Autore Topic: Autori con la pipa in bocca  (Letto 364665 volte)

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #300 il: 17 Maggio 2008, 14:58:52 »
ROBERT HOLDSTOCK

Custode di arcani segreti, popoli antichi e sciamani, la foresta è forse una delle ambientazioni più frequenti nei libri dell’inglese Robert Holdstock che, nato nel 1948 nel Kent, zona ricchissima di boschi e parchi, si dedica esclusivamente alla scrittura dal 1975, dopo aver studiato zoologia fino a quel momento.
I riconoscimenti ricevuti per libri e racconti sono tanti, sia nel Regno Unito che nel mondo
The Hollowing
Abbiamo trovato alcune tracce di Lytton, appena visibili, finché non siamo giunti a un fuoco, non lontano dal fiume, sotto uno strapiombo roccioso, e a ciò che restava di un riparo fatto di corteccia e rami. Il fuoco era stato preparato tra alcune pietre, e sopra una di esse, un mucchietto di tabacco da pipa parzialmente consumato, attestava il passaggio di Lytton.

La terza sera udirono un suono di piffero e tamburo arrivare da una radura nella foresta, ed ella la aggirò tenendosi a grande distanza, per evitare ogni pericolo. Richard invece si avvicinò senza far rumore al piccolo falò e vide i tre soldati in divisa, se
duti alla luce delle fiamme. Uno di loro si stava esercitando con un sottile flauto, un altro faceva suonare allegramente il suo tamburo e il terzo fumava una lunga pipa di terracotta.

All'interno, al riparo nella guardiola, Lytton e McCarthy si stringevano attorno a un fuoco. Il secondo era affaccendato a infilare del cibo in spiedini di legno, il primo fumava la sua pipa nera scrivendo appunti sul suo diario. Quando sollevò lo sguardo e li vide arrivare, il suo viso si allargò in un ampio sorriso. Li salutò con le ricche sonorità del suo accento scozzese. «Felice di vedervi! Avete fatto buon viaggio?»


MARKUS HEITZ
è uno scrittore e giornalista tedesco.

All'università ha studiato Letteratura tedesca e Storia, e dal 2000 lavora come giornalista freelance.

Die Rache Der Zwerge

Fidelgar passò un dito sugli angoli della scatoletta, ne aprì la chiusura e sollevò il coperchio lentamente: ne uscì un odore di spezie e acquavite, e apparvero degli oggetti bruni, lunghi e spessi come un dito. «Sigari.»
Uno dei loro mercanti è stato qui e se li è portati dietro. Non potevo non comprarli.» Prese uno dei sigari e lo porse a Baigar. «Sono foglie di tabacco, rollate e marinate nelle spezie; o con delle spezie dentro.»
Baigar annusò il sigaro, lasciando cadere le trecce della barba in avanti. «Se ne taglia un pezzo e lo si mette nella pipa?»
«No. Non c'è più bisogno della pipa. I Liberi hanno avuto un'idea che fa risparmiare tempo.» Fidelgar si alzò, si avvicinò alla forgia e con una tenaglia prese un pezzetto di brace. Si mise un'estremità del cilindro in bocca e tenne l'altra accostata alla brace. Il tabacco si accese scoppiettando. «E a questo punto si tira come se fosse una pipa», spiegò farfugliando. Tirò più volte senza respirare e socchiuse gli occhi compiaciuto. L'odore era molto buono, sapeva di vaniglia, miele e altre spezie imprecisate.
«Questa sì che è una buona idea.» Baigar prese un sigaro e imitò il compagno. Il fumo pareva più caldo e forte di quello di una pipa. E l'effetto era assai più percepibile: dopo poco gli vennero le vertigini. «Non credevo che il commercio coi Liberi ci avrebbe portato tanti vantaggi.» Agitò il sigaro
acceso. «E non intendo dire solo questa cosa qua. Pensa anche alla carne di gugul. E le loro erbe medicinali sono molto efficaci, a quanto si dice.»
Fidelgar s'infilò il suo sigaro in un angolo della bocca e aprì la borraccia. Riempì le tazze col liquido chiaro che vi era contenuto. «E hanno l'Acquadoro di Aureorifugio. È un liquore con un pizzico di foglia d'oro.» Incoraggiò Baigar con un cenno. «Ha un sapore eccellente.»
«Foglia d'oro? In un liquore?» Ne prese un piccolo sorso e masticò le sottili lastrine.

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #301 il: 22 Maggio 2008, 11:22:01 »
Pipe e sciamani nel genere fantasy..

HERBIE BRENNAN
Brennan si interessò alla psicologia fin da quando era bambino, e iniziò a leggere libri che trattavano questi argomenti molto precocemente, dedicandosi a ricerche e attività non ortodosse, come l’ipnosi. Iniziò a lavorare a 18 anni come giornalista, e all’età di 24 anni divenne il più giovane caporedattore d’Irlanda, maturando una grande esperienza in questo settore.
Quando era ancora ventenne scrisse il suo primo romanzo storico, e all’età di trent’anni decise di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Ha scritto più di cento opere fra romanzi e saggi per adulti, ragazzi e bambini. Le sue opere sono state tradotte in più di cinquanta paesi, fra cui l’Italia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, la Danimarca, la Francia, l’Australia, la Polonia , Israele, la Turchia e alcuni paesi dell’America Latina.

LA GUERRA DEGLI ELFI. IL NUOVO RE

L'omaccione accennò col pollice alla rampa successiva e tornò al suo "National Inquirer".
Due ragazzine introdussero Sulfureo nell'ufficio del signor Ho al primo piano, nascondendo risolini dietro le mani.
Il signor Ho occupava una logora poltrona di pelle e fumava qualcosa di resinoso in una lunga pipa d'argilla. I suoi occhi avevano le pieghe tipiche dei Notturni, ma non le pupille feline.
Si tolse la pipa di bocca e gratificò Sulfureo di un sorriso affabile. «Signor Sulfureo.»
«Signor Ho» rispose lui con un cenno. Si guardò attorno, vedendo soddisfatto che gli scaffali erano come sempre ben riforniti di libri e mercanzie varie.
«Mi scuso se non mi alzo in segno di deferenza alla sua veneranda età» disse Ho. Di nuovo il sorriso affabile. «Ma non sono in grado di riverirla degnamente a causa dei miei eccessi intossicanti.»
«Si figuri, signor Ho.»
«Tè, signor Sulfureo? O una pipata?»
«Niente, grazie. Posso informarmi sulla salute delle sue nipotine?»
Il signor Ho tornò a sorridere. «Eccellente, mi pregio d'informarla. Dall'anello al suo dito intuisco che si è sposato, signor Sulfureo. Posso a mia volta chiederle notizie sulla salute della sua riverita sposa?»
«Morta.»
«Capisco» commentò Ho con un cenno. «Lasciti?»
«Cospicui.»
Ho tirò un'altra boccata dalla pipa e sorrise. «Così è venuto a fare provviste, signor Sulfureo? Qualche gingillo da acquistare grazie alla sua fortuita eredità?»
«Cerco un grimoire, signor Ho.»

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #302 il: 22 Maggio 2008, 11:32:51 »
Ma anche sciamane....

