Ritrovo Toscano della Pipa
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Topic: Autori con la pipa in bocca (Letto 365038 volte)
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #360 il:
26 Febbraio 2009, 18:43:15 »
Rispunta fuori il diabolico accostamento....
GIOVANNI VERGA
Tutte le novelle
LA CACCIA AL LUPO
Una sera di vento e pioggia, vero tempo da lupi, Lollo capitò all'improvviso a casa sua, come la mala nuova. Picchiò prima pian piano, sporse dall'uscio la faccetta inquieta, e infine si decise ad entrare, giallo al par dello zafferano, e tutto grondante d'acqua.
Fuori l'ira di Dio, lui con quella faccia, e a quell'ora insolita: sua moglie, poveretta, cominciò a tremare come una foglia, ed ebbe appena il fiato di biascicare:
- Che fu?... Che avvenne? ... -
Ma Lollo non rispose nemmeno - Crepa -. Uomo di poche chiacchiere, specie quando aveva le lune a rovescio. Masticò sa lui che parole tra i denti, e seguitò a guardare intorno cogli occhietti torbidi. Il lume era sulla tavola, il letto bell'e rifatto, tanto di stanga all'uscio di cucina, dove polli e galline, spaventati anch'essi pel temporale, certo, facevano un gran schiamazzo, tanto che la donna diveniva sempre più smorta, e non osava guardare in faccia il marito.
- Va bene, - disse lui. - In un momento mi sbrigo -.
Appese a un chiodo lo scapolare, posò sulla tavola l'agnella che ci aveva sotto, così legata per le quattro zampe, e sedé a gambe larghe, curvo, colle mani ciondoloni fra le cosce, senza dir altro. La moglie intanto gli metteva dinanzi pane, vino, e la pipa carica anche, che non sapeva più quel che si facesse, in quel turbamento.
- A che pensi? Dove hai la testa? - brontolò Lollo. - Una cosa alla volta, bestia! -
Masticava adagio, facendo i bocconi grossi, colle spalle al muro e il naso sulla grazia di Dio. Di tanto in tanto volgeva il capo, e dava un'occhiata all'agnella, che cercava di liberarsi, belando, e picchiava della testa sulla tavola .
- Chetati, chetati! - brontolò Lollo infine. - Chetati, che ancora c'è tempo.
- Ma che volete fare? Parlate almeno! -
Egli la guardò quasi non avesse udito, con quegli occhietti spenti che non dicevano nulla, accendendo la pipa tranquillamente, tanto che la povera donna smarrivasi sempre più, e a un tratto si buttò ginocchioni per slacciargli le ciocie fradice.
- No, - disse lui, respingendola col piede. - No, torno ad uscire.
- Con questo tempo? - sospirò lei, tirando un gran respiro.
- Non importa il tempo... Anzi!... Anzi!... -
Quando parlava così, con quella faccia squallida, e gli occhi falsi che vi fuggivano, quell'omettino magro e rattrappito faceva proprio paura - in quella solitudine - con quel tempaccio che non si sarebbe udito “Cristo aiutami!”.
La moglie sparecchiava, in silenzio. Lui fumava e sputacchiava di qua e di là. A un tratto la gallina nera si mise a chiocciare, malaugurosa.
- S'è visto oggi Michelangelo? - domandò Lollo.
- No... no... - balbettò la moglie, che fu ad un pelo di lasciarsi cader di mano la grazia di Dio.
- Gli ho detto di scavare la fossa... Una bella fossa grande... L'avrà già fatto.
- Oh, Gesummaria! Perché?... perché?...
- C'è un lupo... qui vicino... Voglio pigliarlo -.
Ella istintivamente volse una rapida occhiata all'uscio della cucina, e fissò gli occhi smarriti in volto al marito, che non la guardava neppure, chino sulla sua pipa, assaporandola, quasi assaporasse già il piacere di cogliere la mala bestia. Ella, facendosi sempre più pallida, colle labbra tremanti, mormorava: - Gesù!... Gesù!...
- Non aver paura. Voglio pigliarlo in trappola... senza rischiarci la pelle... Ah, no! Sarebbe bella!... con chi viene a rubarvi il fatto vostro... rischiarci la pelle anche!
Ho già avvisato Zango e Buonocore. Ci hanno il loro interesse pure -.
Fosse il vinetto che gli scioglieva la lingua, o provasse gusto a rimasticare pian piano la bile che doveva averci dentro, non la finiva più, grattandosi il mento rugoso, appisolandosi quasi sulla pipa, ciarlando come una vecchia gazza.
- Vuoi sapere come si fa?... Ecco: gli si prepara il suo bravo trabocchetto... un bel letto sprimacciato di frasche e foglie... l'agnella legata là sopra... che lo tira la carne fresca, il mariolo!... E se ne viene come a nozze, al sentire il belato e la carne fresca... Col muso al vento, se ne viene, e gli occhi lucenti di voglia... Ma appena cade nella trappola, poi, diventa un minchione, che chi gliene può fare, gliene fa: sassi, legnate, acqua bollente! -
L'agnella, come se capisse il discorso, ricominciò a belare, con una voce tremola che sembrava il pianto di un bambino, e toccava il cuore. Sobbalzava di nuovo a scosse, rizzando il capo, e tornava a batterlo sulla tavola come un martello.
- Basta! basta, per carità! - esclamò la donna, giungendo le mani, quasi fuori di sé.
- No, l'agnella non la tocca neppure, appena si trova preso in trappola con essa... Le gira intorno, nella buca... gira e rigira... tutta la notte, per cercar di fuggirla anche... la tentazione... Come capisse che è finita, e bisogna domandar perdono a Dio e agli uomini... Bisogna vederlo, appena spunta il giorno, con quella faccia rivolta in su, che aspetta i cani e i cacciatori, con gli occhi che ardono come due tizzoni... -
Si alzò finalmente, adagio adagio, e si mise a girondolare per la stanza, come un fantasma, strascicando le ciocie fradice, frucacchiando qua e là, col lume in mano.
- Ma che cercate? Che volete? - chiese la povera moglie, annaspandogli dietro affannata.
Egli rispose con una specie di grugnito, e cacciò il lume sotto il letto.
- Ecco, ecco, l'ho trovato -.
Il turbine in quel momento parve portarsi via la casa. Uno scompiglio in cucina: la donna che strillava, attaccata all'uscio: una ventata soffiò sul lume a un tratto, e buona notte.
- Santa Barbara! Santa Barbara!... Aspettate... Cerco gli zolfanelli... Dove siete? Dove andate? Rispondete almeno!
- Zitta - disse Lollo ch'era corso a stangare la porta di casa. - Zitta, non ti muovere, tu! -
E si diede a battere l'acciarino sull'esca, verde come lo zolfanello che aveva acceso, tanto che alla povera moglie tremava il lume in mano.
Egli tornò a girondolare, cheto cheto. Prese un bastoncello di rovere, lo intaccò da un capo e vi legò una funicella di pelo di capra. La moglie, che le erano tornati gli spiriti vitali al veder dileguarsi il temporale, e mostrava di stare attenta anzi a quel lavoro, coi gomiti sulla tavola, e il mento fra le mani, volle sapere: - Che è questo?
- Questo?... Che è questo? - mugolò lui, soffiando e fischettando. - Questo è il biscotto per chiuder la bocca la lupo... Ce ne vorrebbe un altro per te, ce ne vorrebbe! Ah, ah!... Ridi adesso?... T'è tornato il rossetto in viso?... Voi altre donne avete sette spiriti, come i gatti... -
Essa lo guardava fisso fisso, per indovinare quel che covasse sotto quel ghigno: gli si strusciava addosso, proprio come una gatta, col seno palpitante, e il sorriso pallido in bocca.
- Sta ferma, sta ferma, che fai versare l'olio... L'olio porta disgrazia...
- Sì, che porta disgrazia! - proruppe lei. - Ma che avete infine? Parlate!
- Tò! Tò! Ecco che vai in collera ora!... Le sai tutte, le sai!... Vuoi sapere anche come si fa a pigliarlo? Ecco qua: gli si cala questo gingillo nella buca; il lupo, sciocco, l'addenta; allora, lesto, gli si passa la funicella all'altro capo del bastone, e si lega dietro la testa. L'affare è fatto. Dopo, il lupo potete prenderlo e tirarlo su, che non fa più male... E ne fate quel che volete... Ma bisogna aspettare a giorno chiaro... Ora vo a preparare la trappola...
- V'aspetto adunque? Tornate? -
Lollo andò a staccare lo scapolare grugnendo: - Uhm!... uhm!... - E tornò a prendere l'agnella: - Vedremo... Il gusto è a vederlo in trappola... che ne fate poi quel che volete... senza dar conto a nessuno... Anzi vi danno il premio al municipio!... Tu sta cheta, sta cheta - ripeté mettendosi l'agnella sotto il braccio. - Sta cheta che il lupo non ti tocca. Ha da pensare ai casi suoi, piuttosto -.
Uscì così dicendo, senza dar retta alla moglie, e chiuse l'uscio di fuori.
- Che mi chiudete a chiave? - strillò la donna picchiando dietro l'uscio. - Eh? Che fate? -
Lollo non rispose, e si allontanò fra l'acqua e il vento.
- Oh Vergine santissima! - esclamò la poveretta aggirandosi per la stanza colle mani nei capelli.
S'aprì invece l'uscio della cucina e comparve Michelangelo, pallido come un morto, che non si reggeva in piedi.
- Presi!... Siamo presi! - balbettò lei con un filo di voce. - Ci ha chiusi a catenaccio! -
Lui da prima voleva fare il bravo. Tirò su i calzoni per la cintola, incrocicchiò le braccia sul petto, tentò di balbettare qualche cosa per far animo alla povera donna: - Va bene!... son qui... t'aspetto!... - Poi, tutt'a un tratto, fosse il naturale suo proprio che lo vincesse, o il nervoso che gli metteva addosso il va e vieni di lei che pareva proprio una bestia presa in gabbia, scappò a correre anche lui all'impazzata, di qua e di là per la stanza, in punta di piedi, pallido, stralunato, tentò e ritentò la porta, scosse l'inferriata della finestra, s'arrampicò sulla tavola e sul letto per dar la scalata al tetto annaspando colle braccia tremanti, cieco di paura e di rabbia.
Infine s'arrese, trafelato, guardando bieco la complice, accusandola d'averlo attirato nel precipizio.
- Ah! - scattò allora su lei, colle mani ai fianchi. - È questa la ricompensa?
- Zitta! - esclamò lui spaventato, chiudendole la bocca colla mano. - Zitta!... Non vedi che abbiamo la morte sul collo?
- Doveva cogliermi un accidente, quando mi siete venuto fra i piedi! - seguitò a sbraitare la donna. - Doveva cogliermi una febbre maligna!
- Ssss!... - fece lui colle mani e la voce stizzosa. - Ssss! -.
Si udiva solo il vento, e l'acqua che scrosciava sul tetto. Lei si teneva il capo fra le mani, e lui stava a guardarla, inebetito.
- Ma che disse? Che fece? - biascicò infine. - Alle volte... Ci è parso perché siamo in sospetto...
- No! - rispose la moglie di Lollo. - È certo! È certo che sapeva!...
- E allora?... allora?... - scattò su Michelangelo, tornando ad alzarsi come fuori di sé.
Il lume, a cui mancava l'olio, cominciava a spegnersi.
Egli furioso scuoteva di nuovo porta e finestra, rompendosi le unghie per scalzar l'intonaco, mugolando come una bestia presa al laccio. - Ave Maria, aiutatemi voi! - supplicava invece la donna.
- Prima dovevi dire le avemarie... prima!... - esclamò infine lui.
E cominciò a sfogarsi dicendole ogni sorta d'improperi.
