Ritrovo Toscano della Pipa
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La pipa nella letteratura
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Topic: Autori con la pipa in bocca (Letto 364680 volte)
coureur-des-bois
Gran Maestro Charatanico
Post: 799
Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #315 il:
15 Luglio 2008, 21:38:51 »
Da "Trincee" di Carlo Salsa, uno dei più bei libri di guerra in assoluto e sulla Grande Guerra in particolare, senza dubbio superiore al pur ottimo e strombazzatissimo "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu.
Allo scoppio d'apertura, Molon si rimette l'elmetto, si riallaccia il cinturone delle giberne e si leva, sferrando.
"Che fai adesso?"
"Ghe penso mi"
Gli allungo un cazzotto e lo tengo lì, zitto.
Fuori comincia a sgranarsi il pettegolezzo della fucileria.
Ogni tanto un graduato ficca la testa nello sgabuzzino e reca le solite notizie: qualche ferito, che si dovrebbe accompagnare o portare giù subito al posto di medicazione dei Mulini di Gabrie.
"Ghe penso mi", dice Molon.
Rassegnato all'immobilità, dopo aver rovistato a lungo nel tascapane, leva una delle sue ventidue pipe e si mette a raschiare nel fornello con la punta della baionetta: canticchia tra sé, sommessamente.
Dietro il ponte c'è un cimitero
cimitero di noi soldà.
Tapum tapum tapum
tapum tapum tapum
Quando sei dietro quel mureto
soldatino non puoi più parlà.
Tapum tapum tapum
tapum tapum tapum
Versa la cicca nel palmo della mano e ne fa una pallottola che apposta con molto riguardo in bocca: spesso, se gli riesce di raggranellare, spuciando in tutte le tasche, un po' di tabacco e un po' di briciole assortite, accende la pipa: in questo caso a non dargli la libera uscita, c'è da finire affumicati.
"Trincee confidenze di un fante" Carlo Salsa - Mursia 1995 - pag. 152
Bernardo
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Amplius invenies in sylvis quam in scriptis
Cristiano
Moderatore globale
Sovrano Grande Pipatore Generale
Post: 7134
Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #316 il:
16 Luglio 2008, 19:09:02 »
nell'ignuda trincea mia fida amica
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"Bohhh tieniti le tue adorate dunhill e pipe da snobe i tuoi tabacchi da bancarella del mercato" Cit. toscano f.e.
Cave Secretarium
www.studiolegaleciani.it
coureur-des-bois
Gran Maestro Charatanico
Post: 799
Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #317 il:
19 Luglio 2008, 18:45:38 »
Da "Ai piedi degli alberi - viaggio tra i giganti della terra -" di Rudi Palla ed. Ponte alle Grazie.
Quand'ero piccolo, una volta mio padre mi fotografò su un prato: indossavo un basco bianco, un paltò, lunghe calze di lana e stivaletti, con la mano destra tenevo in bocca una pipa fingendo di fumare. La pipa l'avevo costruita con una grossa castagna matta svuotata in cui avevo infilato un bastoncino di sambuco cavo. Come tutti i bambini, amavo la benedizione autunnale delle castagne che cadevano in abbondanza dai rami dei possenti ippocastani dalle grandi foglie pennate simili a dita.
Rudi Palla, nato a Vienna nel 1941 è scrittore e regista.
Bernardo
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Amplius invenies in sylvis quam in scriptis
M4tt0
Cavaliere Latakita
Post: 236
Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #318 il:
01 Ottobre 2008, 11:03:35 »
Ho trovato questa poesia in vecchi file, forse andavo addirittura alle medie. Forse la passione per la pipa c'era ma era offuscata dalla giovinezza :lol:
L’avvenire
di Guillaume Apollinaire
Solleviamo la paglia
Guardiamo la neve
Scriviamo lettere
Aspettiamo ordini
Fumiamo la pipa
Pensando all’amore
I gabbioni son lì
Guardiamo la rosa
La fonte non s’è inaridita
Né la paglia d’oro è sbiadita
Guardiamo l’ape
E non pensiamo al domani
Guardiamoci le mani
Che sono la neve
Sono l’ape e la rosa
Nonché il domani
Connesso
Mi meraviglio al solo pensiero che ancora riusciamo a meravigliarci
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #319 il:
04 Ottobre 2008, 15:13:21 »
L'altra sera uno dei temi dibattuti al "Caffè delle Giubbe Rosse" è stato Holmes e le sue pipe,naturalmente Sherlock non John.
Ho cominciato a cercare la pipa tra gli imitatori di Conan Doyle,per il momento inserisco questi.
Il primo frammento è del Doyle originale,che altro dire: Alimentare Watson!
L’avventura della zampa del diavolo di Sir Arthur Conan Doyle
Fissai l’inopportuno parroco con uno sguardo non certo amichevole, ma Holmes
invece si tolse la pipa dalle labbra e assunse sulla poltrona una posizione eretta, come
un vecchio bracco che sente il richiamo della caccia alla volpe.
Solo dopo parecchio tempo che fummo tornati a Poldhu Cottage Holmes ruppe il
suo completo e assorto silenzio. Sedeva raggomitolato nella sua poltrona, il viso
allampanato e ascetico quasi invisibile in mezzo al turbine di fumo bluastro del
tabacco, con le sopracciglia e la fronte contratte e gli occhi vuoti e distanti. Infine,
appoggiò la pipa e si alzò in piedi di scatto.
«Non c’è niente da fare, Watson!»
La figura massiccia del dottor Sterndale si sollevò, si inchinò gravemente e si
allontanò dal porticato. Holmes accese la sua pipa e mi passò la sua borsa da tabacco.
«I fumi non velenosi offrono un piacevole diversivo» disse.
Hoka Holmes di Poul Anderson & Gordon R. Dickson
Cercando di salvare come potevano la dignità, Alex e Geoffrey occuparono le
sedie indicate. Quanto a Holmes, si lasciò cadere in una poltrona talmente imbottita,
che quasi lo inghiottiva nascondendolo. I due umani si ritrovarono di fronte a un paio
di gambette corte, oltre le quali un naso a bottone fremeva e una pipa fumava.
«Prima di tutto» disse Alex, ricomponendosi «lasci che le presenti...»
«Tz, tz, Watson» fece Holmes. «Non c’è bisogno. Conosco di fama, se non di
vista, lo stimabilissimo signor Gregson.»
Crollò a sedere su una sedia. Sherlock Holmes si riempì la pipa e abbandonò la
sagoma tozza e pelosa contro lo schienale.
