Autore Topic: Autori con la pipa in bocca  (Letto 317828 volte)

Offline Aqualong

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #15 il: 06 Marzo 2006, 15:46:53 »
Frammenti: acuni autori parlano poco di pipe,pur amandole,perchè a volte il loro genere letterario poco s'adatta,ma appena possono infilano una pipa nel racconto per uno scopo preciso.




La pipa come allegoria per spiegare il carattere di un fanullone

Kafka

Il Castello


 Lei non è mai stato nella nostra sala a mezzogiorno, non conosce i nostri clienti del mezzogiorno, allora ce n'erano anche di più, in seguito ne abbiamo persi parecchi. E il risultato fu che non solo siamo riusciti a pagare regolarmente l'affitto, ma dopo qualche anno abbiamo acquistato tutto e oggi non abbiamo quasi più debiti. L'altro risultato, però, è che io mi sono distrutta, mi sono ammalata di cuore e ormai sono una vecchia. Lei crederà che io sia molto più anziana di Hans, ma in realtà lui ha solo due o tre anni meno di me e certo non invecchierà mai, perché con il lavoro che fa - fumare la pipa, stare ad ascoltare i clienti, poi svuotare la pipa e qualche volta andare a prendere una birra -, con il lavoro che fa non s'invecchia».
   «Quello che lei ha fatto è ammirevole», disse K., «non c'è dubbio, ma stavamo parlando del periodo precedente al suo matrimonio, allora sarebbe stato strano che la famiglia di Hans spingesse al matrimonio facendo dei sacrifici finanziari o quanto meno assumendosi un rischio così grande come quello di affidarvi la locanda, sperando nella sua capacità di lavoro, che ancora non conosceva, e in quella di Hans, di cui doveva essersi già accorta che era inesistente».
   «Ma sì», disse l'ostessa stanca, «so dove vuole andare a parare e anche quanto si sbaglia. In tutto questo





La pipa e un corno come elementi centrali di una scenografia,oggetti simili con forti analogie ma non uguali nella sostanza,tutto intorno,colore,dialoghi,la gente,i personaggi


(perdonate,specialmente gli autori,per dovere di cronaca correggo)

Luigi Illica e Giuseppe Giacosa

Bohème

Un crocicchio di vie che al largo prende forma di piazzale; botteghe, venditori di ogni genere; da un lato, il Caffè Momus.
La vigilia di Natale.
Gran folla e diversa: borghesi, soldati, fantesche, ragazzi, bambine, studenti, sartine, gendarmi, ecc. Sul limitare delle loro botteghe i venditori gridano a squarciagola invitando la folla de' compratori. Separati in quella gran calca di gente si aggirano Rodolfo e Mimì da una parte, Colline presso la bottega di una rappezzatrice; Schaunard ad una bottega di ferravecchi sta comperando una pipa e un corno; Marcello spinto qua e là dal capriccio della gente. Parecchi borghesi ad un tavolo fuori del Caffè Momus. È sera. Le botteghe sono adorne di lampioncini e fanali accesi; un grande fanale illumina l'ingresso al Caffè.

Schaunard
(dopo aver soffiato nel corno che ha contrattato a lungo con un venditore di ferravecchi)
Falso questo Re!
Pipa e corno quant'è?
(Paga .)


Marcello
(tutto solo in mezzo alla folla, con un involto sotto il braccio, occhieggiando le donnine che la folla gli getta quasi fra le braccia)
Io pur mi sento in vena di gridar:
Chi vuol, donnine allegre, un po' d'amor!
Facciamo insieme a vendere e a comprar!
Un venditore
Prugne di Tours!
(Entra un gruppo di venditrici.)
Marcello
Io dò ad un soldo il vergine mio cuor!
(La ragazza si allontana ridendo.)
Schaunard
(Va a gironzolare avanti al caffè Momus aspettandovi gli amici: intanto armato della enorme pipa e del corno da caccia guarda curiosamente la folla.)
Fra spintoni e testate accorrendo
affretta la folla e si diletta
nel provar gioie matte... insoddisfatte...