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Ultima modifica: 26 Febbraio 2009, 18:44:49 da Aqualong
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #361 il:
27 Febbraio 2009, 18:23:24 »
ancora pipe e sfigati
Cechov Anton Pavlovic
Racconti
Tifo
Sul treno postale che andava da Pietroburgo a Mosca, in uno scompartimento per fumatori, viaggiava il giovane tenente Klimov. Di fronte a lui era seduto un uomo anziano dalla faccia rasata da capitano di nave mercantile, secondo tutte le apparenze un agiato finlandese o svedese, che per tutto il tempo del viaggio aveva succhiato la pipa e discorso sempre dello stesso argomento:
«Ah, voi siete ufficiale! Anche mio fratello é ufficiale, solo che lui è in marina... Lui è in marina e presta servizio a Kron£s£tadt. Per quale ragione andate a Mosca?»
«Presto servizio là.»
«Ah! Avete famiglia?»
«No, vivo con uno zio e mia sorella.»
«Anche mio fratello è ufficiale, di marina, ma lui ha famiglia. Ha moglie e tre bambini. Ah!»
Il finlandese si meravigliava di chissà che, faceva larghi sorrisi da idiota quando esclamava «ah!» e soffiava in continuazione dentro la sua pipa puzzolente. Klimov, che non si sentiva bene e faceva fatica a rispondere alle domande lo odiava con tutta l'anima. Fantasticava che sarebbe stato bello strappargli di mano quella pipa sibilante e scaraventarla sotto il sedile, e cacciar via in un altro vagone lo stesso finlandese...
Sembrava che il fuochista entrasse troppo spesso per dare un'occhiata al termometro, che il rumore di un treno che veniva in senso opposto e il frastuono delle ruote su un ponte si udissero senza interruzione. Il rumore, i fischi, il finlandese, il fumo del tabacco, tutto ciò, mischiandosi a gesti minacciosi e al vacillare di immagini nebulose, delle quali un uomo sano non può ricordare forma e carattere, opprimeva Klimov come un incubo insopportabile. In preda a una terribile angoscia, sollevava la testa pesante, gettava occhiate a un fanale nei cui raggi turbinavano ombre e macchie confuse, avrebbe voluto chiedere dell'acqua, ma la lingua inaridita si muoveva appena, e riusciva a stento a raccogliere le forze per rispondere alle domande del finlandese. Cercava di allungarsi più comodamente e di addormentarsi ma non gli riusciva; il finlandese prese sonno più volte, ma poi si svegliava, accendeva la pipa, si rivolgeva a lui con i suoi «ah!», e di nuovo si riaddormentava; le gambe del tenente continuavano a non trovar posto sul sedile e le immagini minacciose gli stavano sempre davanti agli occhi.
Alla stazione di Spirovo scese dal treno per bere un po' d'acqua. Vide delle persone, sedute ai tavoli, che mangiavano qualcosa in gran fretta.
«Ma come possono mangiare!» pensava, sforzandosi di non annusare l'aria che sapeva di carne arrostita e di non guardare le bocche che masticavano; l'una e l'altra cosa gli sembravano ripugnanti fino alla nausea.
Una bella signora discorreva ad alta voce con un militare in berretto rosso e, sorridendo, metteva in mostra dei magnifici denti bianchi; quel sorriso, i denti e la stessa donna produssero in Klimov un'impressione altrettanto ripugnante del prosciutto e delle cotolette arrosto. Non riusciva a capire come a quel militare dal berretto rosso non facesse senso star lì seduto accanto a lei, come riuscisse a guardare il suo volto sano e sorridente. Quando, dopo aver bevuto l'acqua, ritornò nel vagone, il finlandese era seduto e fumava. La sua pipa sibilava e gemeva come una galoscia bucata quando il tempo è piovoso.
«Ah!» si stupì. «Che stazione è questa?»
«Non lo so,» rispose Klimov coricandosi e chiudendo la bocca per non respirare l'acre fumo del tabacco.
«E quando saremo a Tver'?» «Non lo so. Scusate, io... io non ce la faccio a parlare. Sono malato, oggi ho preso un colpo d'aria.»
Il finlandese batté la pipa sul telaio della finestra e si mise a parlare del fratello ufficiale di marina. Klimov ormai non l'ascoltava più e pensava con angosciosa nostalgia al suo morbido, comodo letto, alla caraffa con l'acqua fresca, alla sorella Katja, che sapeva metterlo a letto con tanta dolcezza, tranquillizzarlo e porgergli l'acqua. Si mise perfino a sorridere quando nella fantasia gli balenò la figura dell'attendente Pavel mentre sfilava al padrone i pesanti e aderenti stivali e metteva l'acqua sul tavolino. Gli sembrava che sarebbe bastato coricarsi nel suo letto e bere dell'acqua, perché l'incubo svanisse, cedendo il posto a un sonno profondo, sano.....
A casa Klimov fu accolto dallo zio e dalla sorella Katja, una ragazza di diciott'anni. Mentre lo salutava, Katja aveva tra le mani un quaderno e una matita e così lui ricordò che si stava preparando per l'esame di insegnante. Senza rispondere alle domande e ai saluti, ma solo ansimando per il gran caldo, fece il giro di tutte le stanze, senza scopo alcuno, e, arrivato al proprio letto, crollò sul cuscino. Il finlandese, il berretto rosso, la signora dai denti bianchi, l'odore di carne arrosto, le macchie vacillanti occupavano intieramente la sua mente; non sapeva più dove si trovava e non udiva le voci inquiete intorno a lui. Quando riprese conoscenza, si ritrovò nel suo letto, spogliato, vide la caraffa con l'acqua e Pavel, ma non per questo si sentì più fresco, né più leggero, né più comodo. Gambe e braccia, come prima, non trovavano posto, la lingua gli si appiccicava al palato e continuava a udire il gemito della pipa del finlandese. Vicino al letto si affcendava un medico dalla barba nera, urtando Pavel con le larghe spalle....
Ma padre Aleksandr, persona facile al riso e allegra, non si mise a ridere, anzi diventò ancora più serio e fece il segno di croce su Klimov. Durante la notte uscivano ed entravano silenziosamente dalla camera, una alla volta, due ombre. Erano lo zio e la sorella. L'ombra della sorella si inginocchiava e pregava: si chinava davanti all'immagine e anche la sua ombra sul muro si chinava, così che erano due ombre a pregare Dio. L'aria odorava sempre di carne arrosto e del fumo della pipa del finlandese, ma Klimov, una volta, avvertì un profumo penetrante d'incenso. Preso dalla nausea, si mise a gridare:
«L'incenso! Portate via l'incenso!»...
Sul Danno del tabacco
NJUCHIN (con lunghi favoriti, senza baffi, in un vecchio frac liso, si muove maestosamente, fa inchini e si aggiusta il gilet)
Gentili signore e, in un certo qual modo, gentili signori. (Si pettina i favoriti).È stato proposto a mia moglie che io tenessi qui una conferenza popolare a scopo benefico. Che fare? Una conferenza, e conferenza sia, la cosa mi è del tutto indifferente. Io non sono certo professore, sono estraneo alle gerarchie accademiche, ma, ciononostante, già da trent'anni, senza interruzione, dirò addirittura a danno della mia propria salute e tutto il resto, mi dedico comunque a problemi di carattere scientifico, ragiono e scrivo persino, pensate un po', articoli scientifici, vale a dire non esattamente scientifici, ma, se mi scuseranno l'espressione, proprio come se fossero tali. A proposito, in questi giorni ho redatto un articolo di enormi proporzioni dal titolo: Del danno provocato da alcuni insetti. Alle mie figlie è molto piaciuto, in particolare dove dico delle cimici, io l'ho letto e subito stracciato. Comunque è del tutto indifferente, scrivi ciò che vuoi, ma senza l'insetticida il problema non si risolve. Noi le cimici le abbiamo persino nel pianoforte... Come argomento della mia conferenza odierna ho scelto, per così dire, il danno che reca all'umanità l'uso del tabacco. Sono fumatore anch'io, ma mia moglie mi ha ordinato di parlare oggi della nefasta influenza del tabacco, e quindi la cosa non si discute. Del tabacco, e tabacco sia, per me è del tutto indifferente; a loro, gentili signori, propongo di rapportarsi alla mia presente conferenza con la dovuta serietà, altrimenti non se ne caverà nulla. Chi fosse spaventato da un'arida conferenza scientifica, chi non l'apprezzasse, può non ascoltarla e uscire. (Si aggiusta il gilet).Chiedo particolare attenzione ai signori medici qui presenti, che potranno trarre dalla mia conferenza molte indicazioni utili, visto che il tabacco, oltre alle sue nefaste influenze, viene usato anche in medicina. Per esempio, se si chiudesse una mosca in una tabacchiera, probabilmente creperebbe di esaurimento nervoso. Il tabacco è, essenzialmente, una pianta... Quando tengo una conferenza, di solito ammicco con l'occhio destro, ma loro non facciano caso; è l'emozione. Sono una persona molto nervosa, parlando in generale, ma ad ammiccare ho cominciato nel 1889, il 13 settembre, lo stesso giorno in cui a mia moglie nacque, in un certo senso, la nostra quarta figlia Varvara. Tutte le mie figlie sono nate il 13 del mese. Comunque (dopo aver guardato l'orologio), considerando il poco tempo a disposizione, non esuleremo dal tema della conferenza. Devo far loro notare che mia moglie dirige una scuola di musica e un pensionato privato, voglio dire non un pensionato, ma qualcosa di simile. Parlando fra noi, mia moglie ama piangere miseria, ma ha qualcosa da parte, quaranta o cinquantamila, io invece non ho un copeco, non un centesimo, ma che vale parlarne! Nel pensionato io costituisco il responsabile dell'economia domestica. Penso alle provviste, controllo la servitù, annoto le spese, preparo i quaderni, stermino le pulci, porto a spasso il cane di mia moglie, do la caccia ai topi... Ieri sera era di mia competenza consegnare la farina e il burro alla cuoca, dal momento che erano in programma le frittelle. Ebbene, in poche parole, oggi, quando le frittelle erano già pronte, mia moglie è venuta in cucina a dire che tre educande non le avrebbero mangiate perché gli si erano gonfiate le ghiandole. E così è risultato che si erano preparate delle frittelle in eccesso. Che cosa ordinate di farne? Mia moglie in principio ha ordinato che fossero portate in cantina, poi, pensa e ripensa, dice: "Mangiale tu quelle frittelle, spaventapasseri". Quando è di cattivo umore mi chiama così: spaventapasseri, o aspide, o satana. Ma che satana sarò mai io? Lei è sempre di cattivo umore. E io non le ho mangiate, bensì inghiottite, senza masticarle, dal momento che ho sempre fame. Ieri, per esempio, non mi ha fatto pranzare. "Dar da mangiare a te, spaventapasseri - dice - non è il caso... ". Ma, però (guarda l'orologio), abbiamo parlato un po' a vanvera, e ci siamo allontanati dal nostro tema. Continuiamo. Per quanto loro ora ascolterebbero volentieri una romanza, o una qualsiasi sinfonia, o un'aria... (Accenna una melodia)."Non batteremo ciglio, nell'ardore dello scontro... ". Non ricordo da dove è tratto... A proposito, ho dimenticato di dir loro che nella scuola di musica di mia moglie, oltre l'economia domestica, è di mia competenza l'insegnamento della matematica, della fisica, della chimica, della geografia, della storia, del solfeggio, della letteratura eccetera. Per la danza, il canto e il disegno mia moglie percepisce un pagamento a parte, sebbene danza e canto li insegni io. La nostra scuola di musica