Ritrovo Toscano della Pipa
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La pipa nella letteratura
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Autori con la pipa in bocca
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Topic: Autori con la pipa in bocca (Letto 365147 volte)
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #450 il:
11 Luglio 2010, 15:28:36 »
ROBERT McCAMMON
Nato a Birmingham nel 1952, ha frequentato liceo e universita' in Alabama. Nel corso degli anni ha pubblicato 13 bestseller e numerosi racconti brevi, creando successi come Swan Song, Baal, Stinger, Mistery Walk e Usher’s Passing, molti dei quali usciti anche in Italia.
TENEBRE
C'era una volta una relazione amorosa fra noi e il fuoco, pensò il presidente
degli Stati Uniti, accostando al fornello della pipa il fiammifero appena
acceso.
Fissò la capocchia ardente, ipnotizzato dal colore... e mentre la fiammella
avvampava, ebbe la visione di un'altissima torre di fuoco che vorticava
per il suo amato paese, incendiava città e villaggi, mutava in vapore i corsi
d'acqua, passava a grande velocità fra le rovine del cuore agricolo della
nazione, scagliava nel cielo nero le ceneri di settanta milioni d'esseri umani.
Osservò, inorridito, la fiammella strisciare lungo il fiammifero e capì
che lì, in scala minuscola, c'era il potere di creare e di distruggere: un potere
che cuoceva il cibo, illuminava le tenebre, fondeva il ferro, bruciava la
carne umana. Una sorta di piccolo occhio scarlatto dallo sguardo fisso si
aprì al centro della fiammella; il presidente ebbe voglia di urlare. Si era
svegliato alle due del mattino, sconvolto dall'incubo dell'olocausto; aveva
cominciato a piangere e non riusciva a smetterla; la First Lady aveva provato
a calmarlo, ma lui aveva continuato a tremare e a singhiozzare come
un bambino. Era rimasto nello Studio Ovale fino all'alba, a esaminare le carte topografiche e i rapporti segretissimi. Dicevano tutti la stessa cosa:
Primo attacco.
La fiammella gli bruciò le dita. Il presidente spense il fiammifero e lo lasciò
cadere nel posacenere con il sigillo in rilievo, posto davanti a lui. Il
sottile filo di fumo si arricciò verso il foro dell'impianto di filtraggio d'aria.
«Signore?» disse una voce. Il presidente sollevò lo sguardo: un gruppo
d'estranei sedeva con lui nella sala operativa; lo schermo del computer mostrava,
ad alta risoluzione, la mappa del mondo; la schiera di telefoni e di
televisori formava un semicerchio come nell'abitacolo di un caccia a reazione.
Desiderò ardentemente che un altro sedesse al suo posto, desiderò di
essere ancora un semplice senatore all'oscuro della verità.
«Sì?» rispose il presidente, rivolto a Bergholz.
Hannan bevve un sorso d'acqua. «Signore, le domandavo se desidera che
continui a leggere» disse. Batté il dito sulla pagina del rapporto.
«Ah.» La pipa è spenta, pensò il presidente; non l'avevo appena accesa?
Guardò nel portacenere il fiammifero bruciato, senza riuscire a ricordare se
ce l'aveva messo lui. Per un attimo gli venne in mente la faccia di John
Wayne, nella scena di un vecchio film in bianco e nero visto da ragazzo: il
Duca diceva qualcosa a proposito del punto dal quale non si torna indietro.
«Sì» rispose. «Continui pure.»
BAAL
— Sì — disse Virga. Accese un fiammifero e lo portò al fornello della
pipa. — Sì, è curioso. Non segue il consueto schema del "risorgimento spirituale"
che si ha quando un "messia" comincia a prendere controllo delle
masse. Di solito il suo nome viene gridato ai quattro venti dai poveri seguaci,
che si accorgono troppo tardi di essere usati come strumento.
Un filo di fumo azzurrino si alzava dalla pipa di Virga. Naughton proseguì:
— Forse le interesserà sapere che una volta Crowley si calò i calzoni e
defecò nel bel mezzo di una cena elegante. Poi suggerì ai suoi ospiti di
conservare le sue deiezioni perché, disse, erano divine.
Vogliamo sapere dove sono atterrati — ripetè Michael, fissando l'altro
uomo negli occhi.
Zark sopportò il suo sguardo per alcuni secondi, poi si voltò di lato. Frugò
nel parka e ne trasse una pipa che sembrava intagliata nell'osso. La
riempì di tabacco nero e ceroso, la accese e aspirò il fumo azzurrino. —
Non so dove siano atterrati — disse. — Non voglio saperlo. Non sono affari
miei.
HANNO SETE
«Le dispiace?», chiese Palatazin alla giovane donna bionda dall'ombretto sgargiante seduta di fronte alla sua scrivania. Mostrò, sollevandola, una pipa che un tempo era stata di schiuma perfettamente bianca e che adesso era un pezzo di carbone pieno di cicatrici.
«Eh? Oh, no, non c'è problema». L'accento era marcatamente del Midwest.
Lui annuì, accese un fiammifero e avvicinò la fiamma al fornello. La pipa era stata un regalo di Jo per il loro primo anniversario di nozze, quasi dieci anni prima. Era intagliata a raffigurare le fattezze di un principe magiaro, uno dei selvaggi guerrieri a cavallo che avevano compiuto sanguinose scorrerie nell'Ungheria del secolo IX. La maggior parte del naso e un sopracciglio si erano sgretolati, e ora la faccia sembrava più quella di un pugile nigeriano. Si assicurò di non aver sbuffato il fumo addosso alla ragazza.
IL VENTRE DEL LAGO
— Entra, entra! — mi esortò il sindaco.
Entrai nel suo ufficio. Tutti i mobili erano di legno scuro e lucido. L'aria
odorava di tabacco dolce da pipa. C'era una scrivania che sembrava grande
come il ponte di una portaerei. Gli scaffali erano pieni di grossi volumi rilegati
in pelle. A me sembrava che non fossero mai stati toccati, perché
nessuno di loro aveva neppure un segnalibro. Due grosse poltrone di cuoio
erano sistemate di fronte alla scrivania, sopra una distesa di tappeti persiani.
Le finestre davano su Merchants Street, ma al momento erano rigate di
pioggia.
Il sindaco Swope, i capelli grigi pettinati all'indietro a partire da un ricciolo
sulla fronte e gli occhi azzurri e amichevoli, chiuse la porta e disse:
— Siediti, Cory.
Il sindaco
fece un passo indietro, il fumo della pipa che gli saliva a spirale intorno alla
testa.
Tirava sempre boccate da una pipa di radica, come una locomotiva che
brucia carbone su una salita particolarmente lunga e ripida, e portava calzoni
dalla piega perfetta e camicie con le sue iniziali sul taschino. Aveva
l'aria di un uomo d'affari di successo, cosa che poi era: possedeva sia lo
Stagg Shop for Men che la Zephyr Ice House, che erano di proprietà della
sua famiglia da anni.
LA VIA OSCURA
Forrest sorrise e annuì. Tirò fuori un sacchetto di tabacco e una pipa di radica, e armeggiò per riempirla. La accese dopo due tentativi e cominciò a riempire di fumo la stanza. «Sono contento che le piaccia», disse sollevato.
«Ma», riprese in tono calmo Falconer, «mi piacciono più di tutti il messaggio e la scritta del secondo manifesto».
«Oh, possiamo combinarli in qualunque modo lei voglia. Nessun problema».
Falconer avanzò finché non si trovò con il viso a pochi centimetri dalla sua stessa fotografia. «È questo che voglio. Quest'immagine parla. Voglio che ne siano stampati cinquemila, ma con l'altro messaggio e l'altra scritta. Li voglio per la fine del mese».
Forrest si schiarì la gola. «Be'... credo che dovremo andare un po' di fretta. Ma ce la faremo, nessun problema».
«Bene». Il predicatore si voltò radioso e tolse la pipa dalla bocca del pubblicitario, strappandola come un leccalecca a un bambino. «Non tollero i ritardi, signor Forrest. E le ho ripetuto più e più volte quanto detesto il puzzo dell'erba del Diavolo». Il suo sguardo era luminoso e acuto. Il sorriso sul viso di Forrest divenne sbilenco, mentre Falconer immergeva la pipa nel bicchiere di limonata. Si sentì un debole sibilo quando il tabacco si spense. «Le fa male alla salute», disse con voce tranquilla il predicatore, come se parlasse a un bambino ritardato. «Fa bene solo al Diavolo». Lasciò la pipa incriminata nel bicchiere di plastica, diede una pacca sulla spalla dell'artista e indietreggiò in modo da poter ammirare di nuovo il manifesto.
L'ORA DEL LUPO
Un paio di ciocchi nuovi erano stati aggiunti nel camino, dove bruciava un fuoco lento. Vide una nuvola di fumo di pipa fluttuare sopra la sedia di pelle nera dallo schienale alto, posta di fronte alla fiamme. La branda era vuota.
«Parliamo, Michael», disse l'uomo che si faceva chiamare Mallory.
«Sì, signore». Gallatin prese una sedia e si accomodò, posando la lampada su un tavolo che si trovava fra i due uomini.
