Autore Topic: Il fumatore di pipa  (Letto 205845 volte)

Giala

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #120 il: 23 Gennaio 2013, 19:44:03 »
LEGGETE QUESTA INTERVISTA IN CUI PAOLO BORZI PARLA DI TABACCO E PIPE....

Paolo Borzi? Mmmmh, questo nome non mi è nuovo..

rais

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #121 il: 24 Gennaio 2013, 08:54:29 »
Ma picchì nu ci piaciunu i C&D e GLPease o meglio si spaventa a parlarne.

Offline StefanoG

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #122 il: 24 Gennaio 2013, 13:00:13 »
eeehh iiiihhh aaahhh Rais, Giallaaaa ;D

Offline Nic Salamandra

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #123 il: 25 Gennaio 2013, 09:52:46 »
Paolo B... "Karneade, ke fumava kostui?" (Inthopandro Vitelloni) ;D
siamo inthopici fino in fondo

Offline StefanoG

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #124 il: 25 Gennaio 2013, 10:18:10 »
ARNOLDO FOA'

Arnoldo Foà:
(Ferrara, 24 gennaio 1916)..... Attore, regista e, doppiatore italiano.
Una delle prime voci della radio italina, prestò la sua voce  per radio
a comunicare l' armistizio del 8 Settembre 1943.

« Mi piacciono di più i sorrisi amichevoli delle congratulazioni. »
 (Arnoldo Foà, Autobiografia di un artista burbero, Sellerio Editore, 2009)

E' nato a Ferrara in una famiglia di origine ebraica (ma lui si dichiara ateo[2]), figlio di Valentino e Dirce Levi, segue la famiglia a Firenze, dove intraprende gli studi di economia e commercio. Durante il periodo universitario si interessa al teatro, frequentando i corsi di recitazione della scuola "Luigi Rasi" sotto la guida di Raffaello Melani. A vent'anni abbandona gli studi e si trasferisce a Roma, dove frequenta per qualche tempo il Centro Sperimentale di Cinematografia.
Nel 1938 Arnoldo Foà è costretto a lasciare i corsi presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a seguito della promulgazione delle leggi razziali fasciste.
Gli viene impedito anche di lavorare, e per poterlo fare è costretto a usare nomi fittizi (tra cui "Puccio Gamma[3]"); ricopre saltuariamente il ruolo del sostituto di attori malati (in gergo, il "pompiere"), riuscendo a lavorare nelle compagnie più prestigiose: Cervi-Pagnani-Morelli-Stoppa, Ninchi-Barnabò, Adani-Cimara, Maltagliati-Cimara.
Nel 1943 si rifugia a Napoli, dove diviene capo-annunciatore e scrittore della Radio Alleata radio PWB: spetta a lui la comunicazione dell'armistizio con gli Alleati, l'8 settembre 1943. Alla fine della guerra, torna al teatro e si unisce a molte e importanti compagnie: Ferrati-Cortese-Scelzo, Ferrati-Cortese-Cimara, Stoppa-Morelli-Cervi (dove collabora con Visconti) e la Compagnia del Teatro Nazionale (Teatro dell'Opera di Roma) (lavorando per Guido Salvini), nel 1945, entra nella Compagnia di Prosa della RAI dove svolgerà un'intensa attività sino agli anni ottanta[4]. La sua lunga carriera artistica è brillante e costellata di numerosi successi e riconoscimenti in campo teatrale, cinematografico e televisivo.
Nella vita privata è padre di 5 figlie: Annalisa(1951-1995)(anche lei attrice), Valentina, Rossellina, Giulia e Orsetta.
Teatro : Intensa e prestigiosa la sua carriera in teatro: autori classici e contemporanei, registi del calibro di Luchino Visconti, Luigi Squarzina, Luca Ronconi e Giorgio Strehler. Le sue interpretazioni sono memorabili, incisive, esito di un attento studio, passione e misura drammatica elette. Da regista mette in scena spettacoli di prosa (tra i tanti La pace di Aristofane e Diana e la Tuda di Luigi Pirandello) e di lirica (Otello di Giuseppe Verdi, Histoire du soldat di Igor Stravinskij, e Il pipistrello di Strauß), e molte sue commedie, riscuotendo sempre enormi successi.
Nel 1957 l'esordio come autore teatrale ("Signori buonasera"). Seguiranno, tra le altre, "La corda a tre capi"[5], "Il testimone", e più recentemente "Amphitryon Toutjours" (Festival di Spoleto 2000), e "Oggi". Tra le sue interpretazioni più recenti il monologo di Alessandro Baricco "Novecento"[6] con la regia di Gabriele Vacis, (2003/2005) successo straordinario di pubblico e critica, e "Sul lago dorato"[7] di E. Thompson, con la regia di Maurizio Panici (2006-2008).
Cinema e Televisione : La sua filmografia presenta oltre 100 pellicole: tra i registi con cui ha lavorato figurano Alessandro Blasetti (Altri tempi), Orson Welles (Il processo), Vittorio Cottafavi (I cento cavalieri), Jacques Deray (Borsalino), Marcello Fondato (Causa di divorzio), Damiano Damiani (Il sorriso del grande tentatore), Giuliano Montaldo (Il giocattolo), Giuseppe Ferrara (Cento giorni a Palermo), Giovanni Soldati (L'attenzione), Luca Barbareschi (Ardena), Paolo Costella (Tutti gli uomini del deficiente), Ettore Scola (Gente di Roma), Alessandro Benvenuti (Ti spiace se bacio mamma?), Alessandro D'Alatri (La febbre), Antonello Belluco (Antonio, guerriero di Dio) e Maurizio Sciarra (Quale amore). Recentemente sono stati realizzati due docufilm su Arnoldo Foà: nel 2007 Almeno io Fo... à di Alan Bacchelli e Lorenzo degl'Innocenti, Premio Imaie 2008; nel 2011 Io sono il teatro. Arnoldo Foà raccontato da Foà di Cosimo Damiano Damato, presentato al Festival Internazionale del Film di Roma. Foà è stato tra i protagonisti di alcuni dei più celebri sceneggiati televisivi della RAI: Piccole donne, Capitan Fracassa, Le mie prigioni, Le cinque giornate di Milano, La freccia nera, L'isola del tesoro, Il giornalino di Gian Burrasca, David Copperfield, I racconti del maresciallo, I racconti di padre Brown, Nostromo, Fine secolo e Il Papa buono.
Nel 1985 ha partecipato alla parodia dei Promessi Sposi realizzata dal Quartetto Cetra, interpretando L'innominato.
Per la RAI ha condotto anche il programma musicale Chitarra, amore mio e, per due stagioni, il varietà Ieri e oggi, nonché numerosi altri programmi.
Radio e doppiaggio : Arnoldo Foà contribuisce alla nascita, dalle ceneri dell'EIAR, della Radio RAI e partecipa a molte trasmissioni, sia di informazione che di intrattenimento, con attori, autori e registi importanti come Cervi, Morelli, Ninchi, Anton Giulio Majano, Umberto Benedetto. Dagli anni cinquanta diventa uno dei più importanti doppiatori, prestando la sua voce anche per numerosi documentari, tra cui "Il Continente di ghiaccio" di Luigi Turolla.
Registrazioni Poetiche : Celebri le sue dizioni poetiche da Dante, Lucrezio, Carducci, Leopardi, Neruda, García Lorca, che vengono registrate su disco in vinile negli anni cinquanta e sessanta (recentemente sono stati registrati anche su CD), divulgando moltissime opere, in particolare quelle di autori di lingua spagnola allora poco conosciuti in Italia, come Lorca e Neruda: il celebre "Lamento per Ignacio Mejias" di Lorca fece vincere alla Fonit Cetra il Disco d'oro per aver superato il milione di copie[9] Negli ultimi anni molte le registrazioni di poesie su CD, di diversi autori e per diverse produzioni. Dal 2002 ha realizzato alcuni CD di una collana con registrazioni di brani di poeti e filosofi, commentati da musiche appositamente create, e un CD di poesie scritte da lui stesso.