si trova nel vicolo dei Cinque cani, al numero 13. Forse è per questo che la mia vita è così piena di disgrazie, per il fatto che abitiamo al numero 13. Anche le mie figlie sono nate il giorno 13, e in casa nostra ci sono 13 finestre... Beh, che farci! Per prendere accordi, mia moglie la si trova in casa in qualunque momento, mentre il programma della scuola, se vi interessa, è in vendita dal portiere a trenta copechi la copia. (Estrae di tasca alcuni opuscoli).Se qualcuno è interessato posso provvedere io. Trenta copechi la copia! Chi ne vuole? (Pausa).Nessuno ne vuole? Su, venti copechi! (Pausa).Peccato. Già, la casa numero 13! Non mi riesce niente, sono invecchiato, rincitrullito... Adesso sto facendo la conferenza, ho l'aspetto allegro, ma dentro avrei voglia di gridare a tutta voce o di volar via chissà dove al di là dei tre mari. E non mi posso sfogare con nessuno, ho persino voglia di piangere... Loro diranno: le figlie... Quali figlie? Io parlo con loro, e quelle non fanno che ridere... Mia moglie ha sette figlie... No, chiedo scusa, devono essere sei... (Vivacemente).Sette! La maggiore, Anna, ha ventisette anni, la minore diciassette. Gentili signori! (Si guarda intorno).Sono infelice, mi sono abbandonato alle sciocchezze, alla miseria, ma in fondo loro vedono in me il più felice dei padri. In fondo così deve essere, e io non mi azzarderò a dire altrimenti. Se loro soltanto sapessero! Ho passato con mia moglie trentatré anni e, posso dire, sono stati i migliori anni della mia vita, non proprio i migliori, così in generale. Sono trascorsi, per farla breve, in un felice istante, per quanto mi riguarda, che il diavolo se li porti. (Si guarda attorno).Comunque, lei, a quanto pare, non è ancora arrivata, non è qui, e si può dire qualunque cosa si voglia... Io sono terrorizzato... terrorizzato quando lei mi guarda. Sì, dicevo: le mie figlie aspettano tanto a trovar marito probabilmente perché sono timide, e anche perché non vedono mai uomini. Mia moglie non vuole dare feste, ai pranzi non invita mai nessuno, è una dama molto avara, irosa, litigiosa, per questo da noi non viene mai nessuno, ma... posso confidar loro in segreto... (Si avvicina alla scaletta).Le figlie di mia moglie le si può vedere nelle occasioni di festa grande, dalla loro zia Natalja Semenovna, quella stessa che soffre di reumatismi e che va in giro con quell'abito giallo a macchiette nere, come se fosse invasa dagli scarafaggi. Là servono anche gli antipasti. E quando mia moglie non c'è ci si concede anche questo... (Porta il pollice alla bocca, nel gesto di bere).Devo far loro notare che io mi ubriaco con un solo bicchierino, e ciò mi mette l'animo in pace ma mi procura anche una gran tristezza che non riesco ad esprimere a parole; mi tornano in mente, chissà perché, gli anni giovanili, e vien voglia di correre, ah se loro sapessero che voglia! (Divertito).Correre, lasciar perdere tutto e correre senza voltarsi indietro... dove? Non importa dove... purché si corra via da questa vita schifosa, volgare e meschina, che mi trasforma in un vecchio, penoso stupidone; correre via da questa sciocca, misera, cattiva, cattiva, cattiva spilorcia, da mia moglie, che per trentatré anni mi ha tormentato, correre via dalla musica, dalla cucina, dai soldi di mia moglie, da tutte quelle cose sciocche e volgari... e fermarsi da qualche parte lontano lontano, in un campo e starsene immobile come un albero, come un palo, come uno spaventapasseri, sotto il cielo aperto e tutta notte guardare la luna che se ne sta quieta e splendente sopra di te, e dimenticare, dimenticare... Oh, come vorrei non ricordare nulla!... Come vorrei strapparmi di dosso questo vecchio frac abietto in cui trent'anni fa mi sono sposato... (si strappa di dosso il frac) in cui regolarmente tengo conferenze a scopo benefico... Toh! (Calpesta il frac).Toh! Sono vecchio, io, povero, penoso, come questo gilet con la sua schiena lisa e spelacchiata... (Mostra la schiena).Non ho bisogno di niente! Sono superiore e più puro di tutto questo, sono stato, tempo fa, giovane intelligente, ho studiato all'università, sognavo, mi consideravo un uomo... Adesso non ho bisogno di niente! Niente, tranne la quiete... tranne la quiete! (Dopo aver guardato da un lato, indossa rapidamente il frac).Ecco dietro le quinte c'è mia moglie... E arrivata e mi aspetta là... (Guarda l'orologio).Il tempo è già passato... Se domanderà loro qualcosa, io prego di dirle che la conferenza ha avuto luogo... che lo spaventapasseri, cioè io, si è comportato dignitosamente. (Guarda di lato, tossisce).Sta guardando verso di me... (Alzando la voce).Basandosi sul concetto che il tabacco contiene in sé un terribile veleno, del quale ho appena parlato, non è opportuno fumare in nessuna circostanza, e mi permetto, in un certo senso, di sperare che questa mia conferenza sul danno del tabacco si manifesterà di qualche utilità. Ho finito. Dixi et animam levavi!
Connesso
Suerte!
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #362 il:
28 Febbraio 2009, 19:41:55 »
Ancora russi...
L’IDIOTA
Fedor DOSTOEVSKIJ
Non è a motivo della vostra povertà che siete, se posso
chiedere, venuto a sollecitare il generale?»
«Oh no, di questo potete esser assolutamente certo. Ho un altro
affare.»
«Scusate, la domanda mi è venuta guardandovi. Aspettate il
segretario. Adesso è occupato con un colonnello, ma poi verrà anche il
segretario... quello della compagnia.»
«Allora, se c'è molto da aspettare, vi chiederei: non c'è qui un posto
dove fumare? Ho con me pipa e tabacco.»
«Fu-ma-re?» fece il cameriere squadrandolo con perplessità mista a
disprezzo, come se non credesse alle proprie orecchie, «fumare? No, qui
non potete fumare. Il solo pensiero dovrebbe farvi vergognare. Eh!... che
stravaganza!»
«Oh, ma io non chiedevo di fumare in questa stanza. Lo so. Sarei
andato da qualche parte, dove voi mi aveste indicato, perché mi ci sono
abituato e sono già tre ore che non fumo. Comunque, come volete. Sapete,
c'è un proverbio: nel convento altrui...»
Connesso
Suerte!
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #363 il:
01 Marzo 2009, 19:25:51 »
e ancora...
GUERRA E PACE
Lev Tolstoj
«Ah, bvavo! E invece io, fvatello mio, ievi ho pevso come un figlio
d'un cane!» si mise a gridare Denisov, che non riusciva a pronunciare la
erre. «Una iella! una iella!... È cominciata appena sei andato via tu. Ehi, il
tè!»
Denisov, arricciando la faccia in una specie di sorriso che mise in
mostra i suoi robusti denti corti, cominciò ad arruffarsi con entrambe le
mani dalle dita corte i folti capelli neri, irti come un bosco.
«M'ha spinto il diavolo ad andave da quel topo» (era il soprannome
d'un ufficiale), disse, stropicciandosi con tutt'e due le mani la fronte e la
faccia. «Figuvati, nemmeno una cavta, nemmeno una, non una me ne ha
data.»
Denisov prese la pipa accesa che gli veniva offerta, la strinse in
pugno e la batté sul pavimento spargendone la brace, e intanto continuava
a gridare:
«Mi dà un simple, e fa pavoli; mi dà un simple e fa pavoli.»
Sparpagliò il fuoco, spaccò la pipa e la gettò via. Poi rimase in
silenzio; poi, d'improvviso, con i suoi scintillanti occhi neri, lanciò verso
Rostov uno sguardo allegro.
«Ci fossevo donne, almeno. Pevché qui, fuovché beve, non c'è niente
da fave. Almeno ci battessimo pvesto...»
«Ma guardate com'è questa giovane contessa. Molto bene, marsc!
Un'altra così non l'avevo ancora conosciuta!» disse, porgendo a Nikolaj
una pipa dal lungo bocchino e caricandone una dal bocchino mozzo, con
un gesto sicuro e abituale delle dita. «È stata tutto il giorno a cavallo, né
più né meno come un uomo, e... come niente fosse!»
Con una mano, infilata nel panciotto,
stringeva una borsa da tabacco; l'altra reggeva il cannello di una lunga
pipa. Ansando e sbuffando, il maggiore brontolava e si arrabbiava con
tutti: gli sembrava che tutti lo spingessero e avessero fretta, mentre non
c'era nessun motivo di aver fretta, e che tutti si meravigliassero di qualcosa
quando non c'era niente di cui meravigliarsi.
Dolochov non rispose, come se non avesse sentito la
domanda e accendendo una pipa francese che aveva tolto di tasca, chiese
agli ufficiali fino a che punto fosse sicura dai cosacchi la strada più avanti.
La graticciata trascinata fin là dalla settima compagnia venne
collocata a semicerchio verso settentrione, puntellata con pali; davanti ad
essa venne acceso un fuoco. Suonò la ritirata, si fece l'appello, si cenò e ci
si dispose per la notte intorno ai fuochi; chi aggiustava le calzature, chi
fumava la pipa, chi, spogliatosi completamente, si cacciava di dosso i
pidocchi con l'acqua bollente.
I DIARI
Lev Tolstoj
A casa sono passato dal pianoforte al libro, dal libro alla pipa e al
mangiucchiare. Non ho riflettuto sui contadini. Non mi ricordo se ho
mentito. Probabile. Dai Perfilev e da Panin non sono andato per
trascuratezza. Tutti gli errori della giornata odierna si possono collegare
con le seguenti inclinazioni:
1 indecisione, mancanza di energia; 2 autoinganno, cioè intuendo
in una cosa il male, non ti ci soffermi; 3 frettolosità; 4 fausse honte, cioè
paura di fare qualcosa di sconveniente, derivante da una visione unilaterale
delle cose; 5 cattivo umore derivante in gran parte: primo, dalla
frettolosità, secondo, da una visione superficiale delle cose; 6 incoerenza,
cioè inclinazione a dimenticare gli scopi vicini e utili per sembrare
qualcosa; 7 imitazione; 8 incostanza; 9 avventatezza.
Noto in me una tendenza distruttiva, che si esprime nell'atto di
rovinare tutto quel che mi capita sotto mano, e ora si esprime nel rovinare
la tranquillità di Vanjuška e nel buttar via denari senza alcuna ragione e
gusto. Per esempio, chiedo spesso la pipa a Vanjuška non perché abbia
voglia di fumare, ma perché mi piace che egli si muova, e amo buttar via i
denari. Non m'interessa quel che si può acquistare con i denari, ma mi
piace che essi ci siano stati e poi non ci siano più: proprio, il processo di
distruzione.
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Ultima modifica: 01 Marzo 2009, 19:27:24 da Aqualong
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #364 il:
02 Marzo 2009, 21:23:00 »
e poi....
Gogol Nikolaj Vasil'evic
Anime Morte
Di tanto in tanto capitava che passasse a trovarlo qualcuno dei vicini, un tenente degli ussari a riposo, fumatore di pipa tutto impregnato di fumo, o un colonnello dei brulotti, abile e instancabile conversatore su qualsiasi argomento.
Anche sui due davanzali delle finestre c'erano mucchietti di cenere battuti fuori dalla pipa, disposti non senza cura in leggiadrissime file. Si notava che questo costituiva talvolta un passatempo per il padrone di casa.
«Permetta che le chieda di accomodarsi su questa poltrona» disse Manilov. «Qui starà più comodo.»
«Permetta, mi siederò sulla sedia.»
«Permetta che non glielo permetta» disse Manilov con un sorriso. «Quella poltrona è riservata ai miei ospiti: volente o nolente vi si deve sedere.»
Èièikov si sedette.
«Permetta che le offra una pipetta.»
