Ritrovo Toscano della Pipa
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Topic: Autori con la pipa in bocca (Letto 364650 volte)
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Autori con la pipa in bocca
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Risposta #135 il:
11 Giugno 2006, 01:22:44 »
Si può essere un poeta anche senza la penna o il pennello,lo dimostro.
John Ford
(1894 - 1973)
ha svolto vari ruoli: trovarobe, assistente alla regia, comparsa, controfigura,attore, e poi regista ed è per questo che lo ricordiamo lui e la sua pipa.
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Aqualong
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Autori con la pipa in bocca
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Risposta #136 il:
12 Giugno 2006, 23:26:12 »
Joe R. Lansdale
E' nato nel 1951. Una ventina di romanzi, una dozzina di raccolte di racconti e sceneggiature per fumetti dal 1980 ad oggi, dal giallo, al noir, all’horror, alla fantascienza, fino al romanzo storico. I suoi personaggi vengono dal cuore del Texas, dal cinema, dai fumetti, dalla TV, dalla musica e dalla cultura pop. Texano come il presidente Gorge W.Bush, di cui dice in questo link…:
http://digilander.libero.it/confratchianti/libri_lansdale.htm
Ironia, humour nero e grottesco le sue armi migliori. Attento ai temi sociali, i suoi romanzi sono spesso fotografie di ciò che non funziona negli USA, ma “se in Texas mi considerano un comunista sfegatato, temo che in California o a New York, le mie posizioni sarebbero considerate quelle di un liberal alquanto tiepido..”.
In Fondo Alla Palude
Papà sedeva in una sedia sotto la quercia. Quello era una specie di nostro albero delle riunioni, dove ci sedevamo a parlare e in estate si sbucciavano i piselli. Lui fumava la pipa. Potevo vedere la sua luce quando soffiava la fiamma del fiammifero verso il tabacco. Il profumo della pipa sapeva di legno e mi sembrava amaro. Lo raggiungemmo e ci fermammo sotto la quercia, accanto alla sua sedia.
- La mamma s'è spaventata da morire - disse. - Harry, tu lo sai che non si deve stare fuori così, e con tua sorella, per di più. Tu dovresti prenderti cura di lei.
Papà diede un tiro alla pipa. - Mi dicevi che hai una giustificazione.
- Sissignore. Sono stato a caccia di scoiattoli, ma c'è qualcos'altro. C'è un corpo giù al fiume.
Si sporse in avanti sulla sedia. - Cos'hai detto?
- È vero. - Papà fece una pausa per prendere la pipa dalla tasca, la riempì di tabacco e la accese. - Non sono sicuro che sia stata una buona idea, ma stavo facendo dei tentativi. Ho detto che era di colore e nessuno se ne è interessato. Se avessi detto che era bianca ci sarebbero stati linciaggi in tutta questa parte della contea. Ma lei ha una parte di sangue bianco, e allora la gente si ferma e comincia a pensare a lei come a un essere umano. D'altra parte non è abbastanza bianca da scatenare reazioni eccessive. È triste, ma così stanno le cose.
Emily Bronte
La sua opera si inserisce in pieno nella letteratura vittoriana e ne costituisce uno dei suoi massimi esponenti.
Cime Tempestose
Gettato uno sguardo sinistro alla piccola fiamma da me attizzata, scacciò la gatta dal suo sedile elevato, vi si sedette lui, e cominciò a riempire di tabacco una grossa pipa. Evidentemente giudicava la mia presenza nel suo santuario una sfacciataggine troppo vergognosa per esser rilevata. In silenzio si portò la pipa alle labbra, incrociò le braccia e si diede a fumare sul serio. Lo lasciai indisturbato al suo godimento, e, quando fu all'ultima boccata di fumo si alzò con un profondo sospiro, indi si allontanò, solennemente come era venuto.
Non ho mai conosciuto una creatura tanto vile,» soggiunse la donna, «e tanto paurosa. Se per caso lascio la finestra un po' aperta la sera, comincia. Oh! è micidiale! un soffio d'aria notturna! E vuole il fuoco acceso sino a metà estate, e la pipa di Giuseppe è veleno.
Giuseppe sembrava starsene in beatitudine; solo, presso un gran fuoco, con la nera pipa in bocca e davanti a sè un boccale di birra e larghe fette tostate di torta d'avena.
«Giuseppe!» gridò in pari tempo una voce stizzosa dall'altra stanza. «Quante volte devo chiamarvi? Ora non c'è che poca brace. Giuseppe! venite subito!»
Vigorosi sbuffi di pipa mostrarono che lui non aveva orecchie per quell'appello.
Sotto il portico, una ragazza di nove o dieci anni stava seduta a far la calza, e una vecchia fumava la pipa in silenzio, sdraiata sui gradini.
Buttò via la pipa, e entrò rumorosamente in casa, seguita dalla ragazza, e io pure entrai; e vidi subito che quanto aveva detto era proprio vero. Per di più, la mia apparizione, non desiderata, aveva talmente scombussolato quella brava donna.
Togliti di qua,» ruggì egli con asprezza poco convinta.
«Dammi quella pipa,» disse lei, avanzando cautamente una mano e togliendogli la pipa di bocca.
Prima che lui facesse un tentativo per riprenderla, la pipa era rotta e dentro il fuoco. Hareton bestemmiò, e ne prese un'altra.
«Fermati!» ella gridò, «prima devi ascoltarmi, e io non posso parlarti se mi soffi quelle nuvole in faccia.»
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Aqualong
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Risposta #137 il:
13 Giugno 2006, 23:42:42 »
ROBERT McCAMMON
E' uno dei più autorevoli e apprezzati scrittori statunitensi. Nato nel 1952 a Birmingham, Alabama, ha scritto numerosi romanzi e racconti, tradotti e pubblicati in molti paesi ed ispirati alle storie che da piccolo gli raccontava suo nonno ed ai film della sua adolescenza.Della sua vita si sa poco, se non la sua inclinazione a scrivere durante la notte,con la pipa in bocca, momento nel quale lui stesso è più turbato e riesce a tradurre in testo le migliori sensazioni, da trasmettere ai suoi lettori.
IL VENTRE DEL LAGO
Tirava sempre boccate da una pipa di radica, come una locomotiva che brucia carbone su una salita particolarmente lunga e ripida, e portava calzoni dalla piega perfetta e camicie con le sue iniziali sul taschino.
Entrai nel suo ufficio. Tutti i mobili erano di legno scuro e lucido. L'aria odorava di tabacco dolce da pipa.
Mi è piaciuta la tua storia. Sissignore, meritava un premio. - Prese in mano una pipa di radica e aprì il barattolo del tabacco. - Sissignore. Tu sei il più giovane concorrente che abbia mai vinto una targa in quel concorso. - Osservai le sue dita mentre cominciò a riempire la pipa con piccole prese di tabacco.