Musetta
(ad Alcindoro, ribellandosi)
Io voglio fare il mio piacere!
Voglio far quel che mi par,
non seccar! non seccar!
Mimì
Quell'infelice
mi muove a pietà!
Colline
(Essa è bella, io non son cieco,
ma piaccionmi assai più
una pipa e un testo greco!)
Mimì
(stringendosi a Rodolfo)
T'amo!
Quell'infelice mi muove a pietà!
L'amor ingeneroso è tristo amor!
Quell'infelice mi muove a pietà!
Rodolfo
(cingendo Mimì alla vita)
Mimì !
È fiacco amor quel che le offese
vendicar non sa!
Non risorge spento amor!

Schaunard
(Quel bravaccio a momenti cederà!
Stupenda è la commedia!
Marcello cederà!)
(a Colline)
Se tal vaga persona,
ti trattasse a tu per tu,
la tua scienza brontolona
manderesti a Belzebù!





La pipa come ultimo e supremo desiderio e sua trasformazione in nemesi


Hans Cristian Andersen
 

l'acciarino

Appena fuori dalla città era stata innalzata una grande forca, circondata da soldati e da molte centinaia di migliaia di persone. Il re e la regina erano seduti sul trono proprio di fronte al giudice e al consiglio.
Il soldato si trovava già in cima alla scala, ma prima che gli legassero il laccio intorno al collo, disse che si deve concedere sempre un ultimo desiderio al condannato, e lui desiderava tanto fumarsi la pipa; in fondo sarebbe stata la sua ultima fumata di pipa in questo mondo!
Il re non volle negargli il permesso; il soldato prese il suo acciarino, fece fuoco e, un, due, tre comparvero i tre cani, quello con gli occhi grandi come tazze da tè, quello con gli occhi come ruote di mulino e quello i cui occhi sembravano la Torre Rotonda.
"Aiutatemi perché non venga impiccato!" gridò il soldato e subito i cani si precipitarono tra i giudici e il consiglio, afferrarono uno alle gambe e uno per il naso e li lanciarono in aria, così in alto che, ricadendo, si ruppero in mille pezzi.
"Non voglio!" gridò il re, ma il cane più grosso prese sia lui che la regina e li gettò dietro tutti gli altri. In quel momento i soldati si spaventarono e la gente gridò: "Soldatino, tu devi diventare nostro re e sposare la graziosa principessa!".
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #16 il: 06 Marzo 2006, 23:00:28 »
Emilio Salgari
nasce a Verona nel 1862 lo scenario dei suoi romanzi è fatto di mari e nature lontane e selvagge. Il cuore pulsante della narrazione è l’avventura,forte fumatore di pipa,si dice che senza pipa in bocca,spenta o accesa non scrivesse.
Usa la pipa nei romanzi per sottolineare il carattere del personaggio e l'atmosfera del momento.

Alla conquista di un impero


Il pirata prese da una mensola una splendida pipa adorna di perle lungo la canna, la riempì di tabacco, l'accese e si sdraiò su uno dei divani, come un pascià turco, mettendosi a fumare con studiata lentezza.


Il pirata  fumava placidamente il suo cibuc, gettando in aria, con lentezza misurata, delle nuvole di fumo, fece col capo un cenno affermativo.


Caricò rabbiosamente la pipa, l'accese e si mise a fumare con furia, guardando la jungla che fiammeggiava sempre dietro gli elefanti.
Tremal-Naik gli batté su una spalla.
- Quel giorno, - gli disse, - spero che mi avrai per compagno.
- Ti accetto fin d'ora, - rispose la Tigre della Malesia.


Accese il suo cibuc e si sedette sulla murata di prora, lasciando penzolare le gambe sul fiume che rumoreggiava intorno alla bangle. Il sole stava allora tramontando dietro le alte cime dei palas, quei bellissimi alberi dal tronco nodoso e massiccio, coronato da un fitto padiglione di foglie vellutate, d'un verde azzurrognolo, donde partono degli enormi grappoli fiammeggianti, dai quali si ricava una polvere color di rosa, adoperata dagli indù nelle feste di Holi.

Caricò il suo cibuc, lo accese e si mise a fumare flemmaticamente, mentre il suo amico arrotolava una foglia di betel dopo d'avervi messo dentro un pizzico di calce ed un pezzetto di noce d'aracchiero per cacciarsela poi in bocca, droga splendida, affermano gli indiani, che conforta lo stomaco, fortifica il cervello, cura l'alito cattivo, ma che invece annerisce i denti e fa sputare saliva color del sangue.


