Ritrovo Toscano della Pipa
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Ritrovo Toscano della Pipa
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Topic: Autori con la pipa in bocca (Letto 365044 volte)
Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #375 il:
11 Marzo 2009, 20:46:54 »
Ignazio Silone
Il segreto di Luca
Egli accompagnò il maresciallo alla porta. Accorse subito l'usciere col berretto in mano e la pipa nell'altra. Il corridoio era vuoto.
«Dove sono i reduci?» domandò il sindaco all'usciere .
«Si sono seccati d'aspettare» disse l'usciere. «Non vi ripeterò il messaggio che mi hanno lasciato per voi perché poco rispettoso. Ma, se insistete, posso dirvelo.»
«Dove sono andati?»
«Alla sede del partito.»
«Già cominciano i guai» borbottò il sindaco tra sé e sbatté con rabbia la porta dell'ufficio.
Andrea guardava i giornali del mattino e fumava la pipa vicino alla finestrella che dava sull'orto. Fu suonato ripetutamente alla porta. Il prete andò a vedere e per un po' di tempo rimase a confabulare con varie persone assembrate davanti alla casa.
«Desiderano te» egli disse ad Andrea. «Se vuoi, puoi farli entrare a uno a uno.»
«Chi sono? Cosa desiderano?»
«Povera gente; chi aspetta la pensione, chi un sussidio.»
Essi si sedettero su un tronco d'albero disteso a terra sotto la tettoia del fienile. Una buca scavata per terra e fiancheggiata da due sassi aveva servito da focolare. Luca accese la sua pipa. Il sole stava per tramontare. Da sotto una nuvola venne fuori un fascio di raggi dorati, ben visibili, come quelli dell'aureola dei santi. Luca tirava di tanto in tanto una boccata dalla pipa e rimirava i campi e le vigne digradanti a valle, con i suoi occhi chiari e sereni. A causa dell'età, e per meglio riposare, egli se ne stava seduto un po' curvo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia; i tratti del suo viso scarno erano però rimasti regolari e ben marcati, come in una statua di granito, le sopracciglia forti, le occhiaie incavate. Egli pareva un contadino che si riposa al termine della sua giornata di lavoro.
«Vedi laggiù quel gruppo di alberi?» disse Luca. «La terra là attorno era la mia vigna. Mia madre dovette venderla per le spese del processo. Quante volte, negli anni passati, m'è venuto in sogno di stare laggiù, a zappare o a vendemmiare.»
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #376 il:
13 Marzo 2009, 00:31:02 »
Non tutti gli autori ottocenteschi furono dei pessimisti anche se Mark,comunque, va considerato come una perla rara
Mark Twain
UN AMERICANO ALLA CORTE DI RE ARTU'
Mentre posavo il libro, qualcuno bussò alla porta e lo strano forestiero entrò. Gli offrii una pipa, una poltrona ed una cordiale accoglienza. Lo confortai anche con un bel whisky scozzese bollente, gliene diedi un altro e poi un altro, sempre sperando di sentire la sua storia. Dopo un quarto bicchierino persuasivo, lui stesso si mise a raccontarla con semplicità e naturalezza.
Era bello avere un po' di riposo e di pace. Ma nulla è perfetto in questa vita in nessun momento. Tempo addietro mi ero fatto una pipa e anche un discreto
tabacco, non quello vero, ma qualcosa di simile a quello che usano gli indiani: l'interno della corteccia di salice disseccato. Questi generi di conforto erano stati messi nell'elmo e ora li avevo di nuovo, ma non avevo fiammiferi. Pian piano, col passar del tempo, cominciai a rendermi conto di una spiacevole realtà: eravamo nell'impossibilità di proseguire. Un novizio in armatura non può montare a cavallo senza un aiuto e gliene occorre parecchio.
Eppure, già incominciavo a sentirmi insoddisfatto, non potevo accendere la pipa poiché, sebbene avessi avviato da molto tempo un fabbrica di fiammiferi, avevo dimenticato di portarmene dietro un po'. E c'era un altro problema: non avevamo niente da mangiare.
I contadini ci tenevano a darmi qualcosa per compensare un po' la mia generosità, che io volessi o no: così lasciai che mi regalassero una pietra focaia e un acciarino. Appena ebbero sistemato comodamente me e Sandy sul cavallo, accesi la pipa. Quando il primo sbuffo di fumo uscì attraverso le sbarre del mio elmo, tutta quella gente fuggì verso il bosco e Sandy cadde all'indietro e precipitò al suolo con un gran tonfo. Pensavano che io fossi uno di quei draghi sputafuoco di cui avevano tanto sentito parlare dai cavalieri e da altri bugiardi di professione. Dovetti faticare un bel po' per convincerli ad avvicinarsi di nuovo a me, quel tanto da poter udire le mie spiegazioni
Alzai gli occhi e scorsi, in lontananza, all'ombra di un albero, una mezza dozzina di cavalieri armati, con i loro scudieri. Immediatamente ci fu un gran trambusto fra di loro e un serrar di cinghie per montare in sella. Io avevo pronta la pipa e sarebbe stata accesa se non fossi stato immerso nei miei pensieri:
come eliminare l'oppressione dal paese e come restituire al popolo i diritti che
gli erano stati sottratti e la sua dignità umana, senza far torto a nessuno. Accesi subito la pipa e avevo già una buona riserva di vapore quando quelli arrivarono. Venivano avanti tutti insieme a testa bassa, con le piume ondeggianti al vento e le lance abbassate in avanti. Era uno spettacolo splendido, bellissimo... per un uomo in cima a un albero. Misi la lancia in resta e aspettai, col cuore che mi batteva, finché quella marea di ferro fu quasi sul punto di abbattersi su di me, poi cacciai fuori una colonna di fumo bianco attraverso le sbarre dell'elmo. Avreste dovuto vedere l'ondata frantumarsi e disperdersi! Era uno spettacolo ancora più bello del primo.
