Autore Topic: Autori con la pipa in bocca  (Letto 323666 volte)

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #480 il: 25 Settembre 2011, 15:23:01 »
LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Dopo tutto questo, mi sembra che tra la Sardegna di
Lussu e il mio Altipiano ci sia un legame di sangue per i
tanti sardi che qui riposano per sempre e per quel pacchetto
di tabacco che un caporale della brigata Sassari
diede a un nostro vecchio profugo che si allontanava dal
paese in fiamme, Ora non so dire il rimorso che ho in
cuore quando al suo ultimo biglietto che mi invitava ad
andare a trovarlo ancora per una volta, non fui sollecito:
pochi giorni dopo morì. Ma quando risalgo alle trincee di
monte Fior o dello Zebìo, o di Valbeila dove tu gravissimamente
ferito nel Natale del 1917, è come se venisse
con me,

L'ANNO DELLA VITTORIA

Delle barelle con dei feriti vennero portate davanti all'ospedaletto
dove, accanto alla porta bassa e stretta ricavata
in una parete di cemento, un ufficiale medico alto e
magro nel suo camice bianco era in attesa fumando la pipa.
Attorno ai feriti si avvicinarono i soldati che erano lì;
Matteo passò via lesto e nessuno gli chiese dove volesse
andare con quell'andatura frettolosa.

Matteo raccontò , ma quando arrivò
a parlare di tanti soldati morti e di come aveva ritrovato
la casa non seppe trattenere una smorfia di dolore e
di rabbia. Il nonno sbuffava cercando nelle tasche vuote
le briciole di tabacco per la pipa spenta; sua madre lo
guardava in silenzio, poi con le mani che aveva belle ma
rovinate dai lavori, gli prese la testa dicendo: «Basta,
adesso. La casa la rifaremo»..

Caterina, che sembrava avesse superato la crisi, un
pomeriggio del tardo novembre spirò. Matteo lo seppe
nella bottega del fornaio della Mordsa dove si era recato
per comperare un pane bianco per la sorella convalescente.
Sentì il cuore restringersi come quando vide sua
madre abbracciare Orsola e, ritornato a casa, stette per
lungo tempo in silenzio e immobile a fissare le braci del
focolare. Finalmente il nonno gli chiese che avesse.
«Anche la Caterina dei Nicoli è morta di spagnola.
L'anno scorso e anche quest'anno abbiamo lavorato insieme
il fieno.»
Si alzò e uscì perché non aveva niente da dire. U vecchio,
rimasto solo, frugò con un chiodo da maniscalco
nel fornello della pipa, batté sul palmo della mano i resti
umidi del tabacco e se li cacciò in bocca pensando: "Se
mastico tabacco tengo lontano la febbre spagnola".

Accesero la pipa dopo che il vecchio Tana aveva accettato
con entusiasmo l'offerta del tabacco. Se non fosse
per il terreno che è ancora gelato e coperto in parte di
neve, diceva il padre dì Matteo, anche loro sarebbero saliti
dalla pianura per dar mano a ripulire i campi per seminare
le patate, e gli orti, e tirar su un tetto per mettere
intanto sotto la testa. Ma tra un mese, affermava, saremo
qui anche noi. Prima dei saluti il vecchio Tana raccomandò
che alla prossima venuta gli portassero tabacco
da naso e da pipa; tra le macerie delle case dei Pùne aveva
sì trovato un vaso di tabacco, ma ora l'aveva finito e
tra le cose abbandonate dagli eserciti non c'era verso di
trovare mezzo sigaro.
Matteo levò dalla tasca due pacchetti di trinciato
per il vecchio Tana che subito caricò e accese la pipa.
«Giorni fa» incominciò, «sono stati qui anche i Sech e i
Ballot e la settimana scorsa anche i Zai e i Pùne. Entro il
mese saremo qui nuovamente tutti. O quasi» aggiunse
sottovoce. Si era accorto che nel gruppo mancava una
bambina; ricordava che quando erano fuggiti la donna ne
aveva due, ma sapeva anche della febbre spagnola che
aveva fatto più morti che la guerra.
La bambina si era addormentata in braccio alla madre;
lei si alzò e andò a posarla sul saccone coprendola
assieme alla bambola. Anche Matteo e il nonno andarono
a dormire perché erano molto stanchi. Il vecchio Tana
voleva ancora restare, come a filò, ma capì che età
tempo di andare; ricaricò la pipa, l'accese con una brace,
diede la buona notte; si mise'smla spalla il suo fucile
e uscì per ritornare al suo ricovero, ai Raitele
Era ritornato il silenzio, un grande silenzio come d'inverno
quando nevica e pareva che tra quelle macerie
fosse ritornata la vita. I due uscirono a guardare la loro
terra. Sentirono gli uccelli del ripasso che si chiamavano
in volo, una leggera pioggia primaverile che lavava via la
guerra e un odore nuovo, di bosco in amore. Rientrarono
nella loro casa tenendosi per mano.


STORIE NATURALI

Veniva a piedi
dalla città con sulle spalle una gabbia con diverse civette
per Ì cacciatori del paese; a mezzogiorno si fermava
a mangiare un piatto di minestra con le foglie fresche
del cumino, polenta e lumache e sorseggiava un bicchie
rino di grappa. Prima, però, voleva sentire le lordine e
lui le portava sotto il ciliegio in fiore per farle cantare; e
loro partivano con una melodia che ad ascoltarle era come
sentire un'orchestra. Dopo il pranzo il nonno, lo zio,
suo padre e l'uomo delle civette tabaccavano una presa,
accendevano la pipa e prendevano a parlare di richiami,
di cani, di ripassi primaverili e delle mute degli uccelli e
di date e di riti che da secoli sono stati fissati,
Lui era ancora bambino e si sedeva per terra ad ascoltare
i loro discorsi.

Quando partirono nella notte era già sveglio da un
bel po', immobile nel letto troppo grande: aveva sentito
battere le ore sulla torre, poi l'abbaiare festoso dei cani,
le porte delle macchine sbattere, i motori avviarsi e, infine,
ritornare il lungo silenzio con i ricordi. Allora si alzò
ancora una volta, mise i vestiti consunti dal tempo, prese
la doppietta delle nozze d'oro, le cartucce, il tascapane;
e non c'era più nessun cane impaziente. Sulla porta accese
accuratamente la pipa, guardò il cielo che schiariva
a oriente, pensò ai giovani su per le montagne che il primo
sole arrossiva e si avviò.
Era come se tutti i cani d'una volta lo seguissero: il Sirio,
l'Alba prima, la Cia, l'Elsa, Mane, l'Alba seconda; e
con loro tutti gli amici e i compagni di un tempo.
Camminò per un paio d'ore e tutto era come allora
perché i ricordi gli venivano vividi: un sasso, un albero
antico, la linea di un monte, una radura, il frullo di un
volo, un sentiero, uno stabbio, un cespuglio: ogni cosa,
insomma, aveva per lui una storia e una vita. In uno slargo
dì bosco si sedette sotto un grosso abete bianco, riaccese
la sua pipa e serenamente aspettò che ritornassero
giù i cacciatori dalla montagna perché gli raccontassero,
Nel frattempo ascoltava il bosco.

Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #481 il: 25 Settembre 2011, 16:37:59 »
La seconda guerra mondiale

Teneva gli occhi aperti fissando la candela che alluri
gava le ombre sulle pareti e le faceva ballare ogni volta
che il vento soffiava più forte per il camino della stufa. Il
russo fumava con una corta pipetta e lo guardava in silenzio;
d'un tratto gli disse sottovoce: «No vot cavarte le
scarpe? Chi l'è tutt cahno... Càvete le scarpe».
Questa volta era certo, aveva inteso giusto e di scatto
si alzò a sedere: «Ma voi» disse, «sé taliàn?».
Si guardarono, ma il russo stava zitto, fumando. Dopo
si alzò dalla panca, da uno stipo trasse una bottiglia e
porgendola al caporale gli disse: «Bevi un poco. No pensarghe,
dopo dormirai meglio».
Era vodka forte che sapeva di cipolla, ma scaldava
dentro. Bevctte un lungo sorso anche il vecchio; «Io son
nato sotto l'Austria, ai tempi di Francesco Giuseppe,
nell ' Ottantaq uattro... ».
Il caporale ascoltava quel parlare sommesso ma sentiva
che la vodka ora gli saliva alla testa. Desiderava distendersi
e dormire. "Svegliarsi in primavera" pensava,
"che bello! " Poi chiese al vecchio: «Ma in che paese siete
nato sotto l'Austria?».
«Ne] Trentino. Sono delle Giudicarle.»
«In che paese delle valli Giudicane?»
Il russo lo pronunciò alla vecchia maniera e il caporale
al sentire il nome del suo paese fu come se una scossa elettrica
lo avesse percorso. Quasi a faticasi ateo dal giaciglio,
si sedette sulla panca, con una mano tirò accanto il vecchio
che gli stava davanti in piedi: «Disème, disème...».
La vecchia sedeva sotto le icone, immobile, come assorta;
la giovane donna si era stesa accanto ai ragazzi, e i
due soldati dormivano. Nel sonno l'alpino si lagnava e
muoveva le gambe come se stesse arrancando nella neve.
«Disème» ripete il caporale, «anca mi son nat là,»
Il vecchio gli stava seduto accanto, lentamente ricaricava
la pipa con torsoli di tabacco tagliati sottili; forse
non voleva parlare, forse aveva già detto troppo a questo
soldato dell'esercito italiano, che in una sera di bufera
gli era capitalo in casa. Erano fatti lontanissimi, ormai;
non solo trent'anni erano passati, ma trecento potevano
essere.
Ricordava i compagni di gioco e di scuola: l'aula
con i banchi, come erano disposti nelle tre file, il forno
di corto, l'inchiostro che gelava dentro i calamai, la carta
geografica dell'Impero, il ritratto di Francesco Giuseppe,
e il maestro con la bacchetta e il cipiglio fiero che insegnava
le aste miste, poi le vocali, le consonanti, la dottrina
cristiana, l'aritmetica: «L'è ancora vivo il maestro
Andrea?» chiese d'un tratto.
«E vivo» rispose il caporale, «E stato anche il mio
maestro. Era severo ma bravo.»
«E don Bortolo?»
«No, don Bortolo è morto quando è scoppiata la
guerra. Al suo funerale è venuta tutta la v a l lo
Don Bortolo, il maestro Andrea, il paese. Il vecchio
lasciava spegnete la pipa tra le mani e i suoi occhi fissavano
i vetri della finestra di fronte dove sbatteva la neve.
Il vento si era fatto più impetuoso e pareva volesse
Strappare il tetto dell'isbà. Lui voleva chiedere ancora,
chiedere della donna che aveva lasciato laggiù, dei parenti.
Ma che diritto aveva?
Il caporale stava zitto, anche lui immerso nei ricordi;
ma anche, a momenti, voleva sapere di più di questo
vecchio compaesano trovato in un angolo del mondo e
come lui portato qua dalle guerre. «Ma voi, chi siete?»
gli chiese.
Non gli rispose, forse non voleva farlo sapere, Il vecchio
si alzò, prese dal forno una bracia e riaccese la pipa,
riattizzò il fuoco e tomo a sedersi sulla panca dicendo:
«Conosci il Matteo dei Baross?».
«Il Matteo? Quello che fa il carraio su alla Riva? Ma
quello è il mio santolo!»
«E la Betta del Maso, la conosci?»
«La Betta del Maso, el santolo Mattio. La Betta l'è sua
marna, la maina là del Toni, quello che dorme tacà al
forno.»
Il vecchio prese la bottiglia e bevette un sorso; sospirò
profondo, la passò al caporale e anche lui bevette come
trasognalo. «Senti, toì, ascoltami: chi sei?»
«Marco dei Longhì. La me mamma l'è la Margherita
del Maso, Me pare l'era el Piero che è morto nella guerra
del Quattordici, quando sono nato.»
Il vecchio si alzò, camminò verso la porta, l'aprì a
guardare fuori la tormenta e subito rinchiuse contro il
vento che spingeva torte. Andò alla finestra; poi guardò
la vecchia rincantucciata sotto le icone, la donna e i ragazzi
sulla stufa, e ritornò davanti a Marco dei Longhi,
fissandolo. Tremava nelle mani e gli tremava la barba
rossiccia: «Tua madre» disse rauco, «tua madre ti ha
partorito quando ero al fronte, me lo scrisse nel marzo
del Sedici. Ricordo. Sei nato il 2 marzo del Sedici, Ero in
Volinia. Mi, Marco, son to pare».
Prima di giorno il vento calò e ora il silenzio sembrava
coprire il villaggio sperduto nella balka, Il vecchio
batté la pipa contro il palmo della mano per far cadere
la cenere, si alzò in piedi, trasse un profondo sospiro e
girò attorno lo sguardo sui dormienti: dal palco sopra la
stufa al pavimento; quindi si avvicinò alla porta che piano
piano aprì.