«È stato un piccolo caso abbastanza interessante» commentò. «Sotto alcuni aspetti,
mi ricorda l’Avventura delle Due Uova Fritte, e credo, mio caro Watson, che possa
trovare un posticino nelle sue brevi cronache.
Alex lo guardò. Maledizione al diavolo... il peggio, in tutta quella storia, era che
Holmes aveva ragione. Aveva visto giusto fin dal primo momento. A modo suo, in un
modo cioè tutto hoka, aveva compiuto un magnifico lavoro di indagine. Un senso di
onestà fece scattare in piedi Alex, per dichiarare senza pensarci un momento:
«Holmes... perdiana, Holmes! Ma questo... questo è genio puro e semplice!»
Non aveva finito di pronunciare quelle parole che si rese conto di quello che aveva
fatto. Ma era troppo tardi, ormai... troppo tardi per evitare la risposta che Holmes
inevitabilmente gli avrebbe dato. Alex strinse i pugni, irrigidì il corpo stanco, e decise
di affrontare la cosa da uomo. Sherlock Holmes sorrise, si tolse la pipa dai denti, e
aprì la bocca. Attraverso una specie di nebbia rombante, Alexander Braitwaite Jones
ascoltò le fatidiche parole: «Niente affatto. Elementare, mio caro Watson!»
Il caso dell’extraterrestre di Mack Reynolds
Il vecchio detective si calò con una certa cautela nella propria poltrona e allungò
una mano verso il tabacco e la pipa, spiandomi con la coda dell’occhio. Sapeva
benissimo che in genere non gli era permesso fumare a un’ora così tarda. Tradì una
risatina di soddisfazione, forse proprio per indispormi. «Immagino, giovanotto, che
sia qui per parlarmi di faccende personali, più che per esplicita richiesta di Sir
Alexander» disse, come se fosse già certo della risposta.
L’ospite alzò gli occhi verso di me.
Il mio vecchio amico ridacchiò in un modo che potrei solo definire puerile. «Il
dottore è mio assistente da molti anni» spiegò, presentandomi. Accese la pipa,
lasciando cadere il fiammifero a terra, e continuò a parlare attorniato da volute di
fumo, con una cert’aria di superiorità che mi irritò: «La sua discrezione è pari alla
mia. Glielo assicuro.»
Un bozzetto di Scarletin di Philip José Farmer
«Un’osservazione molto elementare, dottore, ma valida» ribatté lui. «Secondo me
Scarletin vuole farci capire che quelle aree contengono oggetti privi di significato. Il
messaggio è contenuto nella porzione centrale, dove non compaiono zeri.»
«Provalo» lo sfidò Strasse.
«Un passo per volta, sempre che riusciamo a trovare un punto d’inizio. In alto a
destra c’è una strana figura maschile. La metà superiore, naturalmente, rappresenta
Sherlock Holmes, con l’inseparabile berretto da cacciatore, la mantella, la pipa
(anche se non si capisce se è di radica o di terracotta) e la lente di ingrandimento in
mano. La metà inferiore, con i calzoni alla tirolese e via di seguito, si ispira
all’abitante di una regione in particolare per riferirsi alla Germania in generale. Per
un onesto ricercatore della verità la mezza figura di Sherlock Holmes significa due
cose. Primo, dobbiamo applicare i metodi investigativi al quadro. Secondo, metà del
messaggio è in inglese. L’altra parte di figura indica che la rimanente metà del
messaggio è in tedesco, come avevo già previsto.»
Voci dall’alto di Edward Wellen
«Mi rivolgo a lei, Holmes. Perché permette che questo... questo marchingegno mi
si rivolga con tanta familiarità?»
La vestaglia amorevolmente stazzonata e rosa dalle tarme sussultò mentre Holmes
usciva dalla nuvola di sogno della sua pipa. Lo sguardo si posò subito su Metticaso e
io ebbi la viscida sensazione che quei due si scambiassero una subliminale strizzatina
d’occhi. Poteva anche essere frutto della mia immaginazione.
«Dovrebbe essere ovviò, Metticaso» rispose Holmes, senza nemmeno aspirare una
boccata preliminare dalla sua pipa. «Il dottor Watson tiene nella mano sinistra la sua
borsa nera.»
Lui guardò rapidamente dalla mia parte, mentre per lo stupore cadevo in ginocchio,
poi inspirò una boccata di fumo dalla pipa e la buttò fuori, seguendo con lo sguardo il
fumo che saliva in volute spesse verso il soffitto.
Il caso dell’assassino di metallo di Fred Saberhagen
La macchina mortale estrasse un
minuscolo oggetto dalla tasca e si spostò leggermente di lato affinché l’agente non si
inframmettesse tra lui e la porta. Girando la schiena al nemico, come nell’intento
casuale di porgere il benvenuto all’uomo che stava per entrare, l’agente tolse con
naturalezza dalla propria tasca una pipa in legno di rosa, progettata per servire anche
ad altri scopi. Poi girò la testa e mirò al guerriero da sotto l’ascella sinistra.
Rispetto a un essere umano, l’androide era straordinariamente veloce, ma come
sterminatore del Nord era lento e maldestro, dal momento che l’avevano progettato
essenzialmente per l’imitazione e non per il combattimento. Le due armi spararono
contemporaneamente.
Si rese vagamente conto di essere in
ginocchio e capì che il suo coinquilino, appena entrato nella stanza, si era fermato
con espressione stupefatta a un passo dalla soglia.
Alla fine, l’agente riuscì a muoversi di nuovo e con mano tremante si rimise in
tasca la pipa. Il corpo colpito del nemico si stava già vaporizzando.
Morte nell’ora del Natale di James Powell
La poverina era caduta dal soffitto
insieme al suo monoplano in seguito alla rottura del filo che li teneva sospesi, durante
la mostra intitolata I giocattoli alla conquista delle nuvole. Metcalfe era stato tentato
di chiamare al telefono la ragazza per confessarle quella innocente bugia, ma ora era
ben contento di non averlo fatto. Un bambolotto di Sherlock Holmes, figurarsi! Il
giovanotto riaccese la sua pipa e dondolò avanti e indietro sui tacchi, espirando
nuvolette di fumo e tenendo le mani strette dietro la schiena. La bella vetrinista
avrebbe proprio dovuto fornirgli delle spiegazioni, pensò. Anche a proposito della
provenienza dell’orsacchiotto.
