Autore Topic: Il fumatore di pipa  (Letto 219786 volte)

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #180 il: 31 Gennaio 2013, 15:44:13 »
UN ALTRO FUMATORE DI PIPA MA, MENO NOTO E'...


Robert Paynter

Robert Paynter è direttore della fotografia di numerosi progetti cinematografici.
Ricordiamo il suo contributo a:
 Un Lupo mannaro americano a Londra , Superman II,  Superman III,  La piccola bottega degli orrori,  Spie come noi,
 Una Poltrona in due , Tutto in una notte, Quando vennero le balene, Eddy e la banda del sole luminoso ...ed altri ancora.

notizie da siti di amanti di cinema e fotografia

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Offline StefanoG

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #181 il: 31 Gennaio 2013, 15:46:06 »
Cristiano, concordo in pieno con te, non so coma mai ma,....era immaginabile gli piacessero  ;D

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #182 il: 31 Gennaio 2013, 16:05:57 »
Daniel Day-Lewis

Oscar al miglior attore 1990
 Oscar al miglior attore 2008

Daniel Michael Blake Day-Lewis (Londra, 29 aprile 1957)
  .... è un attore britannico con cittadinanza irlandese.

Daniel Day-Lewis nasce a Londra il 29 aprile 1957 figlio di Cecil Day-Lewis, poeta britannico di origine irlandese, e di Jill Balcon, attrice teatrale britannica nata da una famiglia ebraica di origini lettoni e polacche. Ha vinto il premio Oscar al miglior attore protagonista nel 1990 per l'interpretazione ne Il mio piede sinistro (My Left Foot) di Jim Sheridan e nel 2008 per il film Il petroliere di Paul Thomas Anderson.

Nel 1993 ottiene la doppia cittadinanza, diventando cittadino irlandese oltre che britannico. Ha molta esperienza teatrale in quanto, dopo il debutto-fiasco al cinema con Domenica, maledetta domenica (1971), decide di dedicarsi al teatro, tralasciando il cinema, a parte piccole eccezioni (per esempio fa una piccola parte in Gandhi del 1982 e nel successivo Il Bounty del 1984 al fianco di Anthony Hopkins e Mel Gibson). La notorietà arriva nel 1985 quando gira Camera con vista e My Beautiful Laundrette, mentre la vera fama lo travolge quando partecipa a Il mio piede sinistro di Jim Sheridan del 1989, per il quale vince il premio Bafta ed il premio Oscar per il migliore attore protagonista battendo l'agguerrita concorrenza di Tom Cruise (per Nato il 4 luglio, vincitore del Golden Globe qualche mese prima), Robin Williams (per L'attimo fuggente), Morgan Freeman (per A spasso con Daisy) e Kenneth Branagh (per Enrico V), interpretando Christy Brown, un ragazzo completamente paralizzato con l'eccezione del piede sinistro con il quale ha poi scritto la sua biografia e dipinto diversi quadri. Nel 1992 lavora ne L'ultimo dei Mohicani, regia di Michael Mann; poi è la volta di L'età dell'innocenza di Martin Scorsese e nello stesso anno (1993) di nuovo con Sheridan il drammatico Nel nome del padre nel quale interpretando la parte sentitissima di Gerry Conlon riceve un'altra nomination al premio Oscar per miglior attore protagonista, non riuscendo però a vincerlo, battuto da Tom Hanks per Philadelphia.

Torna nel 1996 nel drammatico La seduzione del male, mentre nel 1997 è di nuovo protagonista in un film di Sheridan The Boxer ma il film non riscuote un gran successo e Day-Lewis riceve solo una candidatura al Golden Globe come attore protagonista nella sezione drammatica non riuscendo ad aggiudicarsi la statuetta. Forse stanco, decide di ritirarsi per qualche tempo a Firenze dove trova casa a piazza Santo Spirito e si fa assumere come apprendista calzolaio di scarpe per vip. Tocca a Martin Scorsese riuscire a convincerlo ad interpretare di nuovo un film come protagonista, Gangs of New York, dove la sua intensa interpretazione nel ruolo di Bill il macellaio gli consente per la terza volta di essere candidato al premio Oscar, di nuovo come protagonista, non riuscendo però a vincerlo (battuto a sorpresa da Adrien Brody per Il pianista); vince d'altro canto il premio IOMA come migliore attore protagonista

Dopo aver recitato in La storia di Jack & Rose del 2005, torna al cinema nel 2007 ne Il petroliere di Paul Thomas Anderson dove la strepitosa interpretazione del cercatore di petrolio Daniel Plainview gli fa ottenere il Golden Globe (il primo nella sua carriera), il premio IOMA, il premio Bafta (il suo terzo dopo Il mio piede sinistro e Gangs of New York) e il suo secondo Oscar, riuscendo a battere la concorrenza di George Clooney (per Michael Clayton), Johnny Depp (per Sweeney Todd), Viggo Mortensen (per La promessa dell'assassino) e Tommy Lee Jones (per Nella valle di Elah).
 
Ultima pellicola uscita nelle sale cinematografiche della quale Day-Lewis è protagonista è il musical del 2009 Nine, di Rob Marshall, già regista di Chicago, ispirato al film di Federico Fellini 8½. Day-Lewis veste i panni di Guido Contini, un regista in crisi creativa. La storia ruota intorno al rapporto con le donne della sua vita. Accanto all'attore Sophia Loren, Marion Cotillard, Nicole Kidman, Penélope Cruz, Judi Dench, Kate Hudson, Stacy Ferguson.
 
Ottiene la quinta nomination all'oscar come migliore attore protagonista in Lincoln di Steven Spielberg, nel quale Daniel Day Lewis interpreta il presidente Abramo Lincoln .
 
Vita privata :
Day-Lewis è sposato con Rebecca Miller, figlia del drammaturgo Arthur Miller, conosciuta sul set de La seduzione del male nel 1996, dalla quale ha avuto due figli. In precedenza aveva avuto un figlio dall'attrice Isabelle Adjani; la loro relazione, iniziata nel 1989, fu troncata da Day-Lewis all'annuncio della gravidanza della compagna; nonostante ciò riconobbe il figlio, tuttavia senza mai crescerlo. Ha avuto anche relazioni con Winona Ryder e Julia Roberts.
 Tifa per la squadra londinese del Millwall ed è agnostico.

Curiosità :
E' un perfezionista: prima di girare "Il mio piede sinistro" è stato per giorni su una carrozzella, ha passato una settimana in carcere a pane e acqua per prepararsi a "Nel nome del padre" e ha vissuto nella foresta per girare "L'ultimo dei Mohicani". D'accordo con Harvey Weinstein, Daniel Day Lewis stava passando un periodo di tempo lontano dal lavoro, facendo il ciabattino a Firenze, quando Scorsese e Di Caprio lo persuasero a tornare a New York con false scuse in modo da poterlo convincere ad accettare il ruolo in Gangs of New York.

Ama molto l'Italia a tal punto che, si trasferì a Venezia dove l'interesse per le Gondole lo condusse a stare lontano dal cinema a lungo e,
studiare come artigiano per imparare a costruire gondole.

Tratto da MyMoviese e Wikipedia

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #183 il: 31 Gennaio 2013, 16:16:00 »
WOLSTENHOLME.............UN GIOVANE CHE AMA LA PIPA

Christopher Anthony Wolstenholme :
(Rotherham, 2 dicembre 1978)

.......è un bassista britannico membro del gruppo britannico Muse...