Mallory non era il suo nome vero, ma uno dei tanti rise sommessamente, serrando fra i denti il bocchino della pipa. Nei suoi occhi brillava il bagliore del fuoco e adesso non sembrava minimamente vecchio e malfermo come quando era entrato nella casa. «"Restate nelle vostre stanze"», disse, poi rise di nuovo. La sua vera voce, non mascherata, possedeva un tono cavernoso. «È stata un'ottima mossa, Michael. Gli hai fatto cascare le palle dalla paura, a quel povero yankee».
«Ma le ha?»
«Oh, è un ufficiale piuttosto abile. Non lasciarti ingannare dai modi bruschi e da spaccone; il maggiore Shackleton conosce il suo lavoro». Lo sguardo penetrante di Mallory scivolò verso l'altro uomo. «E anche tu». Michael non rispose. Mallory fumò la pipa in silenzio per un attimo, poi disse: «Non è tua la colpa di quello che è accaduto a Margritta Phillipe in Egitto, Michael. Conosceva i rischi e faceva il suo lavoro bene e con coraggio.
LORO ATTENDONO
Il dottor Markos trasse
una pipa scheggiata di radica dalla tasca della camicia, sfregò un fiammifero
e lo avvicinò al tabacco già carbonizzato. — Ha pensato che potrebbe
essere una caverna naturale senza alcuna connessione con queste rovine?
Se così fosse, ci potrebbe essere un tratto franoso, una parete di roccia solida,
un labirinto inestricabile di passaggi attraverso cui nessun uomo riuscirebbe
più a trovare la via d'uscita. Io non vedo nulla, in quel luogo, che
meriti una esplorazione affrettata e pericolosa.
— Un'altra cosa interessante — riprese Blackburn, mentre sfregava un
altro fiammifero per la pipa. — Si diceva che Themiscrya fosse infestata.
Evan fissò negli occhi il suo interlocutore. — Infestata?
— Esatto. — Il tabacco si accese; Blackburn esalò una boccata di fumo.
— C'era un villaggio chiamato Caraminya vicino agli scavi; da quanto ho
ricostruito, gli abitanti pensavano che i terremoti frequenti nella zona fossero
causati dall'ira delle amazzoni uccise.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #451 il:
01 Agosto 2010, 11:15:08 »
Francesco Dimitri
"Pietra che rotola non fa muschio, si dice. Io me ne sono andato da casa a diciotto anni, e nove anni dopo ho sentito l’esigenza di spostarmi di nuovo. In questo periodo l’Italia è un ghetto culturale, e dai ghetti si scappa, con o senza cervello. Poi, io non credo in radici, nazioni, eccetera, credo solo nelle persone. Non mi sento Italiano più di quanto mi senta pugliese o romano o londinese. Sono un individuo, sono fatto di molti sogni diversi."
Pan
"Avevo voglia di mettere le mani sul "Peter Pan" originale, un grande libro poco capito. L’ho sempre trovato inquietante, nero, disturbante. Ma al tempo stesso è un inno alla libertà, alla gioia selvaggia e pericolosa. Peter Pan è una forma di Pan, e Pan/Fauno è un dio greco-romano noto per essere, appunto, selvaggio e pericoloso."
Gli alberi sono curatissimi, la pavimentazione è un misto di mattoni
e brecciolina, e sulla sinistra c’è una piscina rotonda. Quando Giovanni aveva cinque
anni e faceva caldo, papà lo portava a fare il bagno lì. Se ne stava con zio Augusto sul
bordo a parlare e farsi una pipata, mentre lui e Angela facevano i pazzi in acqua. Bei
tempi. Altri tempi.
Quante volte ho percorso quella
strada, in passato! Ed erano sempre occasioni liete: un pranzo tutti insieme, una
giornata in piscina, una pipata davanti al camino. Ora invece andavo per litigare, e
forse per combattere, con ,un traditore che mi era accanto da vent’anni.
Ed eccole, Giada e Wendy, sdraiate sull’erba a pochi metri dal campo. Tra il
fogliame sulle loto teste si muovono animali e altro, dal buio profondo giungono voci
di gufi, civette e cose. Anche senza il consiglio di Peter non si sarebbero spinte là
dentro, da sole, stanotte. Si stanno passando una pipa piena di un tabacco strano, dal
profumo dolce, che gli ha regalato Tincker Bell. Non ha effetti stupefacenti, per ora, è
solo molto rilassante.
«Sei pensierosa» commenta Wendy.
«Ho ucciso un uomo.»
«Se lo meritava.»
Giada tira una boccata di fumo. «Ti ricordi che diceva Gandalf a Frodo, su
questo?»
«Sì, certo» dice Wendy, che non legge molto, ma potrebbe citare a memoria interi
passi del Signore degli Anelli. «Che molti tra i vivi meritano la morte, e molti tra i
morti avrebbero meritato la vita. Siccome non sei in grado di ridare la vita ai morti,
dovresti evitare di dare la morte ai vivi.»
«Ecco.»
«Però Aragorn ne scannava un sacco, di gente.»
«Orchi, per lo più.».
«Perché, Laccio cos’era?»
«Questo è vero» ammette Giada, passando la pipa. «Capiamoci, tornando indietro
lo rifarei senza pensarci.»
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #452 il:
01 Agosto 2010, 15:34:58 »
Altri frammenti di pipe
RADIO BALILLA
Alessandro Perissinotto
Intanto, il notiziario era terminato e la radio trasmetteva ora dei ballabili eseguiti
dall’orchestra di Pippo Barzizza. La conversazione si protrasse ancora un po’, lontana
da ogni tema pericoloso come la religione, la politica o il calcio, poi, gradualmente,
come ogni sera, si spense. Le prime a lasciare la tavola furono le due anziane sorelle,
che erano solite ritirarsi presto per recitare il rosario. I tre uomini più maturi,
compiendo anch’essi il loro rito quotidiano, s’accesero la pipa e stettero seduti ad
assaporare il tabacco e a guardare le volute di fumo che parevano attorcigliarsi
intorno al filo della lampadina che pendeva nuda dal soffitto, punteggiata di
escrementi di mosca. Dopo qualche minuto, il signor Tarcisio si alzò, raccolse da
sotto la sedia la sua cartella di pelle e salutò la compagnia: «Permettetemi di
augurarvi la buona notte».
GIUSTIZIA SOMMARIA
Giancarlo Narciso
Al centro della barca, il maresciallo Vendôme, in abito rosso, era attorniato da una
mezza dozzina di ufficiali. Il granatiere e il tenente si tolsero i cappelli piumati
inchinandosi al passaggio del loro comandante. Vendôme non rispose al saluto, ma
restò a contemplare il lago che gli si apriva di fronte.
«Sembra di pessimo umore» disse il maggiore schiacciando del tabacco nella sua
pipa.
«E chi non lo sarebbe al posto suo» commentò l’ufficiale più giovane. «A
quest’ora dovremmo esserci già congiunti a Innsbruck con l’elettore di Baviera.
Invece ci stiamo ritirando. Maledetti Savoia. Dopo tutto quello che gli abbiamo
concesso a Vigevano, c’era da aspettarsi che Vittorio Amedeo tenesse fede ai patti, e
invece...»
«Temo che abbiate ancora molto da imparare sul mondo della politica, mio
giovane amico. Ai Savoia non è mai importato nulla di Casale o di Pinerolo.»
«E cosa vogliono allora? L’intero Piemonte? Milano?»
«Vogliono un regno. E prima o poi l’avranno, a costo di allearsi con Belzebù.
Potete stare sicuro che questo è il prezzo che il duca di Savoia è riuscito a strappare
agli Asburgo per il suo tradimento: la promessa di una corona reale da giocarsi sui
tavoli della diplomazia. Avete capito, tenente... Tenente?»
Il giovane dragone scattò sull’attenti sbattendo i tacchi.
«Chiedo scusa, signore. Tenente Louis De Valseine. Secondo reggimento, quarta
compagnia.»
«Riposo, tenente. Io sono il maggiore Marcel Clermand. Se siete della quarta
conoscerete il capitano Philippe Saunière. Un buon ufficiale, oltre che un caro amico,
abbiamo combattuto insieme a Suzzara. So che è rimasto di stanza ad Arco mentre
marciavamo su Trento. Come sta?»
Il giovane non rispose. Un’ombra gli era scesa sul viso.
«Che vi prende?» chiese il maggiore.
«Nulla, signore. Vedete, anch’io ero amico del capitano Saunière. Amico di
infanzia. Siamo tutti e due di Chateau Saint Martin, nei pressi di Tolosa.»
«Eravate amico, avete detto?»
«Il capitano Saunière è morto, signore.»
«Oh, mio dio. Certamente caduto da prode. Cosa lo ha ucciso? Una lama austriaca?
O la vile palla di uno schützen?»
«Nulla di tutto ciò, signore, ma è una storia lunga...»
Clermand si tolse la pipa di bocca, si sedette sul ponte e fissò il giovane tenente.
