Autore Topic: Autori con la pipa in bocca  (Letto 364653 volte)

Offline coureur-des-bois

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #120 il: 28 Maggio 2006, 08:21:43 »
IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE



Mia madre fumava una pipa fatta con il vecchio involucro di una cartuccia. Non diceva mai una menzogna.....

Ecco da dove viene la Corsellini rtp 2005! :D  :D
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #121 il: 28 Maggio 2006, 13:44:43 »
Citazione da: "coureur-des-bois"


Ecco da dove viene la Corsellini rtp 2005! :D  :D


 :D  :D  :D

Vediamo se ti piace questo maestro di vita e ho lasciato molte pipe per strada, da quante ne contiene.

Charles Dickens

Grazie a "Il circolo Pickwick", il ventiseienne Dickens diventò di colpo uno scrittore di successo. La sua popolarità aumentò con i romanzi successivi, usciti a dispense mensili, con le con ferenze, gli spettacoli teatrali da lui organizzati, in cui Dic kens si esibiva anche come attore.

Il circolo Pickwick

Era il fattorino di piazza. — Eccoci qua, signore. Ehi, a te, prima carrozzella!
Il primo cocchiere della riga fu subito scovato dalla bettola dove se ne stava fumando la sua prima pipa, e il signor Pickwick e la relativa valigia furono caricati nel veicolo.
— Golden Cross, — disse il signor Pickwick.
— Corsa d'uno scellino, Tommy, — gridò il cocchiere di malumore per informazione speciale dell'amico fattorino, mentre la vettura partiva.

Va bene, va bene, — disse il guercio alla ragazza che usciva dalla camera. — Vengo subito, Marietta, non dubitate. State allegra.
E così dicendo, compiè l'operazione punto difficile di strizzare il suo unico occhio alla compagnia con indicibile diletto di un vecchiotto dal viso sudicio e con una pipa di gesso fra i denti.
— Curiose creature le donne.
Ah sì! non c'è che dire, — esclamò di dietro al suo sigaro un uomo molto rosso in viso.
Dopo questo piccolo saggio di filosofia, vi fu un'altra pausa
— Badiamo però, ch'ei si danno a questo mondo dell'altre cose molto più curiose delle donne, — disse il corriere, l'uomo dall'occhio nero, caricando lentamente una grossa pipa olandese.

— Quando fui scaraventato la prima volta nel mondo per giocare a tira e molla coi suoi guai. Cominciai dal fare il garzone di carradore, poi di carrettiere, e poi feci il facchino e alla fine il lustrastivali. Adesso sono il domestico di un signore. Forse diventerò anch'io un signore, uno di questi giorni, con una pipa in bocca e un villino. Chi lo sa? non mi farebbe nessuna maraviglia.
— Siete un vero filosofo, Sam, — disse il signor Pickwick.
Credo ch'è un po' male di famiglia, signore. Pigliate mio padre, per esempio. La mia madrigna lo secca, egli si mette a fischiare. Essa monta in bestia e gli rompe la pipa; lui infila la porta e se ne va a comprarne un'altra. Essa allora strilla come un'oca e le vengono le convulsioni; e lui se la fuma comodamente aspettando che la torni in sè. Questa è filosofia, non vi pare, signore?

Con le lagrime non s'è potuto mai caricare un orologio o far correre una macchina a vapore. La prima volta che vi trovate in conversazione,bambino mio, caricatevi la pipa con questa riflessione.


Alla fine fu portato in tavola un boccone di cena, che s'era messo a scaldare, e il vecchio Lobbs vi si gettò sopra senz'altro; ed avendo in meno di un ette fatto repulisti, diè un bacio alla figliuola e domandò la sua pipa.
"Aveva la natura situato le ginocchia di Nataniele Pipkin in vicinanza strettissima; ma quando egli udì il vecchio Lobbs domandar la sua pipa, se li sentì battere l'uno contro l'altro come se a vicenda si volessero stritolare; imperocchè, proprio in quel camerino dov'egli stava nascosto, da una coppia di ganci pendeva una pipaccia dal fornello d'argento e dalla cannuccia nera, la qual pipaccia egli avea veduto per cinque anni di fila, ogni giorno e ogni sera, in bocca al vecchio Lobbs. Le due ragazze corsero giù a cercar la pipa, e poimontarono su a cercar la pipa, e poi guardarono dapertutto in cerca della pipa, meno che nel posto dove sapevano che la pipa si trovava, e il vecchio Lobbs nel frattempo strepitava e tempestava nel modo più mirabile e strabocchevole.

"Cinque minuti dopo le ragazze venivano fuori dalla camera da letto, tutte modeste e compunte; e mentre la giovane brigatella s'andava rallegrando cordialmente, il vecchio Lobbs spiccò la pipa dai ganci e se la fumò; ed un fatto notevolissimo a proposito di questa pipa fu questo, che una pipa più deliziosa e più saporita egli non avea fumato mai.

Pigliate esempio da vostro padre, bambino mio, e guardatevi sempre dalle vedove vita natural durante specialmente se hanno tenuto osteria o altra cosa così, Sam.
Ed emesso che ebbe questo consiglio paterno con gran tenerezza, il signor Weller seniore ricaricò la pipa con certo tabacco che prese da una scatola di latta che portava in tasca, e accendendo la novella pipa alle ceneri dell'altra, ricominciò a fumare a pieni polmoni.

Soffrite il fumo, signore? — gli domandò il suo vicino di destra, un signore in camicia a scacchi e bottoni a mosaico, con un sigaro in bocca.
— No certamente, — rispose il signor Pickwick; — mi piace anzi moltissimo, benchè non sia fumatore.
— Per me, mi dispiacerebbe assai di non esserlo, — venne su un altro signore dall'altro capo della tavola. — La pipa per me mi fa da tavola e alloggio.Il signor Pickwick guardò a quel signore, e pensò che sarebbe stato meglio per lui se la pipa gli avesse anche fatto da lavanda.

È tornato il signor Stiggins? — domandò la moglie.
— No, cara, non è tornato, — rispose il marito, accendendo la pipa con l'ingegnoso processo di tenervi sopra con le molle un pezzo di fuoco pigliato dal prossimo camminetto; — e quel ch'è più, anima mia, gli è ch'io cercherò di non morirne dal dolore, se mai non tornasse.
Weller vuotò d'un fiato il suo bicchiere e scosse le ceneri fuori della pipa con la sua naturale dignità.

Orsù, fatevi venir la pipa, ch'io vi leggo la lettera, ecco.
Non si può dire con precisione se la prospettiva della pipa o la riflessione consolante che una fatale inclinazione al matrimonio fosse radicata nella famiglia senza rimedio di sorta, calmasse i sentimenti del signor Weller e quetasse il suo dolore. Vorremmo credere piuttosto che il buon effetto fosse raggiunto dalle due sorgenti di consolazione combinate; perchè egli ripetette a bassa voce la seconda più volte, e nel tempo stesso suonò il campanello per ordinar la prima. Si tolse poi il pastrano; ed accesa la pipa e situandosi con le spalle al fuoco in modo da raccoglierne tutto il calore e da appoggiarsi alla mensola del camminetto, si volse dalla parte di Sam; e con una fisonomia molto rabbonita dall'azione calmante del tabacco, lo pregò che "desse fuoco".
Sam intinse la penna nell'inchiostro per trovarsi pronto ad ogni correzione, e incominciò in tono teatrale:
"Amabile...
Il signor Weller riprese fra i denti con solennità la sua pipa, e Sam ricominciò a leggere come segue:
"Amabile creatura, io mi sendo moldo vergognato...
— Cotesto non mi piace, — disse il signor Weller, togliendosi la pipa dalle labbra.
Weller dopo aver riflettuto per un momento, — Avanti, Sam.
"Mi sendo moldo vergognato e completamente abbagliato cuando vi vedo solo la veste perchè voi siete un bel toco di ragazza e voglio vedere chi dice di no".
— Cotesta è un'idea graziosa, — osservò il signor Weller seniore, staccandosi la pipa dai denti per dar luogo a questa osservazione.

la mi è morta Dio la benedica, com'io lo ringrazio! — fu preso da un colpo e se n'andò.
— Dove? — domandò Sam, che dopo i vari eventi della giornata andava pigliando sonno.
— Che volete ch'io sappia? — disse il ciabattino parlando col naso in una voluttuosa aspirazione della sua pipa. — Se n'andò all'altro mondo.
— Ah, capisco, capisco. E poi?
— E poi lasciò cinquemila sterline.
— Una cosa molto delicata da parte sua.


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« Risposta #122 il: 28 Maggio 2006, 15:04:21 »
Sappi che il Circolo Pickwick occupa un posto di riguardo nella mia biblioteca. Assolutamente britannico!
Bernardo
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« Risposta #123 il: 28 Maggio 2006, 15:36:17 »
Citazione da: "coureur-des-bois"
Sappi che il Circolo Pickwick occupa un posto di riguardo

Uno dei libri che in una biblioteca che si rispetti non deve mancare.

Un classico dell'avventura,pipe di frontiera.

James Fenimore Cooper 1789-1851

Cooper trovò i suoi temi nell'area conflittuale tra società e stato selvaggio; il suo mitico eroe Natty Bumppo sta tra i valori della civiltà bianca e le virtù degli indiani, offrendo un'immagine insostituibile dell'ambigua condizione del l'uomo di frontiera. Con Cooper siamo nel tema-mito tipico nordamericano della frontiera.

ULTIMO DEI MOHICANI

Dopo una breve e grave pausa, Chingachgook accese una pipa, dal fornello curiosamente scolpito in una di quelle pietre tenere che si trovano nel paese e il cui cannello era costituito da un tubo di legno, e cominciò a fumare. Quando ebbe aspirato abbastanza la fragranza del tabacco, passò l'arnese nelle mani dell'esploratore. La pipa aveva così fatto tre volte il giro nel più profondo silenzio, prima che uno della compagnia aprisse bocca. Poi il Sagamore, nella sua qualità di membro più vecchio e di rango più elevato, propose, con poche calme e solenni parole, l'argomento su cui deliberare.

