una serie di personaggi di contorno, nell'arco di trent'anni.
 Rudi è un animatore / di balli sull'Adriatico che nel dopoguerra si reinventa lenone in un night-club di Milano. Ai componimenti che raccontano le gesta di Rudi e altri personaggi sordidi, si alternano riflessioni di poetica (la straordinaria A spiaggia non ci sono colori) e memorie della vita dei braccianti del mare, in contrapposizione violenta con lo sfacelo morale dell'Italia degli anni Cinquanta. Dopo la morte di Rudi nei primi anni sessanta le cose non migliorano, come suggerisce la poesia Contatta Sagredo, dove personaggi ancora più amorali entrano in scena.
Il poemetto si chiude con un'epigrafe che è una proposta di resistenza e riapre uno spiraglio di ottimismo : Ma dobbiamo continuare / come se / non avesse senso pensare / che s'appassisca il mare.
Tra l'ultima produzione si segnala La bella addormentata.
Dal 1988 è stato direttore della videorivista internazionale di poesia VIDEOR.

È scomparso nel 2012 all'età di 84 anni.

La poesia di Pagliarani affronta temi realistici, come quello del lavoro, dell'economia e della vita delle classi subalterne, trasfigurando il testo poetico fino a trasformarlo in un racconto con andamento "polifonico" e "corale" che diventa, con il trascorrere del tempo, sempre più frammentario e discontinuo.
 
Pagliarani sperimenta il verso lungo attraverso il verso "a scaletta" ripreso dalla poesia di Majakovskij rendendo così la poesia tipico mezzo di analisi del vissuto.

Da Wikipedia

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