«E con ciò? I Savoia non sono nuovi a questi giochi, non è la prima volta e non
sarà l’ultima. Di sicuro preparavano la loro mossa da tempo. La vecchia avrà avuto
informazioni su quanto stava per succedere da qualche spia che frequentava. Questi
ciarlatani vivono di trucchi.» Il maggiore accese di nuovo la sua pipa e soffiò fuori un
perfetto anello di fumo. «Vinceremo questa guerra e metteremo fine a tutte le guerre,
siano esse di religione o di successione. Il mondo sarà dominato dalla Francia e
conoscerà finalmente la pace duratura.»
IL DONO DI GIUDA
Danila Comastri Montanari
Ma padre Bernardo, in mezzo agli amerindi era vissuto a lungo e li conosceva
bene. Ricordava la donna che aveva masticato ogni boccone per imboccarlo, quando
stava per morire di fame, il vecchio che lo aveva curato con le erbe, mentre delirava
dalla febbre, e i bambini che gli si avvicinavano timidi per toccare con stupore la sua
chioma rossastra e gli uomini pronti a condividere con lui il sudato bottino della
caccia.
Fu quindi con una sorta di devoto affetto che si rigirò tra le mani l’arco levigato, il
copricapo di piume e il pugnale di osso che aveva spediti a Gerolamo.
I suoi doni erano tutti in bella vista sugli scaffali, mancava solo la pipa, la lunga
pipa da cerimonia in cui gli indigeni bruciavano lentamente le foglie di una pianta
inebriante, nel corso di una complessa cerimonia che tanti, nella loro tetragona
ignoranza, avrebbero ritenuto diabolica. Lui però, era certo che i sacrifici rivolti allo
spirito della foresta sarebbero giunti al cielo, accolti di buon grado anche dall’unico e
vero Dio, di cui quegli uomini inermi erano figli, come tutti coloro che, in altre
contrade, calcavano la nuda terra.
“Ecco la pipa sacra” pensò con una fitta al cuore. «Provala» aveva raccomandato a
Gerolamo: «il rito della pipa che passa di mano in mano, è segno di amicizia, nelle
Americhe...». Bernardo, chino a mani giunte sotto il peso dei ricordi, non sentì
nemmeno entrare il cappellano.
«Dio sia con voi, padre. So che eravate amici da tanti anni, voi e Sua Eminenza,
anche se spesso manifestavate opinioni contrarie.»
«Parlate come se gli usi barbarici di un pugno di esseri brutali fossero paragonabili
alla nostra luminosa civiltà, dimostrando di essere in preda alla stessa malia che ha
intossicato il domenicano Bartolomeo» scosse la testa il segretario. «E comunque, c’è
molto di più: è necessario comprendere come il problema degli indigeni americani
vada inserito in un contesto più vasto di opportunità politiche, per non arrecare offesa
ai governatori delle loro Maestà Cristianissime, i re di Spagna e Portogallo.»
«Ma si tratta di vite umane e di anime immortali ! » protestò livido il gesuita.
«Può darsi, può darsi... in ogni caso, ora che Sua Eminenza è venuto a mancare, le
vostre discutibili opinioni hanno molte più probabilità di venire ascoltate dal Santo
Padre, rimasto privo del più valido e intransigente dei suoi consiglieri» sibilò
acidamente il segretario.
Bernardo tacque. “Inutile prendersela con un morto” si disse, gli amerindi
sarebbero stati sterminati ugualmente, con o senza battesimo. Ma la Chiesa di Cristo
non poteva, non doveva avallare il massacro...
«Voglio che sappiate, padre Bernardo» proseguì il segretario, visibilmente
risentito, «che Sua Eminenza aveva preso in seria considerazione il vostro punto di
vista, studiando i manufatti indigeni in ogni dettaglio. Proprio ieri notte, poco prima
di morire, esaminava ancora la pipa: l’abbiamo trovata sotto la poltrona, dev’essergli
rotolata là quando è mancato.»
«Volete dire che...» sgranò gli occhi il gesuita.
«Sì, aspirare le vostre foglie è stato il suo ultimo gesto terreno: non c’è bisogno di
dire che le ho fatte immediatamente analizzare dal medico» insinuò il cappellano con
sussiego, come a precisare che a Roma non ci si fidava dei gesuiti. «Pare si tratti di
una nuova pianta americana da fiuto, che gli eccentrici cominciano ad annusare anche
in Europa: assolutamente innocua, come è stato già appurato» ammise, quasi con
rincrescimento.
«Lo chiamano tabacco» spiegò Bernardo con voce spenta.
«Sua Eminenza ha voluto provarlo di persona, dopo aver fatto sperimentare
all’assaggiatore quelle vostre tisane dal sapore orribile...»
«Allora sosterrai che gli abitanti delle Americhe non sono degni di essere accolti
come nostri fratelli nell’abbraccio della redenzione? Non protesterai per l’eccidio di
cui sono spietatamente fatti oggetto, non leverai il pastorale a difendere i perseguitati,
gli inermi, i reietti?» aveva chiesto Bernardo con la voce incrinata.
«Mi dispiace, non posso: il momento è difficile e poco opportuno.»
«Ma stanno uccidendoli tutti, Gerolamo. Li macellano come animali, li fanno
morire di inedia...»
«La questione verrà ridiscussa in futuro: la Chiesa ha tempi lunghi.»
«La Chiesa o Sua Eminenza il cardinal Gerolamo, che conta sull’appoggio di
Spagna e Portogallo nel prossimo conclave?» aveva obiettato livido il gesuita.
«Attento a quello che dici, Bernardo!» era impallidito il cardinale.
«Capisco, non insisterò più. Ti chiedo ancora una cosa, in nome della nostra
vecchia amicizia, un solo gesto, che ti sembrerà sciocco: tira qualche boccata dalla
pipa che ti ho portato, nelle Americhe è un segno di pace. Metti i pezzi di tabacco nel
fornello e accendilo, poi aspira forte: sentirai un aroma penetrante e la mente ti si
schiarirà... non pensare a me, allora, pensa agli uomini che per generazioni si sono
passati quella cannula, e chiediti se hai il diritto di rifiutare loro la vita in terra, e
quella eterna, in Cielo!»
Poi il gesuita se n’era andato, il manto nero svolazzante come un nefasto presagio.
Ora era troppo tardi per convincere il suo vecchio compagno, pensò Bernardo,
inginocchiandosi davanti al feretro.
“Sì, amico mio, hai mantenuto la promessa” disse fra sé avvicinandosi al fastoso
catafalco dove giaceva immobile il principe della Chiesa, ricoperto dai lussuosi
paramenti purpurei. “Non ti servono il manto e la mitra, ora che gli orpelli della tua
potenza terrena sono polvere. In morte, sei nudo davanti alla verità, come uno
qualsiasi dei selvaggi sterminati nelle Americhe.
Ora sai che c’è tanto da imparare dagli altri popoli, nel bene e nel male. Hai
scoperto il meccanismo della molla imprigionata nella cera, responsabile della tua
morte, che è noto da secoli nel Catai. Quando hai acceso il fornello della pipa, la cera
si è sciolta e ha fatto scattare la molla, liberando una punta che ti si è conficcata in
gola, così profondamente da non lasciar traccia visibile....
Il miscuglio di veleni in cui era intinto l’ago è ancora sconosciuto da noi, ma gli
indigeni delle Americhe lo chiamano curaro.
Les Roberts
Scritto col sangue
Radisson accese una pipa di radica riempita di un tabacco così aromatico che ne sentivo il profumo anche da spento. Un buon profumo. Secondo me, quasi tutti i fumatori di pipa sfruttano il complesso cerimoniale di preparazione del loro strumento per riflettere con calma. Era quello che anche Radisson stava facendo. Disse, alla fine: — Siccome sono sicuro che, prima o poi, lo verreste a sapere, è meglio che ve lo dica subito io. Buck Weldon ha intenzione di citarmi.
Sbarrai gli occhi. La vita era ancora piena di sorprese. — In base al numero di copie vendute de L’angelo della vendetta, Buck pretende molto più di quanto gli abbiamo potuto offrire noi.
— A quanto ammonta la richiesta di Buck?
— I legali stanno ancora trattando, ma la cifra si aggira sul mezzo milione di dollari.
— Salata.
— Potete dirlo forte! — Tirò una boccata dalla pipa. Si agitò sulla sedia, mentre io lo fissavo.
Poi dissi: — Posso farvi ancora qualche domanda? — Annuì. — Se finirete in tribunale, sarete voi a vincere?
Il fumo blu della pipa si perse sopra la valle.
Adam Hall
Matto in sedici mosse
L’uomo alzò di scatto il capo e un fiocco di cenere cadde, tra i pezzi degli scacchi, dalla sua pipa di schiuma.
— Un lavoro?
— Sì. Oggi. Potrebbe anche essere drammatico, perché ha a che fare col teatro.
— Niente. Non voglio trovarmi a tu per tu con prime donne acclamate che perdono braccialetti di brillanti, pellicce di visone o cagnolini ringhiosi e si fanno venire crisi isteriche.
— Mi fai parlare o no?
— Oh! — borbottò lui, fissando la Regina nera su cui era caduta la cenere della pipa. — Avanti. Che c’è?
— C’è questo. Si tratta d’una giovane donna. Si chiama Nicole Pedley. Non è un’attrice, ma è innamorata d’un attore. Ed è sposata.
— Ma non all’attore di cui è innamorata.
