Ritrovo Toscano della Pipa
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Topic: Autori con la pipa in bocca (Letto 364668 volte)
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Autori con la pipa in bocca
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Risposta #345 il:
03 Gennaio 2009, 12:46:12 »
ROSS KING
Ricercatore,autore di molti romanzi storici ricostruiti con cura meticolosa ,fra i molti best "Il Papa e il suo pittore.
Dai suoi romanzi sono stati tratti alcuni films di grande successo.
Ex Libris
"Trovava gli acquirenti per le raccolte d'arte. Duchi e principi che desideravano rifornire biblioteche e saloni. Aveva entrature in tutte le corti della cristianità. Mio padre trattò con lui in diverse occasioni quando faceva acquisti per l'imperatore Rodolfo."
"Intende dire che Sir Ambrose conosceva Monboddo?"
"Sì. Da molti anni. Conduceva i negoziati con agenti come mio padre e in cambio intascava una forte commissione." Il suo sguardo cadde sull'Agrippa che avevo in mano. "Credo che negoziò con mio padre anche per l'acquisto della collezione von Steiner a Vienna. Ma sul lavoro di Monboddo circolavano molte voci," aggiunse. "Si diceva che avesse altri clienti, oltre ai realisti che non erano in grado di pagare le tasse imposte sulle loro proprietà."
Fece una pausa per estrarre dalle pieghe della sottana un oggetto che, data la scarsa luce, impiegai qualche momento a riconoscere per una pipa, che procedette a riempire, con mano esperta, di tabacco. Mi aspettavo che me la porgesse, ma ebbi la sorpresa di vedere che, con mano altrettanto esperta, se la sistemava tra i molari. Un alone aranciato le rischiarò il viso quando accese un fiammifero e diede vita al contenuto del fornello.
"Mi perdoni," disse, assaporando il fumo e agitando l'accenditoio per smorzarlo. "Tabacco della Virginia. La foglia conciata della Nicotiana trigonophylla, una specie particolarmente saporita. Sir Walter Raleigh sostiene che abbia effetti dannosi, ma io ho sempre trovato eccellente per la digestione una fumata postprandiale, soprattutto in una pipa di gesso. Mio padre un tempo possedeva un calumet," continuò, mentre una nuvola di fumo si spandeva nello spazio tra noi. "Aveva il fornello di argilla e il cannello era fatto con una canna colta sulla costa della baia di Chesapeake. Gliel'aveva regalata un capo nanticoke in Virginia."
"In Virginia?" Sir Ambrose Plessington, questo Proteo, questo decagono con tutte le sue misteriose sfaccettature, assumeva ancora un'altra sembianza. Ma ero lì per altre faccende. "Mi stava dicendo che Monboddo..."
"Sì, circolavano storie, direi quasi leggende, su Henry Monboddo."
"Che genere di leggende?"
"Be'... da dove cominciamo?" Tenne il fornello della pipa annidato nel palmo della mano e per qualche secondo studiò il baldacchino sopra la sua testa come a trarne ispirazione. "Intanto," riprese, "si diceva che avesse negoziato l'acquisto della Collezione di Mantova nel 1627. A quei tempi era l'agente artistico di re Carlo. Fin qui la cosa era di dominio pubblico. Era anche l'agente del duca di Buckingham. Il primo Buckingham, dico Sir George Villiers, il primo Lord dell'Ammiragliato. Monboddo rastrellò le corti e gli studi di tutta Europa per conto dei due, riportando in Inghilterra ogni sorta di oggetti. Libri, quadri, statue... qualunque cosa potesse incontrare il gusto di questi due grandi conoscitori d'arte." La pipa di gesso oscillò e mandò un riverbero mentre lei tirava un'altra lunga boccata di fumo. "Ha sentito parlare della Collezione di Mantova?"
Ai suoi tempi il cardinale Baronius fu una delle massime autorità sugli scritti di Ermete Trismegisto.
Prese la penna per confutare l'opera del teologo ugonotto DuplessisMornay. Nel 1581 DuplessisMornay aveva pubblicato un trattato ermetico intitolato De la vérité de la réligion chrétienne, dedicato al paladino del protestantesimo d'Europa, Enrico di Navarra, di cui in seguito divenne consigliere.
L'opera fu tradotta in inglese da Sir Philip Sydney." "Altro paladino del protestantesimo,"
mormorai, ricordando che da Sidney grande cortigiano elisabettiano morto in battaglia contro gli spagnoli
era venuto il nome della nave costruita per Sir Ambrose, secondo la patente, nel 1616. Chiusi gli occhi cercando di riflettere. Il nome di Baronius mi era familiare, ma non a causa di DuplessisMornay o del Corpus hermeticum.
No: un cardinale di questo nome era stato l'uomo responsabile del trasferimento del furto della Bibliotheca Palatina nel 1623, dopo che gli eserciti cattolici ebbero invaso il Palatinato. Fu uno degli scandali più clamorosi della Guerra dei trent'anni. Centonovantasei casse di libri della più grande biblioteca di Germania,
il centro della cultura protestante europea, varcarono le Alpi sui carri tirati dai muli: ogni mulo portava al collo una targa d'argento con la stessa iscrizione: fero bibliothecam Principis Palatini. I libri e i manoscritti erano spariti, dal primo all'ultimo, nella Biblioteca vaticana. O no? Aprii gli occhi.
Il vino e il fumo che aleggiava tra noi nella stanza mi offuscavano il cervello,
ma ora ricordavo anche l'affermazione di Alethea che Sir Ambrose aveva lavorato a Heidelberg come agente dell'Elettore Palatino. Un'idea cominciava lentamente ad affiorare.
"I libri di Pontifex Hall vengono dalla Bibliotheca Palatina. È questo che mi sta dicendo?
Il cardinale Baronius in realtà non li rubò tutti. Sir Ambrose li salvò da.
"No, no, no..." Fece compiere alla pipa un arco nell'aria. "Non dalla Palatina."
Attesi che proseguisse, ma il tabacco della Virginia sembrava averle indotto uno stato di voluttuoso abbandono.
Si sporse dal bordo del letto e batté il fornello della pipa sulla pietra del focolare.
Mi schiarii la gola e imboccai un'altra via.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Autori con la pipa in bocca
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Risposta #346 il:
04 Gennaio 2009, 18:35:54 »
Strane mixture ,ma dopo l'erba pipa e la terra di mezzo siamo abituati un po' a tutto...
CHRISTOPHER PAOLINI
BRISINGR
Da una saccoccia legata al fianco, Brom trasse la sua pipa, la riempì d'erba di cardo e l'accese, mormorando piano: "Brisingr." Aspirò diverse volte per far prendere la fiamma prima di ricominciare a parlare. "Se mi stai vedendo, Eragon, spero che tu sia felice e in salute, e che Galbatorix sia morto. Anche se penso che sia poco probabile; dopotutto sei un Cavaliere dei Draghi e un Cavaliere dei Draghi non potrà mai riposare finché ci sarà ingiustizia sulla terra."
Stringendo le labbra attorno al cannello della pipa, Brom trasse qualche boccata d'erba di cardo, soffiando da un lato il fumo bianco. L'odore pungente arrivò forte nelle narici di Saphira.
"Ho la mia parte di rimpianti, ma tu non sei uno di essi, Eragon. Potrai anche fare delle sciocchezze ogni tanto, come lasciar scappare quei maledetti Urgali, ma non sei più idiota di me alla tua età." Annuì. "Anzi, sei molto meno idiota, direi. Sono orgoglioso di averti come figlio. Più orgoglioso di quanto tu possa immaginare. Non avrei mai pensato che saresti diventato un Cavaliere come me, né desideravo questo futuro per te, ma vederti con Saphira, ah, mi fa venir voglia di cantare al sole come un gallo."
Brom trasse un'altra boccata.