Tirò fuori una scatoletta di fiammiferi dalla tasca, ne accese uno e lo avvicinò al tabacco nella pipa. Il fumo azzurrino sbocciò tutto intorno alla sua bocca.
- Vorrei tanto saper scrivere - disse il sindaco. Fece girare la lama. All'altra estremità c'era un pezzo di metallo smussato, che usò per pigiare il tabacco nella pipa. - Mi sono sempre piaciuti i romanzi gialli.
Voglio che mi aspetti qui un minuto - disse. - C'è una cosa che voglio farti vedere e che credo spiegherà tutto. - Attraversò la stanza, con la pipa stretta tra i denti, lasciando dietro di sé uno scarabocchio di fumo, e andò nella stanza dove si trovava la scrivania della signora Axford.
Un lampo scoccò sibilando. Nel bagliore che durò una frazione di secondo riuscii a vedere il sindaco, bianco come uno zombi, in piedi al centro della stanza, con il fumo della pipa tutto intorno a lui come un fantasma.
- Hmm... io credo... di sì, Vernon. Certo. Vieni su. - Il sindaco Swope fece un passo indietro, il fumo della pipa che gli saliva a spirale intorno alla testa.
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Aqualong
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Risposta #138 il:
15 Giugno 2006, 00:25:01 »
SHIRLEY JACKSON
Scrittrice americana ormai famosa,per sapere se c'entra qualcosa con le pipe dovremmo chiederlo a lei,tratta temi molto legati a patologie mentali,in questo caso appunto scatenate da una pipa,succede.
COSÌ DOLCE, COSÌ INNOCENTE
Terminata la pulizia della casa, ritornammo in cucina. Charles sedeva al tavolo, fumava la pipa e guardava Jonas, che gli restituiva lo sguardo. In cucina, il fumo di pipa mi dava fastidio, e non mi piaceva il modo in cui Jonas guardava Charles.
Che ne direste se lo riparassi, uno di questi giorni? Sarebbe un modo per sdebitarmi.»
«Sarebbe una vera gentilezza» disse Constance. «Quello scalino ci dà fastidio da tempo.»
«E devo andare in paese a comprare del tabacco da pipa. Se vi serve qualcosa, posso andare a prenderlo.»
C'era poi la sua valigia, appoggiata su una sedia, ma era chiusa; sulla credenza, dove c'erano sempre state le cose di nostro padre, c'erano alcuni oggetti appartenenti a Charles: vidi la sua pipa e un fazzoletto, tutte cose che lui aveva toccato e aveva usato per insudiciare la stanza di nostro padre.
Decisi perciò che la prossima cosa da fare era quella di chiedere a Charles di andarsene, prima che entrasse in tutta la casa e non lo si potesse più togliere.
Infatti, già la casa aveva preso la puzza della sua pipa e della sua lozione da barba e per tutto il giorno le stanze rintronavano dei suoi rumori; a volte trovavo la sua pipa sul tavolo della cucina; i suoi guanti, il suo sacchetto del tabacco e le sue eterne scatole di fiammiferi erano sparse in tutte le stanze.
Ogni pomeriggio scendeva in paese e ne riportava alcuni giornali che poi lasciava dappertutto, perfino in cucina dove Constance rischiava di vederli. Una favilla della sua pipa aveva lasciato una piccola bruciatura sul broccato di una sedia del salotto; Constance non se n'era ancora accorta e io avevo preferito non dirglielo, nella speranza che la casa, ferita da Charles, lo espellesse da sola.
Lo zio Julian si sforzò di rimanere sveglio e ascoltò la musica e sognò, e perfino Charles si guardò dal mettere i piedi sui mobili del salotto, anche se il fumo della sua pipa andò a insudiciare le decorazioni del soffitto e anche se lui continuò ad agitarsi tutto, mentre Constance suonava.
Charles si era accostato al caminetto per battere la pipa contro la griglia.
«Bella» disse, prendendo in mano una delle statuine di porcellana.
Constance smise di suonare, e lui si girò nella sua direzione.
Le lunghe tende erano sparite: forse erano nel cesto della biancheria sporca. Charles doveva essersi già sdraiato sul letto, perché sulle coperte c'era un'impronta, e la sua pipa, ancora accesa, era posata sul comodino accanto alla testiera.
Constance gli aveva perfino portato un piattino pulito per la pipa; a casa nostra non c'erano posacenere, e nel vedere che Charles continuava a cercare posti dove posare la pipa, lei aveva preso dalla dispensa un servizio di piattini spaiati e li aveva dati a lui.
Erano robusti, perché quello che si trovava adesso nella camera da letto non si era rotto, nonostante la pipa fosse accesa.
Per tutto il giorno avevo avuto l'impressione di poter trovare qualcosa in quella stanza; spinsi nel cestino il piatto e la pipa, che caddero senza far rumore sui giornali portati in casa da Charles.
Risi, perché era chiaro che Charles aveva paura di salire le scale per seguire il fumo; poi Constance disse: «Charles... la pipa...» e lui si avviò di corsa verso le scale.
Ma quando mi avviai verso le scale, vidi improvvisamente una lingua di fiamma scendere fino al tappeto dell'ingresso, e sentii il rumore di qualche grosso oggetto che si schiantava nella stanza di nostro padre. Capii che lassù non rimaneva più niente di Charles; perfino la sua pipa doveva essersi consumata.
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Risposta #139 il:
17 Giugno 2006, 16:07:00 »
Tanti e tanti anni fa,praticamente ieri,la fotografia non era ancora praticabile ,per immortalare i miti del momento,i rotocalchi e riviste di critica dell’epoca si affidavano alla matita dei caricaturisti.
Anche i miti da disegnare non erano così tanti,mancavano i campioni del calcio e le veline al seguito,per gli artisti del teatro e del cinema,doveva ancora nascere la “Dolce vita”.
Ma vi erano tantissime riviste specializzate in critica e sulle loro pagine ne uccideva più la penna e la matita che la spada,mi riferisco a testate tipo “Becco Giallo” “Fantasio” “La Sigaretta” poi “Il Travaso” e tantissimi che perdonatemi non ricordo.
Il lavoro di caricaturista è sempre stato un lavoro difficile,che richiedeva,richiede,arte creatività,genio,improvvisazione,fantasia,velocità di esecuzione.
Infatti oltre che fare un disegno riconoscibile del mito bersaglio,doveva venirne fuori il carattere,i difetti,e l’eventuale scorno del momento,tutto con 4 tratti di matita.