— No. Ma ci dev’essere qualcosa di più.
— Me lo figuro. Un bambino. Di quanti anni?
— Niente bambino. Tutto quello che posso dirti è che stasera lei ti aspetta, alle sei, al Dutch Inn. Qualcuno le ha fatto il tuo nome. Siccome sei un famoso criminologo, potresti essere capace di ritrovare un tizio che si chiama Trafford. Sarebbe l’attore di cui è innamorata e che sembra sparito. Basta questo, per cominciare?
L’uomo si alzò e prese a camminare su e giù per la stanza. Il sole ora batteva sul tappeto persiano ravvivandone le tinte.
— Sì. M’interessa. Ti sono molto grato, Gorry.
La signorina Gorringe, che da molti anni gli faceva da segretaria e governante, era grassoccia e aveva un bel po’ di anni più di lui. Lo guardò con gli occhi chiari, di cui sapeva celare qualsiasi espressione in qualsiasi occasione.
— Ecco tutto, Ugo — brontolò. — Sono la solita stupida che ti sta probabilmente cacciando in qualche nuovo guaio. Parola d’onore, a volte preferirei che tu andassi a lavorare in cima a un campanile o in fondo a una miniera. Quasi quasi mi sentirei più sicura.
Lui smise di camminare e fece un viso compunto.
— Ho mai rischiato la pelle? — domandò.
— Ma se non fai altro! — ribatté lei. — Pensa al mese scorso, quando misero quella bomba nel tuo aeroplano...
— Be’, l’ho sbattuta fuori, no?
— Già, ma che cosa sarebbe successo se non l’avessi vista?
— Sarei stato sbattuto fuori io. D’accordo, non posso sempre cavarmela. Ma posso sempre tentare, no?
Schiacciò, con una penna stilografica, la cenere nel fornello della pipa e si frugò in tasca per cercare i fiammiferi. Lei gliene porse una scatola.
— Comunque — proseguì lui — quella era una banda di pazzoidi. Invece questo romanzetto amoroso fra le quinte che hai scovato per me, mi sembra meno pericoloso di una partita a briscola.
La signorina Gorringe si strinse nelle spalle, soffiando sulla cenere caduta sulla regina nera.
Le maglie d’oro del braccialetto di Nicole brillarono alla luce gialla degli abat-jour. Le lunghe dita di lui pigiarono qualche filo di tabacco nella pipa di schiuma.
— Devo prendere appunti?
— Magari. Non fosse che per rimanere sveglia intanto che io mi imbarco in un lungo monologo. Dopo li potrai archiviare oppure bruciare a tuo piacimento.
Lei tirò fuori taccuino e matita, andandosi a sedere su una sedia meno comoda per essere sicura di rimanere bene sveglia. Bishop appoggiò i gomiti al tavolo, lasciando che il fumo della pipa gli salisse alle nari, come fosse incenso.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #453 il:
14 Agosto 2010, 11:09:32 »
Oscar Wilde
Ritratto di Mr. W.H.
Ero stato nel teatro circolare dal tetto aperto e
gli ondeggianti stendardi: avevo visto la scena parata di nero per una
tragedia o adorna di gaie ghirlande per qualche rappresentazione più
vivace. I giovani bellimbusti coi loro paggi prendevano posto davanti al
sipario giallastro, sospeso ai pilastri scolpiti del boccascena. Erano
insolenti ed eleganti nei loro fantasiosi vestiti. Alcuni portavano i boccoli
alla francese, giustacuori rigidi, coperti di ricami d'oro, all'italiana, e
lunghe calze di seta celesti o paglierino. Altri, tutti in nero, ostentavano la
moda spagnola dei grandi cappelli piumati. Giocavano a carte soffiando
sottili arabeschi di fumo dalle pipe che i paggi accendevano per loro,
canzonati dai garzoni di bottega e dagli scolari oziosi che gremivano la
piazza. Ma essi non scambiavano sorrisi che tra di loro. Nei palchi laterali
sedevano alcune donne mascherate.
Edgar Wallace
La Mano Rossa
- Si accomodi, ispettore - disse indicando con la mano una sedia. - Una
sigaretta?
L'ispettore sorrise.
- Troppo dolci per me - disse - io fumo la pipa.
- La riempia dunque - disse il professore con un leggero sorriso.
E non gli fece l'insulto di offrirgli il suo tabacco perché sapeva che ogni
fumatore di pipa che si rispetta ha la propria miscela di tabacco che non
solo non ama cambiare ma che difende accanitamente.
- Ebbene? - domandò il professore mentre l'altro riempiva
metodicamente la sua pipa.
Phillips Oppenheim
Il Corriere Scomparso
Poi, presa una borsa
di tabacco, si riempì la pipa. Non seppe resistere, e ritornò in cucina, pur
vergognandosi della sua debolezza. Prese uno sgabello e si sedette nel
punto preciso dove aveva scoperto Anna Cox, intenta ad ascoltare. Stette lì
per dieci minuti buoni, senza sentire il più lieve rumore. Alla fine scattò in
piedi.
— Ma è naturale, si tratta di una pazza! — mormorò.
Tornato nel salotto, si versò un bicchiere di whisky e seltz, riaccese la
pipa che si era spenta, e si accomodò nella profonda poltrona accanto al
fuoco. Il vento infuriava, scuotendo senza posa le imposte delle finestre.
Sbadigliò, cercando di convincersi che aveva sonno.
Alfred E.W. Mason
La Belva
Seguì un silenzio
interrotto da Stirland che cavò di tasca un portasigarette.
— Posso offrirvene una?
— Vi ringrazio; se permettete fumerò la mia pipa.
Il colonnello represse a stento un sospiro. Incominciò a calcolare quante
sigarette si potevano fumare per ogni pipata; una intanto, certamente,
mentre la pipa veniva riempita e accesa.
Generalmente una delle cose che più interessano le persone che avete
nominato poco fa, persone della mia classe sociale, sono i cavalli; non è
così?
— Lo suppongo — disse Thorne sorpreso.
— Il tratto che unisce noialtri, è che dei cavalli non ce ne importa niente.
Thorne prese per buona quella ragione e cessò le sue domande; ma si era
rabbuiato. Sarebbe basta quest'ultima spiegazione per persuaderlo che
Stirland non era neanche lontanamente della razza dell'uomo di cui lui
andava in cerca.
— Sono spiacente di avervi disturbato — disse spegnendo la pipa.
F.W. Crofts
Il Mistero Di Starvel
Lasciò la via maestra e si addentrò nella brughiera. Sedutosi per terra nel
pallido sole autunnale, con le spalle appoggiate contro un masso, riempì
lentamente la pipa, l'accese e proseguì il filo delle sue meditazioni.
Ma il tempo passava con lentezza mortale. Si mise a seguire il lento corso
del sole in cielo, fece innumerevoli pipate della sua speciale miscela di
tabacco; e intanto rimuginava la tragica vicenda in cui era impegnato e
fantasticava sul suo avvenire.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #454 il:
18 Settembre 2010, 10:43:31 »
Jack Kerouac
Non era fatto come noi,molto di più!!!
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=818&biografia=Jack+Kerouac
Sulla Strada
(On The Road) tratta del suo incontro con Neal Cassady e di quella che lui stesso definì la mia vita sulla strada alla maniera degli hobo. Questo romanzo, pubblicato solo nel 1957, fu classicamente definito il manifesto della beat generation, ovvero quel movimento culturale americano che gravitava attorno ad autori come Allen Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Gary Snyder, Michael McClure, Charles Olson e ovviamente Jack Kerouac, che influenzò profondamente la società del tempo.
Un sacco d'individui diventano
molli a far la guardia ai detenuti, e son proprio quelli che di solito si
mettono nei pasticci. Prendiamo te adesso: da quel che ho potuto osservare
di te, mi sa che tu sei un po' troppo acconscendente con gli uomini.» Alzò
la pipa e mi guardò severamente. «Se ne approfittano, capisci.»
Noi gli piombammo addosso come una nuvola, tutti affamati, persino
Alfredo, l'autostoppista storpio. Hingham indossava un vecchio golf e
fumava la pipa nell'aria pungente del deserto. Sua madre si presentò e ci
invitò a mangiare nella sua cucina. Cucinammo vermicelli in una grossa
pentola.
Poi andammo tutti con la macchina a una rivendita di liquori all'incrocio,
dove Hingham incassò un assegno di cinque dollari e mi diede il denaro.
Mi
pareva che sarei morto da un momento all'altro. Ma non morii, e camminai
per sei chilometri e raccolsi dieci lunghe cicche e me le portai nella stanza
all'albergo di Marylou e ne versai il tabacco nella mia vecchia pipa e
l'accesi. Ero troppo giovane per capire quel che era avvenuto. Alla finestra
annusai il profumo di tutti i cibi di San Francisco.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #455 il:
18 Settembre 2010, 12:43:20 »
Susana Fortes Lòpez
Susana Fortes (Pontevedra, 1959) è una scrittrice e giornalista spagnola.
Laureata in Geografia e Storia all'università di Santiago di Compostela, e in Storia americana all'università di Barcellona, unisce la sua passione per i romanzi con il lavoro come professoressa a Valencia. Ha tenuto conferenze negli Stati Uniti d'America (Louisiana e California).