Terry Tafoya

TUPILAK

Cominciò a pigiare il tabacco nella piccola pipa di pietra e fece salire in alto il fumo biancoazzurrino ed una preghiera.
Un vento leggero portò un profumo di sale che si mischiò con il fumo e Tingmiak si passò nervosamente le dita tra i capelli sottili.
«Ora poni la domanda che è la vera ragione per cui sei venuto» disse lei piano, così piano che per un attimo le parole rimasero sospese come il fumo, così piano che lui si chiese se l'aveva davvero sentita parlare.
«Che domanda?» sbottò poi con voce roca, come se avesse passato la notte a cantare.
«Su di te aleggia un odore del Potere più forte di quello del tabacco. Luccichi come ghiaccio bagnato. Solo coloro che sono prescelti sono così. Per quale altra ragione avresti cercato uno sciamano con un giocattolo caldo in mano e con il tabacco sotto le unghie, tanto forte l'hai stretto? Se devi seguire il cammino che si apre ora dinnanzi a te, devi imparare a parlare e a chiedere in modo diretto.»
«Allora posso fare domande?
«E così inizia» disse lei, con parole pesanti di fumo. Batté il fornelletto della pipa e le ceneri si versarono sulla sua mano. «Soffia in queste ceneri e fa' che questa sia la tua prima lezione. Gli sciocchi ci vedono risucchiare fuori le malattie e pensano che questo faccia parte del nostro potere, ma in verità la forza viene dal soffio. Soffia il tuo respiro sulla mia mano e continuiamo.»
Confuso, lui ammiccò e soffiò piano sulle ceneri proprio come avrebbe fatto per ravvivare un tizzone. Soffiò dolcemente, ma le ceneri si sparpagliarono come se il vento di tempesta del nord se ne fosse impadronito e caddero a terra con il suono cupo delle pesanti barre di piombo che i commercianti avevano riportato dal loro ultimo viaggio.
Ceneri grigie e nere si seppellirono sulla superficie della pelle di caribù che ricopriva il pavimento della sua casa di neve.
«Est» disse lei, tirando dalla pipa che fumava di nuovo anche se lui non l'aveva vista riempirla.
Mise da parte la coppa e la pipa e prese del pesce essiccato che gli offrì senza alcun gesto rituale. «Allontanati da qui senza guardarti indietro e vivrai fino ad un'incolore e fredda vecchiaia, senza mai essere in grado di assumerti le tue responsabilità. La scelta spetta a te.»
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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #303 il: 17 Giugno 2008, 18:39:59 »
mi permetto di aggiungere uno spezzone tratto dal capolavoro di Gustave Flaubert "madame Bovarie"; non tratta prettamente del nostro argomento preferito, quale è la pipa, ma del fumo del sigaro e dell'avversione che certe persone talvolta provano nei confronti di noi nobili fumatori.


Charles diede un'ultima occhiata ai finimenti, e vide qulcosa in terra, fra le gambe del cavallo; lo raccolse: si trattava di un portasigari ricamato, di seta verde, con uno stemma al centro, come la portiera di una carrozza.

- ci sono anche due sigari dentro- disse Charles -andranno bene per questa sera, dopo cena-
-ma tu fumi?-
-qualche volta, quando mi capita-

Si mise in tasca l'oggetto e frustò il cavallino.
Quando giunsero a casa, il pranzo non era ancora pronto. La signora andò in collera. Nastasie rispose con insolenza.

-se ne vada! Questo è prendere in giro, lei è licenziata!-

Il pranzo consistette in una zuppa di cipolle e in un pezzo di vitello all'acetosella. Charles, seduto di fronte a Emma, fregandosi le mani con aria soddisfatta, disse:

-comè piacevole ritrovarsi a casa propia!-

dalla cucina giungevano i singhiozzi di Nastasie. Charles era affezionato a questa povera donna, che si era occupata di lui e gli aveva tenuto compagnia per tante sere nell'inersia della sua vedovanza. Era la sua prima paziente, la prima persona che aveva conosciuto a Tostes.

-ma l'hai licenziata sul serio?- domandò infine.
-si, chi me lo impedisce?- rispose Emma.

Poi, mentre preparavano la camera da letto, andarono a scaldarsi in cucina. Charles si mise a fumare. Fumava sporgendo le labbra, sputando ogni minuto e allontanado il fumo a ogni boccata con la mano.

-ti fara male- disse Emma sdegnosamente.

Charles posò il sigaro e corse a bere un bicchiere d'acqua fredda alla pompa. Emma afferrò il portasigari e lo gettò in fretta in fondo a un cassetto. ...

CAPITOLO SUCCESSIVO

Spesso quando Charles era fuori, Emma andava a prendere nell'armadio, fra le pieghe della biancheria dove lo aveva nascosto, il portasigari di seta verde.
Lo guardava, lo apriva e ne aspirava l'odore della fodera, un mista di verbena e tabacco.

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Autori con la pipa in bocca
« Risposta #304 il: 18 Giugno 2008, 09:19:20 »
Mario Rigoni Stern
"l'autore era un autentico spirito
dei boschi, uno che aveva vissuto
veramente nella natura, che conosceva
i segreti delle selve, l'arte di cacciare,
di stare nel bosco, sulla montagna, tra
la neve, nel silenzio."
Mauro Corona
"Ho sempre avuto la sensazione di
conoscere personalmente i personaggi
e i luoghi dei racconti e dei romanzi di
Rigoni Stern, e non parlo solo dei racconti
di montagne, mi succede lo stesso
anche per quelli de Il sergente nella
neve o del dopoguerra.
Mi sembra che sia uno dei pochi
capace di parlare di cose importanti
senza farsi prendere la mano dall'enfasi
retorica della memoria."
Marco Paolini

Stagioni

Quando stava giocando
con i ragazzi e le ragazze della contrada, il nonno
aspettava che finisse la partita, non certo il gioco, per
dirgli di andare dal Mènego Nittar a comperargli il
quotidiano sigaro Virginia, che fumava alla sera, al solito
posto e al solito caffè. Gli aveva spiegato una volta,
e piu ripetuto, che doveva essere chiaro, sul biondo,
e la paglietta scorrere bene dal bocchino lungo tutto
il sigaro. Mènego, quando lo vedeva comparire nella
sua bottega, ansante per la corsa, gli metteva davanti
sul banco la scatola dei Virginia e lui sceglieva con attenzione.
Se non trovava il sigaro per il gusto del nonno
faceva aprire un altro mazzo. Costava ottanta centesimi,
quanto un chilo di farina da polenta; il nonno,
non sempre, gli lasciava una palanca per comperarsi
una pastina o «I1 monello», un giornalino per ragazzi.
Una sera, per la fretta di riprendere il gioco, sempre
correndo, intoppò il sigaro nei calzoncini, rompendolo,
e si presentò al nonno tutto mortificato; lui lo guardò
severo e gli diede una berrettata dicendo: - Questo lo
fumerò nella pipa. Vai a prendermene un altro e ricordati
per sempre che lo devi tenere in mano come
una candela accesa.