Il mio fratello è un gran dottore,» disse l'astuto selvaggio, «proverà?»
            Un gesto di assenso fu la risposta. L'Urone si accontentò di quella assicurazione, e riprendendo la pipa aspettò il momento adatto per muoversi. L'impaziente Duncan, esecrando dentro di sé i freddi costumi dei selvaggi che richiedevano di sacrificarsi alle apparenze, si limitò ad assumere un'aria di indifferenza, uguale a quella mantenuta dal capo che era, a dire il vero, un parente stretto della donna spiritata. I minuti trascorrevano lentamente, e quando l'Urone mise da parte la pipa e si chiuse l'abito sul petto come stesse per fare strada verso la capanna della malata

Il ritorno di questo astuto e temuto capo ritardò la partenza degli Uroni. Parecchie pipe che erano state spente furono riaccese, mentre il nuovo venuto, senza proferire una parola, sfilò il tomahawk dalla cintura, e riempiendo il camino della pipa fino all'orlo, cominciò ad aspirare i vapori del tabacco attraverso la cannuccia, con la stessa indifferenza che avrebbe avuto se non fosse stato assente due interminabili giorni per una lunga e faticosa caccia. In tal modo passarono circa dieci minuti che a Duncan parvero altrettanti anni; e i guerrieri furono completamente avvolti da una bianca nube di fumo prima che qualcuno di loro parlasse.

Un silenzio profondo e terribile seguì la pronuncia del nome proibito. Ogni pipa cadde dalle labbra di colui che la stava fumando come se tutti avessero aspirato un'impurità nello stesso istante. Il fumo avvolse le teste in piccole volute, e arricciandosi in strette spirali, salì rapido verso l'apertura del tetto della capanna, lasciando l'aria pura al di sotto, e gli scuri visi chiaramente visibili. Gli sguardi della maggior parte dei guerrieri erano fissi al suolo,

Soltanto dopo un intervallo sufficiente scosse le ceneri dalla pipa, si rimise il tomahawk, allacciò la cintura e si alzò, gettando per la prima volta un'occhiata in direzione del prigioniero che si trovava dietro di lui.

Quando il capo che aveva sollecitato l'aiuto di Duncan ebbe finita la sua pipa, finalmente si mosse, questa volta con successo, per lasciare la capanna. Il cenno di un solo dito fu l'invito che fece al finto dottore di seguirlo; passando fra le nubi di fumo Duncan fu lieto, per più di una ragione, di poter finalmente respirare l'aria pura di una rinfrescante sera d'estate.

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« Risposta #124 il: 28 Maggio 2006, 19:39:23 »
Anche questo è un classico che non manca nella mia libreria, ho anche il dvd del film " The last of the Mohicans " di Michael Mann anch'esso divenuto un cult, insieme alla sua colonna sonora.
Bernardo
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« Risposta #125 il: 28 Maggio 2006, 23:17:53 »
André Juillard
Nato a Parigi il 9 giugno 1948. Nel 1974 i suoi primi lavori, pubblicati su settimanali cattolici di Fleurus.
Disegnatore di fumetti,illustratore,pittore,creatore di scenografie
il continuatore più naturale della serie Black e Mortimer
un maestro della linea chiara che fuma la pipa.










L'autore:



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« Risposta #126 il: 30 Maggio 2006, 23:11:57 »
Theophile Gautier 1811-1872

Si dedicò molto giovane alla pittura, nell'atelier di Rioult. Partecipò con passione al dibattito letterario tra classicisti e romanticisti.Gautier come poeta anticipò l'impassi bilità e il perfezionismo nella fattura del verso che fu poi dei parnassiani. Costoro lo considerarono come un maestro. Ma anche Baudelaire nel dedicargli "I fiori del male", lo definì "poeta impeccabile" e "mago perfetto delle lettere francesi".
La sua fama di prosatore è legata al romanzo Il capitan Fracassa . Romanzo concepito in piena stagione romanticista, di qui il distacco e la tiepida ironia con cui è scritto e a cui deve il suo fascino.


LA PIPA D'OPPIO
 
 
 
            L'altro giorno ho trovato il mio amico Alphonse Karr seduto sul divano, con una candela accesa benché fosse pieno giorno. In mano teneva un cilindro di legno di ciliegio con un fungo di porcellana sul quale faceva sgocciolare una specie di pasta bruna che ricordava la ceralacca. La pasta bruciava e sfrigolava nel cannello del fungo ed egli aspirava attraverso un bocchino d'ambra gialla il fumo che poi si diffondeva nella stanza con un vago aroma di profumo orientale.
            Senza dire niente, presi l'apparecchio dalle mani del mio amico e avvicinai la bocca a una delle estremità. Dopo qualche boccata provai uno stordimento alquanto piacevole che ricordava le sensazioni della prima ubriacatura.

Mi ritrovavo dal mio amico Alphonse Karr - come effettivamente era accaduto in mattinata - e lui era seduto sul divano di lampasso giallo con la pipa e la candela accese. Il sole però non faceva volteggiare sulle pareti come farfalle variopinte i riflessi blu, verdi e rossi delle vetrate.
            Presi la pipa dalle sue mani, come avevo fatto qualche ora prima, e mi misi ad aspirare lentamente il fumo inebriante.
            Mi pervase ben presto una sensazione di beato languore, e mi sentii stordito come quando avevo fumato la vera pipa

Sicché hai fatto ridipingere il soffitto di blu», dissi a Karr, che sempre impassibile e silenzioso stava aspirando un'altra pipa ed emettendo più fumo del tubo di una stufa in inverno, o di un battello a vapore in una qualunque stagione.


DUE ATTORI PER UNA PARTE

Aquila a due teste era una di quelle felici taverne celebrate da Hoffmann, i cui gradini sono talmente consumati, unti e scivolosi che non si può posare il piede sul primo senza ritrovarsi in fondo, con i gomiti sul tavolo, la pipa in bocca, tra un boccale di birra e una misura di vino novello.
            Attraverso la spessa nuvola di fumo che appena entrati ti prendeva alla gola e agli occhi, dopo qualche minuto si delineavano ogni sorta di strane figure.

L'oriente era rappresentato da un grosso turco accoccolato in un angolo che se ne stava fumando tranquillamente latakia in una pipa che aveva il cannello di ciliegio moldavo, un fornello di terracotta e un bocchino d'ambra gialla.

Una nebbiolina, quasi impercettibile nella luce, incappucciava la cima tronca della montagna. In un primo momento era facile prenderla per una di quelle nuvole tra cui sfumano picchi più elevati anche nelle giornate serene, ma guardando
meglio si vedevano sottili volute di vapore bianco uscire dalla montagna come dai fori di un bruciaprofumi, per poi addensarsi in un vapore leggero. Il vulcano, quel giorno di umore bonario, fumava tranquillamente la pipa, e se non ci fosse stata Pompei sepolta ai suoi piedi, non sarebbe sembrato più pericoloso della collina di Montmartre.


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« Risposta #127 il: 31 Maggio 2006, 00:11:07 »
Henrick Ibsen 1828 -1906

Norvegese autore drammatico , che mise in scena personaggi in preda alla contraddizione tra le loro capacità e le loro ambizioni,Il suo teatro è stato definito di volta in volta naturalista, simbolista, anarchico... , la sua opera, basata su realtà vissute, enuncia teorie  audaci, calate in personaggi di una verità intensa. La sua norma : il rigore. Ibsen era convinto -  da seguace del pensiero di Kierkegaard - che il mondo intero è alla ricerca di una fede, di una vocazione.



SPETTRI


Ma basta, caro pastore, (illuminandosi di gioia) non avete sentito, non sentite? È Osvald... sta scendendo le scale, ora viene... Sì, è lui... Lasciamo stare tutto il resto, adesso che c'è lui, che siamo con lui... (Entra dalla porta a sinistra Osvald; indossa un leggero soprabito, tiene il cappello in mano e tira ampie boccate da una lunga pipa di schiuma)

OSVALD
Già. Mamma, a che ora si pranza?
 
SIGNORA ALVING
Subito, Osvald, subito. Fra una mezz'oretta, forse neanche... avete visto, pastore, che appetito? Dio sia lodato, ha un appetito...
 
PASTORE MANDERS
E anche voglia di fumare...
 
OSVALD
Beh, su in camera ho trovato la pipa di papà, e allora...
 
PASTORE MANDERS
Ah, ecco cos'era...



PASTORE MANDERS
Ecco... quando Osvald è entrato, così con quella pipa in bocca... mi è sembrato per un attimo di vedere suo padre, ma proprio in carne ed ossa...

OSVALD
Ma no, sul serio?
 
SIGNORA ALVING
Ma come potete dire una cosa simile! Se Osvald ha preso tutto da me...
 
PASTORE MANDERS
Ah questo sì, ma c'è qualcosa, non so, intorno alla bocca, là, verso gli angoli, o sulle labbra... qualcosa che mi ricorda, ma proprio tanto, il capitano... perlomeno adesso, così, con quel modo di fumare...
 
SIGNORA ALVING
Ma neanche per sogno. La bocca di Osvald è tutta diversa, ha un tratto spirituale, austero, direi quasi sacerdotale...
 
PASTORE MANDERS
È vero, è vero, anche tanti miei reverendi colleghi...
 
SIGNORA ALVING
Ma adesso metti via la pipa, tesoro mio. Qui dentro il fumo non lo posso proprio soffrire.

OSVALD (mette via la pipa)
Subito mamma, ecco. Volevo solo provare, siccome mi ricordavo che già una volta, da piccolo, avevo preso questa pipa, proprio questa, e tirato qualche boccata...

SIGNORA ALVING
Ma ti prego, cosa vuoi ricordarti di quegli anni! È impossibile, dopo tanto tempo, e poi eri appena un bambino...
 