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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #17 il: 07 Marzo 2006, 11:04:06 »
Stephen King

E' una figura imponente: alto un metro e novantatré centimetri, pesa circa un quintale ed è un po' curvo, forse per tutto il tempo speso alla macchina per scrivere e al computer. Ha gli occhi azzurri e folti capelli nero corvino. Porta occhiali da vista, sin da quando era bambino, ma talvolta mette le lenti a contatto. Si fa crescere la barba d'inverno per proteggersi dal freddo del Maine. Ama le gite in canoa, nuotare, la chitarra (ma confessa di non saperla suonare) e il videoregistratore. E' un tifoso accanito della squadra di baseball di Boston, i Red Sox, per i quali scrive articoli sui giornali più importanti d'America.
Fumatore di pipa, la pipa nei suoi "pochi" romanzi o racconti c'è sempre,naturalmente inserita alla Stephen King.

Cose Preziose

Così Brian guardò. C'erano solo cinque articoli nella vetrinetta
più grande, che avrebbe potuto comodamente contenerne un'altra
ventina o più. C'era una pipa. C'era una foto di Elvis Presley nella
sua tuta bianca con la tigre sulla schiena e un fazzoletto rosso. Il Re
(così lo chiamava sempre sua madre) si teneva un microfono davanti alle labbra da putto.

La osservò con gli occhi castani vibranti di ansia premurosa con
il forte impulso ad assecondare che hanno molti cani. Pete Jerzyck
aveva imparato precocemente e bene. Aveva anche lui i suoi mo-
menti di sbadataggine, ma era passato molto tempo dall'ultima vol-
ta in cui entrando l'aveva trovato sul divano con le scarpe ai piedi
e più tempo ancora dall'ultima volta che aveva osato accendere la
pipa in casa; e sarebbe stata una giornata di neve in pieno agosto
quando si fosse dimenticato di riabbassare l'asse del water dopo aver orinato.


Era la coda di volpe. La coda di volpe parlava. E Hugh aveva
riconosciuto subito la voce. Era la voce di Leland Gaunt. Aveva
preso la coda, assaporandone come sempre la sontuosa morbidezza,
una sensazione che era un po' come la seta e un po' come la lana e
in realtà come niente altro che il suo misterioso se stesso.
Grazie, Hugh, aveva detto la coda di volpe. Là dentro si soffo-
ca. E hai lasciato sulla mensola una vecchia pipa. Non ti dico come puzza. Puh!
Vuoi andare da qualche altra parte? aveva chiesto lui. Si senti-
va un po' stupido a parlare a una coda di volpe, anche se era solo un sogno.


Everett Frankel, l'assistente di Ray Van Allen, sognò di infilarsi in bocca la pipa nuova solo per scoprire che il bocchino si era trasformato in una lama di rasoio che gli aveva tranciato la lingua.


Normalmente Everett avrebbe accolto male la prospettiva di
una visita a domicilio di primo mattino, specialmente così fuori
mano in mezzo alla campagna, ma, considerata
la temperatura eccezionalmente alta, vi si dispose di buon grado.
E poi c'era la pipa.
Appena a bordo della sua Plymouth, abbassò lo sportellino del cruscotto e la prese.
 Era una Meerschaum, con un fornello largo e
profondo. Era stata creata dalle mani di un mastro artigiano, quella
pipa; intorno al fornello s'intrecciavano uccelli in volo e fiori e
rampicanti in un disegno che sembrava cambiare a seconda dell'angolazione
dalla quale lo si guardava. Aveva lasciato la pipa nel vano
del cruscotto non solo perchè in ambulatorio era proibito fumare,
ma perchè non gli andava l'idea che la gente lo vedesse e con gente
intendeva in particolare quella ficcanaso di Nancy Ramage. Prima
avrebbero voluto sapere dove l'aveva presa, poi avrebbero preteso
di sapere quanto l'aveva pagata.
E qualcuno avrebbe potuto invidiargliela al punto da tramare di fregargliela.
S'infilò il cannello fra i denti e di nuovo si meravigliò di quanto
se la sentisse comoda, di quanto perfettamente fosse al suo posto.
Inclinò lo specchietto retrovisore per rimirarsi e approvò senza riserve
ciò che vide. Gli sembrava che la pipa gli desse un'aria più
matura, lo facesse apparire pi- saggio e attraente. E quando aveva
la pipa stretta fra i denti, con il fornello rivolto all'insù giusto di quel
tanto che era segno di disinvoltura e mai di arroganza,
si sentiva più maturo, più saggio, più attraente.
Parcheggiò, fece per scendere e ricordò di avere la pipa ancora
stretta fra i denti. Se la tolse di bocca (con una lieve fitta di rimpianto)
e la chiuse a chiave nel cruscotto.
Aveva già compiuto i primi
passi sul marciapiede, quando ci ripensò e tornò alla Plymouth a
bloccare anche gli sportelli. Con una bella pipa come quella, meglio
non correre rischi. Chiunque avrebbe potuto sentire la tentazione di
rubare una pipa come quella. Chiunque.