Nazionalità : Gran Bretagna - Genere : Alternative rock  Pop rock  Rock elettronico  Rock progressivo
Periodo di attività : 1997 – in attività
Strumento : Basso
Etichetta : Taste Media Mushroom  East West  Warner Bros.  Helium-3
Gruppo attuale : Muse
Gruppi precedenti : Fixed Penalty - Gothic Plague
Album pubblicati : 8
Studio : 5
Live : 3

Biografia :
Chris nasce e cresce a Rotherham, prima di trasferirsi a Teignmouth (Devon) nel 1989. Nei primi anni novanta, suonava la batteria in un gruppo locale chiamato Fixed Penalty, mentre Matthew Bellamy e Dominic Howard, i suoi futuri compagni nei Muse, ne avevano un altro denominato Carnage Mayhem. Il gruppo di Matt e Dom continuava a cambiare bassista e, dopo due anni di fallimenti, decisero di chiamare Chris. Con grande spirito di sacrificio abbandonò la batteria e iniziò a suonare il basso. Il trio si rinominò così Rocket Baby Dolls, che in seguito divenne Muse. Oggi è considerato uno dei migliori bassisti nel suo genere: ricevette persino i complimenti di Sir Paul McCartney dopo la sua performance al Glastonbury Festival del 2004.
Attualmente risiede a Teignmouth con sua moglie Kelly e i suoi sei bambini: Alfie (12 anni), Frankie (10 anni), Ava-Jo (8 anni), Ernie (3 anni), Buster (nato il 4 novembre 2010) e Teddi Dorothy, nata il 5 gennaio 2012.
Wolstenholme ha utilizzato diversi bassi dall'inizio della sua carriera, partendo con un Warwick Bass Collection e, parallelamente, un contrabbasso elettrico. Wolstenholme utilizza spesso distorsori, favorendo l'Electro Harmonix Russian Big Muff distorsore / sustainer; utilizzato accanto ad un BOSS Bass overdrive, un sintetizzatore Akai Deep Impact e altri effetti. In Origin of Symmetry, Wolstenholme utilizzò un Pedulla basses. Per il terzo album, Absolution, Wolstenholme mantenne il Pedulla bass, ma partecipò alle regitrazioni dell'album con bassi Warwick e altri, oltre anche a un Fender Jazz Bass.
In Black Holes and Revelations, Wolstenholme ha cambiato quasi completamente la sua attrezzatura, utilizzando soprattutto Rickenbacker 4003 e Fender Jazz Bass. Nelle registrazioni dell'album ha anche usato un Custom Manson 8 string Bass. Utilizza un plettro su un numero limitato di nuove canzoni, tra cui Assassin, le introduzioni di Map of the Problematique e di Invincible e buona parte di Knights of Cydonia. In Soldier's Poem invece si avvale di un contrabbasso. L'Electro Harmonix Russian Big Muff è stato usato più spesso in questo album, quasi in ogni traccia, e la sua voce a volte è cantata con un vocoder, si nota soprattutto in Supermassive Black Hole. Inoltre, durante le esecuzioni di Hoodoo, Wolstenholme esegue le parti chitarra (le parti di basso vengono eseguite da Morgan Nicholls). Dal V Festival 2008, prima di iniziare con Knights of Cydonia, Wolstenholme esegue mediante l'uso di un'armonica a bocca A Man with Harmonica (brano originariamente composto da Ennio Morricone).

Curiosità:
Mentre i Muse erano impegnati al The Cure's Curiosa Festival nel 2004, Chris si ruppe il polso giocando a football con The Cooper Temple Clause, rimanendo impossibilitato a suonare. Per questo motivo, il gruppo, in occasione del V Festival 2004 e in alcune date successive, reclutarono Morgan Nicholls (proveniente dagli Streets) al basso, mentre Chris fu relegato alla tastiera.

Da wikipedia

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« Ultima modifica: 31 Gennaio 2013, 16:19:33 da StefanoG »

rais

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #184 il: 31 Gennaio 2013, 16:32:11 »
Scusa, ma dove li trovi ?  :o :o :o

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #185 il: 31 Gennaio 2013, 16:53:17 »
navigo, cerco, scartabello, sono come un investigatore, hai presente ?
collego una notizia ad un altra, lego un filo ad un altro, seguo le briccioline che trovo per strada...risalgo alle immagini e poi in seguito scarico la biografia o, la notizia....a volte le notizie escono da sole, altre volte c'è da sudare, a volte c'è l'immagine ma mancano notizie o, viceversa.
Ma di fatto si trova sempre qualcosa, su internet c'è tanta roba, il problema è .....che c'è nè troppa.
Ma è solo un fatto di tempo, è solo un mero fatto di pazienza e tempo.
« Ultima modifica: 31 Gennaio 2013, 17:59:52 da StefanoG »

Giala

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #186 il: 31 Gennaio 2013, 18:00:33 »
Vorrei tanto poter scrivere qualcosa su questo argomento ma non ne sono capace.
Scusatemi, spero di poter dare il mio contributo a questo forum in un'altra discussione in un prossimo futuro. Per il momento mi limito a seguire e leggere con grande interesse l'intelligente dibattito caratterizzato dall'intreccio di opinioni alle volte contrastanti ma sempre espresse nel pieno rispetto delle opinioni altrui e della persona con la quale si interloquisce.

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #187 il: 31 Gennaio 2013, 18:06:09 »
....grandee Gialaaa eehh aahh  :D

rais

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #188 il: 01 Febbraio 2013, 09:08:22 »
stacce !!  ;)

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #189 il: 01 Febbraio 2013, 09:58:03 »
FELICE BONETTO..................FUMAVA LA PIPA ANCHE IN GARA.....


Felice Bonetto (Manerbio " Brescia", 9 giugno 1903 – Silao" Messico" de la Victoria, 21 novembre 1953) è stato un pilota automobilistico italiano.
 
Per quanto riguarda la Formula 1 ha debuttato con la Maserati al Gran Premio di Svizzera del 1950 ed ha conquistato in carriera un totale di 17,5 punti.
Ben diverso il discorso delle competizioni automobilistiche destinate alle vetture a ruote coperte: nel suo palmares spiccano infatti la vittoria alla Targa Florio del 1952, due secondi posti alla Mille Miglia nel 1949 su Ferrari e nel 1953 con la Lancia.
L'ultima vittoria l'ottenne durante la VI edizione della Bologna - Passo della Raticosa, il 27 settembre 1953 a bordo della Lancia D24.
Due mesi dopo, durante la IV Carrera Panamericana, alla quale partecipa con i compagni di squadra Piero Taruffi, Eugenio Castellotti, Juan Manuel Fangio e Giovanni Bracco, dopo essere in testa alla classifica provvisoria con un 1º posto e due seconde posizioni di tappa, Felice Bonetto rimase vittima di un grave incidente in Silao de la Victoria in Messico, dove morì il 21 novembre 1953. È sepolto nella sezione italiana del cimitero di Dolores, nella Città del Messico.

Il “leone” José Alfredo Hernández Padilla, noto come uno dei principali realizzatori della replica della D24 di Felice Bonetto ha segnalato un evento svoltosi il 21 novembre di quest’anno. A 59 anni di distanza dalla morte di Felice Bonetto infatti, è stato inaugurato nella cittadina di Silao il Parco dedicato a questo grande pilota, morto durante la IV Carrera Panamericana a bordo della sua Lancia D24 per una banale distrazione avvenuta nella stessa città in cui è successa la tragedia e dove si è inaugurato il parco.
 L’evento, organizzato dallo stesso José Alfredo Hernández Padilla, il quale ha poi donato una delle repliche della D24 di Bonetto da lui realizzate, ha coinvolto numerose personalità in ambito motoristico e politico. Iniziata alle 11 di mattina, la cerimonia di inaugurazione è stata presieduta dal sindaco di Silao, il signor Enrique Solis; dal segretario dello sviluppo del turismo nello stato di Guanajuato, il signor Fernando Olivera Rocha; da Eduardo León Camargo, presidente onorario della Carrera Panamericana e dall’architetto Fernando Garcia, direttore del Museo Old Car di Puebla, il quale ha espresso parole commoventi davanti agli ospiti di questo speciale evento che si sono riuniti per assistere all’apertura del parco che posiziona ancora una volta Silao come importante centro storico internazionale nel mondo dei motori.
 Alla fine della cerimonia, si è voluto omaggiare il pilota presentando una lapide intenta a ricordarne la sua scomparsa in quel preciso luogo, offrendo anche un omaggio floreale per commemorarne la sua morte 59 anni dopo.

Nato il 9.11.1903 a Manerbio (Brescia), morto il 21.11.1953 a Silao (Messico). Gran Premi disputati 16. Piazzamenti 8. Grande pilota sulle vetture Sport prima della seconda guerra mondiale, debutta a 47 anni in Formula 1 nel 1950 su una Maserati privata. Nel 1951 è all’Alfa Romeo, con cui conquista il terzo posto nel Gran Premio d’Italia. Nel 1952 vince la Targa Florio alla guida di una Lancia. L’anno successivo è ancora terzo a Zandvoort. L'ultima vittoria l'ottenne durante la VI edizione della Bologna - Passo della Raticosa, il 27 settembre 1953 a bordo della Lancia D24. Due mesi dopo, durante la IV Carrera Panamericana, alla quale partecipa con i compagni di squadra Piero Taruffi, Eugenio Castellotti, Juan Manuel Fangio e Giovanni Bracco, dopo essere in testa alla classifica provvisoria con un 1° posto e due seconde posizioni di tappa, Felice Bonetto rimase vittima di un grave incidente in Silao, Messico, dove morì il 21 novembre 1953. È sepolto nella sezione italiana del cimitero di Dolores, nella Città del Messico.