OSVALD
E invece ricordo tutto, mamma, ho proprio qui la scena davanti agli occhi. Papà che mi prende sulle ginocchia e mi dice di fumare la pipa: «Fuma - mi par di vederlo - fuma, ragazzo, coraggio, ancora!». E io che mi metto a fumare, a tirare più che posso fino a sentirmi male, tutto pallido e col sudore che mi viene giù dalla fronte, e lui che allora ride, ride di gusto...





 
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« Risposta #128 il: 31 Maggio 2006, 07:38:01 »
Carlo Collodi

Carlo Lorenzini, detto Collodi, nacque a Firenze, il 24 novembre 1826. Il famoso pseudonimo deriva dal paese natale della madre e lo scrittore inizialmente lo usò per firmare gli interventi su una rivista satirica, «Il Lampione», da lui fondata nel 1848, negli stessi giorni in cui stava partecipando con l’esercito piemontese alla seconda guerra d’indipendenza. La rivista venne chiusa dalla censura a pochi mesi dalla nascita, ma Collodi non si diede per vinto e nel 1853 fondò un altro periodico, «La scaramuccia», assai simile al primo per la verve e il piglio umoristico.Fin da queste prime esperienze, si può vedere come il padre artistico di Pinocchio guardasse la realtà da un’angolazione tutta particolare. Egli continuò a dedicarsi al giornalismo fino al 1859, quando si unì all’esercito di Giuseppe Garibaldi


Pipì.


1. Perché a Pipì fu dato il soprannome di “scimmiottino color di rosa”

Nel famosissimo bosco di Vattel'a pesca, c'era una volta una piccola famigliola composta di sette scimmie: il babbo, la mamma e cinque scimmiottini alti quanto un soldo di cacio.
Questa famigliola abitava fra i rami di un albero gigantesco, in mezzo a una foresta, e pagava quindici susine l'anno di pigione a un vecchio gorilla prepotente, che si era messo in capo di essere il padrone di casa.
Dei cinque scimmiottini, quattro avevano il pelame di un colore scuro come la cioccolata; ma il quinto, invece, ossia il più piccolo di loro, fosse scherzo di natura o altro, fatto sta che era tutto ricoperto, salvo il musino, da una finissima lanugine di color vermiglio carnicino, come le foglie della rosa maggese. Ed è per questa ragione che in casa e fuori di casa lo chiamavano tutti in canzonatura col soprannome di Pipì, parola che nella lingua parlata delle scimmie, vuol dire precisamente color di rosa.
Pipì non somigliava punto né a' suoi fratelli, ne agli altri scimmiottini del vicinato.
Aveva un musino vispo e intelligente; un par di occhietti furbi, che non stavano fermi un minuto: una bocchina che rideva sempre, e un personalino asciutto e flessibile, come un gambo di giunco. Era, insomma, come suol dirsi, uno scimmiottino fatto proprio col pennello.
Vedendolo così di prim'acchito, si poteva quasi scambiarlo per un ragazzino di otto o nove anni, per la gran ragione che Pipì faceva il chiasso e i balocchi, come un ragazzo: correva dietro alle farfalle e andava in cerca di nidi, come i ragazzi: era ghiottissimo delle frutta acerbe, come i ragazzi: mangiava ogni cosa e mangiava sempre, come i ragazzi: e dopo aver mangiato ben bene, si ripuliva la bocca con le mani, come fanno i ragazzi e segnatamente i ragazzi poco puliti.
Ma la più gran passione di Pipì volete sapere qual era?
Era quella di scimmiottare tutto quello che vedeva fare agli uomini.
Un giorno, fra gli altri, mentre andava per la foresta a caccia di cicale e di grilli, vide a poca distanza un giovanetto seduto a piè d'un albero, che se ne stava tranquillamente fumando la sua pipa.
A quella vista, Pipì spalancò tanto d'occhi e rimase come incantato.
"Oh!" diceva dentro di sé "se potessi avere una pipa anch'io!... Oh se potessi anch'io farmi uscire que' bei nuvoli di fumo dalla bocca!... Oh se potessi tornarmene a casa, fumando come un camminetto acceso! Chi lo sa con che occhi d'invidia mi guarderebbero i miei quattro fratelli!"
Mentre allo scimmiottino frullavano per il capo queste bellissime cose, ecco che il giovinetto, un po' per la stanchezza e un po' per il gran bollore della giornata, lasciò andare due sonori sbadigli, e posata la sua pipa sull'erba, si addormentò.
Che cosa fece allora quel birichino di Pipì?
Si avvicinò pian pianino, in punta di piedi, al giovinetto che dormiva: e rattenendo perfino il fiato... allungò adagino adagino una zampa... prese con una velocità incredibile la pipa che era posata sull'erba... e poi, via a gambe come il vento.
Appena arrivato a casa, chiamò subito, tutt'allegro, il babbo, la mamma e i fratelli; e in presenza a loro, infilatosi quel pipone fra i labbri, cominciò a fumare con lo stesso garbo e con la stessa disinvoltura, come avrebbe fatto un vecchio marinaio.
La mamma e i fratelli, a vedergli uscir di bocca quelle nuvole di fumo, ridevano come matti: ma il suo babbo che era uno scimmione pieno di giudizio e di esperienza di mondo, gli disse in tono di avvertimento salutare:
“Bada, Pipì! A furia di scimmiottare gli uomini, un giorno o l'altro diventerai un uomo anche tu... e allora! Allora te ne pentirai amaramente, ma sarà troppo tardi!”
Impensierito da queste parole, Pipì gettò via la pipa di bocca e non fumò più.
Eppure bisogna convenire che quella pipa rubata gli portò disgrazia.
Difatti, pochi giorni dopo, Pipì venne colpito da un orribile infortunio! Lo sciagurato perdé per sempre la sua bellissima coda: una coda così bella, che bastava averla vista una volta, per non potersela mai più dimenticare.
Come andò che Pipì perdé la sua magnifica coda?
È una storia crudele e dolorosa, che fa venire le lacrime agli occhi soltanto a pensarvi; e io ve la racconterò in quest'altro capitolo.

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« Risposta #129 il: 01 Giugno 2006, 00:23:28 »
Guillame Apollinaire

Guillaume Apollinaire (pseudonimo di Wilhelm Apollinaris de Kostrowitzky) nacque a Roma nel 1880. Trascorsa l'infanzia tra Roma, la Costa Azzurra e Lione, si stabilì a Parigi nel 1902; qui frequentò gli ambienti letterari di punta e le avanguardie artistiche, dai fauves ai cubisti, dai futuristi ai primi gruppi surrealisti.Fù un po' l'arbitro elegantiorum di quel mondo.Il poeta che narrava gli artisti,di lui ci sono qualche centinaio di ritratti fatti da: Dechirico,Max Ernst,Dalì,Picasso, Russò "Le duanier" Picabia etc, molti con la inseparabile pipa in bocca.Forse il massimo della gloria e della fama! La sua vita fù breve,come tutti i prediletti dagli dei,stroncato nel 18 dalla "Spagnola"
Le sue liriche narrano la vita che scorre nell'attimo presente.

QUE VLO-VE?

   
   La chitarra di Que vlo-ve? era un po' parte del vento che geme sempre nelle Ardenne del Belgio...
   Que vlo-ve? era la divinità di questa foresta in cui errò Geneviève de Brabant dalle rive della Mosa fino al Reno, attraverso l'Eifel vulcanico con i suoi mari morti, le lagune di Daun, l'Eifel dove zampilla la sorgente di Saint-Apollinaire, e dove il lago di Maria Laach è uno sputo della Vergine...
   Gli occhi di Que vlo-ve? lampeggianti e cisposi, con la pelle delle palpebre rossa come il prosciutto crudo, lacrimavano senza posa e le lacrime gli bruciavano le labbra come l'acqua delle fonti d'acqua acidula che abbondano nelle Ardenne.
   Era il compagno dei cinghiali, il cugino delle lepri, degli scoiattoli, e la vita scuoteva la sua anima come il vento dell'est scuote i grappoli arancioni dei sorbi selvatici...
   Que vlo-ve? - vale a dire: Que voulez-vous? - vallone vallonante di Vallonia era nato prussiano a Mont, luogo chiamato Berg in tedesco e situato vicino a Malmédy sulla strada che porta in quelle pericolose torbiere chiamate Hautes-Fanges o Hautes-Fagnes, o più precisamente Hohe-Venn, perché si è già in Prussia, come testimoniano dei pali neri e bianchi, sabbia e argento, color notte, color giorno, su tutte le strade.
   Que vlo-ve? preferiva il proprio nomignolo al proprio nome: Poppon Remacle Lehez. Ma se lo salutavano col soprannome, Li bai valet (il bel ragazzo), faceva risonare l'anima della chitarra e batteva sul ventre del suo interlocutore dicendo:
   «Suona vuoto come la mia chitarra, mormora che ha sete, non ha più péket da pisciare».
   Ci si prendeva allora a braccetto e senza darsi del tu, perché non ci si dà mai del tu in vallone, si andava - nome di Dio! - a bere del péket che è la più volgare delle acquaviti di cereali alla quale, parlando francese, si dà eufemisticamente il nome di ginepro.
   E sarebbe stata una cosa veramente straordinaria non scovare in un angolo della locanda Guyaume il poeta, che aveva il dono dell'ubiquità, perché lo si vedeva in tutte le rivendite di birra e di péket tra Stavelot e Malmédy. E quante volte era successo che dei giovanotti venissero alle mani perché uno diceva:
   «Ho bevuto ieri con Guyaume a tale ora alla stazione».
   «Bugiardo - diceva un altro - alla stessa ora Guyaume stava con noi al caffè del Colbacco e c'erano anche il ricevitore delle poste e l'esattore delle imposte».
   E, da una battuta all'altra, i giovanotti finivano col prendersi a sberle in onore del poeta.
   Guyaume era tisico e abitava all'ospizio, a Stavelot. Siccome gli offrivano dappertutto da bere gratis, Guyaume andava a bere dappertutto. E dopo aver bevuto ne raccontava di racconti incredibili, di storie di briganti, dell'altro mondo o che non stavano né in cielo né in terra!
   Declamava versi contro la famiglia protestante della piazza della Chiesa, contro il gobbo di Francorchamps, e contro la ragazza dai capelli rossi di Trois-Ponts che in autunno andava sempre a raccogliere funghi! Puah! i funghi fanno crepare le vacche e lei, la rossotta, se ne abbuffava senza morire! Ah! la strega!... Ma cantava anche le glorie dei mirtilli e il bene che fa agli intestini umani il latte coi mirtilli, e cioè l'arcidivino, ambrosio tchatcha. Componeva spesso versi per le serve che sbucciano le krompire, le buone patate, le magna bona...
Quel giorno Que vlo-ve?, sulla strada costeggiata da alberi forti e contorti, sfregava l'acciarino per accendere la pipa...
   Passarono quattro giovanotti. Erano Hinri de Vielsalm, Prosper il bracciante, che era stato operaio nomade ed aveva lavorato anche dalle parti di Parigi nelle raffinerie ed ora abitava a Stavelot, Gaspard Tassin il cacciatore, bracconiere di Wanne: il suo cappello di feltro era adorno d'un'ala di sparviero e fumava una puzzolente pipa di legno di ginepro, e infine Thomas il babo, cioè il coglione, operaio condatore di Malmedy. Aveva una moglie molto carina: ragion per cui lei andava a letto con ogni sorta di persone, borghesi o operai, e lui, da parte sua, ingravidava, quando poteva, operaie di fabbrica o serve tedesche alle quali, diceva, piaceva andare a letto con lui perché era bravo come nessuno a fare un lungo e duro pimpam.
   Accesa la pipa, Que vlo-ve? corse loro dietro gridando:
   «Bonjou, tertous!»
   Ed essi di rimando:
   «Bonjou, bai' valet!»
   Que vlo-ve? li guardò con aria allegra recitando la sua eterna domanda, origine del suo soprannome:
   «Que vlo-ve? Nom di Dio! Ascoltate la mia chitarra. La sentite?»
   E la fece risuonare battendole sopra due colpi.
   «Suona più vuoto d'un peto di diavolo. Nome di Dio! Scommetto che si va a bere del péket dalla Chancesse, qui vicino!... Oyez-ve!...»
   Ed accordata la chitarra attaccò la Brabançonne. Ma gli gridarono:
   «Tacete!»
   Allora intonò la Marseillaise, poi dopo la prima strofa gridò «Nom di Dio!» ed intonò:
   