da Wikipedia

seguono foto


Offline StefanoG

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #125 il: 25 Gennaio 2013, 10:28:52 »
in queste foto che, seguono, Foa è più anziano ma, come si potrà notare non demorde a fumare la sua amata pipa,
Foa è stato ed è, un vero amante del lento fumo.
In una sua foto credo si noti bene una Peterson, più altre pipe molto vissute e da lavoro, si può notare anche come da esperto fumatore
non usi pigino ma, il dito di una mano, forse cosa csuale o, forse no, in passato era assai frequente nei fumatori di pipa l'uso di dita per
pigiare anzichè pigini vari...., la foto più bella, a mio avviso, è proprio l'ultima, quella in cui già molto anziano fuma e, pigia con il dito
il tabacco nella pipa.

Offline mificrozet

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #126 il: 25 Gennaio 2013, 10:45:16 »
Di Foà si dice che non sia esattamente un fumatore modello, acquista una pipa, la fuma senza curarsene fino a distruggerla e poi ne acquista un'altra e ricomincia, sentito dire, ma da molti.
Inglesi ... gente che correva nuda dietro una marmotta quando noi già s'accoltellava un Giulio Cesare !

rais

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #127 il: 25 Gennaio 2013, 11:03:22 »
.... è pur sempre un fumatore di pipa e sicuramente la fumerà meglio di molti che si aggirano nel web e fanno i capiscitori a colpi di dunhill, acquistate perchè sono delle ricche.

Offline StefanoG

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #128 il: 25 Gennaio 2013, 11:08:53 »
si, anche io l'ho sentito. Anche Luciano Lama, noto sindacalista e, credo inventore della scala mobile, fine anni 70, era duopo
fumare la pipa nello stesso modo.
Ma considera che Foa ha 97 anni, ha in se la cultura di un altra epoca passata, una volta nei primi del novecento, fumare la
pipa significava per lo più solo fumare,  spesso tabacchi da filiera corta, i tabacchi dei contadini o il sigaro, le sigarette
entrarono di moda dopo, con le 2 guerre, specie nella seconda guerra mondiale,  tra le due guerre grazie alla pubblicità
 continua dei film americani in cui spesso, si faceva vedere il fumatore con sigaretta si spinse al fumo compulsivo....
....dubito comunque che, fino al primo dopo guerra andasse di moda possedere tante pipe.
Non credo fosse un oggetto di culto, non più di tanto. Fumare la pipa, era per lo più solo il piacere di fumare e, basta.
Non era un modo per distinguersi da altri, ne per darsi un tono o apparire o altro ancora, era solo fumare per piacere
di fuamre tabacco, e al massimo di tenere in mano la propria pipa.
Solo nel dopo guerra le cose iniziarono a cambiare notevolmente, e la pipa divenne sempre più oggeto con varie
connotazioni sociali, il benessere economico ha spinto all acquisto non solo per lo più per necessità ma, anche e per
lo più per piacere di possedere per, desiderio, per emotività, poi il nuovo senso di appartenenza della pipa a nuove
connotazioni sociali, ad un certo tipo di nuovo fumatore del dopo guerra, forse tal volta snob,  presunto colto,
 presunto intellettuale e, presunto di buon gusto e, benestante, ha ancor più spinto la pipa su terreni ancor più
estremi da, fumatore d'elitte........da collezione, da status symbol ecc...così nel tempo si è persa una certa cultura
del fumolento della pipa, nel senso più ampio del termine, aperta a tutti e per tutti, con pipe da usare e maltrattare,
da lavoro, ove contava più la capacità della pipa di saper lavorare e donare buon fumo
e che, invecchiando e rovinandosi acquistava bellezza come il viso rugoso di un anziano, e con uso tabacchi da filiera corta ecc.
E si arriva ai giorni nostri....e non serve credo aggiungere altro, tutti conosciamo il mondo contemporaneo della pipa e tabacchi.
Detto tutto ciò, credo proprio che Arnoldo Foà appartenesse culturalmente per formazione e, concezione, al fumatore da singola
pipa,  o da poche pipe da, fumare stressandole fino alla morte....per poi ricominciare con altre pipe nuove ecc.
Faceva così anche mio nonno, ma pure mio padre che aveva solo 4 pipe, anche se gli compravo pipe nuove lui, imperrterrito
fumava sempre solo due pipe a, rotazione e, fino alla loro morte,  poi ricominciava con le due che aveva di scorta ecc...amava
vedere le sue pipe usate, vissute....è un altra e, antica concezione del fumare la pipa, che si è per lo più perso.
Ma credo che tale concezione si possa allargare in ogni campo della vita moderna contemporanea, è il risultato del nostro
moderno stile di vita ed, economico-sociale.
il Filosofo-Sociologo Bauman ha ben spiegato questo comportamento sociale, moderno, contemporaneo, dandogli anche un none,
 il termine da lui coniato è SOCIETA' LIQUIDA....contrapposta alla società di Aronldo Foa, società solida.

« Ultima modifica: 25 Gennaio 2013, 11:37:38 da StefanoG »

Offline StefanoG

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #129 il: 25 Gennaio 2013, 18:25:24 »
Luciano De Maria :

il bandito gentiluomo.
Nel '58 a Milano la rapina di Via Osoppo, il colpo del secolo, fu la mente del colpo che rimase per decenni nella mente dei Milanesi.