Mi piaceva andare lungo una vecchia
strada, forse la più vecchia e intatta e paesana via di
questa Char'kov rifatta nuova dopo tante battaglie. Su
questa mia cara strada, dei gradini scendono verso le
porte illuminate delle botteghe seminterrate: lì sotto è
caldo, è intimo. Entro in tutte: vendono libri, stampe,
tabacco, tè, ciambelle, bottoni. Sono riuscito a trovare
un pacchetto di machorka, il vecchio e rustico tabacco
ucraino che noi e i nostri paesani russi riuscivamo a fumare
nei Lager. «Mario, davài gazeta» mi diceva Pètr
Ivanovic. E con un pezzo di giornale propagandistico
tedesco faceva delle grosse sigarette che quando aspirava
si incendiavano. Ora questo ritrovato machorka mi
sembra il tabacco più prezioso e più buono del mondo.
La vecchia che l'ha spolverato dal più riposto angolo
della bottega me lo porge scrollando la testa e non vuole
nemmeno i copechi del prezzo segnato sulla carta gialla;
forse ha capito cosa cercavo.

STORIE DALL'EUROPA

La sera è già scesa sopra il villaggio; piccole luci di lanterne
si muovono in qualche cortile o verso le Stalle; le
case, la campagna e gli alberi sono avvolti da un silenzio
antico ma non ostile; la pioggia sì è attutita e le tre donne
vestite di nero e con i grembiuli bianchi di farina
aspettano il pane che cuoce nel forno,
L'uomo si è seduto a lato della bocca con la schiena appoggiata
alla parete per godersi il calore, e con uno stecco
che sulla punta conserva la brada si accende la pipa. Forse
la cottura del pane è regolata sul tempo della sua pipata.
Altre donne, delle vicine che vengono a trovare le amiche,
si affacciano sotto l'arco di pietra ma vedendoci, noi
stranieri, si ritirano e vanno via dopo aver salutato il «signor
padre Antonio» e noi. Mi dispiace vederle andare,
chissà cosa avrebbero potuto raccontarci.
Padre Fontes, parlando sottovoce quasi le parole disturbassero
il pane che sta cuocendo, mi spiega che O
Forno do Poro, il Forno del Popolo, è anche per tradizione
ìl luogo dove i viandanti e i vagabondi possono
trovare rifugio e calore: nessuno li potrebbe mandare
via da qui, anzi: per loro ci sarà sempre un pane e un po'
di fuoco.

LA PRIGIONIA

Il tempo passava e nessuno si
muoveva; i viaggiatori incominciarono a domandarsi cosa
mai fosse successo; chi stava leggendo aveva ripiegato
il giornale e guardava preoccupato la neve che incominciava
ad accumularsi sui vetri; qualche donna incominciò
a rivolgere la parola ai prigionieri; un vecchio dopo
aver acceso la pipa di maiolica borbottò: «SchciJk
Krieg», e un soldato molto pallido che forse era in viaggio
per andare in licenza di convalescenza lo guardò ap
provando. Un prigioniero osò domandare a una signorina
che aveva ripiegato il giornale nella borsa dove erano
arrivati gli americani e se i russi avevano ripreso l'offensiva.
«Siamo in fase di ritirate strategiche» disse il vecchio
della pipa, «e in attesa dell'arma segreta,» Il prigioniero
ricordò la scritta nella latrina della miniera e disse:
«L'arma segreta di Hitler sono le rape; hanno tante vitamine
». Al che il vecchio aggiunse dopo aver levato la pipa
dalla bocca: «Anche le patate e i cavoli!». E rise apertamente.

L'uomo
e la donna che erano stati aiutali dal prigioniero italiano
restavano seduti immobili sulla panca e non parlavano;
l'uomo teneva la mano della ragazza e gli occhi, dietro
gli occhiali molto spessi, sembrava guardassero lontano,
oltre la porta. Ambedue erano giovani, dai lineamenti
molto delicati e molto somiglianti tra loro; forse erano
fratelli, e vestiti con una certa ricercatezza, ma non certo
da inverno. Quando il tepore della stufa incominciò a
farsi sentire i due si parlarono sottovoce, quasi bisbigliando.
Ogni tanto la ragazza alzava gli occhi per cercare
il prigioniero che li aveva aiutati e che ora, vicino alla
stufa, fumava la pipa di maiolica che il vecchio gli aveva
porto dopo averla caricata di tabacco. I due giovani parlarono
ancora più animatamente, la ragazza a un certo
punto si alzò e andò a chiamare il prigioniero, lo prese
per mano e Lo accompagnò davanti all'uomo dicendo:
«È stato questo soldato italiano; un prigioniero che lavora
nella miniera di ferro».
L'uomo mise una mano nella tasca interna della giacca
e levò un portasigarette d'argento con le cifre in oro e
senza aprirlo e senza dire una parola glielo porse. Al pri
gioniero venne da sorridere e disse «no» con la testa e
con la voce. «Dtulle! Eine sigarette» disse. Allora l'uomo
aperse con difficoltà l'astuccio d'argento e oro e con la
mano a dita aperte abbrancò tutte le sigarette che c'erano
dentro porgendole con il braccio disteso.
Fu a questo punto che il prigioniero si accorse che
quell'uomo non vedeva, che forse era completamente
cieco, e gli venne una grande compassione che gli spense
quel senso di euforia che aveva provato neli'affrontare
la tormenta e che ancora assaporava con la pipa del
vecchio e con il vecchio vicino alla stufa come fòsse in
un rifugio sulle montagne di casa, La ragazza gli disse:
«È successo in guerra, accetti almeno queste sigarette».
Allora le prese, Ritornò vicino alla stufa; la tormenta stava
calando e, oltre i vetri della finestra, si incominciavano
a intrawedere i profili delle montagne.

Il  vecchio polacco che lavorava con il mio gruppo si
chiamava Johannes, non Ivan o Hans, e anche lui diceva
che la sua casa era molto lontana, era un cattolico fervente,
innamorato dell'Italia e di Roma dove c'era Petrus.
Per farsi comprendere usava con noi il latino che aveva
imparato con le preghiere e con la messa; era anche molto
buono e pudicissimo e quando sentiva qualche nostra
imprecazione si faceva il segno delia croce. Ogni tanto, a
rumo, ci regalava una fettina di pane sottile come un'ostia
o una patata lessa, ci faceva anche dare una tirata dalla
sua pipa dove fumava machorka, le nervature delle foglie
di tabacco non conciato.
Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #482 il: 25 Settembre 2011, 17:40:26 »
STORIE
DALL'ALTIPIANO


Vecchia America

Durante una marcia il tenente vicecomandante della
batteria volle provare i garretti di quel soldato veneto dagli
occhi azzurri e mentre tutti gli altri soldati salivano per
il normale sentiero, lo invitò a seguirlo e insieme presero
la montagna di petto per rocce e burroni come i camosci.
Arrivarono alla batteria che gli altri non erano ancora a
metà strada e il soldato dagli occhi azzurri sorrideva felice
e sudato perché l'ufficiale non era riuscito a staccarlo.
11 tenente lo volle suo attendente. E lustrava stivali, puliva
la sciabola e la pistola, e mentre gli altri faticavano attorno
ai pezzi, fumava la pipa guardando tra le valli i paesetri
dispersi o, in alto, le cime scintillanti di ghiacci.

Anni s'erano accumulati ad anni. Aveva visto lo sviluppo
dell'America. Lavorando sodo aveva guadagnato
dei buoni dollari, poteva anche infischiarsene e vivere in
pace, ma, a sentire queste cose del suo paese, in Italia,
un qualcosa dal profondo, come venisse da un altro uomo,
gli si muoveva dentro. A volte restava lontano da se
stesso e dagli altri, con la pipa che gli si spegneva tra le
labbra.