Segavo la legna nel cortile di casa. Mio nonno, seduto
sui gradini di pietra, mi osservava fumando la pipa.
La sega ben affilata penetrava dolcemente, con
buon suono, nel tronco di faggio e la segatura bianca
e odorosa di creosoto veniva a imbiancarmi le scarpe.
Ogni tanto alzavo la testa per guardare verso un
poggiolo dove c'era una ragazza che aspettavo ogni
giorno quando uscivamo da scuola. Sentivo che anche
lei, da lass6, seguiva il mio lavoro.
Improvviso mi giunse un odore pi6 leggero e pi6 fragrante
di quello della nebbia e guardando la montagna
vidi un grigiore tenue che scendeva sul bosco seguendo
la conformazione del terreno. A sera la neve giunse
sui tetti delle case, sulle strade, sulle labbra dei ragazzi
che aprivano la bocca verso il cielo da dove scendeva
luminosa.

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« Risposta #305 il: 18 Giugno 2008, 09:23:32 »
Grazie Enzo
"Bohhh tieniti le tue adorate dunhill e pipe da snobe i tuoi tabacchi da bancarella del mercato" Cit. toscano f.e.

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« Risposta #306 il: 18 Giugno 2008, 23:24:48 »
Mario Rigoni Stern

Storia di Tonle

Quando il carbonaio si fu allontanato su per il sentiero
dello Snealoch, si sedette sopra un sasso al sole e
accese la pipa. Ma se gli occhi guardavano le pecore il
pensiero era altrove. Ricordava come tanti anni prima
nella caserma di Budejovice marciava in rango sotto lo
sguardo del maggiore von Fabini e poi ancora, quando
si cambiò governo, a Verona, nella caserma dei Paloni,
a marciare ancora in rango sotto lo sguardo del colonnello
Heusch cavalier Nicola.
Ma che strano, pensò, sotto l'Austria avevo un
comandante con il nome italiano e sotto l'Italia un comandante
con il nome austriaco. Ma poi fumando la
pipa e ancora pensando concluse che non era strano affatto;
i signori, sia Italia sia Austria, sono sempre signori
e per la povera gente, sia l'uno o sia un altro a comandare,
non cambia niente.

Anche Stefano e Toni misero la polenta sulla brace,
ma dopo aver chiesto il permesso. Parlarono di selvaggina,
domandarono dove avesse alzato per l'ultima
volta i galli e le pernici bianche. Mangiarono; levarono
da tasca le vesciche di maiale con il tabacco da sentieri
e fumarono la pipa in silenzio; bevettero un sorso
d'acqua.
Tonle batté il fornello della pipa sul palmo della
mano e indicò con il bastone la radnra tra i mughi dove
aveva alzato due o tre galli giovani dell'anno, poi il
rivone nudo di pietre ed erba gialla dove aveva visto
alla pastura le pernici bianche.
- Forse, - disse poi, come seguendo un pensiero fisso,
- i governi si fanno la guerra perché hanno paura
che i popoli si sveglino e prendano troppa forza.

La mattina di buon'ora del giorno ventiquattro
Tonle aveva guidato le pecore verso i soliti pascoli; poi
si sedette ad accendere la pipa e a godersi il giorno.
Senti dapprima come un brontolio per il cielo, poi uno
scoppio lontano. Si alzò in piedi e guardò attorno; non
vide niente ma ancora senti quel brontolio e lo scoppio
ripetersi, e susseguirsene altri piii numerosi. Allora
capi: era incominciata la guerra e i forti del Campolongo
e del Verena sparavano a quelli di Luserna e di
Vezzena.

Prima non ci aveva fatto caso, ma dopo aver sentito
quei colpi capi il perché. Per la terza volta, con mestizia,
riaccese la pipa; sentiva tristezza e anche rabbia
quasi da sentirsi cattivo anche lui per la crudeltà dei
governi e dei poeti che volevano la guerra. Per i generali,
pensava, fare la guerra è il loro mestiere, anche se
fare ammazzare la gente è il mestiere piu brutto; e forse
a vent'anni fare il soldato,
sia per l'uno o l'altro
governo o Stato, è come giocare, come un'avventura,
un'occasione di incontrare altra gente come te, o anche
motivo di fare vedere la propria forza, o anche per il
gusto di ribellarsi come fece il Tita Haus che dopo due
anni di compagnia di disciplina il maggiore von Fabini
dovette far rimandare a casa per indomabilità: quella
volta l'aveva fatto vergare davanti a tutto il battaglione
in rango e lui, dopo, calmo calmo si alzò dal cavalletto
tirandosi su i calzoni. I1 maggiore disse: - Soldato,
ne avete abbastanza? Ricordatevi che io ho il cuore
di ferro  E il Tita Haus dopo essersi abbottonato
gli sputò sugli stivali rispondendogli: - Se lei ha il
cuore di ferro io ho il culo di bronzo  E cosi, siccome
ormai le avevano provate tutte, lo rimandarono a casa.
Ecco, in questa maniera si poteva fare o non fare il
soldato, ma non sparare per ammazzarci tra povera
gente. E poi per chi? Questo pensava Tonle guardando
le sue pecore, tirando nella pipa e ascoltando il cannone
oltre 1'Ass.

Attratto dal battito e dal luccichio
dell'orologio appeso sopra la testiera si avvicinò piano
piano e allungò la mano per prenderlo. Tonle apri gli
occhi e con voce bassa disse in tedesco: - Non toccarlo,
bamboccio!
I1 soldato rimase di sasso e quando si riprese usci di
corsa, inciampando per le scale. Anche Tonle si alzò
appena il soldato usci in cortile, si mise in fretta le scarpe
e scese in stalla a prendere il tabacco per la pipa che,
intrecciato a corda, aveva nascosto sotto lo strame nell'angolo
piii buio. Ma nell'uscire si trovò davanti la
porta di casa una pattuglia di austriaci comandata da
un alfiere che subito gli si fece incontro dicendo in italiano:
- Siete una spia e vi dichiaro in arresto!
Tonle sputò per terra la saliva scura di cicca brontolando
qualcosa che l'ufficiale non capi interamente e
perciò gli chiese ancora in italiano: - Ma cosa dite?
Venite con noi !

La mancanza quasi assoluta di tabacco gli rendeva
impossibile la disciplina imposta dal comandante del
lager, von Richer. Mangiava anche poco perché la fetta
di pane nero e malcotto la scambiava, quando si presentava
l'occasione, con un pizzico di tabacco da pipa;
e la minestra della sera la dava di nascosto a una bimbetta
che gli ricordava troppo una sua nipotina. Gli
venne .anche la tentazione di barattare l'orologio contro
tabacco e una sera, dopo averlo tenuto nel palmo
della mano per un'ora giusta, decise di no: troppe cose
della vita erano legate a quelle ore, a quei movimenti
di molle e ruote, alle scritte attorno al quadrante:
gli era come rinunciare a tutto quello che era stato.
Perciò strinse i denti scuri contro la cannuccia della
pipa e quasi la stritolò.

Quella sera stessa, al tramonto, cercò un angolo
tranquillo dove fumare la pipa abbandonandosi ai ricordi
e alla nostalgia. Ma una guardia, che forse aveva
il suo stato d'animo, si avvicinò per parlare.
- Buona sera, nonno, -gli disse. -Come va?
- Fumo, - rispose Tonle.
- Vedo. Ma perché vi tengono qua dentro? Quanti
anni avete?
- Piu di ottanta.
- Di che paese siete?
Non rispose subito. Levò la pipa di bocca e lo fissò
in viso.