l'intervista del 2007 :
Luciano De Maria aveva 80 anni e una vita da film, intensa-intensissima, durante la quale aveva visto di tutto, sangue, morti, sofferenza, prigione. I suoi occhi però, pur segnati dalla sofferenza (16 anni di carcere), dall’adrenalina (è stato coinvolto in intrighi internazionali) e dal tempo, erano veri.  Trasparenti. Sinceri.
Elegante, giacca e cravatta ("Sempre, anche ad ogni rapina"), Luciano amava darsi un tono con la pipa ("Ma non l’ho mai fumata sul serio"), non si faceva mai mancare auto di lusso e belle donne. Adorava stupire, era sfrontato e andava contro ogni regola. Anzi, andava avanti con una sola grande regola: non uccidere. Mai. Diventò famoso a Milano, il 27 febbraio 1958, quando sette uomini armati, incappucciati e vestiti con tute blu, assaltarono un trasporto valori blindato. Nessuno sparo, nessun ferito e un bottino ndi 590 milioni di lire per quella che è diventò per tutti “la rapina del secolo”.
Luciano ora faceva il pensionato e si godeva la vecchiaia a Casale Monferrato dilettandosi con il giardinaggio. A chi, ottusamente, si permetteva di fargli la morale per i suoi trascorsi, rispondeva con grande semplicità:  "Ho pagato il mio debito con lo Stato, mi sento a tutti gli effetti un cittadino libero". Da applausi Luciano, clap clap. De Maria se ne andato i giorni scorsi, l’ha fregato un ictus. Ecco l’intervista ritratto che rilasciò a Libero, per la rubrica Soggetti Smarriti, il 18 novembre 2007.
di Alessandro Dell'Orto
Statue, quadri, lampadari colorati e una dependance laggiù oltre il giardino. Luciano De Maria, che casa!
«Ci vivo da sei mesi, è una cascina ristrutturata. Trecentocinquanta metri».
Ci sta solo?
«Speravo venisse la Hunziker, ma...».
Scusi?
«Mi fa impazzire, per un week-end con me le regalerei il prototipo che c’è di là in garage: sono mezzo matto, sa? Le ho scritto una lettera, nessuna risposta».
Accennava a un prototipo: che roba è?
«Aztec, design Giugiaro e meccanica Audi: ce ne sono 13 al mondo. Una ditta giapponese ne stava costruendo 30, tutti a mano. Poi si è accorta che costavano troppo, è saltata in aria e dal fallimento, con un socio, ne ho acquistati quattro».
Che fine hanno fatto?
«Uno è bruciato, un altro è stato venduto dal mio socio. Che poi è impazzito e si è suicidato - poteva anche farlo prima, no? - e non ho guadagnato nemmeno un euro. Me ne sono rimasti due».
Altre auto di lusso?
«Ho avuto Cadillac e Honda. Quando stavo con Carol facevo serate mondane, non mi mancava nulla. Nella vita ho avuto tutto, nel bene e nel male. Più nel bene. Sono un perseguitato dalla fortuna».
Chi è Carol?
«Siamo stati insieme 12 anni, ne ha 40 meno di me. Non esiste cifra al mondo con cui potrei ripagarla per l’amore che mi ha dato. Tre anni fa le ho chiesto di andarsene, tornare in Ungheria: è giovane e bella, giusto che si rifacesse una vita. Sono caduto in depressione, è stata dura. Ma ora siamo amici e felici».
De Maria, domanda antipatica ma inevitabile: casa immensa, auto fantastiche. Ma di cosa vive?
«Me l’ha appena chiesto anche la Finanza... In Svizzera avevo un mobilificio, l’ho venduto».
Si rende conto che è difficile crederci, vero? Più facile pensare a...
«Il bottino della rapina? Molti lo sospettano, ma perché la Polizia non ha mai trovato i miei soldi. In realtà nemmeno io, uscito dal carcere, li ho trovati...».
Poi approfondiamo. Intanto ci aggiorni. Ha figli?
«Fabio ha 31 anni e stravede per me, si sposerà tra una anno».
Quando gli ha raccontato di lei?
«Aveva 14 anni, ho incaricato la mia compagna di spiegargli che ero un bandito. Temevo la reazione. Mi ha guardato: “Papà, sono orgoglioso di te”».
Vi vedete spesso?
«Quando è possibile. Vive in Svizzera, ma là non posso andarci per una vecchia condanna ingiusta: spaccio di droga. Si figuri, è uno dei 4 reati che detesto».
Gli altri tre che non sopporta?
«Sfruttamento della prostituzione, pedofilia e soprattutto omicidio».
Ha mai ucciso?
«Scherza? Premetto che non bisognerebbe delinquere, è pacifico. Se ti metti a farlo, però, devi rispettare la vita degli altri. Ho un codice di comportamento rigido, valori precisi, ho rubato molti soldi, ma senza spargere sangue. Ora ti fanno fuori per 100 euro e dopo pochi anni sono già liberi. Io posso guardare negli occhi chiunque, per le mie colpe ho pagato con 16 anni di carcere. Ci sono diventato vecchio, in galera».
Già, De Maria. Facciamo un salto indietro. Lei nasce a Zurigo.
«Il 12 luglio 1930».
Settantasette anni, complimenti!
«Tre anni fa mi sono fatto un lifting, 100 punti in faccia. Sono felice, combatto contro l’invecchiamento: ho quasi 80 anni, ma se vedo una minigonna faccio scintille e mi va a posto l’aritmia cronica. Si vede che mi sono conservato bene in galera: stavo al fresco...».
Buona questa. Dicevamo dell’infanzia.
«Povertà, situazione familiare difficile. Papà muratore è un donnaiolo e picchia mamma, un giorno mi ribello e gli tiro una sedia. Soffro molto per questa situazione e fino a 16 anni farò la pipì a letto».
Nel dopoguerra si trasferisce a Milano.
«Non ci sono soldi, per sopravvivere ci si arrangia. Inizio a rubare».
L’esordio?
«Rapina a un commerciante di latticini. Ci becca la moglie, scappiamo. Il mio complice viene preso e parla. A 17 anni
finisco al Beccaria per 4 anni e 4 mesi».
Impatto con il carcere?
«Uno shock. Noia, violenza, minacce».
E lei?
«Sono un duro, tutti mi obbediscono. Un’estate recupero un rasoio, le celle sono aperte di 20 centimetri per il caldo, io chiamo quelli che stanno dentro: “Cosa hai al braccio?”. Loro me lo mostrano e io zac, li ferisco. Punizione per 13 ragazzi che non erano stati ai miei ordini».
Cattivissimo.
«Mi chiama il direttore. “Quando vai a casa?”. “Tra due mesi”. “Non vedo l’ora, sei classificato tra i più pericolosi”».
Guardi qui questa foto: lei al Beccaria. Baffetti e pipa. A proposito, ha sempre fumato?