Appena seduto di nuovo al volante, la prima cosa che fece fu di
aprire il vano del cruscotto, riporvi la busta con scritto Amore e
prendere la pipa. Un particolare che ricordava era che il signor
Gaunt l'aveva preso in giro, sostenendo che quella pipa era appartenuta
a Conan Doyle. E lui quasi ci cascava. Che scemo. Bastava
mettersela in bocca e chiudere i denti sul cannello per avere la
risposta giusta. Il vero proprietario era stato Hermann Goring.

Avviò il motore e ripartì. Durante il tragitto sino alla fattoria
Burgmeyer dovette accostare almeno due volte per fermarsi ad ammirare
il bell'aspetto che gli rendeva la pipa.

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« Risposta #18 il: 07 Marzo 2006, 13:22:01 »
Citazione da: "Aqualong"



Leoncavallo

Bohème

Un crocicchio di vie che al largo prende forma di piazzale; botteghe, venditori di ogni genere; da un lato, il Caffè Momus.




Mi sa che non è Leoncavallo....il musicista era Puccini, e i librettisti erano Illica e Giacosa.
Non me ne volere.. :wink:
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« Risposta #19 il: 07 Marzo 2006, 14:01:34 »
Io ha citato Leoncavallo come scrittore e ho tirato fuori la sua Boheme che è una piccola rarità,allego una recensione della sua vita.

La vita di Ruggero Leoncavallo
 
 

Compositore italiano: figlio di un magistrato, inizia privatamente a studiare il pianoforte, per poi entrare nel 1866 al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, dove si diploma nel 1874.

Contemporaneamente si iscrive alla facoltà di lettere dell'università di Bologna e segue i corsi del Carducci; si laurea all'età di 20 anni, dopo aver anche compiuto la partitura dell'opera storica "Chatterton", che verrà rappresentata solo nel 1896 a fama raggiunta.

Si mantiene insegnando privatamente il pianoforte e suonando nei caffè concerto in Francia e in Inghilterra, quando uno zio, direttore della Stampa al Ministero degli Esteri, lo invita in Egitto dove dal 1882 è attivo per qualche anno presso la corte.

Ma la guerra anglo-egiziana costringe Leoncavallo a lasciare l'Egitto e a trasferirsi in Francia: qui, grazie al baritono Maurel, entra in contatto con l'editore Ricordi, da cui ottiene la commissione per una trilogia, il "Crepusculum", che nelle intenzioni del compositore deve comprendere "I Medici", "Savonarola" e "Cesare Borgia".

Leoncavallo riuscirà solo a comporre "I Medici", che andrà in scena senza troppo successo nel 1893.

Nel frattempo, stimolato dal successo di "Cavalleria rusticana" di Mascagni, Leoncavallo si dedica febbrilmente alla stesura di una nuova opera.

In 5 mesi di lavoro a Vacallo, in Svizzera, mette a punto musica e testo dei "Pagliacci".

Il libretto è tratto da un processo tenuto dal padre durante l'infanzia del musicista: i "Pagliacci" si presenta così non come una vicenda verosimile, ma vera.

Inoltre si presta a far rivivere il vecchio trucco del teatro nel teatro: Leoncavallo, non ancora soddisfatto, fa precedere l'opera da un prologo dove si enuncia un vero e proprio manifesto del verismo musicale; l'opera, presentata nel 1892 al Teatro Dal Verme di Milano con la direzione di Toscanini,è un clamoroso successo.