Uno dei più famosi artisti della matita dell’epoca è stato
Umberto Onorato
(1898-1967)
Per quasi cinquant'anni il più grande caricaturista della scena italiana. Le sue caricature - i suoi "pupazzi", come egli li definiva - apparivano regolarmente su giornali umoristici, riviste specializzate e quotidiani. Quando entrava in un teatro,con l’immancabile matita ,taccuino e la pipa fra i denti,le compagnie si mettevano in allarme,anzi cominciavano a preoccuparsi al primo aroma lontano di trinciato bruciato,la sua regola era “famoli brutti”
Umberto Onorato: Autoritratto, 1952
Aristide Baghetti, 1926
Paola Borboni
Marta Abba, 1936
Laura Carli e Memo Benassi in Spettri di Henrik Ibsen, 1939
Rina Morelli, Carlo Ninchi e Gino Cervi in Otello di William Shakespeare, 1940
Milly, 1933
Margherita Bagni, Arnoldo Foà , Giancarlo Sbragia, De Filippo Peppino ne La patente di Luigi Pirandello,
Gianni Santuccio
Laura Adani e Carlo D'Angelo in Caterina Ivanova
Anna Proclemer ne La ragazza di campagna
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Risposta #140 il:
18 Giugno 2006, 14:42:33 »
Subcomandante marcos
Non posso scrivere la sua biografia mi è stato caldamente sconsigliato
Morti scomodi
scritto a quattro mani, come le sonatine per pianoforte di Clementi, dall’esperto Paco Ignacio Taibo II insieme nientemeno che al Subcomandante Marcos. Sì. Proprio lui, il capo dell’Esercito Zapatista
Il Sup prese la pipa, l’accese e disse: “Allora ho chiesto a Tacho perché deve avere quella trave di traverso, se c’è un motivo scientifico o se si tratta solo di usi e costumi. Perché se è una questione scientifica vuol dire che c’è un motivo per mettere la trave lì, e lui mi ha risposto che non lo sa, che così gli hanno insegnato, altrimenti il tetto casca giù”.
Il comandante Tacho rideva a crepapelle. Anche il maggiore Moisés cominciò a ridere. Si vedeva che ne avevano discusso chissà quante altre volte.
Il Sup continuò a parlare mentre si arrampicava sull’impalcatura del tetto: “Io applicherò il metodo scientifico per verificare se la trave deve essere messa qui o no. Cioè userò il metodo per tentativi ed errori, che vuol dire: se ci provi e va male, la cosa non funziona, se ci provi e va bene, la cosa funziona. Allora, se io salgo su questa impalcatura e crolla tutto, vuol dire che così com’è non può reggere il peso del tetto”.
Il Sup a quel punto era seduto a cavalcioni sull’asse portante. Proprio come se fosse in sella al suo cavallo. Dondolandosi, mi chiese: “Allora, Elías, tu che dici? È scientifico o è per via degli usi e costumi?”
Io mi spostai da sotto l’impalcatura e riuscii a dire:
“ Per me dipende dagli usi…”.
Si sentì uno scricchiolio, l’asse si schiantò e il Sup precipitò giù, di schiena sul pavimento. Conclusi la frase: “… e costumi”.
Il comandante Tacho era piegato in due dalle risate. Il maggiore Moisés neanche riusciva a riprendere fiato. A quel punto arrivò di corsa la capitana Aurora che si fermò accanto al Sup e chiese, un po’ preoccupata: “ È caduto, compagno Subcomandante?”
“No, è una simulazione per vedere quanto tempo ci mettono a intervenire i servizi di pronto soccorso zapatista in caso di incidente” rispose il Sup senza rialzarsi. La compagna se ne andò ridendo pure lei.
Il Sup era ancora sdraiato sul pavimento, che cercava la pipa e l’accendino, quando arrivò una compagna miliziana: “Compagno Subcomandante Insorgente Marcos” disse scattando sull’attenti.
“Compagna Insurgenta Erika” rispose il Sup salutandola militarmente dal pavimento.
“Compagno Subcomandante, ho bisogno di parlarti” disse Erika stringendo nervosamente un fazzoletto tra le mani.
“Dica pure, compagna Erika” disse il Sup accomodandosi meglio sul pavimento, con un pezzo di asse rotta sotto la testa come cuscino e accendendosi la pipa.
“Non so cosa ne penserai tu però il compagno capitano Noè mi sta intorteggiando” disse Erika.
Al Sup andò di traverso il fumo della pipa e, tossendo chiese: “Ti sta chee…!?”
“Mi sta intorteggiando, cioè mi fa così con l’occhio” rispose Erika, facendo a sua volta l’occhiolino.
“Ah, ho capito, ma non si dice “intorteggiando”, semmai ti sta corteggiando o se preferisci, intortando” spiegò il Sup, riacquistando il respiro normale e riaccendendo la pipa.
“Vuoi che gli faccia un rimprovero?”
“No” disse Erika “l’ho chiesto solo per sapere se è permesso, perché se è permesso allora va bene. Se invece no, allora prima deve chiedere il permesso e poi mi intorteggia”.
“Si dice corteggia o intorta, non intorteggia” chiarì per la seconda volta il Sup.
“Sì, insomma, quella roba lì” disse Erika.
“Va bene, chiederò istruzioni e poi ti informo” disse il Sup fumando sul pavimento.
“È tutto, compagno Subcomandante Insorgente Marcos” disse Erika. Salutò e se ne andò.
Il Sup rimase lì a riflettere e a mordicchiare la pipa. Si sentì un altro scricchiolio, si tolse la pipa di bocca e sputò un pezzo di bocchino.
“Porcaputtana, mi sa che sono troppo vecchio per questo lavoro” disse infine il Sup, e non si sa se lo disse perché l’asse di legno si era rotta, o perché era caduto ed era rimasto sdraiato sul pavimento, o perché la pipa si spegneva di continuo, o perché Erika diceva intorteggiare anziché corteggiare, o perché aveva frantumato un altro bocchino a morsi, o per via dei suoi usi e costumi, cioè quelli del Sup.”
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Risposta #141 il:
24 Giugno 2006, 00:03:29 »
Caleb Carr
Theodore è sottoterra.
Scrivo queste parole e mi sembrano senza senso, così come l'immagine della sua bara calata in una fossa di terra sabbiosa vicino a Sagamore Hill, il luogo che più amò nella vita. Lì, oggi pomeriggio, nel freddo vento di gennaio che soffiava dal Long Island Sound, pensavo fra me che doveva essere uno scherzo, che di lì a poco avrebbe forzato il coperchio e ci avrebbe folgorati con il suo straordinario sorriso, assordandoci con un'acuta risata. Avrebbe senz'altro esclamato che c'era da fare - "Al lavoro!"
Difficile classificare i suoi libri,o inquadrarli in una categoria,forse sociologici-futuribili,comunque stà diventando molto famoso negli states,ha pubblicato anche molti saggi,fuma dei panettoni ignobili.
L'Alienista
Doveva avere circa venticinque anni. Indossava la cravatta e un gilet e stringeva in bocca una pipa che gli conferiva un'aria molto professorale, ma sulla testa aveva un copricapo enorme e piuttosto spaventoso fatto, mi parve, di penne d'aquila.