«Mai. La pipa però dà tono, eleganza».
Uscito dal Beccaria, ci ricasca subito. E, maggiorenne, va diritto a San Vittore.
«Realtà durissima, celle minuscole per tre persone, amache per dormire».
Quando esce va in Svizzera, poi torna e la sua fidanzata è in dolce compagnia...
«É bastato un mese per dimenticarmi, sono deluso e arrabbiato. La prendo a schiaffi finchè non mi dà il telefono dell’altro uomo, ogni sberla un numero. Che stupidaggine, oggi non la rifarei».
De Maria, nel 1957 nasce la banda. E il primo colpo: una chiesa vicino a Foggia, piena zeppa d’oro.
«Il mio contatto con Dio».
Scu-si?
«Partiamo per Foggia, sei persone in due auto, tende, cric, spranghe di ferro. Andiamo in chiesa in Cadillac, uno fa l’auti sta, io il ricco industriale del nord. Otteniamo l’attenzione del parroco con un’offerta di 10mila lire. In sagrestia c’è la cripta, il parroco prova ad aprirla ma niente, la chiave si inceppa. Provo io, nulla. Va a prendere la chiave di scorta, nulla. Ci guardiamo, brivido, è la prima volta che proviamo a rubare in chiesa e forse è meglio lasciar perdere. Tiriamo su le tende e via, scappiamo. Da quel momento credo che ci sia qualcosa di supremo, se fai bene ricevi del bene, se fai male ricevi del male».
La banda si allarga. Un colpo da ricordare?
«Cinema “Cielo” di via Piave. Svegliamo il guardiano puntandogli una pistola, quegli occhi che si aprono sempre più dalla paura  non li scorderò mai. Tutta notte per far saltare la cassaforte, all’alba boom e ce ne andiamo con l’in casso. Rapina che non verrà mai scoperta, tuttora per la polizia è irrisolta».
Ed era stato lei.
«Ormai lo posso confessare: è in prescrizione».
Ops, altri reati da confessare?
«Ho pagato sette rapine, ne ho commesse più del doppio: i giornali mi soprannominavano lo stakanovista. Una volta invece  gambizziamo un certo Scalogna, pentito che ha venduto i compagni alla Questura, dunque merita una lezione: gli spariamo sette pallottole alle gambe. Mai scoperti».
Già, i pentiti. Che ne pensa?
«Io li chiamo infami: si sta di qui o di là».
Furti, assalti e molti successi. Qualche flop?
«Prepariamo la rapina al proprietario di un supermercato, va tutto liscio e al momento decisivo il nostro uomo si presenta con un sacchetto di plastica della spe sa nella mano destra e una cartella di cuoio nella sinistra. Prendiamo la cartella di cuoio, poi ci  troviamo per spartire il bottino... Sorpresa: vuota. Ci aveva fregati, i soldi erano nel sacchetto».
Giovani, affascinanti, ricchi. De Maria, se la passava bene?
«Bella vita, belle donne, belle auto. Uno sballo. Più ragazze al giorno, vacanze in montagna. Ma a Capodanno...».
Che succede?
«Mi sento vuoto, piango. Mi rendo conto che non ho obiettivi, progetti. È un segnale di Dio che non capto. E, anziché mettere la testa a posto, decido che per riempire la mia vita c’è bisogno di un colpo sensazionale, un salto di qualità».
La rapina di via Osoppo.
«Siamo due bande associate, capiamo che quel portavalori è quello giusto perché
c’è una buona via di fuga. Scegliamo il 27 gennaio 1958, giorno di paga. Siamo in sette: io, Gesmundo, Ciappina, Cesaroni,
Castiglioni, Russo e Bolognini. Ecco il piano: io guido un camioncino e faccio un frontale con il portavalori; un altro dalla strada infrange il vetro del furgone e disarma il poliziotto; un terzo, con un’auto rubata, blocca la via da cui arriva il portavalori; un quarto organizza la fuga; gli altri prendono il bottino».
Programma perfetto.
«Ma la prima volta salta, c’è una pattuglia e uno di noi va a controllare: durante la sua assenza arriva il portavalori. Tutto
da rifare».
Buona la seconda?
«Macché. Il 15 febbraio siamo pronti, faccio per tamponare il portavalori quando mi accorgo che in realtà sto per scontrarmi con il furgone del latte! Quell’imbecille che doveva segnalarmi l’arrivo del portavalori aveva sbagliato».
Urca. Meglio rimandare.
«Il 27 febbraio alle 9.15 va tutto ok».
Curiosità: la notte della vigilia riesce a dormire?
«Grande eccitazione, ma niente più. Per me è un lavoro normale».
Abbigliamento?
«Giacca e cravatta, come sempre. Tutte le rapine le ho fatte vestito così. Questa volta però indossiamo anche tute blu e  passamontagna».
Armi?
«Io, oltre alla bomba a mano, mi porto una pistola mia, ho un piano che gli altri non sanno».
Spari, nel senso buono... Dica.
«Se qualcosa va male e ci scappa il morto, mi suicido. Per una questione di principio ma anche perché l’ergastolo a quei tempi era vero, stavi dentro fino alla morte e ti seppellivano in carcere».
Per fortuna nessun imprevisto.
«Sì, ma che ridere quando una vecchia esce dalla macelleria e ci vede armi in pugno: “Andì a laurà”, andate a lavorare! La guardo: “Signora, cosa pensa che stiamo facendo se non il nostro lavoro?”».
Ahahaha. Vero che uno di voi, per aver un alibi, era dal dentista?
«Ciappina prima del colpo accompagna la moglie da un dentista dietro via Osoppo. In sala d’attesa dice: “Cara, esco per comprare il giornale”. Tornerà un’ora dopo a rapina avvenuta».
Spettacolare. Bottino?
«590 milioni, ma dividiamo solo i contanti: 114 milioni».
Circa 15 a testa.
«A me anche un milione e mezzo in più, perché ho rubato 14 auto per i colpi».
Addirittura?
«Ai tempi era facile, bastava aprire la portiera con una lima e collegare due fili, mica come adesso. Ora non sarei in grado».
Sedici milioni di allora quanto valevano?
«Per acquistare un appartamento di sei locali in Corso Venezia ci volevano 6 milioni. Tipo 3 milioni di euro di oggi».
Torniamo agli attimi dopo la rapina. «Appuntamento alle 16 per contare i soldi. Nel frattempo io e Gesmundo torniamo in via Osoppo. Elettrizzante».
Divisione equa? Perché quella faccia?
«Qualche dubbio su Cesaroni: nello spartire il bottino per una rapina a Torino l’avevo beccato con una mazzetta di soldi sotto il letto...».
A proposito, dove nasconde la sua parte?