Da quel momento in poi il nome del compositore si diffonde anche all'estero e questo nonostante il fatto che il musicista non riesca a replicare quella fortunata combinazione.

Prova anche a scrivere una sua "Bohéme", diversa da quella pucciniana nella sua conduzione verista e nell'attenzione maggiore posta sui personaggi di Marcello e Musetta: il risultato è ottimo, ma la fortuna della "Bohéme" di Puccini mette in ombra quella di Leoncavallo.
 
 :D  :D  :D  8)
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« Risposta #20 il: 07 Marzo 2006, 14:28:22 »
Citazione da: "Aqualong"
Io ha citato Leoncavallo come scrittore e ho tirato fuori la sua Boheme che è una piccola rarità,allego una recensione della sua vita.




Si ho capito....ma il libretto da te riportato è quello musicato da Puccini...
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« Risposta #21 il: 07 Marzo 2006, 14:49:45 »
Purtroppo no, per sua sfortuna quel libretto non lo ha mai musicato nessuno e secondo me valeva la pena di farlo,in quanto molto vivo ha un chè di quadro impressionista,probabilmente era meno attuale per quei tempi.
Anzi per vivacizzare un po'lo allego il link



                               



http://www.karadar.com/Librettos/leoncavallo_boheme.html
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« Risposta #22 il: 07 Marzo 2006, 15:18:16 »
Enzo, QUESTA è la Boheme di Puccini!!!!!

E' proprio lei, parola per parola, forse è sbagliata l'hai fonte dai cui la presa, prova anche ad ascoltare l'inizio e sentirai che è proprio LEI!!


Comunque...clicca http://opera.stanford.edu/Puccini/LaBoheme/libretto.html
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« Risposta #23 il: 07 Marzo 2006, 15:48:51 »
Vero! c'è un errore alla fonte ed i libretti sono molto simili,urge correggere,haimè.
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« Risposta #24 il: 07 Marzo 2006, 16:20:48 »
Se trovate altre imprecisioni segnalatelo,io sono un po' zuccone ma alla quinta volta che me lo dicono mi accorgo dell'errore.
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« Risposta #25 il: 07 Marzo 2006, 23:43:27 »
 Guy de  Maupassant

La narrativa di Maupassant consiste in una serie di 'tranche de vie', stese in modi naturalistici veri e propri affreschi o palcoscenici dove vanno in scena piccoli drammi.
Sono storie che hanno temi ricorrenti: le crudeltà della guerra, l'indifferenza dei più, la mediocrità della vita borghese. L'atteggiamento dello scrittore è quello dello spettatore di una realtà banale o tragica in cui ognuno è condannato a subire.
Probabilmente sul suo umore letterario influì una malattia venerea congenita,di cui alla fine morì.
Fumatore di pipa come molti uomini del suo tempo,usava la pipa nei suoi racconti per scolpire personaggi caratteristici ma veri

 Una Vita

Ma poi c'erano le gite a Yport col barone. Una sera che si trovavano sulla spiaggia si fece avanti papà Lastique con la pipa.
Senza pipa papà Lastique sarebbe parso un papà Lastique senza naso.

Giovanna, tenendosi in bilico, un po' stordita dal dondolio delle onde, guardava lontano lontano e le sembrava che al mondo ci fossero tre sole cose belle: la luce, l'acqua, lo spazio. Non parlava, e nessun altro parlava. Papà Lastique teneva la barra e la scotta, ma di quando in quando beveva un sorso da una bottiglia nascosta sotto la panca, e fumava senza tregua in quel suo moncherino di pipa che sembrava inestinguibile. La pipa di Lastique! Ne usciva sempre un sottile filo azzurrognolo mentre la stessa spira di fumo sfuggiva a lui dall'angolo della bocca: né mai lo si vedeva occupato col suo fornello di terra, più nero dell'ebano, per accenderlo o per ricaricarlo di tabacco. Solo qualche volta egli avvicinava la mano alla pipa, se la toglieva di bocca, e dallo stesso angolo donde usciva la spira azzurrognola lanciava il suo sputo nero al mare.