Al prete ticinese fu permesso di girare il campo e
quando nel sopralluogo vide solitario e da una parte il
nostro sdegnoso vecchio che guardava assorto delle foglie
di tasso verbasco che aveva messo a essiccare al
sole al fine di poi fumarsele nella sua pipa nera, crostosa
e insalivata, si avvicinò per osservarlo meglio. Si avvicinò
ancora e il vecchio non alzò gli occhi ma quando
vide l'ombra di un uomo sulle foglie disse: - Spostati,
devono seccare.

Anche Tonle Bintarn scese tra i primi tenendo in
braccio la bimbetta che poi lasciò alla madre, e non
avendo con sé niente e non vedendo niente che potesse
ora trattenerlo, si avviò con passo deciso e con la pipa
spenta tra i denti verso una luce tenue che vedeva in
fondo in fondo ai binari e che avrebbe potuto essere il
fanale di coda di un altro treno.
Era invece il posto di ristoro per i militari in transito.
Li dentro era caldo e fumoso e facendosi largo senza
tanti complimenti si avviò al bancone. Bruscamente
un sergente gli chiesecosa volesse lui là dentro e da dove
veniva. Lui piu bruscamente ancora con due parole
gli disse da dove veniva e cosa cercava: tabacco per la
pipa.
Intanto un soldato che era tra gli altri si avvicinò
guardandolo fisso: - Si, - disse dopo, - è lui. Non siete
quel pastore che tre anni fa sulle montagne, quando
abbiamo fatto i tiri, vi abbiamo ordinato di ritirarvi
nel bosco con le pecore? - Anche Tonle lo guardò fisso
in viso e riconobbe il giovane artigliere che gli aveva
chiesto delle pecore e dei pascoli perché anche lui era
pastore in Sardegna. Gli sembrò di avere ritrovato
quello che aveva perduto. Ecco, pensò dopo un attimo,
ecco uno al quale si può chiedere un poco di tabacco,
e parlare e capirsi.
Ma il sergente si intromise dicendo che i civili li
dentro non potevano restare, al che i soldati sghignazzarono
in coro lanciando al suo indirizzo qualche aggettivo
che lo fece stare zitto e moscio.
I due pastori che una singolare circostanza aveva
fatto rincontrare si awiarono al bancone dove il piii
giovane ordinò mezzo litro di vino e offri al vecchio un
astuccio di carta con cinque mezzi toscani. Era ormai
un anno che sognava un tabacco cosi e nel palmo della
mano sbriciolò mezzo sigaro: una buona parte la calcò
nella pipa e l'altra la mise in bocca per masticarla.
Il vecchio fumava lentamente e con tanto avido gusto,
fumava e raccontava con poche parole la sua avventura
e quella delle pecore. Poi anche il soldato gli
raccontò le sue vicende; quindi il vecchio scuci con le
unghie il bordo della giacca, levò una moneta di cinque
lire d'argento e ordinò ancora vino.
Sentiva che il cuore dopo tanto finalmente si riscaldava,
e dopo il tabacco e la pipa si accorse di avere anche
tanta fame e cosi ordinò pane e formaggio e ancora
un litro di vino per i soldati che si erano awicinati
intorno per ascoltarlo.


Si sentiva bene ora, non c'erano piu rumori di battaglia
ma solamente un vento leggero tra i rami degli ulivi.
Scendeva la sera e anche la pianura verso il mare si
rasserenava: il cielo prendeva il colore dell'acqua marina.
Si sedette sotto un ulivo, ricaricò l'orologio senza
sapere che le ore trascorse di quel giorno erano quelle
di Natale; accese la pipa, si appoggiò al tronco dicendo
a voce alta: - Sembra una sera di primavera, - e si
ricordò quella di tanti anni prima quando dal margine
del bosco aspettava che l'ombra della notte facesse
svanire il ciliegio sul tetto per rientrare in casa.
I1 mattino dopo il combattimento si era esaurito come
quando un temporale non trova piii nubi e saette. I
soldati si riposavano esausti sulle posizioni sconvolte
e i feriti venivano avviati verso le retrovie. I1 tenente
Filippo Sacchi doveva recarsi al comando del IX Gruppo
alpini, dal colonnello Scandolara, per rilevare e riferire
dati al comando della 52" Divisione; pensava
anche, nel tragitto, dato che la giornata era bella e
calma, d'entrare nell'abbazia di Campese, che era sulla
sua strada, per rendere omaggio alla tomba di Teofilo
Folengo.
Andava cosi soprappensiero quando nei pressi di
San Michele, dove i benedettini secoli addietro avevano
piantato quegli ulivi, vide un vecchio appoggiato a
un tronco, tranquillo e con la pipa in mano: - Buon
giorno! - gli disse. Ma non ebbe risposta. Forse è sordo,
pensò, e gli fece un cenno con la mano. Nemmeno
al cenno rispose e quando gli fu vicino si accorse che
era morto. Si guardò attorno, subito non vide nessuno,
poi senti un passo sulla strada che girava sopra e
chiamò. Venne un soldato piuttosto scalcagnato, con
elmetto in testa e mantellina a tracolla. - Scendi giù
gli disse il tenente, - dobbiamo fare qualcosa. C'è un
vecchio morto.

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« Risposta #307 il: 19 Giugno 2008, 10:26:09 »
sono le pagine finali della Storia di Tonle. Notate come le accensioni della pipa  cadenzino le fasi verso il climax.
"Bohhh tieniti le tue adorate dunhill e pipe da snobe i tuoi tabacchi da bancarella del mercato" Cit. toscano f.e.

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« Risposta #308 il: 25 Giugno 2008, 23:19:13 »
BEN PASTOR
Laureata in Lettere con indirizzo archeologico presso l'università La Sapienza di Roma, subito dopo aver terminato gli studi si trasferisce negli Stati Uniti. Acquisita la cittadinanza statunitense (senza rinunciare a quella italiana), sposa un ufficiale dell'aviazione militare di lontane origini basche (da cui mutua legalmente il cognome Pastor), compie una rapida gavetta accademica, diventa docente di Scienze Sociali presso numerose Università (Ohio, Illinois, Vermont) e, nel contempo, accanto a un'intensa attività saggistica e didattica (con un raggio di interessi che spazia da Federico García Lorca agli studi sulla "mente genocidiale", dall'etnomusicologia al femminismo in letteratura, dall'archeologia greca e latina alla storia dell'emigrazione italiana).
Attualmente è docente di Scienze sociali presso il Vermont College delle Union University.

LA CANZONE DEL CAVALIERE
Poco più di un'ora» rispose Soler. «Volevo che restasse per la notte, era più sicuro che aggirarsi per strada, anche in una cittadina come Teruel. Ha molti nemici, laggiù.» Sotto lo sguardo indagatore di Walton, cercò un posto dove buttare la sigaretta. Quando Brissot gli indicò il pavimento, spense il mozzicone sotto la suola della scarpa. «Nemici politici e di altro tipo» specificò. «Gente invidiosa del suo successo, moralisti ipocriti delle classi più agiate. Federico non ne vuole parlare, ma io sono preoccupato per lui.»
Brissot fece un tiro di pipa, e Walton ebbe la netta impressione che si stesse chiedendo quando lui, Felipe, avrebbe deciso di condividere la notizia della morte di Lorca. «Mosko» gli disse in inglese «se sei impaziente puoi aspettare fuori.» Brissot si sfilò la pipa dalla bocca e rimase dov'era.