LE AVVENTURE DI HUCKLEBERRY FINN
Ho acceso la pipa e mi sono fatto una bella fumata mentre continuavo a osservare. Il battello seguiva la corrente, e dunque io penso che quando mi arriva all'altezza dell'isola ho la possibilità di vedere chi ci sta a bordo, perché passerà dove è passata la pagnotta. Quando è proprio vicino a me io smorzo la pipa e vado a vedere nel posto dove ho tirato su la pagnotta, e mi stendo dietro un tronco sulla sponda, in un punto un po' aperto.
Beh, credevo che era possibile salire a terra quasi in qualunque punto... e invece no, la sponda è troppo ripida. Ho dovuto fare il giro fino quasi all'altra punta prima di trovare un posto che andava bene. Vado nel bosco e decido che non mi faccio più cuccare dalle zattere colle lanterne. Avevo la pipa con un po' di tabacco, e nel berretto ci avevo dei fiammiferi che non si erano bagnati, per cui si accendevano».
Autobiografia
Trenta o quarant'anni fa, laggiù nel Missouri, il sigaro comune costava trenta centesimi il centinaio, ma quasi tutti ne facevano a meno, visto che fumare la pipa, in quella regione ricca di tabacco, non costava nulla. Anche il Connecticut si dedica oggi alla coltivazione del tabacco, eppure paghiamo dieci dollari cento sigari del Connecticut e quindici-venticinque dollari cento sigari di importazione.
Rivedo ancora la fattoria con perfetta chiarezza. Rivedo ogni cosa, ogni particolare: la stanza dove ci trattenevamo, con un letto a rotelle in un angolo e in un altro un filatoio, il gemere della cui ruota, sentito in distanza, era per me il più triste dei suoni e mi abbatteva e mi immalinconiva e riempiva la mia atmosfera di errabondi spiriti di morti; l'ampio focolare, nel quale nelle serate d'inverno si accatastavano fiammeggianti ciocchi di noce alle cui estremità ribolliva una linfa zuccherosa che non andava perduta perché noi la raschiavamo e la mangiavamo; il gatto pigramente allungato sulle ruvide pietre del focolare; i cani sonnacchiosi, stretti contro le pareti laterali, sogguardanti; mia zia, seduta in un angolo accanto al camino, lavorava a maglia; nell'altro, mio zio fumava la sua pipa ricavata da una pannocchia; il liscio pavimento di quercia, senza tappeto, picchiettato di segni neri dove i tizzoni eran saltati fuori per morire di una morte più comoda, rifletteva fiocamente le danzanti lingue di fuoco.
Sembra un peccato che il mondo debba gettar via tante cose buone soltanto perché sono poco salutari. Dubito che il Padreterno ci abbia dato cibo o bevanda che, presi in misura moderata, non siano salutari, salvo i microbi. Eppure c'è gente che si priva severamente di ogni tipo di cibo, bevanda o fumo che in un modo o nell'altro abbia acquistato una reputazione dubbia. Questo è il prezzo che pagano per la salute, e la salute è tutto ciò che ne ricavano. Com'è strano! E come disfarsi delle proprie fortune per una mucca che non dà più latte.
La casa sorgeva nel mezzo di un vasto cortile recinto per tre lati da sbarre e dietro da un'alta palizzata; addossata alla palizzata vi era la capanna per le fumigazioni; oltre la palizzata l'orto e al di là dell'orto il quartiere dei negri e i campi di tabacco. Nel cortile si entrava per mezzo di una sorta di scaletta di tronchi segati ad altezze graduate; non ricordo che vi fosse alcun cancello. In un angolo del cortile antistante vi era una dozzina di giganteschi alberi di noci americane e una dozzina di alberi di noci nere, e nella stagione della raccolta si accumulava una vera ricchezza. Un po' più giù, all'altezza della casa, poggiata al recinto, vi era una piccola capanna di tronchi; e lì la boscosa collina - oltre i granai, oltre il deposito del granturco, le stalle e il locale per il tabacco - declinava bruscamente, giù fino a un limpido ruscello che gorgogliava nel suo letto ghiaioso e girellava e saltava zigzagando in ogni senso nell'ombra fitta del fogliame e dei rampicanti che lo sovrastavano: era un posto divino da passare a guado, e aveva perfino dei piccoli stagni per nuotarci che a noi erano proibiti, ragion per cui li frequentavamo molto. Eravamo infatti dei piccoli cristiani e ci avevano insegnato ben presto il valore del frutto proibito.