L’illustrazione sul coperchio mostrava una notte di nebbia e una porta di un’altra
epoca. Il numero sulla porta era il 221 B, mentre la strada, come si capiva da un
cartello appeso a un lampione, era Baker Street. Una scritta a grandi lettere
dichiarava:
RIPRODUZIONE ORIGINALE DI SHERLOCK HOLMES
UN’ALTRA SPLENDIDA CREAZIONE DEI GIOCATTOLI DOYLE
Teddy aprì la scatola. Il pupazzo all’interno indossava un cappello da cacciatore e
un cappotto con la mantellina. In dotazione portava un violino e un archetto, ma lo
accantonò con un sorriso, mettendolo insieme alla lente d’ingrandimento, alla pipa
ricurva e alle pantofole persiane imbottite.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Autori con la pipa in bocca
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Risposta #320 il:
05 Ottobre 2008, 19:09:40 »
Restiamo in tema, parliamo anche di Doyle senza S.H.,le pipe sono abbastanza rare,quasi sempre per introdurre con calma il racconto:
Conan Doyle
The American's Tale, 1880; (London Society)
A parte tali ricordi, il nostro narratore americano è scomparso dal giro. Ha brillato nel nostro tranquillo convivio come una meteora luminosa, poi si è perso nelle tenebre. Quella sera, tuttavia, il nostro amico del Nevada era in ottima forma, così mi accesi pacificamente la pipa e mi misi sulla sedia più vicina, cercando di non interrompere la sua storia.
Per un attimo lo vidi stringere il dito sul grilletto, poi si mise a ridere e gettò la pistola sul pavimento, "No", continuò, "non posso sparare a un ubriaco. Tieniti la tua sporca pelle, Joe, e usala meglio di come hai fatto fino adesso. Non sei mai stato così vicino alla morte come stasera. Ma adesso credo proprio che ti convenga far fagotto. E non guardarmi mai più in quel modo, amico, perché io non ho paura del tuo revolver. I prepotenti sono sempre dei vigliacchi".
Quindi gli voltò le spalle con disprezzo e si riaccese la pipa alla stufa, mentre Alabama usciva dal bar accompagnato dalle risate dei Britannici.
The Silver Hatchet, 1883 (London Society)
«Hai avuto il tempo», volle sapere Strauss, «di dare un'occhiata ai libri e alle armi di cui si preoccupava tanto il caro vecchio Professore il giorno che è stato ucciso? Dicono che valgano bene una visita.»
«Ci sono stato oggi», disse Schlegel, accendendosi la pipa. «Reinmaul, il custode, mi ha mostrato il magazzino, e io l'ho aiutato a trascrivere diversi articoli del catalogo originale del museo del Conte Schulling. Da quel che ho potuto vedere, manca solamente un oggetto dalla collezione.»
The Captain of the Polestar, 1883 (Temple Bar)
Dopo cena ero salito sul ponte a fumare la pipa in pace prima di andarmene a letto. La notte era molto buia: tanto buia da non permettermi di vedere, dal punto in cui mi trovavo sotto il quartiere di poppa, l'ufficiale sul
ponte. Credo di aver già parlato dello straordinario silenzio che regna in questi mari ghiacciati. In tutte le altre parti del mondo, anche nei luoghi più solitari e deserti, c'è sempre una lieve vibrazione dell'aria, quasi un ronzio appena percettibile, prodotto o da lontani luoghi abitati dagli uomini, o dallo stormire delle foglie degli alberi, o dal battito delle ali degli uccelli, o perfino dal frusciare leggero dell'erba che copre il terreno. Il suono non può essere percepito come tale, eppure se dovesse cessare se ne sentirebbe la mancanza.
The Great Keinplatz Experiment, 1885 (Belgravia)
Un pomeriggio così non si ripeté mai più al GrünerMann; fiumi di birra e di vino del Reno scorrevano allegramente. A poco a poco gli studenti superarono il timore che incuteva loro la presenza del Professore. Quanto a lui, gridava, cantava, teneva in equilibrio sul naso una lunga pipa e offriva generosamente da bere a tutti i membri della brigata.
I genitori e la cameriera, dietro la porta, si meravigliarono tra loro di un simile comportamento da parte di un Regio Professore dell'antica Università di Keinplatz, e più tardi ebbero ben altro su cui spettegolare, perché lo scienziato baciò addirittura la cameriera dietro la porta della cucina.
A Literary Mosaic, 1886 (Boy's Own Paper)
Erano circa le dieci meno venti della sera del 4 giugno dell'anno 1876 quando, dopo aver mangiato un toast gallese e aver bevuto una pinta di birra, mi sedetti nella mia poltrona, poggiai i piedi su un tavolo, e accesi la pipa, come era mia abitudine. Sia il mio polso che la temperatura erano, per quanto ne sappia, normali in quel momento. Vi fornirei anche i dati del barometro, ma quello strumento sfortunato aveva subito una caduta di circa due metri da un chiodo sul muro fino al pavimento e non era in condizioni affidabili. Viviamo in un'era scientifica, e io mi vanto di muovermi al passo con i tempi.
Avrei voluto alzarmi per salutare quegli ospiti inaspettati, ma tutte le mie facoltà di movimento sembravano avermi abbandonato, e rimasi immobile ad ascoltare la conversazione che ben presto cominciai a sentire tutt'intorno.
«Perbacco!», esclamò un uomo rude e con il volto segnato dalle intemperie, che fumava una lunga pipa di terracotta e sedeva all'estremità del ta
volo più vicino. «Il mio cuore s'intenerisce per lui.
«Suppongo che cominceremo da un capo del tavolo, e parleremo a turno, in modo che ognuno contribuisca con quel che gli suggerisce la fantasia?».
«D'accordo, d'accordo!», gridò l'intera compagnia, e tutti gli occhi guardarono Defoe, che sembrava molto a disagio, e riempiva la pipa prendendo il tabacco da una grande tabacchiera che aveva davanti.
Lot no. 249 (Harper's Magazine, 1892)
Erano le dieci di una chiara notte di primavera, e Abercrombie Smith se ne stava sprofondato nella sua poltrona, con i piedi sul parafuoco e la pipa di radica fra le labbra. Sull'altro lato del caminetto, in una poltrona gemella, e anche lui assai rilassato, riposava il suo vecchio compagno di scuola Jephro Hastie.
«Perché Bellingham è fidanzato con sua sorella Eveline. Una fanciulla così deliziosa, caro Smith! Conosco bene tutta la famiglia. È disgustoso vedere quel bruto accanto a lei. Un rospo e una tortora, ecco a cosa mi fanno pensare quei due.»
Abercrombie Smith sogghignò e batté la pipa contro il lato della griglia per far cadere la cenere.