ROBERT JORDAN
IL CUORE DELL'INVERNO
Il vento spirava da nord col sole non ancora del tutto sopra l'orizzonte, cosa che secondo la gente del luogo indicava sempre pioggia, e un cielo pieno di nubi di certo minacciava mentre procedeva attraverso la Mol Hara. I particolari frequentatori de La donna errante erano cambiati: non c'erano sul'dam o damane stavolta, ma il posto era ancora pieno di Seanchan e fumo di pipa, anche se i musicisti non erano ancora comparsi. Molte delle persone nella stanza stavano facendo colazione, talvolta osservavano solo le scodelle con aria incerta, come se non fossero sicuri di quello che era stato dato loro da mangiare lui si sentiva allo stesso modo con lo strano porridge che gli abitanti di Ebou Dar consumavano la mattina ma non tutti erano intenti a mangiare. Tre donne e un uomo in quelle lunghe vesti ricamate stavano giocando a carte e fumavano la pipa a un tavolo, tutti con le teste rasate alla maniera dei nobili minori. Le monete d'oro sul loro tavolo catturarono l'attenzione di Mat per un momento: stavano giocando delle somme alte. Il cumulo più grosso di monete si trovava di fronte a una donna minuta dai capelli neri, scura quanto Anath, che sorrideva con aria rapace ai suoi avversari attorno al lunghissimo cannello di una pipa decorato d'argento.
PHILIP K. DICK
I GIOCATORI DI TITANO
«E Pete Garden ha detto veramente di aver pagato il dottore? Probabilmente ha firmato una parcella per quella cifra.»
«Pete ha detto di averlo pagato, e di averlo pagato questa notte. E ha detto che ne valeva la pena. Pete che aveva ingerito delle droghe ed era esaltato dalla gravidanza di Carol, può darsi che non abbia capito ciò che ha visto in realtà; può darsi che non abbia capito se chi gli stava di fronte era veramente Philipson o no. Ed è possibile che tutto questo episodio sia frutto di un'allucinazione. Può darsi persino che non sia mai andato a Pocatello.» Prese la pipa e la borsa del tabacco. «Questo episodio non mi suona giusto. Può darsi che Pete si sia immaginato tutto; e questa sarebbe la radice dell'intero problema.»
«Che cosa metti nella pipa?» chiese Sharp. «Il solito vecchio tabacco chiaro?»
«No! Questa è una mistura chiamata Can che Abbaia. Non morde.»
Sharp sogghignò.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Autori con la pipa in bocca
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Risposta #347 il:
04 Gennaio 2009, 19:31:39 »
Ancora strane pipe e strani mondi.....
GORDON R. DICKSON
LA MISSIONE DEL TENENTE TRUANT
Era di una certa età, con sopracciglia e capelli folti. Teneva una pipa in bocca e indossava la camicia senza cravatta, aperta sul collo. Stranamente, portava sulle spalline il cordoncino bianco e nero dei RangerCommandos, i Servizi di Combattimento che operavano dietro le linee del nemico. Parlava con voce rauca e sembrava avere un tono cronico di esasperazione.
Si tolse la pipa di bocca e indicò il gatto accucciato nell'angolo.
«È un cheetah» disse. «Si chiama Limpari. Mi fa da caneguida.»
Cal fissò l'animale senza pensare agli occhi del generale perché si era accorto che vedeva benissimo.
«Oh, si tratta soltanto di una cecità periodica.» Sollevò la pipa verso la massa dei capelli. «Ho la calotta cranica d'argento. C'è argento da quasi tutte le parti. Cosa mi dite di voi, tenente...» guardò lo schermo che aveva sulla scrivania «...Truant. Cal. Che tipo d'inabilità avete, Cal?»
«Signore» disse Cal. Poi s'interruppe e prese fiato. «Non ho voluto fare l'esame psichiatrico.»
«Non ve lo aspettavate, generale?»
«Non è questo» disse il generale facendo scattare l'accendino, per dare fuoco al tabacco della pipa. «Per il lavoro che ho in mente mi siete necessario, ma nello stesso tempo ho paura di voi.»
Arthur C. Clarke
All’insegna del Cervo Bianco
Fu allora che Harry Purvis si fece sentire: - Il modo c’è, sapete?
La voce mi era sconosciuta e mi girai a guardare. Vidi un ometto piccolo e lindo, sulla quarantina. Stava fumando una di quelle pipe tedesche intagliate che mi ricordano sempre la foresta nera e gli orologi a cucù. Era l’unico segno di distinzione: altrimenti avrebbe potuto essere un piccolo funzionario del Ministero del Tesoro, vestito di tutto punto per andare a una riunione del Comitato per il Bilancio.
- Scusate, come avete detto? - dissi io.
L’altro non mi diede retta e armeggiò con delicatezza intorno alla sua pipa. Proprio allora osservai che non si trattava, come mi era parso a prima vista, di un pezzo di legno lavorato. Era qualcosa di molto più complicato, un aggeggio di metallo e plastica, una specie di impianto in miniatura di ingegneria chimica. C’erano persino un paio di piccole valvole.
Santo Cielo, ma era proprio un impianto di ingegneria chimica.
Non che io sia uno che si stupisce facilmente, ma questa volta non tentai davvero di nascondere la mia sorpresa. L’altro mi rispose con un sorriso di superiorità.
- Tutto per amor della scienza. È un ritrovato del Laboratorio Biochimico: vogliono scoprire cosa contiene esattamente il fumo di tabacco: per questo ci sono i filtri. Sapete, la vecchia controversia: se il fumo è la causa del cancro alla gola e, se lo è, come agisce. Il guaio è che questo richiede un mucchio di... ehm, distillato, per identificare qualcuno dei sottoprodotti minori. Per questo si deve fumare a tutta forza.
- E non guasta un po’ il piacere quell’impianto di tubi?
- Oh, non lo so. Vedete, io sono soltanto un volontario. Non fumo.
LESTER DEL REY
Il Ramaio
«Due penny di tabacco, se così vi aggrada,» disse al commesso, tendendo la piccola borsa per il tabacco che portava sempre con sé. «È pazzo?» Il commesso era un ragazzo, che si interessava molto più dei suoi capelli impomatati che dei clienti che entravano. «Il tabacco più a buon mercato che posso darle è il Duke, e le costerà cinque centesimi, pronta cassa.»
Con rimpianto, Ellowan vide sparire dietro al banco la sua moneta; il tabacco era davvero un lusso, con quei prezzi. Prese in mano la piccola sacca impermeabile, e la scatoletta.
«Che mai è questo?» domandò, sollevando la scatoletta.
«Fiammiferi.» Il ragazzo sorrise, con aria di superiorità. «Dov'è stato lei, per tutta la vita? Bene, lei deve fare così... visto? Certo, se non li vuole...»
«Mille grazie.»
L'elfo infilò in saccoccia la scatola di fiammiferi in fretta e uscì in strada, felice del suo acquisto.
Una meraviglia così grande come i fiammiferi, da sola valeva certamente il prezzo che aveva pagato.
Riempì la sua pipa di argilla e pieno di curiosità strofinò uno dei fiammiferi, ridacchiando felice quando la fiamma si sprigionò da esso.
Quando il fiammifero si spense, notò che anche il tabacco era pieno di magia, altrimenti non avrebbe certo potuto avere un aroma così dolce e delizioso. Era qualcosa di completamente nuovo per lui.
Ma non c'era tempo da perdere ad ammirare i suoi nuovi tesori.
Poul Anderson
Tre Cuori E Tre Leoni.
Cortana, pensò Holger. Quando aveva già udito quel nome, prima d'ora?
Unrich frugò in una tasca del grembiule e, con grande sorpresa di Holger, tirò fuori una tozza pipa d'argilla e un sacchetto di qualcosa che sem
brava tabacco. L'accese servendosi di una selce e di un acciarino, e aspirò profondamente. Holger lo guardò, malinconicamente.
«È un trucco da drago, tu fuoco respiri» disse Hugi.
«Mi piace» rispose Unrich.
«E hai ragione» approvò Holger. «Una donna è solo una donna, ma un buon sigaro è una fumata.»
Gli altri lo fissarono.
«Mai avevo sentito che gli umani giocassero così a fare i demoni» commentò Alianora.
«Prestami una pipa» disse Holger, «e vedrai!»