L'ANGOLO DEL RICORDO
21 NOVEMBRE, 1953; FELICE BONETTO, UNA GRANDE PERDITA
Il 21 novembre 1953 si disputa la quarta tappa della Carrera Messicana, una delle più grandi e affascinanti maratone stradali. La vittoria sembra un affare privato tra i piloti della Lancia che ha schierato ben cinque D24. In testa è Felice Bonetto, alla sua quarta apparizione nella corsa messicana, con una quarantina di secondi di vantaggio sul compagno di squadra Piero Taruffi che ha già vinto la gara nel 1951. Terzo è Juan Manuel Fangio sempre con la Lancia. La gara è già stata funestata da un grave incidente nella prima tappa, fatale ad Antonio Stagnoli e al meccanico Giuseppe Scotuzzi, a bordo di una Ferrari 375 MM che ha capotato più volte dopo lo scoppio di un pneumatico. I 420 km da Città del Messico a Leòn e i successivi 530 km della quinta tappa da Leòn a Durango, sempre nella stessa giornata, promettono di essere decisivi. In effetti, Umberto Maglioli con la Ferrari 375 MM supera Fangio e si porta all’attacco del duo di testa. Lo stesso Taruffi è ora in scia di Bonetto. A Silao l’epilogo. Taruffi va fuori strada in una curva a destra. Bonetto continua ma poche centinaia di metri dopo è tradito da uno dei tanti “vados”, un canale di scolo che attraversa l’asfalto, che pure erano stati segnalati dai piloti con tratti di vernice rossa o blu durante le ricognizione. La Lancia N°34 finisce contro il muro di una casa e per Bonetto non c’è niente da fare. Dopo l’ulteriore rallentamento di Maglioli, Gianni Lancia impone ai suoi piloti di mantenere le posizioni e fa salire un meccanico a bordo di ogni vettura. La vittoria finale va a Manuel Fangio, che coglie una delle sue rare vittorie tra le sport. Felice Bonetto, che è ricordato da un monumento nel cimitero di Dolores a Città del Messico, era un pilota molto amato. Aveva appena vinto in Italia la Pontedecimo -Giovi. Nato a Manerbio il 9 giugno 1903, dopo le prime gare negli anni trenta, si era affermato ai massimi livelli dopo la guerra, brillando alla Mille Miglia, dove si era piazzato secondo nel 1949 con una Ferrari 166 MM Touring alle spalle di Clemente Biondetti, e nel 1953 con la Lancia, con la quale l’anno precedente aveva centrato la sua vittoria più prestigiosa alla Targa Florio. Ma non era solo un grande stradista, come dimostra la sua carriera in F1 dove ha corso con Maserati e Alfa Romeo. Tra i migliori risultati di Bonetto ricordiamo i terzi posti al Gran Premio d’Italia del 1951 e al Gran Premio d’Olanda del 1953. (Franco Carmignani).
 
Per quanto riguarda la Formula 1 ha debuttato con la Maserati al Gran Premio di Svizzera del 1950 ed ha conquistato in carriera un totale di 17,5 punti.
Ben diverso il discorso delle competizioni automobilistiche destinate alle vetture a ruote coperte: nel suo palmares spiccano infatti la vittoria alla Targa Florio del 1952, due secondi posti alla Mille Miglia nel 1949 su Ferrari e nel 1953 con la Lancia. L'ultima vittoria l'ottenne durante la VI edizione della Bologna - Passo della Raticosa, il 27 settembre 1953 a bordo della Lancia D24. Due mesi dopo, durante la IV Carrera Panamericana, alla quale partecipa con i compagni di squadra Piero Taruffi, Eugenio Castellotti, Juan Manuel Fangio e Giovanni Bracco, dopo essere in testa alla classifica provvisoria con un 1° posto e due seconde posizioni di tappa, Felice Bonetto rimase vittima di un grave incidente in Silao, Messico, dove morì il 21 novembre 1953. È sepolto nella sezione italiana del cimitero di Dolores, nella Città del Messico.
Partecipa alla Targa Florio del 1950 e 1952, nel 1950 con Alfa Romeo sport 4500 numero di gara 450 1° di classe ma ritirato per incidente. Nel 1952 vince la Targa Florio in 7.11'52'' su Lancia Aurelia B20 2000 con numero di gara 34
 
Nazionalità : Italiana
Automobilismo
Categoria Formula 1
Carriera : Carriera in Formula 1
Stagioni : 1950-1953
Scuderie : Alfa Romeo, Maserati
Miglior risultato finale : 8° (1951)
GP disputati : 15
Podi : 2
Punti ottenuti : 17,5

Tratto da Wikipedia e TargaFlorio.it

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #190 il: 01 Febbraio 2013, 10:00:52 »
....Altre due immagini Bonetto Auto

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #191 il: 08 Febbraio 2013, 17:27:08 »
MARIO SOLDATI

MARIO SOLDATI.....più che un forte fumatore di Pipa fu un grande fumatore di Sigari
Mario Soldati è stato anche, in un certo senso, l’inventore del Toscano Garibaldi. Era solito ordinare i suoi sigari direttamente alla Manifattura tabacchi di Cava de’ Tirreni. Riempiva il modulo indicando il «Magazzino vendita generi di monopolio» nel quale avrebbe ritirato la scatola da 200 o 400 sigari,  attendeva fiducioso e, quando gli giungeva comunicazione, si presentava al Magazzino con la ricevuta attestante l’avvenuto versamento del diritto di cernita. Una volta, venuto in possesso del suo tesoro, notò che quei sigari erano più chiari e di gusto più dolce del solito. Prese carta e penna e scrisse alla Direzione generale dei Monopoli, chiedendo chiarimenti. Enrico D’Anna, che all’epoca era amministratore del Monopolio e al quale si deve il racconto di questo annedoto, si rivolse al dirigente dello stabilimento campano «per rispondere con esattezza ed in modo esauriente all’illustre interlocutore», e da questi venne a sapere che quel fenomeno era dovuto al fatto che, non essendoci sempre abbastanza kentucky prodotto in Toscana e in Umbria, di tanto in tanto si rimediava utilizzando kentucky coltivato in Campania. Il quale sarebbe del tutto identico al tabacco usato «a regola d’arte» per il Toscano, se non fosse che condizioni climatiche e pedologiche innescano una qualche differenza. Tanto doveva D’Anna a Soldati e tanto gli scrisse, e questi «soddisfatto della spiegazione, prospettò una sua idea: perché non usare abitualmente il kentucky campano per produrre un altro Toscano a latere di quello, per così dire, classico?». L’idea fu raccolta, fece il giro degli uffici preposti e, superate «le consuete, lunghe e defatiganti procedure burocratiche, nel 1982, venne prodotto un nuovo Toscano, in duplice versione: normale ed “ammezzato”, originariamente concepito per il mercato nordamericano. Il sigaro fu battezzato Garibaldi – sia per la ricorrenza, in quell’anno, del centenario della morte dell’Eroe dei due mondi, che per la ben nota predilizione di quest’ultimo per i Toscani – e si aggiunse agli altri prodotti del Monopolio, con grande soddisfazione di Mario Soldati che se ne sentiva, quantomeno, il padrino».

Il giornalista Giuseppe Bozzini, autore del libro Il signor sigaro, pubblicato nel 1982 da Mursia, ha scrupolosamente descritto il rito “toscano” di Mario Soldati:
«Ne fuma sette-otto il giorno, né antichi né stravecchi, Toscani semplici, che giudica i migliori, anzi i veri, unici. Li ordina alla manifattura di Cava de’ Tirreni. […] A Soldati piace ricevere la scatole di legno, si diverte a togliere uno per uno i chiodini del coperchio. […] I sigari li lascia in una stanza aerata, su dei vassoi. Prima di fumarli li spezza in due con le mani, dopo averli incisi al centro con una lametta. Secondo lui questo è il sistema consigliabile, con una frattura frastagliata il sigaro acquista un tiraggio normale […]. S’intende che prima il sigaro va “auscultato”: premuto leggermente al centro – dice Soldati – deve fare “croc”, ma un croc secco; se fa cric o crac, non va, o è troppo asciutto o è troppo bagnato. Lo scrittore e regista piemontese è arrivato al punto da farsi costruire una macchinetta che fuma per lui, quando gli sembra di esagerare: la macchinetta fuma e lui si gode il profumo».
Mario Soldati, impareggiabile fumatore di sigari Toscani, disse in un’intervista televisiva che il tabacco è il contrario della droga: «Con la droga non si capisce più niente, col tabacco si capisce sempre di più».