«Nei tubi di un bagno fatto da me in giardino, un pozzetto introvabile».
E i suoi complici?
«Qualcuno fa sparire i soldi nelle piastrelle del lavandino di casa, altri sotto lo zerbino di un palazzo di via Washington: ma vengono scoperti».
Lei, invece, no.
«Già, ma durante la galera i miei parenti spendono tutto. Lasciamo perdere...».
Parliamo ancora della rapina. La sera andate a gettare valigie, tute blu e passamontagna nell’alveo dell’Olona e il giorno dopo tutti
parlano di voi. Prime pagine dei giornali, articoli di Montanelli e Cervi, 5000 poliziotti mobilitati e una taglia di 30 milioni.
«Una goduria. Io e Arnaldo andiamo a Cortina a sciare, ce la spassiamo. Giorni memorabili».
De Maria, a febbraio saranno 50 anni.
«Sembra ieri. Mi chiedono sempre se rifarei tutto: credo di sì».
Eravate in sette. Sente ancora qualcuno?
«Cesaroni, Castiglioni e Russo sono morti. Ciappino è vivo ma sparito, di Bolognini non so nulla. Mi vedo con Gesmundo, facciamo discorsi da pensionati: il giorno dell’anniversario potrei passarlo con lui».
Restiamo al ’58. Un mese dopo il colpo...
«Ci beccano. Il lunedì seguente la rapina, il Comune di Milano devia le acque del fiume Olona per lavori d’interramento e uno straccivendolo trova i nostri sacchi. Su una tuta c’è un’etichetta con l’indirizzo del venditore, risalgono a chi ce le ha fornite e lo fanno confessare».
Che sfiga!E vi prendono.
«Cinque giorni e cinque notti in questura con le mani legate. Mi massacrano di botte, non sento nemmeno più dolore, sono gonfio, non riesco a deglutire, perdo sangue. Con la forza della disperazione mi butto contro una finestra, mi portano d’urgenza in  ospedale».
Poi il processo. Per lei chiedono 30 anni, poi ridotti a 20 e 8 mesi e infine a 18.
«Entro in carcere a 28 anni, uscirò a 44: due non li faccio per un condono. Provo a suicidarmi tagliandomi le vene, mi salvano
ma vado in depressione. Cerco di ottenere la semi infermità, niente».
Compagni di cella?
«Sono al quinto raggio, con i truffatori più abili. C’è un avvocato geniale, è riuscito a vendere un pezzo della flotta Lauro e una statua di Milano. Strepitoso».
Meglio di Totò... Altri detenuti?
«A Padova conoscerò Drago, jugoslavo che negli Anni Sessanta ha attraversato tutta l’Italia con una croce sulle spalle».
Come Gesù Cristo.
«Già, ma di notte apriva la croce, estraeva il mitra e faceva rapine».
Sedici anni di carcere tra Milano, Firenze, Lecce, Alghero e Padova. Sedici anni senza sesso. Mai tentato da...?
«L’omosessualità? Mai!Però ho visto di tutto: detenuti fare sesso davanti alle guardie, ragazzi violentati».
Per errore, intanto, le aggiungono due anni alla pena. E a Padova si inventa una protesta particolare.
«Salgo sul tetto del carcere e mi lego. Alla fine otterrò la grazia per gli anni in più».
A 44 anni è un uomo libero.
«Un trauma. Libertà vigilata, lavoro in albergo, poi mi sposo e torno in Svizzera».
Vita lontano dalle tentazioni?
«Purtroppo conosco Paul, uno che dirige una banca. E mi viene un’idea».
Oplà.
«Lo convinco a passarmi i nomi di alcuni ricconi italiani con i soldi depositati in Svizzera. Scelgo una contessa, recupero numero di conto e movimenti bancari e mi presento da lei con due amici».
Racconti.
«Fingo di essere il capitano della Finanza, mostro un tesserino falso. Lei ha 50 anni, bella donna, ci offre un the mentre spiego: “Sul suo conto ci sono 180 milioni di dollari, lei ha fatto questi movimenti. Signora, è evasione fiscale, le confisco tutti i beni e la porto dentro”. Mi alzo, chiedo di andare in bagno. Piange, è terrorizzata. I complici la tranquillizzano: “Il capitano fa il duro, ma ha il cuore tenero. Faccia un’offerta per i poverelli della Finanza, chiuderà un occhio”».
Funziona?
«Torno e offre 10 milioni di dollari, è fatta. La carichiamo in auto e andiamo in Svizzera, entra in banca e ci porta due valigette
piene. Poi ringrazia e mi bacia».
Ha mai scoperto la truffa?
«Mai. Anche questa è in prescrizione...».
Tanto p er non farsi mancare nulla, lei in Svizzera conoscerà Jürg Heer, direttore da 18 anni del settore crediti della Banca Rotschild di Zurigo indagato per aver frodato la banca tramite concessione fraudolenta di crediti. E, soprattutto, colui che confesserà: “Ho consegnato 5 milioni di dollari agli assassini di Calvi”.
«Personaggio incredibile, parlava cinque lingue, intelligente, furbo. Braccato, scappa dalla Svizzera e mi dà una delega: sono l’unico autorizzato a ritirare i suoi beni per trasferirli in un posto segreto».
Perché quella smorfia?
«Nelle sue due ville di Zurigo e Klosters trovo di tutto. Statue in bronzo, un tavolo da 500mila dollari, quadri di Handy Warhol,
sculture di Tinguereley, auto e una cantina con vini per mezzo milione di franchi».
Riesce a nasconderli?
«Mi fregherà un turco, un bastardo che si mette in affari con me e mi porta in Azerbajan. E poi fa sparire tutto».
Jürg Heer fuggirà in Turchia e in Thailandia. E morirà nel 2001 in Svizzera.
«Aids, era diventato omosessuale».
De Maria, ultime domande veloci. 1) Se la chiamano “bandito” si offende?
«Ormai, per la società, sarò un bandito fino all’ultimo giorno».
2) Il bandito più affascinante di sempre?
«Al Capone e Lucky Luciano».
3) Una cazzata che non rifarebbe?
«Mi ricoverano a Milano, fortissimo mal di testa. Non ce la faccio più, impazzisco di dolore e urlo alla suora “Va da via i ciap!”,  fanculo. Il mio vicino applaude. Mi vergogno per la mia frase e per la reazione di quell’imbecille».
4) Una follia che rifarebbe?
«La rifaccio ogni anno: durante il Festival, giro per Cannes con il prototipo e mi travesto da Batman».
5) Paura della morte?
«Noooo. Se un giorno non fossi più autosufficiente, però, mi ucciderei».
Ultimissima. Si tolga 50 anni. Che colpo inventerebbe nel 2008?
«Semplice, una rapina sempre affascinante: l’assalto alla Zecca. Ma tranquilli, ormai sono in pensione».