«Allora tu non gli hai mai scritto?»
«Una volta. Quand'ero in Francia; prima di venire in
America. E inutile, è inutile. Andiamo e così vediamo le
novità.»
«Be'! qualche notizia sul tuo conto l'ho mandata io.»
«Il nostro vecchio paese» fece una lunga pausa tirando
nella pipa e poi continuò: «chissà come sarà ora; vi è
passata la guerra e sarà tutto cambiato».
Stavano in silenzio nelle poltrone vicino al caminetto.
Fumavano la pipa e i bambini erano usciti in giardino.
«Non ci sarà più la nostra vecchia casa con le grondaie
di legno; e il ponte per andare nell'orto. Quanto abbiamo
giocato sul ghiaccio della roggia! Ed il vecchio tiglio nel
prato dietro la casa? Una volta ci sei caduto giù.»
«Ricordo. Fu quella volta che misi le panie per le
cince.»
Stavano in silenzio nelle poltrone vicino al caminetto.
Fumavano la pipa e i bambini erano rientrari dal giardino.
Ora che erano vecchi ritrovavano tutta la loro infanzia.
Improvvisamente erano tornati tutti i ricordi assopiti
dal lavoro e dal tempo. Nei particolari, come fosse
stato ieri e non sessantanni e più fa: le gabbie per le cince,
i nidi dei fringuelli, gli sciami dei calabroni, la polenta
con il latte nelle sere d'inverno, gli amici, le donne che
andavano a prendere i secchi d'acqua alla fontana, il
vecchio parroco che tabaccava sempre, il maestro zoppo,
il nonno che aveva fatto il militare sotto l'imperatore
Ferdinando, lo stanzino buio dove erano riposte le tele
di lino ed i mastelli di legno. Tutto: tutto ritornava come
allora.

ALBA E FRANCO

No, non è questa la storia di due innamorati. E nemmeno
di una società per azioni: ma solamente quella di due
cani segugi dal pelo fulvo.
Vissero sino a qualche tempo fa vicino al mio paese.
in una casa presso il bosco, isolata e tranquilla, dove non
giungono rumori di motociclette o di altre diaboliche
macchine. Solo di notte, tre volte alla settimana, si sente
volare alto un aeroplano di linea che ogni tanto accende
e spegne i lumi come una lucciola in un campo di segala.
Ma ìl suo rumore non disturba; è familiare anzi, e, quando
il vecchio Cristiano lo sente, smette per un attimo di
tirare nella pipa dicendo:
«Eccolo.» E mentalmente gli manda l'augurio di
buon viaggio.

Diventò la disperazione della povera vedova perché le
lamentele dei vicini le portarono l'intimazione della guardia
comunale: o pagare la multa, o ucciderlo, O venderlo.
La notizia arrivò sino alla casa vicino al bosco e un sabato
seta il più giovane venne in paese dalla vedova per
sentite se fosse disposta a venderlo. Questa ben volentieri
lo cedette, e senza alcun compenso. Disse solo «fatemi
mangiate una volta lepre».
Bruno lo legò con una funicella e lo condusse a casa.
Quando attivò era sul tramonto; gli altri due fratelli lo
avevano visto venire da lontano e gli si avviarono incontro.
Rimasero male e non dissero niente. Il vecchio padre,
seduto nell'orto a fumar la pipa sotto il ciliegio, sbruffò
forteil fumo e brontolò trai denti; «Che razza di bestia ci
porti?». Disse "bestia" e non cane e non animale.
Questa bestia, appena entrata in cucina, annusò negli
angoli e pulì rapidamente la coppa del cibo che avevano
preparato per Alba. Annusò ad una ad una tutte le persone
senza dimostrare alcun sentimento e quando Piero
slegò Alba e la fece entrare in cucina, la bestia l'annusò
ben bene da tutte le parti e finalmente scodinzolò.

SÌ alzarono che era ancor buio e l'ampia cucina fu ripiena
della loro impazienza. I cani fiutavano qualcosa di
nuovo ed erano eccitati e frementi quanto i loro padroni.
II vecchio tirava come un dannato nella pipa spenta e
ogni tanto andava all'uscio a guardare verso il nero del
bosco e verso il cielo a sentire l'aria.

Il vecchio aspettava sulla porta di casa e fumando la
pipa guardava verso il bosco. Li vide venire dal sentiero
e chiamò verso la cucina da dove venivano rumori di
pentole e di fuoco. Disse:
«Ehi donna, guarda i tuoi figli!»
Prima che cadesse la neve novantaquattro lepri e tre
caprioli avevano finito la loro corsa: fermati per sempre
dai fucili dei tre fratelli. Erano segnati giorno per giorno
sul lunario appeso dietro la porta della stalla, sotto il
quadro di sant'Antonio abate.

I tre fratelli, oltre alla caccia, avevano un'altra passione:
correre sugli sci. Ogni giorno, per qualche ora, calzavano
gli sci da fondo leggeri e stretti e si rincorrevano,
come giocando, per i prati e i boschi. Divennero bravi e
incominciarono a gareggiare e a vincere. La pista passava
vicino alla casa: saliva proprio li davanti, costeggiava
l'orto, sfiorava il bosco e correva via veloce sulla neve
cristallina e secca. Quando c'erano le gare i due vecchi,
con Alba e Franco, stavano sull'uscio della cucina per
vederli passare. Li scorgevano ancora da lontano e dall'andata
distinguevano uno dall'altro; sparivano poi nella
valletta, sbucavano dal bosco e salivano su. Il vecchio
controllava i tempi sulla sveglia e si dimenticava persino
di accendere la pipa lasciando che i fiammiferi gli bruciassero
le dita.

Così andò per molti anni, tanti per due cani segugi-
Vollero conservare la loro razza e una primavera Alba
venne coperta da Franco. Partorì tre cuccioli e un mese
dopo il parto morì di sua morte naturale, La seppellirono
nell'orto, sotto il ciliegio, dove a sera il vecchio è uso
a fumar la pipa e ascoltare il pigolio dei pettirossi,
Un anno dopo se ne andò anche Franco. Era d'autunno
tardi, poco prima della neve che già s'annusava nell'aria.
Lo portarono a cacciare nei pascoli vicino alla malga.
Franco trovò la pastura del lepre, abbaiò stanco, corse
qua e là barcollando e s'inoltrò nel fitto. Non ritornò più.



Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #483 il: 13 Novembre 2011, 19:37:09 »
EMMANUEL DONGALA
 
(14 luglio 1941)
Nato nella Repubblica Centrafricana, Emmanuel Dongala ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza nel Congo Brazzaville. Laureatosi negli Stati Uniti, rientra nel suo paese dove si impegna in ambito culturale e sociale. Dopo la guerra civile del 1997 è costretto a tornare in America, dove attualmente insegna chimica e letteratura africana francofona.

L'UOMO DI VENTO


Non dimenticare che
sempre, prima di cominciare qualsiasi cosa, bisognerà che tu me ne parli, i
giovani devono rispettare gli anziani; il giorno in cui questa regola sarà infranta
il clan sarà distrutto, gli antenati ci abbandoneranno e sarà la fine del
mondo. Spero che tu abbia capito. Dai, va' a cercarmi la pipa con un po' di
tabacco secco, poi mi spiegherai dove si trova codesta radice che ridà virilità
agli uomini e come preparare quel rimedio contro la malaria».
Mankunku, obbediente, gli portò la pipa, poi tornò a casa.

Mankunku osservava il suo malato che fumava avidamente la pipa in
una sorta di ritrovata gioia di vivere. Mankunku attese pazientemente la
partenza di chi era venuto a visitarli, fino a quando si ritrovarono soli.
«Mankunku, ragazzo mio, ti ringrazio per quanto hai fatto per me».

«Ma cosa fate di quelle mani?» domanda timidamente.
I miliziani sorridono.
«Se non ammazziamo quelli che rifiutano di consegnare il caucciù o di
pagare l'imposta, siamo puniti molto severamente e qualche volta gli ufficiali
bianchi di Stato arrivano al punto di farci fucilare. Allora, piuttosto di
morire noi, uccidiamo i recalcitranti, e la prova del nostro lavoro sono le
mani. Qualche volta, aggiunge con un sorriso allegro, tagliamo loro anche
il pisello».
«Ma... ma... che cosa se ne fanno delle mani?».
«Oh, dipende dai capi. Certi le contano, poi le fanno gettare nel fiume;
altri invece le fanno affumicare e le utilizzano come pigiatabacco per la
pipa e le portano al loro paese...



Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #484 il: 13 Novembre 2011, 19:42:52 »
Frammenti di vecchie pipe gialle
John Buchan

I Trentanove Scalini

Di solito Paddock arrivava puntualmente alle sette e mezzo e apriva egli
stesso la porta di cui aveva le chiavi. Misi una pipa in saccoccia e mi
disposi a rifornire la mia borsa di tabacco prendendone da un vaso in cui
ero solito conservarlo e che si trovava sul tavolo presso il camino. Ed ecco
che, manipolando il tabacco, la mia mano incontrò un corpo duro. Era il
piccolo taccuino di Scudder. La cosa mi parve di buon augurio. Sollevai il
telo che copriva il cadavere e mi meravigliai di vedere tanta pace e tanta
dignità su quel viso cereo.
— Addio, vecchio camerata — gli dissi — mi accingo a fare tutto quello
che è possibile per accontentarti. Augurami buona fortuna dovunque io
vada.


R. Austin Freeman

L'Impronta Scarlatta


- Ti dispiacerebbe aiutarmi, in termini di affari, naturalmente, e lavorare
su questo caso? Ho molto altro lavoro tra le mani e la tua assistenza mi
sarebbe molto valida.
Dissi, molto sinceramente, che ne sarei stato felicissimo.
- Allora - disse Thorndyke - passa a colazione domani: stabiliremo i
termini e potrai prendere servizio subito. Ed ora accendiamo le pipe e
terminiamo i nostri racconti come se non esistessero clienti agitati e
avvocati testoni.
A ciò non diedi replica, poiché mi ero appena acceso la pipa e avevo
insolitamente sonno, il mio compagno seguì il mio esempio e fumammo in
silenzio, diventando sempre più assonnati, finché il treno non si arrestò al
capolinea e scendemmo, tra sbadigli e brividi, sulla piattaforma.

Mary R. Rinehart

L'Uomo Della Cuccetta N° 10

A mano a mano che il cero da chiesa
impallidiva alla luce del camino, fummo invasi da un dolce torpore. Io
trascinai un divano nella zona riscaldata e mi ci sdraiai per dormire.
Hotchkiss disse che il dolore alla gamba lo teneva sveglio e rimase seduto
a occhi spalancati accanto al fuoco, fumando la pipa.
Non ho idea di quanto tempo fosse trascorso quando qualcosa si scagliò
violentemente contro il mio petto. Mi svegliai di soprassalto e saltai in
piedi e un grosso gatto d'angora cadde a terra con un tonfo sordo. Il fuoco
era ancora acceso e nella stanza c'era un odore di pelle bruciata
proveniente dalle scarpe di Hotchkiss. Il piccolo investigatore dormiva
profondamente, la pipa spenta fra le dita. Il gatto si accovacciò e miagolò.
La tenda davanti alla porta del corridoio si gonfiò lentamente e si
afflosciò di nuovo. Il gatto guardò verso di essa e aprì la bocca per
emettere un altro miagolio. Io lo spinsi con il piede, ma lui rifiutò di
muoversi. Hotchkiss si agitò nel sonno e la pipa cadde sul pavimento.
Il gatto si era alzato e guardava fisso dietro di me. In apparenza seguiva
con gli occhi un oggetto a me invisibile che si muoveva alle mie spalle.

Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #485 il: 22 Gennaio 2012, 16:31:52 »
Ancora Zelazny che ci mostra dal maestro che era,come una pipa possa sottolineare lo stato d'animo di una situazione.la conversazione che segue senza una pipa accesa,non avrebbe che scarso interesse.
 

ROGER ZELAZNY

Le rocce dell’impero

— Ritengo che lei sia aggiornato in merito ai regolamenti di questa università.
— Li riesamino regolarmente.
— Posso anche dedurre che lei sia al corrente dei corsi che vengono tenuti questo semestre?
— È una deduzione corretta.
Wexroth trasse di tasca una pipa ed un sacchetto di tabacco, e cominciò a caricare la pipa lentamente, facendo attenzione ad ogni filo di tabacco e dando l’impressione di godere molto di quel momento; quanto a me, lo avevo bollato come fumatore di pipa dal primo momento che lo avevo visto. Wexroth si mise in bocca la pipa, l’accese, aspirò una boccata di fumo, poi si tolse l’arnese di bocca e mi fissò attraverso la nuvoletta di fumo da lui creata.
— Ed allora — disse, — la possiamo incastrare con una promozione obbligatoria in base alla regola dipartimentale principale.
— Ma lei non ha neppure visto la mia scheda di preregistrazione!
— Non ha alcuna importanza. Ho già fatto esaminare da qualcuno della sezione computer ogni possibile scelta che lei potrebbe fare, ogni possibile combinazione di corsi che le permetta di mantenere la sua condizione di studente a tempo pieno, poi ho confrontato ciascuna di quelle possibilità con il suo curriculum di studi alquanto esteso, e, in ciascun caso, sono arrivato al modo per liberarmi di lei: non importa cosa lei potrà scegliere, lei finirà comunque per ricadere con qualche materia nell’ambito della principale regola dipartimentale.
— A sentirla sembra che lei abbia fatto un lavoro completo.
— Infatti.
— Le spiacerebbe se le chiedessi come mai è tanto ansioso di liberarsi di me?
— Niente affatto — replicò Wexroth. — Il nocciolo della questione è che lei non è altro che un automa.
— Un automa?
— Un automa: lei non fa altro che ciondolare in giro.
— E cosa c’è di male in questo?
— Lei è un onere, una fonte di prosciugamento di energie emotive ed intellettuali per la comunità universitaria.
— Stupidaggini! — osservai. — Ho pubblicato diverse ricerche decisamente buone.
— Precisamente. Lei dovrebbe essere fuori di qui, ad insegnare o a svolgere un lavoro di ricerca... con un paio di titoli dietro al suo nome... invece di continuare ad occupare un posto che spetterebbe ad una povera matricola.
Mi sforzai di allontanare dalla mente l’immagine astratta di questa povera aspirante matricola... magra, con gli occhi incavati, il naso e le punte delle dita premute contro il vetro appannato dal suo stesso respiro, in tormentosa attesa di quell’istruzione che le veniva negata per causa mia... e dissi:
— Ancora sciocchezze. Lei vuole davvero liberarsi di me?
— Quando comincia a fare domande elementari come questa — replicò Wexroth, dopo aver fissato in modo pensoso la sua pipa per un momento, — lei mi è semplicemente antipatico.
— Ma perché? Lei mi conosce appena.
— Io so tutto di lei..., il che è più che sufficiente — picchiettò con il dito sul mio incartamento, aggiungendo: — È tutto qui, e lei rappresenta un tipo di atteggiamento per il quale io non provo alcun rispetto.
— Le spiacerebbe essere un po’ più specifico?
— D’accordo — fece Wexroth, svoltando le pagine del fascicolo fino al punto contrassegnato da uno dei molti segnalibro che ne sporgevano. — Stando a questa documentazione, lei sarebbe studente qui da... vediamo, approssimativamente da tredici anni.
 — Mi sembra abbastanza esatto.
— A tempo pieno — aggiunse Wexroth.
— Sì, lo sono sempre stato, a tempo pieno.
— È entrato in questa università ad un’età inferiore alla media, dimostrandosi un giovane precoce, ed i suoi voti sono sempre stati decisamente buoni.
— Grazie.
— Quello non era un complimento, era solo una constatazione. Nel suo curriculum c’è anche una quantità di materiale sufficiente ad ottenere un titolo di studio, ma sempre sfruttato allo scopo di rimanere studente. In effetti, dal punto di vista quantitativo, ci sarebbe materiale sufficiente per ottenere un paio di dottorati, e sarebbe possibile suggerire parecchie composizioni...
— Le composizioni di materie non ricadono sotto la regola principale dipartimentale.
— Sì, ne sono perfettamente consapevole. Nel corso degli anni si è reso evidente che la sua intenzione era quella di mantenere la sua posizione di studente a tempo pieno, senza però mai arrivare alla laurea.
— Io non l’ho mai detto.
— Un riconoscimento delle sue intenzioni sarebbe ripetitivo e sovrabbondante, Mister Cassidy: il suo curriculum parla da solo; una volta eliminati dal suo cammino
tutti i requisiti di carattere generale per la laurea, è stato ancora relativamente facile per lei evitarla spostando periodicamente il suo campo principale di studi ed ottenendo sempre nuovi gruppi di materie particolari da studiare. Dopo qualche tempo, tuttavia, anche questi sono venuti a scarseggiare, e ben presto è per lei divenuto necessario operare lo spostamento ogni semestre. A quanto mi pare di capire, la regola relativa alla laurea obbligatoria in seguito al completamento di un gruppo maggiore dipartimentale di materie è stata approvata esclusivamente a causa sua. Lei ha operato un sacco di deviazioni dal piano di studi normale, ma questa volta non ha più possibilità di farlo: il tempo scarseggia e l’orologio sta per battere l’ora fatidica. Questo è l’ultimo colloquio che avremo in merito a questo argomento.
— Lo spero. Sono soltanto venuto per far firmare la mia scheda.
— Lei mi ha anche posto una domanda.
— Sì, ma adesso che posso vedere quanto lei sia occupato, sono disposto a lasciar perdere.
— È tutto a posto: io sono qui apposta per rispondere alle sue domande. Per continuare, quando ho sentito parlare per la prima volta del suo caso, è sorta in me una naturale curiosità in merito al motivo del suo strano comportamento, cosicché, quando mi è stata offerta l’opportunità di diventare il suo consigliere, mi sono naturalmente dato da fare per scoprirlo...
— Offerto? Vuole dire che sta facendo questo per sua scelta?
— Proprio così. Volevo essere quello che le avrebbe detto addio e che le avrebbe indicato la strada verso il mondo vero.
— Se lei mi firmasse semplicemente la scheda...
— Non ancora, Mister Cassidy. Lei voleva sapere il perché della mia antipatia nei suoi confronti, e, quando se ne andrà di qui... da quella porta... lo saprà. Tanto per cominciare, sono riuscito dove i miei predecessori hanno fallito, dal momento che sono al corrente delle disposizioni del testamento di suo zio.
Annuii: avevo avuto la sensazione che la conversazione avrebbe preso quella piega.
— Mi sembra che lei sia andato al di là dello scopo connesso alla sua carica — dissi. — Quella è una questione personale.
— Nel momento in cui interferisce con la sua attività qui, viene ad entrare nella mia sfera d’interesse... e di riflessione. Per quel che ne capisco io, il suo defunto zio le ha lasciato un patrimonio di cospicue dimensioni, del quale lei potrà usufruire nel modo più libero fintanto che continuerà ad essere uno studente a tempo pieno che lavora per arrivare alla laurea. Una volta che lei avrà conseguito una qualsiasi laurea, tale disponibilità verrà a cessare, ed il resto di quel patrimonio dovrà essere distribuito fra i rappresentanti dell’Armata Repubblicana Irlandese. Ho descritto esattamente la situazione?
— Per quanto correttamente possa essere descritta una situazione scorretta, suppongo. Povero, stupido vecchio zio Albert, ed anche povero me. Sì, avete afferrato in pieno la situazione.
— Sembrerebbe che l’intenzione di quell’uomo fosse quella di fornirle i mezzi per ottenere un’adeguata istruzione... né più né meno... per poi permetterle di farsi strada nel mondo con i suoi mezzi. Un’idea estremamente ragionevole, per come la vedo
io...
— L’avevo già indovinato.
— Ed un’idea che lei, chiaramente, non condivide.
— Vero. Evidentemente in questo caso sono coinvolte due differenti filosofie in merito all’educazione di un individuo.
— Mister Cassidy, sono convinto che la situazione attuale sia dominata dall’economia piuttosto che dalla filosofia: per tredici anni lei ha fatto in modo di rimanere semplice studente a tempo pieno invece di conseguire una laurea, e ciò allo scopo di continuare a percepire i suoi assegni. Lei si è grossolanamente approfittato della scappatoia contenuta nel testamento di suo zio perché lei è un play-boy ed un dilettante che non ha alcun desiderio di lavorare, di avere un lavoro fisso, di ripagare la società che tollera la sua esistenza. Lei è un opportunista, un irresponsabile, un automa.
— D’accordo — annuii. — Lei ha soddisfatto la mia curiosità sul suo modo di pensare. Grazie.
Le sue sopracciglia si avvicinarono in un’espressione aggrondata, mentre mi esaminava.
— Dal momento che lei potrebbe essere il mio consigliere anche per parecchio tempo, volevo conoscere la sua posizione — aggiunsi. — Ed ora la conosco.
— Lei sta bluffando — ridacchiò Wexroth.
— Se lei si decidesse a firmare la mia scheda — feci, scrollando le spalle, — me ne potrei anche andare.
— Non ho bisogno di vedere quella scheda — disse lentamente Wexroth, — per sapere che io non sarò il suo consigliere per parecchio tempo. Questa, Cassidy, è la fine della sua sfacciataggine.
Tirai fuori la scheda e gliela porsi, ma lui la ignorò e proseguì:
— E con l’effetto demoralizzante che la sua presenza esercita qui all’università, non posso fare a meno di chiedermi come si sentirebbe suo zio se fosse a conoscenza del modo in cui i suoi desideri sono stati distorti. Lui...
— Glielo chiederò quando lo vedrò di nuovo in giro — dissi. — Ma quando l’ho visto, il mese scorso, non dava esattamente l’impressione di rivoltarsi per l’indignazione.
— Prego? Non ho afferrato...
— Lo zio Albert è stato uno dei pochi fortunati che se la sono cavata nello scandalo della Bide-A-Wee. Circa un anno fa, ricorda?
— Temo di no. — Wexroth scosse il capo lentamente. — Credevo che suo zio fosse morto, e deve esserlo, se il testamento...
— Si tratta di un delicato punto filosofico — dissi io. Legalmente è morto, d’accordo, ma lui si è fatto ibernare e conservare alla Bide-A-Wee... una di quelle organizzazioni crioniche. I proprietari, tuttavia, si sono dimostrati soggetti poco scrupolosi, e le autorità lo hanno fatto trasferire in un altro istituto analogo, insieme agli altri sopravvissuti.
— Sopravvissuti?
— Suppongo che questa sia la parola più adatta. Alla Bide-A-Wee avevano più di cinquecento clienti registrati sui loro libri, ma in realtà soltanto una cinquantina erano
effettivamente sotto ghiaccio. In questo modo facevano enormi guadagni.
— Non riesco a capire. E che ne era degli altri?
— Le loro parti migliori andavano a finire nel mercato nero degli organi, e quello era un altro settore da cui la Bide-A-Wee traeva un enorme profitto.
— Adesso mi sembra di averne sentito parlare. Ma cosa ne facevano dei... resti?
— Uno dei soci possedeva anche un’impresa di pompe funebri, ed era lui ad occuparsi di quei resti nel corso della sua attività.
— Oh. Bene... aspetti un momento, ma cosa facevano se arrivava qualcuno che voleva vedere un suo amico o parente congelato?
— Si limitavano a cambiare le targhette con i nomi; un corpo congelato visto attraverso un pannello altrettanto gelato somiglia a qualsiasi altro, un po’ come un oggetto avvolto nel cellophane. Comunque, lo zio Albert è stato uno di quelli che hanno tenuto per farli vedere: è sempre stato un tipo fortunato.
— E come hanno fatto alla fine ad incastrarli?
— Evasione delle tasse: erano diventati avidi.
— Capisco. Allora suo zio potrebbe davvero saltar fuori un giorno o l’altro per chiederle conto dei suoi atti?
— Esiste sempre una possibilità, anche se, naturalmente, fino ad ora ci sono stati ben pochi risvegli coronati da successo.
— E questa possibilità non la turba?
— Io tratto i problemi man mano che insorgono, e, fino ad ora, lo zio Albert non lo ha fatto.
— Concordemente con i desideri dell’Università e di suo zio, mi sento obbligato a farle presente che lei sta esercitando una violenza anche nei confronti di qualcun altro.
Mi guardai in giro nella stanza, scrutai perfino sotto la mia sedia.
— Mi arrendo — dissi infine.
— Lei stesso.
— Me stesso?
— Lei stesso. Accettando la facile sicurezza economica che le deriva dall’attuale situazione, lei sta cedendo all’inerzia, sta rovinando tutte le sue possibilità di poter arrivare ad essere qualcuno, sta peggiorando nel suo automatismo.
— Automatismo?
— Automatismo: nel persistere a ciondolare in giro senza far nulla.
— E così lei agirebbe davvero nel mio migliore interesse se le riuscisse di sbattermi fuori, eh?
— Precisamente.
— Non mi va affatto di dirglielo, ma la storia è piena di gente come lei, e si tende a giudicare aspramente quei soggetti.
— La storia?
— Non mi riferivo al dipartimento, ma al fenomeno in sé.
Wexroth sospirò e scosse il capo, poi, presa la mia scheda, si appoggiò all’indietro, e, aspirando il fumo della pipa, lesse quello che io vi avevo scritto, mentre io mi chiedevo se era davvero convinto di farmi un favore distruggendo il mio modo di vivere: probabilmente era così. 

Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #486 il: 23 Luglio 2012, 22:02:09 »
Eduardo ScarpettA  1853 – 1925

Fu il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Creò il teatro dialettale moderno, che ancora oggi si usa e si specializzò nell'adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio.
Vanta una carriera lunghissima di commediografo (dal 1875), interrotta bruscamente da una celebre causa intentatagli da Gabriele D'Annunzio nel 1904.
Scarpetta fu anche attore cinematografico agli albori della “settima arte”. Egli girò alcuni film per una casa di produzione milanese, la “Musical Film” di Renzo Sonzogno, tratti dalle sue commedie: Miseria e nobiltà (1914, diretto da Enrico Guazzoni), La nutrice (1914, diretto da Alessandro Boutet), Un antico caffè napoletano (1914), Tre pecore viziose (1915) e Lo scaldaletto (1915) diretti da Gino Rossetti. Di questi film ci rimangono solo alcune foto di scena di Scarpetta e di altri interpreti.
Le sue sceneggiature contengono molte descrizioni di pipe,con lo scopo di sottolineare le varie "macchiette" es:
(Camillo esce dalla seconda a sinistra con bastoni, ombrello,
involto di panni su di un bastone, valigia, gabbia con uccello e due lunghe pipe in tasca.)
Oppure per giustificare brevi uscite di scena di qualche personaggio es:
CICCIO: Io me vaco a fumà la solita pippa fore a lo ciardino, sotto a lo pergolato.
Etc...

’NO PASTICCIO

PASQUALE: Dunque sig.r D. Felice Sciosciammocca, vi prego di sentirmi bene. Tutti i padri che
hanno figlie da maritare, tengono l’uso che quando si presenta un giovine qualunque, dopo di
essersi appena appena informati, lo ammettono in casa, e lo fanno sposare. Io no, io tengo un’altro
sistema, chi si vuole sposare mia figlia, deve fare 2 mesi di prova in casa mia. Prima di tutto, non
deve fumare, capirete na giovinetta bene educata, il fumo non lo può soffrire. 2° non deve bere
vino, perché il vino, prima di tutto fà male, e poi l’uomo che beve vino, a me non mi piace.
FELICE: Nu poco miscato cu l’acqua.
PASQUALE (gridando): Niente!
FELICE: (Puozze murì de subito)!
PASQUALE: 30 la mattina s’ha da sosere priesto, in punto alle 5, deve fare il cafè per tutta la
famiglia; la stanza che io v’assegno per questi 2 mesi, ve l’avite d’arricetta vuje, vuje v’avita fà lo
lietto e vuje v’avita scupà. Dovete tirare 6 cati d’acqua al giorno... (Felice s’alza e vuole andar
via.) Che cos’è, perché vi siete alzato?
GIOVANNINO: No, papà, diceva se sbaglia e ne tira più assai.
PASQUALE: Non fa niente, meno di 6 no, ma se ne tira 10, 12 nun fa niente.
FELICE: (Sì, 30, 40, aggio venuto ccà a tirà l’acqua per i bagni).
PASQUALE: Oh, dovete pulire le scarpe a me e D. Giovannino; tenta, scovette, tutte cose sta dinto
a la cucina. La sera non potete uscire, tranne qualche volta con mio genero, qui presente.
Qualunque cosa io vi dico, dovete ubbidire. Il giorno dopo pranzo, siccome io fumo me caricate la
pipa e me la portate. Siccome io sono Notaio, tutte quelle carte che si devono copiare, le dovete
copiare voi. In ultimo poi, colle donne dovete essere freddo, impassibile, insensibile, insomma se
vi capita di parlare con qualche bella figliola, nun ve n’avita j de capo, nun v’avita movere, e
questa è la prova la più essenziale. Quando avete fatto questo per lo spazio di 60 giorni, sposerete
mia figlia con 80 mila lire di dote, altrimenti ne siete cacciato fora a la porta come diversi altri.
Che rispondete?
FELICE: Ecco qua io...
GIOVANNINO: Ma che deve rispondere, l’amico mio è un uomo modello, sono sicuro che questa
prova non lo sgomenta, è vero che non ti sgomenti?
FELICE: No, io non mi sgomento.


Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #487 il: 23 Luglio 2012, 22:13:21 »
Luigi Pirandello

Giustino Roncella nato Boggiòlo

Presa sotto braccio la busta di cuojo, dove, tra articoli e bozze di stampa della rassegna, aveva
ficcato un fascio di carte che si riferivano al banchetto, s'avviava verso la casa di Dora Barmis,
sapientissima consigliera dalle colonne de Le Grazie alle signore e signorine italiane della bellezza
e di tutte le raffinatezze intellettuali, quand'ecco, verso Piazza Venezia, un clamor confuso, lontano,
e un corri corri di gente.
Costernato, s'accostò in via San Marco a un grosso mercante di stoviglie d'alluminio che, sbuffando,
tirava giú le bande su le vetrine della bottega.
- Perché? Cos'è?
- Mah, dice... non so, - grugní quello in risposta, senza voltarsi.
Uno spazzino, seduto tranquillamente su una stanga del carretto con la giornata in ispalla a mo' di
bandiera e un braccio a contrappeso sul bastone di essa, si cavò la pipetta di bocca; sputò; disse:
- Ciarifanno.

Non poteva soffrire quel suo nuovo nipote, Giustino Boggiòlo.
- Afa! Afa! - sbuffava, appena qualcuno glielo nominava.
Che è l'afa? Ristagno di luce in basso, che snerva l'elasticità dell'aria. Quel suo nuovo nipote era
come l'afa: s'indugiava a far luce, la piú inutile luce, terra terra; vale a dire a spiegare le cose piú
ovvie, piú chiare, come se le vedesse lui solo e gli altri, senza il suo lume, non le potessero vedere.
Soffiava, il signor Ippolito, soffiava piano piano prima, per non offenderlo; alla fine, non potendone
piú, sbuffava e sbatteva anche le mani per restituire l'elasticità all'aria da respirare.
Per fargli dispetto, intanto, invece di starsene nella sua stanza ch'era forse la migliore
dell'appartamentino, se ne stava quasi tutto il giorno nello studiolo arredato di vecchi mobili, se non
meschini, certo molto comuni; e lí dàgli a fumare, non ostante che il medico lo avesse ammonito
piú volte di smettere, se non voleva incorrere in qualche serio malanno. Ma sapeva che Giustino
non poteva soffrire il fumo. A certi terribili assalti di tosse per l'intossicamento dei bronchi,
strozzato, paonazzo in volto, con gli occhi schizzanti dalle orbite, tempestava coi pugni, coi piedi, si
convelleva; ma seguitava a fumare perché Giustino non poteva soffrire il fumo. E fumando, si
lisciava con una mano su la spalla il fiocco d'un berretto da bersagliere che teneva sempre in capo.
Come un poppante la poppa della mamma, cosí egli, fumando in quella sua grossa pipa di schiuma,
aveva bisogno di lisciare qualcosa, e non volendo la magnifica barba grigia ricciuta, lavata e
pettinata ogni mattina con grandissima cura, si faceva venire su la spalla con una mossa del collo il
fiocco di quel berretto da bersagliere e si metteva a lisciar quello.
Fumando e lisciando, pensava.

Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #488 il: 17 Agosto 2012, 12:15:13 »
Charles Dickens

Cantico di Natale


In fondo a cotesta spelonca infame, sotto l'aggetto di una tettoia, aprivasi una bottega lurida e bassa,
dove s'andava a comprare cenci, ferri, bottiglie, untume di rimasugli. Dentro, sull'impiantito, erano
ammontati chiodi, uncini, chiavi rugginose, catene, lime, bilance, pesi, ferri vecchi d'ogni maniera.
Ascondevansi forse e brulicavano segreti che non era bello approfondire in quella montagna di
cenci nauseabondi, di grasso corrotto, di ossami. Un vecchio furfante sulla settantina, grigio di
capelli, se ne stava a sedere in mezzo a coteste sue mercanzie, presso una stufa di vecchi mattoni.
Difeso dall'aria fredda di fuori mediante un sudiciume di tenda fatta di tante pezze spaiate, sospese a
una corda, s'andava fumando la sua pipa con tutta la voluttà di una solitudine indisturbata.
Scrooge e il Fantasma vennero in presenza di costui nel punto stesso che una donna con un grosso
fardello sgusciava nella bottega. E subito dopo di lei, un'altra donna entrò, carica allo stesso modo;
e le tenne dietro un uomo vestito di nero rossiccio, il quale non meno stupì in vederle tutt'e due
ch'esse non avessero fatto riconoscendosi a vicenda. Dopo un momento di muto stupore, al quale si
unì il vecchio della pipa, tutt'e tre dettero in una gran risata.
- Passi avanti la giornaliera! - gridò la donna ch'era entrata per la prima. - Poi venga la lavandaia;
poi l'appaltatore delle pompe funebri. Vedi un po' che bazza, vecchio Joe! Pare che ci siamo dato la
posta, pare!
- Non vi potevate incontrare in un posto migliore, - disse il vecchio Joe, togliendosi la pipa di
bocca. - Venite in salotto. Ci siete da un pezzo come a casa vostra; e gli altri due non son mica
forestieri. Lasciate che chiuda la porta della bottega. Ah, come stride! sfido a trovar qui dentro una
sferra più rugginosa di questi arpionacci o delle ossa più vecchie delle mie.. Ah, ah! Siamo in
armonia del mestiere, capite, siamo bene assortiti. Venite in salotto. Venite in salotto. -
Il salotto era lo spazio difeso dalla tenda di stracci. Il vecchio rattizzò il fuoco con un ferro
rugginoso di ringhiera, e smoccolato che ebbe la lucerna fumosa (perché già era notte) col cannello
della pipa, si pose questo di nuovo fra le labbra.

Le avventure di Nicholas Nickleby

Le pensioni di Golden Square son molto musicali, e le note dei pianoforti e delle arpe fluttuano nell'aria vespertina intorno alla testa della lugubre statua che è il genio tutelare d'una piccola landa di cespugli nel centro della piazzetta. Le sere d'estate, le finestre si spalancano, e i passanti veggon dei gruppi di uomini bruni e baffuti appoggiati ai davanzali e occupati a fumare come camini. Suoni di rudi voci che si esercitano nella musica vocale invadono il silenzio della sera, e i fumi del tabacco più scelto profumano l'aria di tabacco in cenere; e sigari, pipe tedesche e flauti, violini e violoncelli si dividono la supremazia. È quella la regione del canto e del fumo. Le bande musicali si sforzano di dare le loro migliori prove in Golden Square, e i cantanti girovaghi tremano involontariamente levando la loro voce nell'ambito di quei confini.




Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #489 il: 20 Agosto 2012, 16:38:27 »
Charles Dickens

La Bottega dell'Antiquario

Con questo oggetto, il signor Quilp si accampò nel salotto in fondo, dopo aver messo, con la
chiusura del negozio, un punto fermo a qualunque altro affare. Avendo cercato, fra i vecchi mobili,
la poltrona più comoda e più bella che fosse possibile trovare (e riservare per suo uso particolare) e
una specialmente incomoda e brutta (che per partito preso assegnò all'insediamento dell'assistente
suo amico), le fece trasportare tutte e due nel salotto, stabilendovisi in pompa magna. Il luogo era
molto lontano dalla camera del vecchio, ma il signor Quilp stimò prudente, per precauzione contro
l'infezione della febbre, e per l'adozione d'un salutare suffumigio, non solo di fumare lui, in
continuazione, ma d'insistere con l'amico perchè facesse la stessa cosa. Inoltre, mandò un espresso
al molo per il ragazzo acrobata, il quale, arrivato a tutta velocità, ebbe l'ingiunzione di gettarsi in
un'altra poltrona messa accanto all'uscio, e di fumare senza sosta in una gran pipa provvedutagli dal
nano, e di non togliersela dalle labbra per qualunque motivo, neppure per un minuto, altrimenti
guai!

Quilp guardò il suo consigliere legale, e vedendolo agitare continuamente le palpebre nel
tormento che gli dava la pipa, a volte rabbrividire aspirandone in pieno la fragranza e sempre
scacciarsi d'attorno il fumo, si sentì più contento d'una pasqua, e si fregò le mani deliziato.
— Continua a fumare, animale — disse Quilp, volgendosi al ragazzo; — riempiti di nuovo
la pipa e tira rapidamente, fino all'ultima boccata, se non vuoi che ti arroventi la punta della
cannuccia e te la metta così sulla lingua.
Fortunatamente il ragazzo era ben temprato, e si sarebbe fumato una fornace di calce se
qualcuno gliel'avesse data. Per la qual ragione, egli mormorò soltanto una breve sfida al padrone e
fece come gli veniva ordinato.
— Magnifico, Bronzi, squisito, fragrante! Non ti senti come il Sultano? — disse Quilp.
Il signor Bronzi pensò che se egli si sentiva come il Sultano, le condizioni di costui non
dovessero essere per nulla affatto invidiabili; ma affermò che il tabacco era straordinario, e che a lui
pareva di trovarsi nella pelle di quel potentato.
— Questa è la maniera di tener lontana la febbre — disse Quilp; — Questa è la maniera di
evitare ogni calamità nella vita. Non cesseremo mai, per tutto il tempo che staremo qui... Fuma,
animale, o ti farò inghiottire la pipa!

Grandi Speranze

Sono un gran mangiatore, disse a mo' di scusa garbata alla fine del
pasto, da sempre. Se di costituzione ero meno vorace, ce n'avevo di meno, di
guai. E neanche del fumo posso fare a meno. Quando facevo il pastore laggiù
dall'altra parte del mondo, son sicuro che ci diventavo anch'io una pecora
mezza matta se non avevo da fumare.
Così dicendo si alzò da tavola, infilò la mano nel giaccone che aveva
addosso, ne tirò fuori una corta pipa nera e una manciata di tabacco sfuso del
tipo chiamato Testa di moro. Dopo essersi riempito la pipa, rimise a posto il
tabacco avanzato, come se la sua tasca fosse stata un cassetto. Prese con le
molle un carbone ardente e vi si accese la pipa, poi voltò le spalle al fuoco
e dal tappeto steso davanti al camino, fece il suo gesto favorito di tendere
entrambe le mani verso le mie.
E questo, disse, muovendomele su e giù mentre tirava boccate di fumo
dalla pipa, e questo è il signore che ho fatto io! Un vero e proprio signore!
Mi fa un gran bene guardarti, Pip. Non chiedo altro che stare a guardarti,
ragazzo mio!

Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #490 il: 01 Settembre 2012, 11:04:35 »
Frammenti di atmosfere fumose..




SHAUN HUTSON
MASSACRO INFERNALE


Attraverso le finestre dell'ufficio di Mayfair si facevano strada vividi raggi di sole, in cui galleggiavano granelli di polvere come se fossero magnetizzati.
La luce del sole brillava sul lucido ripiano della scrivania di Jeffrey Donaldson. Lui stava appoggiato allo schienale della poltrona girevole e fumava soddisfatto la pipa. Il fumo saliva in piccole nuvole e si dissipava in alto sopra la sua testa, vorticando attorno all'enorme lampadario di cristallo appeso al centro del soffitto.
Mentre si muoveva avanti e indietro, la poltrona faceva poco rumore. In realtà tutta la stanza sembrava silenziosa in modo innaturale; anche i passi dell'altro uomo che vi si trovava erano soffocati dallo spesso tappeto.
Tom Westley attraversò l'ufficio e depose un bicchiere di cristallo vicino a Donaldson, che alzò lo sguardo dal dossier che stava consultando e ne esaminò il contenuto.
«È un po' presto per questa roba, non ti sembra, Tom?» osservò sorridendo.


Heinrich Mann
L’angelo azzurro


La musica era ripresa; i suoi vicini le andavano dietro cantando. Unrat si pulì gli occhiali e cercò di orizzontarsi. Tra il fumo denso delle pipe, i vapori dei corpi e dei bicchieri di grog vide un numero infinito di teste, tutte possedute dalla stessa torpida beatitudine, che oscillavano qua e là come voleva la musica. Capelli e visi erano rosso fuoco, gialli, bruni, color mattone; quei cervelli che ondeggiavano ricacciati dalla musica nel mondo dell’istinto occupavano tutta la sala come un gran campo di tulipani variopinti mossi dal vento, che nel fondo s’ingolfava tra i fumi. Laggiù, tra il fumo, si distingueva solo una cosa scintillante, un oggetto vivacissimo, qualcosa chiara illuminata a giorno da un riflettore, e spalancava una gran bocca nera. Quella creatura cantava, le parole però erano soffocate dal pianoforte e dalle voci del pubblico.



CORNELL WOOLRICH
APPUNTAMENTI IN NERO


Vi siete imbarcati a San Francisco.
— Esatto.
— La vostra destinazione?
— Prima Yokohama. E poi...
I due ufficiali guardavano attentamente la donna che, al suo tavolo da toilette, continuava indifferente a curarsi le unghie con meticolosa precisione.
— Sigarette? — chiese Allen allungando una scatola.
Martine si voltò subito sorridendo. — Joe! Mai offrire una sigaretta a un fumatore di pipa! È tempo sprecato, vero? — E volse lo sguardo nella direzione di dove era venuta la voce più profonda.
Allen esclamò: — Come fai a sapere che fuma la pipa? Non potevo immaginarlo!
— Ma se ne ha una che gli spunta dal taschino della giacca!
Vi fu una pausa. L'agente si guardò il taschino e sorrise.
— Infatti — disse. — Fumo solo la pipa.