La scuola di campagna era a tre miglia dalla fattoria di mio zio. Sorgeva in una radura nel bosco e poteva contenere all'incirca venticinque fra ragazze e ragazzi. La frequentavamo più o meno regolarmente una o due volte la settimana durante l'estate, e ci andavamo nel fresco del mattino lungo i sentieri della foresta, ritornando nella semioscurità del calar del giorno. Tutti gli scolari portavano con sé la merenda nei cestini - focaccia di granturco, siero, e altre cose buone - e a mezzogiorno si sedevano all'ombra degli alberi e mangiavano. Questa è la parte dei miei studi alla quale guardo con maggior soddisfazione. La mia prima visita alla scuola la feci a sette anni. Una ragazzona di quindici anni, col cappello da sole e un vestito di cotonina come le altre, mi chiese se «usavo il tabacco», cioè se lo masticavo. Dissi di no, provocando il suo scherno. Mi accusò di fronte a tutti dicendo:
«Guardate: un ragazzo di sette anni che non mastica il tabacco!»
Dagli sguardi e dai commenti che le sue parole causarono mi accorsi di essere un degenerato ed ebbi terribilmente vergogna di me stesso. Decisi di emendarmi. Ma riuscii solo a sentirmi male; ero incapace di imparare a masticar tabacco. A fumare imparai benino, ma questo non mi attirò le simpatie di nessuno e rimasi un poveraccio, senza temperamento. Desideravo tanto che mi rispettassero, ma non fui capace di risollevarmi. I ragazzi hanno poca compassione per i difetti degli altri ragazzi.
A Hannibal, circa quindicenne, appartenni per un breve periodo ai Cadetti della Temperanza, un'organizzazione che per un anno, se non di più, si diffuse in tutti gli Stati Uniti. Consisteva nell'impegnarsi, finché si restava associati, ad astenersi dal tabacco; cioè consisteva in parte in quest'impegno e in parte in una fascia rossa di merino; ma la fascia rossa di merino era la cosa più importante. I ragazzi si facevano Cadetti per avere il privilegio di portarla: l'impegno vero e proprio non aveva molta importanza. Ne aveva così poca che, a petto della fascia, praticamente non esisteva affatto.
A quei tempi il sigaro indigeno era così a buon mercato che ognuno poteva permettersene il lusso. Il signor Garth aveva una grande fabbrica di tabacco, e nel villaggio aveva anche un negozietto per la vendita al minuto dei suoi prodotti. Vendeva una marca di sigari che la povertà in persona era in grado di comprare. Li teneva in deposito da un po' di anni, e benché esternamente apparissero buoni, l'interno era ridotto in polvere e svaniva come uno sbuffo di vapore quando erano spezzati in due. Dato il prezzo estremamente basso si trattava di una marca molto popolare. Il signor Garth aveva altre marche a buon mercato, e alcune cattive, ma la supremazia goduta su tutte da questa era indicata dal suo nome: «La più dannata di Garth.» Noi, per avere di questi sigari, davamo in cambio vecchi numeri di giornali.
Trascorsi tre mesi nella capanna di tronchi, dimora di Jim Gillis e del suo socio Dick Stoker, a Jackass Gulch, quel sereno e riposante e vago e delizioso paradiso silvestre del quale ho già parlato. Ogni tanto Jim aveva un'ispirazione e si alzava in piedi davanti al grande camino con le spalle verso quest'ultimo e le mani incrociate dietro e cominciava a narrare un'estemporanea fandonia - una fiaba, un racconto bizzarro - della quale, quasi sempre, l'eroe era Dick Stoker. Con tutta serietà Jim sosteneva sempre che ciò che narrava era storia rigorosamente verace e non frutto d'invenzione. Dick Stoker, con i suoi capelli grigi e la sua indole buona, sedeva fumandosi la pipa e ascoltando con serena bonomia quelle enormi fandonie senza mai protestare.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #377 il:
13 Marzo 2009, 19:03:03 »
Un'altro ottimista,nel suo pessimismo
Jerome K. Jerome
STORIE DI FANTASMI PER IL DOPOCENA
La Mia storia
Non appena mio zio ebbe terminata la sua storia, come vi ho già detto, mi alzai e dissi che, quella stessa notte, IO avrei dormito nella Camera azzurra.
- Mai!- gridò lo zio, balzando in piedi. - Non correrai questo pericolo mortale. E poi, il letto non è rifatto.
- Il letto non ha importanza - replicai. - Ho vissuto in camere ammobiliate per scapoli e mi sono abituato a dormire su letti che non erano stati rifatti da anni. Non contrastarmi nella mia decisione.
Sono giovane, e è più di un mese che ho la coscienza pulita. Gli spiriti non mi faranno del male. Posso addirittura essere io a fare un po' di bene a loro, convincendoli a stare zitti e ad andarsene. E poi, mi piacerebbe assistere allo spettacolo.
