Mario Rigoni SternStoria di TonleQuando il carbonaio si fu allontanato su per il sentiero
dello Snealoch, si sedette sopra un sasso al sole e
accese la pipa. Ma se gli occhi guardavano le pecore il
pensiero era altrove. Ricordava come tanti anni prima
nella caserma di Budejovice marciava in rango sotto lo
sguardo del maggiore von Fabini e poi ancora, quando
si cambiò governo, a Verona, nella caserma dei Paloni,
a marciare ancora in rango sotto lo sguardo del colonnello
Heusch cavalier Nicola.
Ma che strano, pensò, sotto l'Austria avevo un
comandante con il nome italiano e sotto l'Italia un comandante
con il nome austriaco. Ma poi fumando la
pipa e ancora pensando concluse che non era strano affatto;
i signori, sia Italia sia Austria, sono sempre signori
e per la povera gente, sia l'uno o sia un altro a comandare,
non cambia niente.
Anche Stefano e Toni misero la polenta sulla brace,
ma dopo aver chiesto il permesso. Parlarono di selvaggina,
domandarono dove avesse alzato per l'ultima
volta i galli e le pernici bianche. Mangiarono; levarono
da tasca le vesciche di maiale con il tabacco da sentieri
e fumarono la pipa in silenzio; bevettero un sorso
d'acqua.
Tonle batté il fornello della pipa sul palmo della
mano e indicò con il bastone la radnra tra i mughi dove
aveva alzato due o tre galli giovani dell'anno, poi il
rivone nudo di pietre ed erba gialla dove aveva visto
alla pastura le pernici bianche.
- Forse, - disse poi, come seguendo un pensiero fisso,
- i governi si fanno la guerra perché hanno paura
che i popoli si sveglino e prendano troppa forza.
La mattina di buon'ora del giorno ventiquattro
Tonle aveva guidato le pecore verso i soliti pascoli; poi
si sedette ad accendere la pipa e a godersi il giorno.
Senti dapprima come un brontolio per il cielo, poi uno
scoppio lontano. Si alzò in piedi e guardò attorno; non
vide niente ma ancora senti quel brontolio e lo scoppio
ripetersi, e susseguirsene altri piii numerosi. Allora
capi: era incominciata la guerra e i forti del Campolongo
e del Verena sparavano a quelli di Luserna e di
Vezzena.
Prima non ci aveva fatto caso, ma dopo aver sentito
quei colpi capi il perché. Per la terza volta, con mestizia,
riaccese la pipa; sentiva tristezza e anche rabbia
quasi da sentirsi cattivo anche lui per la crudeltà dei
governi e dei poeti che volevano la guerra. Per i generali,
pensava, fare la guerra è il loro mestiere, anche se
fare ammazzare la gente è il mestiere piu brutto; e forse
a vent'anni fare il soldato,
sia per l'uno o l'altro
governo o Stato, è come giocare, come un'avventura,
un'occasione di incontrare altra gente come te, o anche
motivo di fare vedere la propria forza, o anche per il
gusto di ribellarsi come fece il Tita Haus che dopo due
anni di compagnia di disciplina il maggiore von Fabini
dovette far rimandare a casa per indomabilità: quella
volta l'aveva fatto vergare davanti a tutto il battaglione
in rango e lui, dopo, calmo calmo si alzò dal cavalletto
tirandosi su i calzoni. I1 maggiore disse: - Soldato,
ne avete abbastanza? Ricordatevi che io ho il cuore
di ferro E il Tita Haus dopo essersi abbottonato
gli sputò sugli stivali rispondendogli: - Se lei ha il
cuore di ferro io ho il culo di bronzo E cosi, siccome
ormai le avevano provate tutte, lo rimandarono a casa.
Ecco, in questa maniera si poteva fare o non fare il
soldato, ma non sparare per ammazzarci tra povera
gente. E poi per chi? Questo pensava Tonle guardando
le sue pecore, tirando nella pipa e ascoltando il cannone
oltre 1'Ass.