Wissler si riaccese la pipa, facendo attenzione a tenere il fiammifero lontano dalle piume. «I Sioux hanno una complessa serie di miti riguardanti la morte e il mondo degli spiriti.
Ed è possibile che abbia cercato di esasperarne la forma proprio perché il suo gesto sembrasse ancora più da indiano?»
Wissler soppesò l'idea e annuì, svuotando la pipa. «Sì, direi che potrebbe essere, dottor Kreizler.»
Dury posò la pala, si sedette su uno dei grossi sassi che aveva usato per reggere lo spargiconcime e tirò fuori una pipa e una borsa da tabacco. «In un certo senso sono stato più fortunato di Japheth, perché nei miei confronti mia madre dimostrò sempre la più assoluta indifferenza.
Tirò alcune boccate per avviare bene la pipa, poi scosse la testa e con rabbia esclamò: «Maledetta puttana! Sono parole dure, lo so, nei confronti di una madre, ma se l'aveste vista, signori! Sempre addosso, sempre addosso gli stava!
Con un moto di stizza improvviso e irrefrenabile, Adam Dury si mise a gridare parole incomprensibili e scagliò la pala contro la parete in fondo alla stalla. I polli starnazzarono spaventati, e Dury si tolse la pipa di bocca cercando di ricomporsi. Noi rimanemmo immobili, ma io dovevo avere gli occhi sbarrati per la sorpresa.
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Risposta #142 il:
24 Giugno 2006, 00:18:35 »
Carlos Ruiz Zafón
E' uno che fino a ieri ha scritto libri per ragazzi, e questo è un dato piuttosto significativo, perché di fantasia ne ha da vendere. Ha quarant'anni esatti, una carriera da sceneggiatore e collaboratore di "El Pais" e "La Vanguardia",
L'Ombra Del Vento
Gustavo Barceló, proprietario di una libreria cavernosa in calle Fernando, era il capo carismatico dei librai antiquari. Teneva sempre in bocca una pipa spenta che effondeva nell'aria aromi orientali e amava definirsi l'ultimo dei romantici. Barceló si vantava di essere un lontano discendente di lord Byron.
Il cameriere si diresse verso il bancone strascicando i piedi. «Come si fa, dico io, a trovare lavoro in questo paese se non mandano in pensione neanche i morti?» commentò il libraio. «Basta vedere il Cid. Non c'è niente da fare.»
Succhiò la pipa spenta mentre il suo sguardo d'aquila si posava sul libro che tenevo in mano. Nonostante quei modi da istrione, Barceló fiutava una buona preda come un lupo l'odore del sangue.
In quella casa nessuno fumava e la pipa di Barceló, sempre spenta, era solo un gingillo.
In effetti, nella sala da musica aleggiavano volute di fumo. Il coperchio del pianoforte era sollevato. Attraversai la stanza e aprii la porta della biblioteca.
Barceló e io entrammo nello studio, una caverna odorosa di tabacco da pipa il cui fumo aleggiava tra colonne di libri e pile di carte. Ogni tanto arrivavano fin lì gli accordi stonati del piano di Clara. Le lezioni del maestro Neri, a quanto pare, erano state poco proficue, almeno in campo musicale. Il libraio mi indicò una sedia e si mise a trafficare con la pipa.Barceló accese la pipa e si appoggiò allo schienale della poltrona con l'aria di un mefistofele soddisfatto. Dall'altra parte della casa, Clara maltrattava Debussy. Il libraio alzò gli occhi al cielo.
«Che fine ha fatto il maestro di musica?» chiesi.
«L'ho licenziato. Abuso di cattedra.»
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Risposta #143 il:
27 Giugno 2006, 22:39:42 »
Turgenev Ivan Sergeevic
(Orël 1818 - Bougival, Parigi 1883)
Romanziere, poeta, drammaturgo e grande interprete del realismo russo.Trovò presto la sua strada di letterato, vi contribuì molto l’amore per la cantante francese Pauline Garcìa Wardot (un amore che lo accompagnò per tutta la vita) e divenne, lui, l’occidentalista, uno dei più grandi cantori della terra russa.La sua riconosciuta validità di scrittore si ritrova nella capacità di descrizione degli ambienti, dei legami fra i personaggi centrali e l’atmosfera che li circonda.
Memorie Di Un Cacciatore
«Ca-me-ie-e, una pipa!», pronunciò nel colletto un signore alto, dai tratti del viso regolari e dal portamento altero; aveva tutta l'aria di essere un baro.
Il cameriere corse a prendere una pipa e quando tornò riferì a sua eccellenza che il vetturino Baklaga chiedeva di lui.
Vivevi presso il proprietario Gur Krupjanikov, della Grande Russia, insegnavi ai suoi figli Fofa e Zëzja, il russo, la geografia e la storia, sopportavi pazientemente gli scherzi pesanti dello stesso Gur, i complimenti volgari del maggiordomo, le birichinate continue dei perfidi ragazzini; con un amaro sorriso, ma senza un lamento, eseguivi le richieste bizzarre della signora annoiata; in compenso come ti ricreavi, come ti beavi la sera, dopo cena, quando, libero finalmente da tutti i doveri e da tutte le incombenze, ti sedevi davanti alla finestra, fumavi pensosamente la pipa oppure sfogliavi con avidità il numero mutilato e bisunto di una grossa rivista che ti aveva portato dalla città l'agrimensore, un poveraccio senza un tetto come te!
«No, fratello, grazie», disse lui, «mi è del tutto indifferente il posto in cui morirò. Infatti non arriverò all'inverno... A che scopo dare inutilmente fastidio alla gente? Sono abituato a questa casa. E vero che i signori qui...».
«Sono cattivi, vero?» dissi per lui.
«No, non sono cattivi! Sono gente di campagna. Ma io non posso affatto lamentarmi di loro. Ci sono i vicini: la figlia del proprietario Kasatkin è istruita, gentile, un'ottima ragazza... non si dà arie...».
Sorokoumov si mise di nuovo a tossire.
«Andrebbe tutto bene», continuò dopo aver ripreso fiato, «se solo mi lasciassero fumare la pipa... Ma io non morirò così, fumerò ancora la mia pipa!», soggiunse strizzando maliziosamente l'occhietto. «Grazie a Dio, ho vissuto abbastanza, ho conosciuto brave persone...»
«È così», mi interruppe, «possono mai esistere padroni come me? Ecco vedete», continuò, piegando la testa di lato e succhiando per benino la pipa, «guardandomi potreste pensare che io sia... e invece, vi devo confessare, ho ricevuto un'educazione mediocre, non avevamo mezzi. Mi scuserete, sono una persona sincera, e poi...».
Ma non finì il suo discorso e agitò la mano con aria sconsolata. Gli assicurai che si sbagliava, che ero molto contento del nostro incontro e cosi via, e poi osservai che per mandare avanti un'azienda non era necessaria un'istruzione superiore.