«Grazie, non fumo» rispose Èièikov teneramente e quasi con aria di rammarico.
«Come mai?» chiese Manilov, pure teneramente e con aria di rammarico.
«Non ho mai preso l'abitudine, ho paura; dicono che la pipa faccia male.»
«Permetta che le faccia osservare che si tratta di un pregiudizio. Anzi ritengo che fumare la pipa sia molto più salutare che fiutare tabacco. Nel nostro reggimento c'era un tenente, ottima persona, di grande cultura, che non si toglieva mai la pipa di bocca non solo a tavola, ma anche, con licenza parlando, in qualsiasi altro posto. Ed ecco che ha già più di quarant'anni, ma, ringraziando Dio, finora è sano come un pesce.»........
«Lei domanda per quali motivi? Ecco quali: vorrei comprare dei contadini...» disse Èièikov, s'impappinò e non finì il discorso.
«Ma permetta che le domandi» disse Manilov, «come desidera comprare i contadini: con la terra o semplicemente per trasferirli, cioè senza terra?»
«No, non è che voglia proprio dei contadini» disse Èièikov, «voglio avere i morti...»
«Come? Mi scusi... sono un po' duro d'orecchio, mi è parso di sentire una parola alquanto strana...»
«Intendo acquistare i morti che però sulla lista del censimento figurino come vivi» disse Èièikov.
Manilov lasciò subito cadere a terra il cannello con la pipa turca, aprì la bocca, e così restò, a bocca aperta, per diversi minuti. I due amici, che avevano ragionato dei piaceri dell'amicizia, restarono immobili a fissarsi negli occhi, come quei ritratti che nei tempi andati si appendevano uno di fronte all'altro ai due lati di uno specchio. Finalmente Manilov raccolse la pipa col cannello e lo guardò in viso di sotto in su, cercando di scoprire se non ci fosse qualche sorrisetto sulle sue labbra, se non avesse scherzato; ma non si vedeva nulla di simile, anzi il suo viso sembrava perfino più serio del solito; poi si chiese se l'ospite non fosse per caso impazzito di colpo, e con terrore lo guardò intensamente; ma gli occhi dell'ospite erano perfettamente limpidi, in essi non c'era il fuoco selvaggio, inquieto, che guizza negli occhi di un pazzo, tutto era normale e a posto. Per quanto Manilov si scervellasse pensando a come doveva comportarsi e a cosa doveva fare, non trovò niente di meglio che soffiare dalla bocca il fumo che vi era rimasto, in un filo sottilissimo.
Manilov restò a lungo sul terrazzino d'ingresso, accompagnando con gli occhi la carrozzella che si allontanava, e anche quando non si vide più del tutto continuò a restar lì a fumare la pipa.
Quell'idea la sua testa non riusciva proprio a digerirla: per quanto la rivoltasse, non c'era verso di spiegarsela, e così continuava a restar seduto e a fumare la pipa, il che si protrasse fino all'ora di cena.......
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #365 il:
03 Marzo 2009, 20:49:59 »
Italo Svevo
Una vita
La sera prima della partenza, Giuseppina gli raccontò che Faldelli l'aveva presa al suo servizio e che le aveva descritto quanti mutamenti egli volesse fare nella casa. Il nuovo padrone avrebbe utilizzata quell'abitazione meglio di quanto non avessero saputo fare i Nitti. Intanto la parte che i Nitti avevano completamente abbandonata doveva essere per lui la più utile: - Nelle mani di costoro, - aveva detto a Giuseppina, - questo era un capitale morto. - Ciarlava volontieri dei suoi piani come tutti gli uomini intraprendenti.
Alfonso venne quasi cacciato dalla casa. Alla mattina alle quattro lo svegliò il Faldelli in persona e lo avvisò che gli avrebbe permesso di continuare a dormire e che veniva soltanto a chiedergli di poter accatastare in quella camera tutti i mobili che c'erano nella casa. Alfonso si alzò e prima di recarsi alla stazione stette per una mezz'ora a guardare gli operai che trasportavano in quella camera dei mobili ch'egli neppure rammentava che più esistessero.
- La vuole lei? - chiese Faldelli porgendogli una pipa lunga, di legno, con una testa di schiuma.
Egli la riconobbe. Il padre non l'aveva usata negli ultimi anni di sua vita e perciò era un ricordo dei più begli anni, quando in casa i genitori avevano avuto la salute e lui la prima gioventù. Non l'accettò per superbia, ma volle mostrarsi riconoscente a Faldelli e si congedò da lui stringendogli affettuosamente la mano. L'altro fu gentile ma distrattamente, e tutto ad un tratto lo abbandonò per lanciare una bestemmia e un calcio a un contadino che movendo il tavolo aveva rotto una lastra della porta. Alfonso sorrise vedendo che quando Faldelli si stendeva tutti i vestiti gli divenivano troppo corti; abitualmente vi si teneva raggrinzito.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #366 il:
04 Marzo 2009, 19:06:15 »
continua la serie dei classici, pipa e sfigati....
Federico De Roberto
Nacque a Napoli nel 1861, da Federico senior, ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie e dalla nobildonna catanese Marianna Asmundo.
Fu presto conosciuto negli ambienti di intellettuali per la sua attività di consulente editoriale, di critico e giornalista
Egli infatti diresse dal 1881 al 1882 la rivista "Il Don Chisciotte" e dal 1882 al 1883 iniziò la collaborazione con "Il Fanfulla della domenica" sotto lo pseudonimo di Hamlet.
Decisivo fu per De Roberto il trasferimento a Milano nel 1888 dove fu introdotto da Verga nella cerchia degli Scapigliati, e conobbe Emilio Praga, Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa e Giovanni Camerana, consolidando sempre più la sua amicizia con lo stesso Verga e Capuana.
Nel periodo del suo soggiorno milanese collaborò al Corriere della Sera e pubblicò diverse raccolte di novelle e romanzi, fra i quali quello che è considerato il suo capolavoro, I Viceré, nel 1894.
Processi verbali
1889
E la donna, alzato il bicchiere ricolmo, lo vuotò d'un fiato. Michele Cardullo non rispose. Ripuliva la sua pipa col coltello da tasca dalla lama acuminata e ogni tanto sollevava gli occhi, girando uno sguardo per la corte dell'osteria, dove un crocchio di curiosi, intorno ai giuocatori di boccie, stavano intenti ai colpi.
- Tu non bevi?... Cos'hai?
Allora Cardullo si rizzò sulla seggiola, conficcò il coltello sulla tavola così forte che fece tremare i bicchieri, ed esclamò:
- Lasciami stare, Selina; sangue di Giuda!...
La donna spalancò gli occhi, si chinò dalla sua parte e lo prese pel braccio, mormorando:
- Michele!... Che cos'hai?... Mi fai paura!... Oggi non sei al tuo solito; me n'ero accorta: non parlavi, non scherzavi...
Lui scuoteva la testa, guardando di sottecchi verso un tavolo vicino, dove Rizzotto e Lalumìa giuocavano a briscola, con le carte in aria; intanto che l'altra, carezzandogli il braccio ed abbassando ancora la voce, con una intonazione amorosa, riprendeva:
- Dimmelo, cos'hai... Se non lo dici a me, a chi vuoi dirlo?... Michelino?...
- Cos'ho? - fece lui, liberando finalmente il suo braccio e cavandosi il cappello a cencio per ricalcarselo sopra un orecchio: - Ho che da quindici giorni sono a spasso, capisci!... e se mi vuoto le tasche sotto sopra, sacra miseria! un soldo che è un soldo non ce lo trovo... questo ho, capisci?...
La carrozza partì, con un tintinnìo di sonagli. Le vie erano deserte e mezzo buie, con la metà dei fanali spenti. Di tratto in tratto, qualche passante, colle mani in tasca e la testa china, alzava un poco gli occhi a guardare verso il legnetto. All'ufficio del Dazio-Consumo, sotto il lampione, due guardie incappottate fumavano. Per la salita, la carrozze si mise al passo.
Trovato aveva accesa la sua pipa, ascoltando dal compagno il fatto della spedizione di Picanello...
Brasi Spataro, con la faccia all'aria e il fiasco attaccato alle labbra, badava a sorseggiare, e delle goccie di vino gli rigavano le guancie sporche di terra.
- Ah!... - Egli trasse un profondo sospiro di soddisfazione, si forbì la bocca col rovescio della mano ed esclamò: - Questa è trovatura che nessuno troverà!
- Ma il figliuolo del re?... - domandò Nunzio, col mento tutto giallo di sugo.
- Un momento...
Il vecchio mastro Menico, pulito che ebbe il suo coltello sulla manica della camicia, triturò dei mozziconi di sigaro, cacciò il tabacco nella pipa, cercò nel taschino del panciotto i zolfanelli di legno e ne accese uno strofinandolo sui pantaloni.
- Il figliuolo del re - riprese, fumando - scoperta che ebbe la trovatura, disse: «Oh! adesso la sbanco!...».
Il piccolo Nunzio e gli altri ragazzi si sbellicavano dalle risa, e i manovali sorridevano anch'essi, con la bocca piena, o accendendo le pipe, come finivano di merendare.
- Questo è per dire, - commentava adesso assennatamente mastro Menico, appuntandosi l'indice sulla fronte - che a cercare i tesori nascosti si perde il tempo e la fatica, e che la vera trovatura sono un paio di braccia forti e il giudizio nel cervello.
- Giusto, - confermava Spataro, riempiendo anch'egli la sua pipa. - Ma se uno trovasse dei quattrini, come se vincesse un terno, cosa dovrebbe fare, guardarli e lasciarli lì?
- Tu ne hai trovato mai?
- I danari sono carta sporca!
- E il barone di Donnatrovata?...
Il padrone del palazzo che buttavano giù per rifabbricarlo di sana pianta, il barone di Donnatrovata anche lui, che cosa ne faceva delle sue ricchezze? Quello non era un imprenditore arricchito; era un signore figlio di signori, nato nella bambagia, tirato su a zuccherini, e con tutti i malanni che aveva addosso i suoi denari se li godevano i medici e gli speziali...
- Ma la salute non si compra!
- Quando c'è la salute, c'è tutto!
- Io sono meglio del barone, - riconobbe Spataro, fumando beatamente, come un turco, e incrociando le braccia sotto il capo, a modo d'origliere. - Piuttosto pane e cipolla ma lo stomaco sano. Fin quando c'è gioventù, non c'è bisogno d'altro...
- Lo sai dire anche te?... - domandò in quel punto Santavita, venendo a riposarsi un istante fra i suoi operai, cavandosi il cappellaccio e annodandosi intorno al collo un fazzoletto diventato color della terra. - La cerchi ancora, la trovatura?
- Che cosa ho da farne, della trovatura? Io lavoro e mangio; quando non potrò più lavorare, provvederà Dio.
- Bravo!... Poi, se anche la trovassi, la trovatura non sarebbe tutta per te.
- Questo lo so!... Ma io la dividerei cogli amici: tutti allegri, festa grande!...
- Adesso dimmi una cosa: l'orologio tu l'hai sempre nell'orecchio quando si tratta di levar mano; quando è l'ora di rimettersi al lavoro che cosa fa, si ferma?...
I manovali ridevano allo scherzo del principale, mentre Brasi Spataro si levava in piedi, precipitosamente, ricacciava la pipa nella tasca dei pantaloni, e si riboccava le maniche, esclamando:
- Come, sangue d'un cane?... Eccomi qui: che cosa bisogna fare?...