Detto questo, mi sedetti di nuovo. (Come mai Mister Coombes fosse seduto sulla mia sedia, invece che dall'altra parte della camera, dove era stato per tutta la sera, e perché non si sia neppure sognato di farmi le sue scuse, quando mi sedetti proprio su di lui, e perché il giovane Biffles si sia spacciato per lo zio John e mi abbia indotto, con questa impressione errata, a stringergli la mano per quasi tre minuti e a dirgli che l'avevo sempre considerato come un padre, sono cose che, ancora oggi, non sono mai riuscito a spiegarmi del tutto).
Provarono di dissuadermi da quella che chiamavano la mia impresa temeraria, ma io fui irremovibile e rivendicai il mio privilegio: io ero l'"ospite". "L'ospite" dorme sempre nella camera infestata, la Vigilia di Natale: è di sua competenza.
Risposero che, se la mettevo su quel piano, naturalmente non avevano più niente da replicare; mi accesero una candela e mi accompagnarono di sopra, compatti.
Se era la coscienza di compiere una nobile azione a ubriacarmi, o se invece ero semplicemente animato da una vaga consapevolezza della mia rettitudine, non sta a me dirlo, ma, quella sera, salii di sopra con grande baldanza. Fu già tanto se mi fermai al pianerottolo, quando ci giunsi: sentivo che avrei voluto salire fin sul tetto. Con l'aiuto della ringhiera, però, frenai il mio slancio, augurai la buonanotte, entrai e chiusi la porta.
Le cose cominciarono ad andarmi male fin dall'inizio. La candela cadde dalla bugia prima ancora che avessi ritirato la mano dalla serratura.
Continuò a cadere dalla bugia e, ogni volta che la raccoglievo e la rimettevo a posto, cadeva di nuovo: non ho mai visto una candela tanto scivolosa. Alla fine, rinunciai a tentare di usare la bugia e tenni la candela in mano' ma, anche così, non stava dritta. Allora mi infuriai:
la buttai dalla finestra, mi svestii e andai a letto al buio. Non mi addormentai (non avevo per niente sonno): mi sdraiai supino, guardando il soffitto e vagando con il pensiero. Magari mi ricordassi qualcuna delle idee che mi vennero, mentre me ne stavo lì sdraiato: erano così divertenti! Ridevo da solo, tanto che il letto si mise a ballare.
Ero rimasto così sdraiato per circa mezz'ora, e avevo dimenticato completamente il fantasma, quando, lanciando per caso un'occhiata alla camera, notai, per la prima volta, uno spettro dall'aria particolarmente soddisfatta, seduto in poltrona vicino al fuoco, che fumava il fantasma di una lunga pipa d'argilla.
Come sarebbe successo quasi a chiunque, in casi simili, sul momento immaginai che stavo sicuramente sognando. Mi alzai a sedere e mi stropicciai gli occhi.
No! Era chiaramente un fantasma. Potevo vedere lo schienale della poltrona, attraverso il suo corpo. Guardò verso di me, esaminandomi, si tolse dalle labbra la pipa fantasma e fece un cenno con la testa.
Per me, la parte più sorprendente di tutta la faccenda fu che non mi sentivo per nulla turbato. Anzi, piuttosto, mi faceva piacere vederlo.
Era una compagnia.
Dissi: - Buonasera! E' stata una giornata fredda!
Rispose che, personalmente, non l'aveva notato, ma pensava che fosse vero.
Restammo in silenzio per qualche secondo, poi, cercando di essere diplomatico, dissi: - Se non sbaglio, ho l'onore di parlare con il fantasma del signore che ebbe quell'incidente con il cantante.
Sorrise, e disse che ero molto buono a ricordarlo. Un cantante non era molto di cui vantarsi, ma, comunque, tutto fa brodo.
Fui parecchio sconcertato da questa risposta. Mi ero aspettato un gemito di rimorso. Al contrario, il fantasma pareva piuttosto orgoglioso della cosa. Pensai che, visto che aveva preso così bene il mio accenno al cantante, forse non si sarebbe offeso se lo avessi interrogato sul suonatore di organetto. Quel povero ragazzo mi incuriosiva.
- E' vero - chiesi, - che c'era il suo zampino nella morte di quel contadinello italiano che, una volta, venne in città con un organetto che non suonava altro che arie scozzesi?
Si arrabbiò per davvero: - Il mio zampino! - esclamò, indignato. - Chi ha osato pretendere di avermi aiutato? Il giovanotto l'ho ucciso da solo. Nessuno mi ha aiutato. Da solo, l'ho fatto. Mi faccia vedere l'uomo che dice il contrario.
Lo calmai. Gli assicurai che, personalmente, non avevo mai dubitato che egli fosse l'unico, vero assassino e continuai chiedendogli cosa avesse fatto con il corpo del suonatore di cornetta che aveva ucciso.
Chiese: - A quale si riferisce?
- Oh, allora erano più d'uno? - mi informai.
Sorrise, e tossì leggermente. Disse che non voleva dare l'impressione di vantarsi, ma che, contando i tromboni, erano sette.
- Povero me! - replicai -. Deve aver avuto un gran daffare, tutto considerato.