Attratto dal battito e dal luccichio
dell'orologio appeso sopra la testiera si avvicinò piano
piano e allungò la mano per prenderlo. Tonle apri gli
occhi e con voce bassa disse in tedesco: - Non toccarlo,
bamboccio!
I1 soldato rimase di sasso e quando si riprese usci di
corsa, inciampando per le scale. Anche Tonle si alzò
appena il soldato usci in cortile, si mise in fretta le scarpe
e scese in stalla a prendere il tabacco per la pipa che,
intrecciato a corda, aveva nascosto sotto lo strame nell'angolo
piii buio. Ma nell'uscire si trovò davanti la
porta di casa una pattuglia di austriaci comandata da
un alfiere che subito gli si fece incontro dicendo in italiano:
- Siete una spia e vi dichiaro in arresto!
Tonle sputò per terra la saliva scura di cicca brontolando
qualcosa che l'ufficiale non capi interamente e
perciò gli chiese ancora in italiano: - Ma cosa dite?
Venite con noi !
La mancanza quasi assoluta di tabacco gli rendeva
impossibile la disciplina imposta dal comandante del
lager, von Richer. Mangiava anche poco perché la fetta
di pane nero e malcotto la scambiava, quando si presentava
l'occasione, con un pizzico di tabacco da pipa;
e la minestra della sera la dava di nascosto a una bimbetta
che gli ricordava troppo una sua nipotina. Gli
venne .anche la tentazione di barattare l'orologio contro
tabacco e una sera, dopo averlo tenuto nel palmo
della mano per un'ora giusta, decise di no: troppe cose
della vita erano legate a quelle ore, a quei movimenti
di molle e ruote, alle scritte attorno al quadrante:
gli era come rinunciare a tutto quello che era stato.
Perciò strinse i denti scuri contro la cannuccia della
pipa e quasi la stritolò.
Quella sera stessa, al tramonto, cercò un angolo
tranquillo dove fumare la pipa abbandonandosi ai ricordi
e alla nostalgia. Ma una guardia, che forse aveva
il suo stato d'animo, si avvicinò per parlare.
- Buona sera, nonno, -gli disse. -Come va?
- Fumo, - rispose Tonle.
- Vedo. Ma perché vi tengono qua dentro? Quanti
anni avete?
- Piu di ottanta.
- Di che paese siete?
Non rispose subito. Levò la pipa di bocca e lo fissò
in viso.
Al prete ticinese fu permesso di girare il campo e
quando nel sopralluogo vide solitario e da una parte il
nostro sdegnoso vecchio che guardava assorto delle foglie
di tasso verbasco che aveva messo a essiccare al
sole al fine di poi fumarsele nella sua pipa nera, crostosa
e insalivata, si avvicinò per osservarlo meglio. Si avvicinò
ancora e il vecchio non alzò gli occhi ma quando
vide l'ombra di un uomo sulle foglie disse: - Spostati,
devono seccare.
Anche Tonle Bintarn scese tra i primi tenendo in
braccio la bimbetta che poi lasciò alla madre, e non
avendo con sé niente e non vedendo niente che potesse
ora trattenerlo, si avviò con passo deciso e con la pipa
spenta tra i denti verso una luce tenue che vedeva in
fondo in fondo ai binari e che avrebbe potuto essere il
fanale di coda di un altro treno.
Era invece il posto di ristoro per i militari in transito.
Li dentro era caldo e fumoso e facendosi largo senza
tanti complimenti si avviò al bancone. Bruscamente
un sergente gli chiesecosa volesse lui là dentro e da dove
veniva. Lui piu bruscamente ancora con due parole
gli disse da dove veniva e cosa cercava: tabacco per la
pipa.