«Ma qualunque cosa Soler volesse riferire alle autorità nazionaliste, come potrebbe riflettersi su di noi? Non è che non sappiano che siamo qui. Cristo, noi e i fascisti ci stiamo seduti in braccio.»
«Allora va bene, scortiamo Soler a San Martìn e stiamo tranquilli.» Brissot scavò nel fornello della pipa con l'indice, grattandone le pareti. «Solo, visto che sembra sospettare che Lorca sia morto, starei molto attento a non far venire fuori niente della tomba. Quella è una cosa che non credo vorresti che i fascisti sapessero.»
L'americano stava per ribattere, ma cambiò idea. Si voltò verso Brissot, che si era infilato in tasca la pipa pulita.

Walton fece un cenno a Brissot quando si sedette accanto a lui, e chiese. «Com'è la faccenda?»
«Seria.»
«Fammi fare un tiro.»
Brissot gli passò la pipa. «Devi parlare con Rafael, Felipe. La situazione precipita.» Walton gli restituì la pipa con una smorfia e fece per levarsi in piedi, ma Brissot lo fermò. «Rafael non vuole sentire ragioni, e ha convinto praticamente tutti che è stato Valentin a rubare le nostre cose. Fra una settimana sarà troppo tardi. Devi parlargli stasera, o ci ritroveremo nei guai.»
Brissot si portò solennemente la pipa alla bocca. «Magari ci ha mentito.»
«No, Mosko, io gli credo. Sa solo che Federico è uscito da casa sua poco dopo le nove.»
«Bene. Quindi due uomini avrebbero prelevato Lorca con l'intento di sparargli. Ma perché avrebbero dovuto portarlo fin qui? Potevano ucciderlo in un vicolo qualunque di Teruel.»

Più tardi, rientrando in casa, vide che la partita a carte era finita. Brissot stava sulla soglia della porta a fumare a luci spente. Il fornello della pipa si illuminava appena ogni volta che aspirava il fumo. Disse a Walton: «Ero convinto che fossero stati i fascisti a uccidere Lorca, ma stasera Maetzu mi ha rimesso in testa il dubbio.»
«Già.» L'americano si arrotolò attentamente una sigaretta. «Gli ho chiesto della notte del dodici. Ha ucciso qualcuno.»
Walton chiuse gli occhi, e al buio riuscì a immaginare di essere lontano da lì. «Ti dico io che cosa accadrà adesso. Uno di questi giorni Maetzu si infilerà di soppiatto nel campo fascista e taglierà la gola al tedesco. Ce lo vedo proprio, è nel suo stile.»
«Lo dici come se fossi contrario.»
Walton si chinò sulla pipa di Brissot e si accese la sigaretta con la sua brace, attentamente. «Perché dovrei essere contrario a tagliare la gola di un tedesco? Nelle Fiandre l'ho fatto io stesso.»
Chemik se ne andò subito dopo per il suo turno di guardia, e uno a uno anche gli altri lasciarono la stanza.
«Scommetto che Maetzu ha sentito che hai incontrato il tedesco» commentò Brissot da sotto la nuvola di fumo di pipa quando rimasero soli.
Walton sputò sul pavimento. «Che gliene importa a lui o a chiunque di voi? Sono a capo di questo gruppo. Finché sarà così, tratterò col nemico come riterrò opportuno. Se ho bisogno di conferire con un fascista, e sia, ho bisogno di conferire con un fascista!»
Brissot parlò con la pipa in bocca. «Significa che l'hai incontrato più di una volta?»

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« Risposta #309 il: 25 Giugno 2008, 23:20:48 »
ROBERT McCAMMON
Nato a Birmingham nel 1952, Robert McCammon ha frequentato liceo e università in Alabama. Scoprì la passione per la scrittura al liceo, quando lesse un suo racconto durante la lezione di oratoria pubblica: gli altri studenti rimasero ipnotizzati, e McCammon cominciò la sua lunga e fortunata carriera.
Nel corso degli anni McCammon ha pubblicato 13 best-sellers e numerosi racconti brevi.
LA VIA OSCURA
Il reverendo si avvicinò al cavalletto. «Questa foto va benissimo», disse. «Sì, questa mi piace. Davvero molto! Quella luce mi toglie dieci anni, vero?»
Forrest sorrise e annuì. Tirò fuori un sacchetto di tabacco e una pipa di radica, e armeggiò per riempirla. La accese dopo due tentativi e cominciò a riempire di fumo la stanza. «Sono contento che le piaccia», disse sollevato.
«Ma», riprese in tono calmo Falconer, «mi piacciono più di tutti il messaggio e la scritta del secondo manifesto».
«Oh, possiamo combinarli in qualunque modo lei voglia. Nessun problema».
Falconer avanzò finché non si trovò con il viso a pochi centimetri dalla sua stessa fotografia. «È questo che voglio. Quest'immagine parla. Voglio che ne siano stampati cinquemila, ma con l'altro messaggio e l'altra scritta. Li voglio per la fine del mese».
Forrest si schiarì la gola. «Be'... credo che dovremo andare un po' di fretta. Ma ce la faremo, nessun problema».
«Bene». Il predicatore si voltò radioso e tolse la pipa dalla bocca del pubblicitario, strappandola come un leccalecca a un bambino. «Non tollero i ritardi, signor Forrest. E le ho ripetuto più e più volte quanto detesto il puzzo dell'erba del Diavolo». Il suo sguardo era luminoso e acuto. Il sorriso sul viso di Forrest divenne sbilenco, mentre Falconer immergeva la pipa nel bicchiere di limonata. Si sentì un debole sibilo quando il tabacco si spense. «Le fa male alla salute», disse con voce tranquilla il predicatore, come se parlasse a un bambino ritardato. «Fa bene solo al Diavolo». Lasciò la pipa incriminata nel bicchiere di plastica, diede una pacca sulla spalla dell'artista e indietreggiò in modo da poter ammirare di nuovo il manifesto.

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« Risposta #310 il: 25 Giugno 2008, 23:22:26 »
CARLOS RUIZ ZAFÓN
Autore di libri per ragazzi (Il principe della nebbia), esordisce nella narrativa per adulti con il suo quinto romanzo, L'ombra del vento (Mondadori, 2001), uscito in sordina in Spagna, ha conquistato con il passaparola il vertice delle classifiche letterarie europee, diventando un vero e proprio fenomeno letterario. Vive a Los Angeles dal 1993, dove è impegnato nell'attività di sceneggiatore. Collabora regolarmente con le pagine culturali di "El País" e "La Vanguardia".
L'ombra del vento è stato un successo, con più di 8 milioni di copie vendute nel mondo, acclamato come una delle grandi rivelazioni letterarie degli ultimi anni. È stato tradotto in più di 36 lingue e ha ottenuto numerosi premi internazionali.
La letteratura di Carlos Ruiz Zafón si caratterizza per uno stile molto elaborato con una grande influenza della narrativa audiovisuale, una estetica gotica ed espressionista e la combinazione di molti elementi narrativi in un registro tecnicamente perfetto.