Quattrocento
l'odore che avvolgeva la biblioteca, lo stesso aroma vagamente coloniale
che avevo sentito sui vestiti del professor Rossi fin dal primo giorno, senza
tuttavia riuscire a decifrarlo. Un odore prettamente maschile, solido, come
tostato a fuoco. Lo vidi riempire la pipa da marinaio di piccoli filamenti
scuri e dorati, finissimi, che aveva estratto con parsimonia da una scatola
di latta col marchio Cornell & Diehl. Appoggiò la testa contro lo schienale
del divano, facendo un lungo tiro e, attraverso quella nube di fumo
aromatico, che avvolse il mio universo sensoriale, d'un tratto riemerse uno
strato profondissimo della memoria: vidi una bambina, quasi dimenticata,
che giocava con le cartine sul tavolo di cucina di una casa di pietra nel
centro storico di Santiago.
Gli odori che hanno plasmato la nostra anima sono anche vie diconoscenza e di attrazione. Ecco perché non è affatto strano che ci si
commuova a causa di un profumo; a causa di quel movimento che
allontana una pipa dalla bocca, seguito dall'abbassarsi del braccio e dallo
sguardo che va verso una finestra e si appunta su un giardino illuminato da
lampioni bianchi; per via di un polso ossuto, simile a una piccola isola, che
spunta dalla manica del maglione; per l'amore che ci chiude la bocca prima
che si possa pronunciare il suo nome. Ma come si può nominare la persona
di cui ci si è innamorati, mi chiedevo, se è qualcuno cui hai sempre dato il
lei, qualcuno che ha quasi il doppio della tua età, che ti fa da relatore e che
è anche stato amico di tuo padre? È impossibile. Non si può. Ci sono
distanze insuperabili.
Il professor Rossi mi servì dell'altro tè, mentre mi raccontava
pacatamente non so quale vicenda che illustrava la ferocia nella politica
fiorentina del XV secolo. Per me, in quel momento, era come se mi stesse
parlando del Paleolitico inferiore. Sembrava essersi dimenticato
completamente di ciò che gli era successo nelle ultime ore. Senza dubbio
non dava l'impressione di essere appena uscito dall'ospedale, né di avere
da poco subito un furto. Nessuno che avesse ricevuto una simile notizia
avrebbe potuto continuare a fumare la pipa e a parlare dell'onore dei
Medici come se niente fosse. Delle due, l'una, pensai: è matto oppure
davvero non gli interessa granché di ciò che potrebbe succedergli.
Provai dunque a concentrarmi su
ciò che stava dicendo.
«Quando la necessità di vendicarsi s'infiltrava nella politica, non esisteva
nessun limite. Era permessa qualsiasi atrocità», concluse. La mia cartelletta, piena di fogli attentamente redatti e stampati, era sul tavolo,
accanto alla scatola di latta col tabacco della Virginia. C'erano caduti sopra
alcuni filamenti dorati e il professore li spostò col lato della mano. Poi
slegò gli elastici della cartelletta, prese i fogli con la mano sinistra e passò
il pollice destro sulle pagine, come se le stesse contando. «Vedo che hai
lavorato parecchio. Con profitto, spero.»
«Anch'io lo spero», replicai, sorridendo, lasciandogli intendere che
attendevo con impazienza il suo verdetto.
«Quello che non riesco a capire, Ana, è perché non mi hai raccontato
delle tue conversazioni all'Archivio con quel tipo... Come hai detto che si
chiama?»
«Bosco Castiglione», risposi.
«Be', no, non capisco, Ana. Non lo so... Sembra che tu non ti fidi di
me.» Aveva appoggiato la pipa su un piattino rettangolare. Mi sembrò che
nella voce ci fosse un pizzico di delusione.
«Va bene. Allora raccontami cosa c'è di nuovo.
Quali novità hai scoperto?» disse con un sorriso vago, cercando di
cambiare discorso e indicando i fogli sul tavolo.
Prese la pipa della pace dal posacenere e la riaccese, proteggendo la
fiamma del fiammifero con l'incavo della mano. L'aria tornò a riempirsi di
quelle fragranze d'oltremare che molto tempo fa, quando ogni avventura
iniziava con un racconto, impregnavano le sentine delle navi cariche di
spezie e foglie di tabacco. E allora io gli parlai della confessione del
soldato.
Dopo aver esaminato i quaderni di Masoni dalla prima all'ultima pagina,
ero arrivata alla conclusione che, per sviscerare il complotto contro i
Medici, dovevo allontanare il mio sguardo dal punto focale, ovvero da
papa Sisto IV e da Ferdinando I d'Aragona, e prestare maggiore attenzione
ad alcuni personaggi secondari.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #456 il:
18 Agosto 2011, 18:21:19 »
E' troppo caldo per qualsivoglia attività,propongo qualche brano mentre me ne stò al fresco.
Jon Fasman
La biblioteca dell'alchimista
Lei è Paul? domandò con una voce tonante e un forte accento. Il suo
odore di pipa e stantio mi raggiunse prima di lui. Mi chiamo Tonu
Phapaev. Io e la sua amica stiamo tenendo una sorta di
commemorazione... una piccola veglia, potremmo dire... per il mio povero
fratello minore.
Piacere di conoscerla. Non sapevo che Jaan avesse dei parenti.
Oh, si Oh, si Non molti, naturalmente. Ormai soltanto me. Un vecchio
e un altro vecchio. Ridacchiando con aria distratta, si diede dei colpetti
alle tasche dei cascanti pantaloni di velluto a coste e ne estrasse una tozza
pipa marrone, una confezione di tabacco Shipman's e una scatola di
fiammiferi. Anche lei conosceva Jaan? I baffi e la barba erano ingialliti
intorno alla bocca, e dovette strofinare il fiammifero tre volte contro la
striscia ruvida prima di riuscire ad accenderlo. Una volta accostatolo al
fornello della pipa, tornò a sedersi con la stessa prudenza ed esitazione con
cui si era alzato.
Ho un vecchio passaporto di Jaanja a casa.
Forse due. Vede, un proverbio russo dice: "Senza un pezzetto di carta, che
cosa sei? Con un pezzetto di carta sei un uomo". Ridacchiò si agità sulla
poltrona e diede boccate alla pipa finchè gli occhi gli si accesero di
arancione, come se fossero illuminati dall'interno.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #457 il:
18 Agosto 2011, 18:26:13 »
3 o 4 post per segnalare fumate e impieghi della pipa molto eterodossi
C. Mortmain
Non solo il dragone
Il fuoco interiore è l'amore divino. Lo scoprii
dopo essermi scottato la mano con una
manifestazione del fuoco esteriore mentre
cercavo di accendermi la pipa appeso a testa
ingiù a una trave del tetto.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #458 il:
18 Agosto 2011, 19:40:15 »
Pipe come armi inproprie,oppure pipe minacciose.
Oriana Fallaci
Un uomo
No, nel fisico non vedevo proprio nulla che mi potesse innervosire o
incantare. E allora? Forse la voce.
Quella voce che al solo gorgogliare ciao sei venuta era entrata in me come una
coltellata: gutturale, profonda, intrisa d'una indefinibile sensualità. Oppure
l'autorevolezza con cui ti muovevi e trattavi la gente? Andrea! La calma di chi è
molto sicuro di se e non ammette repliche a ci che dice perché non ha dubbi su ci
che dice. Avevi tirato fuori una pipa, l'avevi caricata flemmatico, l'avevi accesa
flemmatico, t'eri messo a fumarla con lunghe boccate da vecchio, e ci sottolineava
il distacco con cui rispondevi alle mie domande.
Posasti la pipa, mi afferrasti
entrambe le mani, le stringesti forte bucandomi gli occhi con gli occhi. Sei qui, ci
siamo trovati.
E stavolta la domanda suonò come un colpo di frusta.
Sì, Alekos, sbaglio. Stai riproponendo lo stesso sbaglio di cinque anni fa: ho già
spiegato che le dittature non si cancellano facendo l'eroe solitario o eliminando da
soli un tiranno.
Si cancellano educando le masse alla rivolta collettiva, alla lotta organizzata.
Sennò, morto un tiranno, ne viene un altro e tutto riprende come prima. Vidi i
tuoi denti mordere con forza la pipa. sicché io non sarei servito a nulla, non servo
a nulla.
Ad esempio i bruschi cambiamenti d'umore che ora ti
trasformavano in un fanciullo ora in un vecchio, l'uno e l'altro estranei all'uomo
che avevo conosciuto e che il mondo credeva di conoscere: tuttavia fusi in lui
come due fiumi in un mare. Il vecchio camminava a testa china, le spalle curve,
non si staccava mai dalla pipa che fumava lento, con gli occhi socchiusi,
L'unico atto di guerra al quale
indulgevi, sia uscendo di casa che rientrando, era brandire la pipa come una
spada: impugnarla cioè dalla parte del fornello. Sai che arma è questa? Se uno ti
aggredisce non hai che infilargliela in un occhio. E se manchi l'occhio? E lo
stesso, ovunque tu colpisca fai un buco. Purché il bocchino sia lungo, s'intende, e
non curvo. E guai a replicare che sarebbe stato meglio avere una rivoltella, che
avrei comprato una rivoltella, che l'avrei tenuta in borsa.