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #367 il:
05 Marzo 2009, 23:07:02 »
Pochi frammenti d'autori immortali
Schiller Friedrich
IMasnadieri
La scintilla del fuoco di Prometeo si è spenta, e oggi viene sostituita dalla fiamma dello zolfo, un'innocua fiamma da teatro che non è in grado di accendere una pipa. Adesso tutti saltano come i topi sulla clava di Ercole e studiano le ossa del suo cranio per capire cosa avesse nei testicoli. Un abate francese ci insegna che Alessandro era un coniglio; un professore tubercolotico che, ad ogni parola, annusa un flacone di sali ammoniacali, tiene una conferenza sulla forza; i maschi alti e robusti che svengono quando hanno fatto un figlio si permettono di criticare la tattica di Annibale; i ragazzi malati di otite pontificano a vanvera sulla battaglia di Canne, e le vittorie di Scipione li fanno piagnucolare quando sono obbligati ad esporle correttamente.
Scott Walter
La Sposa Di Lammermoor
All'opposto della triste situazione domestica di Wolf's Crag, un fuoco crepitante ardeva sotto il camino del bottaio. Sua moglie, da un lato, nel suo vestito domenicale dalle maniche adorne di trecce di perle, dava gli ultimi tocchi al suo abbigliamento contemplando il suo volto molto bello, con una espressione compiaciuta, in uno specchio rotto appoggiato sulla rastrelliera dove erano disposti i piatti. Sua madre, la vecchia Luckie-the-Dyke, «una donnetta allegra» come si affermava per venti miglia all'intorno dalle comari pettegole, sedeva vicino al fuoco nella piena magnificenza di una veste di grograin, una collana di ambra, ed una nitida cuffietta e mandava boccate di fumo da una lucida pipa, sorvegliando i lavori di cucina. Poiché - vista ancor più interessante per l'ansioso cuore e le bramose viscere del disperato siniscalco di qualsiasi formosa dama od allegra comare - bolliva, sullo scoppiettante focolare, una grande pentola, o piuttosto un caldaio, fumante e odorante di manzo e minestrone;
«Nemmeno un tizzone acceso, se non un pezzetto di torba e probabilmente una scintilla della pipa di Mysie,» rispose Caleb.
«Ma l'incendio?» domandò Ravenswood, «quella grande fiammata che si sarebbe potuta vedere a dieci miglia distante... che cosa l'ha provocata?»
«Che cosa l'ha provocata? C'è un vecchio proverbio:
Piccola fiamma splende luminosa
quando la notte intorno è tenebrosa.
Luigi Pirandello
LA VITA NUDA
Non più di due mesi dopo, nello studio del Pogliani, ingombro già d'un colossale monumento funerario tutto abbozzato alla brava, Ciro Colli, sdrajato sul canapè col vecchio camice di tela stretto alle gambe, fumava la pipa e teneva uno strano discorso allo scheletro, fissato diritto su per la predellina nera, che s'era fatto prestare per modello da un suo amico dottore.
Gli aveva posato un po' a sghembo sul teschio il suo berretto di carta; e lo scheletro pareva un fantaccino su l'attenti, ad ascoltar la lezione che Ciro Colli scultore-caporale, tra uno sbuffo e l'altro di fumo gl'impartiva:
- E tu perché te ne sei andato a caccia? Vedi come ti sei conciato, caro mio? Brutto...
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #368 il:
05 Marzo 2009, 23:14:01 »
Un altro degli "scapigliati" e ancora un po' di pipa e corna....
Luigi Capuana
(Mineo, 28 maggio 1839 - Catania, 29 novembre 1915) è stato uno scrittore, critico letterario e giornalista italiano, teorico tra i più importanti del Verismo.
nel 1860 per prendere parte all'impresa garibaldina in funzione di segretario del comitato clandestino insurrezionale di Mineo
Risale al 1861 la leggenda drammatica in tre canti "Garibaldi" pubblicata a Catania dall'editore Galatola.
Nel 1864 si stabilisce a Firenze per tentare "l'avventura letteraria" e vi rimarrà fino al 1868.
A Firenze frequenta gli scrittori più noti dell'epoca, tra i quali Aleardo Aleardi e nel 1865 pubblica i suoi primi saggi critici sulla "Rivista italica", diventando nel 1866 critico teatrale della "Nazione".
SCURPIDDU
Dai pioppi vicino al beveratoio arrivava, quasi squillante, il canto di un usignuolo. Il Soldato, che finiva allora di governare le mule, fermàtosi in mezzo alla spianata davanti la stalla per accendere la pipa, era rimasto ad ascoltare, deliziato.
- E tu, non vai ad accovacciarti, Scurpiddu? - egli domandò, scorgendolo seduto su un sasso, vicino al cancello del pollaio.
- Ora vado.
Ma non si mosse,
- Senti quest'usignuolo? Esso dovresti imitare invece del cane, del gatto e dei tacchini!...Neppur con lo zùfolo riesciresti!... Come non sei riuscito ad imparar bene a lèggere.
- O che è stato colpa mia?
- Fra giorni riprenderemo. E voglio fare una scommessa.
- Con chi?
- Con te. Insegnerò anche a Sbirro, il cane di guardia; apprenderà prima lui, che tu. Vuoi scommettere?
Scurpiddu fece una spallucciata:
- Se non sa neppure abbaiare! Abbaio meglio io: Bau! Bau! Bau!..Non è forse vero?
Sbirro avea risposto dalla terrazza con voce roca e ringhiosa. Senza dubbio Scurpiddu abbaiava meglio.
- Va' a dormire e non fare il buffone!
La luna sorgeva lentamente dietro il dorso scuro delle colline.
- Guardate, Soldato, come è grande la luna! Vi piacerebbe un pane tondo così?
- Lo vedi il cielo? Ti pare che finisca là, su le colline: arrivi là e il cielo non finisce mai. Acqua, acqua, acqua... .come il cielo! Così è il mare.
- E i tacchini? Dove pascolano? Non c'è tacchini da quelle parti?
- Nel mare ci sono i pesci che brùlicano... E più se ne prende e più ce n'è. I tacchini pascolano nelle campagne come queste... Che fai?
- Voglio vedere dov'è lo zi' Girolamo coi buoi.
- Che te n'importa? Vieni qua. Caccia i tacchini più avanti.
Tutte le precauzioni del Soldato però riuscirono vane. Egli si era steso su l'erba, fumando; e il sonno gli aveva fatto la burla di afferrarlo all'improvviso, a piè dell'ulivo, con la pipa in bocca.
GIACINTA
- Gran donna quella sua moglie! Aveva energia per cento. Lui si mescolava poco nelle cose di casa. Quando aveva consegnata alla moglie l'intiera mesata dello stipendio d'impiegato alla Prefettura, si sentiva sgravato da un peso. Pur che gli rimanesse qualche soldo in tasca pei sigari, pel tabacco da pipa e per la partita di tressette al caffè, a lui come lui non gli occorreva altro. - Tiravano innanzi, col provento dell'impiego e con alcune rendite dotali della moglie pagate esattamente da un parente di lei che stava a Parigi o viaggiava pel mondo: non lo conosceva neppur di vista. - Basta. L'abilità di quella donna moltiplicava i quattrini. Pel loro stato, non c'era male. Destavano invidia.
Il contadino stava a sentirlo, zitto, pensando che forse il cugino aiutava la signora a sbarcare il lunario:
- E il marito chiude un occhio, com'usa in città.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #369 il:
06 Marzo 2009, 19:40:31 »
Ancora quel gruppo e periodo......
(in due post perchè non mi consente un post unico)
Grazia Deledda
(Nuoro, 27 settembre 1871 - Roma, 15 agosto 1936) vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.
in bilico tra l'esercizio poetico e quello narrativo si ricordano, tra le prime opere, Paesaggi edito da Speirani nel 1896. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze conosciuto a Cagliari nell'ottobre del 1899, la scrittrice si trasferì a Roma e in seguito alla pubblicazione di Anime oneste del 1895 e di Il vecchio della montagna del 1900, oltre alla collaborazione sulle riviste "La Sardegna", "Piccola rivista" e "Nuova Antologia", la critica inizia ad interessarsi alle sue opere, che vantano prefazioni di nomi quali Ruggero Bonghi e Luigi Capuana.
Nel 1903 pubblica Elias Portolu che la conferma come scrittrice e la avvia ad una fortunata serie di romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L'edera (1906), Sino al confine (1911), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L'incendio nell'oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922).
Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.
La sua opera fu stimata da Capuana e Verga oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Pietro Pancrazi e Renato Serra.
La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.
Grazia Deledda fu anche traduttrice, sua infatti una versione di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.
L'incendio nell'oliveto
La malattia della parente fu lunga. Nina andava e veniva, e quando la malata si aggravava, passava la notte presso di lei: nei primi giorni pareva quasi si divertisse, tornava a casa col viso fresco, gli occhi ridenti, e raccontava che, sebbene con la febbre alta e in pericolo di vita, zia Paschedda si preoccupava per le cose domestiche e non si fidava che di lei.
«Quando non ci sono io è più grave del solito, benché il vecchio non si muova più di casa. Sta lì seduto sulla cassa, a intagliare una pipa di radica, e quando zia Paschedda va un po' meglio, le racconta storie e storielle. Anch'io lo ascolto con gusto: parla e poi d'un tratto pare si burli di chi l'ascolta, ma le cose che dice sono piacevoli. È un uomo furbo!»
Anche Mikedda veniva ogni tanto mandata a prendere notizie della malata. Al ritorno raccontava le meraviglie e l'abbondanza della casa dei Mura, guardando con malizia Annarosa. Un giorno disse di aver veduto zio Predu a fumare seduto in cucina, mentre la padrona Nina preparava sulle brage del focolare una bevanda calda per la malata.
«Gli occhi gli lucevano attraverso il fumo della pipa, come due stelle fra le nuvole. Sta a vedere che, se muore zia Paschedda, il matrimonio è un altro!»
La vecchia padrona prendeva sul serio le sue chiacchiere e dava avvertenze alla nuora.
«Gli uomini sono tutti uomini. Sta attenta. Forse il vecchio vuol provarti per vedere se sei una donna seria.»
La nuora non sorrise neppure, non si sdegnò; anzi si fece seria come per obbedire alla vecchia. D'altronde la malata si aggravava e zio Predu perdeva la voglia di chiacchierare e di scherzare.
«Sta seduto sulla cassa, in faccia al letto della moglie», raccontava Mikedda, «col braccio appoggiato al bastone e la pipa spenta in bocca; aspetta sempre la visita del medico e non si cura d'altro. Sì, è un uomo che vuol davvero bene a sua moglie.
Sole d'estate
LEONE O FAINA
- È di moda, adesso, difendere il leone. Buono, generoso, non attacca, anzi fugge l'uomo, a meno che non si tratti di difendersi. Ha persino paura delle spine. La sua terribilità consiste nella forza strapotente che Dio, o la natura, gli ha donato. Non esiste, negli animali, forza maggiore. Ma vedi come la natura è provvida: quando per nutrirsi o per difendersi il leone dà l'assalto alla sua vittima, sia pure, mettiamo, un poderoso vitello gli rompe con una sola zampata la spina dorsale, in modo che lo uccide immediatamente, senza farlo soffrire: poi gli succhia il sangue dalla gola, perché, anzitutto, ha sete, la famosa sete desertica: inoltre, pare gli piaccia la carne dissanguata. La faina, invece...
- Non hai storie più allegre, da raccontarmi, stasera? - dice l'amico, un poco stanco per la lunga giornata d'ufficio, ma pur beato della sua pipa, della tranquillità della saletta da pranzo, e sopra tutto della presenza del suo grande, furbo, soddisfatto amico. Implacabile, questi continuò:
- La faina, invece, così piccola, malleabile, anche graziosa a vedersi, salta sul dorso della sua vittima, per lo più la mite amabile lepre, e le si attacca alla nuca, succhiandole il sangue, mentre quella continua a correre. Così si fa anche una bella galoppata. E adesso, mio caro Giovannino, ti racconterò, come tu desideri, una storiella più allegra. Tua moglie...