Intanto un soldato che era tra gli altri si avvicinò
guardandolo fisso: - Si, - disse dopo, - è lui. Non siete
quel pastore che tre anni fa sulle montagne, quando
abbiamo fatto i tiri, vi abbiamo ordinato di ritirarvi
nel bosco con le pecore? - Anche Tonle lo guardò fisso
in viso e riconobbe il giovane artigliere che gli aveva
chiesto delle pecore e dei pascoli perché anche lui era
pastore in Sardegna. Gli sembrò di avere ritrovato
quello che aveva perduto. Ecco, pensò dopo un attimo,
ecco uno al quale si può chiedere un poco di tabacco,
e parlare e capirsi.
Ma il sergente si intromise dicendo che i civili li
dentro non potevano restare, al che i soldati sghignazzarono
in coro lanciando al suo indirizzo qualche aggettivo
che lo fece stare zitto e moscio.
I due pastori che una singolare circostanza aveva
fatto rincontrare si awiarono al bancone dove il piii
giovane ordinò mezzo litro di vino e offri al vecchio un
astuccio di carta con cinque mezzi toscani. Era ormai
un anno che sognava un tabacco cosi e nel palmo della
mano sbriciolò mezzo sigaro: una buona parte la calcò
nella pipa e l'altra la mise in bocca per masticarla.
Il vecchio fumava lentamente e con tanto avido gusto,
fumava e raccontava con poche parole la sua avventura
e quella delle pecore. Poi anche il soldato gli
raccontò le sue vicende; quindi il vecchio scuci con le
unghie il bordo della giacca, levò una moneta di cinque
lire d'argento e ordinò ancora vino.
Sentiva che il cuore dopo tanto finalmente si riscaldava,
e dopo il tabacco e la pipa si accorse di avere anche
tanta fame e cosi ordinò pane e formaggio e ancora
un litro di vino per i soldati che si erano awicinati
intorno per ascoltarlo.
Si sentiva bene ora, non c'erano piu rumori di battaglia
ma solamente un vento leggero tra i rami degli ulivi.
Scendeva la sera e anche la pianura verso il mare si
rasserenava: il cielo prendeva il colore dell'acqua marina.
Si sedette sotto un ulivo, ricaricò l'orologio senza
sapere che le ore trascorse di quel giorno erano quelle
di Natale; accese la pipa, si appoggiò al tronco dicendo
a voce alta: - Sembra una sera di primavera, - e si
ricordò quella di tanti anni prima quando dal margine
del bosco aspettava che l'ombra della notte facesse
svanire il ciliegio sul tetto per rientrare in casa.
I1 mattino dopo il combattimento si era esaurito come
quando un temporale non trova piii nubi e saette. I
soldati si riposavano esausti sulle posizioni sconvolte
e i feriti venivano avviati verso le retrovie. I1 tenente
Filippo Sacchi doveva recarsi al comando del IX Gruppo
alpini, dal colonnello Scandolara, per rilevare e riferire
dati al comando della 52" Divisione; pensava
anche, nel tragitto, dato che la giornata era bella e
calma, d'entrare nell'abbazia di Campese, che era sulla
sua strada, per rendere omaggio alla tomba di Teofilo
Folengo.
Andava cosi soprappensiero quando nei pressi di
San Michele, dove i benedettini secoli addietro avevano
piantato quegli ulivi, vide un vecchio appoggiato a
un tronco, tranquillo e con la pipa in mano: - Buon
giorno! - gli disse. Ma non ebbe risposta. Forse è sordo,
pensò, e gli fece un cenno con la mano. Nemmeno
al cenno rispose e quando gli fu vicino si accorse che
era morto. Si guardò attorno, subito non vide nessuno,
poi senti un passo sulla strada che girava sopra e
chiamò. Venne un soldato piuttosto scalcagnato, con
elmetto in testa e mantellina a tracolla. - Scendi giù
gli disse il tenente, - dobbiamo fare qualcosa. C'è un
vecchio morto.