Niente armi! Te lo proibisco! La tua fiducia nell'uso bellico della pipa col bocchino
lungo e non curvo era così illimitata da renderti sordo ad ogni mia perplessità e,
del resto, non ti avrei mai visto con una rivoltella in mano.
Tu che passavi per un
dinamitardo, un cultore di esplosivi e di armi, assalti alle caserme, resistenza
armata, per le armi avevi come una ripugnanza fisica. Non sapevi nemmeno
usarle, non eri nemmeno capace di imbracciare correttamente un fucile da
caccia: tenevi il calcio basso, non ci appoggiavi la guancia, e mancavi sempre
l'obiettivo. Anche se questo era un uccello addormentato su un ramo a due metri.
Poi ti consolavi dicendo: Se lo rivedo, quello lì, gli dò un colpo di pipa e lo stendo!
Parcheggiasti accanto alla Cadillac nera che s'era fermata all'imbocco del garage.
Impugnasti la pipa dalla parte del fornello. Scendesti. Vieni. Obbedii. Nel garage
non c'era nessuno, oltre ai tre. E neanche nel vicolo. Unico segno di vita, l'ombra
di un gatto che balzava via muto nella luce verdognola dell'insegna al neon.
Guardali. I tre ci attendevano l'uno accanto all'altro. Petto in fuori, mani sui
fianchi, gambe divaricate: la posa dei picchiatori. Il terzo, impacciato da un
pacchetto cilindrico che reggeva nell'incavo del braccio sinistro. Si assomigliavano
curiosamente: stesso ghigno, stessa corporatura, stessa carnagione olivastra,
stessi baffetti a virgola. E stesso abbigliamento da poveri, pantaloni sformati,
giacca consunta, cravatta a sghimbescio. Non ci voleva molto a capire che non
erano loro i proprietari della Cadillac e che il cervello dell'intera faccenda era
stato l'uomo dai capelli grigi. Ma proprio perché si trattava di semplici esecutori,
di tre disgraziati in vendita per poche dracme, il pericolo era grosso e, d'istinto,
ficcai la mano destra nella borsa: fingendo d'agguantare un'arma che
naturalmente non esisteva. Gesto non del tutto inutile, forse, ma del quale il tuo
mostruoso coraggio non aveva bisogno. Gli occhi fermi, le mascelle serrate,
avanzavi adagio verso di loro, così adagio che tra un passo e l'altro sembrava
gocciolare l'eternità, e ogni muscolo del tuo volto emanava un furore talmente
gelido e incontrollabile che non sembravi più un essere umano bensì una belva
vestita da essere umano. Avanzando ansimavi, li fissavi e ansimavi, e quando gli
fosti davanti ti fermasti: per squadrarli, uno a uno, con esasperata lentezza. Dopo
averli squadrati battesti il bocchino della pipa sul pacchetto cilindrico e, senza
che nessuno dei tre si ribellasse o facesse un gesto o dicesse una parola,
scandisti nella mia lingua e nella tua:
Vedi, questa è una bomba. Non una bomba da tirare a un tiranno: una bomba da
tirare sulla gente. E questo è un fascista greco, un servo senza coglioni. Un servo
della Cia e del Kyp e di Averoff . Dopo aver detto così girasti intorno a loro due
volte, col solito passo, la solita esasperata lentezza, poi ti fermasti davanti a
quello che stava nel mezzo, gli agguantasti la cravatta, gliela tirasti ripetutamente
con colpi secchi e sprezzanti: Anche questo è un fascista greco. Neanche questo,
vedi, ha coglioni. Anche questo è un servo della Cia e del Kyp e di Averoff. Infine,
e sempre senza che i tre si ribellassero o facessero un gesto o dicessero una
parola, sicché io non credevo ai miei occhi e continuando a tenere la mano dentro
la borsa pensavo non è possibile che se ne stiano lì intirizziti a lasciarsi insultare,
sbeffeggiare, non è normale, tra poco gli salteranno addosso e lo massacreranno,
ti dedicasti al terzo.
Sollevasti la pipa, gli appoggiasti il bocchino sul cuore, glielo pigiasti due volte sul
cuore come se fosse un coltello e: Anche lui. Non si direbbe vero? Guarda che
mani. Colpo sulle mani. Guarda che giacca. Colpo sulla giacca. Guarda che
faccia.. Colpo sulla faccia. Si direbbe un figlio del popolo. Tutti e tre si direbbero
figli del popolo. In un corteo passerebbero per figli del popolo. E invece sono servi
senza coglioni, fascisti. E lo sai cosa faccio io ai servi senza coglioni, ai fascisti?
Lo sai? Non c'era nulla che tu potessi fargli. Assolutamente nulla.
Eri solo con una pipa e una donna che, impacciata da un abito lungo, fingeva di
stringere una rivoltella inesistente. Se uno dei tre si fosse svegliato, saremmo
stati massacrati in un lampo. E lo sapevi. Per con la coda dell'occhio avevi notato
finalmente il mio bluff e ora te ne servivi per puntare sulla sorte: rouge ou noir le
jeuest fait rienneva plus. O la va o la spacca. O si vive o si muore. Nell'uno e
nell'altro caso che importa.
L'altro braccio era invece piegato ad angolo retto sul cuore dove la mano stringeva
la pipa. Quanto agli occhi, fermissimi, puntavano il presidente come una preda:
ignorando di proposito Hazizikis e Teofilojannacos, quasi che tu non li avessi mai
conosciuti. Raggiungesti il microfono. Infilasti la mano destra nella tasca della
giacchetta. Portasti la pipa spenta alla bocca e: Devo chiedere a questo
tribunale... Vidi le immobili maschere dei giudici in uniforme ravvivarsi nello
stupore e il visuccio del presidente sbiancare: Lei non chiede nulla! E il tribunale
che chiede! Dica soltanto quando e dove è stato detenuto! Fatti e non giudizi,
inteso? Un lampo. Ecco perché il veto posto ai fotografi e agli operatori della Tv ti
serviva; ecco perché, appena t'era giunta la notizia di quel veto, avevi accettato di
andare a deporre; ecco perché eri entrato a quel modo, senza degnar d'uno
sguardo Teofilojannacos o Hazizikis: per attaccar rissa e dire ad alta voce ci che
avresti voluto dire nell'aula di Koridallos, e cioè che i veri imputati ormai non
erano i mascalzoni sotto giudizio bensì coloro che li processavano per la propria
convenienza. Be', allora non restava che trattenere il fiato e aspettare lo scoppio.
Togliesti la pipa di bocca. La levasti a mo' di lancia: Sono stato detenuto dal 13
agosto 1968 al 21 agosto 1973, signor presidente, e parlerò di fatti precisi. Solo
fatti, signor presidente, e fatti che del resto sono già a conoscenza di cotesta Corte
perché io non ho avuto bisogno che cambiasse il regime per accusare gli imputati
in questa aula: per risparmiare tempo lei non avrebbe che leggere le mie denunce
di sette anni fa, ovviamente ignorate dalla magistratura al servizio di
Papadopulos. Tali denunce si trovano nel fascicolo che sta sotto il suo naso. Ma
pongo una condizione per ripetere quei fatti: che lei si rivolga a me con civiltà,
usando il mio nome e cognome, chiamandomi signore anzi signor deputato, e
spiegando perché ha proibito ai fotografi e agli operatori della Tv di assistere alla
mia testimonianza. E il suo ministro della Difesa Evanghelis Averoff che glielo ha
imposto? Testimoneee! Incurante dell'urlo, la pipa colpì l'aria due volte: Ripeto la
domanda, signor presidente. E il suo ministro della Difesa Evanghelis Averoff che
glielo ha imposto? Testimoneee! Sono io che pongo le domandeee! E io vi
risponderò purché lei si giustifichi. Testimone! Lei dimentica dov'è! Non lo
dimentico.
Sono in un tribunale militare per deporre sulle colpe di uomini che ho
combattuto per sette anni mentre i magistrati come lei li servivano. Sono in
un'aula dove si processano torturatori le cui vittime lei condannava applicando le
leggi della dittatura. Un'aula dove vengo trattato con minor rispetto di quello che
mi era riservato dai magistrati di Papadopulos.
«
Ultima modifica: 18 Agosto 2011, 19:42:51 da Aqualong
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #459 il:
19 Agosto 2011, 00:44:18 »
Molto strane anche le pipe di Harry Potter.....
J.K. ROWLING
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
Per essere un posto famoso, Il paiolo magico era molto buio e dimesso. Alcune vecchie erano sedute in un angolo e sorseggiavano un bicchierino di sherry. Una di loro fumava una lunga pipa. Un omino col cappello a cilindro stava parlando al vecchio barman, completamente calvo, che sembrava una noce di gomma. Il sordo brusio della conversazione si arrestò al loro ingresso. Sembrava che tutti conoscessero Hagrid; lo salutarono e gli sorrisero, e il barman prese un bicchiere dicendo: «Il solito, Hagrid?»