 LA NOTTE HA MILLE OCCHI


Era seduto davanti a un tavolo, in piena luce, e armeggiava con i vari pezzi di una pipa smontata sparsi su un giornale. Stava pulendo il cannello con uno strofinaccio, e vidi che di tanto in tanto lo asciugava passandoselo sulla gamba dei pantaloni.
Fu così che ci apparve la prima volta.
Era come se si fosse alzato il sipario su un palcoscenico dopo grandi squilli di tromba e giochi di luce solo per rivelare... nulla. Una scena vuota, dove un macchinista trascurato da tutti batteva un chiodo su un'asse qualsiasi.
Dopo una preparazione così estenuante, il dramma si era sgonfiato subito.
Lui alzò lo sguardo verso di noi per un attimo. L'attimo successivo era già tornato a occuparsi della pipa.
«Jerry, io... io vorrei farti conoscere due amici miei» balbettò Eileen.
Lui non rispose, continuando sempre ad armeggiare col cannello della pipa.
«Il signor Reid e sua figlia...»
Lui guardò Eileen, non noi.
«È la famiglia presso cui lavoravi, no?»
Lei terminò le presentazioni in tono quasi disperato. «Il signor Tompkins, un nostro vecchio conoscente.»
Qualcuno doveva pur dire qualcosa. Mi decisi. «Possiamo sederci?»
Lui prese tempo. Prima ci guardò, poi rivolse di nuovo la sua attenzione al cannello della pipa. «Accomodatevi» disse alla fine, quasi a malincuore.
«Mi... mi pare di aver sentito la mamma chiamarmi» disse Eileen. «Meglio che scenda a vedere cosa vuole. Torno subito.» Sparì all'istante.
Noi restammo soli con lui. Io stavo per aprire bocca, ma vidi lo sguardo di mio padre e mi bloccai subito. Voleva che fosse Tompkins a parlare per primo. Eravamo in casa sua, dopotutto. Ecco perché cercava di sfruttare questo tenue vantaggio psicologico. Per quello che valeva, naturalmente.
Per alcuni minuti, ci fu un pesante silenzio. Tompkins, intanto, ebbe
tempo di rimontare la pipa. Quando parlò, lo fece senza alzare la voce, ma con una ruvidezza quasi sconcertante.
«Avete finito di guardarmi?»
Io mi sentii mozzare il respiro. «Non avevo intenzione di guardarla.»
«Siete venuti qui in spirito d'amicizia o per soddisfare la vostra curiosità? Se fossi per caso zoppo o monco, mi fissereste in quel modo?»
«Chiedo scusa se le è parso che la fissassimo» disse mio padre con molta dignità.
«Siamo venuti qui per ringraziarla...» mormorai premurosamente.
Lui continuò, rivolgendosi a mio padre: «Lei è venuto qui per prendersi gioco di me. Voleva smascherarmi per offrire uno spettacolo istruttivo a sua figlia e impedirle di riflettere troppo su quanto è accaduto.»
«Le assicuro che mio padre non ha mai...» cominciai amaramente.
«Non lo ha detto a lei, forse. Ma lo pensa.»
Mio padre arrossì violentemente. Era quella la risposta alle accuse di Tompkins.
Quest'ultimo gli si avvicinò, guardandolo duramente. «Lei crede di potermi sottoporre a un piccolo test, vero? Bene, io rifiuto il suo esame. Non intendo competere in astuzia con lei. Non sono sotto processo.» 
Noi non facemmo commenti.
All'improvviso, lui batté un pugno sul tavolo con rabbia incontenibile. Le labbra gli sbiancarono e le mascelle divennero rigide per la tensione.
«Ma lei è un uomo molto più intelligente di quel tipo» dichiarò con amarezza. «E ha manovrato l'intera faccenda con una perizia tale che mi ha praticamente costretto a raccontare l'unica cosa che non volevo dirle.»
Lanciai uno sguardo furtivo in direzione di mio padre, sinceramente sorpresa, e notai le minuscole rughe agli angoli della bocca che conoscevo ormai da un pezzo. Anche quella era una risposta.
«Non l'ho affatto costretta» ribatté gentilmente lui.
«Be', le conviene approfittarne, già che c'è. Vada da tutti i suoi amici e dica loro che vengano qui a fare la coda e ad avvelenarmi l'esistenza. Tanto, non è più una novità per me.» La sua angoscia e la sua emozione sembravano sincere. Stava cercando di accendersi la pipa, ma la sua mano tremava talmente nell'operazione che faticò non poco a condurla a buon fine.
«Ora potete pure andarvene, se non vi dispiace» riprese dopo un po' con voce stanca. «Avete visto il vostro fenomeno da baraccone e soddisfatto la vostra curiosità. Non c'è più niente che vi trattenga, no?»
Mio padre si alzò di scatto, come se quell'insulto velato lo avesse preso alla sprovvista costringendolo a balzare meccanicamente dalla sedia. Poi fece qualche passo un po' di lato e si piazzò per un momento vicino a un cassettone traballante, immerso in qualche profonda meditazione. Dava le spalle al padrone di casa e io lo vedevo sfiorare un barattolo di tabacco e
altri oggetti, come se pensasse a cosa doveva dire.
Alla fine, si voltò. «Mi dispiace se siamo stati importuni» disse dolcemente. «Noi non siamo venuti qui per sottoporla a un test, e tantomeno per prenderla in giro. Siamo venuti qui per mostrarle tutto il nostro apprezzamento e porgerle i nostri più sinceri ringraziamenti.»
«Non è necessario» disse Tompkins, sempre più accigliato. «Non ho fatto nulla.» Fumava la pipa e teneva lo sguardo basso, lontano da noi due.
«Noi invece pensiamo di sì» disse mio padre. «Quanto a dirlo ai nostri amici, posso assicurarle che non ne faremo parola con nessuno, se è questo che desidera. E so di poter parlare anche a nome di mia figlia.»
Poi lui si avvicinò a Tompkins e gli tese la mano.
«Se c'è qualcosa che posso fare per lei... Se posso essere d'aiuto in qualsiasi modo...»
«In nessun modo» replicò testardamente Tompkins. «Io non voglio niente da nessuno. Non chiedo nulla, solo di essere lasciato in pace.»
Mi domandai se, alla fine, avrebbe stretto la mano che gli veniva tesa. Lo fece, in effetti, ma con aria burbera, contrariata, ritraendo subito la mano.
Per un attimo, mentre guardavo la scena, mi capitò di pensare che lui, a prescindere dai poteri che aveva o non aveva, fosse per natura un povero di spirito, un tipo sordido e meschino. Lo aveva rivelato proprio in quel banale episodio. Meglio che non avesse accettato affatto quella mano, invece che stringerla in un modo così poco amichevole. Non era altro che un miserabile campagnolo, un povero disadattato che era stato costretto a portarsi sulle spalle per tutta la vita un fardello che era troppo pesante per lui.
Vidi che guardava la mano di mio padre per un istante, prima di lasciarla andare, e io mi ricordai delle parole che lui aveva detto una volta alla madre di Eileen quando era un ragazzo. Erano ancora fresche nella mia memoria: "Tutte le volte che noi pensiamo a qualcosa, nella nostra mente si crea un'immagine ben precisa dell'oggetto delle nostre fantasticherie".
«Non abbiamo niente in comune, lei e io» disse Tompkins in tono caustico. «Non sono stato io a chiederle di venire qui, non lo dimentichi. Ma ora che è venuto, la prego solo di non tornare. Qualche giorno finirà per crearmi un sacco di guai, se non mi lascia in pace. Ora se ne vada. Torni alla sua vita di sempre e lasci me alla mia. Se ne torni nella sua bella casa, sempre piena di ospiti che portano orologi con brillanti persino alle ginocchia. Se ne torni dai suoi agenti di cambio e pensi ai suoi acquisti azionari. E cerchi di non investire nessuna ragazzina mentre si dirige verso casa...»
«Andiamo, Jean» disse rapidamente mio padre, aprendo la porta per farmi passare.
Lo vidi voltarsi e scoccare un'occhiata a Tompkins, prima di chiuderla. Non riuscii a vedere cosa ci fosse in quello sguardo, perché la sua faccia era girata, ma dal modo rigido in cui teneva la testa capii che era molto seccato per la scortesia gratuita mostrata dal padrone di casa.
Anch'io feci in tempo a lanciare un'ultima occhiata all'uomo che eravamo venuti a vedere prima che la porta si chiudesse definitivamente. Se ne stava seduto davanti al tavolo con la pipa in bocca, la testa leggermente china in avanti .

Suerte!

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #491 il: 21 Dicembre 2012, 20:23:18 »


BOB SHAW 1931  1996
Nato e cresciuto a Belfast, nell'Irlanda del Nord, negli anni settanta si trasferì in Inghilterra con moglie e figli a causa dell'instabilità della situazione politica.
Laureato in ingegneria meccanica, lavorò anche come giornalista prima di dedicarsi interamente alla letteratura