«Eveline, la conosco da quando era alta come questa pipa di ciliegio, e non mi va di vederla correre rischi. E questo è un rischio. Lui ha l'aspetto di una bestia. E ha un carattere bestiale, un carattere maligno. Non ricordi la sua zuffa con Long Norton?»
Per Giove, Smith, sono quasi le undici!» «Non aver fretta. Accendi di nuovo la pipa.»
«Che novità ci sono, allora?», domandò Smith, mentre con l'indice spingeva il tabacco nella sua pipa d'erica bianca.
The Horror of the Heights, 1913; (Everybody's Magazine )
Fu il 15 dello scorso mese di settembre che James Flynn, un bracciante agricolo che lavorava per Matthew Dodd, il fattore di Chauntry Farm a Withyham, trovò una pipa di radica abbandonata vicino al sentiero che costeggia la siepe a Lower Haycock. Pochi passi più in là raccolse un binocolo rotto. Infine, tra le ortiche del fossato, scorse un volume piatto rivestito in tela, che risultò essere un taccuino con i fogli staccabili, alcuni dei quali svolazzarono lungo il bordo inferiore della siepe.
Questi furono raccolti, ma altri, compreso il primo, non furono mai recuperati, lasciando un deplorevole vuoto in questa importantissima testimonianza.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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«
Risposta #321 il:
26 Ottobre 2008, 21:10:55 »
La pipa quando tira vento forte.
JOE R. LANSDALE
IL CARRO MAGICO
Poco prima dell'ora di cena, mio padre andò in veranda a fumarsi la pipa e io mi recai nella stalla a dare da mangiare ai muli e a mungere la vacca. Spostai il fieno, fiutai quell'odore di animale, pensai a quanto mi faceva venire in mente la mia vita passata. Mi fece venire in mente mamma e papà, le notti calde senza quasi un alito di vento, notti fredde con il focolare acceso, le cene consumate a tarda ora, i racconti assurdi di fronte al camino, i momenti passati a scrutare il mattino in veranda o fuori dalla finestra, mezzogiorno o notte, primavera, estate, autunno o inverno. Quell'odore non mancava mai, come un amico che si fosse spruzzato dell'acqua di colonia dall'aroma strano, perfino putrido. Le assi del pavimento ne erano pregne, così come lo era la corte, per non parlare della stalla. Un odore che ancora oggi continua a farmi viaggiare avanti e indietro nel tempo, che mi confonde sulle verità e sulle menzogne dei miei ricordi.
Dopo essere riemerso dal fosso, iniziai a strisciare sul ghiaccio, trascinandomi dietro il piede inservibile. Dai palmi delle mie mani si staccarono pezzetti di cute, così dovetti avanzare spingendomi sugli avambracci protetti dalle maniche della giacca.
Non avevo fatto molta strada quando incontrai mio padre. Era seduto sulla sua sedia a dondolo e reggeva la pipa in una mano. Stava ancora fumando. La veranda dove quella sedia era stata fino a poco prima non c'era più, ma lui si stava dondolando placidamente su quello che il vento aveva
risparmiato. E il forcone di cui mi ero sbarazzato prima di gettarmi sulla treggia gli spuntava dal petto come un germoglio. Non vidi una goccia di sangue. Aveva gli occhi aperti e sbarrati e, a ogni dondolio della sedia, sembrava che mi guardasse e mi rivolgesse un cenno.
Dietro papà, dove si sarebbe dovuta trovare la casa, non c'era più nulla.
Il signor Parks raccontò che la prima cosa che aveva visto era stato mio padre sulla sedia a dondolo. Il cannello della pipa di mio padre sembrava puntare nella direzione in cui mi trovavo, metà dentro e metà fuori dal cumulo di fieno.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Risposta #322 il:
26 Ottobre 2008, 21:13:08 »
E.C. TUBB
LA CORSA DEL MANICHINO
La festa era al settimo piano. Cominciò a salire, con gli stivali che scricchiolavano sui gradini sporchi, e socchiudendo gli occhi per distinguere gli oggetti nella penombra. Un uomo se ne stava seduto tranquillamente sull'ultima rampa, fumando una pipa ricurva scolpita a mano. Era un tipo di mezza età, con una barba a due punte, e teneva un bastone da passeggio nella mano destra. Portava scarpe chiodate, pantaloni imbottiti, e un giubbotto con un teschio sopra. Il berretto aveva la visiera sporgente.
«Cerca qualcosa signore?» domandò a Dale, quando questi si avvicinò.
"Ecco un palo..." pensò lui. Se l'era aspettato. Continuò a salire le scale.
«Le ho fatto una domanda.» L'uomo si alzò, tenendo il bastone in equilibrio sulla mano, la punta orientata verso gli occhi dello sconosciuto. Era ricoperta di metallo, lucida, minacciosa. «Se vuole passare, risponda.»
"Parole" pensò Dale. All'inferno! Se quel verme credeva che lui se ne tornasse indietro, si sbagliava di grosso. Continuò a salire, gli occhi fissi in quelli che luccicavano all'ombra della visiera alimentando la rabbia e il suo
disprezzo. Una nullità. Un tipo di mezza età che si divertiva a rovinarsi i polmoni col fumo... Gli sarebbe piaciuto allungare una mano, afferrare la barba e strappare una manciata di peli. Prendere la pipa e farla inghiottire a quel gonzo. Chi diamine credeva di essere? L'aggressività accentuata dal farmaco stimolante gli tendeva i lineamenti.
Il bastone ondeggiò, mentre l'uomo indietreggiava di un paio di gradini. «Senta» disse lo sconosciuto con aria conciliante «Le ho semplicemente fatto una domanda. Lassù c'è una festa privata e...»
Dale allungò una mano, afferrò il bastone, lo strappò dalla mano dell'uomo e se lo gettò dietro le spalle. Poi avanzò di un altro passo, con lo stomaco contratto e il sangue che gli martellava nelle orecchie. Il sudore cominciò a imperlargli la faccia e capì che stava chiedendo troppo al proprio metabolismo. Ma se ne infischiava. Niente gli importava, all'infuori di quell'uomo.
Se anche avesse dovuto...
«Dale!» Una donna era uscita, inosservata, dall'appartamento in cima alla scala. «Dale Tulliver! Perbacco! Ma questo è un avvenimento straordinario!» Sandra Elinor Xanthis, completa di lucenti stivaletti neri, pantaloni neri, camicia nera aperta sul petto per mostrare le cicatrici e le brutte macchie di quelle che sembravano scottature, aveva l'espressione dura e i capelli scarmigliati. Colpì violentemente con la sua frusta una parete. «È dei nostri, Dale?» domandò.