L'oceano, paralizzando voce e pensiero li aveva fatti silenziosi:
ora la tavola li mutava in ciarlieri. Erano tutti come scolaretti in vacanza. Una gaiezza interminabile saliva fino a loro dalle cose più semplici. Ecco papà Lastique che prima di sedersi a tavola nasconde la sua pipa: e la nasconde, ancora fumante, nel suo berretto e ne ride! Il suo naso rosso attira una mosca che viene a posarvisi sopra, e quando egli la scaccia con un gesto troppo lento per poterla afferrare, ecco la mosca posarsi su una tenda di mussolina che porta i segni delle sue sorelline, e di lì adocchiare avidamente il lucido naso e tornar subito dopo a installarvisi. A ogni viaggio dell'insetto scoppiavano pazze risate; ma l'ilarità fu smodata quando il vecchio si infastidì del solletico: "Ma è maledettamente ostinata!"







Foto di Nadar
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« Risposta #26 il: 08 Marzo 2006, 10:00:34 »
Ecco un bel maiale con la pipa in bocca,uno dei tanti  :D .

 George Orwell

Il  vero nome è Eric Arthur Blair
Il suo nome è legato soprattutto alla pubblicazione di Animal Farm (La fattoria degli animali) e Nineteen Eighty-Four (1984), due opere pubblicate (la prima nel 1945, la seconda nel 1949) quando l'atteggiamento dell'opinione pubblica occidentale nei confronti dell'ex alleato sovietico stava mutando. Orwel divenne così un autore di culto, anche se letterariamente le sue opere presentano moltissimi problemi per essere accettate come capolavori.

 La Fattoria degli Animali

“La mia vista si indebolisce” disse infine. “Anche quando ero giovane non riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che la parete abbia un altro aspetto. I Sette Comandamenti sono gli stessi di prima, Benjamin?”
Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro. Non vi era scritto più nulla, fuorché un unico comandamento. Diceva:


TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI MA ALCUNI SONO PIÙ UGUALI DEGLI ALTRI

Dopo ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero fruste nelle loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano comperati per loro uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un telefono, che avevano fatto l'abbonamento al “John Bull”, al “Tit-Bits” e al “Daily Mirror”.
Non sembrò strano vedere Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica con la pipa in bocca; no, neppure quando i maiali presero dal guardaroba gli abiti del signor Jones e li indossarono e fu visto Napoleon in giacca nera, pantaloni e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa favorita vestiva l'abito di seta che la signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò strano.
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« Risposta #27 il: 08 Marzo 2006, 12:46:08 »
Herbert George Wells
 nacque il 21 settembre 1866 a Bromley, ora
sobborgo meridionale di Londra ;scrittore anche di testi scientifici,e prolifico di letteratura fantastica dell'epoca,fumatore di pipa e sigarette.
Quando negil anni '50 per radio diedero la notizia dell'arrivo degli alieni sulla terra si scatenò il panico generale negli USA ma nessuno sapeva che era solo l'adattamento radiofonico del libro di H.G. Wells. Regista ed interprete de "La Guerra dei mondi"radiofonica Orson Welles anche lui fumatore di pipa


L'uomo invisibile e altri racconti

Quando andò a sparecchiare la tavola, la signora Hall si
convinse che anche la bocca doveva essere stata ferita o
sfigurata nell'incidente che, secondo lei, era capitato al
forestiero; egli, infatti, stava fumando la pipa e, per tutto il
tempo in cui ella rimase nella stanza, non scostò mai la sciarpa
di seta che si era avvolto intorno alla parte inferiore del
viso, neppure per portare il bocchino alle labbra. Eppure non
era distratto, perché lo vide guardare il tabacco che si
consumava. Era seduto in un angolo con la schiena rivolta verso
le imposte e, ora che aveva mangiato e si era riscaldato ben
bene, parlava in un modo meno aggressivo e conciso di prima. Il
riflesso del fuoco conferiva ai suoi occhiali una specie di
calda animazione.
Le dispiace darmi dei fiammiferi?  - chiese l'ospite in tono
molto secco.  - Si è spenta la pipa.
 La signora Hall fu interrotta bruscamente. Era davvero
maleducato da parte sua, dopo che lei gli aveva raccontato tutto
ciò che aveva fatto. Lo guardò per un attimo a bocca aperta, poi
si ricordò delle due sovrane e andò a cercare i fiammiferi
L'ospite restò nel salottino fino alle quattro, senza offrire
alla signora Hall il minimo appiglio per andarlo a cercare.
Rimase immobile per quasi tutto il tempo, pareva che stesse
seduto nell'oscurità che aumentava, fumando alla luce del fuoco,
forse sonnecchiando.