«Non posso, Tom, sono in servizio per Hogwarts» disse il gigante dando una grossa pacca con la manona sulla spalla di Harry, al quale si piegarono le ginocchia.
«Buon Dio!» esclamò il barman scrutando Harry. «Questo è... non sarà mica...?»
Nel locale cadde d'un tratto il silenzio; tutti si immobilizzarono.
«Mi venisse un colpo...» sussurrò con un filo di voce il vecchio barman. «Ma è Harry Potter! Quale onore!»
Uscì di corsa da dietro il bancone, si precipitò verso Harry e gli afferrò la mano con le lacrime agli occhi.
«Bentornato, signor Potter, bentornato!»
Harry non sapeva che cosa dire. Tutti lo guardavano. La vecchia continuava a dar tirate alla pipa senza accorgersi che si era spenta.
HARRY POTTER E IL PRIGIONIERO DI AZKABAN
«Che cosa sai di Hogsmeade?» chiese Hermione curiosa. «Ho letto che è l'unico insediamento completamente nonBabbano di tutta la Gran Bretagna...»
«Sì, credo di sì» disse Ron in tono sbrigativo, «ma non è per quello che mi attira. Io voglio assolutamente andare da Mielandia!»
«Che cos'è?» chiese Hermione.
«È un negozio di dolci» disse Ron con aria sognante, «dove hanno di tutto... Le Piperille, che ti fanno uscire il fumo dalla bocca, e dei Cioccoli giganti ripieni di crema alla fragola e panna, e certe deliziose penne d'aqui
la di zucchero che puoi succhiare in classe e sembra che tu sia lì a pensare che cosa scrivere...»
«Ma Hogsmeade è un posto molto interessante, vero?» insistette Hermione entusiasta. «In Siti Storici della Stregoneria c'è scritto che la locanda è stata il quartier generale della Rivolta dei Folletti nel 1612, e la Stamberga Strillante dovrebbe essere l'edificio più infestato dai fantasmi di tutto il paese...»
«...ed enormi palline frizzanti che ti alzano da terra mentre le succhi» disse Ron, che evidentemente non aveva ascoltato una parola del discorso di Hermione.
C'erano scaffali su scaffali di dolci e caramelle, i più deliziosi che sì potessero immaginare. Blocchi di torrone cremoso, quadretti rosa lucenti coperti di glassa al cocco, mou color del miele; centinaia di tipi diversi di cioccolato disposti in pile ordinate: c'era un barile di Gelatine Tuttigusti + 1, e un altro di Api Frizzole. le palline di sorbetto levitante di cui aveva parlato Roti; lungo un'altra parete c'erano le caramelle Effetti Speciali; la SuperPallaGomma di Drooble (che riempiva una stanza di palloni color genziana che si rifiutavano di scoppiare per giorni interi), i curiosi frammenti di Fildimenta Interdentali, le minuscole Piperille nere («sputate fuoco davanti ai vostri amici!»), I Topoghiacci («per far squittire i vostri denti!»), i Rospi alla Menta («saltano nello stomaco come se fossero veri!»), fragili piume di zucchero filato e bonbon esplosivi.
HARRY POTTER E L'ORDINE DELLA FENICE
Che razza di nome è Mundungus?
Il nome ideale per uno che puzza come lui. È un'antica parola che indica il tabacco maleodorante o
qualsiasi cosa odori di spazzatura. (DAVID COLBERT)
Era poco meno tetra dell'ingresso di sopra, una stanza cavernosa con le pareti di pietra viva. La luce proveniva per lo più da un gran fuoco all'altra estremità. Una cortina di fumo di pipa aleggiava nell'aria come vapori di battaglia, attraverso cui affioravano indistinte le forme minacciose di pesanti pentole e padelle di ferro appese al soffitto buio. Molte sedie erano state stipate nella stanza per la riunione, attorno a un lungo tavolo di legno, carico di rotoli di pergamena, calici, bottiglie di vino vuote, e un mucchio di quelli che sembravano stracci. Al capo del tavolo il signor Weasley e il suo figlio maggiore Bill parlavano piano, con le teste vicine.
«La riunione è finita, Dung» disse Sirius, e si sedettero tutti al tavolo attorno a lui. «Harry è arrivato».
«Eh?» fece Mundungus, scrutando cupo Harry attraverso i capelli rossicci impastati. «Accidenti, allora è arrivato. Sicuro... stai bene, Harry?»
«Sì» rispose.
Mundungus frugò nervosamente nelle tasche, senza smettere di fissare Harry, ed estrasse una pipa nera incrostata di sporcizia. Se la ficcò in bocca, accese il fornello con la bacchetta e trasse una bella boccata. Enormi nuvole fluttuanti di fumo verdastro lo oscurarono in pochi secondi.
«Ti devo le mie scuse» grugnì una voce dal centro della nube odorosa.
«Per l'ultima volta, Mundungus» gridò la signora Weasley, «vuoi smetterla di fumare quella roba in cucina, soprattutto quando stiamo per mangiare?»
«Ah» disse Mundungus. «Giusto. Scusa, Molly».
Mundungus ripose la pipa in tasca e la nube di fumo svanì, ma un acre odore di calzini bruciati rimase nell'aria.
«Sto cercando la professoressa Caporal» spiegò Harry. «La mia civetta è ferita».
«Una civetta ferita, hai detto?» La professoressa Caporal apparve alle spalle della McGranitt; fumava la pipa e teneva in mano una copia del La Gazzetta del Profeta.
«Sì» disse Harry, sollevando con cautela Edvige dalla spalla, «è arrivata dopo gli altri gufi e ha l'ala strana, guardi...»
La professoressa Caporal si ficcò la pipa tra i denti e prese Edvige, sotto gli occhi della McGranitt.
«Mmm» mormorò, muovendo appena la pipa mentre parlava. «Sembra che sia stata aggredita, ma non riesco a immaginare da cosa. A volte i Thestral attaccano gli uccelli, certo, ma Hagrid ha addestrato quelli di Hogwarts a non toccare i gufi».
HARRY POTTER E IL PRINCIPE MEZZOSANGUE
Soffitto e pareti erano stati ricoperti da arazzi color smeraldo, cremisi e oro: sembrava di essere dentro un'enorme tenda. La sala era affollata, calda e inondata dalla luce rossa di un elaborato lampadario d'oro appeso al soffitto: dentro svolazzavano delle vere fate, ciascuna una lucente scheggia di luce. Voci accompagnate da mando
lini cantavano in un angolo remoto; un'aura di fumo di pipa aleggiava sulle teste di molti stregoni anziani immersi in conversazione, e un certo numero di elfi domestici si faceva strada strillando nella foresta di ginocchia, portando pesanti vassoi d'argento carichi di cibo, tanto da sembrare tavolini errabondi.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #460 il:
19 Agosto 2011, 09:48:26 »
Storia inedita nel nostro paese apparsa a puntate negli USA sul più famoso dei "Pulp"Weird Tales, agosto, settembre, ottobre, novembre,
dicembre 1931, gennaio, febbraio, marzo 1932 col titolo The Wolf-Leader, in francia pubblicata in antologia nel 1857 titolo:
Le Meneur Des Loups
Alexandre Dumas
Il Signore Dei Lupi
Lo rivedo nei miei ricordi con un cappello a tricorno, una giubba verde con bottoni d'argento, calzoni corti di velluto a co-ste, alte ghette di cuoio, carniere a tracolla, fucile imbracciato, una corta pipa in bocca.
Parliamo un momento di questa pipa. La pipa era diventata non un accessorio, ma una parte integrante di Mocquet. Nessuno poteva dire di averlo mai visto senza la sua pipa. Quando, per puro caso, non la teneva in bocca, la teneva in mano. Questa pipa, destinata ad accompagnare Mocquet in mezzo ai più fitti bo-schi, doveva presentare la minor presa possibile ai corpi solidi che avrebbero potuto distruggerla. E la distruzione di una pipa ben stagionata sarebbe stata per Mocquet una perdita alla quale solo gli anni avrebbero potuto porre rimedio.
L'abitudine di non separarsi mai dalla sua pipa, che si era scavata una specie di nido tra il quarto incisivo e il primo molare di sinistra, facendo sparire quasi completamente i due canini, aveva provocato in Mocquet il formarsi di un'altra abitudine; quella di parlare a denti stretti, il che dava a tutto ciò che diceva un carattere di ostinazione. Carattere che diventava ancora più accentuato quando si toglieva momentaneamente la pipa di boc-ca, quando cioè nessun ostacolo impediva alle sue mascelle di chiudersi e ai suoi denti di serrarsi, dimodoché le parole gli u-scivano di bocca simili a una specie di fischio appena intelligibi-le.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #461 il:
20 Agosto 2011, 00:35:34 »
Una storiella ancora proveniente dai Pulp, "Uknown" del dicembre1941
Viene evocato un demone che poi infesta una pipa,incredibile ,tenuto conto ,poi,che era una pipa inglese.
Anthony Boucher
Snulbug
Niente funziona mai bene», aggiunse, mesto. «Neppure con lei».
Bill si sedette e si riempì la pipa. Evocare i demoni non era poi una cosa tanto terrificante. Aveva un che di tranquillo e confortevole. «Oh, sì, funzionerà», disse. «Questo è a prova di errore».