«Questa scena troppo bella sarà per perderla!» Unrich rientrò nella caverna e ritornò con una grossa pipa di radica. Holger la riempì, l'accese, cominciò ad espirare nuvolette di fumo, soddisfatto. Non doveva trattarsi di vero tabacco, perché era troppo forte, ma in fondo non poi tanto peggio di quello che aveva fumato in Francia prima della guerra, o in Danimarca. Hugi e Unrich lo guardavano con tanto d'occhi. Alianora scoppiò in una risata argentina.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Autori con la pipa in bocca
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Risposta #348 il:
27 Gennaio 2009, 22:10:57 »
Pipa e mistero un' accoppiata sempre efficace.......
MICAH NATHAN
1973
Si è laureato in antropologia alla State University of New York.
Personaggio polivalente, nella vita ha fatto un po' di tutto: il produttore di film horror, conduttore radiofonico, ed altro.
Prima della pubblicazione del suo primo romanzo, Nathan ha codiretto Misinformation, una trasmissione radiofonica sottoforma di talk show in onda da Buffalo dal 1994 al 1997.
L'ULTIMO ALCHIMISTA
L'aspetto divertente è che tu hai senza dubbio una borsa di studio, perciò non sanno come stanno davvero le cose. Si dice che i ricchi possono permettersi di essere caritatevoli. Be', i poveri possono permettersi di essere nobili.»
Si infilò la pipa in bocca, quindi accese un fiammifero e gonfiò le guance, soffiando un pennacchio di fumo aromatico e lattiginoso che fluttuò sopra il tavolino. Si appoggiò allo schienale, si dondolò sulle gambe posteriori della sedia, guardandosi intorno e osservando gli studenti che ci passavano accanto.
«Raccontami qualcos'altro», mi invitò.
Posò la pipa, accostò la sedia al tavolo e si piazzò di fronte a me con entrambe le mani sul piano. «Come ti guadagni da vivere?»
«Lavoro in biblioteca», dissi. «E il professor Lang mi ha offerto un incarico nel suo ufficio.»
«Che cosa ne pensi di quel vecchio matto?» domandò.
«Il dottor Lang?»
«No. Cornelius Graves.»
Abbassai la voce. «Gira voce che sia un adoratore del demonio. Hai sentito parlare dei piccioni che uccide?»
«Piccioni?»
Annuii. «Ho visto dove butta i cadaveri.»
«Dove?»
«Nel bosco dietro il Kellner», risposi.
«Quanti?»
«Non lo so», ammisi. «Un bel po'. In una tomba poco profonda.»
Assunse un'aria scettica. «Hai visto qualcos'altro? Qualche candela nera vicino a questa presunta tomba?»
«No, ma...»
«Un altare improvvisato? Un crocefisso sconsacrato? Magari un coltello cerimoniale?»
«Non so come sia fatto un crocefisso sconsacrato», confessai.
Art sospirò. «Voglio dire che i boschi qui intorno sono pieni di volpi e coyote. Magari hai visto una tana di coyote. Come le ossa bruciacchiate davanti alla caverna del drago in Beowulf.» Sorrise. «Il dottor Lang, invece... Quello sì che è un coglione patentato. Se c'è qualcuno che adora il demonio, è quel bastardo arrogante. Lo scorso anno ho preparato la traduzione e l'analisi della produzione di Teofilo Folengo, un poeta benedettino del Cinquecento, per il suo corso di storiografia, e lui mi ha dato un diciotto. Ho protestato presso il comitato scolastico, ma si proteggono a vicenda, così è stata solo una perdita di tempo...»
La sua voce sfumò. Sembrava sul punto di infuriarsi. Sfregò la pipa, e la collera gli svanì dal volto.
Art riaccese la pipa; la brace sprigionò un filo di fumo. «Di recente il dottor Cade si è assicurato un sostanzioso anticipo per una serie di tre libri sul Medioevo», mi informò. «Il progetto è ancora allo stadio embrionale, la scaletta dei capitoli e roba simile, ma il professore ha già una vaga idea di dove vuole arrivare, degli argomenti su cui vuole concentrarsi eccetera.
Uno degli studenti al tavolo accanto (un ragazzo dal collo taurino con jeans, felpa, stivali da lavoro e un taglio a spazzola) si piegò all'indietro sulla sedia e fissò Art, ma lui lo ignorò. «A ogni modo, sono il coordinatore del progetto», continuò, «e, come puoi immaginare, ho l'acqua alla gola. Sono sempre in cerca di altro aiuto. Soprattutto per le traduzioni e alcune stesure preliminari. Le tue versioni hanno un bel ritmo, e sono sicuro che potresti...»
Il giovane dal collo taurino si schiarì la voce. Aveva la corporatura di un orso. La felpa verde recava la scritta ABERDEEN RUGBY sul davanti.
«Qui è vietato fumare», disse.
Art diede un'altra boccata. Il giocatore di rugby inclinò la testa di lato. Guardò prima la pipa, poi Art.
«Non hai sentito?»
«Sì, che ho sentito», sbottò Art.
«Allora spegnila.»
«Appena avrò finito.»
«Che stronzo», commentò l'altro, sospirando.
Art si voltò di nuovo verso di me. Il ragazzo lo fissò ancora per un istante, quindi ricominciò a mangiare.
«Ecco a che cosa mi riferivo», riprese Art, dando un altro tiro e soffiando un anello di fumo. «Marmocchi viziati. Niente fegato.»
Lasciò cadere il tabacco sul pavimento e lo schiacciò sotto la scarpa. «Dev'essere un sollievo sapere di essere l'ulti-mo», soggiunse, riponendo la pipa.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Autori con la pipa in bocca
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Risposta #349 il:
27 Gennaio 2009, 22:14:13 »
Ancora un'accoppiata pipa corna...
C. Hall Thompson
YOTHKALA
Quando Ambler ebbe terminato la visita nell'intimità della camera di Cassandra, scese pesantemente la lunga scala curva e venne in salotto. Gli offrii da bere e dissi qualcosa a proposito delle pessime condizioni atmosferiche; lo feci per pura urbanità, senza alcuna intenzione di conversare. Poi, nella luce tremolante del caminetto, scoprii nei suoi occhi un'espressione nuova e indecifrabile; avevo visto molte espressioni diverse dopo le sue sedute con Cassandra, ora di dubbio, ora di perplessità, ora di soddisfazione professionale per la sua apparente guarigione, ma adesso i suoi occhi miti sembravano esprimere una sorta di compiacimento, quasi di contentezza. Gli versai un bicchiere di sherry che egli bevve d'un fiato.
«Siete stati molto saggi... lei e sua moglie, dottore,» disse dopo una pausa. Gli occhi chiari raggiavano di letizia.
«Saggi?» Il suo buonumore cominciava a irritarmi.
«Ma certo! Non avreste potuto far niente di più giudizioso... Non vorrei sembrare indiscreto, ma, insomma, m'era parso abbastanza chiaro che... che tra lei e Cassandra... beh, c'era stato qualche screzio. Ma adesso, questo... Sicuro, un bambino è quello che ci vuole per riunire due persone. Questo postaccio triste diventerà un paradiso...»
Forse non lo avevo ascoltato bene. Ricordo che caricai la pipa, distratto, e accesi il fiammifero strofinandolo sulla scatola. Poi lui venne fuori con questa battuta del bambino e io lo guardai come un'idiota, col fiammifero acceso in mano, quasi senza capire. Più tardi mi scoprii due scottature superficiali sui polpastrelli del pollice e dell'indice.
Mi accorsi poi che Ambler rideva tutto contento, battendomi una mano sulla spalla.
«Su, non mi guardi con quell'aria confusa, amico,» disse col suo tono cordiale. «Immagino che Cassandra volesse farle una sorpresa, e io ho rovinato tutto dandole la notizia...»
«Non ha mai parlato di...».
Ambler scoppiò in una risata fragorosa e mi rifilò la vecchia facezia a proposito del marito che è sempre l'ultimo a sapere.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
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Risposta #350 il:
27 Gennaio 2009, 22:59:52 »
La quiete e la pipa ,prima della "tempesta"...
THORP MCCLUSKY
La sua produzione si articola in diciotto racconti, tutti apparsi su Weird Tales e pubblicati in un arco di sedici anni di attività
Ancora non ha avuto alcuna raccolta a suo nome, probabilmente per la difficoltà di reperire i 279 numeri che compongono la prestigiosa serie Pulp.