IL PRINCIPE DELLA NEBBIA

«E va bene. Andiamo ai fatti. Raccontatemi tutto quello che sapete. E quando dico tutto intendo proprio tutto, compresi i particolari che vi possano sembrare insignificanti. D'accordo?»
Max guardò i suoi compagni.
«Comincio io?» suggerì.
Alicia e Roland annuirono. Victor Kray gli fece cenno di cominciare il suo racconto.
Nella mezz'ora successiva, Max riferì senza interruzioni tutto quello che si ricordava, di fronte allo sguardo attento del vecchio, che ascoltò le sue parole senza il minimo segno di incredulità né, come invece si aspettava Max, di stupore.
Quando Max ebbe finito la sua storia, Victor Kray prese la pipa e la preparò metodicamente.
«Non male» mormorò, «non male.»
Il guardiano del faro accese la pipa e una nube di fumo dall'aroma dolciastro inondò la stanza. Victor Kray assaporò lentamente una boccata di quella trinciatura speciale e si rilassò sulla poltrona. Poi, guardando negli occhi ognuno dei tre ragazzi, cominciò a parlare...

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« Risposta #311 il: 05 Luglio 2008, 12:33:31 »
Celebriamo anche lui è scomparso a marzo...
Arthur C. Clarke
Durante la seconda guerra mondiale, lavorò per la Royal Air Force come esperto di radar e fu coinvolto nel successivo sviluppo del sistema di difesa radar che aveva consentito alla RAF di vincere la battaglia contro gli invasori nazisti. Dopo la guerra si laureò al King's College di Londra.
Il suo più importante contributo può essere considerato l'idea che i satelliti geostazionari potrebbero essere il sistema ideale per le telecomunicazioni: propose questo concetto in un articolo scientifico dal titolo Can Rocket Stations Give Worldwide Radio Coverage? ("Possono le stazioni razzo fornire una copertura radio mondiale?"), pubblicato su Wireless World nell'ottobre del 1945. Proprio grazie a questo contributo, l'orbita geostazionaria è oggi nota anche come orbita Clarke o fascia di Clarke in suo onore.
Nei primi anni quaranta, mentre militava ancora nella RAF, iniziò a vendere le sue storie di fantascienza alle riviste del settore. Lavorò anche, per breve tempo come viceredattore (Assistant Editor) al Science Abstracts, prima di dedicarsi a tempo pieno al mestiere di scrittore (1951). È stato anche presidente della British Interplanetary Society ("Società interplanetaria britannica") e membro dell'Underwater Explorers Club ("club degli esploratori subacquei").
Dal 1956 ha vissuto nello Sri Lanka, a Colombo, dove è scomparso il 19 marzo 2008 all'età di 90 anni
Il 26 maggio del 2000 è stato insignito della carica onorifica di "Knight Bachelor" in una cerimonia a Colombo per i suoi meriti nella letteratura.

 
   « Quando un anziano affermato scienziato dichiara che qualcosa è possibile, ha quasi certamente ragione; quando dichiara che qualcosa è impossibile, ha probabilmente torto. »     
      
 
   « L'unico modo di scoprire i limiti del possibile è avventurarsi un poco oltre, nell'impossibile. »     
      
 
   « Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. »   

Negli anni Quaranta, inoltre, aveva previsto che l'uomo sarebbe sbarcato sulla Luna entro l'anno 2000. Lo presero per matto ma quando Neil Amstrong, nel 1969, toccò la superficie del pianeta, gli scienziati della Nasa riconobbero che Clarke "aveva dato la spinta intellettuale a quella fantastica avventura".



All’insegna del Cervo Bianco

Dunque Bert si era arrabbiato proprio allora con John Christopher (capita a tutti una volta o l’altra) e l’improvviso frastuono aveva disturbato anche la partita a scacchi che si stava svolgendo dall’altra parte del salone. Come sempre, i due giocatori erano circondati da consiglieri gratuiti, e tutti, a quel boato, alzammo gli occhi di soprassalto. Quando l’ultima eco si spense, qualcuno disse: — Vorrei che si trovasse il modo di chiudergli il becco.
Fu allora che Harry Purvis si fece sentire: — Il modo c’è, sapete?
La voce mi era sconosciuta e mi girai a guardare. Vidi un ometto piccolo e lindo, sulla quarantina. Stava fumando una di quelle pipe tedesche intagliate che mi ricordano sempre la foresta nera e gli orologi a cucù. Era l’unico segno di distinzione: altrimenti avrebbe potuto essere un piccolo funzionario del Ministero del Tesoro, vestito di tutto punto per andare a una riunione del Comitato per il Bilancio.
— Scusate, come avete detto? — dissi io.
L’altro non mi diede retta e armeggiò con delicatezza intorno alla sua pipa. Proprio allora osservai che non si trattava, come mi era parso a prima vista, di un pezzo di legno lavorato. Era qualcosa di molto più complicato, un aggeggio di metallo e plastica, una specie di impianto in miniatura di ingegneria chimica. C’erano persino un paio di piccole valvole.
Santo Cielo, ma era proprio un impianto di ingegneria chimica.
Non che io sia uno che si stupisce facilmente, ma questa volta non tentai davvero di nascondere la mia sorpresa. L’altro mi rispose con un sorriso di superiorità.
— Tutto per amor della scienza. È un ritrovato del Laboratorio Biochimico: vogliono scoprire cosa contiene esattamente il fumo di tabacco: per questo ci sono i filtri. Sapete, la vecchia controversia: se il fumo è la causa del cancro alla gola e, se lo è, come agisce. Il guaio è che questo richiede un mucchio di... ehm, distillato, per identificare qualcuno dei sottoprodotti minori. Per questo si deve fumare a tutta forza.
— E non guasta un po’ il piacere quell’impianto di tubi?
— Oh, non lo so. Vedete, io sono soltanto un volontario. Non fumo.

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« Risposta #312 il: 05 Luglio 2008, 12:48:19 »
Torniamo ai vivi che fumano la pipa come noi e che e scrivono..

Stefano Benni
Terra!!