Mario Soldati (Torino, 17 novembre 1906 – Tellaro, 19 giugno 1999)
.... è stato uno scrittore, giornalista, regista cinematografico, sceneggiatore e autore televisivo italiano.
« Quando riusciamo a vedere la bellezza, essa è sempre perduta. »
 (Mario Soldati, La messa dei villeggianti, Mondadori)
Biografia :
Mario Soldati nasce in via Ospedale 20 (oggi via Giolitti), a Torino, figlio di Umberto e Barbara Bargilli. Nel 1912 inizia gli studi all'Istituto Sociale dei Gesuiti, dove rimane fino alla terza liceo classico. La lezione dei Gesuiti è in questo momento molto importante per lui, ed è un fervente praticante (penserà anche di entrare nell'Ordine, salvo poi giungere a un modo molto personale e libero di concepire la fede conciliandola con la sua visione razionalistica, come trasparirà nella sua produzione letteraria). Si diploma a diciassette anni e s'iscrive alla facoltà di lettere.
La Torino degli anni venti è quella dell'intelligenza di Piero Gobetti, della pittura di Felice Casorati e del mecenatismo di Riccardo Gualino.
Gli amici più cari sono Mario Bonfantini, Giacomo Debenedetti, Carlo Levi, Giacomo Noventa, Agostino Richelmy.
 
Nel 1925 pubblica il dramma Pilato. Nel 1927 si laurea in storia dell'arte con Lionello Venturi discutendo una tesi su Boccaccio Boccaccino
( pubblicata nel 2009 ), pittore del Cinquecento, e cura il catalogo della Galleria civica d'arte moderna e contemporanea di Torino. Ottiene poi, con l'aiuto di Venturi, una borsa di studio della durata di tre anni presso l'Istituto d'Arte di Roma dove incontra Adolfo Venturi e Pietro Toesca. Nel 1929 vi è l'esordio come narratore, con il libro di racconti, Salmace che ha rappresentato, come ha ben notato Cesare Garboli, una delle prime esplorazione narrative, del tutto nuove per l'Italia, della vasta terra dei sentimenti loschi. All'inizio del terzo anno, l'offerta di una nuova borsa di studio lo induce a lasciare Roma e a partire per New York, dove insegna alla Columbia University.
 
Nel 1931 ritorna in Italia deluso di non essere riuscito a diventare cittadino americano.
Si sposa con Marion Rieckelman (si lasceranno tre anni più tardi), che è stata sua studentessa alla Columbia, e insieme hanno tre figli: Frank, Ralph e Barbara. In primavera inizia a lavorare per la Cines-Pittaluga, la realtà più importante del cinema italiano.
 
Sul set, inizia come ciacchista, ha l'impressione che i suoi studi umanistici e artistici non servano più a nulla così come i suoi libri e i suoi articoli. L'incontro, però, con l'allora presidente della Cines Emilio Cecchi, e la sua stima, lo conducono nel settore 'soggetti', dove inizia la carriera di sceneggiatore, continuando a collaborare con Mario Camerini come aiuto regista.
 
Nel 1934, a causa dell'insuccesso del film Acciaio (tratto da un soggetto di Pirandello a cui collabora come sceneggiatore), Soldati viene licenziato.
 
Si trasferisce a Corconio, frazione di Orta San Giulio, un piccolo paese sul lago d'Orta. Lontano da Roma e dal cinema, vi rimane per due anni, durante i quali scrive America primo amore, diario e racconti del giovanissimo intellettuale europeo della sua esperienza di vita negli Stati Uniti, e vari altri scritti tra cui la prima parte del 'La confessione'.
 
Nel 1936 il regista Mario Camerini lo rivuole a Roma.
Nel 1939 esordisce come regista con Dora Nelson, una commedia nello stile di Ernst Lubitsch.
Del 1941 il film che lo renderà il regista più popolare di quell'anno, Piccolo mondo antico, un successo che metterà d'accordo la critica e il pubblico, un classico del cinema italiano, dove la ventenne Alida Valli, al suo primo ruolo drammatico, vince la coppa Volpi come migliore attrice protagonista.
Piccolo Mondo Antico è un film entrato a tutti gli effetti nella storia del Cinema Italiano.
Nel 1941 aveva intanto conosciuto una ragazza di Fiume, Giuliana Kellermann, attrice croata con cui passerà il resto dei suoi giorni.
Insieme concepiranno Wolfango, Michele e Giovanni, gli altri tre figli dello scrittore.
 
La notte del 14 settembre 1943 fugge da Roma con Dino De Laurentis, e l'avventura diventerà il diario di viaggio intitolato Fuga in Italia. Trascorrerà nove mesi a Napoli lavorando, tra l'altro, ai microfoni di "Radio Napoli"; al ritorno a Roma sarà corrispondente di guerra per l'Avanti e L'Unità sulla linea Gotica.
 
Nel 1948 scioglie il contratto con il grande produttore di Hollywood David O. Selznick, perché il consolato americano nega il visto d'ingresso alla sua compagna.
 
Nel 1949 dirige "Fuga in Francia" al quale contribuirono anche Cesare Pavese e Ennio Flaiano, e pubblica "La giacca Verde" uscito in un volume edito da Longanesi insieme a "Il padre degli orfani e La finestra", che gli valse il premio letterario San Babila.
 
Nel 1952, dal romanzo di Alberto Moravia, dirige "La provinciale". Nel 1954 pubblica il romanzo "Lettere da Capri" che gli valse il premio Strega e la popolarità come scrittore.

La Televisione :
Nel 1956, a due anni dalla nascita della televisione italiana, Soldati inventa il 'reportage enogastronomico' è infatti l'ideatore, regista e conduttore dell'inchiesta televisiva: "Viaggio lungo la Valle del Po alla ricera dei cibi genuini".
Una delle trasmissioni più originali della TV degli inizi, considerata un documento d'importanza antropologica: con il Soldati del viaggio sul Po nasce in Italia la figura del giornalista enogastronomico. Proprio nel corso di quella trasmissione stabilisce un forte e duraturo legame con i luoghi del Po, dove ha ambientato, tra l'altro, tutti "I Racconti del Maresciallo" e con la provincia di Ferrara, nella quale si era già recato in precedenza per girare a Comacchio "La donna del fiume" con Sofia Loren, e con le specialità gastronomiche di quella terra. Dopo le anguille de La donna del fiume scopre la salama da sugo della quale scriverà un famoso elogio. Con uno sguardo sempre attento all'identità italiana il suo viaggiare nel paese confluirà nel libro Vino al Vino (i tre volumi, del 1969, 1971 e 1976, verranno riuniti nel 2006 in un volume degli Oscar Mondadori) considerato da alcuni uno dei più bei viaggi in Italia mai scritti.
 
Il suo ultimo film Policarpo, ufficiale di scrittura, a cui prendono parte Renato Rascel e Carla Gravina, vince al Festival di Cannes del 1959 il premio per la migliore commedia.
 
Un'altra fuga, questa volta da Roma e dal cinema; dal 1960 vivrà tra Milano e Tellaro sull'estrema costa ligure di levante. Nel 1964 pubblica
"Le due città", romanzo di respiro balzachiano che abbraccia cinquant'anni di storia italiana e che nella seconda parte è ambientato nel mondo del cinema delle origini.
Presso Arnoldo Mondadori Editore pubblica il romanzo L'attore, best-seller nel 1970, che si aggiudica il Premio Campiello.
Nel 1974 collabora con Folco Quilici nella serie L'Italia vista dal cielo, curando il commento del documentario dedicato al Piemonte e Valle d'Aosta.
Nel 1981 esce "L'incendio", romanzo stevensoniano ricco di colpi di scena, ambientato nel mondo dell'arte.

È sepolto nel Cimitero monumentale di Torino, in una tomba di famiglia, insieme alla moglie Jucci Kellermann.
 
Il figlio Giovanni Soldati, nato nel 1953, è anch'egli un regista cinematografico, ed è l'ormai storico compagno dell'attrice Stefania Sandrelli.
 
Nel 2006 a 100 anni dalla nascita di Mario Soldati viene istituito un "Comitato Nazionale per le celebrazioni" sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica presieduto da Volfango Soldati. Le numerose iniziative che hanno coinvolto il mondo della letteratura, del giornalismo, del cinema, della televisione,del teatro e dell'arte visiva hanno rafforzato l'immagine del "l'interprete dell'identità italiana" che ha attraversato il novecento con un'opera che per prima ha fatto dialogare la scrittura con il cinema e gli altri "media". Nel 2007 nasce l'"Associazione culturale Mario Soldati" guidata da Anna Cardini Soldati che intende rappresentare un punto di riferimento per tutti coloro che sono interessati alla figura e all'opera di Mario Soldati.