«Sono d'accordo», rispose lui, «sono d'accordo con voi. Tuttavia bisogna esserci portati! C'è chi strazia il contadino e non la paga! mentre io... Permettetemi di chiedervi siete di Piter o di Mosca?».
«Di Pietroburgo».
Emise dalle narici una lunga striscia di fumo.
«Io prenderò servizio a Mosca».
«In quale impiego?».
«Non lo so ancora, come viene viene.
Venne a trovarmi il commissario di polizia con l'intenzione di richiamare la mia attenzione su un ponte crollato che si trovava nelle mie proprietà e che non avevo assolutamente i mezzi per riparare. Mangiucchiando pezzetti di storione innaffiati da bicchierini di vodka, questo indulgente tutore dell'ordine mi rimprovero paternamente per la mia incuria, del resto capì la mia situazione, mi consigliò di ordinare ai contadini di gettarci sopra del letame, si accese la pipa e attaccò a parlare delle imminenti elezioni. In quel periodo ambiva al titolo onorifico di maresciallo del governatorato un certo Orbassanov, un vuoto cialtrone, per di più corrotto. Tra l'altro non brillava né per patrimonio né per grado di nobiltà. Espressi la mia opinione sul suo conto persino con una certa noncuranza; devo ammettere che guardavo il signor Orbassanov dall'alto in basso. L'ispettore mi guardò, mi dette una pacca sulla spalla e disse bonariamente: "Eh! Vasilij Vasil'eviè non tocca a noi giudicare persone come quelle, noi chi siamo per farlo?... Ognuno di noi deve saper stare al suo posto". "Ma di grazia", obiettai stizzito, "che differenza c'è fra me e il signor Orbassanov?". Il commissario si tolse la pipa di bocca, strabuzzò gli occhi e scoppiò in una risata. "Che burlone", disse fra le lacrime, "che scherzo mi avete giocato... ah, come avete detto?", e fino alla partenza non fece che prendermi in giro, dandomi ogni tanto delle gomitate al fianco e passando già al tu. Finalmente andò via. Era la goccia che fece traboccare il vaso. Attraversai alcune volte la stanza, mi fermai davanti allo specchio, guardai a lungo, a lungo il mio viso stravolto e, tirata fuori la lingua, oscillai la testa con una smorfia di amarezza. Mi cadde il velo dagli occhi; vidi chiaramente, sempre più chiaramente com'era fatto il mio viso nello specchio, com'ero vuoto, insignificante, inutile, nient'affatto originale».
Il giorno dopo il suo ritorno Pantelej Eremeiè convocò Perfiška e, in mancanza di un altro interlocutore, si mise a raccontargli, senza certo perdere il senso della dignità personale e con voce di basso, in che modo era riuscito a trovare Malek-Adel'. Mentre raccontava, Èertopchanov sedeva di fronte alla finestra e fumava una lunga pipa turca; Perfiška invece in piedi sulla soglia della porta, con le mani dietro le spalle e guardando rispettosamente la nuca del suo padrone, ascoltava come, dopo molti inutili tentativi e viaggi, Pantelej Eremeiè era capitato alla fiera di Romen, da solo, senza l'ebreo Lejba, il quale, per debolezza di carattere, non aveva retto ed era fuggito via da lui. Ebbene, il quinto giorno del suo soggiorno a Romen, stava per andarsene quando, facendo un ultimo giro tra le file di carri, all'improvviso scorse, legato in mezzo ad altri tre cavalli, Malek-Adel'! Riconobbe subito il suo cavallo e, non appena quello riconobbe lui, si mise a nitrire, a scalpitare e a raschiare con lo zoccolo per terra.
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Risposta #144 il:
30 Giugno 2006, 20:45:09 »
chi ricorda Spencer Tracy (o era Kirk Douglas?) ne "il padre della sposa"?
Altra indicazione: il regista Fritz Lang era accanito pipatore
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Risposta #145 il:
06 Luglio 2006, 23:48:17 »
Somerset Maugham
1874 -1965
"""A un pranzo di gala uno dovrebbe mangiare con saggezza ma non troppo bene, e parlare bene ma non troppo saggiamente.
È difficile essere allo stesso tempo uno scrittore e un gentiluomo.
Gli ideali hanno molti nomi, e la bellezza è uno di quelli.
Gli uomini hanno una concezione sbagliata del posto che occupano nella natura; e questo errore è ineliminabile.
I tasmaniani, presso i quali l'adulterio era sconosciuto, sono oggi una razza estinta.
Il grado di civiltà di una nazione è misurato dal suo disprezzo per le necessità dell'esistenza.
Il sentimentalismo è solo un sentimento che ti strofina contropelo.
L'amore è quello che succede ad un uomo e una donna che non si conoscono.
L'amore è solo uno sporco trucco ai nostri danni per raggiungere la perpetrazione della specie.
L'ipocrisia è un compito ventiquattr'ore su ventiquattro.
L'uomo elegante è quello di cui non noti mai il vestito.
La bellezza è estasi; è semplice come il desiderio del cibo. Non si può dire altro sostanzialmente, è come il profumo di una rosa: lo puoi solo odorare.
La gente mi ha sempre interessato, ma non mi è mai piaciuta.
La gente ti chiede una critica, ma in realtà vuole solo una lode.
La morte è una faccenda molto triste, molto noiosa, e il mio personale consiglio per voi è di non averci niente a che fare.
La perfezione ha un grave difetto: ha la tendenza ad essere noiosa.
La tolleranza è un altro nome per l'indifferenza.
La verginità è qualcosa di molto prezioso che tutte le ragazze vorrebbero perdere.
Nella vecchiaia ci si pente soprattutto dei peccati non commessi.
Non c'è egoismo così insopportabile quanto quello del cristiano riguardo alla sua anima.
Non ricordo più chi sia stato a raccomandare agli uomini, per il bene della loro anima, di fare due cose gradevoli... È un precetto che ho sempre seguito scrupolosamente, perché tutti i giorni mi sono alzato e sono andato a letto.
Ogni produzione di un artista potrebbe essere l'espressione di una avventura della sua anima.
Tutti possono dire la verità, ma solo pochi possono comporre epigrammi.
Una donna si sacrificherà sempre, se gliene date l'occasione. È la sua forma preferita di auto-indulgenza."""
La luna e i sei soldi
Capii che qualunque parola di condoglianza sarebbe stata
superflua e lo lasciai tranquillo. Temendo ch'egli potesse credere
spietato da parte mia se mi fossi messo a leggere, mi sedetti presso
la finestra a fumar la pipa, aspettando ch'egli fosse in vena di parlare.
Non era mai stato in
casa mia prima d'ora, ma non degnò di un'occhiata la stanza ch'io
avevo avuto tanta cura di rendere piacevole allo sguardo. C'era
una scatola di tabacco sulla tavola e Strickland, tratta di tasca
la pipa, cominciò a riempirla. Quindi si sedette sull'unica sedia
senza bracciuoli, equilibrandola sulle gambe posteriori.