Orrore e Raccapriccio
Fu una notte assai fredda quella, ricordo. Dev'essere stato verso il primo di novembre. Un ciocco di legno bruciava nel fuoco. Era sera, e io stavo seduto con i piedi sul forno. Le scarpe erano sul pavimento a sinistra della sedia, una grossa sedia Morris che c'è in cucina; il fuoco era bello e caldo, le porte erano tutte chiuse, e io fumavo la mia pipa. La casa era avvolta da un silenzio tombale: uno dei miei due collie era fuori da qualche parte, e l'altro, Nan, era disteso accanto al fornello alla mia destra, a pochi centimetri dalla mia sedia, dormendo e crogiolandosi al calduccio. Dovevano essere all'incirca le nove e mezzo; sicuramente non era più tardi. Mi piace quell'ultima oretta prima di andare a letto; tutto quello che bisognava fare nella giornata è stato fatto e io posso distendermi, riposare e pensare. Avevo sistemato ogni cosa in modo tale da stare realmente comodo: lo schienale della sedia era al posto giusto e la mia pipa tirava che era una meraviglia. Se ora mi guardo indietro per cercare di ricordare, mi pare di essermi assopito per qualche minuto. Non rammento se la pipa la spensi oppure no: forse penzolava dalla mia mano sinistra e mi cascò senza rendermene conto. A ogni modo, dopo, la trovai a terra accanto al fornello. Sì, forse mi ero addormentato con la pipa ciondolante dalla mano. La mia mano destra pendeva senza forze dal bracciolo della sedia e, quando cominciai a ridestarmi da quel leggero pisolino, l'allungai per accarezzare il cane. Ma, quando ebbi completamente aperto gli occhi, mi accorsi che sotto la mia mano, accanto alla sedia, c'era una cosa che aveva qualcosa di strano.
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Sovrano Grande Pipatore Generale
Post: 7134
Autori con la pipa in bocca
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Risposta #351 il:
28 Gennaio 2009, 09:48:55 »
dovresti citare le nostre poesie...
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"Bohhh tieniti le tue adorate dunhill e pipe da snobe i tuoi tabacchi da bancarella del mercato" Cit. toscano f.e.
Cave Secretarium
www.studiolegaleciani.it
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #352 il:
22 Febbraio 2009, 13:16:24 »
Ho un po' di materiale da inserire,ma sono paziente l'occasione sarà la riapertura definitiva,per celebrare l'evento.
Inserisco questa chicca come ulteriore augurio di buon lavoro.
LA SPIAGGIA
CESARE PAVESE
Volli vedere fin dove: arrivava. Ero seccato. Anzi accesi la pipa per fargli capire che avevo il tempo dalla mia. Doro tirò fuori le sue sigarette dorate, e ne accese una e mi soffiò in faccia la boccata. Tacqui, aspettando.
Ma fu soltanto col buio che si lasciò andare. A mezzodì mangiammo insieme in trattoria, affogando nel sudore; poi ritornammo a passeggiare, e lui entrò in diversi negozi per darmi a intendere che aveva da fare commissioni. Verso sera prendemmo la vecchia strada della collina che tante volte in passato avevamo percorso insieme, e finimmo in una saletta tra di casa d'appuntamenti e di trattoria che da studenti c'era parsa il non-plus-ultra del vizio. Facemmo la passeggiata sotto una fresca luna estiva che ci rimise un poco dall'afa del giorno.
Qui venne non so che amica del gruppo a cercare Clelia, e la chiamava e rideva: rimasi solo, seduto sulla panchina. Provavo il mio solito piacere scontroso a starmene in disparte, sapendo che a pochi passi fuori dell'ombra il prossimo si agitava, rideva e ballava. Né mi mancava materia da riflettere. Accesi una pipa e me la fumai tutta. Poi mi mossi e girai fra i tavolini .
La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s'illude di favorire in questo modo la meditazione, ma la verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt'al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt'altro. Doro sapeva della mia abitudine d'incantarmi per un attimo nel vivo di una conversazione per inseguire con gli occhi un'idea imprevista. Faceva anche lui lo stesso, e in tempi passati avevamo molto camminato insieme, ciascuno rimuginando in silenzio. Ma ora i suoi silenzi - come i miei - mi parevano distratti, estraniati, insomma insoliti. Da non molti giorni ero al mare, e mi pareva un secolo. Pure non era accaduto nulla. Ma la notte, rientrando, avevo il senso che tutta la giornata trascorsa - la banale giornata di spiaggia attendesse da me chi sa quale sforzo di chiarezza perché mi ci potessi raccapezzare.
Quando, l'indomani della disgrazia di Mara, rividi l'amico Guido con la sua maledetta automobile, nei pochi secondi che impiegai a traversare la strada per dargli la mano, intuii più cose che non durante un'intera pipata notturna. Intravidi, cioè, che le confidenze di Clelia erano un'inconscia difesa contro la volgarità di Guido: uomo, del resto, educatissimo e galante. Guido sedeva, abbronzato e roseo, tendendo la mano e scoprendo i denti a un saluto. Guido era ricco e bovino. Clelia reagiva di soppiatto; dunque lo prendeva sul serio e gli somigliava. Chi sa dove sarei arrivato, se Guido non si fosse messo a ridere e non mi avesse costretto a parlare. Salii con lui sull'automobile e mi portò al caffè dove a quell'ora c'eran tutti.
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M4tt0
Cavaliere Latakita
Post: 236
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #353 il:
22 Febbraio 2009, 15:33:35 »
Colgo l'occasione per fare gli auguri ad Enzo e ringraziarlo del bel lavoro che fa!
Ritornando in tema, l'altro giorno ho comprato un libro che si chiama Smokiana, è un libro di citazioni al fumo in generale, con una parte dedicata interamente alla pipa...ve lo consiglio, è davvero una bella raccolta (teoricamente è una trilogia iniziata con Il vino, poi passata per l'amore e infine al fumo), l'autore principale è Enrico Remmert
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Mi meraviglio al solo pensiero che ancora riusciamo a meravigliarci
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #354 il:
23 Febbraio 2009, 19:38:17 »
Grazie Mattia.
Metto un po' di pipe avventurose,tanto per cominciare "piano e lontano"
Verne Giulio
Viaggio al centro della terra
Mi buttai
allora io, nella vecchia poltrona di Utrecht, con le braccia penzoloni e la
testa all'indietro. Accesi la pipa dal lungo cannello ricurvo, che aveva
scolpita sul cannello una voluttuosa najade sdraiata con indolenza; mi divertii
poi a seguire con lo sguardo la carbonizzazione che lentamente trasformava la
najade in una negretta.
LA STELLA DEL SUD
Bisogna dire, inoltre, che il giovane francese parlava perfettamente
l'inglese, come se fosse vissuto a lungo nelle contee più britanniche
del Regno Unito.
Mister Watkins l'ascoltava fumando una lunga pipa, seduto su una
poltrona di legno, con la gamba sinistra allungata su un panchetto
impagliato, il gomito sull'angolo d'una tavola grezza, di fronte a una
caraffa di gin e a un bicchiere riempito a metà di questa bevanda
alcoolica.
Tuttavia Mister Watkins non aveva ancora risposto alla domanda tanto
educata ma altrettanto precisa rivoltagli da Cipriano Méré. Dopo aver
consacrato almeno tre minuti a riflettere, si decise infine a togliere
la pipa dall'angolo della bocca, ed espresse l'opinione seguente, che
non aveva evidentemente un rapporto se non molto lontano con la
domanda:
- Credo che il tempo si guasterà, caro signore! Mai la mia gotta mi ha
fatto tanto soffrire come questa mattina!
Dunque, non parlatemene più, per piacere!... Per
me, guardate, sarei tanto contento di andarmene subito sotto terra!...
Mangiar bene, bere meglio, fumare una buona pipa tutte le volte che ne
ho voglia, non ho altre soddisfazioni al mondo, e voi volete che vi
rinunci?
Mister Watkins cavò la pipa dall'angolo della bocca, sputò
solennemente a terra
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #355 il:
23 Febbraio 2009, 19:40:59 »
Ancora...