Disse che, forse, non spettava a lui dirlo, ma, in realtà, pensava che ci fossero pochi fantasmi, almeno nell'ambito della comune società borghese, che potevano guardarsi indietro e affermare che la propria vita era stata di più comprovata utilità.
Tirò qualche boccata, in silenzio, per alcuni secondi, mentre io restavo a osservarlo. Che ricordassi, non avevo mai visto un fantasma che fumava la pipa, e la cosa suscitava il mio interesse.
Gli chiesi che tabacco usava e rispose. - Di regola, fantasma di Cavendish tagliato.
Spiegò che il fantasma di tutto il tabacco che un uomo aveva fumato, durante la vita, gli apparteneva, una volta morto. Disse che, personalmente, aveva fumato un bel po' di Cavendish tagliato, quand'era vivo; perciò, adesso, aveva una buona scorta di tabacco fantasma.
Osservai che quella era una cosa utile da sapere e decisi di fumare più tabacco che potevo, prima di morire.
Pensai che potevo anche cominciare subito, così gli dissi che gli avrei fatto compagnia con una pipatina, e lui fece: - Vai, vecchio!
- e io mi allungai, tirai fuori gli arnesi necessari dalla tasca della giacca e accesi.
E così facemmo amicizia e mi raccontò tutti i suoi crimini. Disse che, una volta, aveva vissuto porta a porta con una signorina che stava imparando a suonare la chitarra, mentre, di fronte, abitava un signore che si esercitava alla viola da gamba. E lui, con astuzia diabolica, aveva fatto conoscere questi due ingenui giovani e li aveva convinti a fuggire insieme, contro la volontà dei genitori, e a portare con loro gli strumenti musicali: quelli lo avevano fatto e, prima che fosse finita la luna di miele, "lei" gli aveva rotto la testa con la viola da gamba e "lui" aveva cercato di ficcarle in gola la chitarra e l'aveva storpiata per tutta la vita.
Il mio amico mi disse che aveva l'abitudine di attirare nell'atrio i venditori di focaccine, e poi di ingozzarli della loro stessa merce, finché, in quel modo, ne aveva azzittiti diciotto.
I giovanotti e le signorine che recitavano poesie lunghe e tristi alle riunioni serali e i giovanotti imberbi che se ne andavano a spasso per le strade, la sera tardi, suonando la fisarmonica, li avvelenava a gruppi di dieci, per risparmiare sulle spese, e gli oratori pubblici e i conferenzieri che predicavano la temperanza li chiudeva in sei in una stanzetta, con un bicchiere d'acqua e una cassetta delle elemosine per uno, e lasciava che, a furia di parlare, si facessero fuori a vicenda.
Faceva bene ascoltarlo.
Gli chiesi per quando aspettava gli altri fantasmi, i fantasmi del cantante e del suonatore di cornetta e della banda musicale tedesca, di cui aveva detto lo zio John. Sorrise e disse che non sarebbero più tornati, nessuno di loro.
Chiesi: - Come, non è vero allora che vi incontrate qui, ogni anno, la Vigilia di Natale, per una bella rissa?
Replicò che una volta era così. Per venticinque anni, la Vigilia di Natale, avevano lottato in quella stanza, ma non avrebbero più importunato né lui, né nessun altro. Uno per uno, li aveva sistemati, distrutti, resi assolutamente incapaci di infestare. Aveva spacciato l'ultimo fantasma della banda tedesca proprio quella sera, subito prima che salissi io, e aveva buttato quel che ne restava fuori dalla finestra, attraverso la fessura del telaio. Disse che non avrebbero mai più meritato il nome di fantasma.
- Suppongo che tu continuerai a venire, come al solito - dissi. - So che dispiacerebbe a tutti perderti.
- Oh, non lo so - replicò. - C'è poco o nulla che mi attragga, adesso. A meno che - aggiunse gentilmente, - non ci sia "tu". Verrò, se dormirai qui, la prossima Vigilia di Natale.
- Ti ho preso in simpatia- continuò,- tu non scappi via strillando, quando vedi un tizio, e non ti si drizzano i capelli sulla testa. Non hai idea - disse, - di quanto sia stufo di vedere gente con i capelli dritti in testa.
Disse che gli dava sui nervi.
Proprio allora, ci arrivò un leggero rumore dal cortile e lui sobbalzò diventando mortalmente nero.
- Tu stai male - esclamai balzando verso di lui, - dimmi che devo fare. Devo bere un po' di brandy, e dartene il fantasma?
Rimase in silenzio, ascoltando attentamente, per un attimo; poi esalò un sospiro di sollievo e l'ombra gli tornò sulle guance.
- Tutto a posto - mormorò, - avevo paura che fosse il gallo.
- Oh, ma è troppo presto - dissi. - Che diamine, siamo solo a metà della notte.
- Oh, questo non fa nessuna differenza, per quei maledetti gallinacci - replicò amaramente. - Canterebbero a metà della notte, o in qualsiasi altro momento; anzi, canterebbero prima, se sapessero di rovinare a un tizio la sua serata fuori. Io credo che lo facciano apposta.