"Giacché fate come se foste in casa vostra, perché non avete
scelto una poltrona?" chiesi, irritato.
"Vi preoccupate tanto dei miei comodi?"
"Oh, no davvero" ribattei, "ma soltanto dei miei. Sto a disagio
vedendo uno seduto così scomodo."
Ridacchiò, ma non si mosse. Si mise a fumare in silenzio, senza
più occuparsi di me, immerso, a quanto sembrava, in una profonda
meditazione.
"Stroeve m'ha detto che il vostro quadro di sua moglie è il più
bel lavoro che abbiate fatto."
Strickland si tolse la pipa di bocca e un sorriso gli illuminò gli occhi.
"E' stato un gran divertimento a farlo."
"Perché glielo avete regalato?"
"Lo avevo finito. Non avrei saputo che farmene."
"Sapete che Stroeve è stato lì lì per distruggerlo?"
"Il quadro aveva ancora parecchi difetti."
Tacque per qualche istante, quindi si tolse nuovamente la pipa di
bocca e sogghignò
Ciò di cui soffrivano maggiormente era
la mancanza di tabacco, e il capitano Nichols, per parte sua, non
poteva farne senza; e s'era dato alla caccia di mozziconi di
sigari e sigarette, gettati via dai passanti la sera prima sulla Cannebière.
"Ho assaggiato i peggiori miscugli che si possano immaginare, nella mia pipa"
disse, con una filosofica alzata di spalle prendendosi due sigari dalla scatola che gli offrivo, mettendosene uno in bocca e l'altro in tasca.
IL VELO DIPINTO
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1937.
Traduzione di Elio Vittorini.
Padre e figlia si erano ritirati nello studio.
Era l'unica stanza in cui si trovasse acceso il fuoco.
E meccanicamente egli tirò giù dalla mensola del caminetto la sua pipa, si mise a riempirla.
Ma gettata poi una dubbiosa occhiata alla figlia la posò.
Non volevi fumare? fece lei.
Tua madre non gradiva troppo l'odore della pipa dopo il pranzo, e dal tempo della guerra in poi non ho più fumato sigari.
La risposta suonò piuttosto penosa a Kitty.
Le sembrava terribile che un uomo di sessant'anni dovesse aver paura di fumare quello che voleva nel proprio studio.
Io lo trovo buono, l'odore della pipa disse, con un sorriso.
Una espressione di leggero sollievo passò sulla faccia del padre che riprese la pipa e l'accese.
Sedevano l'uno di fronte all'altra, ai due lati del fuoco.
Egli si mostrava, come al suo solito, gentile e sottomesso, ma grazie alla triste perspicacia che aveva acquistata nella sofferenza, essa gli leggeva nel cuore e vedeva che quel cuore, senza volerlo, senza confessarselo, si ritraeva, rifuggiva da lei.
Come la pipa non tirava egli si alzò a cercar qualcosa per frugarla.
Ma forse aveva solo bisogno di nascondere in qualche modo il suo nervosismo.
Tua madre desiderava che tu rimanessi qui sinché ti fosse nato il bambino e stava appunto rimettendo in ordine la tua vecchia camera.
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Risposta #146 il:
12 Luglio 2006, 23:45:01 »
S.P. Somtow
Oltre ad essere uno scrittore è direttore artistico dell’ Opera di Bangkok
e direttore dell’Orchestra Filarmonica del Siam,non saprei quale dei ruoli sia un hobby ,naturalmente fuma la pipa.
Ha vissuto la sua infanzia negli “states”
La Danza Della Luna
L'uomo danzava, immerso nella luce dell'alba, i piedi nudi che battevano a terra con una forza che non teneva conto dei suoi anni. Dalle sue labbra usciva una canzone dei lupi.
Ben presto l'avrebbero invitato nel tipì di uno dei guerrieri, e le donne e i bambini sarebbero stati esclusi dal rituale della pipa. Piccola Donna Alce voleva ascoltare tutto ciò che poteva.
L'uomo danzava, e lei si avvicinò. Ora riusciva ad afferrare le sue parole, frammiste al ritmico eya-eya del ritornello: "Un lupo è nato. Io mi rallegro."
Ma per quale motivo era venuto al loro villaggio? I bambini lo osservavano assorti, immobili. Piccola Donna Alce non domandò loro nulla, perché sembravano essere completamente in un altro mondo.
Eccolo lì ora, che passava la pipa pronunciando le parole rituali na e ku. La tenda era piena di fumo, un fumo che puzzava così tanto che ti faceva venir voglia di vomitare, senonché vomitare era un'imperdonabile dimostrazione di scortesia, in una riunione importante come quella.
L'odore del tabacco si fece più forte. D'un tratto, Natasha vide che proveniva da una pipa Indiana, un lungo oggetto di pietra decorato da penne che veniva portato nella stanza su un vassoio. Il servitore depose la pipa. Dietro di lui c'era un Indiano.
Ovviamente, non sarebbe stato un bene avere una femmina presente durante la cerimonia della pipa.
"Ho portato il tabacco, e una pipa", disse Ishnazuyai. "Che regni la pace tra di noi
Con costernazione dei servitori, si accovacciò sul pavimento. L'insolita sofficità del tappeto lo turbò, ma Ishnazuyai cercò di adattarsi a quello strano ambiente senza lamentarsi. Accese la pipa e fumò, voltandosi ai quattro angoli dell'universo. Quindi la sollevò verso il letto, dicendo: "Possa il fumo che, unito al nostro respiro, si leva ai confini del mondo, essere gradito a Wakatanka."
E offrì la pipa, aspettando.
Il Conte sollevò debolmente la mano per prendere la pipa, sembrando trarre conforto dalle parole di Ishnazuyai.
Ma il Conte si limitò a incurvare le labbra nel fantasma di un sorriso, poi prese la pipa della pace, fece una rapida boccata e la porse nuovamente al vecchio.
E disse, con un filo di voce: "Ci sarà pace tra noi..."
"Washté", disse l'Indiano cortesemente. Si fidava, si fidava così tanto! Tirò fuori qualcosa dalla veste... Una di quelle pipe della pace! pensò Claggart... una pipa, ornata di penne d'aquila e tutta sghemba, e gliela offrì. Claggart accettò, sapendo che il Pellerossa non si sarebbe mai nemmeno sognato che lui potesse tradirlo dopo aver fumato insieme a lui.
Si era appena seduto e aveva appena finito di riempirsi a pipa con una manciata di Orcico's Brand, il tabacco locale, quando udì un altro lamento dal piano di sopra: "Valentin Nikolaievich!" Depose la pipa e andò di sopra dal Conte.
Una pipa veniva passata di mano in mano, e ogni persona che la offriva pronunciava la parola "Na", e chi la ricevava rispondeva: "Ku."