Io ebbi la fortuna di entrare subito nelle grazie del capitano, e
il perché è presto detto: ero molto bravo a intagliare pipe nel legno.
Ne potevo fare una in una sola notte, mentre ero di turno al
timone. Una di queste notti, appunto, Quijote mi passò vicino e
mi vide armeggiare con il mio coltellino.
"Marinaio!" urlò con la sua vociona metallica, "cosa stai facendo!
"
"Una pipa, capitano, " dissi, mostrandogliela, "ma glielo giuro,
non ero distratto. Stavo attento alla rotta."
Lui mi strappò di mano la pipa con un gesto iroso, la guardò:
era q a pipetta a forma di delfino. Subito si addolci.
"E una bella pipa, marinaio," disse, mettendosela in bocca,
"proprio una bella pipa!"
"L'ho fatta ... per lei," mentii, con sfacciata prontezza, "so
che lei è un appassionato fumatore ..."
I1 capitano mi guardò con curiosità. Poi mi fece segno di seguirlo,
e mi portò nella sua cabina. Là, in un grande armadio a muro,
mi mostrò la sua incredibile collezione. C'erano pipe di tutti i
tipi e misure, e materiali. Le piii stupefacenti erano quelle intagliate
dai marinai durante le lunghe ore di navigazione: era come se
tutti i sogni e gli incubi del mare si fossero raccolti in quell'armadio.
Pipe a forma di drago, di delfino e asteroide, di cometa, sirena
e calamaro gigante. "Che meraviglia," dissi io ammirato mentre
la collezione mi passava tra le mani, "che fantasia!"
"Non due cosi! Tutto quello che si vede sul mare," mi ammoni
severo Quijote, "nella nebbia della notte, nel riflesso del sole,
non è fantasia, è reale. Le sirene sono vere, come sono veri i mostri
piu orribili,

sentii il rantolo del suo unico polmone e i suoi passi di zoppo. Infine
mi apparve, awolto in un sudario bianco. I suoi occhi allucinati
erano la cosa pi6 spaventosa che avessi mai visto!
"Capitano," dissi con voce tremante, "perdonateci! Faremo
qualsiasi cosa! Ma la prego, risparmi la nave!"
"Fuoco! Fuoco!" gridò il capitano, guardandomi con quegli
occhi tremendi.
"No, capitano, la prego," implorai, "non bruci la nave! Moriremo
tutti! Era la sua nave. La prego, non.. . " La voce mi si spezzò
in gola: il capitano mi aveva inchiodato al muro con la fredda mano
d'avorio.
"Fuoco!" gridò stravolto. "Imbecille! Fuoco per accendere la
mia pipa! Sono tre giorni che non fumo!"
Non so come, ma tra i tremiti riuscii ad accendergli la pipa con
il mio acciarino. Quijote tirò alcune boccate frenetiche, e l'espressione
terribile sparì del tutto dal suo viso. Si sedette e mi raccontò
la sua storia.
Dopo morto, si era ritrovato in fondo al mare spaziale dei capitani
cacciatori. Non era un brutto posto, diceva, c'era tanta gente
che conosceva, morta da tempo, si raccontavano storie di pesca, si
sparavano un sacco di balle, si nuotava a braccetto qua e là. "Ma
PER DIO!" disse il capitano, "ci fosse il modo di accendere la pipa,
là sotto. Tre giorni senza fumare, credevo di impazzire!
Ora il problema è risolto, e posso tornare alla mia vita di
fantasma, gi6 nella corrente profonda, nel regno di Fleba il fenicio
e del barone Capodoglio. Però, Chulain, regalami il tuo acciarino.
Lo terrò in una bottiglia, cosf non si bagnerà né si spegnerà mai!"
Ciò detto, mi strizzò l'occhio e sparf. Come riprova che non
avevo sognato, restò neii'aria una nuvola di fumo azzurro della
sua pipa. Raccontai tutto agli altri. Da allora, tutte le volte che un
marinaio muore, i suoi compagni gli lanciano nel mare dello spazio
una bottiglia e uno stoppino acceso, cosi che possa accendere la
sua pipa.
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« Risposta #313 il: 05 Luglio 2008, 12:50:51 »
Ancora lui...
Stefano Benni

IL RACCONTO DEL BARISTA
LA TRAVERSATA DEI VECCHIETTI


I vecchi dovrebbero essere esploratori...
(THOMAS S. ELIOT)

C’erano due vecchietti che dovevano attraversare la strada. Avevano saputo che dall’altra parte c’era un giardino pubblico con un laghetto. Ai vecchietti, che si chiamavano Aldo e Alberto, sarebbe piaciuto molto andarci.
Così cercarono di attraversare la strada, ma era l’ora di punta e c’era un flusso continuo di macchine.
― Cerchiamo un semaforo ― disse Aldo.
― Buon’idea ― disse Alberto.
Camminarono finché ne trovarono uno, ma l’ingorgo era tale che le auto erano ferme anche sulle strisce pedonali.
Aldo cercò di avanzare di qualche metro, ma fu subito respinto indietro a suon di clacson e male parole. Allora disse: proviamo a passare in un momento in cui tutti sono fermi. Ma l’ingorgo era tale che, anche se i vecchietti erano magri come acciughe, non riuscirono a passare. Anzi Aldo rimase incastrato in un parafango e il proprietario dell’auto scese tutto arrabbiato, lo prese sotto le ascelle, lo strappò via e non sapendo dove metterlo lo posò sul cofano di un’altra auto.
― Eh no, qua no ― disse il proprietario della seconda auto, lo sollevò e lo depositò sul tetto di un camioncino.
Così una botta alla volta Aldo stava quasi per arrivare dall’altra parte della strada. Ma l’uomo del camioncino mise la freccia a destra e bestemmiando e insultando riuscì a attraversare la strada e posteggiò nel solito lato, quello da cui erano partiti i vecchietti.
Era quasi sera quando a Aldo venne un’altra idea.
― Mi sdraio in mezzo alla strada e faccio finta di essere morto ― disse ― quando le auto si fermano tu attraversi veloce, poi mi alzo e passo io.
― Non possiamo fallire ― disse Alberto.
Allora Aldo si sdraiò in mezzo alla strada, ma arrivò un’auto nera e non frenò, gli diede una gran botta e lo mandò quasi dall’altra parte della strada.
― Forza che ce la fai! ― gridò Alberto.
Ma passò una grossa moto e con una gran botta rispedì Aldo dalla parte sbagliata. Il vecchietto rimbalzò in tal modo tre o quattro volte e alla fine si ritrovò tutto acciaccato al punto di partenza.
― Che facciamo? ― chiese.
― Dirottiamo una bicicletta ― disse Alberto.
Così aspettarono che un terzo vecchietto passasse in bicicletta e balzarono sul sellino (ci stavano perché erano molto magri tutti e tre). Aldo puntò la pipa contro la schiena del terzo vecchietto che si chiamava Alfredo e disse:
― Vai a sinistra o guai a te!
― A sinistra? Ma io devo andare dritto.
― Vai ― disse Aldo ― o ti riempio di tabacco.
Alfredo non comprese bene la minaccia, però si spaventò e cercò di voltare a sinistra, ma piombò una Mercedes che li centrò in pieno. Arrivò la polizia.
― Com’è successo? ― chiese.
― Io sono l’onorevole De Balla ― disse quello della Mercedes.
― Allora può andare ― disse il poliziotto ― e voi, cosa avete da dire a vostra discolpa?
― Volevamo attraversare la strada ― dissero i tre vecchietti.
― Senti questa! ― disse il poliziotto ― Ah, gli anziani d’oggi! Imprudenti. C’è troppo traffico e siete vecchi e malandati.
― La prego, ci faccia attraversare ― disse Aldo.
― Dobbiamo andare ai giardini ― disse Alberto.
― Se no mi riempiono di tabacco ― disse Alfredo.
― Neanche per sogno, vi riaccompagno indietro. Da dove vi siete mossi? ― disse il poliziotto.
― Da lì ― disse Alberto indicando il marciapiede che volevano raggiungere.
― Allora vi ci riporto, e guai se cercate ancora di attraversare ― disse il poliziotto.
Così con la scorta della polizia i tre vecchietti riuscirono a passare dall’altra parte e poi arrivarono al giardino.
C’era veramente un bel laghetto. Si trovarono così bene che non riattraversarono mai più.