Disse che un suo amico, il fantasma di un uomo che aveva ucciso un esattore dell'acqua, aveva l'abitudine di infestare una casa a Long Acre, dove avevano dei volatili nello scantinato e, tutte le volte che un poliziotto si avvicinava e illuminava il locale con la torcia, attraverso la grata, il vecchio gallo pensava che fosse il sole e incominciava a cantare come un matto, e allora, naturalmente, il povero fantasma doveva svanire e, quindi, tornava a casa prestissimo, certe volte anche all'una del mattino, imprecando tremendamente, perché era stato fuori solo un'ora.
Fui d'accordo sul fatto che la cosa sembrava molto sleale.
- Oh, è tutto organizzato in modo assurdo- continuò, piuttosto arrabbiato.- Non riesco a immaginare a cosa stesse pensando il nostro vecchio, quando ha deciso così. Come gli ho detto migliaia di volte, "Fissa un'ora precisa, e che tutti la rispettino: diciamo le quattro, d'estate; le sei, d'inverno. Così, uno saprebbe quello che sta facendo".
- Come fate, quando non c'è un gallo a portata di mano? - mi informai.
Stava di rispondere, quando, di nuovo, sobbalzò e tese l'orecchio.
Questa volta, sentii distintamente il gallo di Mister Bowles, dalla casa vicino, cantare due volte.
- Ecco - disse, alzandosi e allungando una mano a prendere il cappello, - questo è quello che dobbiamo sopportare. Ma che ora è?
Guardai l'orologio e mi accorsi che erano le tre e mezzo.
- Me l'aspettavo- borbottò.- Gli torcerò il collo, a quel maledetto uccello, se lo prendo.
E si preparò ad andarsene.
- Se puoi aspettare mezzo minuto - dissi, alzandomi dal letto, farò un pezzetto di strada con te.
- Sei molto buono- ribatté, arrestandosi,- ma mi pare una cattiveria trascinarti fuori.
- Per niente - replicai. - Mi farà piacere fare una passeggiata. Mi vestii alla meglio, presi l'ombrello, lui mi prese sottobraccio e uscimmo insieme.
Proprio al cancello incontrammo Jones, uno dei poliziotti locali.
- Buonanotte, Jones - dissi (mi sento sempre affabile, a Natale).
- Buonanotte, signore - rispose l'uomo, un po' sgarbatamente, pensai.
- Posso chiederle cosa sta facendo?
- Oh, è tutto a posto - risposi, agitando l'ombrello; - sto solo accompagnando un mio amico per un pezzo di strada.
- Quale amico? - chiese.
- Oh, ah, naturalmente - risi; - dimenticavo. Per lei, è invisibile.
E' il fantasma del signore che uccise il cantante. Arrivo giusto fino all'angolo con lui.
- Ah, non credo che io lo farei se fossi in lei, signore- disse Jones, severamente. - Se vuole accettare il mio consiglio, saluti qui il suo amico e torni dentro. Forse non si è reso conto che sta andando in giro con addosso soltanto una camicia da notte, un paio di stivali e un "gibus". Dove sono i suoi pantaloni?
I modi di quell'uomo non mi piacquero per niente. Dissi: - Jones! Non voglio farle rapporto, ma mi sembra che abbia bevuto. I miei pantaloni sono dove dovrebbero essere i pantaloni di ogni uomo: alle sue gambe.
Ricordo esattamente di averli messi.
- Bene, adesso non li ha - ribatté.
- Scusi - replicai, - le dico che li ho. Credo che dovrei saperlo.
- Lo credo anch'io - rispose, - ma, evidentemente, non è così.
Adesso lei viene dentro con me, e che non se ne parli più.
A questo punto, zio John si fece sulla porta, svegliato, immagino, dall'alterco e, nello stesso momento, zia Mary comparve alla finestra, in cuffia da notte.
Spiegai loro l'errore del poliziotto, cercando di non dar peso alla faccenda, per non mettere nei guai quel tizio, e mi girai verso il fantasma perché confermasse le mie parole.
Se n'era andato! Mi aveva lasciato senza una parola, senza neppure salutarmi!
Che se ne fosse andato in quel modo mi colpì come una scortesia così grande che scoppiai in lacrime e zio John mi riportò a casa.
Arrivato nella mia stanza, scoprii che Jones aveva ragione. Non avevo messo i pantaloni, dopotutto. Erano ancora appesi alla spalliera del letto. Immagino di averli dimenticati, nell'ansia di non far aspettare il fantasma.
Questi sono i fatti nudi e crudi e da questi, indubbiamente, a un animo retto e caritatevole sembrerà impossibile che possano essere nate delle calunnie.
Me ne nacquero.
Delle persone (dico "persone") hanno affermato di non riuscire a capire le semplici circostanze fin qui raccontate, se non alla luce di spiegazioni ingannevoli e offensive. Sono stato denigrato e calunniato da quelli della mia stessa carne e del mio stesso sangue.
Ma io non porto rancore. Semplicemente, come ho detto, faccio conoscere la mia versione, per riscattare la mia reputazione da sospetti insultanti.
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Aqualong
Cavaliere di San Dunillo
Post: 2240
Re:Autori con la pipa in bocca
«
Risposta #378 il:
14 Marzo 2009, 21:25:21 »
Eccolo !!