Dal Quotidiano Libero

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #130 il: 25 Gennaio 2013, 18:32:31 »
Enrico Maria Salerno:
(Milano, 18 settembre 1926 – Roma, 28 febbraio 1994)
.... è stato un attore, regista e doppiatore italiano.

Fratello del regista Vittorio, si sposò due volte: la prima con Fioretta Pierella, da cui ebbe quattro figli; la seconda con l'attrice Laura Andreini, con cui visse gli ultimi dodici anni della sua vita.
A soli 17 anni, dopo l'8 settembre 1943, aderì alla Repubblica di Salò come ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana a Varese: con la liberazione venne imprigionato nel campo per prigionieri di guerra di Coltano, presso Pisa.
Fuori dal matrimonio ebbe una relazione con l'attrice Valeria Valeri: ebbe da lei una figlia (che riconobbe e a cui diede il suo nome), Chiara, anch'essa doppiatrice e popolare attrice televisiva.
È morto il 28 febbraio 1994 a Roma per un tumore ai polmoni, all'età di 67 anni.
Riposa nel cimitero di Prima Porta. Enrico Maria Salerno era ateo agnostico (cfr. Corriere della Sera, 1° marzo 1994, p. 33, art. per la sua morte a firma M. Porro).
Dopo una breve ma fruttuosa collaborazione col Piccolo Teatro di Milano, dal 1954 al 1955 (e per altri anni successivi) lavora al Teatro Stabile di Genova, portando in scena con successo opere di Dostoevskij, Pirandello e Giraudoux: apprezzato interprete drammatico, diventa in breve un grande e noto attore teatrale.
Nel 1960 fonda insieme ad Ivo Garrani e Giancarlo Sbragia la "Nuova Compagnia degli Associati", gruppo impegnato nell'allestimento di spettacoli impegnati e di critica sociale, come Sacco e Vanzetti di Roli e Vincenzoni. Nel 1963 è un marito vittima di un vizioso ménage coniugale in una riuscita trasposizione della pièce Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee, con la regia di Franco Zeffirelli.
Nel 1967 viene scritturato da Garinei e Giovannini come protagonista della commedia musicale Viola, violino e viola d'amore, ed avrà come compagne di lavoro le Gemelle Kessler: con una delle due, Alice, ha avuto anche una relazione sentimentale.
Nel novembre del 1979 vuole accanto a sé a teatro Veronica Lario, come protagonista femminile della commedia di Fernand Crommelynck Il magnifico cornuto: Veronica aveva 23 anni ed era Stella, moglie di un uomo patologicamente geloso che, a un certo punto, la costringe a mostrare il seno nudo a un altro uomo (per la cronaca, l'attore Gerardo Amato, fratello di Michele Placido).
Il suo ultimo spettacolo debutta al Teatro Pergolesi di Jesi, nel gennaio 1993: è lui il protagonista del dramma di Arthur Miller Morte di un commesso viaggiatore, allestimento di cui Salerno cura anche la regia.
Cinema : Intanto è attivo anche al cinema, sia come attore (La lunga notte del '43, 1960; Le stagioni del nostro amore, 1966; L'estate, 1966; Un prete scomodo, 1975, e molti ruoli di commissario di polizia) che come doppiatore: è infatti sua la voce di Clint Eastwood nella "trilogia del dollaro" di Sergio Leone, ma anche di Enrique Irazoqui nel Vangelo secondo Matteo e di Laurent Terzieff nella Medea, entrambi film di Pier Paolo Pasolini.
Come regista invece colse un grande successo al primo film, Anonimo veneziano (1970), seguito poi da Cari genitori (1972) ed Eutanasia di un amore (1978), tratto dal romanzo omonimo di Giorgio Saviane
Televisione : In televisione ottenne una enorme popolarità nel biennio 1968-69 come protagonista del telefilm La famiglia Benvenuti: suoi compagni di lavoro erano Valeria Valeri, Gina Sammarco e il piccolo Giusva Fioravanti, che anni dopo fondò il gruppo terroristico neofascista NAR. Fu il primo presentatore dello show Senza Rete, e nel 1970 presentò il Festival di Sanremo con Nuccio Costa e Ira Furstenberg.
Nel 1978 gli venne affidata la conduzione del programma televisivo Ieri e oggi.
Nel 1983 apparve in Legati da tenera amicizia di Alfredo Giannetti.

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #131 il: 25 Gennaio 2013, 18:43:09 »
LEGGETE ...MERITA  !
ANCORA QUALCOSA SU L'IMMENSO ARNOLDO FOA'

Un Intervista :
Arnoldo Foà ricorda Cervi/Maigret :
"Ad essere sinceri, ma credo lo sappiano ormai tutti, Gino fumava - come me - solo sigarette. La pipa l'ha incontrata proprio facendo Maigret in tv". Arnoldo Foà, oltre ad aver lavorato con Gino Cervi in due film, "Ettore Fieramosa", di Alessandro Blasetti (1938) e  "Il cardinale Lambertini" di Giorgio Pastina (1954) e in molti allestimenti teatrali, era soprattutto un suo amico. "Gino era così carino, semplice e gentile - ricorda Foà con affetto -, e spiace deludere i fan del commissario, ma Maigret per me non è stato il suo personaggio più interessante".

Per Foà, infatti, il personaggio in cui Cervi si calò  "con entusiasmo e voracita" è Peppone, "un ruolo più genuino...". Maigret, invece, gli risulta interpretato con una certa difficoltà, senza mai ricordare a modo giusto le battute. "Guardando con azzenzione quella serie televisiva - spiega -, è abbastanza facile notare come, nel corso della recitazione, Cervi guardasse sempre altrove".
Per quanto riguarda la pipa, invece, Foà pensa che, dopo Maigret, l'abbia fumata per un po', "ma non so se abbia continuato, se è diventata una passione come per me".
Una passione che, per il grande attore, è nata tardivamente e per caso. Infatti sono "solo" trent'anni che la fuma la pipa. "Il mio medico, sventolandomi una radiografia sotto il naso, mi intimo di smettere di fumare immediatamente - ricorda Foà -. La situazione dei polmoni sembrava gravissima, ne andava della mia vita". Il giorno stesso abbandonò le sigarette, che fumava con una certa generosità, ma - non riuscendo a rinunciare al fumo - provò la pipa. Fu amore a prima vista. "Dopo un po' di tempo, per precauzione, mi recai da un altro specialista e lo informai della situazione - racconta divertito -. Mi prescrisse una serie di esami, lastre comprese e, prima di dirmi l'esito, chiese di vedere la lastra precedente". Difficile immaginare la sorpresa di Foà, quando lo specialista mise a confronto la vecchia e nuova radiografia. "Lei ha i polmoni di un trentenne, mi disse, ma nessuno ha notato che questa lastra è sovraesposta?". "Tra l'altro - ammette Foà - le sigarette non le avevo mai respirate". Nonostante la buona notizia al buon Arnoldo non passò neanche per la testa di ritornare alle sigarette, "ormai la pipa mi aveva conquistato e, da allora, non l'ho lasciata più".
Un fumatore molto particolare che non ha una marca di pipa preferita, "mai fregato nulla delle marche - conferma -. A me piacciono certi modelli, soprattutto le canadesi non molto lunghe, e se mi piace non mi interessa che marca ha". Sul tabacco, invece, ha un gusto preciso. "Mentre giravo un film in Colombia - ricorda -, ho scoperto il Captain Black e, da allora, fumo solo quello. Anche se negli Usa ce ne sono cinque tipi, in Italia ce n'è uno solo che miscelo con un po' di clan".
Le pipe che lo accompagnano sono una cinquantina, anche se capita spesso che gliene regalino. "Mi regalano delle pipe che saranno anche bellissime, ma io così grandi e importanti non le fumo - esclama impugnando l'ultima pipa "firmata" arrivata in regalo. (nda Foà non riconosce la firma e, dopo avermi chiesto informazioni sul pipemaker, mi chiede di non rivelarne il nome) -. Mi hanno anche nominato presidente dei fumatori di pipa... Chissà, da quando non c'è più Pertini mi trattano come un icona dei fumatori... Ormai siamo rimasti così in pochi...".
Quando mi informa che si concede una decina di pipate al giorno, sono io che rimango sorpreso. "Ma sono pipatine - confessa -. Non la carico tutta, giusto qualche pizzico di tabacco?".
Oltre alla simpatia e alla disponibilità dimostrata nell'occasione, non posso fare a meno di notare la brillantezza, la rapidità di pensiero, la memoria e la lucidità che sfoggia a 88 anni. Mi saluta ricordandomi che sono un ragazzino (ne avrei 51, quest'anno) e accetta di svelarmi il segreto della sua freschezza intellettuale.
"Il segreto? L'intelligenza, usare sempre l'intelligenza?".