« Fra gli scrittori del novecento italiano, Soldati è l'unico che abbia amato esprimere, costantemente e sempre, la gioia di vivere. Non il piacere di vivere, ma la gioia; il piacere di vivere è quello del turista che visita i luoghi del mondo assaporandone le piacevolezze e le offerte ma trascurandone o rifuggendone gli aspetti vili, o malati, o crudeli; la gioia di vivere non rifugge nulla e nessuno: contempla l'universo e lo esplora in ogni sua miseria e lo assolve. »
 (Natalia Ginzburg)
« L'assoluta leggerezza della scrittura di Soldati significa fraternità. Il suo rapporto col lettore non è autoritario, ma mitemente fraterno »
(Pier Paolo Pasolini)
« Una delle grandi qualità di Soldati, come è noto, è la capacità di farci apparire degna di racconto, e quindi interrogabile dall'intelligenza qualunque realtà, grande o piccola indifferentemente: la tragica immensità di Manhattan nell'età del proibizionismo non meno della vita di un pollaio al di là dello squallido cortiletto di un hotel della Valtellina »
 (Cesare Garboli)
« Qualcosa che somiglia alla felicità... e questo è, esattamente definito, il mio sentimento di lettore di Soldati da quando, per la prima volta su "Il Mondo" di Pannunzio, lessi un suo racconto. »
 (Leonardo Sciascia)

IL Regista :
Nella sua carriera di sceneggiatore e regista cinematografico ha diretto ventotto film fra gli anni trenta e cinquanta, allestendo cast con i più grandi attori dell'epoca, ma il fatto di essere anche uno scrittore di talento e di successo ha rischiato spesso di far passare Soldati come un regista mancato o come uno scrittore frustrato dall'incapacità di trasferire nelle pellicole un uguale talento artistico.
In realtà il regista, come sostenne egli stesso, era per lui una cosa diversa dallo scrittore:
 « Il cinema non è come lo scrivere, appartiene meno a chi la fa ed i registi sono meno individuali, più collettivi, sono più a contatto con il popolo. »
 Soldati pertanto alternò l'attività di scrittore, vissuta come prolungamento romantico di un esercizio privato e soggettivo dello spirito, a quella di regista, vissuta in costante compromesso con la dimensione commerciale e in "ascolto" dei gusti del pubblico:
 « Il cinematografo talvolta è arte, ma è sempre industria; l'artista che fa del cinema deve per forza venire a patti con questa industria... »
 Il filo che tiene unita tutta la produzione cinematografica di Soldati, così varia e multiforme, consiste proprio nella messa a punto di una pratica creativa plasmata sulle logiche dell'industria culturale e dell'impatto col pubblico.
 Il primo filone è caratterizzato da opere come Piccolo mondo antico, Malombra e Daniele Cortis, tratte tutte dai romanzi di Antonio Fogazzaro, romantici e romanzeschi, melodrammatici e popolari. Nel 1948 dirige Fuga in Francia e nel 1954 La provinciale, due classici del cinema italiano. Il secondo filone, con Botta e risposta, È l'amor che mi rovina, O.K. Nerone e Italia Piccola, film girato ad Arena Po in provincia di Pavia nel 1957 purtroppo andato perduto (non esiste più una copia proiettabile)
è invece la coabitazione tra popolare ed élite, che caratterizza i primi anni cinquanta Le varie fasi della cinematografia di Soldati hanno sempre in comune il contatto ravvicinato con il popolo, e, sia pure con tanti stili diversi, uno per ogni film, con un minimo di continuità poetica.

Il Personaggio :
È stato sicuramente un protagonista, seppur discusso e controverso (come sempre accade agli anticonformisti e ai pionieri), della cultura italiana della prima e della seconda metà del Novecento, considerato un "personaggio' per il coraggio di conciliare la cultura cosiddetta alta all'arte popolare e quindi allo spettacolo: ritenuto, da sempre, in ambito letterario un "buon narratore" (America primo amore, del 1935, più volte rieditata, è considerata da alcuni la sua opera migliore insieme a La giacca verde definito, da alcuni letterati autorevoli, il più bel racconto del Novecento italiano, Lettere da Capri e Il vero Silvestri[4]), non è stato solo uno scrittore di primissimo ordine, ma anche l'autore di alcuni capolavori del cinema italiano (Piccolo mondo antico, Malombra, Fuga in Francia, La provinciale). Da non sottovalutare poi, l'opera pionieristica che questo scrittore portò avanti nel piccolo schermo. Senza essere stato considerato dalla critica militante del secondo dopoguerra, tra i più grandi registi del cinema italiano, attualmente è considerato uno dei maestri del cinema italiano moderno, è però sempre stato annoverato tra i "registi intellettuali" o meglio tra gli "intellettuali registi" (lo storico del cinema Mario Verdone, padre del regista Carlo Verdone, lo ha definito un formalista, al pari di Alberto Lattuada). Ebbe peraltro un'ampia popolarità sia tra il pubblico cinematografico sia tra i lettori italiani. In occasione del centenario della nascita, il regista Carlo Lizzani il 27 giugno 2006 all'Archiginnasio di Bologna ha spiegato che Soldati ha tracciato l'altra strada del cinema italiano; una strada parallela a quella intrapresa dal cinema neorealista; Marco Müller, direttore artistico della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, ha presentato il film di Soldati Fuga in Francia del 1948 al pubblico della sala Perla nel 2006 come l'opera di uno dei maestri del cinema italiano moderno.
 « Mario Soldati è stato un dispensatore d'allegria. Nel senso dell'allegria vera, quella che qualche essere raro riesce a diffondere intorno a se. Lo scrittore torinese aveva infatti il potere di alleggerirti lo spirito. Non era fatuo. Era alacre e inquieto. (...) Nei tanti anni in cui l'ho frequentato, non l'ho mai visto un istante accasciato, in disarmo o scettico. Al pari di tanti suoi personaggi, Mario intendeva la realtà come 'suspense'. (...) Stando con Soldati si aveva la sensazione di abitare in uno dei suoi racconti. Di diventare un colore della sua tavolozza, un comprimario sul suo palcoscenico. (...) Come dissipatore di se Soldati non ha conosciuto uguali. La sua capacità di spendersi era l'altra faccia del suo narcisismo: il suo lato pìù commovente, se l'aggettivo non fosse disadatto al personaggio. Non alludo soltanto al fatto che una grande firma della narrativa italiana del Novecento abbia prodotto le sue opere più nitide e mature sottraendo qualche ora (o qualche giorno)al lavoro di regista in cinema e tivù, quasi fosse un dilettante della letteratura, uno scrittore 'domenicale'. Mi riferisco,in generale, a quel desiderio di non perdersi mai nulla che per Soldati era un imperativo esistenziale. La prodigalità di sé faceva corpo con il suo talento. (...) Un altro grande scrittore, Pier Paolo Pasolini, decretò una trentina d'anni fa che le lucciole erano scomparse dai campi, vittime dell'industria e dei suoi veleni. Mario pur ammirandolo, s'era assunto la missione di smentirlo: a cercarle bene, sosteneva, le lucciole si trovano ancora. Così come è ancora possibile scoprire, in tanti angoli di un'Italia da lui prediletta ed esplorata, vini dal sapore antico, gatti ammiccanti ed enigmatici, pretini che sbucano da sorprendenti chiesette campestri, osti, ostesse e cantinieri, contadini e marescialli. L'importanza è accostarsi a questa archeologia dell'anima senza sussiego. Non negarsi emozioni. Non tirarsi indietro. (...) »
 (Nello Ajello, Mario Soldati. Racconto d'una vita allegra, "Illustrissimi", Laterza, Bari-Roma 2006.)
 « Del talento di Soldati c'era poco da dubitare: bastava una serata con lui per rendersene conto. E a qualunque cosa lo avesse applicato – letteratura, cinema, teatro, forse anche musica -, purché lo avesse fatto a tempo pieno, cioè con totale dedizione, sarebbe diventato un numero uno. Malauguratamente per lui, e per tutti, egli era capace di fare qualsiasi cosa – racconto, saggio, sceneggiatura – ma senza riuscire ad esserne nessuna. Perché la sua vera natura e vocazione erano quelle dell'attore. In ogni momento e circostanza, anche nella conversazione tra amici come Longanesi, Maccari, Flaiano, il sottoscritto, anche – credo – a letto, Soldati recitava una parte in cui s'immedesimava, ma a scadenza. »
 (Indro Montanelli)

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #192 il: 11 Febbraio 2013, 14:21:21 »
KARL BARTH

Karl Barth (Basilea, 10 maggio 1886 – Basilea, 10 dicembre 1968)
........è stato un teologo e pastore riformato svizzero.