Georges Simenon
IL CAPANNO DI FLIPKE
Quasi avesse indovinato, Nouchi andò verso una
delle valigie e nonostante il peso riuscì a sollevarla
e a metterla, bagnata com’era, sopra un tavolo. Poi,
con una chiave che prese dalla borsetta, la aprì e
cominciò a frugare febbrilmente fra la sua roba,
scostando biancheria e vestiti. Sembrava che non
vedesse l’ora di dissipare ogni possibile imbarazzo,
ogni malinteso. Finalmente brandì una pipa, la pipa
più straordinaria che si fosse mai vista, non solo
a Furnes ma in tutta la Fiandra.
«Per zio Arthur...».
Peeters quasi non osava toccarla. Certo, la sua rastrelliera
conteneva qualche pipa di schiuma che
tutti gli invidiavano, ma questa... Solo il cannello,
lungo almeno cinquanta centimetri, era un’opera
d’arte: di corno, con sopra scolpita una scena di caccia,
con i cani, i cacciatori e tutto. E anche il fornello
era scolpito, e rappresentava un interno con un
camino e un tavolo attorno al quale c’erano almeno
dieci persone, precise come su una fotografia.
Questa volta Peeters non si trattenne e lanciò uno
sguardo di vittoria a De Greef....
C’era gente che entrava solo per sentire Nouchi pronunciare
qualche parola in fiammingo: aveva un
accento così buffo, e la sua faccia assumeva un’espressione
così strana che era come andare a teatro.
Ed era lei la prima a riderne. La signora Peeters sosteneva
che a volte il suo alito sapeva di acquavite,
ma non erano mai riusciti a coglierla sul fatto.
«È la figlia di mio fratello Wilhem,» spiegava Peeters
«che ha fatto il giro del mondo e attualmente vive
in Ungheria... Avete visto la pipa|...».
I paesani andavano a vedere la pipa, il tappeto da
tavolo, le camicette ungheresi... Finanche le monete
d’oro, che portavano impresse effigi sconosciute
a Furnes...
La sera, quando giocava a carte, fumava la famosa
pipa - che però gli creava qualche problema, perché
era così lunga e ingombrante che Arthur Peeters
doveva stare un po’ discosto dal tavolo.
Maigret e l’affittacamere
« La signora Keller mi ha detto che non le avrei procurato eccessivo disturbo... ».
Allora lei pronunciò le sue prime parole.
« Può fumare la pipa ».
Doveva averlo visto fumare la pipa tutto il giorno affacciato alla finestra.
« Anche mio marito fuma. Non mi dà fastidio ».
E vedendo che Maigret esitava:
« La prego... ».
Il fumo della sua pipa inazzurrava sempre più l’aria e formava una cortina fluttuante attorno all’abatjour color salmone della lampada.
Maigret provava una strana sensazione a trovarsi lì, seduto in poltrona come fosse a casa sua.
Stava cercando meccanicamente un portacenere per svuotare la pipa, ma non lo trovava. Lei lo intuì.
« Ce n’è uno sul tavolo in sala da pranzo. Basta che apra quella porta... ».
Seguì le istruzioni, girò l’interruttore e, in effetti, sul tavolo Henri II vide un portacenere di rame su cui era posata una grossa pipa ricurva.
Era un po’ come se avesse incontrato Boursicault: se lo immaginava in pantofole e maniche di camicia che fumava quella pipa nell’appartamento.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #379 il:
15 Marzo 2009, 13:57:36 »
Un altro esempio di pipa per caratterizzare un genotipo di bifolco,addirittura con il maiale a guinzaglio e la pipa in bocca.
La pipa nel presente frammento di "parabola" è li solo per quel motivo,ma rende bene come esempio di quello che stavo esponendo
già da alcuni post.
Solo negli "anni 30" la pipa comincia piano piano a riguadagnare terreno.
Antonio Gramsci
LETTERE DAL CARCERE
Un uomo aveva fortemente vissuto, una sera: forse aveva bevuto
troppo, forse la vista continua di belle donne lo aveva un po' allucinato. Uscito dal ritrovo, dopo
aver camminato un po' a zig-zag per la strada, cadde in un fosso. Era molto buio, il corpo gli si
incastrò tra rupi e cespugli; era un po' spaventato e non si mosse, per timore di precipitare ancora
piú in fondo. I cespugli si ricomposero su di lui, i lumaconi gli strisciarono addosso inargentandolo
(forse un rospo gli si posò sul cuore, per sentirne il palpito, e in realtà perché lo considerava ancor
vivo). Passarono le ore; si avvicinò il mattino e i primi bagliori dell'alba, incominciò a passar gente.