Il fumo della pipa era la fonte della nebbia. Il suo odore dolciastro si mischiava all'odore dell'erba fresca che spuntava dal terreno, all'odore delle foglie marcescenti dell'autunno, all'odore del caldo vento estivo delle pianure, all'odore delle tempeste cariche di neve dell'inverno... tutto ciò sembrava scaturire dal fornello della pipa sacra. E il tamburo solitario batteva senza sosta.
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Risposta #147 il:
14 Luglio 2006, 00:12:10 »
appena ho un po' di calma inauguro una serie di chicche di W.S. Maugham.
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Risposta #148 il:
15 Luglio 2006, 22:34:46 »
Emile Zola
1840 -1902
Compose una serie di romanzi incentrati sulla realtà sociale del tempo, i cui personaggi ed ambienti sono osservati e descritti con attenzione spietata.
L'Assommoir
Due operai, a passo veloce, camminavano fianco a fianco a grandi falcate, parlando ad alta voce, senza guardarsi; altri, soli, in cappotto e berretto, camminavano sul bordo del marciapiede, a testa bassa; altri ancora procedevano a gruppi di cinque o sei, si seguivano senza scambiarsi neanche una parola, con le mani in tasca, gli occhi pallidi. Alcuni stringevano in bocca una pipa spenta.
A tratti, un operaio si fermava di colpo, riaccendeva la pipa, mentre attorno a lui gli altri continuavano a camminare, senza un sorriso, senza che una parola venisse detta a un compagno, le guance terree, il volto proteso verso Parigi che, uno a uno, li divorava.
Alla fine, quando vennero chiamati, mancò poco che non si potessero sposare: Bibi-la-Grillade era sparito. Boche lo ritrovò da basso, sulla piazza, che fumava la pipa. Erano proprio dei gran bastardi, in quel buco di sopra, a infischiarsene della gente, solo perché non aveva dei guanti gialli da metter loro sotto il naso! E tutte le formalità, la lettura del Codice, le domande che venivano poste, la firma di tutte quelle carte, vennero liquidate così in fretta che si guardarono l'un l'altro, sentendosi come defraudati d'una buona metà della cerimonia.
Il marito non si ubriacava, portava a casa le sue quindicine, si faceva una pipata alla finestra prima di mettersi a dormire, così, giusto per prendere una boccata d'aria. La loro gentilezza era sulla bocca di tutti. E poiché guadagnavano insieme quasi nove franchi al giorno, si calcolava che dovevano mettere da parte un piccolo gruzzoletto.
La sera, Coupeau scendeva adesso nella via, a fumare la pipa sulla soglia di casa. La strada era senza marciapiede e la carreggiata, sfondata, andava in salita. In alto, dalla parte di rue de la Goutte-d'Or, si vedevano delle botteghe tetre e dai vetri sporchi, dei calzolai, dei bottai, una drogheria poco invitante, un vinaiolo sull'orlo del fallimento e le cui imposte, sbarrate da settimane, erano ormai coperte di manifesti.
E finalmente se ne andarono. Coupeau avvicinò la sedia alla sponda del letto e finì la sua pipa, stringendo nella sua la mano della moglie. Fumava lentamente, concedendosi qualche frase fra uno sbuffo e l'altro, visibilmente commosso.
. Che bella agilità, che magnifica scioltezza di movimenti! Si sentiva perfettamente a proprio agio, come chi non si cura del pericolo. A cose del genere aveva ormai fatto il callo! Era piuttosto la strada ad avere paura di lui. Continuava a stringere fra le labbra la pipa, e di quando in quando si girava per scaracchiare tranquillamente nella via.
C'era un angolo, nella bottega, verso il fondo, che amava particolarmente: gli piaceva restar lì seduto a fumare, per ore e ore, immobile, stringendo fra le labbra la sua corta pipa. Certe sere, dopo aver cenato, una volta ogni dieci giorni, si faceva coraggio e si metteva a suo agio, ma senza perdersi in chiacchiere, ed anzi fin troppo silenzioso, con gli occhi fissi su Gervaise, limitandosi a togliersi di quando in quando la pipa di bocca per sorriderle ad ogni cosa che diceva. Quando le operaie si trattenevano a lavorare, ogni sabato, fino a sera, sembrava perdere la cognizione del tempo, si divertiva come se fosse stato a teatro.
Gli uomini si accendevano la pipa; e poiché le bottiglie di vino sigillato erano ormai vuote, tornarono ai litri: bevevano il vino fumando.
«Questa roba fa sempre bene quando la si manda giù», mormorò Bibi-la-Grillade.
Ma quell'animale di Mes-Bottes ne stava raccontando una davvero comica. Il venerdì era così ubriaco che i suoi compagni gli avevano murato la pipa in bocca con una manciata di gesso. Un altro ne sarebbe crepato; lui alzava le spalle, si pavoneggiava.
Erano ormai completamente ubriachi. Mes-Bottes sbavava, la pipa fra i denti, l'espressione grave e
ottusa d'un bue addormentato.
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Risposta #149 il:
16 Luglio 2006, 16:25:12 »
Lewis Carroll
(Charles Lutwidge) 1832-1898
Di lui è stato detto di tutto,che subì abusi sessuali al college,balbuziente,epilettico,
pedofilo,massone,grande matematico,genio brillante,una fantasia creativa.
Bravissimo fotografo ,di fanciulli poco vestiti.
Nessuno ha mai detto che fumava la pipa,quindi non era considerato ne un difetto ,
ne un pregio,ma solo un piacere molto comune all'epoca.
Alice Nel Paese Delle Meraviglie
Si alzò sulle punte dei piedi, e sbirciò oltre il bordo, e subito incrociò lo sguardo di un grande bruco azzurro, che se ne stava seduto sopra il fungo, con le braccia conserte, fumando immobile un lungo narghilè, senza minimamente curarsi né di lei né di qualsiasi altra cosa.
Il Bruco e Alice si guardarono negli occhi per un po', in silenzio: infine il Bruco si tolse di bocca il narghilè e le rivolse la parola con voce languida e sonnolenta.
«E tu chi sei?» domandò il Bruco.
Non era promettente come apertura di dialogo. Intimidita, Alice rispose: «Io - a questo punto quasi non lo so più, signore - o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo di essere stata cambiata più di una volta».
«Che vuoi dire con questo?» domandò il Bruco, severamente. «Spiegati!»
«Vede, signore, non si può spiegare ciò che non si conosce» rispose Alice, «e io non mi conosco più, capisce?»
«Non capisco» replicò il Bruco.
«Mi dispiace, non glielo so dire meglio di così» disse Alice, «perché nemmeno io ci capisco niente, tanto per cominciare, e inoltre, a cambiare aspetto tante volte in un giorno, si finisce per avere una gran confusione in testa!»