   «Isch bin ain Preusse...»
   
   Ma il babo ripeté:
   «Tacete, siete un prussiano che non sa il tedesco... Tacete!... voglio andare a letto con la Chancesse».
   E i giovanotti cantarono in coro:
   «E se ne resta un pezzo sarà per la serva,
   se non ne resta per niente lei si darà botte sulla pancia!
   
   E zum zum zum Lisette, mia Lisette
   E zum zum zum Lisette, mia Lison».
   
   Entrarono dalla Chancesse. Questa diceva il rosario, seduta a gambe divaricate. Le sue poppe, sotto la camiciuola, sembravano rotolar giù come una valanga.
   In un cantuccio Guyaume il poeta parlava tutto solo davanti al suo bicchiere di péket. Entrando i giovanotti salutarono:
   «Bonjou vos deusses!»
   Guyaume e la Chancesse risposero:
   «Bonjou tertous!»
   Lei portò dei bicchieri e servì loro il péket mentre cantavano:
   
   Sento il fondo del bicchiere...
   
   S'avvicinò Guyaume:
«Que vlo-ve?» disse il chitarrista, riaccendendosi la pipa. Guyaume versò del péket in un bicchiere che s'era portato. Bevve, fece schioccare la lingua, poi lanciò un peto dicendo a Prosper:
   «Cerca d'acchiapparlo, tu che sei stato parigino».
E siccome s'era al tramonto davanti alla locanda passò lentamente e per un bel po' una lunga mandria di vacche, condotta da una ragazzetta con i piedi nudi.
   
   Bisogna ora prendere il coraggio a due mani, perché è arrivato il momento difficile. Si tratta di parlare della gloria e della bellezza del cencioso povero diavolo Que vlo-ve? e del poeta Guillaume Wirin, i cui stracci coprivano anch'essi un buon povero diavolo in miseria. Sù, forza!... Apollo! Patrono mio, tu sei sfiatato, vattene! Fa venire quell'altro: Ermes il ladro, degno più di te di cantare la morte del vallone Que vlo-ve? sulla quale piangono tutti gli Elfi dell'Amblève. Che venga, l'astuto ladro dai piedi alati,
   
   Ermes, dio della lira e ladro di greggi,
   
   che getti su Que vlove? e la Chancesse tutte le mosche ganniche che al nord si crede tormentino certe vite come una fatalità. Che porti con sé il mio secondo patrono, in mitra e piviale, il santo vescovo Apollinaire. Questo coprirà il calvario di legno dipinto che soffre al crocevia:
   E dei santoni venuti dagli ovili rattristati
   dai belati e dai dolci occhi di graziosi agnelli
   accompagneranno ogni sera alla croce di questo Cristo
   un lungo poetico gregge con un crâmignon.

Un vecchio contadino, sbarbato, aveva al braccio un cesto pieno di focaccine cosparse di chicche all'anice. Aveva venduto una parte della sua merce per strada e camminava a fatica fumando la pipa. Ricche contadine erano sedute sulle loro mule dal passo sicuro. Ragazze si tenevano a braccetto sgranando il rosario. Portavano in testa dei cappelli di paglia, quasi piatti, caratteristici delle donne della contea di Nizza e simili a quelli che portavano le donne greche, come si può vedere dalle statuette di Tanagra.




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« Risposta #130 il: 02 Giugno 2006, 19:05:51 »
RAYMOND CHANDLER (1888-1959)

Considerato a lungo niente più di un brillante artigiano,anche se fu spesso lodato per il suo realismo. Chandler comincia a essere rivalutato come scrittore a tutto tondo; si è dedicata maggiore attenzione alla sua complessa biografia, che ne fa un vero e proprio intellettuale prestato al giallo.Le sue storie spesso non reggono ,ma le sue descrizioni di atmosfere surreali della "metropoli" spesso diventano delle liriche.I suoi personaggi non trovano mai piacere nel fumare la pipa.





ADDIO, MIA AMATA

Una striscia di sole scivolò lungo l'orlo della scrivania e cadde senza rumore sul tappeto. Semafori si accendevano e si spegnevano sul boulevard, passavano tram suburbani con fragore; nell'ufficio dell'avvocato oltre la parete sottile picchiettava una macchina da scrivere. Io avevo appena riempito e acceso la pipa quando il telefono squillò di nuovo.

«Vi faccio perdere tempo?».
«No».
«Pure non ho l'impressione che vi faccia molto piacere vedermi».
Riempii la pipa e l'accesi con cura. Lei mi guardò con aria d'approvazione. I fumatori di pipa sono persone serie. Ma le si preparavano delusioni sul conto mio.

Io non risposi. Accesi di nuovo la pipa. È un gesto che vi fa apparire pensosi quando non sapete a che pensare.


Dalla finestra guardai nel vicolo fra il mio palazzo e quello di fronte. Dal basso saliva un profumo di caffè tanto forte e resistente che ci si sarebbe potuto costruire una casa sopra. Tornai alla scrivania, rimisi nel cassetto la bottiglia del whisky, chiusi il cassetto e mi sedetti di nuovo. Per l'ottava o la nona volta riaccesi la pipa e osservai con attenzione, oltre il piano di cristallo impolverato della scrivania, la faccina seria e onesta di Miss Riordan.

Io me ne stetti seduto, tirando dalla pipa; ascoltavo il ticchettio della macchina da scrivere nell'ufficio vicino, il rumore ritmato dei semafori sul Boulevard Hollywood, la primavera che frusciava nell'aria come un involto di carta trasportato dal vento sul marciapiede.

Erano le sei meno un quarto quando arrivai in ufficio. Tutto il palazzo era molto tranquillo. La macchina da scrivere oltre la parete taceva. Io ac-cesi la pipa e mi sedetti ad aspettare.

ANCORA UNA NOTTE


Portava gli occhiali e lar-ghe orecchie gli spuntavano sotto il cappello di feltro grigio. Il bavero del cappotto era sollevato. Le mani erano nella tasca del cappotto. I capelli che si scorgevano erano grigio incrociatore. Aveva un aspetto solido, come ca-pita a molti uomini grassi. La luce che usciva dalla porta aperta alle mia spalle si rifletteva negli occhiali. Aveva in bocca una piccola pipa, di quel-le che sembrano un ossetto per mastini. Ero ancora intontito, ma qualcosa in lui mi disturbava.
«Bella serata» disse.
«Serve niente?»
«Cerco un tale. Non siete lui.»

IL LUNGO ADDIO

Accesi la pipa. Il tabacco era un po' troppo umido. Mi occorsero tre fiammiferi e un po' di tempo prima che si accendesse a dovere.
«Il tempo non mi mancava» disse Green «ma già ne ho adoperato parecchio aspettando che arrivaste. E dunque, fuori, amico. Sappiamo chi siete. E voi sapete che non ci troviamo qui per divertirci.»

«Un ufficio modesto» disse. «Molto modesto.»
Andai a mettermi dietro la scrivania e aspettai.
«Quanto guadagnate in un mese, Marlowe?»
Lasciai correre e accesi la pipa.
«Settecentocinquanta dollari al massimo» disse.
Lascia cadere il fiammifero spento nel posacenere e soffiai fuori il fumo.
«Siete una pulce, Marlowe. Siete un miserabile. Siete tanto piccolo che occorre una lente da ingrandimento per vedervi.»
Non aprii bocca.