Barth ha fatto irruzione sulla scena teologica e filosofica europea all'inizio degli anni venti del Novecento con quella che è poi rimasta la sua opera più letta e commentata: L'epistola ai Romani (Römerbrief). Con questo testo egli ha dato inizio a un movimento teologico denominato "teologia dialettica" contrapposto alla "teologia liberale" di matrice storicista e romantica. Compito della teologia è quello di riaffermare, secondo Barth, la relazione "dialettica", paradossale, inconcepibile, di "rottura" tra Dio e il mondo (l'uomo, la cultura, la storia) contrariamente a quanto affermato dai teologi liberali (Harnack, Troeltsch) che asserivano invece una continuità tra Dio e l'uomo, considerando la fede come un elemento dell'interiorità psicologica dell'uomo e la teologia come l'analisi storico-critica della Scrittura.
Dopo la fase polemica iniziale, Barth si assesterà su posizioni più morbide. Senza smentire mai l'originaria affermazione della trascendenza di Dio, che nei termini di Rudolf Otto è «totalmente Altro» (der ganz Andere) rispetto all'uomo e al mondo, Barth affermerà la predominanza dell'aspetto della relazione e dell'incontro tra uomo e Dio nell'evento di Gesù Cristo. Testo fondamentale di questa fase è la monumentale Dogmatica Ecclesiale (Kirchliche Dogmatik) in 13 tomi che ha impegnato l'Autore dal 1932 alla morte (1968).
 
Nel pensiero di Barth si possono individuare quattro momenti cruciali di sviluppo:
1. la formazione alla scuola della teologia liberale fino alla rottura con essa
2.  il Römerbrief, cioè la "fase dialettica"
3.  la fase di passaggio del Fides quaerens intellectum
4.  la fase dogmatica matura della Kirchliche Dogmatik.

Karl Barth studia presso varie università svizzere e tedesche acquisendo una formazione in linea con le tendenze dominanti nel mondo protestante di inizio Novecento. Suoi maestri sono i teologi liberali Herrmann e Harnack, sue letture preferite Schleiermacher e Kant. In linea con questa corrente teologica Barth matura interesse per l'indagine storico-critica, l'interpretazione della fede come "sentimento interiore", la riduzione del cristianesimo a messaggio morale di cui Cristo sarebbe stato il più esemplare portatore.
Nel tempo varie influenze si sovrappongono a questa base e portano Barth a maturare una sensibilità molto diversa... L'attività pastorale, iniziata nel 1909, il contatto con la questione operaia, la povertà materiale e culturale dei suoi parrocchiani, la difficoltà a trasmettere e insegnare il Regno di Dio... maturano in lui la convinzione della abissale distanza tra la teologia liberale, che aveva imparato all'Università, e la condizione esistenziale concreta della chiesa. Il Regno di Dio diventa una realtà "indicibile", problematica, trascendente e che se agisce, agisce al di fuori delle capacità umane e delle istituzioni storiche.
Lo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, porta Barth a prendere le distanze dai suoi maestri tedeschi che avevano dichiarato il loro sostegno alla guerra. Egli vive così il "tramonto degli dei", è portato a valutare criticamente i suoi maestri e le sue convinzioni.
L'incontro con i Blumhardt, due pastori carismatici, padre e figlio, che si fanno portatori di un messaggio carico di speranza (presso di loro avvenivano pellegrinaggi e malati mentali guarivano...) alimenta in Barth l'idea di un Dio liberatore e rinnovante, che libera, salva, e dà speranza al mondo con il suo intervento miracoloso e di grazia. La lettura di Platone, attraverso il fratello Heinrich, lo porta a evidenziare il concetto di un'«origine» trascendente, di un piano ideale, «altro» e trascendente rispetto al mondo limitato e carico di problematicità e non-senso. Il teologo Overbeck e l'influsso illuminista di cui egli è debitore introducono in Barth la concezione di un cristianesimo in totale contraddizione rispetto al mondo e alla cultura. Il messaggio cristiano e Gesù Cristo possono essere compresi solo al di fuori degli schemi storici come fatti appartenenti alla Urgeschichte (protostoria o storia originaria). La scoperta di Dostoevskij si traduce in una lettura del mondo e dell'esistenza come di una realtà problematica, stratificata, piena di contraddizioni. La chiesa stessa viene vista come una istituzione umana, limitata e al tempo stesso prometeica in quanto intende sostituirsi a Dio.
Infine un influsso non determinante, ma chiarificatore, è quello di Kierkegaard: grazie al filosofo danese, Barth mette ordine nel "materiale mentale" raccolto attraverso tutti questi stimoli, e trova la formula dell'«infinita differenza qualitativa tra il tempo e l'eternità» che sta alla base di tutta la sua speculazione in particolare negli anni venti, ma anche dopo. In questa prospettiva la fede è un dono di grazia, un incontro indeducibile tra uomo e Dio, un salto abissale che non si può spiegare con le categorie filosofiche e che si situa al di fuori del tempo e della storia. Gli influssi di Dostoevskij e Kierkegaard avvicinano Barth ai temi e alla sensibilità dell'esistenzialismo, pur senza identificalo con questo movimento, in quanto per Barth la centralità sta in Dio e non nell'uomo e nella sua esistenza.

Risultato maturo del travaglio e dell'evoluzione giovanile di Barth è il Römerbrief del 1922 (una prima edizione, poi totalmente rifatta, era uscita nel 1919). Esso è il manifesto della cosiddetta "teologia dialettica". Il termine "dialettica" sta ad indicare la tendenza di fondo di questa teologia per cui:
 Dio e l'uomo si trovano in un rapporto statico-dualistico irriducibile, secondo una dialettica di matrice kierkegaardiana, tra i due termini non c'è sintesi, ma solo contrasto e differenza;
 in virtù di questo, Dio stesso si manifesta all'uomo in termini dialettici, contraddittori, paradossali, di Lui quindi non si può parlare mai in termini lineari, logici e definitivi;
 di conseguenza l'esistenza stessa dell'uomo, la storia, il mondo sono immersi nella paradossalità, nella problematicità, nel non-senso in un circolo chiuso che umanamente non si può rompere.
 
Alla base del Römerbrief stanno due affermazioni su Dio "dialettiche" che attraversano tutto il testo e che non trovano mai una conciliazione suprema:
 1.Dio è "totalmente Altro" rispetto all'uomo, al mondo, alla storia, al tempo. Tra Dio e mondo vi è una irriducibile e infinita "differenza qualitativa". L'uomo è perciò immerso "a priori" in un circolo chiuso di peccato e problematicità che lo porta a porsi continue domande senza trovare risposte definitive. L'uomo è posto in una crisi insolubile di cui è consapevole, ma che non riesce a superare. Questa crisi apre uno spazio: dall'esistenza emerge un interrogativo su una "origine" al di là del mondo e della storia in cui possano superarsi tutte le contraddizioni, ma tale origine non è mai umanamente possedibile e raggiungibile.Da questa considerazione di fondo seguono alcune conseguenze: L'uomo è peccatore e luogo privilegiato della domanda su Dio (ma non trova risposta).
 Le conoscenze umane sono tutte relative, fallaci e deboli, la teologia non può fare affermazioni "forti" su Dio, la fede è un salto indeducibile, uno spazio vuoto lasciato all'iniziativa di grazia divina.
 L'etica non può fondarsi sull'uomo, ma deve essere testimonianza del fallimento dell'uomo nella dimensione del "sacrificio". La politica deve fuggire dagli estremismi di rivoluzione e conservazione, perché entrambi finiscono con lo sfidare Dio e la sua salvezza.
 La religione corre costantemente il rischio del titanismo, di volere cioè raggiungere Dio.
 La chiesa si rivela spesso come il tentativo storico di "umanizzare Dio".
 
2.Dio può entrare in una indeducibile relazione di grazia con il mondo. Nonostante la sua infinita trascendenza, Dio non rinuncia a entrare in relazione con l'uomo, a incontrarlo e intervenire "tra i tempi" senza entrare "nel tempo". Ciò avviene in un atto indeducibile che può partire solo da Dio stesso che è la grazia o l'elezione divina. Con quest'atto Dio, nella sua assoluta libertà, fonda la fede nell'uomo permettendogli di uscire dalla sua problematicità e facendogli scorgere un barlume di eternità. Il risultato è che la realtà problematica e insensata del mondo acquisisce senso, si carica di un significato e diviene "simbolo", "parabola", "testimonianza" di qualcosa che va oltre il mondo. Lo scorrere indeterminato del tempo e la corruttibilità trovano una fissazione "simbolica" e un significato. Le conseguenze sono molteplici. L'uomo è "rinnovato" dalla fede in Dio e diviene "figlio" di Dio, pur senza identificarsi con Lui, la speranza della fede getta una luce nuova sull'esistenza, pur senza cancellare e annullare la condizione di peccato dell'uomo e quindi un suo margine di libertà e scelta.
 Le conoscenze acquisiscono significato alla luce di Dio, la teologia deve mettersi in ascolto della rivelazione, rinunciare a speculazioni metafisiche troppo umane e saper cogliere la "contemporaneità" che parla attraverso la Parola di Dio, la fede è l'accettazione di un dono che viene da Dio, l'obbedienza accettata a una chiamata.
 In campo etico occorre vivere come se noi fossimo Cristo, cioè amare il prossimo in modo totalmente gratuito.
 La religione diventa la più alta delle possibilità umane, perché è il luogo in cui l'uomo si apre alla trascendenza e alla grazia.
 La chiesa non mira più ad affermare se stessa, ma rinvia oltre sé, divenendo simbolo e testimonianza di una realtà trascendente.
 