«Nessuna confusione» obiettò il Bruco.
«Be', forse lei non ha ancora provato» disse Alice, «ma quando dovrà trasformarsi in crisalide - lo sa che le succederà un giorno o l'altro - e poi in una farfalla, allora vedrà che anche lei si sentirà un po' stranito».
«Neanche per idea» rispose il Bruco.
«Be', forse lei avrà delle sensazioni diverse» disse Alice, «tutto quello che so, è che io mi sentirei stranita».
«Tu!» l'apostrofò il Bruco con disprezzo. «E tu chi sei?»
Il che li riportò di bel nuovo all'inizio della loro conversazione. Alice era un po' irritata per le risposte brevissime che le dava il Bruco; si drizzò sulla schiena e disse con un tono molto grave: «Credo che spetti a lei dirmi per primo chi è».
«Perché?» replicò il Bruco.
Era un'altra domanda imbarazzante: e siccome non le veniva in mente una ragione valida e il Bruco era decisamente di cattivo umore, Alice si voltò per andarsene.
«Stai qui!» la richiamò il Bruco. «Ho qualcosa di importante da dirti!»
Questo lasciava presagire qualcosa di buono. Alice si girò di nuovo e tornò sui suoi passi.
«Tieni i nervi a posto» sentenziò il Bruco.
«Tutto qui?» domandò Alice, cercando di soffocare la stizza.
«No» rispose il Bruco.
Alice, che non aveva premura, pensò che tanto valeva aspettare: poteva ben darsi che il Bruco alla fine dicesse qualcosa che valeva la pena di ascoltare. Il Bruco espirò varie boccate di fumo senza parlare per qualche minuto, e infine liberò le braccia che teneva conserte, si tolse di bocca il narghilè e disse: «Allora, tu ritieni di essere cambiata, eh?»
«Temo di sì, signore» rispose Alice. «Non ricordo più le cose che sapevo - e non riesco a mantenere la stessa statura per più di dieci minuti!»
«Quali cose non ricordi più?» domandò il Bruco.
«Be', ho provato a ripetere T'amo, o pio bove, ma mi è venuta tutta diversa!» rispose Alice con una voce carica di malinconia.
«Recitami Sei vecchio, pa' Guglielmo» le ordinò il Bruco.
Alice mise le braccia conserte, e cominciò:
«Sei vecchio, pa' Guglielmo» - gli disse il giovanotto,
«Ma coi capelli bianchi - vuoi fare il bel maschiotto.
A capo in giù per terra - ti vedo ritto stare;
È questo quel che a un vecchio - è conveniente fare?»
«Quand'ero giovanotto» - rispose il vecchio al figlio,
«temevo nel cervello - nascesse uno scompiglio.
Ma ormai che so per certo - che in zucca non ho niente,
Lo faccio e lo rifaccio - sì, spudoratamente».
«Come ho già detto prima - tu sei di certo vecchio»,
il giovane gli disse - «e ingrassato parecchio.
Eppure t'arrovesci - in un salto mortale.
Or, mi domando se - c'è una ragione. E quale?»
«Quand'ero giovanotto» - il saggio gli rispose,
scuotendo un poco il capo - «con abbondante dose
mi ungevo dell'unguento - che i muscoli fa sciolti.
Due lire tre vasetti - te li vendo, mi ascolti?»
«Vecchio lo sei, papà - e fiacche hai le mascelle,
Dovresti masticare - sol calde minestrelle.
Pur ti mangiasti un'oca - con l'ossa e il becco intero».
Soggiunse il giovanotto - «Or spiegami il mistero».
«Quand'ero giovanotto - studiai l'avvocatura;
Mia moglie mi faceva - la contropartitura;
Ciò dette alle ganasce - tal forza muscolare,
Che ora potrei anche i sassi - tranquillo divorare».
«Sei vecchio, pa' Guglielmo» - riprese il ragazzino,
«cogli occhi, come un tempo - non vedi più benino.
Ma in punta del tuo naso - tieni ritta un'anguilla.
Mi dici chi ti dà - del genio la scintilla?»
«Risposi a tre domande. - Mi par che basta, e avanza!
E trovo disdicevole - questa tua arroganza!
Credi che mi divertano - le sciocche tue questioni?
Via, smetti, o per le scale - ti mando ruzzoloni!»
«Non l'hai detta bene» osservò il Bruco.
«Oh, no davvero! Credo» disse Alice, timidamente, «d'aver sbagliato qualche parola.»
«Era tutta sbagliata, da cima a fondo» replicò il Bruco con tono deciso; e ci fu un silenzio che durò qualche minuto.
Fu il Bruco a parlare per primo.
«Di che statura vorresti essere?» le domandò.
«Oh, non ci tengo molto alla statura» rispose prontamente Alice; «è solo che non fa piacere continuare a cambiare così spesso, capisce?»
«Io non capisco proprio» replicò il Bruco.
Alice tacque: mai era stata tanto contraddetta in vita sua, e sentiva che le stavano per saltare i nervi.
«Ti va bene come sei adesso?» chiese il Bruco.
«Be', preferirei essere un pochino più grande, signore, se non le spiace» rispose Alice. «Sette centimetri è davvero una miseria, come statura.»
«È una statura bellissima!» replicò il Bruco, stizzito, ergendosi dritto in tutta la sua lunghezza mentre parlava (era alto esattamente sette centimetri).
«Ma io non ci sono abituata!» si lamentò la povera Alice con tono piagnucoloso. Intanto, pensava fra sé: «Ma come sono suscettibili, queste creature!»
«Ti ci abituerai col tempo» disse il Bruco, e, portatosi il narghilè alla bocca, riprese a fumare.
Questa volta Alice aspettò pazientemente che l'altro decidesse di rimettersi a parlare. Nel giro di un paio di minuti, il Bruco si tolse di bocca il narghilè, tirò qualche sbadiglio, e si dette una scrollatina. Poi scivolò giù dal fungo e si allontanò strisciando in mezzo all'erba, dicendo solo: «Un lato ti farà diventare più grande, l'altro più piccola».
«Un lato di che cosa? L'altro lato di che cosa?» pensò Alice fra sé e sé.
«Del fungo» rispose il Bruco, proprio come se lei avesse fatto la domanda a voce alta, e in un attimo scomparve alla vista.
Alice contemplò il fungo pensosamente per un minuto, cercando di indovinare quali fossero i due lati del fungo, e, siccome era perfettamente rotondo, il problema non era di facile soluzione. Comunque, alla fine allargò le braccia e tendendole il più possibile, abbracciò il fungo e ne staccò dal bordo un pezzettino per parte con ciascuna mano.
«E adesso, quale pezzetto per quale direzione?» si chiese, e rosicchiò un angolino del pezzetto che teneva nella destra per provarne l'effetto. Fu questione di un attimo, e sentì un colpo violento sotto il mento: era andata a sbattere contro il proprio piede!
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