Dopo qualche
esitazione, il forestiero si appoggiò contro uno stipite del
portone, tirò fuori una corta pipa di terracotta e prese a
riempirla. Gli tremavano le dita. L'accese con una certa
difficoltà e, incrociate le braccia, incominciò a fumare con
un'aria languida (smentita però dalle fuggevoli occhiate che
ogni tanto lanciava in cortile).
Il forestiero, all'improvviso, si scosse e si mise la pipa in
tasca. Poi scomparve in cortile

Si siede in una poltrona, riempie
lentamente una lunga pipa di argilla e, intanto, guarda i libri
con avidità. Poi ne tira uno vicino a sé e incomincia ad
osservarlo, girando e rigirando le pagineDopo un po' di tempo,
si appoggia allo schienale e guarda
attraverso il fumo cose che per gli altri sono invisibili.
Pieno di segreti  - dice,  - segreti meravigliosi! Una volta
trovato il bandolo... Mio Dio! Non farei come lui; vorrei
solo... Mah  - e tira una lunga boccata.

Una cosa bizzarra, quand'ebbe una voglia matta di fumare, fu che
gli mettemmo in mano la pipa (quasi se la ficcò in un occhio) e
gliela accendemmo; ma non sentì nessun sapore. In seguito ho
scoperto che lo stesso accade a me, e a tutti, può darsi: il
tabacco non mi dà nessun piacere se non vedo il fumo.

 
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #28 il: 08 Marzo 2006, 18:51:07 »
Raymond Carver (1938-1988)

Carver nei suoi primi scritti si presenta con uno stile asciutto e capace di entrare nella drammaticità del quotidiano per approdare, nei testi successivi e più autentici, a un'apertura alla speranza e alla comunicazione. Ma è nella poesia la radice profonda della sua ispirazione letteraria: uno spaesamento esistenziale, la paura della morte, il bisogno di comunicare in modo sincero, di essere amato e salvato.
Forte fumatore di sigarette convertosi poi alla pipa.

LA PIPA

La prossima poesia che scriverò avrà legna da ardere
Proprio al centro, legna da ardere così intrisa
Di resina che il mio amico si lascerà dietro
I guanti e mi dirà: «Mettiti questi quando
Maneggerai questa cosa». La prossima poesia
Avrà dentro anche la notte e tutte le stelle
Dell'emisfero occidentale; e un immensa massa
D'acqua scintillante per miglia sotto la luna nuova.
La prossima poesia avrà una stanza da letto
E un salotto tutti per sé, lucernai,
un divano, un tavolo e sedie vicino alla finestra,
un vaso di violette appena tagliate un'ora prima di pranzo.
Ci sarà una lampada che brucia nella prossima poesia;
e un caminetto dove pezzi di abete impregnati
di resina andranno in fiamme, consumandosi tra loro.
Oh, la prossima poesia farà scintille!
Ma non ci saranno sigarette in quella poesia.
Comincerò a fumare la pipa.

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #29 il: 08 Marzo 2006, 21:08:41 »
Artur Rimbaud 1854  1891

Arthur Rimbaud, considerato l'incarnazione del poeta maledetto volle rinnovare la poesia e, con l’audacia dei giovani, fece tabula rasa di tutta la retorica precedente, rinnegando persino Baudelaire – giudicato a suo avviso trop artist, e poiché non gli restava alcun mezzo che non fosse falsato, non si fidò che della sua sensazione pura. Inventò quindi la poesia della sensazione, traducendo in poesia quello che si potrebbe chiamare lo stato psicologico da cui nascono, senza alcuna interferenza, i nostri atti. Al pensiero puro corrispose un ugual linguaggio ed un ugual ritmo che riassume tutto: profumi, suoni e colori. Rimbaud si trovò così alla punta estrema di ogni audacia letteraria e poetica, dove né i simbolisti né i surrealisti riuscirono a seguirlo. Rimbaud non ebbe discepoli e neppure imitatori, nondimeno fu allora come oggi il punto di partenza di ogni audacia poetica. Grande fumatore Anche di pipa e a volte di tabacco.