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« Risposta #314 il: 05 Luglio 2008, 16:51:27 »
Fine Colonna

Stefano Benni

La riparazione del nonno

Stavamo stretti vicino al fuoco, aspettando la programmazione
horror, perché con un'atmosfera come quella
il nonno raccontava sempre la Leggenda della Capra dai
Denti di Ferro o la Storia dei Sette Lupi alla Porta, tutte storie
vere o quasi, mentre dal camino scendevano gli effetti
speciali, sciabolate di vento e colonna sonora di tuoni e la
legna umida spetardava facendoci sobbalzare.
Nonno Telemaco arrivò tutto gocciolante e si tolse gli
stivali. Non diede le previsioni del tempo perché c'era poco
da prevedere, accese la pipa e con voce profonda intonò la
Storia dei Sette Lupi, una banda di animali sanguinari che
aveva terrorizzato la zona nell'anteguerra.
"Il capo si chiamava Nerofumo, era il diavolo in persona,
e aveva ucciso più pecore di un'epidemia. Una notte
buia e nebbiosa io e il mio amico Favilla tornavamo a casa,
sul calesse, e dovevamo passare attraverso la Gola della Civetta,
stretta stretta e circondata da un folto bosco di abeti,
l'ideale per un agguato. "
Il nonno tirò una boccata di pipa e socchiuse gli occhi,
creando una pausa piena di suspense (che allora si chiamava
cagotto). "Beh, eravamo a metà della gola," proseguì, "tirava
un vento gelido e io aguzzavo gli occhi nel nebbione, cercando
di vedere la strada. Il cavallo ansimava, e i denti di
Favilla battevano nel buio, 'ta-ta-ta-ta', sembrava di sentir
beccare un picchio, e allora dissi 'Ohè Favilla, te la stai facendo
sotto?'. Ma dicevo così solo per fare lo spavaldo, in
verità avevo una gran paura anch'io! E in quel momento
guardo su verso l'abetaia e cosa vedo? Due braci rosse, due
occhi di bestia che mi guardano minacciosi."
Il nonno fece una pausa ancor più lunga; si sentiva solo
lo scoppiettio del fuoco, e le sedie cigolare. I nostri cuori
battevano forte, immaginando Nerofumo pronto a balzare e
mordere alla gola. E improvvisamente tutto accadde. Nell'aria
si diffuse un rumore di carta stagnola stropicciata, un
crepitare sinistro, i capelli del nonno si rizzarono sulla testa,
il fuoco diventò nero - giuro - nero come la pece, e dal camino
entrò qualcosa di spaventoso, qualcosa che faceva il
rumore di un drago e di una trebbiatrice insieme, ci fu un
lampo abbagliante, uno schianto, le braci volarono come
farfalle infuocate e h a nube di cenere riempì l'aria.
Quando il mostro se ne andò, c'era una gran puzza di
strinato ed eravamo tutti neri di fuliggine. I1 ciocco nel camino
era carbonizzato e il gatto, nudo e pelato, sembrava
una gallina lessa. Un fulmine era sceso per la cappa, un caso
su un milione. Si disse che era stato attirato da un vassoio
d'argento sulla tavola, oppure dai denti d'oro del nonno.
Per altri, invece, era stato evocato dal racconto spaventoso.
"Il diavolo," disse una vecchia, "invidia chi sa far più
paura di lui." Non ci furono feriti, o morti o danni eccessivi.
Ma qualcosa di terribile era accaduto: il nonno, centrato dal
fulmine, si era rotto.
Ebbene sì. Cercammo di fargli riprendere il racconto,
ma lo choc era stato devastante. I capelli da grigi gli eran diventati
bianchi, le mani tremavano. Gli rimettemmo la pipa
in bocca, gli facemmo bere il vino preferito e riprese un po'
di colore. Fece due o tre spot da sotto (la paura era stata
tanta) e poi prese a raccontare così:
"Allo-lo-lo-lora vi-vi-vidi que que que que que que-gli
oc-oc-oc-chi-chi-chi fiammeggian-gian-gian-ti che mi guagua-
gua ...".
Orrore! Il nonno balbettava, il suo audio era lesionato e
anche i suoi gesti, abitualmente lenti e descrittivi, sembravano
quelli di una marionetta. Favilla, il suo amico, gli inoculò
un altro mezzo litro di rosso e provò ad aggiustarlo col sistema
Carnera, quello con cui faceva ripartire i trattori. Gli
tirò un tale pugno nella schiena che l'interno del nonno rimbombò
come una botte da cinquecento litri. Telemaco fece
un altro spot e riprese a raccontare così:
"Allora il lupo nitrì e si impennò e fiammeggianti la luna
vidi mentre gli abeti sul calesse Favilla disse che occhi che
c'era intorno nera addio. il cavallo ululò e il fucile si cagò
sotto e dissi arbeit macht frei Caterina levati i mutandoni
mentre le orribili zanne del sergente Miiller urlavano aiuto
aiuto, rubano il maiale! ".
I circuiti narrativi del nonno erano fusi, e se ne era venuto
fuori un pasticcio composto di brani del racconto interrotto,
episodi di guerra, ricordi vari e anche particolari intimi
del rapporto con la nonna.
Fu fatto un ultimo tentativo. Il nonno fu messo a testa in
giù, scosso violentemente e liberato dal surplus di elettricità
nonché di vino e polenta. Rimesso sulla sedia, così parlò:
"Cerene sette lupeche più froce Neirofummo qui sgozzolavan
ipekkore me unnait me and mai friend Favilla kun
chelesse e chevelie trans itavam dint'a golia della chouette,
la charmante Colette".
Autentico marasma di slang ipervocalico, con la sorprendente
comparsa delle lingue straniere, che il nonno non
conosceva, e l'inquietante apparizione di una francesina che
mandò in bestia la nonna; Decidemmo perciò di soprassedere,
e aspettare il decorso del caso. Il nonno dormì due
giorni e due notti. Quando si alzò fece le solite cose, diede
da mangiare d e bestie, andò a zappare l'orto, fece un salto
da Favilla a parlare di imbottighamento, tornò, mangiò e si
sedette vicino al fuoco. E stette zitto.
Immobile, con due lacrirnoni che gh rigavano le gote rugose.
Era chiaro che Telemaco 87 due pollici era rotto e bisognava
ripararlo, perché non potevamo vivere senza i suoi
racconti.
Per prima cosa convocammo un medico, il dottor Faha.
Egli dichiarò che c'era uno squilibrio neurologico-elettrolitico
e si poteva provare a dargli della camomilla, ma dare della
camomilla al nonno, anche diluita nelia grappa, era come
ucciderlo.
11 veterinario Schioppagatti disse che secondo lui si trattava
di un problema psicoepizootico, una perdita di memoria
e identità, come ad esempio quando un papero viene allevato
da una tacchina o un gatto da una cagna, e suggerì di
farlo dormire con i maiali. La mattina il nonno era uguale a
prima, mentre tutti i maiali avevano preso il vizio di fumar
la pipa.

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