- Ah, - mugola l'altro, mordendo il cannello della pipa coi suoi detestabili denti guasti, - la zampata del leone? Mia moglie s'è preso l'amante?
L'amico sorride, un forzato sorriso di satiro, mostrando i grandi denti d'alabastro, sani e forti.
- Si tratta di meglio: di molto meglio.
- Succhia, succhia pure il sangue del povero vitello.
L'amico scuote la testa, davvero leonina, guardando in alto: segue un silenzio crudele, mentre il marito, d'altronde separato legalmente dalla moglie, ha l'impressione, beffarda, sì, ma in fondo anche penosa, che un fatto catastrofico gli stia per accadere.
Il sigillo d'amore
LA RIVALE
Quindici giorni precisi dopo quello delle nozze la sposina si accorse per la prima volta che il marito la tradiva.
Erano andati in montagna, forse per vedere più da vicino la famosa luna di miele; non in una delle solite pensioni dove le nuove coppie sono invidiate, spiate e spesso prese in giro, ma in casa di una vecchia paesana che era stata un tempo a servizio presso la famiglia dello sposo: tutta la casetta, in mezzo a un fitto bosco di castagni, era a loro disposizione.
Luogo più bello non poteva inventarsi per due giovani sposi innamorati come gatti: e come felini essi passavano la giornata fra i cespugli, nell'ombra odorosa di funghi, tra i fiori lisci e dorati che brillavano come ceri nella penombra del bosco e non partecipavano all'amore che li sfiorava con la mano della sposa.
La vecchia preparava i pasti che erano quasi sempre a base di funghi, squisiti ed eccitanti. A mezzogiorno gli sposi mangiavano nella cucina fumosa, che sembrava un'antica cucina fiamminga: di sera preferivano le camerette al piano superiore perché la cucina si riempiva di figure rosse e nere, di maschiacci giovani e vecchi, marito, figli e parenti della vecchia, tutti rudi boscaiuoli che tornavano dalla selva dove tutto il giorno avevano tagliato e fatto rotolare lungo il torrente grossi tronchi d'alberi, e dopo aver mangiato come lupi, bevevano, e fumavano la pipa.
L'odore della pipa, sopratutto, dispiaceva alla sposa; la raggiungeva fino alla camera nuziale e le dava nausea.
Anche lo sposo non fumava che sigarette profumate, e pochissimo del resto. Nella seconda settimana di matrimonio cominciò però a fumare un po' di più: evidentemente cominciava ad annoiarsi: e la sposa, col suo finissimo intuito di donna innamorata, se ne accorse.
La sua prima gelosia fu dunque per la sigaretta del marito, sebbene anche lei, riguardo a fumare sigarette, non scherzasse.
Inoltre il tempo si fece brutto: e allora, aspettando che il tempo tornasse bello, i due sposini, quando non avevano di meglio da fare, fumavano e fumavano. Il guaio era che nei giorni di pioggia forte gli uomini non andavano a lavorare: riempivano la cucina con le loro figure tumultuose e col fumo delle loro pipe: qualcuno saliva anche nelle camere di sopra, e allora tutta la casa tremava per quei passi di gigante ferrato. I due sposi quindi dovevano restarsene nella camera nuziale, quasi tutta occupata dal letto che pareva proprio un monumento, e il fumare e il resto non bastava a dissipare la loro noia.
Anzi avevano deciso di partire, se il tempo continuava così.
Una sera la sposa andò a letto presto. Era raffreddata e la vecchia le preparò una bevanda calda, di fiori secchi misteriosi, che realmente le diede subito un senso di benessere e di sonnolenza dolce come quello provocato dall'aspirina.
Allora lei stessa pregò lo sposo di andar fuori, nel paese, in una pensione dove si faceva della musica, o dove lui voleva.
Egli preferì scendere nella cucina della vecchia, fra quei bei tipi di montanari, alle spalle dei quali voleva divertirsi.
Tornò su tutto pregno dell'odore delle loro pipe. La sposina dormiva e sudava, e non si accorse che vagamente della cosa: sognò, cioè, che anche lei fumava la pipa.
I guai cominciarono la sera dopo, quando egli le consigliò di andarsene ancora a letto presto e di prendere la bevanda sonnifera, e lui tornò giù di sua spontanea iniziativa.
Nel suo dormiveglia ella pensava che razza di divertimento poteva procurare la compagnia di quei zoticoni puzzolenti di vino e di cattivo tabacco, dei quali, del resto, non si capiva il linguaggio ostrogoto.
Ma la mattina dopo vide, con una prima puntura di gelosia, una bellissima donna la cui presenza pareva illuminasse la nera cucina. Era vestita con un costume quasi zingaresco, rosso e viola, con catenelle, medaglie di rame, spilloni raggianti sulla torre dei capelli d'un nero verdognolo. Anche gli occhi erano verdi, nel viso bianchissimo, d'una trasparenza straordinaria. Alta e forte, sembrava infine una degna fata di quelle selve ancora primordiali, nata coi funghi e le orchidee selvatiche in mezzo ai borri muschiosi.
Era una nuora della vecchia, venuta da un paese più giù sotto la montagna.
Arrivata la sera lo sposo rinnovò alla sposa l'invito di andarsene a letto.
Ella si ribellò.
- Se tu vuoi andare vai - disse con una voce sorda che non pareva la sua. - Io sto su alzata a leggere.
Rifiutò anche la bevanda che la faceva dormire: aveva l'impressione che la vecchia e lo sposo fossero d'intesa contro di lei per un'azione malefica.
Egli rimase. Rimase, ma era di un umore tetro, col viso cattivo e gli occhi stralunati. Nel silenzio si sentiva di tanto in tanto come uno sbattere arrabbiato di ali: erano le pagine dei giornali che gli sposi leggevano.
Infine risonò anche una specie di piccolo ruggito: era l'uomo che sbadigliava.
Questa melanconia durò per qualche sera: di giorno, poi, egli trovava sempre scuse per allontanarsi dalla sposa, ed ella osservava con crescente angoscia che ciò avveniva quando la donna vestita di rosso e viola non era a casa. Un giorno, infine, si accorse con orrore che egli, al ritorno da queste gite misteriose, puzzava tutto di tabacco da pipa, odore del quale erano impregnati i capelli e le vesti della presunta rivale.
Allora ella decise di fare una prova.
Venuta la sera, richiese la bevanda e finse di andarsene a letto, accusando una recrudescenza del suo raffreddore. Poi consigliò al marito di uscire; ed egli uscì come un gatto al quale dopo una lunga reclusione in casa, viene aperta la porta su un giardino pieno di altri gatti.
Ella palpitava e sudava.
Piano piano si alzò, si rivestì, scese scalza al buio la scaletta di legno, penetrò nella cameretta terrena sulla quale dava l'uscio della cucina.
L'uscio era spalancato: e ciò ch'ella vide non lo dimenticò mai più.
I boscaiuoli avevano finito di cenare e sulla tavola si vedevano ancora le stoviglie grigie fiorite d'azzurro, con avanzi di polenta e di sugo rossiccio, e i boccali per il vino compagni alle stoviglie.
La vecchia e la nuora s'erano già alzate di tavola: in mezzo agli uomini, giovani e vecchi, rossi e neri, chi barbuto chi calvo, tutti col bicchiere in mano e la pipa in bocca, come Gesù fra gli apostoli sedeva il biondo e pallido sposo, e anche lui, con gli occhi nuotanti in un languore di voluttà, fumava una corta pipa di radica in colore delle castagne.
BIGLIETTO PER CONFERENZA
- Marco mio, coccolino, piccolino, mammolino - cominciò a susurrare aggirandosi intorno al marito, mentre lui, mangiato bene e bevuto meglio, si disponeva a fumare la sua pipa. Era il momento psicologico, lei lo sapeva, e quell'omaccione tutto d'un pezzo, becero e sentimentale, lo si poteva prendere con una semplice rete di paroline dolci e ridicole.
- Be', lasciami in pace - egli disse, calcando la punta nera del pollice sulla pipa ripiena. - Lo sappiamo che vuoi qualche cosa: sbrigati e smettila con le scempiaggini.
Ella gli tolse un capello grigio dal bavero della giacca e si appoggiò con tutte e due le mani sull'omero di lui.
- Marco, lo sai, ho bisogno di un vestito. Lasciami spiegare. Ho bisogno del solito vestito di mezza stagione, però fa già caldo non senti? E io sono nervosa e non ho la pazienza di sottomettermi alle torture che mi infligge con le sue prove e riprove quella smorfiosa della mia sarta. E poi lei mi dà così ai nervi col suo eterno chiacchierare, col suo Parigi di qua Parigi di là, lei che non è stata mai neppure a Frascati. Tu devi preoccuparti della mia salute, Marco, se non altro perché io sono necessaria alla famiglia, e se manco io neppure ti sogni quello che può succedere qui. Perché io il mio dovere lo faccio, come nessuna altra donna al mondo, e sono contenta di farlo, e sono felice di vivere e di lavorare, per te, per tutti: e non ho grilli per la testa, e non sono leggera né vanitosa né bugiarda, come sono le altre donne. Questo non per vantarmi, ma insomma per dire che qualche riguardo anche alla mia salute si deve avere. Io non me la sento, dunque, di sottopormi adesso al supplizio di farmi fare il vestito dalla sarta, che poi me lo finirebbe per l'altra mezza stagione. Ho bisogno di comprare subito il vestito già bell'e fatto.
Respirò, come dopo una corsa vertiginosa, e anche il marito respirò. Aveva temuto di peggio, tanto che, sotto quella sottile pioggia di parole non s'era deciso ad accendere la pipa come si trovasse sotto una pioggia vera: però, conoscendo anche lui a fondo la sua donnina, presentì subito qualche birbonata di lei.
- Comprati pure il vestito, - disse con la sua solita voce calma e sonora, - ma adesso lasciami fumare in pace.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #370 il:
06 Marzo 2009, 19:42:02 »
Deledda 2
Il flauto nel bosco
I BENI DELLA TERRA
Quello che dapprima per scherzo, poi per abitudine, e alcuni infine con convinzione chiamavano l'Apostolo, se ne stava a fumare la Favorita, la pipa dei giorni buoni, nel suo magnifico giardino, quando il giardiniere venne a dirgli che una Commissione di persone di servizio domandava udienza.
- Cosa sono, maschi o femmine? - egli domandò, levandosi la pipa di bocca e sputando su una rosa lì accanto.
- Servaccie - rispose con dispetto il vecchio giardiniere che non amava si mancasse così di riguardo ai suoi fiori. - E se fosse in me non le riceverei, perché ritengo vogliano venire qui dentro solo per curiosità, del giardino - aggiunse subito, poiché vedeva il grande viso barbuto del padrone e i suoi occhi celesti colorarsi di sangue.
- Fa subito passare. Via!
E il vecchio se ne andò come cacciato da un colpo di scopa, pensando ancora una volta che il padrone, se era l'apostolo di tutti i mascalzoni dei dintorni, per lui che da trenta anni lo serviva fedele e schiavo, era l'anticristo in persona.
La Commissione, composta di quattro donne, una vecchia, la seconda anziana, la terza giovane e l'ultima infine quasi ancora bambina, si avanza in fila, sullo sfondo chiaro del viale delle rose. Tre delle donne sono vestite di nero, l'adolescente di rosso, con le lunghe gambe che sembrano nude, capelli neri corti di qua e di là dei lunghi occhi bistrati.
L'apostolo tornò a farsi rosso, nel vedere quest'ultima: si tolse di nuovo la pipa di bocca e di nuovo sputò sulla rosa come avrebbe voluto farlo su quella promettente fanciullezza.
- Sedetevi - disse burbero alle donne, accennando la panchina accanto al tavolino di marmo dove su un vassoio stava la sua collezione di pipe.
- Si tratta - cominciarono a una voce le tre più vecchie.