 
TRATTO DA ....MPC
Erb/mpcBuletin/gennaio2004
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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #132 il: 25 Gennaio 2013, 19:06:01 »
grandissimo
"Bohhh tieniti le tue adorate dunhill e pipe da snobe i tuoi tabacchi da bancarella del mercato" Cit. toscano f.e.

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #133 il: 28 Gennaio 2013, 12:39:37 »
Richard Widmark

Attore

Nato nel Minnesota nel 1914, e morto nel 2008 a 94 anni.
Morto nella sua abitazione a Roxbury, nel Connecticut, in seguito ad una lunga malattia. L'annuncio è stato dato dalla moglie di Widmark, Susan Blanchard e da sua figlia Anne, nata dal matrimonio tra l'attore e la sua prima moglie, la sceneggiatrice Jean Hazlewood.
Famoso nelle parti d'attore in cui, recitava il ruolo del cattivo in film western.

Widmark iniziò a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo partecipando ad alcune produzioni teatrali e radiofoniche, successivamente, nel 1947, esordì nel mondo del cinema con il film Il bacio della morte, nel quale interpretò il ruolo di uno spietato assassino che gli valse una nomination all'Oscar per il miglior attore non protagonista.
Da allora gli furono affidati sempre ruoli da villain, e la sua carriera proseguì con interpretazioni in noir come La strada senza nome, I quattro rivali, ma anche in western come Cielo giallo, L'ultima carovana e La battaglia di Alamo.
Agli inizi degli anni '70 fu protagonista di Madigan, una serie televisiva di successo ispirata ad un film da lui intepretato qualche anno prima, e fu premiato con un Emmy per la sua intepretazione nel film televisivo Vanished, diretto da Buzz Kulik. Tra le pellicole da lui interpretate tra gli anni '70 e '80, si ricordano Assassinio sull'Orient Express, diretto da Sidney Lumet, Due vite in gioco e il thriller Coma profondo, diretto da Michael Crichton e ispirato ad un romanzo di Robin Cook.
Il suo ultimo film è stato il dramma I corridoi del potere, nel quale affiancava John Cusack e James Spader.

Tratto da Movieplayer

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Re:Il fumatore di pipa
« Risposta #134 il: 28 Gennaio 2013, 12:53:04 »
MARCEL DUCHAMP

Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968)

..............................è stato un pittore, scultore e, fortissimo scacchista francese, naturalizzato statunitense nel 1955.

Considerato fra i più importanti e influenti artisti del XX secolo, nella sua lunga attività si occupò di pittura (attraversando le correnti del fauvismo e del cubismo), fu animatore del dadaismo e del surrealismo, e diede poi inizio all'arte concettuale, ideando il ready-made e l'assemblaggio. Nell'anno 1912 incontrò il fotografo e pittore americano Man Ray: la loro amicizia durerà tutta la vita. L'anno successivo fondò con i mecenati Katherine Dreier e Walter Arensberg la Society of Independent Artists.
Nel 1918 si trasferì a Buenos Aires dove rimase fino alla metà dell'anno seguente; nel 1923 tornò a Parigi. A partire dal 1923, Duchamp diradò progressivamente la produzione artistica, e per dieci anni si occupò quasi esclusivamente di scacchi, arrivando ad alti livelli (fu capitano della squadra olimpica francese, nella quale giocava anche il campione del mondo Alexander Alekhine). Decise di stabilirsi definitivamente a New York nel 1942 dove, nel 1951, fu indagato da Joseph McCarthy ma rimase al sicuro grazie a suoi «amici potenti»[1]. Nel 1954 sposò Alexina "Teeny" Sattler Matisse, che gli rimarrà accanto per tutta la vita.Il poeta messicano Octavio Paz ha mirabilmente riassunto l'essenza dell'attività di Duchamp: «le tele di Duchamp non raggiungono la cinquantina e furono eseguite in meno di dieci anni: infatti abbandonò la pittura propriamente detta quando aveva appena venticinque anni. Certo, continuò "a dipingere", ma tutto quello che fece a partire dal 1913 si inserisce nel suo tentativo di sostituire la "pittura-pittura" con la "pittura-idea". Questa negazione della pittura che egli chiama olfattiva e retinica (puramente visiva) fu l'inizio della sua vera opera. Un'opera senza opere: non ci sono quadri se non il Grande Vetro (il grande ritardo), i ready-mades, alcuni gesti e un lungo silenzio».

La Pittura : « Il futurismo era l'impressionismo del mondo meccanico. [...] A me questo non interessava. [...] Volevo far sì che la pittura servisse ai miei scopi e volevo allontanarmi dal suo lato fisico. A me interessavano le idee, non soltanto i prodotti visivi. Volevo riportare la pittura al servizio della mente [...] Di fatto fino a cento anni fa tutta la pittura era stata letteraria o religiosa: era stata tutta al servizio della mente. Durante il secolo scorso questa caratteristica si era persa poco a poco. Quanto più fascino sensuale offriva un quadro - quanto più era animale - tanto più era apprezzato.
 La pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva; dovrebbe aver a che fare con la materia grigia della nostra comprensione invece di essere puramente visiva [...] Per approccio retinico intendo il piacere estetico che dipende quasi esclusivamente dalla sensibilità della retina senza alcuna interpretazione ausiliaria.
Gli ultimi cento anni sono stati retinici. Sono stati retinici perfino i cubisti. I surrealisti hanno tentato di liberarsi da questo e anche i dadaisti, da principio. [...] Io ero talmente conscio dell'aspetto retinico della pittura che, personalmente, volevo trovare un altro filone da esplorare. »

Se Duchamp avesse realizzato solo le tele dipinte prima del Grande Vetro, si sarebbe abbondantemente guadagnato un ruolo di primo piano nella storia delle avanguardie storiche. Dopo una giovinezza influenzata dall'impressionismo, nel 1911, a ventiquattro anni realizzò i notevoli Corrente d'aria sul melo del Giappone, Giovane e fanciulla in primavera e Macinino da caffè, di gusto fauve. I celebri dipinti del 1912: Nudo che scende una scala, Il passaggio dalla vergine alla sposa, Sposa, La sposa messa a nudo dagli scapoli, segnano un passaggio importantissimo nella storia del cubismo e del futurismo, per lo studio del movimento, e allo stesso tempo chiudono definitivamente l'esperienza di Duchamp con la pittura comunemente intesa. Le tele "in movimento" (culminate nel Nudo che scende una scala, n. 2) potrebbero essere etichettate come futuriste, ma il contatto di Duchamp con questi artisti fu nullo, e l'unica ispirazione dichiarata era la cronofotografia di Eadweard Muybridge. Il trattamento del movimento nel futurismo era infatti ben lontano dagli obiettivi di Duchamp, che virò ben presto verso la Sposa e il suo mondo. Il resto dell'opera grafica sarà rivolto a schemi, disegni e studi per elementi del Grande Vetro, o variazioni sullo stesso tema (la Macinatrice di cioccolato (1913), Cols alités (1959), Il Grande Vetro completato (1965), ai disegni degli ultimi due anni, e a clamorosi gesti di "ritocco" come i baffi affibbiati alla Monna Lisa di L.H.O.O.Q. (1919).
 