«"Arena"» disse lui.
«È dei nostri.» Si voltò a guardare l'uomo con la barba.
«Hai cercato di spaventarlo, Moshe? Tu?»
Con aria torva, Moshe andò a raccogliere il bastone. «Mi avevano ordinato di spaventare tutti.»
«Dale, no.»
«Poteva dirmi la parola d'ordine» rispose l'altro, in tono offeso. «Poteva dirla. Non era necessario che mi saltasse addosso.» Con mani tremanti riempì la pipa, l'accese, guardò attraverso la nube di fumo. «Una parola» ripeté. «Sarebbe bastata quella. Una sola parola.»
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Risposta #323 il:
06 Novembre 2008, 23:54:01 »
FERNANDO S. LLOBERA
IL CIRCOLO DI CAMBRIDGE
Poi la viceispettrice, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa, posò un registratore
sul tavolo e guardò il dottore: «Le spiace?».
Del Campo fece segno di no scuotendo leggermente la testa, e intanto aprì un cassetto della scrivania. Tirò fuori una scatola di tabacco Virginia e scelse una pipa dritta da un portapipe che ne reggeva altre tre. Dopodiché, ignorando totalmente Beatriz, tolse il coperchio alla scatola, si munì di una presa di tabacco e la schiacciò nel fornello. I suoi movimenti erano lenti e precisi, studiati fino al minimo dettaglio. La viceispettrice lo osservò mentre estraeva un accendino Dupont in oro da una tasca del panciotto e con diligenza l'avvicinava al tabacco. Poi piegò leggermente la testa dando qualche boccata energica e rumorosa, finché la pipa si accese e la prima nuvoletta di fumo dolciastro si propagò per la stanza. Beatriz aspettò con calma; se Del Campo stava giocando a chi aveva più pazienza, lei sarebbe stata al gioco. Quand'ebbe finito, il dottore si adagiò sulla sua poltrona e alzò lo sguardo. La viceispettrice fece un gesto vago riferito all'ambiente: «Il suo studio è davvero impressionante» commentò.
La viceispettrice, di nuovo, si guardò intorno cercando di memorizzare ciò che vedeva.
«Mi piacerebbe cominciare da Jacobo Ros» disse poi.
Lo psichiatra aggrottò le sopracciglia.
«Pensavo che le interessasse parlare di Juan Alacena.»
«Dopo» ribatté lei con studiata asciuttezza.
Del Campo, con il volto imperturbabile, fece passare qualche secondo, lasciando che il fumo creasse tra loro una cortina azzurrognola. Dopodiché si riavvicinò alla scrivania, prese il ricevitore del telefono, chiese alla sua segretaria di cercare in archivio la cartella clinica di Ros e riattaccò.
"E vai! " pensò Beatriz.
Dopo meno di un minuto, l'infermiera entrò nell'ufficio e consegnò al dottore un fascicolo color crema. Del Campo posò la pipa su un portacenere di cristallo e inforcò dei piccoli occhiali da lettura sulla punta del naso. Poi aprì il fascicolo e ne estrasse alcuni fogli.
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Aqualong
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Risposta #324 il:
06 Novembre 2008, 23:56:38 »
JOHN DICKSON CARR
L'ARTE DI UCCIDERE
La sagoma della mascella di Pilgrim, il fornello della sua pipa e la tesa del suo cappello erano protesi in avanti come il naso di un segugio che scelga la pista a fiuto; e i suoi passi da gigante lo avevano fatto arrivare parecchio prima di me. Ci fermammo davanti a un edificio dall'aria tranquilla, somigliante a un club. Salimmo una lunga scala dai pianerottoli fiocamente illuminati, fino al quarto piano.
Pilgrim era proprio un fumatore inveterato: accese per l'ennesima volta la pipa. Ne succhiò forte il cannello, e intanto la luce del fiammifero cadeva sulle rughe e sui crateri della sua faccia squadrata. Le sue palpebre si alzarono un istante e i suoi occhi verdi mi lanciarono uno sguardo indagatore; ma subito tornarono a velarsi e il fiammifero si spense.
Cosa ne pensate di ciò che vi ho detto?»
«Ascoltate, dottore: avreste dovuto sul serio parlarne con Talbot. La cosa può avere un'importanza enorme.»
Adesso il fornello della pipa brillava e si oscurava con la massima regolarità. «Ma caro signore, lo farò senz'altro. Ho capito la portata di quanto avevo veduto solo poco fa, quando voi mi avete raccontato l'intera storia...
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Aqualong
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Risposta #325 il:
16 Novembre 2008, 22:55:34 »
Alan Furst
Alan Furst è nato a Manhattan, New York. Ha vissuto per molti anni in Francia, dove ha insegnato alla Facoltà di Lettere dell’Università di Montpellier, e più tardi a Parigi. Ha viaggiato nell’Europa dell’est e in Russia come giornalista, è stato collaboratore regolare di Esquire e dell’International Herald Tribune. Tra suoi romanzi di spionaggio figurano: Night Soldiers (1988), The Polish Officer (1995), The World at Night (1996), Red Gold (1999
Il Corrispondente Dall'Estero
«Venga con me».
Weisz lasciò i soldi sul tavolo e seguì l'uomo fuori. In strada c'era un taxi fermo davanti al locale. L'uomo con il berretto si mise al volante e Weisz salì dietro, dove Mr Brown lo stava aspettando. Il solito Mr Brown oggi, l'odore di fumo di pipa che addolciva l'aria. «Buongiorno» gli disse acido. Il taxi si allontanò, mescolandosi al traffico sonnolento di rue Dauphine. «Che mattinata piacevole, oggi».
«Grazie per essere venuto» disse Weisz. «Avevo bisogno di parlarle, riguardo ai vostri piani per Liberazione».
«Si riferisce alla sua breve conversazione con Mr Lane?».
«Esatto. Pensiamo che sia una buona idea, ma ho bisogno del suo aiuto, Mr Brown, per salvare una vita».
Le sopracciglia di Brown si alzarono e la pipa emise uno sbuffo a mo' di esclamazione. «Di che vita stiamo parlando?».
«La vita di un'amica. Faceva parte di un gruppo di resistenza, a Berlino, e ora potrebbe essere in pericolo. Due giorni fa ho visto un telegramma alla Reuters che mi ha fatto pensare che potesse essere stata arrestata».