Fire Pattern

PROLOGO
«Quando poi riuscirai a prendere fuoco» disse Maeve Starzynski «non venire a lamentarti da me.»
«Molto divertente» commentò suo padre spazzando via dal cardigan diversi minuzzoli di tabacco ardente. Stava fumando la sua più vecchia pipa di radica, che aveva il cannello avvolto in nastro isolante verde, quando era stato colpito da un accesso di tosse.
«Non avevo intenzione di essere divertente. Fumare è un'abitudine di-sgustosa. I dottori sono tutti d'accordo nel dire che è dannoso alla salute.»
«Parlano di sigarette. La pipa è diversa» Art Starzynski sorrise in quel modo particolare di quando era arrabbiato, e abbassò le palpebre per iso-larsi dalle opposizioni al suo punto di vista. «La pipa fa bene. Gli uomini che la fumano sono più longevi degli altri.»
«Sì, perché avvelenano chi gli sta vicino.»
Gli occhi di suo padre erano quasi chiusi. La faccia del Buddha. «Caffè» disse con voce accattivante. «Buono e bollente, buono e appena fatto e che non sia caffè istantaneo.»
«Oh, vorrei che morissi bruciato!» sbottò Maeve dominando l'esaspera-zione mentre si avviava verso la cucina sul retro della casa.
Suo padre aveva solo sessant'anni, ma aveva preso le abitudini e le esi-genze di un uomo anziano, dando l'impressione di approfittare della malattia che lo aveva colpito un mese prima.
Maeve cercò di fare il minimo rumore possibile mentre preparava il caffè e disponeva due tazze -sbatacchiare le stoviglie era un modo troppo ovvio per rivelare il proprio risentimento - e mentre l'acqua cominciava a bol-lire andò alla finestra e aspirò una profonda boccata d'aria per rilassarsi. Il dottor Pitman le aveva dichiarato che l'esito delle radiografie era stato ina-spettatamente buono. A quanto sembrava i dolori addominali che accusava suo padre erano dovuti solo a una colica. Fra un paio di giorni i medici sa-rebbero stati più precisi in merito, gli avrebbero ordinato la terapia del caso e lei avrebbe potuto riprendere il suo lavoro e la sua vita normale.
Smettila di pensare a questo si ammonì. Sii positiva!
Mentre aspettava che il caffè terminasse di filtrare, cominciò a sentire un odore dolciastro di bruciato che stava pervadendo la cucina e pensò che suo padre stesse provando, com'era sua abitudine, qualche nuova marca di tabacco esotico. Versò il caffè e dispose le due tazze su un vassoio per portarlo in soggiorno. L'odore si accentuò mentre attraversava l'ingresso e Maeve notò alcune volute azzurrine nell'aria, primo indizio che stava suc-cedendo qualcosa di insolito.
«Papà?» Aprì la porta del soggiorno e trattenne il fiato, scioccata nel vedere che era pieno di fumo azzurrino. Lasciando cadere il vassoio, corse nella stanza aspettandosi di vedere che una poltrona aveva preso fuoco. Aveva sentito dire che i mobili moderni possono incendiarsi con facilità e sapeva come fosse d'importanza vitale evitare che si respirasse troppo a lungo il fumo.
Ma non si vedevano fiamme e nemmeno suo padre era visibile.
Era difficile distinguere qualcosa in mezzo a quelle strane volute di fu-mo azzurro, ma Maeve ebbe l'impressione che vicino al televisore ci fosse una chiazza scura. Si avvicinò, respirando a fatica quell'aria fumosa e per-vasa da un odore dolce e disgustoso, e si portò le mani alla bocca quando vide che quello che aveva scambiato per una chiazza scura era in realtà un buco che metteva a nudo il tavolato del pavimento sotto la copertura di vi-nile. La superficie del tavolato era annerita e ricurva, ma non c'erano fiamme. Nella cavità, sostenuta dalle travi del soffitto della cantina sotto-stante, c'era un mucchio di fine cenere grigia.
Papà?
Maeve si guardò intorno incerta, spaventata, e aggiunse con voce appena percettibile: «Papà, cos'hai?...»
In quella le scivolò il piede su un oggetto. Lo guardò - ancora inconsa-pevole, non ancora in preda al panico - e quando vide cos'era cominciò a urlare.
L'oggetto, facilmente riconoscibile dall'anello a sigillo, era la mano sinistra di suo padre.
Suerte!

Giala

  • Visitatore
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #492 il: 24 Dicembre 2012, 10:47:35 »
Se c'è già sarò perdonato.



Giuseppe Ungaretti

NATALE

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

Napoli, il 26 dicembre 1916



Offline StefanoG

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2241
    • Mostra profilo
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #493 il: 24 Dicembre 2012, 21:53:30 »
Aqualong e Giala, ben fatto, gran belle letture, e un piacere leggere.....
Poi, Ungaretti. ..Fantastico.

Offline Aqualong

  • Cavaliere di San Dunillo
  • *****
  • Post: 2240
    • Mostra profilo
    • http://www.pipe-aqualong.com/
    • E-mail
Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #494 il: 26 Dicembre 2012, 23:54:30 »
Ho gia detto chi era,in un precedente post,ma ho trovato una sua foto giovanile dove ostenta una lovat bellissima
Il tutto assieme due delle sue pipe aliene e come sempre bucoliche. 8)

Clifford Simak

Infinito

Amos Hicklin raccolse un altro ceppo, e lo buttò nel fuoco. Il fuoco era un fuoco da boscaiolo, un falò circoscritto e allegro.
La cena era finita, e la padella e la caffettiera erano già state lavate sulla riva del fiume inargentato dalla luna, con una manciata di sabbia per sostituire il detersivo. E adesso era il momento, con il cadere dell'oscurità, era il momento in cui un uomo dei boschi doveva appoggiarsi a un tronco d'albero, e fumare la pipa come la si doveva fumare, lentamente, pacificamente, prendendo tempo per riflettere.
Da un lontano angolo del bosco un animale solitario fece udire la sua canzone della sera, un richiamo lamentoso e interrogativo, che pareva venire da un altro mondo. Nel fiume, un pesce fece udire un vigoroso tonfo, uscendo per un istante dall'acqua per inghiottire un insetto che aveva volato troppo vicino alla superficie del fiume. Hicklin allungò la mano verso la catasta di legna da ardere, prese due ceppi e li gettò nel fuoco. Poi si appoggiò al tronco d'albero ed estrasse dalla tasca della camicia la pipa e la borsa del tabacco.
Era bello, pensò... era giugno e il tempo era buono, la luna splendeva sul fiume, un vecchio uccello cantava nel bosco, e le mosche non davano troppo fastidio.
E domani, forse...
Il tabacco era finito, e la pipa gorgogliava. Se la tolse di bocca, e la batté contro un sasso, per farne uscire la cenere.
Il mattino dopo avrebbe trovato dei pesci, appesi alle lenze che aveva lasciato nell'acqua, e gli restava ancora un sacco di farina, e aveva delle altre provviste. Si alzò in piedi, e si avvicinò alla canoa, per prendere il sacco a pelo.

Oltre L'Invisibile

Sutton lasciò il marciapiede della stazione e prese un viottolo
appena tracciato che portava al fiume. Scendeva badando a
dove metteva i piedi, perché il sentiero era sdrucciolevole e
cosparso di pietre che rotolavano sotto i piedi.
Alla fine del viottolo s'imbattè nel vecchio.
Stava seduto su un grosso sasso mezzo affondato nella
melma, tenendo tra le ginocchia una canna da pesca. Una
vecchia pipa spuntava da due mustacchi grigiastri e una
bottiglia che aveva per tappo mezza pannocchia era posata lì accanto, a
portata di mano.
Cautamente, Sutton si mise a sedere, sulla malagevole
sponda vicino al vecchio, piacevolmente sorpreso dalla frescura
che si godeva in quel posto, doppiamente benvenuta dopo il
sole feroce che picchiava spietato sul villaggio pochi metri più
in alto.
— Preso niente? — chiese, rivolgendosi al pescatore.
— No — rispose il vecchio.
Tirò dalla pipa un paio di boccate, e Sutton restò a osservarlo
affascinato. Avrebbe giurato che i mustacchi stessero per
prendere fuoco.
— E neanche ieri ho preso niente — aggiunse il vecchio. Si
tolse la pipa di bocca con un gesto meditato e sputò netto nel
centro di un gorgo. — E neanche l'altro ieri ho preso niente.
— Ma volete prendere qualcosa, vero? — disse Sutton.
— No. — Il vecchio afferrò la bottiglia, estrasse il tappo e
pulì accuratamente il collo del recipiente con la mano sudicia.
— Prendete un sorso — disse gentilmente.
Sutton, reprimendo l'istinto di rifiutare, accettò il sorso
nonostante la mano sudicia. Alzò la bottiglia alle labbra e
bevve.
Il liquido gli gorgogliò in gola: sembrava fuoco misto a bile,
con in più una goccia di zolfo. Depose la bottiglia e rimase a
bocca aperta, affinché l'aria fresca entrasse a rinfrescargli e a
deodorargli le mucose.
A sua volta il vecchio bevve una lunga sorsata e, dopo essersi
pulito la bocca con il dorso della mano, tirò un grosso sospiro
di soddisfazione. Posò di nuovo la bottiglia vicino a sé e rimise
a posto la pannocchiatappo.
— Siete forestiero, vero? — disse. — Non mi ricordo di
avervi mai visto in giro, da queste parti. Siete in vacanza
perché domani è il quattro luglio, no?
Sull'acqua passò una cavalletta su una foglia galleggiante.
L'insetto cercò di spiccare un salto fino a riva, ma saltò troppo
corto. La corrente l'afferrò e lo trasportò lontano in un attimo.
— È il fiume più birbante di tutti gli Stati Uniti, questo
Wisconsin — disse il vecchio. — Non ci si può fidare. Molti
anni fa hanno tentato di farci navigare i piroscafi, ma è stato un
fiasco: dove oggi c'è un canale, domani c'è un banco di sabbia.
La corrente trasporta una quantità spaventosa di sabbia, sapete?
Da molto lontano venne il rumore di un treno che
sferragliava, sbuffando, sul ponte metallico gettato sopra il
fiume: un lungo treno merci che risaliva faticosamente la
vallata. Dopo che il convoglio ebbe passato il fiume, Sutton
sentì ancora a lungo il suo ansimare.
— Il destino — disse il vecchio — non è stato propizio per
quella cavalletta, vi pare?
Sutton trasalì. — Che cos'avete detto?
— Non ci badate — gli rispose il vecchio. — Borbotto tra
me.
— Ma il destino... avete detto qualcosa del destino.
— Vi interessa, eh? Ho scritto un romanzo sul destino, una
volta. Quand'ero giovane passavo il tempo scrivendo.
Sutton tentò di rilassare i propri nervi e si distese supino.
Presso la sponda, un po' più a valle, un piccolo pesce spiccò un
salto fuori dell'acqua e scomparve, lasciando un cerchio di
piccole onde concentriche.
— Avete l'aria di uno a cui non importa gran che di tirar su
qualcosa — disse Sutton.
— Preferisco di no — disse il vecchio. — Quando prendete
qualcosa dovete tirar su l'amo. Poi infilare un'altra esca e
tornare a gettare l'amo nell'acqua. Quindi dovete mettervi a
pulire il pesce. Una cosa orribile. — Si tolse la pipa di bocca e
sputò nel fiume: — Avete mai letto Thoreau, giovanotto?
Sutton fece segno di no. Tutto ciò che riusciva vagamente a
ricordare era un frammento in un testo di letteratura antica,
durante gli anni dell'università.
— Peccato — continuò il vecchio. — Dovreste leggerlo.
Thoreau vedeva giusto.
Sutton si alzò, spazzolandosi la polvere dai calzoni.
— Potete restare — disse il vecchio. — Non mi date nessun
fastidio, davvero.
— Devo continuare per la mia strada — disse Sutton.
— Passate a trovarmi un'altra volta. Faremo quattro
chiacchiere.
— Lo farò senz'altro — disse gentilmente Sutton.
— Lo gradireste un altro sorso, prima di riprendere il
cammino?
— No, grazie — rispose Sutton indietreggiando. — Davvero,
no.
— Come volete — fece il vecchio. Afferrò la bottiglia e
ingollò un'altra lunga sorsata gorgogliante.






Suerte!