«È quello che pensano sempre tutti. La gente...» Il demone guardò con nostalgia il fiammifero, quando Bill si accese la pipa. «Ma tanto vale che la finiamo subito. Che cosa vuole?»
«Senti, mio buon amico dalla chioma di serpenti. Non è questione di che cosa ti piace oppure no. Ti piacerebbe venir lasciato in quel pentacolo, senza nessuno che ti butti i fiammiferi?» Snulbug rabbrividì. «Lo pensavo. Ora, dimmi: puoi viaggiare nel futuro?»
«Ho detto, un po'».
«E...» Bill si sporse in avanti e tirò con forza dalla sua pipa , mentre poneva la domanda cruciale, «... puoi riportarne indietro oggetti materiali?»
Snulbug parve interessato più alle calde nuvolette di fumo della pipa che alla domanda. «Certo», disse, «nel limite del ragionevole lo posso...» s'interruppe e alzò gli occhi con aria miseranda. «Non intende dire che... Lei non può voler ricorrere a quell'espediente trito e ritrito?»
Bill troncò le sue parole: «Allora, non appena ti avrò liberato da quel pentacolo, tu dovrai portarmi il giornale di domani».
Snulbug si sedette sul fiammifero bruciato e si batté addolorato la fronte con la punta della coda. «Lo sapevo», gemette, «lo sapevo. È già la terza volta che mi capita. Io ho poteri limitati, sono un demonietto meschino, ho un nome buffo, perciò è inevitabile che mi tocchi intraprendere missioni insensate».
Bill fece schioccare le dita. Ecco! Quella era la sua possibilità. Tornò a cacciarsi la pipa in bocca, s'infilò alla meno peggio il soprabito, si ficcò l'inestimabile quotidiano in tasca, e fece per uscir fuori. Ma si arrestò e si guardò intorno. Si era dimenticato di Snulbug. Non avrebbe dovuto esserci una sorta di congedo ufficiale?
Quel piccolo, lugubre demonio non si vedeva da nessuna parte. Né dentro il pentacolo, né fuori di esso. Neppure il più piccolo segno della sua presenza. Bill si accigliò. Questo, decisamente, sfidava il metodo scientifico. Accese automaticamente un fiammifero e lo tenne sospeso sopra il fornello della sua pipa.
Un intenso sospiro di piacere uscì dalla pipa.
Bill si tolse la pipa di bocca e la fissò. «Così, ecco dove ti eri cacciato!» disse, pensoso.
«Gliel'ho detto che il salamandrismo è dominante», dichiarò Snulbug, cacciando la testa fuori dal fornello. «Voglio venire anch'io. Voglio proprio vedere che razza di figura da sciocco ci farà». La sua testa scomparve nuovamente in mezzo al tabacco ardente, brontolando qualcosa d'incomprensibile sui giornali e gli incantesimi, e irradiando dosi massicce del più desolato disprezzo nei confronti degli uomini.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #462 il:
20 Agosto 2011, 11:43:54 »
«Quando Sol est in Leone
bonum vinum cum popone
et tabacum cum pipone».
(Pneumatico da Pergamo)
BOILEAU NARCEJAC
I DIABOLICI
Alle nove meno un quarto avevano bevuto un bicchierino di cognac, per ridarsi coraggio. Poi Ravinel si era tolto le scarpe, aveva indossato la sua vecchia vestaglia, bucherellata sul davanti da scintille cadute dalla pipa. Lucienne aveva preparato la tavola. Non avevano trovato più niente da dirsi.
«Riconosci la stanza, eh?... Appena il letto e l'armadio... Nessuno sotto il letto e nessuno nell'armadio... Senti!... Annusa... più forte... Sì, c'è odore di pipa, perché fumo prima di addormentarmi... Ma se pensi di trovare una traccia di profumo, puoi scommetterci... Nella stanza da bagno, adesso... E in cucina, sì, ci tengo...»
Aprì, per gioco, la dispensa. Mireille si asciugava gli occhi, cominciava a sorridere attraverso le lacrime. Lui le fece fare dietrofront, bisbigliandole all'orecchio: «Allora, convinta?... Bambina! In fondo, non mi dispiace che tu sia gelosa... Ma fare un simile viaggio... In novembre! Ti hanno dunque raccontato delle cose tanto orribili?»
Si vedevano, dietro i vetri appannati dei caffè, delle ombre cinesi. Un naso, una grande pipa, una mano aperta che, di colpo, s'ingrandiva, sembrava una frattura a stella, e delle luci, tante luci... Ravinel aveva bisogno di vedere delle luci, di riempire di luce quell'involucro di carne, improvvisamente troppo grande per lui. Fermò davanti alla "Brasserie de la Fosse", s'infilò nella porta girevole dietro una ragazza alta e bionda che rideva. Si trovò in un altro fumo, quello delle pipe e delle sigarette, serpeggiante tra le facce, appiccicato alle bottiglie che un cameriere portava in giro su un vassoio.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #463 il:
22 Agosto 2011, 18:11:56 »
Ho letto con grande piacere!
Grazie Aqualong
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Aqualong
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #464 il:
23 Agosto 2011, 22:05:17 »
Un grande quesito esistenziale del fumatore:
Fumo per il mio piacere,oppure, il mio piacere è mostrarmi con la pipa in bocca.
Non mi mostro con la pipa,o, non mi può fregare di meno.
Fumo la pipa che più mi piace,oppure quello che c'è scritto sulla pipa.
Fumo pipe costose per ostentarle in giro,fumo quelle che soddisfano il mio palato.
La gente che mi vede con la pipa deve dire "ma che czz fuma quello" etc...
Poi anche l'autoerotismo spirituale in contemplazione della pipa,con tutte le auto giustificazioni del caso.
Insomma avere per essere o essere,apriamo una fumosa meditazione.
John Franklin Bardin
REQUIEM PER PHILIP BANTER
Il dottor George Matthews terminòdi infilare il tabacco nella pipa di schiuma, accese
un fiammifero e tiròvigorosamente qualche boccata fino a quando la sua testa
non fu circondata da una nuvola di fumo. Il fornello della pipa dai colori delicati rifletteva
allegramente un raggio di sole che filtrava da una delle finestre a volta del
club. Matthews teneva la pipa a una certa distanza da s‚, e di tanto in tanto le lanciava
degli sguardi ammirati: era un bell'oggetto, un esempio eccellente di artigianato reperibile
solo in Svizzera prima della guerra e ora indubbiamente insostituibile. Continuando
ad ammirare la pipa, Matthews si rivolse a Philip: Quella tua segretaria mi
sembra un po' una scocciatrice, Phil dissee non ti biasimo quando dici che ti arrabbi
con lei. Peròsento che sei anche molto teso, e dalla tua espressione intimidita e
chiusa mi viene da pensare che ci sia qualcos'altro.
Inoltre, ho notato una certa Angst in
quella telefonata frettolosa con la quale mi chiedevi di pranzare con te oggi e, se posso
dirlo, un'apprensione quasi traumatica. "Banter" mi sono detto "Š piuttosto turbato."
Riportò lentamente la pipa alla bocca, con cautela, come se fosse stato il pezzo di un apparecchio da laboratorio.
Dimmi, non ho ragione?
Matthews parlò in tono aperto, cercando di calmarlo. Tu hai detto che il dattiloscritto
"prediceva". Eppure, sostieni che si presentava come una "Confessione" scritta
dal tuo amico. Non ti sembra una contraddizione?
Si sarebbe portati a pensarlo, vero? E questa Š una delle ragioni per cui ho definito
quello che Š successo al mio amico un'illusione. Philip allontanòla sedia dal
tavolo e accavallòle gambe. Ma lui dice di no. Dice che sebbene il dattiloscritto
fosse intitolato "Confessione" e dichiarasse che gli eventi raccontati erano accaduti la
sera prima, i fatti descritti non si erano effettivamente verificati se non dopo la lettura,
e cioŠ quella stessa sera. Perciòla "Confessione" era una profezia a tutti gli effetti.
Matthews prese la pipa, la riempi di tabacco che poi premette per bene. Gli piaceva
davvero il forte aroma del fumo e si vantava di essere un collezionista di pipe; ma la
sua abitudine gli dava anche un vantaggio pratico, oltre che estetico. Un uomo che
traffica con la pipa puòrestare in silenzio per lunghi intervalli ed essere libero di osservare
ciòche fa il suo interlocutore: uno stratagemma assolutamente necessario per
uno psichiatra. Per questo le pipe di Matthews avevano bisogno di essere curate pi—
sovente di quelle della maggior parte dei fumatori; cosi, quando trafficava con fiammiferi
e scovolini, i suoi pazienti non si accorgevano dello sguardo del medico che li
stava scrutando. Adesso, mentre usava quel trucchetto con Philip, Matthews era sempre
più consapevole dell'ansia che attanagliava il suo amico.
Matthews appoggiò la pipa tra il piattino e la tazza. Sebbene non la tenesse più in
mano, con un dito continuava a sfiorarla e ad accarezzarne il fornello, traendo piacere
da quel tepore. Dovrai dirmi qualcosa di più di questo tuo amico, prima che possa
rispondere a una domanda del genere. Che lavoro fa?
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