Scosse il capo, adagio. «Era un vostro amico, signor Marlowe. Dovete esservi fatto un'opinione ben precisa. E penso che siate un uomo molto deciso.»
Schiacciai il tabacco nella pipa e la riaccesi. Me la presi con calma e la fissai al di sopra del fornello della pipa, mentre l'accendevo.
Scossi la cenere dalla pipa e la tenni in mano in attesa che il fornello si raffreddasse prima di rimetterla in tasca.

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« Risposta #131 il: 02 Giugno 2006, 21:51:29 »
Gustave Flaubert (1821-1880)

Protagonisti dei romanzi di Flaubert sono dei borghesi e delle casalinghe.Il denaro, la competizione economica, il successo, tutti gli ele menti della nuova società industriale ottocentesca con il loro risvolto tragico di bancarotte, fallimenti, truffe.La città di Flaubert non è più sede di palazzi e giardini, ma di botteghe, ristoranti, bordelli. Flaubert si limita a scegliere i fatti e a tradurli in linguaggio, convinto che la perfetta espressione di un fatto basti a interpretarlo.




L'EDUCAZIONE SENTIMENTALE

«Hai da fumare?» riattaccò Federico.
            Dussardier, dopo essersi frugato addosso, estrasse dal fondo della tasca i resti d'una pipa: una bella pipa di schiuma col cannello di legno nero, il coperchio d'argento e il bocchino di ambra.
            Erano tre anni che ci lavorava, per ricavarne un capolavoro. Aveva avuto cura di custodirne costantemente il fornello in una foderina di camoscio, di fumarla il più adagio possibile, di non appoggiarla mai sul marmo; tutte le sere, l'appendeva a capo del letto. Adesso se ne rigirava i pezzi fra le mani, con le unghie che gli sanguinavano, contemplando a bocca aperta - il mento sul petto, lo sguardo fisso e indicibilmente malinconico - le rovine del suo tesoro.

            Nell'uscire dalla corte Federico barcollava come un ubriaco; e aveva un'aria così interdetta che sul ponte della Boucherie un borghese, smettendo di fumare la sua pipa, gli chiese se stava cercando qualcosa. Conosceva, lui, la fabbrica di Arnoux: si trovava a Montataire.

            Era in piedi, la schiena appoggiata al camino. Gli altri stavan seduti, con la pipa in bocca, e l'ascoltavano dissertare sul suffragio universale, dal quale sarebbe certamente risultato il trionfo della Democrazia e l'applicazione dei principi evangelici

Le scariche di fucilate diventavan più fitte. Le osterie erano aperte: ci si andava ogni tanto a fumare una pipa, a bere un boccale di birra, poi si tornava a combattere. Un cane che s'era perso uggiolava; la gente, intorno, rideva

Dopo un giorno aveva già licenziato tre domestici, venduto i cavalli, s'era persino comprato, per avventurarsi nella strada, un cappello floscio; progettò di farsi crescere la barba; e se ne restava tappato in casa, accasciato, rileggendo amaramente i giornali più ostili alle sue convinzioni, incupito al punto che neanche le battute di spirito sulla pipa di Flocon riuscivano a farlo sorridere.

Poi lei passava in esame la stanza di lui, apriva i cassetti dei mobili, si pettinava con il suo pettine, si guardava nel suo specchio da barba. Spesso arrivava persino a mettersi tra i denti la cannuccia di una grossa pipa in mostra sul tavolino da notte.


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« Risposta #132 il: 03 Giugno 2006, 15:29:59 »
Alessandro Dumas 1803 1870

Ognuno di noi ha letto qualche suo libro,magari nell'infanzia, e le sue opere gli saranno sembrate molto fantasiose,invece viene menzionato spesso nelle cronache dell'epoca,in situazioni che sembrano uscire dai suoi romanzi:
"Garibaldi era a villa Spinola. Oltre il muro di cinta giravano agenti segreti di Cavour, vestiti da frati. Riconosciuti, furono cacciati a pedate e a male parole. Si presentò anche Alessandro Dumas père, ma era un amico e fu accolto a braccia aperte. Dumas pubblicò articoli entusiasti su Garibaldi e i suoi volontari."
Molti  altri grandissimi autori si sono ispirati alle sue opere,es. Giuseppe Verdi.
Cosa fumasse non è arrivato sino a noi,ma avendo viaggiato molto in oriente,si può presumere miscele orientali e affumicate e lo si deduce anche dai suoi scritti.


IL CONTE DI MONTECRISTO

Montecristo aveva raccomandato di avere per Haydée
      i  riguardi che si sarebbero potuti avere per una regina.  Lei era
      nella stanza più remota del suo appartamento,  cioè in una  specie
      di  salotto  rotondo,  che prendeva lume soltanto dall'alto,  e la
      luce passava per cristalli colorati  in  rosa:  seduta  per  terra
      sopra cuscini di seta turchina broccata in argento,  circondava la
      testa col braccio destro  mollemente  rotondeggiante,  mentre  col
      sinistro  teneva alle labbra il bocchino di corallo,  al quale era
      attaccata la canna flessibile di una pipa turca,  che non lasciava
      giungere alla bocca il vapore,  se non dopo essere stato profumato
      dall'acqua di benzuino.
Montecristo s'avanzò.  Lei si  sollevò
      sul  gomito  del  braccio  con cui teneva la pipa,  e stendendo al
      conte la mano lo accolse con un sorriso.

      "Anzi semplicissima" riprese Montecristo. "Alì sa che prendendo il
      tè, o il caffè, ordinariamente io fumo, sa che ho domandato il tè,
      sa  che  sono  tornato  con  voi,  viene chiamato e non dubita del
      perché,  e siccome è di un paese in cui l'ospitalità  si  esercita
      particolarmente  con la pipa,  invece di un "chibouque",  ne porta
      due."

      Alì rientrò, portando il caffè e le pipe;  in quanto a Battistino,
      questa parte dell'appartamento gli era interdetta. Alberto rifiutò
      la pipa che gli presentava il moro.
      "Oh,  prendete,  prendete" disse Montecristo. "Haydée è incivilita
      quasi al pari di una parigina:  il  fumo  degli  avana  le  riesce
      ingrato,  perché non ama i cattivi odori,  ma come ben sapete,  il
      tabacco d'Oriente è un profumo."

Gli preparò l'acqua ghiacciata,
      che mio padre beveva ad ogni istante,  poiché dopo la ritirata nel
      palazzo era arso da febbre ardente; gli profumò la bianca barba, e
      gli  accese la pipa,  di cui,  qualche volta per ore intere,  egli
      seguiva con gli occhi il fumo a spire nell'aria.

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« Risposta #133 il: 04 Giugno 2006, 00:10:16 »
Hans Theodor Storm  (1817-1888)

Come poeta, Storm subì l'influsso dell'amico Mörike. Le sue melodiose Poesie (Gedichte, 1852) nascono nella chiusa cerchia delle esperienze individuali, in una specie di isolamento nel tempo, parlano con toni di lieve malinconia. I temi sono l'amore, la vita coniugale, il paesaggio del mare del Nord. Gli argomenti patriottici sfumano nell'evocazione nostalgica di epoche remote.

ROSE TARDIVE

Mi ero così sistemato nella mia cameretta sopra al portone, con grandissima gioia di Dieterich; e le sere di festa sedevamo insieme sulla sua cesta da carico, e io, proprio come quando ero ragazzo, mi facevo narrare da lui. Egli fumava allora volentieri una pipa di tabacco, abitudine introdotta anche da queste parti dalla guerra, e tirava fuori ogni sorta di storie dalle tribolazioni che aveva dovuto patire dalle truppe straniere.   Il vecchio Heinrich se ne stava allora accanto a lui, la sua corta pipa in bocca, facendosi raccontare le sorti delle varie marionette, delle quali quasi ciascuna aveva una storia a sé; per esempio, come venne rivelato in una di quelle circostanze, quel Kasper scolpito con tanta efficacia, per il suo giovane intagliatore aveva addirittura avuto il ruolo di pronubo con la madre di Lisei.
Il vecchio mi dette un'occhiata furba, e si mise a tirar boccate dalla corta pipa con tanta lena, come se quell'erba preziosa gli crescesse nell'orto.

«Alcune sere dopo, servo e garzone si ritrovarono insieme davanti alla porta della stalla; il crepuscolo si spegneva dietro l'argine, e già la piana era tutta immersa nell'ombra; solo ogni tanto si sentiva il muggito di un bue spaventato o il lamento di un'allodola, la cui vita finiva sotto l'attacco di un uccello da preda, o di un topo di riviera. Il garzone se ne stava appoggiato alla porta e fumava una corta pipa, il cui fumo, per il buio, non si vedeva più: da un pezzo i due giovani non avevano parlato tra loro; il servo, però, aveva un peso sul cuore e non sapeva come fare a sfogarsi un po' con quel garzone tanto taciturno.

Dinanzi alla bella casa, sotto i tigli, su una collinetta in faccia alla porta a nord, che i due benefattori abitarono durante i loro ultimi anni, ora siedono tutti in fila quei giovanotti invecchiati, con i loro nasi bluastri; gli uni indossano vecchie divise militari rosse o blu, gli altri giacche da marinai tutte sformate; ma tutti hanno infilato in bocca il cannello della pipa, e una tabacchiera piena di schrot nella tasca del panciotto.

Nel mezzo stavano i partecipanti alla gara, circondati da giovani e vecchi, sia che abitassero nella bassa, sia che avessero casa o soggiorno nelle alture; i più vecchi, avvolti nei lunghi cappotti, fumavano la pipa pensosi; le donne, con tanto di giubbetto e di scialle, tenevano i bambini per mano o in braccio. Dai canali gelati, che venivano attraversati man mano, mentre il pallido raggio del sole pomeridiano scintillava in mezzo alle aguzze punte delle canne, veniva un freddo polare; il gioco, però, proseguiva instancabile e tutti gli occhi continuavano a tener d'occhio la palla che volava, perché da essa dipendeva quel giorno l'onore e la gloria di tutto il villaggio. Dei giudici di parte, quello del partito del polder aveva una mazza bianca, quello delle alture una mazza nera, ambedue con la punta di ferro; quando la palla aveva terminato la corsa, la mazza veniva piantata nel terreno gelato, tra il tacito riconoscimento o tra le risa di scherno della parte avversa, e la palla che era giunta al bersaglio per prima, assicurava la vittoria alla sua parte. Quanto a parlare, si parlava ben poco; solo quando si vedeva un lancio di quelli magistrali, si sentiva un grido dei giovani o delle donne; oppure uno dei vecchi si levava la pipa di bocca e la batteva sulle spalle del lanciatore dicendogli: "'Questo sì, che è un bel tiro!', disse Zaccaria scaraventando la moglie dalla finestra!".