- Una per volta!
Allora fu solo la più vecchia a parlare.
Si trattava di organizzare le donne di servizio, che mentre in tutto il mondo dettavano legge, qui venivano ancora mal pagate e trattate come bestie.
Egli fu per gridare: perché lo siete; ma si frenò. Fu anche per dire che se la paga loro non bastava era perché si vestivano e si calzavano come quella piccola sgualdrina lì; ma si frenò. Era un uomo prudente, e solo per questo, forse, era considerato come un grande uomo saggio.
- Vostra Signoria ha messo a posto tutti i disgraziati del circondario; persino gl'imbianchini e gli accalappiacani devono la loro fortuna a lei. Perché non deve provvedere anche alla nostra classe?
- Sarà un'opera altamente morale e sociale - disse l'anziana con enfasi.
La giovine scoppiò a ridere: e fu come lo spaccarsi di una melagrana: risero tutte, in coro, e l'apostolo vide che gli occhi della piccola erano verdebruni come l'agata, e i suoi dentini bianchi e intatti la cosa più pura del mondo.
In breve tempo egli dunque organizzò e rese potente e rispettata la classe delle serve. Le radunò a comizio nel suo giardino, le esortò una per una ad essere solidali e consapevoli dei loro diritti e della loro forza. Così si procurò l'odio e la maldicenza della rispettabile ma disorganizzata classe delle padrone di casa.
Però quando i suoi servi, il giardiniere, la cuoca e la cameriera che lo servivano da secoli, domandarono anch'essi l'aumento della mercede e i giorni di libertà accordati agli altri, rispose che se non erano contenti se ne andassero; ed essi naturalmente rimasero.
Un giorno venne solo la piccola serva, a portare una lettera. Questa volta egli stava nel suo grande studio con le vetrate aperte sul giardino che in quel mattino di giugno pareva, così fitto di rami tremolanti sull'azzurro, di rampicanti, di fiori di corallo, il fondo del mare.
Fatta entrare la ragazza, la squadrò da capo a piedi con disprezzo iroso, poi le domandò:
- Ma sei proprio al servizio tu? E non ti vergogni, allora, di andare vestita così, come una donna perduta?
- È la mia signora che mi regala i suoi vestiti vecchi, - ella rispose umilmente, - perché lo stipendio lo devo dare tutto a mia mamma vedova...
- Basta, basta, sappiamo la storia. E di' alla tua signora, da parte mia, di farsi i vestiti più scuri e più lunghi.
- Sissignore.
- E intanto che scrivo la risposta, va un po' in giardino a prendermi la pipa.
Ella uscì, inciampando sul tappeto; si smarrì nelle stanze attigue, ma non si diede per vinta; saltò da una finestra e corse nel giardino finché trovò il vassoio con le pipe: quale prendere, però? Ricordò che quella da lui adoperata quel giorno della Commissione aveva un piccolo teschio d'argento sulla coppa bruna: la trovò e la prese fra due dita, con un fulgore di gioia negli occhi perversi, come quando si prende una farfalla.
Qualche tempo dopo entrò al servizio in casa dell'apostolo. Disimpegnava ottimamente le sue mansioni di cameriera, svelta, pronta, silenziosa; eppure nessuno si fidava di lei. Il giardiniere specialmente la teneva d'occhio; apriva e chiudeva lui il cancello quando lei usciva, e la frugava con gli occhi fin sotto le vesti.
Il padrone la maltrattava.
- Forse credi di essere entrata nel regno dei cieli? - le diceva. - I beni della terra son tutti radunati qui, sì, ma non fanno per te.
Lei taceva.
Un giorno rovesciò il vassoio con le pipe; egli le si gettò addosso, con una mano le afferrò il ciuffo dei capelli tirandole indietro la testa, con l'altra la schiaffeggiò.
Ella balzò curva qua e là stringendosi fra le palme le guancie come avesse male ai denti, poi andò a fare il suo fagotto, e la cuoca la sentì brontolare:
- L'apostolo! Ammazzalo! Te lo darò io, però, l'apostolato: aspetta, aspetta...
Ma quando fu per andarsene, il giardiniere le disse che aveva ordine dal padrone di non aprire il cancello.
E di saltare i muri non c'era speranza perché altissimi: e sopra vi marciava l'esercito di alabarde della cancellata.
Sette anni ella stette in quella prigione, preparando giorno per giorno la sua conquista. Giorno per giorno prendeva possesso degli oggetti, se non delle persone, e strofinava i mobili con la cura, a volte dispettosa, con cui si ripuliscono i propri figli; e quando rimetteva a posto una sedia diceva: «sta lì», con l'impressione che quella rimanesse ferma al suo posto solo per obbedire a lei.
Il padrone adesso la trattava meglio e le concedeva qualche ora di libertà; ma quando ella rientrava le girava intorno come per sentire l'odore di dove era stata, con una gelosia animale.
S'era molto invecchiato in quegli ultimi anni, il padrone; invecchiava e si annoiava, perché nessuno aveva più bisogno di lui. La gente era tutta felice: tutti guadagnavano e si divertivano; i beni della terra, com'egli diceva, erano alla portata di tutti.
In fondo egli non si curava del prossimo. Divideva l'umanità in costellazioni: stelle fisse, pianeti, poi la via lattea delle folle inferiori. E i grandi astri fermi e felici non sono i re, né i potenti della terra, né i ricchi o i meschini gaudenti: sono gli uomini solitari che non escono di casa e la cui vita si aggira intorno a sé stessa nell'infinito spazio del suo essere.
Egli si credeva uno di questi.
Eppure quando la ragazza che gli preparava il bagno e gli stirava le camicie, gli annunziò che doveva sposarsi, provò un senso di smarrimento. Dove trovarne un'altra come lei, fidata, sottomessa anche alle botte, forte e silenziosa?
Eppoi non era solo questo: era una rabbia gelosa al pensiero che l'ultimo dei servi poteva godersi quella giovinezza in fiore, quel bene della terra, mentre lui, che doveva appena stendere la mano per coglierlo come un frutto del suo giardino, se lo lasciava portar via idiotamente.
Allora furono proposte e controproposte: offerte di denaro e d'altro. Ella non cedeva. Il suo bene non era da cedersi così, per poco. Più lei resisteva, più il vecchio s'infuriava; finché le propose di sposarla lui.
E fu così che il vecchio giardiniere assisté un giorno ad una scena straordinaria.
Il padrone stava seduto a fumare la pipa allo stesso posto dove un giorno aveva ricevuto la Commissione delle serve. Fumava, ma non più la Favorita dal teschio d'argento; non più da qualche tempo la Favorita: le provava tutte, le sue pipe, e di tutte sembrava scontento.
Ed ecco apparire in fondo al viale e avanzarsi rapida e concitata la giovane moglie. Anche lei era sempre concitata, dacché stringeva in pugno la fortuna: non lavorava più, ma neppure godeva come prima le ore di libertà, e il giardiniere aveva ordine dal padrone di tener più che mai chiuso il cancello.
Passando ella lo guardò coi suoi occhi verdastri annegati in una tristezza velenosa, ed egli ammiccò alle sue forbici da potare.
- Ben ti sta, ben ti sta: hai tessuta la tua ragnatela per sette anni, e lo stupido moscone vi è caduto dentro: goditelo, adesso, con la sua puzza di pipa e di vecchiume; goditelo bene, coi suoi denti neri che cadono quando ti bacia, e con tutto il resto.
Ella sente, si fa rossa di stizza, e va dritta verso il vecchio sposo dicendogli qualche cosa sottovoce. Che cosa gli chiede? Forse di mandar via il giardiniere, o d'impedirgli almeno di pensare come pensa.
L'uomo non risponde; continua a fumare rassegnato, prudente. Anche lei non grida, ma si agita convulsa, e d'un tratto sporge le mani con le unghie adunche, come il gatto infuriato: ed egli, che s'è già tolto la pipa di bocca nascondendola in tasca per salvarla da un pericolo imminente, si ritrae un po' smarrito guardandosi intorno non per paura di sé, ma che qualcuno veda.
Il giardiniere infatti accorreva, istintivamente, non sapeva se per spirito di solidarietà o di avversione, se per difendere o deridere il padrone.
La sua presenza non fece che inasprire la donna. Con una mano afferrò sulla nuca i capelli del marito, con l'altra lo schiaffeggiò sulla guancia sinistra. Poi, dritta e possente, aspettò che il suo nemico si avvicinasse, per fare altrettanto con lui.
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Aqualong
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #371 il:
07 Marzo 2009, 15:10:36 »
Chi ha gettato uno scovolino usato sull'Orient Express? mistero..Poirot indaga con mille domande
chi sarà lo sporcaccione?
Addirittura sulla scena di un crimine,sarà l'assassino che si è fermato
a pulire la pipa con la sua vittima ancora calda fra i piedi?
Dopo aver ucciso una persona con una ventina di coltellate,
viene sempre voglia di pulire la pipa.
Peccato che su certe tracce non vi sia nome,indirizzo e codice fiscale, come su certi fiammiferi
nei gialli americani.
Agatha Christie
ASSASSINIO SULL'ORIENT EXPRESS
Qualcosa nel tono della sua voce stupì il medico. Ma prima che potesse
chiedere spiegazioni, Poirot si era chinato di nuovo sul pavimento.
Questa volta teneva sul palmo della mano un nettapipe.
- Forse apparteneva al signor Ratchett? - suggerì il dottore.
- Non c'era nessuna pipa nelle sue tasche e niente tabacco né borse
per tabacco.
- Allora è un indizio.
- Oh! Senza dubbio. Ed è stato lasciato di nuovo molto cortesemente.
Questa volta un indizio maschile, notate bene! Non ci si può lamentare
di non avere indizi in questo caso. Qui ci sono indizi in abbondanza.
- Adesso, monsieur, ripensate a quanto è accaduto - disse Poirot. -
Fuori faceva freddo. Siete risalito in treno. Vi siete seduto di
nuovo, avete fumato, forse una sigaretta, forse una pipa...
S'interruppe per una frazione di secondo.
- Io la pipa... MacQueen fumava sigarette.
- Il treno riparte. Voi fumate la vostra pipa. Discutete la situazione
europea... mondiale. Ormai è tardi. La maggior parte della gente si è
ritirata per la notte.
- Proprio così - disse Poirot. Piombò in meditazione, tamburellando
lievemente sul tavolo. Poi alzò lo sguardo. - Il colonnello Arbuthnot
fuma la pipa - disse. - Nello scompartimento di Monsieur Ratchett ho
trovato un nettapipe. Monsieur Ratchett fumava solo sigari.
- Credete...?
- E' l'unico, fino a questo momento, ad ammettere di fumare la pipa. E
sapeva del colonnello Armstrong, forse lo conosceva perfino, sebbene
non voglia confessarlo.
- Dunque ritenete possibile...?
Poirot scosse energicamente il capo.
No, signor Poirot, dovrete aspettare di poter telegrafare a New York
quando smette di nevicare. Ma posso assicurarvi che non vi racconto
una storia. Be', arrivederci, signori. Felice di avervi conosciuto,
signor Poirot.
Poirot gli offrì una sigaretta. - Ma forse preferite la pipa?
- No davvero. - Si servì e si allontanò di buon passo.
I tre uomini si guardarono.
- Vi sembra autentico? - chiese il dottor Constantine.
- Sì, sì. Conosco il tipo. Inoltre è una storia che si potrebbe
smentire molto facilmente.
Il controllore rimise a posto i bagagli e passarono nello
scompartimento successivo. Il colonnello Arbuthnot sedeva in un angolo
a fumare la pipa e a leggere una rivista. Poirot spiegò il loro
compito. Il colonnello non fece difficoltà. Aveva due pesanti valigie
di cuoio.
- Il resto del mio bagaglio l'ho spedito per mare - spiegò.