Per un momento, Brown sembrò un medico cui è stato riferito qualcosa di terribile e che, per quanto brutto, aveva già sentito prima. «Lei chiede un miracolo, dopodiché tutto andrà a meraviglia. È questa l'idea, Mr Weisz?».
«Forse è un miracolo per me, ma non per voi».
Brown si tolse la pipa dalla bocca e diede a Weisz una lunga occhiata. «La sua ragazza, vero?».
«Molto di più».
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Risposta #326 il:
16 Novembre 2008, 23:00:55 »
Pipe in scene a tinte forti,ancora una tragedia, di ambientazione ottocentesca, sul mare
Dan Simmons
Dan Simmons è nato nella cittadina di Peoria nel 1948 e cresciuto poi in varie città e paesi del Midwest, inclusa Brimfield che sarà poi ripresa a modello per la città immaginaria "Elm Haven" che appare nei romanzi L'estate della paura e L'inverno della paura.
Dan ha conseguito un Bachelor of Arts in lettere presso il Wabash College nel 1970, vincendo tra l'altro anche un premio nazionale di gionalismo (il Phi Beta Kappa Award). I suoi studi sono poi proseguiti alla Washington University di St. Louis dove ha ottenuto un Master of Education nel 1971. Ha quindi lavorato nel settore dell'educazione elementare per molti tempo: 2 anni in Missouri, 2 anni a Buffalo e 14 anni in Colorado, dove è stato anche insegnante in una scuola destinata a ragazzi dotati di quoziente intellettivo superiore alla media.
La Scomparsa Dell'Erebus
Maggie dice, in un tono molto più roco di quello d'imperioso comando che Crozier ha udito in precedenza dalla ragazzina: Dottor Kane, sapete che io vi amo...
L'uomo scuote la testa. Dal comodino ha preso una pipa e ora libera da sotto la ragazza il braccio sinistro per pressare il tabacco e accenderla. Maggie, tesoro, ascolto queste parole dalla vostra boccuccia ingannevole, sento i vostri capelli ricadermi sul petto e vorrei credervi. Ma non potete elevarvi dalla vostra condizione, mia cara. Avete molti tratti che vi innalzano sopra il vostro mestiere, Maggie... siete raffinata e amabile e, con una diversa educazione, sareste stata ingenua e spontanea. Ma non siete meritevole della mia permanente attenzione, signorina Fox.
Non siete meritevole... ripete Maggie. I suoi occhi, forse il suo tratto più bello, ora che i grossi seni sono nascosti a Crozier, paiono traboccare di lacrime.
Tutti si girarono a guardarlo. Parecchi avevano risparmiato razioni di tabacco, incrementate con l'aggiunta di roba innominabile, e ora intorno al tavolo cinque o sei fumavano la pipa. La nebbiolina rendeva più fitta la penombra nel fioco tremolio delle lampade a olio di balena.
Fitzjames si stava accendendo la pipa. Aveva terminato il tabacco da molto tempo. Non volevo sapere che cosa bruciava nel fornello. «Le coperture sono state stese per riparare gli equipaggi in tutte e diciotto le barche, anche se possiamo prenderne con noi solo dieci» ha risposto piano. La maggior parte degli uomini nel campo dormiva. Guardie andavano avanti e indietro al limitare della luce della lanterna.
Fitzjames ha soffiato fumo della sua esecrabile pipa e ha annuito come se io avessi pronunciato una perla di saggezza delle Sacre Scritture. «Sì» ha detto tristemente. «I dinghy sono lunghi solo dodici piedi, contro i ventotto delle pinacce e i ventidue delle lance. Ma nessuna di quelle barche può essere attrezzata con alberi per andare a vela e hanno tutte pochi remi.
«Se prenderemo le imbarcazioni più piccole, tireremo a sorte» ha annunciato il capitano. «I posti su pinacce, iole e baleniere saranno assegnati in conformità con le squadre di traino.»
Di sicuro l'ho guardato con aria allarmata.
Fitzjames ha riso, una risata che si è mutata in rauca tosse, e ha battuto la pipa contro lo stivale per togliere la cenere. Il vento già si alzava e faceva molto freddo. Non avevo idea dell'ora, ma doveva essere passata la mezzanotte. Il buio era sceso da almeno sette ore.
Quel pomeriggio il dottor Goodsir aveva poco lavoro per lui e l'ice master era tornato a zoppicare a fianco delle ultime barche del secondo traino dell'interminabile giornata, quando piede e gamba si incastrarono fra due pietre saldamente piantate nel terreno e la gamba si spezzò in alto. Blanky rifletté che il punto della rottura e la sua insolita presenza lì quasi alla fine della marcia fossero anch'essi un segno degli dèi.
Trovò un masso lì vicino, si sedette più comodamente che poté, tirò fuori la pipa e mise nel fornello le ultime briciole di tabacco, tenute in serbo per settimane.
Quando alcuni marinai si fermarono per chiedergli che cosa facesse, Blanky disse: «Resto solo seduto per un poco, penso.
Blanky sorrise. Non un sorriso sarcastico o triste, ma uno sincero, con un po' di vero buonumore. «Farà cosa, capitano? Mi taglierà la gamba all'anca? Le parti nere e le linee rosse mi corrono su fino al culo e ai genitali, signore, con le mie scuse per una descrizione così pittoresca. E se il dottore mi operasse, quanti giorni starei disteso nella barca come il vecchio fante Heather, Dio abbia in gloria il povero disgraziato, a farmi portare in giro da uomini stanchi quanto me?» Crozier rimase in silenzio. «No» continuò Blanky, fumando con calma la pipa. «Credo sia meglio
che me ne stia qui per un poco da solo a rilassarmi e riflettere su questo e su quello. Ho avuto una buona vita. Mi piacerebbe ripensarci un poco, prima che il dolore e il puzzo diventino così forti da distrarmi.» Crozier sospirò, guardò il suo carpentiere e poi il suo ice master, sospirò di nuovo. Dalla tasca del cappotto tolse una bottiglia d'acqua. «Prendetela.»
Lì galleggiava un corpo umano, un cadavere senza testa, ancora vestito di lana blu bagnata fradicia, con braccia e gambe penzoloni nell'acqua nera. Il collo era solo un moncone. Le dita, forse enfiate dalla morte e dal liquido gelido, ma stranamente accorciate in larghi moncherini, parevano
muoversi nella corrente, salire e scendere al minimo moto d'onda, come bianchi vermi che si torcessero. Come se, privo di voce, il corpo cercasse di dirci qualcosa per mezzo del linguaggio dei segni.