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« Risposta #134 il: 04 Giugno 2006, 13:32:28 »
Dario Fo
Un morto non morto ,una pipa che non pipa,ma Dario è sempre Dario

Un morto da vendere

MARIA (raccattando la pistola da terra) E adesso cambiamo musica...
UBRIACO Perché cambiar musica? Era così bella quella di prima... Oh! ma guardali... Tutti con le pistole... che bello... anch'io, anch'io con la pistola!... (Estrae da tasca la pipa e la impugna come se fosse un'arma) E adesso, cosa si fa?

Parte un colpo. Marco e il Padre cadono di schianto. Dopo qualche secondo anche il Cliente stramazza al suolo ribattendo la testa contro la pianola che, questa volta, attacca a suonare una marcia funebre.
UBRIACO E no, non vale... Se si spara prima di fare la conta... Avanti, ricominciamo da capo...
MARIA Non facciamo scherzi... Qui ci sono due morti di troppo... Il colpo è stato uno solo... papà, papà... (Si getta sul corpo del Padre) Meno male, il cuore batte ancora. Su, papà, sveglia... non sei morto.
PADRE (sollevando appena la testa) No, no... tu dici così per tirarmi su il morale... ma io lo so che sono morto-Cosa credi, che non abbia sentito lo sparo? No, con me le bugie pietose non attaccano...
MARIA Smettila, papà... ti dico che è stato un colpo solo... non potete essere morti tutti e tre...
MARCO (sollevando la testa) Hai detto un colpo solo?... Allora se il morto sei tu, io sono vivo... Meno male! Maria, ti faccio le mie condoglianze più sentite. Povero Arturo. Eri così buono... Mi mancherai...
Intanto l'Ubriaco è andato vicino al corpo del Cliente ed ha cominciato a scuoterlo.
UBRIACO Su, giovanotto, su con la vita. Il morto l'abbiamo trovato... si alzi che ricominciamo da capo... Ma questa volta facciamo la conta... eh? (Il Cliente ricade). Ehi! Ma questo è morto sul serio...
MARIA L'abbiamo ammazzato...
PADRE Chi l'ha ammazzato?
MARCO Ah!... io no di sicuro... sarai stato tu o tua figlia...
MARIA Mascalzone! Spergiuro! Prima spara e poi finge di essere morto per buttare la colpa su di noi... E tu me lo volevi dare per marito!
PADRE Spergiuro! Avanti! Giura sui tuoi morti più stretti che non sei stato tu a far fuori il morto!
MARCO Che io possa essere morto... se il morto... Un momento. Ma chi vi ha detto che debba essere stato proprio uno di noi tre a farlo fuori? (Indicando l'Ubriaco) C'era anche lui al momento dello sparo.
PADRE È vero! Mi ricordo che ha detto: chi spara per primo?
MARIA Ma non dite sciocchezze... Mica ha potuto sparare con una pipa...
UBRIACO Eh no... io non sono capace di sparare con la pipa...
MARCO Quando uno è sbronzo non sa mai quello che fa... e non avete idea di cosa sanno fare questi ubriaconi quando perdono la trebisonda... sono capaci di tutto...
PADRE Perfino di sparare con la pipa come ha fatto lui...
UBRIACO Ma, a dir la verità, io non me ne sono neanche accorto della pipa che ha sparato...
MARIA Poveretto... Ma tu guarda che scherzi fanno certe volte le pipe...
MARCO Eh!... Sono aggeggi pericolosi... Io mi ricordo di un mio zio che con una sola pipata ha ammazzato cinque buoi e un mulo...
PADRE Con una sola pipata?
MARCO E... sì, era sbronzo naturalmente ed era andato a fumare la pipa proprio nel pagliaio sopra la stalla... Una pipata andata a male e... trac... tutti bruciati vivi, lui compreso...
MARIA Ne ho sentito parlare anch'io. È stata quella volta che hanno levato il porto di pipa a tutti gli ubriachi del paese...
PADRE A proposito... tu ce l'hai il porto di pipa?
UBRIACO (con l'aria del ragazzino che dice la bugia) ... Mi è scaduto!
PADRE E allora avrai delle grane con la polizia... Ti conviene dire che l'hai ammazzato con la pistola... Tieni la mia...
UBRIACO Grazie... Come è buono lei.
MARCO Potrai sempre dire che ti è scappato un colpo...
UBRIACO Come siete buoni voi... che mi aiutate... Be', non mi resta che andare alla polizia e raccontare com'è andata...
PADRE Sì, sì, ma vacci subito...
MARCO E mi raccomando... se non vuoi grane non dir niente della pipa...
UBRIACO No, no... non dico... dico che ero sul pagliaio a fumarmi la pistola, un tiro andato male... ho ammazzato tre buoi e un mulo... lui era sotto il mulo... è morto soffocato. Come siete buoni voi... (Esce).
I rimasti si buttano sul morto per cercare quattrini.
PADRE Giù le mani... dividi tutto per tre...
MARCO Perché, per tre?
MARIA Perché, fino a prova contraria, c'ero anch'io con la pistola in mano... E questo che cos'è? (Spiega un foglio e legge) «Taglia di mille marenghi d'oro a chi consegnerà vivo o morto il brigante Pietro Gambone detto il Magnaccio colpevole di ben trenta omicidi per rapina»... Oh, Dio!
MARCO Ma che c'è?
MARIA Guardate la fotografia!
PADRE (confrontando la foto col morto) È lui! Abbiamo ammazzato il Magnaccio!
MARCO Piano, abbiamo ammazzato il Magnaccio... L'avete detto voi che sono stato io a sparare... Quindi, il morto è mio e i mille marenghi me li becco io...
PADRE Tu non ti becchi niente... Giù le mani dal morto o sei morto! (Gli punta la pistola proprio mentre l'altro si sta caricando il morto sulle spalle).
MARCO No, non facciamo scherzi. (Facendosi scudo del
morto) Non vorrai far morto il futuro marito di tua figlia... per un morto estraneo. (Solleva le braccia del morto nella posizione di «mani in alto»),
MARIA Non farti incantare, papà... ammazzalo... con un morto come quello in dote troverò tutti i mariti che vuoi.
PADRE E chi ti dice che lo darò in dote proprio a te... per poi vedermelo sperperare dal primo cacciatore di dote che troverai...
MARCO Ben detto, Arturo... questo si chiama ragionare da uomo intelligente... (Fa gesticolare il morto manovrandolo dal di dietro) Se abbassi un momento la pistola... ti faccio una proposta saggia e onesta.
PADRE Sentiamo questa proposta...
MARCO (manovrando sempre le braccia del morto come fossero quelle di una marionetta) Giochiamocelo a carte: se vinco io tu mi dài tua figlia in moglie e vieni a vivere con noi... Se vinci tu io sposo tua figlia e veniamo a vivere con te... In ciascuno dei casi il morto rimarrà sempre in famiglia...
MARIA E se vinco io?...
PADRE Tu?!... No, tu non giochi... Queste son faccende da uomini... Avanti, Marco, dài le carte... E questo mettiamolo a sedere qui... (Afferra il morto per il colletto della giacca e lo fa saltellare fino all'altezza della sedia) Ci faremo un bel tressette col morto...
MARIA Ah, ah... adesso che ci penso... state giocando la pelle del morto prima ancora di averlo ammazzato...
MARCO Ma cosa stai dicendo?
MARIA Vi state dimenticando dell'ubriaco... Quello è già dal brigadiere a raccontare che il morto è suo...
PADRE Già... e pensare che siamo stari proprio noi a regalarglielo... con la bella trovata delle pipe che sparano... (Indica Marco).
MARCO (rispondendo a tono) E col porto di pipa!
PADRE Ci sarebbe proprio di che sputarci in faccia!
UBRIACO (appare sulla porta) Sputarsi in faccia? Cos'è un nuovo gioco, un gioco che si sputa? Ah, che bel gioco... anch'io, anch'io... Questa volta però facciamo la conta eh!
MARIA Un momento... e il brigadiere?
UBRIACO Quale brigadiere?
MARCO Ma come? Non sei andato dalla polizia?
UBRIACO (scoppiando in lacrime) Ecco, adesso lo so già che mi sgridate! Ma... ho avuto vergogna... Il brigadiere è così nervoso che se uno gli va a dire che ha ammazzato un altro... lui diventa nervoso... che mi fa diventare nervoso... così nervoso... che nervoso quel brigadiere... nervoso...
PADRE Come? Come?... Allora nessuno sa niente del morto...
UBRIACO No, nessuno... Ma vi prego... aspettiamo almeno fino a domani... perché oggi mi sento così buono-che se poi mi dicono che sono cattivo... (Piange).
MARCO No... nessuno... ti dirà che sei cattivo... ma santo... vieni, fratello. (Lo bacia sulla fronte).
PADRE Beati i poveri di spirito... beato il vino che ti ha fatto così beota... (Lo abbraccia).
MARIA Beota beato!
UBRIACO Come siete buoni voi: davvero mi perdonate?
PADRE Perdonarti? Sei tu che ci devi perdonare... Tu non immagini quale rimorso ci ha presi per averti lasciato andare solo e indifeso a costituirti... Ma adesso che sei tornato, figliol prodigo... ripareremo subito... Saremo noi a prenderci la colpa del delitto commesso...
UBRIACO Voi? No, non posso... Il morto è mio e il castigo me lo prenderò io...
MARCO No... il morto ce lo becchiamo noi...
UBRIACO Ma il castigo?
PADRE Non sarà un castigo, figliolo... ma un premio... il più bel premio della nostra vita...
UBRIACO No, non posso... se accettassi sarei un cattivo, e siccome io voglio rimanere buono...