Poesie

ALLA MUSICA
Piazza della Stazione, a Charleville.

sulle panchine verdi, gruppi di droghieri in pensione
che attizzano la ghiaia con i loro bastoncini,
discutendo serissimamente i contratti,
poi uno sniffo di tabacco, e riprendono: “Insomma!…”
Allungando sulla panchina i suoi fianchi rotondi,
un borghese coi bottoni lustri e il buzzo fiammingo,
si gusta la sua pipa preziosa da cui il tabacco a fili
trabocca – sa, è preso a contrabbando; -
lungo le verdi aiuole sghignazzano i ragazzacci;
e, in brodo di giuggiole per il canto dei tromboni,
gli ingenuotti soldatini, fumando le rose,
carezzano i bebè per abbindolare le bambinaie…

I DOGANIERI


La pipa tra i denti, lama in mano, profondi, affatto scocciati,
quando l’ombra sbava nei boschi come un muso di vacche,
se ne vanno, portando i loro mastini al guinzaglio,
a esercitare nottetempo le loro terribili gaiezze!


ORAZIONE DELLA SERA

Io vivo seduto, come un angelo nelle mani di un barbiere,
impugnando una coppa con forti scanalature,
l’ipogastro e il collo incurvati, una pipa Gambier
tra i denti, sotto l’aria gonfiata d’impalpabili venti.
Come i caldi sterchi di una vecchia colombaia,
mille sogni dentro me mi ardono dolci:
poi d’un colpo il mio cuore triste è come un alburno
che insanguina l’oro giovane e tetro delle colatura.
Poi, quando ho ringoiato con cura i miei sogni,
mi volto, dopo trenta o quaranta boccali,
e mi raccolgo, per rilassare il mio aspro bisogno.
Amabile come il Signore del cedro e degli issopi,
io piscio verso i cieli bruni, altissimo e lontanissimo,
con il consenso dei grandi eliotropi.

ACCOVACCIAMENTI
(Accroupissements)

Molto tardi, quando lo stomaco si rivolta,
il frate Milotus xliii, un occhio al lucernaio
da dove il sole, chiaro come un paiolo ripulito,
gli irraggia un’emicrania e gli intontisce lo sguardo,
e sposta nelle lenzuola la sua pancia di prete.
Si dimena sotto la sua grigia coperta
e scende, le ginocchia contro il ventre in tremito,
stravolto come un vecchio che mangia la sua presa;
perché lui deve, la mano al manico del pitale,
largamente rimboccare sui suoi fianchi la camicia.
Ora, s’accovaccia, tra i brividi, le dita dei piedi
ripiegate, battendo i denti nel sole chiaro che pianta
dei gialli di broscia sui vetri di carta;
e il naso dell’omino dove brilla la lacca
tira su tra i raggi, come un carnale polipaio.
L’omino s’arrostisce al fuoco, braccia torte e labbra
al ventre: sente le sue cosce nel fuoco,
e sente bruciare i suoi calzoni, e spegnersi la pipa;
qualcosa come uccello un po’ svolazzante
sul suo ventre sereno come un mucchio di trippa.
Intorno, dorme un ammasso di mobili abbrutiti
tra stracci di sporcizia e sopra sudici ventri;
sgabelli, strani rospi, sono rannicchiati
in angoli bui: le credenze hanno gole di cantori
che le apre un sonno ricolmo d’appetiti orribili.
Il calore mefitico riempie la cameretta;
il cervello dell’omino è imbottito di cenci.
Ascolta i peli spuntargli nella sua pelle umidiccia,
e talvolta, in singhiozzi forti gravemente buffoneschi
erompe, scotendo il suo sgabello che zoppica…

E la sera, ai raggi della lune, che gli fanno
al contorno del culo delle sbavature di luce,
un’ombra con dettagli si accovaccia, su uno sfondo
di neve rosa che somiglia un malvone…
Bizzarro, un naso insegue Venere nel cielo profondo.



« Ultima modifica: 24 Febbraio 2009, 21:05:46 da Aqualong »
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