Un'esperienza emblematica del valore della casualità nel pensiero dell'artista potrebbe considerarsi 3 stoppages étalon (3 rammendi tipo) del 1913 che esprime appunto l'uso pianificato e incondizionato di un procedimento aleatorio. In essa 3 fili di un metro ciascuno vennero fissati per sempre, mediante lacca, nelle tre diverse curve che essi assunsero, naturalmente e casualmente, una volta lasciati cadere da un metro d'altezza su di una superficie di stoffa blu. Quelle tre curve costituirono il profilo di altrettante sagome in legno conservate come "campioni" metrici: una unità di misura fissata per sempre da un evento istantaneo e casuale.
 
Come sempre, il più vasto e completo materiale interpretativo su Duchamp è fornito da Duchamp stesso, che durante la sua vita lavorò spesso a stretto contatto con i critici impegnati nel decifrare le sue opere, dispensando indizi e suggerimenti ambigui. A questi si aggiungono, nelle interviste, numerose prese di posizione estremamente nette riguardo al concetto di arte e alla pittura: tra le più famose, il rifiuto della pittura "retinica" o "olfattiva" (con riferimento all'odore di trementina) puramente superficiale, nata dall'impressionismo e proseguita con le avanguardie storiche cubiste e futuriste.

Il Grande Vetro :
« Il Grande Vetro è la più importante opera singola che abbia mai fatto »
 (Marcel Duchamp)
 
A partire dal 1915, Duchamp lavorò a La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (traduzione di La Mariée mise à nu par ses célibataires, même), chiamato anche Grande Vetro: questo "quadro" è formato da due enormi lastre di vetro (277 x 176 cm) che racchiudono lamine di metallo dipinto, polvere, e fili di piombo. Nel 1923, lo lasciò "definitivamente incompiuto". Il Vetro contiene e sviluppa tutta l'attività passata e futura di Duchamp, e nel tempo ha dato origine a una tale quantità di interpretazioni da farlo ritenere una delle opere più complesse e affascinanti di tutta la storia dell'arte occidentale. Durante un trasporto, subì dei danni consistenti, ma l'artista decise di non riparare l'opera proprio per dimostrare di accettare, complice del caso, la completa riassunzione-integrazione nell'opera del suo carattere inerziale di "cosa". Dal 1954, è conservato al Philadelphia Museum of Art. La sua descrizione comincia dal nome: Duchamp prescrive di non chiamarlo "quadro", ma "macchina agricola", "mondo in giallo" o "ritardo in vetro". Se la seconda denominazione ha dato adito alle più disparate interpretazioni, la "macchina agricola" è un attributo facilmente riconoscibile, dalla "fioritura arborea" della Sposa ai complessi meccanismi di trebbiatura dell'"apparecchio scapolo". Tutta la complessa attività del Grande Vetro è descritta in dettaglio dallo stesso Duchamp, (anche se in forma frammentaria, ermetica e allusiva) nelle due raccolte di appunti, la Scatola verde e la Scatola bianca.

Nudo che scende le scale :
Realizzato nel 1912, il Nudo che scende le scale sovverte le regole del Cubismo per arrivare ad una nuova ricerca della vivacità e del movimento. Duchamp non è dunque interessato alla rappresentazione di più punti di vista nello stesso momento, bensì alla descrizione dello stesso soggetto scomposto in più punti di vista, ma ripetuto in diversi momenti successivi, traendo ispirazione dalle recenti scoperte cinematografiche. In questo modo, non solo l'artista risolve la più grande debolezza del Cubismo, ovvero l'estrema staticità, ma compie il primo passo verso un uso del mezzo pittorico che porterà alla sperimentazione astratta. La figura anatomica si scompone in piani e linee che lasciano solamente intuire la presenza ed il ritmico succedersi dei movimenti della figura, il quale è visivamente accompagnato da veri e propri segni iconici che lo rappresentano, come potrebbe accadere in un fumetto. La scala su cui si plasma la figura è pura forma, si innesta su se stessa, è contemporaneamente in salita ed in discesa, in infinito movimento, si fonde in una tautologica danza col soggetto, in un paradosso di Zenone in cui più la figura si divide, più sembra dividersi. Quando l'opera fu definitivamente terminata, fu rifiutata dal Salon des Independénts : la giuria si convinse che l'intenzione di Duchamp volgesse a prendersi gioco del Cubismo, adducendo come aggravante il fatto che il titolo avesse sembianze sin troppo “fumettistiche”. In seguito Duchamp eseguì altre due copie dell'opera, una delle quali dipinta su fondo fotografico.

Etant donnés :
 Etant donnés è considerato il lavoro finale di Duchamp, sconvolse il mondo artistico che credeva che egli avesse abbandonato l'arte venticinque anni prima per dedicarsi unicamente agli scacchi. Egli ci lavorò segretamente per vent'anni nascondendo la sua esistenza anche agli amici più cari.


Fortuna di Duchamp e influenza sull'arte contemporanea :
L'orinatoio Fontana (1917) e la Monna Lisa con baffi e pizzetto di L.H.O.O.Q. (1919), benché probabilmente travisati come semplici gesti iconoclasti, sono certamente tra gli oggetti più famosi dell'arte del XX secolo. L'influenza di Duchamp sugli artisti successivi, benché enorme e ingombrante, è molto mediata, tanto che non è facile riconoscere degli epigoni diretti. Di sicuro, il concetto di ready-made, insieme al problema del gesto dell'artista come "selettore" dell'oggetto d'arte, sono stati il punto di partenza per le varie forme di arte concettuale. Il ready-made è un comune manufatto di uso quotidiano (un attaccapanni, uno scolabottiglie, un orinatoio, ecc.) che assurge ad opera d'arte una volta prelevato dall'artista e posto così com'è in una situazione diversa da quella di utilizzo, che gli sarebbe propria. Il valore aggiunto dell'artista è l'operazione di scelta, o più propriamente di individuazione casuale dell'oggetto, di acquisizione e di isolamento dell'oggetto. Nulla più.

Morte :
Marcel Duchamp muore il 2 ottobre 1968 a Neuilly-sur-Seine e viene sepolto nel cimitero di Rouen. Sulla sua tomba si può leggere l'epitaffio, composto da lui stesso:
              «D'ailleurs c'est toujours les autres qui meurent» ("D'altronde sono sempre gli altri che muoiono").

Tratto da Wikipedia

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« Ultima modifica: 18 Febbraio 2013, 13:06:04 da StefanoG »