MARCO Va a finire che comincio a diventare cattivo io, ma sul serio! (Lo afferra per il bavero).
L'Ubriaco reagisce mettendosi nell'atteggiamento del gatto aggredito dal cane... soffia e porta le mani ad artiglio all'altezza della faccia di Marco che molla la preda e indietreggia terrorizzato.
MARIA Adesso non trascendiamo... Piuttosto voi non stavate giocandovelo a carte? (Indica il morto).
PADRE (ha capito il suggerimento) Maria, sei una ragazza in gamba. Vieni qua, fratello, siediti... e gioca... deciderà la sorte...
MARCO Ben detto... ce lo disputeremo al gioco che abbiamo interrotto al tuo arrivo...
UBRIACO Ah, allora sì che ci sto... Chi comincia per primo?
PADRE Comincia pure tu...
UBRIACO (sputando in faccia al Padre e a Marcò) Sptu... sptuu! Ah, ah, che bel gioco questo di sputare!...
MARIA Ma che ti succede? Sei impazzito?
UBRIACO Perché? Quando sono entrato non stavate giocando a sputarvi in faccia?
MARCO Disgraziato! Io giocherei a staccarti la testa!... (Fa il gesto di colpirlo).
L'Ubriaco si rimette nell'atteggiamento da gatto arrabbiato soffiando e mostrando i denti.
PADRE Calma... calma!...
UBRIACO Ho vinto io... è mio il morto...
MARIA D'accordo... hai vinto tu... ma se permetti vorrei... parlarti da solo...
MARCO Come ha vinto lui? Ma sei rinscemita?
PADRE Sei tu rinscemito! Non hai ancora capito? Ci pensa lei... Su, vieni, andiamo di là.
I due escono e la ragazza scoppia in un pianto dirotto.
MARIA Lo sapevo... lo sapevo che sarebbe finita così!... Adesso non mi resta che andare in convento...
UBRIACO Ma signorina, perché piange?... Cosa le è successo? Perché deve andare in convento? (Afferra per il colletto della giacca il morto e lo appende per il colletto stesso all'attaccapanni).
Il morto scivola dentro la giacca e le braccia si sollevano fino a farlo sembrare uno spaventapasseri. Ha inizio una vera e propria competizione fra l'Ubriaco che vuole farlo stare diritto e il morto che si ritira dentro la giacca come una lumaca nel suo guscio.
MARIA (sempre tra i singhiozzi) Era l'ultima speranza, capisci... l'ultima...
UBRIACO Chi era l'ultima speranza?
MARIA Quel morto... Senza di lui non mi potrò più sposare...
UBRIACO Vuol sposarsi questo morto che si ritira?
MARIA Sì, cioè no... Vedi, quel giovanotto che sta di là... è il mio fidanzato che di mestiere fa il becchino...
L'Ubriaco non si dà per vinto, afferra un ombrello dall'attaccapanni, lo apre, e costringe il morto ad impugnarne il manico, così che l'ombrello funge da paracadute e il morto ora sta ritto.
UBRIACO (soddisfatto, facendo il gesto dei giocolieri al termine di ogni esercizio riuscito) Oplà!... sta' su. Cosa diceva? Il suo fidanzato fa il becchino? Oh! il becchino!...
MARIA Lo so, non è un lavoro molto romantico... ma quando l'ho conosciuto io era il più bravo becchino della provincia... Venivano anche dall'estero per farsi seppellire da lui... Aveva una palata così leggera...
UBRIACO E adesso non ce l'ha più la palata leggera?
MARIA No, ce l'ha ancora... è un po' giù d'allenamento, se vogliamo...
UBRIACO Come mai?
MARIA È proprio qui il fatto... In questo maledetto paese sono più di dieci mesi che non muore più nessuno... e così il Comune ha deciso di fare chiudere il cimitero e lui, poverino, verrà licenziato...
UBRIACO E già, per mancanza di clientela... Accidenti che tempi: adesso incominciano a fallire anche i cimiteri!
MARIA Purtroppo mio padre non mi permetterà mai di sposare un disoccupato...
UBRIACO Be'... un po' ha ragione... È già grave dare la figlia a un becchino... ma a un becchino disoccupato è troppo!... Piuttosto non ha provato a cambiare mestiere?
MARIA Sì, ha provato a fare il macellaio, ma era tanta l'abitudine che appena gli capitava di ammazzare qualche bestia, la seppelliva subito. È fallito in due mesi...
UBRIACO Quando si dice l'abitudine...
MARIA Capisci adesso perché quel morto era la nostra salvezza? Se fosse stato suo, avrebbe potuto seppellirlo... il Comune gli avrebbe rinnovato il contratto, avrebbe fatto riaprire il cimitero... e noi ci saremmo potuti sposare.
UBRIACO (commosso alle lacrime) Nella chiesetta del camposanto... coi fiori su tutte le tombe...
I due uomini che erano usciti rientrano proprio in quell'istante e rimangono perplessi davanti a quella scena di sconforto.
PADRE Che succede?...
MARCO Perché piangete?
UBRIACO Senti, becchino, mi devi scusare, ma io non sapevo. (Stacca il morto dall'attaccapanni e lo libera dell'ombrello) Prenditi il morto con tutti i miei auguri. È il mio regalo di nozze... E adesso scusatemi se me ne vado... ma mi sento così buono che se resto qui ancora va a finire che vi ammazzo il padre per darlo in dote alla figlia! (Afferra una pistola dal tavolo e la punta).
PADRE Grazie! Ma non è il caso che ti scomodi... (Gli toglie la pistola di mano).
MARIA Ah! grazie, grazie davvero...
MARCO Grazie, è davvero un bel regalo...
UBRIACO Si figuri! Morto più morto meno... E poi se certi regali non si fanno ai becchini... a chi si dovrebbero fare? (Esce).
MARCO Non ho capito con chi ce l'ha con 'sto fatto del becchino.
PADRE Evidentemente ce l'ha con te... Deve essere stata qualche trovata della mia Maria...
MARCO Ad ogni modo è una trovata che non mi piace.
MARIA Ma ti piacerà la taglia che riscuoterai!
PADRE Come, che riscuoterai? Che riscuoteremo, vorrai dire! Fino a prova contraria sei stata tu a fargli avere il morto...
MARCO E io le farò avere una bella casa!
PADRE Nella quale verrò a vivere anch'io, come d'accordo!
MARCO E no, caro! Quello era l'accordo nel caso l'avessi vinto a carte! Ma dal momento che mi è stato regalato!
MARIA Hai sentito, papà?... Bel farabutto mi volevi dare per marito... Fuori! Fuori di qui... Io gli faccio regalare il morto e lui ti sbatte fuori di casa.
PADRE Mascalzone, ladro... rompo il fidanzamento !... (Lo aiuta a caricarselo in spalla).
MARIA Avanti! Prenditi anche questa, è roba tua! (Gli consegna una busta).
MARCO Che cos'è?
MARIA Ah, non so proprio... Gli è cascata dalla giacca... Se è tuo il morto è tua anche questa.
Marco, che è riuscito a trascinare il morto sul piccolo ballatoio, incuriosito se ne libera mettendolo lungo disteso sulla pianola.
PADRE (afferrando la lettera e aprendola) Ah... ah... questa è bella... è proprio bella! Ah... ah... Oh, Dio! Mi fa morire... Non mi sono mai divertito tanto...
MARCO Cos'è? (Gli strappa la lettera di mano) No... non è vero! (Scoppia a piangere disperato) Non voglio morire!
MARIA (leggendo la lettera) «Al fortunato giustiziere che ammazzandomi avrà la possibilità di ritirare la taglia di ben mille marenghi... faccio tutti i miei complimenti e le mie più sentite condoglianze... poiché con quei soldi potrà pagarsi un magnifico funerale. Infatti i miei due fratelli Antonio e Gilberto non lasceranno trascorrere nemmeno un giorno dalla mia morte per vendicarmi. La morte sia con te. Arrivederci in cielo... tuo Pietro Gambone detto il Magnaccio». Ah... ah... è bella da morire! ... il becchino che si fa seppellire... È bella... è bella... e per aver accettato un morto non suo... ah... ah...
MARCO (riavendosi aggressivo) L'avete detto! Un morto che non è mio! Ma che è nostro! (Gira la manovella della pianola, il morto si risolleva come sospinto da un ingranaggio, fino a trovarsi seduto).
PADRE Ma sentilo!... Prima, quando valeva un sacco di marenghi era soltanto suo. Adesso che il morto scotta... lo vuole mettere in cooperativa...
MARCO E allora sentiamo; quando verrà il brigadiere quali prove avrete per dimostrargli che sono stato io ad accopparlo? E non dimentichiamo che la responsabilità di tutto quello che succede in un locale pubblico è sempre del gestore... E chi è il gestore qui dentro? Avanti, ridi adesso!
PADRE (fa qualche smorfia cercando di ridere) Non ce la faccio... (Si mette a piangere istericamente).
MARIA Di' un po', tu che poco fa parlavi di prove; mi sai dire chi di noi ha i soldi del morto?
MARCO Come chi li ha?... Li hai tu in tre parti, no?
MARIA Sì, ma a te ho dato quelli del morto e a noi due il resto del piatto...
MARCO Stai scherzando? Da quando in qua i marenghi si possono riconoscere da quelli di un vivo?
MARIA Eppure, certe volte, anche i marenghi fanno certi scherzi...
MARCO (nel frattempo ha estratto il malloppo dei quattrini) Ma sono falsi!... Tutti falsi... Che brigante... giocava con soldi falsi... Ci ha giocati! (Scaraventa il malloppo sul torace del morto che per il colpo solleva di scatto la testa in un atteggiamento minaccioso. Marco retrocede terrorizzato).