Ho aiutato Ferrier e McConvey a tirare a bordo i miseri resti. I pesci o qualche predatore acquatico avevano mangiucchiato le mani (le dita mancavano delle prime due falangi), ma il freddo estremo aveva ritardato i processi di rigonfiamento e decomposizione.
Il capitano Crozier ha fatto girare la sua baleniera fino a toccare con la prua la nostra fiancata.
«Chi è?» ha borbottato un marinaio.
«È Harry Peglar» ha esclamato un altro. «Riconosco il giubbotto.»
«Harry Peglar non portava un giubbotto verde» è intervenuto un terzo.
«Sammy Crispe ce l'aveva!» ha gridato un quarto marinaio.
«Silenzio!» ha tuonato il capitano Crozier. «Dottor Goodsir, siate così gentile da svuotare le tasche del nostro sventurato compagno.»
Ho eseguito. Dalla larga tasca del giubbotto bagnato ho tolto una borsa di tabacco quasi vuota, di cuoio rosso lavorato.
«Ah, merda!» ha detto Thomas Tadman, seduto accanto a Robert Ferrier nella mia barca. «È il povero signor Reid.»
E così era. Tutti ricordavamo che la sera prima l'ice master portava solo la giacca da marinaio e il giubbotto verde, e l'avevamo visto mille volte riempirsi la pipa da quella borsa di cuoio rosso sbiadito.
Edward Couch, Robert Thomas, Charles Des Voeux, il capo stiva della Erebus Joseph Andrews e il capo coffa della Terror Thomas Farr erano ammassati nella tenda più grande, adoperata come ospedale dal dottor Goodsir. Quelli che avevano subito amputazioni, apprese Des Voeux, erano morti nei quattro giorni della sua assenza o erano stati spostati in tende più piccole, divise con altri ammalati. I cinque nella tenda quel mattino erano gli ultimi ufficiali con una certa autorità di comando rimasti in vita almeno a Campo Soccorso e in condizioni di camminare dell'intera spedizione John Franklin. Quattro su cinque avevano ancora un po' di tabacco (Farr non fumava) e avevano acceso la pipa. La tenda era piena di volute azzurrine.
«Non posso credere che il capitano Crozier sia morto» disse Andrews.
Quattro dei cinque uomini aspirarono più forte il fumo della pipa. Nessuno aprì bocca. Fuori della tenda si udivano discorsi riguardo alle foche, qualche risata e, oltre questo, lo scoppiettio e le esplosioni del ghiaccio che si spezzava.
«Lo so» replicò Des Voeux. Trasse un profondo respiro e quasi tossì per il fitto fumo di pipa. «Va bene. Ecco la mia prima decisione come nuovo comandante della spedizione Franklin Quando trascineremo sul ghiaccio le barche domani, ogni uomo in grado di camminare e di mettersi alle tirelle o anche solo di salire a bordo verrà con noi. Se muore per strada, decideremo allora se portare oltre il suo cadavere. Deciderò io. Ma domani mattina solo coloro in grado di arrivare alle barche lasceranno Campo Soccorso.»
Campo Soccorso pareva vuoto, a parte alcuni bassi gemiti che forse provenivano dalle tende vicine o dal vento incessante. Il solito scricchiolio di stivali sulla ghiaia, le imprecazioni a bassa voce, le grida fra le tende, gli echi di martello o di sega, l'odore di tabacco da pipa... mancavano tutti, a parte qualche rumore, debole e sempre più lontano, dalla direzione delle barche. Gli uomini se ne andavano davvero.
Thomas Jopson non sarebbe rimasto lì a morire in quel gelido buco di culo in capo al mondo di campo temporaneo.
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Risposta #327 il:
17 Novembre 2008, 23:57:54 »
JOHN DICKSON CARR
John Dickson Carr (Uniontown, 30 novembre 1906 – Greenville, 27 febbraio 1977)
Autore di numerosi romanzi polizieschi, è considerato uno dei grandi autori dell'epoca d'oro del giallo classico ed è uno dei maggiori esponenti del cosiddetto enigma della camera chiusa.
L'autore aveva particolare abilità nel creare atmosfere e situazioni gotiche e impressionanti; degna di nota anche la sua passione per l'epoca e l'epopea Stuart. Negli anni del regno di Carlo II d'Inghilterra sono ambientati alcuni romanzi storico-polizieschi, tra cui “Il diavolo vestito di velluto” (The Devil in Velvet, 1951).
Nel 1963 gli fu conferito il premio "Grand Master" dei Mystery Writers of America e nel 1970 un Edgar Award in onore dei 40 anni di carriera.
IL CANTUCCIO DELLA STREGA
In Germania le leggende hanno la freschezza di uno scampanio, come un giocattolo mobile di Norimberga, ma questa terra inglese sembra cosa incredibile anche più antica delle sue torri coperte d'edera. Le campane, al crepuscolo, sembrano campane che attraversano i secoli e regna una calma nella quale camminano i fantasmi e dalla quale Robin Hood non è ancora scomparso.
Ted Rampole dette un'occhiata al suo ospite. Il dottor Fell che riempiva con la sua massa una poltrona di cuoio, stava ficcando il tabacco nella pipa e pareva riflettesse su qualcosa che la pipa gli aveva finito di dire.
Ma le api che si agitavano nel giardino assolato, la meridiana e le casette per gli uccelli, il profumo di legno vecchio e le fresche tendine, non potevano far pensare che all'Inghilterra. Le uova al prosciutto avevano un sapore qui, che non aveva mai apprezzato tanto prima; e così pure il tabacco da pipa. Questo paese non aveva quell'aria artificiale che hanno i luoghi in cui si vive soltanto durante l'estate, né tanto meno somigliava a un giardino pensile.
Tra gli alberi passò un'altra folata di vento. Quel caldo così umido lo soffocava e gli dava le vertigini; quel caldo... Spense la lampada.
Mentre scendeva dabbasso riempì la pipa e rimise in tasca la borsa del tabacco. La signora Fell stava leggendo, nel soggiorno, su una cigolante poltrona a dondolo. Rampole si diresse annaspando verso il prato. Il dottore aveva trascinato due poltrone di vimini davanti a quella parte della casa che guardava verso la prigione e che era molto buia e assai più fresca. Rampole vide brillare il fornello rosso della pipa del dottore e si diresse da
quella parte; mentre si metteva a sedere si trovò fra le mani un bicchiere freddo.
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Risposta #328 il:
20 Novembre 2008, 00:02:06 »
Due giovani scrittrici che dimostrano di non avere le idee molto chiare in fatto di pipe,o forse si,non si capisce bene.