Emilio Salgari
Gli Ultimi Filibustieri
- Sa che dinanzi a lui ha un corpo di filibustieri, capace di contrastargli il passo e di farlo correre fino a Segovia-Nuova, se vi è rimasta una casa?
- Non lo so: si è parlato però di un gruppo di ladroni del mare, venuti dalle sponde dell’oceano Pacifico, diretto verso quelle dell’Atlantico.
“Di piú io non potrei dirvi.”
- Allora lasciate che prenda la vostra pipa e che la carichi. Se fumiamo noi, fumerete anche voi.
Il guascone, unendo i fatti alle parole, tolse al prigioniero la pipa, gliela riempí, gliela accese e si degnò di mettergliela perfino in bocca, dicendo:
- Fumate senza timore: il tabacco spagnuolo è sempre stato eccellente.
“Ah!... Contro chi avete fatto fuoco poco fa? Sarei curioso di saperlo.”
- Su un uccellaccio che è scappato via, benché gli avessi spezzata un’ala.
- Ciò non sarebbe accaduto ad un filibustiere, - disse don Barrejo. - Fumate, e noi, camerati, accendiamo i nostri camini e mandiamo giú l’arrosto di tartaruga.
I tre avventurieri si gettarono al suolo, colle ginocchia ripiegate e si misero a fumare allegramente, in attesa che la notte scendesse per tentare l’audace colpo di mano già progettato
Don Barrejo si tolse dalle labbra la pipa, la vuotò sulla palma della mano, troppo incallita per provare i morsi del fuoco, raccolse il suo archibugio e disse:
- Andiamo: infine si tratta della salvezza di tutti.
Il figlio del Corsaro Rosso
- Raddoppia la carica della pipa, mio caro Mendoza. Io vi ho cacciato dentro due dita e ora tira magnificamente. Che differenza ci trovi tu fra i gradini di questa chiesa e quelli del cassero o del castello di prora?
- Sulla Nuova Castiglia vi è almeno da bere, Martin.
- Piovono però anche delle bombe, Mendoza; e gli spagnuoli ne hanno di quelle non meno terribili delle nostre.
- Non dico il contrario, amico; tuttavia mi trovo sempre meglio lassú. Almeno vi sono cannoni per rispondere.
E la tua draghinassa la conti per nulla? E le tue pistole sono forse cariche di tabacco? Tu brontoli sempre Mendoza, come un vero marinaio vecchio.
- Tu dirai peraltro, Martin, che se chiacchiero so anche lavorare bene di spada e di sciabola.
- Se cosí non fosse, il signor di Ventimiglia, il nipote del famoso Corsaro Nero, non ti avrebbe scelto per accompagnarlo.
- Tu hai sempre ragione, Martin. È finita la musica?
- Non l'odo piú.
- Allora il capitano non tarderà a giungere.
- Ricarica la pipa.
- Tira come un camino.
- Buttati giú e, se hai sonno, dormi. Faccio io il quarto.
- Tu vuoi burlarti di me, cannoniere. Un vecchio marinaio della Folgore, che ha servito il Corsaro Nero, addormentarsi quando il giovane conte di Ventimiglia corre qualche pericolo? Tu sei pazzo, Martin.
- Metti tre cariche di tabacco nella pipa.
- Anche dieci se vuoi, pur di tenere sempre aperti gli occhi per difendere il figlio del povero Corsaro Rosso.
- Taci, Mendoza. Qualcuno si avvicina.
Il conte si era alzato e si era messo a passeggiare nervosamente intorno ai banani; Mendoza invece aveva caricato la sua pipa e fumava placidamente.
Quella calma del vecchio marinaio era piú apparente che reale, poiché di quando in quando si dimenticava di tirare e la pipa si spegneva. Intanto le tenebre scendevano rapidamente avvolgendo la città, il porto e le navi.
IL TESORO DELLA MONTAGNA AZZURRA
Reton ascoltava aguzzando gli orecchi. Temeva che da un momento all'altro gli ubriaconi dell'Esmeralda uscissero dalla camera di prora e salissero in coperta a respirare una boccata d'aria fresca, della quale dovevano avere tanto bisogno. Passarono alcuni minuti ancora, poi gli sembrò di udire, proprio sotto il sabordo, un gorgoglìo. Reton si curvò sull'ampia apertura e vide il kanako arrampicarsi rapidamente su per la fune.
- Rayo de sol! - borbottò. - Quel selvaggio per poco non mi faceva morire d'angoscia. Come ha potuto arrivare qui senza farsi scorgere?
Matemate, calmo e sorridente, era balzato nella cabina, scuotendosi di dosso l'acqua.
- È fatto, - disse. - Non l'abborderanno se non dopo che noi li avremo raggiunti.
- Tu sei un uomo meraviglioso, Matemate, - rispose Reton. - Ti ha visto nessuno?
- Il ponte del gran canotto è ancora deserto, - rispose il kanako. - E poi ho sempre nuotato sott'acqua non lasciando sporgere che la punta del naso; quindi non avrebbero, potuto scoprirmi.
- Sono contenti gli uomini bianchi della nostra missione?
- Temevo che impazzissero dalla gioia.
- Ne sono convinto. Gettati su quella branda, e schiaccia un sonnellino. Io ho scoperto qui una collezione di vecchie pipe e del tabacco e, preferisco una fumatina, al dormire.
Il kanako, si allungò sulla branda mentre il bosmano caricava una pipa monumentale. Si mise a sedere presso il sabordo e cominciò a fumare, assaporando una carica di eccellente tabacco. A bordo dormivano sempre. Dovevano aver bevuto più che il giorno avanti. Una salva di bestemmie strappò finalmente il bosmano dalla sua tranquilla fumata. Sembrava che sulla tolda bisticciassero.
La rivincita di Yanez
Ne ha perduti nessuno? - chiese Yanez con un impeto di rabbia.
- Tre o quattro nell'assalto di Gauhati - rispose il bramino.
- Quanti uomini ha?
- Forse quindicimila, perché la colonna, che è corsa in tuo aiuto, ha fatto dei veri massacri con certe armi che non conoscevamo prima. Era un fuoco infernale che si succedeva senza tregua e rovesciava gli assalitori a centinaia e centinaia.
- Ha paura anche Sindhia di quelle armi?
- Trema quando ode quel sinistro crepitío.
- Anche questo è buono a sapersi - disse Sandokan, il quale aveva accesa la sua pipa, incrostata di zaffiri orientali e col bocchino d'oro. - Quest'uomo è veramente prezioso.
Yanez continuava a fumare la sua sigaretta, colla fronte aggrottata, accarezzandosi la barba. Pareva che pensasse intensamente.
Mentre Yanez si allontanava frettolosamente, scortato da Tremal-Naik e da sei malesi, il terribile capo dei pirati della Malesia ricaricò la pipa, si sedette su una mitragliatrice, e dopo aver ben guardato in viso il bramino, gli chiese:
- Dunque Sindhia spera sempre di riconquistare l'Assam?
Credi tu che gli inglesi lo abbiano aiutato a fuggire e a radunare tutti quei disperati?»
- Ne sono piú che convinto, sahib, - rispose il bramino. - Il governatore del Bengala non vedeva di buon occhio il Maharajah bianco: pare che le giubbe rosse avessero avuto a dolersi di lui in altri tempi.
- E molto! Ma noi all'Inghilterra abbiamo reso un servigio impagabile, poiché siamo stati noi a distruggere i thugs che popolavano le jungle delle Sunderbunds, ed il Governo del Bengala c'è stato mediocremente riconoscente.
- Sono sempre gli stessi uomini, sahib. L'uomo di colore per loro è una pecora da tosare.
- Oh, lo so meglio di te e...
Sandokan si era alzato di scatto, vuotando con un gesto brusco il tabacco che ancora rimaneva nella pipa, ed aveva fissati gli sguardi su un grosso punto luminoso che si avanzava velocemente, seguendo la banchina.