Di questi due aspetti del pensiero del Römerbrief quello più dirompente è il primo ed è quello più valorizzato dalla critica e anche dallo stesso Barth.

Dopo la prima fase duramente polemica contro la teologia liberale, Barth ammorbidisce i suoi toni e descrive il rapporto tra fede (grazia divina) e ragione (intelletto umano) non più in termini così fortemente contrastanti, ma cerca di conciliare i due termini. La fede mantiene il suo assoluto primato, essa è dono di Dio, proveniente dalla grazia e indeducibile dalla storia e dalla psicologia. Tuttavia l'intelletto non è escluso dallo svolgere un suo ruolo: all'interno del dato della fede tocca all'intelletto infatti cercare di capire e comprendere. Barth vede questa impostazione in Anselmo d'Aosta e nel suo Proslogion. Quest'opera, lungi dall'essere la dimostrazione dell'esistenza di Dio sola ratione è in realtà la ricerca di conferme e di approfondimenti una volta che ci si trova già all'interno dalla fede stessa e che la si è accettata. Lo schema a cui Barth si rifà è il «credo ut intelligam» agostiniano, in cui il credo ha il primato sull'intelligo. Superata la fase polemica contro i teologi liberali, Barth recupera un ruolo alla ragione umana. In quest'opera più matura, Dio e uomo, fede e ragione, eternità e tempo si trovano dunque in un rapporto di maggiore collaborazione.
A partire dagli anni trenta fino alla morte avvenuta nel 1968, il pensiero di Barth porta a compimento quell'ammorbidimento di posizioni che già si era intravisto nello studio su Anselmo d'Aosta. Testo cruciale di questa fase è la monumentale Dogmatica Ecclesiale (Kirchliche Dogmatik - KD) in 13 volumi che impegnerà l'Autore per oltre trent'anni. Di rilievo e decisamente più accessibile è una conferenza del 1956 intitolata L'umanità di Dio in cui già dal titolo si nota un'evoluzione, senza tuttavia smentite, del suo pensiero. Tratti salienti di questa fase sono fondamentalmente tre:
 1.L'incontro Dio-uomo. Barth mette sempre più in evidenza che il cuore del messaggio cristiano è la resurrezione, la salvezza, l'elezione, la grazia e non la condanna, la trascendenza, l'ira di Dio che rifiuta l'uomo e il mondo... Quest'ultimo aspetto e quindi l'idea del Dio «totalmente Altro» rispetto al mondo, cruciale nel RB, non viene mai eliminato da Barth, ma viene definito come «il duro involucro» che bisogna ammettere, ma che non rappresenta e non esaurisce affatto il «nocciolo buono» dell'amicizia tra uomo e Dio e quindi l'«umanità di Dio». Quel rapporto tra trascendenza di Dio e incontro con l'uomo (la kenosis) che nelle prime opere era più sbilanciato a favore del primo elemento (anche per ragioni di polemica intellettuale), si capovolge qui a favore del secondo elemento, senza perdere nulla (Dio rimane sempre una realtà trascendente all'uomo e mai possedibile).
 1.La concentrazione cristologica. Come conseguenza di questa valorizzazione dell'incontro Dio-uomo il centro attorno a cui ruota la teologia è sempre più il Cristo, l'umanità di Dio, il luogo in cui Dio si fa uomo e ridà così una dignità al piano umano e storico.
 1.Primato della Rivelazione e della Parola. Legato a questi due punti e corollario di essi è la presa di coscienza che quando si parla di Dio in un discorso teologico occorre in primo luogo ascoltare la Rivelazione che Dio stesso ha dato di sé, la sua Parola.
 
L'idea di un Dio-uomo è filosoficamente problematica, ma va accolta sulla base della stessa autorivelazione di Dio, al contrario della trascendenza di Dio, filosoficamente più coerente, ma che va corretta e calibrata sulla base della Rivelazione e in particolare sulla persona di Gesù Cristo. In questa prospettiva la filosofia non è rigettata dalla teologia, ma essa diviene uno strumento per interpretare meglio la Rivelazione (sulla linea di quanto già detto da Barth nel Fides quaerens intellectum). L'importante è evitare di assolutizzare un sistema filosofico, ma essere sempre consapevoli dei limiti del pensiero umano mettendo ogni filosofia al servizio di una maggiore comprensione della fede (in questo senso la posizione di Barth riguardo alla filosofia si può definire "eclettismo ermeneutico"[2].
 
Punto di arrivo di questa evoluzione è l'elaborazione del metodo della analogia fidei all'interno della KD. Con questo termine si intende il metodo con cui Barth, nella sua fase matura, ha voluto esprimere la possibilità di una relazione tra uomo e Dio.
 
Il primo termine «analogia» presenta una sfumatura di significato diversa e intermedia rispetto a "uguaglianza" (che implica coincidenza o identità) e a completa diversità (che implica contraddizione o inconciliabilità), essa è corrispondenza o "accordo parziale". Se ci fosse uguaglianza Dio cesserebbe di essere Dio e verrebbe meno la sua infinita differenza qualitativa rispetto alla creatura. Se ci fosse totale diversità Dio sarebbe assolutamente inconoscibile e contraddirebbe l'incarnazione di Cristo.
 
Il secondo termine «fidei» intende essere una contrapposizione al termine «entis». L'«analogia entis» infatti era il modo in cui la Scolastica aveva definito il rapporto tra Dio e l'uomo: in questa prospettiva si riteneva di poter dire qualcosa su Dio, sulla sua natura, sui suoi attributi, partendo dall'essere degli enti creati (la natura). Barth, per i suoi presupposti rifiuta ovviamente questa posizione e contrappone l'«analogia fidei». Con essa egli intende sottolineare il fatto che Dio non si può conoscere mai a partire dalla natura creata, appunto a causa della infinita differenza qualitativa che la separa da Dio, al contrario se conosciamo qualcosa su Dio è solo in virtù della sua stessa auto-Rivelazione che possiamo accogliere solo nella fede, al di là delle categorie della razionalità.
 
Nel Barth maturo la relazione tra Dio e uomo è forte, ma essa non è mai una identificazione, poiché il presupposto della fase dialettica, la trascendenza di Dio, non viene mai meno. Trascendenza e kenosis (abbassamento, svuotamento nell'incarnazione in Cristo) di Dio rappresentano due momenti inscindibili che confermano la vocazione autenticamente dialettica del pensiero barthiano.
Sebbene la teologia di Barth si contrapponga criticamente al liberalismo protestante tedesco, la sua teologia non ha generalmente trovato favore all'altra estremità del ventaglio teologico: coloro che si attengono alle confessioni di fede protestanti classiche, gli evangelicali ed i fondamentalisti. La sua dottrina della Parola di Dio, per esempio, non procede dall'affermazione o dalla proclamazione che la Bibbia sia uniformemente accurata dal punto di vista storico e scientifico, per poi stabilire altre affermazioni teologiche su quel fondamento.
 
Alcuni critici evangelicali e fondamentalisti spesso si riferiscono alle concezioni di Barth come "neo-ortodossia", perché, sebbene la sua teologia conservi la maggior parte dei concetti della teologia cristiana ortodossa, si rileva come egli respinga il presupposto di base del loro sistema teologico, cioè quello dell'inerranza biblica. È soprattutto per questo che Barth è stato criticato duramente dal teologo evangelico conservatore Francis Schaeffer, studente di un altro grande avversario di Barth, Cornelius Van Til. Questi critici sostengono che proclamare una teologia cristiana rigorosa su un testo biblico di supporto che non sia considerato storicamente accurato, significa separare la verità teologica dalla verità storica. I barthiani rispondono a questo dicendo che affermare come il fondamento della teologia sia l'inerranza biblica, significa, di fatto, far uso di un fondamento diverso da Gesù Cristo, e che la nostra comprensione dell'accuratezza ed il valore delle Scritture può solo emergere propriamente dal considerare ciò che significa per esse essere vere testimonianze alla Parola incarnata, Gesù Cristo.
 