Come la maggior parte dei militari, il colonnello sapeva fare i
bagagli. L'esame del suo non richiese che pochi minuti. Poirot notò un
pacchetto di nettapipe. - Usate sempre lo stesso tipo? chiese.
- Di solito. Se riesco a trovarlo.
- Ah! - Poirot annuì.
Quei nettapipe erano uguali a quello trovato sul pavimento dello
scompartimento del delitto. Il dottor Constantine glielo fece
osservare quando uscirono di nuovo in corridoio.
- Questo è più difficile. Gli inglesi non accoltellano. Qui avete
ragione. Sono propenso a credere che qualcuno abbia lasciato il
nettapipe per accusare l'inglese spilungone.
- Come avete detto anche voi, Monsieur Poirot - intervenne il medico -
due indizi dimostrano un po' troppa sbadataggine. Sono d'accordo con
Monsieur Bouc. Il fazzoletto è stata una svista autentica: perciò
nessuno vuol riconoscere che gli appartiene. Il nettapipe è un falso
indizio. A sostegno di questa tesi, noterete che il colonnello
Arbuthnot non mostra alcun imbarazzo a riconoscere apertamente di
fumare la pipa e di usare quel tipo di nettapipe.
- Mille scuse per dovervi disturbare una seconda volta - disse Poirot
- ma c'è ancora qualche informazione che penso siate in grado di
darci.
- Davvero? Lo ritengo improbabile.
- Tanto per cominciare, vedete questo nettapipe?
- Certo.
- E' vostro?
- Non so. Non ci metto il mio sigillo, sapete.
- Vi rendete conto, colonnello Arbuthnot, di essere l'unico uomo fra i
passeggeri della carrozza Istanbul-Calais a fumare la pipa?
- In tal caso, probabilmente è mio.
- Sapete dov'è stato trovato?
- Neanche per sogno.
- Presso il corpo dell'uomo assassinato.
Il colonnello Arbuthnot sollevò le sopracciglia.
- Potreste dirci, colonnello Arbuthnot, come può essere arrivato là?
- Volete dire se l'ho lasciato io? La risposta è no.
- Siete mai entrato nello scompartimento del signor Ratchett?
- Non ho mai rivolto la parola a quell'uomo.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #372 il:
08 Marzo 2009, 21:45:03 »
Pipe sfigate e pessimismo
James Henry
1843 -1916 scrittore e critico letterario statunitense noto per i suoi romanzi ed i suoi racconti sul tema della coscienza e della moralità.
nacque da una ricca famiglia di intellettuali: suo padre, Henry James Sr., era un teologo e filosofo con l'interesse della letteratura.
James non si sposò mai (è questione irrisolta se avesse mai avuto rapporti sessuali): dalle sue lettere si evince una spiccata propensione alla socialità e, spesso, profondo affetto per un uomo o una donna, a seconda delle circostanze, ma non è chiaro se questi rapporti sfociarono mai in qualcosa di più profondo.
Principessa Casamassima
Il signor Vetch la osservò per un poco, fumando in silenzio la pipa, col capo appoggiato all'alto, rigido schienale dell'antiquato divano, le corte gambette incrociate alla moda dei turchi. «È vero che avete fatto molto per lui. Siete una gran brava donna, dopotutto, mia cara Pinnie.» Quel «dopotutto» faceva parte del suo modo di parlare. In realtà non aveva mai dubitato che fosse la migliore donna del quartiere.
«Grazie per avermi messo al primo posto,» replicò il violinista dopo ripetute tirate di pipa. «È un ragazzo interessante; chiaramente è dotato di un cervello e perfino di un'anima, e da questo punto di vista... se non proprio unico è per lo meno del tutto particolare. Sono curioso di vedere come sarà da grande. Ma non mi pentirò mai di essere rimasto un inveterato scapolo egoista - che non si è mai lasciato attrarre da questo genere di mercanzia.»
«Potrete dirgli che un uomo che si rammarica di essere andato a trovare sua madre che agonizzava nel letto di un penitenziario, sospirando per rivederlo, merita assai di peggio della più acuta sofferenza che potrà mai provare.» E il piccolo violinista, alzatosi, andò al caminetto e svuotò la pipa.
Anastasius Vetch aveva rimesso in tasca la pipa; si mise il cappello in testa, prendendosi quella libertà da vecchio amico e abitante di Lomax Place, e si riprese l'astuccio del violino, simile a una piccola bara. «Mia povera Pinnie, ho l'impressione che non comprendiate una sola parola di quello che dico. A che serve parlare... Fate come vi pare.»
Tanto più era importante stabilire se egli facesse o meno parte del popolo, poiché il giorno della grande rivendicazione sarebbe stato soltanto il popolo a salvarsi. Era per il popolo che il mondo era stato fatto: chiunque non ne facesse parte era contro di lui e rientrava nella schiera degli impostori, usurpatori, profittatori, accapareurs, come soleva dire il signor Poupin. Una volta Hyacinth aveva posto la domanda direttamente al signor Vetch che lo aveva guardato per un po' attraverso le spirali di fumo dell'eterna pipa e gli aveva detto: «Pensi che sia un aristocratico?»
Se gli era venuto l'uzzolo di penetrare nei circoli dei lavoratori (ora Paul si rammentava della prima sera che era venuto, portato da quello stipettaio tedesco che aveva sempre il collo fasciato e fumava la pipa con un fornello grande come una stufa); se provava gusto ad infilarsi un cappellaccio in testa e a fumare tabacco fetido e chiamare i propri «inferiori» «miei cari compagni»,
«Dove vorresti che passassi le mie serate, in qualche orribile pub... o all'opera?» I suoi incontri con Miss Henning non erano così frequenti, tuttavia non volle prendersi la pena di rettificare a Pinnie che la vedeva soltanto due o tre volte alla settimana, e che il resto del tempo lo passava camminando per le strade (un'abitudine infantile che ancora si portava dietro) e che di tanto in tanto aveva anche la risorsa di recarsi dai Poupin o di scambiare due parole, fumando la pipa, sulla porta aperta di qualche casa, quando le sere non erano troppo fredde,
«Vuoi fumarti una pipa?» chiese il signor Vetch spingendo attraverso il tavolo una vecchia borsa portatabacco; e mentre il giovanotto si serviva continuò a tirare in silenzio.
Conosceva le sue abitudini, non andava mai a letto subito, invece si sedeva vicino al camino per un'ora, fumando la pipa e preparandosi un «grog» e leggendo qualche vecchio libro.
Vedrei il bello spettacolo dell'alba, se a Londra fosse possibile vederlo. La prima cosa che faccio la domenica è quella di fumare la pipa alla finestra, che dà sulla strada, ricordi, una stradina sporca. A quell'ora non c'è nulla da guardare
«Oh no, voi siete qualcuno,» disse il tedesco fumando, con aria assorta, la sua pipa monumentale. «Siamo tutti qualcuno, ma temo che non serva a nulla.»
disse lo stipettaio riportandosi la pipa alle labbra dopo un intervallo impressionante quasi quanto l'arresto di una vaporiera in mezzo all'oceano.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #373 il:
09 Marzo 2009, 19:41:12 »
Continuo con un post al giorno,fino a che il sito non è "ok".
Quel giorno smetto e per celebrare svergino una pipa.
Quindi vi propino altri tre frammenti:
Giuseppe Gioachino Belli
La Sabbatína
«Pfch: mamma, oh mamma».
«Ahó». «Mmamma». «Che hai?»
«Pijjateme la pippa accapalletto,
e sporgeteme ggiú ppuro un papetto».
«E sto papetto mó cche tte ne fai?»
«E a vvoi che vve ne preme de sti guai?
Voi abbadate a ffà cquer che vv’ho ddetto,
e nun state a sfassciamme er ciufoletto».
«Dímme armeno a cquest’ora indove vai».
«Dove me pare». «Ah Nnino!...». «Ôh, pprincipiamo».
«Ma ffijjo!...». «Ebbè, vvado a mmaggnà la trippa».
«E cco cchi?» «Cco li zoccoli d’Abbramo».
«Ggià annerai co le solite zzaggnotte...».
«Ma inzomma, sto papetto co sta pippa?»
«Eccolo. E cquanno torni?» «Bbona notte».
Goethe Johann Wolfgang
La Vocazione Teatrale Di Wilhelm Meisters
«Vedo bene», diceva Guglielmo tra sé e sé, «che gli antichi hanno ragione quando affermano che una commedia, se piena d'azione, può piacere e divertire anche se le manca ogni descrizione dei costumi e di una vera umanità. Questi, a quanto dicono, sono stati gli inizi del teatro, e io lo credo quasi, poiché sono anche gli inizi del nostro. L'uomo rozzo è contento quando vede succedere qualcosa; l'uomo più raffinato vuole sentire; e solo all'individuo coltissimo piace riflettere.»
In queste tacite considerazioni lo disturbò il fumo di tabacco che si andava sempre più addensando. Il capo delle guardie forestali aveva acceso la sua pipa poco dopo l'inizio dello spettacolo e a poco a poco parecchi altri si erano presi la stessa libertà. Scompiglio anche maggiore provocarono i cani di questo signore che, sebbene chiusi fuori, ben presto trovarono una porticina dietro al teatro ed irruppero sulla scena saltando sugli attori finché, spiccando un salto al di là dell'orchestra, non ritrovarono il padrone seduto in platea.
Verga
CAVALLERIA RUSTICANA
Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #374 il:
10 Marzo 2009, 20:41:32 »
DAN SIMMONS
I FIGLI DELLA PAURA
- Perdio, fa sempre così freddo, qui da voi? - rispose l'interpellato, dal profondo delle sue
sciarpe. Poi il professor Emerito, e per giunta Premio Nobel, batté i piedi e commentò: - Un gelo
da staccare le balle a un cane di bronzo.
- Il signor Carl Berry dell'American Telegraph and Telephone - proseguì in fretta la Wexler.
Il grasso uomo d'affari seduto accanto a me tirò una boccata dalla pipa, se la sfilò dalle labbra,
rivolse un cenno della testa vagamente in direzione di Radu Fortuna, e tornò a fumare come se quel
suo arnese fosse un'indispensabile fonte di calore. Per un attimo mi venne in mente una scena folle:
le sette persone a bordo del pulmino raccolte attorno alle braci della pipa di Berry, per riscaldarsi...
- E conoscete già il nostro finanziatore, il signor Trent - terminò la Wexler.
- Sì - rispose Radu Fortuna.
Con occhi scintillanti, mi rivolse uno sguardo, tra il fumo della pipa di Berry e il vapore del suo
respiro. Riuscivo a raffigurarmi come quegli occhi scintillanti vedessero la mia immagine: un uomo
molto vecchio.
RUTH RENDELL
Alcuni dei suoi romanzi sono stati portati sul grande schermo: La morte non sa leggere da cui Claude Chabrol trasse il suo Il buio nella mente del 1995 e nel 2004 La demoiselle d'honneur tratto da Il pugnale di vetro; Pedro Almodovar trasse il suo Carne tremula dal romanzo del 1986 Carne Viva.
E' membro della Camera dei Lords tra i banchi Laburisti
L'URLO DEL COLIBRÌ
Il dubbio rimase anche dopo che mamma le ebbe mostrato il ritratto del vecchio Mr. Tobias, un grande ritratto a olio (appeso alla parete dell'atrio al primo piano) di un uomo dall'espressione fiera, grigio di capelli, ma privo di barba; blu o di altro colore. Liza volle sapere cosa fosse quell'appendice che spuntava dalla bocca di quel signore, un cannello che finiva in una boccia. Mamma spiegò che si trattava di una pipa, dove si mettevano foglie sminuzzate che si accendevano con il fiammifero, ma Liza ricordò che mamma si vantava di essere una brava mentitrice, e per la prima volta in vita sua non le credette.
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