Le novelle marinaresche di mastro Catrame
- Orsù, papà Catrame, taglia i gherlini(2) che la tengono legata, accendi la tua pipa e narraci dodici storie, le più belle che sai - e ne devi sapere, veh! - e tu, dispensiere, reca una bottiglia del più vecchio vino di Cipro che troverai nella mia cabina, onde la lingua del vecchio orso non si secchi. Avete capito?Guardammo il suo volto incartapecorito, per indovinare se fosse di buono o cattivo umore, poiché da questo si poteva argomentare se la novella era allegra o triste. Le nostre investigazioni riuscirono però vane, poiché il suo volto nulla diceva. Solo notammo che pareva un po' nervoso: egli non faceva altro che levare di bocca la vecchia pipa e cacciarvi dentro il suo pollice, quantunque essa tirasse meglio del solito.
Era imbarazzato a trovare l'argomento? o il suo cervellaccio tardava a risvegliarsi? Io credo che fosse una cosa e l'altra; infatti rimase silenzioso più di un quarto d'ora, continuando a frugare e rifrugare nella pipa. Alla fine, quand'ebbe tracannato un paio di bicchieri, la sua me moria si svegliò come per incanto.
Aspirò avidamente una boccata d'aria marina, percorse il legno da prua a poppa, con quel suo dondolamento che lo faceva rassomigliare a un orso bianco, diede una sbirciata alle vele senza guardare in viso nessuno, Catrame rattizzò flemmaticamente la sua corta pipa, nera come la camicia di uno spazzacamino,col suo pollice incombustibile, poi andò a sedersi con tutta gravità sul barile e parve immerso in profondi pensieri.....
- Bella prospettiva avevamo dinanzi agli occhi! L'uragano infuriava sempre, mettendo sottosopra il mare, il quale ci assaliva da tutte le parti, smanioso di sfondare la nostra arca di Noè; gli alberi minacciavano di piombarci sul capo assieme ai pennoni, e il ponte era coperto di topi, pronti a darci addosso e intaccare i nostri polpacci! In quel momento avrei dato la vecchia mia pelle per una pipata di tabacco.
- La nostra paura però fu di breve durata, poiché il temuto assalto dei famelici roditori, almeno pel momento, non si effettuò. Pareva anzi che fossero spaventati e che cercassero la nostra compagnia senza intenzioni ostili. Di essi quelli che erano riusciti ad arrampicarsi sul castello di prua, dove io mi trovavo, invece di morderci, si nascondevano fra le nostre gambe e stavano quieti.
- Ora, che mai li aveva costretti a invadere la coperta del vascello? Io cominciai a diventare inquieto, sapendo che quello non era l'istinto delle detestate bestiacce. Certo qualche pericolo ci minacciava e i roditori lo sentivano: in caso diverso non avrebbero abbandonata la stiva dove potevano godere quasi completa sicurezza.
- Voi ridete!... Si vedrà fra poco se io avevo ragione o torto di pensarla così...
Papà Catrame si fermò, lasciandoci ridere a nostro bell'agio, si stropicciò le mani con una certa contentezza, accese un altro mozzicone di sigaro, poi continuò:
- Benché la nostra nave non fosse governata, e nessuno osasse scendere in coperta, dove i topi continuavano ad ammucchiarsi, battagliando ferocemente, teneva bene il mare e pareva che non corresse un immediato pericolo. Scricchiolava dalla ruota di prua a quella di poppa, dalla chiglia alla coperta, si sollevava penosamente sulle onde, ma teneva fronte all'uragano colle malferme costole ed i molti suoi anni.
- Due ore dopo, però, vedemmo irrompere dal boccaporto altri battaglioni di topi, forse gli ultimi, i quali si rovesciarono confusamente addosso ai compagni. Erano i più giovani forse e meno esperti, che avevano preferito saccheggiare ancora una volta la nostra disgraziata dispensa prima di abbandonare la stiva. Quasi contemporaneamente giunse ai nostri orecchi un sordo muggito che ci fece impallidire, come Macbeth dinanzi all'ombra di Banco.
- Ohè, papà Catrame, che sfoggio d'erudizione! - esclamò il capitano. - Anche delle tragedie tiri in campo, per abbellire i tuoi racconti!
- Credete forse che non conosca Macbeth? - disse il mastro, un po' risentito. - Ho alzato per quindici sere il telone quando si recitava a bordo del Fox, onde ingannare l'inverno fra i ghiacci della baia di Melville.
- Bella carica, perbacco!... - esclamò il comandante, ridendo a crepapelle.
- Si fa quello che si può, - rispose modestamente il mastro. - Ma lasciatemi finire la storia o questa notte non dormirà nessuno. Sono rimasto... Va bene: quando udimmo un muggito che ci fece impallidire.
- Dapprima non sapemmo a che cosa attribuirlo; ma ascoltando con profonda attenzione, ci accorgemmo che proveniva da una fuga d'acqua. La vecchia nave aveva ceduto in qualche punto e beveva allegramente, riempiendosi come un otre.
- I topi, quei furboni, guidati dal loro meraviglioso istinto, avevano previsto il disastro e si erano rifugiati per tempo in coperta, onde non annegare.
- A bordo del povero legno non tardò a subentrare la paura e la confusione. Quei pacifici norvegiani cominciavano a perdere la testa e mi parevano tutti ubriachi o pazzi.
- Correvano da una parte all'altra, affollandosi presso le scialuppe, onde essere pronti a imbarcarsi nel momento in cui la nave avesse dato l'ultimo addio alle stelle e al sole, e battagliavano ferocemente colla moltitudine dei topi, tentando di respingerli nella stiva, ma senza però ottenere verun risultato, poiché i rosicchianti rispondevano con pari ferocia, mordendo spietatamente i talloni e i polpacci dei nemici.
- Io non mi davo grande pensiero, essendo certo che il vascello non sarebbe affondato con tutto quel carico di legname che aveva in corpo e che le onde presto o tardi avrebbero spazzato via quei reggimenti di molesti roditori.
- Alle undici di sera il veliero era immerso fino alle murate e le onde balzavano furiosamente in coperta, portando via i piccoli mostri a centinaia; ma ne restavano sempre. Alla mezzanotte caddero i due alberi trascinando con loro tutta l'attrezzatura; ed il vecchio legno, quantunque fosse quasi tutto sommerso, galleggiava sempre.
- Verso le due, vinto dal sonno e dalla stanchezza, mi cacciai dietro una botte, mi copersi alla meglio con un velaccio e, malgrado il pericolo che si faceva di momento in momento più grave e l'invasione dei topi che si rifugiavano sul cassero e sul castello di prua per non lasciarsi portare via dalle onde, m'addormentai.
- Quanto dormii? Nol seppi mai, perché quando riapersi gli occhi era ancora notte e l'equipaggio norvegiano era scomparso!... Senza dubbio, nel timore che il legno affondasse da un istante all'altro, avevano messo in mare le imbarcazioni ed erano fuggiti senza prendersi la briga di cercarmi. Non mi spaventai troppo, quantunque la mia situazione non fosse molto brillante. Checché succedesse, ero più contento di trovarmi a bordo della mia carcassa che sulle imbarcazioni, con un tempaccio così orribile.
- Il mare era sempre cattivo e pareva che non dovesse calmarsi tanto presto; la nave, immersa fino alla linea della coperta, galleggiava sempre, meglio anzi di prima, e non vi era alcun pericolo finché non si spezzava; i topi si trovavano aggruppati a migliaia intorno a me, ma pel momento pareva che non avessero idee bellicose. E più tardi? Ecco quello che mi chiedevo con insistenza, giacché la fame non doveva tardare a spingere quei reggimenti contro le mie gambe.
- Mi decisi di non perdere tempo, onde trovarmi pronto a lasciare il legno appena il mare me lo avesse permesso. Innalzai una preghiera a Dio, mi armai di una scure e in meno di un'ora costruii una piccola zattera, capace di sostenermi, e mi vi coricai sopra, in mezzo a una banda di topi d'ogni età, che forse avevano l'intenzione di tenermi poco allegra compagnia.
- Spuntò il giorno, il mare non si calmò; cadde la notte e divenne più cattivo, anzi tanto che certi momenti non sapevo più se la nave galleggiasse ancora o fosse andata a picco, tante erano le onde che la coprivano.