Il rapporto fra Barth, il liberalismo ed il fondamentalismo, però, va molto oltre alla questione dell'inerranza. Dalla prospettiva di Karl Barth, il liberalismo, come era compreso nel XIX secolo da Friedrich Schleiermacher e Hegel (suoi esponenti principali) e non necessariamente come espresso da una qualsiasi ideologia politica, non è altro che divinizzazione del pensiero umano. Questo, per Barth, conduce inevitabilmente ad uno o più concetti filosofici che diventano un falso Dio, bloccando, così, la vera voce dell'Iddio vivente. Questo, a sua volta, conduce la teologia a diventare prigioniera delle ideologie umane. Nella teologia di Barth, egli mette sempre in evidenza come concetti umani di qualsiasi tipo – non importa quanto larghi o stretti – non possano mai essere considerati identici alla rivelazione di Dio. Sotto questo aspetto, anche la Scrittura è considerata linguaggio umano che esprime concetti umani. Essa non può essere considerata identica alla rivelazione di Dio. Però, nella Sua libertà ed amore, Dio veramente rivela Sé stesso attraverso linguaggio e concetti umani perché determinato a comunicare con l'umanità decaduta. È così che Barth afferma che Cristo sia realmente presente nelle Scritture e nella predicazione della chiesa, facendo così eco alla Confessione elvetica della fede cristiana riformata scritta nel XVI secolo.
 
In generale Barth si pone sulla linea classica della Riforma quando si oppone ai tentativi di rapportare troppo strettamente teologia e filosofia. Il suo approccio a questo tema è chiamato "kerigmatico" in contrapposizione a quello "apologetico".

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #193 il: 11 Febbraio 2013, 14:30:58 »
KENNETH REXROTH

Kenneth Charles Marion Rexroth (South Bend, 22 dicembre 1905 – Montecito, 6 giugno 1982)
........ è stato un poeta statunitense....

Kenneth Rexroth fu uno dei primi poeti statunitensi ad esplorare le tradizioni poetiche giapponesi come l'haiku. È indicato come il promotore del rinascimento poetico di San Francisco ed è correlato alla Beat generation, sebbene più tardi criticò questo movimento. Le poesie, i saggi e gli articoli di Rexroth riflettono i suoi interessi nei confronti del jazz, della politica, della cultura e dell'ecologia. La poetica di Rexroth è simile a quella di Du Fu, che tradusse, poiché esprimeva indignazione nei confronti delle ineguaglianze del mondo da un punto di vista esistenziale.
 
Kenneth Charles Marion Rexroth era figlio di Charles Rexroth, un promotore farmaceutico, e di Delia Reed. Sua madre morì nel 1916 e suo padre nel 1918, per cui egli andò a vivere con la zia a Chicago dove studiò al Chicago Art Institute. Nel 1923 e nel 1924 fu incarcerato come coproprietario di un bordello. Sposò Andree Dutcher nel 1927, un'artista di Chicago, che morì per le complicanze dell'epilessia nel 1940. Rexroth ebbe due figlie, Mary e Katherine, dalla sua terza moglie, Marthe Larsen.
 
Durante gli anni Settanta, insieme al discepolo Ling Chung, tradusse l'opera della famosa poetessa della dinastia Song Li Qingzhao e una antologia di altre poetesse cinesi, con il titolo The Orchid Boat.
 
Con la pubblicazione di The Love Poems of Marichiko, Rexroth dichiarò di aver tradotto la poesia di un poeta giapponese morto da tempo; si scoprì successivamente che ne fu invece egli l'autore ed acquisì riconoscimenti dalla critica per essere riuscito a tradurre le sensazioni autentiche di un'altra cultura e periodo storico.
 
Kenneth Rexroth fu incluso nell'influente serie antologica Penguin Modern Poets della Penguin Books, che gli permise di ampliare la sua reputazione al di fuori degli Stati Uniti d'America.
 
I suoi lavori indicano la familiarità con temi che spaziano dall'anarchia, alla pittura, alle religioni del mondo, alla filosofia e letteratura cinese classica.

Da Wikipedia

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Rexroth ‹rèksrotℎ›, Kenneth. - Poeta statunitense (South Bend 1905 - Montevideo, California, 1982).

Si stabilì negli anni Venti a Chicago, dove svolse attività politica e frequentò gli ambienti degli intellettuali bohémien; nel decennio successivo, a San Francisco, s'impegnò nelle organizzazioni sindacali. Nel 1940 pubblicò In what hour, primo di una lunga serie di volumi di versi che comprende: The phoenix and the tortoise (1944); The art of wordly wisdom (1949); In defence of the earth (1956); The homestead called Damascus (1963); The heart's garden, the garden's heart (1967); New poems (1974); The silver swan (1976). A metà degli anni Cinquanta, con L. Ferlinghetti e A. Ginsberg, contribuì a dar vita alla cosiddetta San Francisco poetry renaissance, divenendo uno dei modelli della beat generation. Traduttore di poesia europea e orientale (One hundred poems from the Japanese, 1955; Poems from the Greek anthology, 1963), redattore della casa editrice New Directions di J. Laughlin, R. fu attivo sin dagli anni Venti anche come pittore. Pubblicò importanti volumi di saggi (Bird in the bush, 1959; Assays, 1961; The elastic retort, 1973) e le autobiografie An autobiographical novel (1966) e Excerpts from a life (1981).

da Inciclopedia Treccani
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Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)
di Cristina Giorcelli

Poeta, traduttore e saggista statunitense, nato a South Bend (Indiana) il 22 dicembre 1905, morto a San Francisco il 6 giugno 1982. Tenace oppositore del materialismo contemporaneo, R. nutrì palingenetiche speranze nelle filosofie orientali e nella poesia. Nella sua visione, mistica e sensuale a un tempo, la poesia costituisce l'atto comunicativo, ''sacramentale'', per eccellenza: in poesia, infatti, il suono, il ritmo, l'attenzione alla calligrafia (quale si rivela nella resa grafica delle traduzioni di R. di poesia cinese e giapponese), la cura tipografica del testo, devono partecipare all'''estasi del senso''. R. praticò e promosse la lettura pubblica di poesia come momento in cui, da un lato, suono e semantica si fondono così da raggiungere la loro pienezza di significato; dall'altro, poeta e pubblico si fondono in profonda comunione di sentire.

La poesia diventa così un atto d'amore o, piuttosto, un atto contemplativo, che partecipa dell'organica consapevolezza universale (evidente l'influsso di R.W. Emerson). La poesia è, dunque, un momento di unione e di dinamica trasformazione tra chi percepisce e la cosa percepita; essa è, però, anche chiarezza e ''purezza'' di percezione, non fantasia o sogno o allucinazione, come per i dadaisti o i surrealisti o gli stessi Beats. Poeticamente, R. si colloca nella tradizione di W. Wordsworth, di W. Whitman, e di W.B. Yeats; ideologicamente, in quella radicale-anarchica, pacifista, libertaria, ecologica alla P. Goddes e alla A. Huxley. Ammirato dai Beats, R. fu sostenitore veemente e appassionato di ogni forma di avanguardia artistica.

Le sue opere più importanti sono: In what hour (1940); The phoenix and the tortoise (1944); The art of wordly wisdom (1949), di carattere cubista e fortemente influenzata dalla poesia di G. Stein; The signature of all things (1950); The dragon and the unicorn (1952), sequenza poetica di speculazioni etiche; Thou shalt not kill, in memoria di D. Thomas (1955); In defense of the earth (1956); The homestead called Damascus (1963), lungo poema di viaggio, di gusto simbolista e di tono filosofico; Natural numbers: new and selected poems (1968), in cui R. cerca di rendere − ancora più tenacemente e felicemente che nelle altre opere − il ritmo e il lessico dell'idioma parlato; The collected shorter poems (1966); The collected longer poems (1968); An autobiographical novel (1966; nuove edd., 1978 e 1991); The heart's garden, the garden's heart (1967); The morning star (1979). Notevoli sono anche i sette volumi di saggi: Bird in the bush: obvious essays (1959); Assays (1961); Classics revisited (1968); With eye and ear (1970); The alternative society: essays from the other world (1970); The elastic retort: essays in literature and ideas (1973); Communalism: from its origins to the twentieth century (1974). Creativamente straordinarie sono le sue traduzioni dalle lingue orientali (One hundred poems from the Chinese, 1956, Love in the turning year, 1970; One hundred more poems from the Japanese, 1976), dal francese, dallo spagnolo e dalle lingue classiche. Molto interessante è la sua corrispondenza con J. Laughlin (Selected letters, a cura di L. Bartlett, 1991).

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rais

  • Visitatore
Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #194 il: 11 Febbraio 2013, 14:34:03 »
Mi stupisci sempre di più, veramente una bella bibliografia.
Bravo !!