C'è anche Sherlock Holmes fra gli argomenti,ritorna sempre fuori,diciamo che quì non fà la sua "porca figura",dico questo perchè il linguaggio del romanzo è dei più scurrili.
Sensibili astenersi dal leggere.
KATE MOSSE
L'OTTAVO ARCANO
Laboughe sospirò, rendendosi conto che l'ispettore non aveva finito. Prese una pipa di schiuma nera dalla tasca, la batté sullo spigolo della scrivania per distribuire meglio il tabacco, quindi accese un fiammifero e tirò finché la fiamma non attecchì. Un odore penetrante e acre riempì l'ufficio.
SARAH LANGAN
VIRUS
In fondo alla fila dei banchetti, trovò l'Associazione Sherlock Holmes. Non c'era una gran folla. Nessun foglio ufficiale per le firme. Niente ressa di studenti popolari che annuivano in tacito assenso vedendola avvicinarsi. Nulla di tutto ciò. Unico titolare del banchetto era una matricola dodicenne, il genio che aveva saltato due classi. Portava sulle spalle un mantello di lana scozzese, tra i denti una pipa giocattolo.
La carnagione era pallida e opaca, come se ogni sera a letto si ingozzasse di burro di arachidi Superchunck Skippy, mangiandolo con le dita direttamente dal barattolo. Le fissò a lungo le tette, così lei le nascose incrociando le braccia. Lui non smise di guardare, risultandole subito odioso, perché solo i ragazzi più fighi potevano notarle il profilo dei capezzoli,
così che quella vista li incantasse al punto da dichiarare seduta stante che la amavano al punto di essere disposti a uccidere per lei. A morire, o quantomeno a offrirle un hamburger.
La matricola secchione masticava il bocchino della pipa finta che probabilmente gli avevano regalato i suoi come souvenir della riserva indiana di Penobscot Island. «Ci servono tre persone per formare un club altrimenti la scuola non ci assegna un docente» disse. Poi le allungò il foglio delle firme come le stesse facendo un favore. Come non la considerasse abbastanza intelligente da risolvere un mistero di Sherlock Holmes, ma d'altra parte, cosa vuoi farci, gli serviva un nome per il quorum.
«Fottiti, matricola» sarebbe riuscita a dirgli dieci minuti dopo, ma al momento riuscì solo a balbettare: «Mi sono sbagliata, pensavo fosse il banchetto cheerleader», e si allontanò.
Sulla pista di atletica, aprì il lucchetto della bici da uomo arrugginita che suo padre aveva recuperato per lei dalla discarica quand'era bambina. Ormai era troppo piccola, e le ginocchia le sbattevano sul manubrio quando pedalava. Non c'era nessun altro in giro. Tutti gli altri studenti di Corpus Christi erano dentro la scuola a divertirsi. Persino la squadra di football aveva annullato gli allenamenti per la giornata dei club. Anzi, in quel momento ridevano tutti di come era scappata fuori dalla palestra. Uscita lei, era iniziata la festa. Avevano tirato fuori la birra alla spina, le luci si erano spente, e avevano tutti cominciato a pomiciare. La matricola secchione serviva a metterla alla prova. L'Associazione Ammiratori di Sherlock Holmes era davvero una società segreta di studenti popolari, solo che per farti ammettere dovevi infilare in culo alla matricola la sua pipa giocattolo. Letteralmente.
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Risposta #329 il:
05 Dicembre 2008, 22:49:56 »
L'attimo di calma con la pipa accesa,poi......
Carl Jacobi
RIVELAZIONI IN NERO
Mi sono seduto tra il pesce sorridente e gli unicorni al galoppo, e mi sono innamorato follemente della perla. Il passato si è dissolto in vacuità e...»
Posai il libro e rimasi seduto a guardare gli anelli di fumo della mia pipa fluttuare verso il soffitto. Lo scritto proseguiva, ma non riuscivo ad attribuirgli il minimo significato. Era tutto in quello stile strano e assolutamente incomprensibile. Eppure avevo l'impressione che quello scritto fosse qualcosa di più dei vaneggiamenti di un folle.
Mi avvicinai alla finestra, scostai la tenda e rimasi lì, fumando convulsamente. Devo dire che abitudini regolari hanno sempre fatto parte della mia natura. Non sono dedito a vagabondaggi notturni o a tortuosi itinerari destinati a ingannare l'insonnia; ma in quel momento, abbastanza stranamente, con le pagine del libro ancora in mente, sperimentai d'improvviso un'indefinibile smania di lasciare il mio appartamento e di camminare per le strade buie.
Misuravo nervosamente la stanza. L'orologio sulla mensola del camino emetteva il suo lento, incalzante ticchettio nella quiete dell'appartamento. Alla fine gettai la pipa sul tavolo, presi cappello e soprabito e infilai la porta.
Peter Coleborn
L'ESUMAZIONE
Stirland prese la lista, e la lasciò cadere indietro sulla scrivania. «Ci sono così tante contraddizioni, Max. Dio sa cosa riferirò al Magistrato.»
Il Dr. Stirland riposava nella sua poltrona di pelle nera, con gli occhi socchiusi e tirava boccate dalla pipa. Il fumo del tabacco si alzava pigramente, accarezzando il suo viso, verso il soffitto.
Attraverso la sottile nebbia blu, da sotto le pesanti palpebre, egli guardava l'occhio che galleggiava dentro un vasetto di formalina. L'occhio, aveva deciso, apparteneva alla più anziana delle vittime della bomba.
FRANCIS DURBRIDGE
...DAI NEMICI MI GUARDO IO
Ascoltavo tranquillo la storia, mentre George mi guardava imbarazzato prima di cominciare a grattare e a soffiare rumorosamente nella pipa. Lo sguardo di Laura era chiaramente sospettoso. E neppure io gli credevo, ma forse era meglio fingere di credergli. Sempre armeggiando intorno alla pipa, che aveva ormai riempito e cominciava ad accendere, George proseguì: «Be'...» puffpuff... «pensavo che volessi riferirlo» puffpuff, e il fiammifero si spense «dannazione, che volessi insomma accennare il fatto all'ispettore.»
Laura intervenne prima di me, nonostante tentassi di farla tacere con un cenno. Con voce tagliente come la lama di un rasoio disse: «Perché non ci andate voi dall'ispettore?»
Il viso di George scomparve dietro una nuvola di fumo con l'aiuto di un altro fiammifero. «Non sono affari miei, signorina. Bisogna essere pruden
ti, segreto professionale, sapete. Dopo tutto, la signora è sempre una mia paziente.»
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