- Come se questo non bastasse, ecco la fame spingere addosso a me i miei compagni di naufragio. Pareva che si fossero passati la parola d'ordine, poiché tutto d'un tratto li vidi serrare le file e scagliarsi contro le mie gambe con furore senza pari.
- Balzai in piedi brandendo la scure e mi posi a picchiare con rabbia estrema a destra e a sinistra, dinanzi e di dietro, saltando or sull'una e or sull'altra gamba per schiacciare quanti più potevo di quei maledetti. Ma la marea montava: ai battaglioni succedevano i battaglioni, ai reggimenti i reggimenti, e questi più affamati di quelli. Avevano giurato di spolparmi fino all'ultimo osso.
- Fortunatamente le onde si rovesciavano ad ogni istante sul povero legno e spazzavano via centinaia di assalitori; ma non bastava. Sentivo quei mostri corrermi su per le gambe, cacciarsi nella mia casacca, balzarmi sulle spalle e mordermi gli orecchi.
- Mi credetti perduto!...
- Proprio in quel momento Dio ebbe compassione della pelle di papà Catrame, poiché un'onda gigantesca spazzò la prua della nave e mi portò via assieme alla zattera. Ebbi appena il tempo di aggrapparmi ai cordami che legavano le tavole, e mi trovai in mezzo al mare.
- Per due giorni lottai fra la vita e la morte, ma finalmente l'uragano cessò e il mare divenne tranquillo. Dove ero? Io lo ignoravo. Se una nave tardava a venire in mio aiuto, non so come sarebbe finita, non avendo meco nemmeno una briciola di pane. Mi sento fremere tutte le volte che penso a quel momento.
- Ma non avevate preso qualche pezzo di stoccafisso? - chiese un gabbiere.
- O una dozzina di biscotti? - chiese un altro.
- No. In una tasca però trovai un topo dal pelame quasi bianco, tanto era vecchio, con due baffi più lunghi di quelli del capitano Baffone, che forse voi tutti avrete conosciuto o almeno udito nominare; in un'altra un simpatico di lui figlio, con due occhietti intelligenti; nella terza una femmina con due poppanti topolini! Nonno, padre, madre e figli! una famiglia intera che contava di spassarsela nel fondo delle mie saccocce.
- Un altro li avrebbe afferrati per la coda e gettati in mare, ma io no; li presi delicatamente per gli orecchi e li deposi sulla mia zattera. Non si sa mai! Nella condizione in cui mi trovavo, cogli intestini che brontolavano per la fame, quella famigliola poteva servirmi a qualche cosa. Che diamine! Non sono mai stato uno schizzinoso, io!
- Eppure, guardate che originale è papà Catrame! Dopo quattro ore mi ero tanto affezionato ai miei compagni di sventura, che ci avrei pensato quattordici volte prima di immolarli al mio ventricolo. Prendevo gusto a vederli saltellare per la piccola zattera ed arrampicarsi su per le mie gambe, emettendo strilli di contentezza. Perfino il vecchio nonno, che dapprima si era dimostrato molto diffidente a mio riguardo, si degnava di venire ad accoccolarsi sulle mie scarpe, per rosicchiare le suole.
- La famiglia non era però completa. Frugando nelle mie tasche trovai un altro giovane rampollo, un topolino grosso come una nocciola, che si era nascosto nella mia pipa. Mi accorsi della sua presenza quando stavo per accenderla e poco mancò che il disgraziato piccino rimanesse abbruciato.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #356 il:
24 Febbraio 2009, 18:48:28 »
Ancora qualche pipa avventurosa.....
Conrad Joseph
ReiettoDelleIsole
«Va tutto bene!» , mormorò tra sé Almayer, prendendo da un cassetto del tavolo del tabacco sciolto di Giava. «Se ora dovesse succedere qualcosa io sono a posto. Ho chiesto a quell'uomo di risalire il fiume. Ho insistito. Lo dirà anche lui. Bene» .
Cominciò a caricare il fornello di porcellana della sua pipa, una pipa con un lungo cannello di ciliegio e un bocchino ricurvo, pressando il tabacco con il pollice e pensando: No. Non la rivedrò più. Non voglio. Le darò un buon vantaggio, poi partirò a cercarla - e manderò una barca veloce da mio padre. Sì! proprio così.
Si avvicinò alla porta dell'ufficio e disse, tenendo la pipa scostata dalle labbra:
«Buona fortuna a voi, signora Willems. Non perdete tempo. Potete passare lungo i cespugli; lì la recinzione è in cattivo stato. Non perdete tempo. Non dimenticate che è una questione di...vita o di morte. E non dimenticate che io non so nulla. Mi fido di voi» .
Sentì da dentro un rumore come del coperchio di una cassa che si richiudeva. Ella mosse qualche passo. Poi un sospiro, profondo e lungo, e delle deboli parole che non afferrò. Si allontanò dalla porta in punta di piedi, con un calcio si liberò delle pantofole che lasciò in un angolo della veranda, poi entrò nel corridoio tirando boccate di fumo dalla pipa; entrò cautamente con un leggero scricchiolio delle assi e voltò verso un'apertura sulla sinistra coperta da una tenda. Vi era una stanza molto grande. Sul pavimento un fanaletto di chiesuola - finito lì anni addietro, proveniente dallo sgabuzzino del Flash - svolgeva le funzioni di lumicino da notte. Sfavillava, tenue, minuscolo, nella grande oscurità.
svolgeva le funzioni di lumicino da notte. Sfavillava, tenue, minuscolo, nella grande oscurità. Almayer vi si diresse, lo raccolse, alzò la fiamma tirando lo stoppino con le dita, che subito dopo cominciò ad agitare con una smorfia di dolore. Forme addormentate, coperte - testa e tutto - con lenzuoli bianchi, erano sparse su delle stuoie sul pavimento. Al centro della stanza un piccolo lettino, sotto una zanzariera bianca quadrata - unico mobile tra le quattro mura - simile ad un altare di marmo trasparente in un tempio buio. Una donna sdraiata in parte sul pavimento, con la testa reclina sulle braccia incrociate, ai piedi del lettino, si svegliò quando Almayer le scavalcò le gambe distese. Ella si alzò a sedere senza una parola chinandosi in avanti e, stringendosi al petto i ginocchi, abbassò lo sguardo triste e assonnato.
Almayer, con la lanterna fumosa in una mano e la pipa nell'altra, rimase in piedi davanti al lettino guardando sua figlia -
la sua piccola Nina - quella parte di se stesso, quella piccola e incosciente particella di umanità che gli sembrava contenesse tutta la sua anima. E fu come se una calda e luminosa ondata di tenerezza lo avvolgesse, una tenerezza più grande del mondo, più preziosa della vita; l'unica cosa reale, viva, dolce, tangibile, bella e sicura tra le sfuggenti ombre dell'esistenza, distorte e minacciose. La sua faccia, malamente illuminata dalla corta fiamma giallastra del fanale, fu attraversata da uno sguardo di rapita concentrazione mentre contemplava il futuro della figlia. E quali cose poteva vedervi! Cose affascinanti e splendide gli scorrevano davanti in un magico susseguirsi di immagini luminose; immagini di eventi brillanti, felici, indicibilmente gloriosi, che avrebbero composto la vita di lei. Doveva farlo! Doveva farlo! Doveva! Doveva - per quella bambina! E mentre se ne stava nella notte quieta, perso nei suoi sogni splendidi e incantevoli, mentre il filo verticale del fumo della pipa si spandeva fino a formare un'impalpabile nube azzurrognola sopra la sua testa, egli apparve stranamente solenne ed estatico: come un fedele mistico e devoto, in adorazione, estasiato e muto; che brucia incenso davanti a un santuario, il diafano santuario di un idolo-bambino dagli occhi chiusi; davanti al puro ed etereo santuario di un piccolo dio - fragile, indifeso, ignaro e addormentato.
AlLimiteEstremo
Un bianco era salito, senza far rumore, su per la scala dalla coperta, e aveva ascoltato in silenzio quella breve conversazione. Poi mise il piede sul ponte di comando e cominciò a camminare da un estremo all'altro, tenendo in mano la lunga cannuccia di ciliegio di una pipa. I capelli neri erano incollati in lunghe ciocche stirate sulla cima calva del cranio; aveva la fronte solcata dalle rughe, la carnagione gialla, e il naso grosso e informe. Una rada crescita di basette non nascondeva il contorno della mascella. Il suo aspetto era di rimuginio preoccupato; e, nel succhiare un curvo bocchino nero, presentava un profilo così pesante e pronunciato che persino il serang qualche volta non poteva far a meno di pensare a quanto fossero brutti certi bianchi.