MARIA Be'? Che cosa ti aspettavi da un brigante? Era il minimo che potesse fare... Ad ogni modo la polizia non avrà difficoltà ad individuare il colpevole... cioè il meritevole... Ti beccherai un bel premio e anche una bella pallottola in testa... (Marco scoppia in lacrime sulla spalla del Padre che piange a sua volta). Ma non vi vergognate, grandi e grossi come siete? Smettetela! Va bene, vorrà dire che il morto me lo prenderò io.
PADRE Ma sei impazzita!...
MARCO Be'... non è poi un cattivo affare...
PADRE Nient'affatto! Non permetterò mai che mia figlia si sacrifichi per un mascalzone come te!,..
MARCO Ma non è detto che Maria si debba proprio sacrificare... Una volta denunciato il delitto... cioè l'atto di giustizia... potrà sempre squagliarsela...
MARIA Sì, ma senza ritirare il premio...
PADRE E già, se aspettasse la consegna della taglia... passerebbero sempre due o tre giorni... e i fratelli del Magnaccio avrebbero tutto il tempo... no... no... non posso permettere una cosa simile... tu te la squaglierai senza ritirare il premio.
MARIA D'accordo... però il premio me lo darete voi...
MARCO e PADRE (insieme) Noi???
MARIA E si, per squagliarmela come si deve, bisognerà che io me ne vada il più lontano possibile... Magari in America... e mi ci vorranno parecchi quattrini... mille marenghi e forse più...
PADRE Mille marenghi??
MARCO Facciamo cinquecento...
MARIA Mille.
PADRE Settecento...
MARIA Mille...
MARCO Novecento...
MARIA Mille!...
PADRE E va bene, mille...
MARIA ... e cinquecento !
PADRE Come... e cinquecento?...
MARIA E sì, mille e cinquecento... Intanto che contrattavate, mi è venuto in mente che mille erano pochi... e può darsi che ripensandoci... anche mille e cinquecento.
MARCO No! no... non ripensarci... Va bene così!... Avanti, Arturo, settecento cinquanta a testa! Accidenti, cosa ci costa 'sto morto!
PADRE È il morto più caro che abbia conosciuto… Mentre Marco conta i soldi il Padre solleva il sedile di una sedia e ne estrae un malloppo di quattrini.
MARIA Ah! Ecco dove li nascondevi... E piangevi miseria... (Rivolta a Marco) È inutile che conti quelli, te l'ho già detto che sono falsi! (Marco li scaraventa con forza contro la pianola che ricomincia a suonare. Quindi si sbottona la camicia e ne estrae un enorme pacco di banconote). E ti vantavi di avere il più bel torace del paese... Adesso capisco perché!
MARCO Sanguisuga!
MARIA (contando i soldi) Sicuro! Ma non pensi che con questo salasso ti salvo la vita? Piuttosto datevi da fare… andate a tirar fuori il cavallo e attaccatelo al biroccio se volete che vi tolga dai piedi questo impiastro...
PADRE Sì... sì... ci andiamo subito. Ma mi raccomando, non dire al brigadiere che lo hai accoppato nella mia osteria!
MARIA Stai tranquillo! Racconterò di averlo ammazzato sulla strada che va al convento per difendermi da una aggressione...
PADRE Grazie, figlia mia, sei un angelo!
MARCO Sì, sì, sei un angelo... Ma ti prego, una volta partita non ti far più viva... Neanche per lettera... Capirai, sarebbe pericoloso...
MARIA Già, pericoloso... soprattutto per voi... (Escono. Il morto, mentre Maria si affretta a mettere in una borsa il malloppo dei quattrini, solleva pian piano la testa, si alza in piedi e si avvicina quatto quatto alle spalle della ragazza con le mani protese per afferrarla. Vedendosi comparire le mani davanti al viso, la ragazza emette un grido soffocato) Ah!... (Poi si rivolge al resuscitato) Stupido! Mi hai fatto paura!...
CLIENTE Bravo tesoro! Sei stata formidabile! Se non fosse stato perché avevo paura di mandare tutto all'aria sarei sbottato a ridere chissà quante volte!... (L'abbraccia teneramente).
MARIA Però anche tu sei stato bravo... tanto da vivo che da morto! Ah... ah... come li abbiamo imbrogliati bene... Guarda che per riuscire a farsi pagare il viaggio di nozze dal promesso sposo e da un taccagno come mio padre bisogna proprio essere furbacchioni come noi due!
CLIENTE E che bel viaggio di nozze !... Ce n'è di che farlo durare tutta la vita!... Pensare che se tu non avessi avuto questa idea... Per colpa di tuo padre, non avresti mai potuto diventare mia moglie... (Fa per baciarla).
MARIA (scansandosi dolcemente) Oh, ti prego... togliti quella parrucca, che mi fa impressione... (Il Cliente si leva la parrucca rossa e i baffi, fanno per riabbracciarsi ma si fermano di colpo. Dall'esterno giunge il rumore di una carrozza). Il biroccio è pronto! Stiamo pronti anche noi!
MARCO (entra da sinistra seguito dal Padre; ma nello stesso istante, non visti, i due escono a destra) Ecco fatto, Maria, puoi partire!
PADRE Ma dov'è Maria?...
MARIA (la cui voce giunge dall'esterno) Sono qui, papà... (Rumore di ruote).
PADRE Aspetta, è troppo pesante... perché tu lo possa caricare da sola...
MARIA Ho già fatto... addio papà!
PADRE Addio, Maria, grazie!...
MARIA Grazie a voi...
MARCO Arrivederci! Mi raccomando... non scrivere...
PADRE (commosso) Che ragazza d'oro! Sacrificarsi per me!... Proprio non se lo meritava un padre simile...
MARCO Bando alle malinconie... L'abbiamo scampata bella... Avanti, porta qui una bottiglia e le carte... e crepi la miseria... Mi voglio rifare!
PADRE E ti vorresti rifare con me?... E va bene... a che gioco giochiamo?
UBRIACO (riapparendo in quell'istante) Giochiamo a quel gioco del mio cugino d'America?
MARCO Rieccolo un'altra volta...
PADRE Ah! Ma sei proprio un tormentone!
MARCO Fammi un piacere! Lasciaci in pace!
UBRIACO Ah, bella accoglienza che mi fate! E poi vai a regalare i morti agli amici!
MARCO Bel regalo davvero! Lo sai chi era quel tale che avevamo fatto fuori?
UBRIACO Chi?
PADRE Il Magnaccio!
UBRIACO Il Magnaccio? Ah... ah... questa è bella!
MARCO E allora, se è bella, guarda qui! (Gli sbatte sotto
gli occhi il manifesto della taglia).
UBRIACO Accidenti!
PADRE Come mai non ridi più, adesso? Ma stai tranquillo; il Magnaccio è morto!
UBRIACO (toccandosi dappertutto) No... no... sì... sì... Meno male, sono ancora vivo!
MARCO (scoppiando a ridere) Sì... sì... sei vivo, ma l'hai scampata bella anche tu!
UBRIACO (sempre rimirando la foto) Come assomiglia!... Però a pensarci bene, stavo meglio coi baffi... bisogna che me li faccia crescere...
PADRE Sì, a pensarci bene... se ti lasciassi crescere i baffi e ti tingessi anche i capelli di rosso...
UBRIACO (togliendosi il cappello che gli è rimasto calcato fino alle orecchie) Non ce n'è bisogno, io ce li ho già rossi...
I due alla vista dei capelli rossi hanno un attimo di terrore.
MARCO (riavendosi) Ah... ah... accidenti... quasi quasi mi sembravi davvero il Magnaccio resuscitato!...
UBRIACO Come resuscitato? Io non sono mai morto...
PADRE D'accordo, tu no, ma il Magnaccio sì!
UBRIACO No... se non è morto il Magnaccio... non sono morto neanch'io... Perché il Magnaccio, se non vi dispiace, sono io!...
PADRE Ma non dire stupidaggini!... E allora, quello che abbiamo accoppato prima, chi era?
UBRIACO Che accoppato, se l'ho visto poco fa sul biroccio che si sbaciucchiava con tua figlia. Da quando in qua i morti sbaciucchiano?... ridacchiano?... canticchiano? Li abbiamo fregati, cantavano, fregati tutti e due...
PADRE Fregati?... Adesso che ci penso... mi sembra che assomigliasse a qualcuno, quel morto...
MARCO Ma sicuro... assomigliava al figlio del calzolaio... quello che faceva la corte a tua figlia... Era lui! ...
PADRE E allora se era lui... lui... è... il Magnaccio!?...
MARCO Il Magnaccio!
Indietreggiano terrorizzati.
UBRIACO Il Magnaccio! Sicuro... e adesso che abbiamo fatto le presentazioni... facciamoci questa partita e beviamoci qualche cosa perché sento che mi sta ritornando la cattiveria... (Estrae dei soldi, catene d'oro ed orologi) ... E invece io voglio essere tanto buono...
MARCO (rimanendo sempre a rispettosa distanza) Sì, sì, buono, tanto buono... Ma da dove viene tutta questa roba?
UBRIACO Oh... niente, ho fatto pam pam a dei signori che ho incontrati...
PADRE Ma allora... anche quei soldi e quegli orologi di prima?
UBRIACO Sì, sempre pam pam...
MARCO Ma non diciamo sciocchezze!... Pam pam con la pipa!
UBRIACO Sì, con la pipa. (Punta la pipa contro la pianola e ne fa uscire un colpo fragoroso. La pianola si mette in moto).
PADRE e MARCO Una pipa che spara?
UBRIACO Sì, è stata una mia trovata. È una pistola camuffata da pipa. Così, anche se mi prendono di sorpresa, l'ultima sorpresa ce l'ho sempre io... E adesso, giochiamo... Avanti, mettetevi a sedere, ma vi avverto che il primo che fa scherzi gli arriva una pipata nel cervello!

Suerte!