Il capitano Whalley parve tenersi forte alla sua poltrona, ma non diede altro segno di essersi accorto di questa presenza. L'altro soffiava sbuffi di fumo; poi all'improvviso:
«Non riuscirò mai a capire questa sua nuova mania di tenere qui questo malese come se fosse la sua ombra, socio».
Il capitano Whalley si alzò dalla poltrona in tutta la sua imponente statura e si diresse alla chiesuola, tenendo un corso così poco deviato che l'altro dovette indietreggiare in fretta, e rimase come intimorito, con la pipa che gli tremava in mano.....
«Non è che voglio che lei se ne vada», riprese dopo un silenzio, e con un tono assurdamente insinuante. «Non chiederei di meglio che essere amici e rinnovare il contratto, se lei acconsentisse a trovare un altro paio di centinaia di sterline per contribuire alle nuove caldaie, capitano Whalley. Gliel'ho già detto altre volte. Le nuove caldaie sono indispensabili. Lo sa benissimo anche lei. Ci ha pensato su?».
Restò in attesa. Dalle labbra carnose gli pendeva la sottile cannuccia della pipa con in cima il grosso rigonfiamento del fornello. Si era spenta. Improvvisamente se la tolse dai denti e si torse leggermente le mani.
«Non mi crede?». Ficcò il fornello della pipa nella tasca della sua lustra giacca nera.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #357 il:
24 Febbraio 2009, 21:37:46 »
Il grande Hernest ci racconta come un suo tabacco spedito da gli USA non sia arrivato in Italia,sicuramente sequestrato.
Vabbè era il 1918 ,ci sono voluti 90 anni ma la situazione è notevolmente cambiata
Ernest Hemingway
ADDIO ALLE ARMI
- Cosa fa in "borghese"? - domandò il barman. Stava preparandomi il secondo martini.
- Sono in licenza. Licenza di convalescenza. -
- Qui non c'è nessuno. Non capisco perchè tengano aperto. -
- Sei andato ancora molto a pesca? -
- Qualche bel pesce l'ho preso. In autunno fa piacere quel che si prende. -
- E il tabacco che t'ho mandato l'hai avuto? -
- Sì. E lei ha avuto la mia cartolina? -
Mi misi a ridere. Non era andata bene col tabacco. Gli avevo promesso del tabacco da pipa americano, ma avevano smesso di spedirmelo oppure era stato sequestrato, fatto sta che non l'avevo ricevuto.
- Riuscirò a trovartene da qualche parte - dissi. - Senti. Hai visto due ragazze inglesi in città? Devono esser qui dall'altro ieri. -
- Qui in hotel non ci sono. -
- Due infermiere. Saranno in un altro albergo. -
- Ah, le ho viste due infermiere. Aspetti un momento. Saprò dirle dove sono. -
- C'è molto spazio per te nella mia valigia, Cat, se ti serve. -
- Sono già quasi pronta - disse. - Senti caro, sarò stupida ma perchè il barman resta nel nostro bagno? -
- Sccc! Sta aspettando le valige. -
- E' proprio gentile. -
- E' un vecchio amico - dissi. - Dovevo mandargli tabacco per la sua pipa, una volta. -
Guardai dalla finestra ancora aperta nel buio. Non riuscivo a vedere il lago, solo oscurità e pioggia. Ma il vento si calmava.
- Ho finito, caro - disse Catherine.
- Brava. - Mi avvicinai alla porta del bagno. - Il bagaglio è pronto, Emilio. - Entrò a prendere le valige.
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Ultima modifica: 25 Febbraio 2009, 09:24:10 da Aqualong
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #358 il:
25 Febbraio 2009, 19:20:52 »
CARLO CATTANEO
GLI ANTICHI MESSICANI
E quando un giovine nemico, preso sul campo, era destinato a morire, il primo dì del quinto mese, a piè del simulacro di Tezcalipòca, veniva per un intero anno tenuto in lieta brigata di giovani, i quali, vestito dei più pomposi ornamenti, anzi colle insegne dello stesso dio davanti a cui doveva morire, lo accompagnavano con suoni e canti sul lago; ed andava secoloro per le vie della vasta città danzando ei medesimo e sonando di flauto: e tutta la gente accorreva a vederlo passare, e gli s'inchinava come fosse un Dio. Veniva satollato dei cibi e liquori più squisiti; la sua mensa e il suo letto, tessuto di vaghe piume, venivano sparsi di soavi fiori; e gli davano in canne di fumo tabacco misto a deliziosi aromi. E quattro nobili giovinette venivano tratte dal chiostro; e in onore del dio, lo consolavano coi loro vergini amori. Nell'ultima notte, usciva insieme con esse dalla città; ma giunto a certo oscuro delubro, vi trovava uno stuolo di sacerdoti, che avvolti nei foschi lor manti, o coperti il capo con maschere di belve feroci, lo involavano alle carezze e alle lacrime delle fanciulle, e trattolo pei capelli sulla piramide ferale, lo rovesciavano sulla pietra, gli strozzavano i gemiti in gola; e strappatogli il cuore, ungevano del caldo sangue giovanile le fredde labbra dell'idolo di sasso. Poi gettavano il cadavere, giù per le scale grondanti di sangue, ai devoti che seduti l'aspettavano e se lo recavano sulle spalle alle orride cene. È una tragedia che infine move più la nausea che la pietà.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #359 il:
25 Febbraio 2009, 20:10:10 »
Come ben sapete nel secolo scorso,la pipa era considerata oggetto di svago per le classi sociali più basse,sigaro e tabacchiere erano più "in".
Perciò spesso,nella letteratura verista dell'epoca, veniva fumata da militari,servitù,vetturini e stallieri.
Per queste ultime due categorie,spesso, il fumo di pipa veniva associato ad odori di stalla.
Seguono alcuni esempi......
BEL AMI
Guy de Moupassant
I portinai, in maniche di camicia, a cavalcioni d'una seggiola di
paglia, fumavano la pipa sul portone, e i passanti camminavano prostrati, a
capo scoperto, col cappello in mano.
Vorrei qualcosa di curioso, un
locale ordinario, una trattoria, per esempio, da impiegatucci e da operaie.
Adoro le cenette nelle bettole! Oh, fossimo potuti andare in campagna!»
Poiché Duroy non conosceva nulla del genere nel quartiere, vagarono
per il boulevard e finirono con l'entrare in una bottiglieria dove, in una
saletta a parte, si dava anche da mangiare. Dagli usciali a vetri, lei aveva
visto due ragazzotte in capelli sedute di fronte a due soldati.
In fondo alla stanza, lunga e stretta, pranzavano tre vetturini; e uno
strano personaggio, non classificabile in quanto a mestiere, se ne stava lì a
fumar la pipa, le gambe allungate, le mani nella cintola dei calzoni, steso
sulla sedia col capo rovesciato all'indietro sopra la spalliera. La sua giacca
pareva una galleria di patacche, e dalle tasche gonfie come pance pregne si
vedeva uscire il collo d'una bottiglia, un pezzo di pane, un cartoccio fatto
con un giornale, e uno spago ciondoloni. I suoi capelli erano folti, crespi,
arruffati, grigi di sporcizia. Per terra, sotto la sedia, c'era il suo berretto.
Clotilde colpì gli avventori con la sua eleganza. Le due coppie
smisero di bisbigliare, i tre cocchieri di discutere, e il tizio che fumava,
toltasi la pipa di bocca, scaracchiò per terra e la guardò voltando appena il
capo.
«Carino, qui!» mormorò lei, «Ci staremo come papi; la prossima
volta voglio vestirmi da popolana.»
E per nulla imbarazzata o schifata, sedette al tavolino di legno grezzo
verniciato dal grassume dei cibi, lavato dalle bevande rovesciate, forbito
dalla passatina di tovagliolo del garzone.
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