L'uomo si mise a gridare aiuto. Si avvicinò un signore occhialuto; era uno scienziato che ritornava a
casa, dopo aver lavorato nel suo gabinetto sperimentale. Che c'è? domandò. – Vorrei uscire dal
fosso, rispose l'uomo. – Ah, ah! vorresti uscire dal fosso! E che ne sai tu della volontà, del libero
arbitrio, del servo arbitrio! Vorresti, vorresti! Sempre cosí l'ignoranza. Tu sai una cosa sola: che
stavi in piedi per le leggi della statica, e sei caduto per le leggi della cinematica. Che ignoranza, che
ignoranza! – E si allontanò scrollando la testa tutto sdegnato. – Si sentí altri passi. Nuove
invocazioni dell'uomo. Si avvicina un contadino, che portava al guinzaglio un maiale da vendere, e
fumava la pipa: Ah! ah! sei caduto nel fosso, eh! Ti sei ubbriacato, ti sei divertito e sei caduto nel
fosso. E perché non sei andato a dormire, come ho fatto io? – E si allontanò, col passo ritmato dal
grugnito del maiale. – E poi passò un artista, che gemette perché l'uomo voleva uscire dal fosso: era
cosí bello, tutto argentato dai lumaconi, con un nimbo di erbe e fiori selvatici sotto il capo, era cosí
patetico! – E passò un ministro di dio, che si mise a imprecare contro la depravazione della città
che si divertiva o dormiva mentre un fratello era caduto nel fosso, si esaltò e corse via per fare una
terribile predica alla prossima messa.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #380 il:
16 Marzo 2009, 18:52:50 »
Se gli alieni ,forse, vi rubano le mucche,non resta che farsi una pipata.
DEAN KOONTZ
Sua moglie Gerda gli propone un patto: è disposta a mantenerlo per cinque anni purché diventi uno scrittore. Se non ci riuscirà in quel periodo di tempo, non ci riuscirà più. Koontz ci riesce e si afferma come scrittore, mentre la moglie abbandona il proprio lavoro per gestire gli affari del marito.
Se interessa,Koontz, la moglie ed il loro cane Trixie vivono nel Sud della California.
L'ULTIMA PORTA DEL CIELO
«Le Lincolnshire rosse sono mucche intelligenti», insiste una donna massiccia, che fuma la pipa e ha i capelli raccolti in due codini stretti da nastri gialli.
Il signor Neary lancia un'occhiata impaziente a quella tipa stravagante. «Be', gli alieni non sono andati a cercarsi una Lincolnshire rossa, vero? Sono venuti qui e hanno preso Clara... e secondo me sapevano che era la mucca più intelligente del gruppo.
Il rapimento è avvenuto in un silenzio totale. Dal veicolo è sceso un raggio di luce rossa, come un faro, ma doveva trattarsi di un raggio aspirante di qualche tipo. Clara si è sollevata dal terreno in una colonna di luce rossa del diametro di quasi quattro metri.»
«Una raggio aspirante davvero grande!» esclama un giovanotto dai capelli lunghi, in jeans e maglietta con la scritta FRODO VIVE.
«La mia vecchia Clara ha lanciato solo un muggito di sorpresa», prosegue il signor Neary, «e poi è andata su senza protestare, girando lentamente da una parte e dall'altra, come se pesasse quanto una piuma.» Fissa lo sguardo sulla donna dai codini e con la pipa in bocca. «Se fosse stata una
Lincolnshire rossa, probabilmente avrebbe cominciato a scalciare come una matta e sarebbe rimasta soffocata nel suo stesso vomito.»
Dopo aver soffiato un anello di fumo, la donna ribatte: «Per un ruminante, è praticamente impossibile soffocare nel proprio vomito».
«E comunque, perché avrebbero dovuto volere una mucca?» vuole sapere il seguace di Frodo.
«Latte», suggerisce la giovane pallida. «Forse il loro pianeta ha subito, per cause interamente naturali, un parziale collasso ecologico e c'è stata un'interruzione in alcuni segmenti della catena alimentare.»
«No, no, di sicuro sono tecnologicamente abbastanza avanzati per clonare le varie specie», la contraddice un uomo dall'aria professorale, che fuma una pipa ancora più grossa di quella della donna, «una specie che, sul loro pianeta, è l'equivalente di una mucca. Di certo sono in grado di ripopolare le loro mandrie in questo modo. Non introdurrebbero mai una specie proveniente da un altro pianeta.»
Questa precisazione non serve ad attirargli la simpatia delle persone riunite intorno al cerchio. L'espressione dei loro volti va dalla perplessità all'irritazione.
Anzi, la giovane pallida gli lancia un'occhiata torva come quella con la quale aveva zittito l'uomo che mangiava l'hot dog. «Le intelligenze avanzate non hanno i nostri difetti. Non distruggono i sistemi ecologici. Non dichiarano guerra e non mangiano la carne degli animali.» Poi sposta il suo sguardo all'azoto liquido sui fumatori di pipa. «Non usano prodotti simili al tabacco.» Ritorna a fissare Curtis, i suoi occhi sono così gelidi che, se la donna lo fisserà troppo a lungo, probabilmente lui entrerà in uno stato di sospensione criogenica. «Non hanno pregiudizi basati su razza, sesso o cose del genere. Non rovinano il proprio corpo con cibi ad alto contenuto di grassi, zucchero raffinato e caffeina. Non mentono e non ingannano, non dichiarano guerra a nessuno, come ho già detto, e di certo non inseriscono embrioni di giganteschi insetti assassini nel corpo di una mucca.»
IL VOLTO DELLA PAURA
Il tecnico della manutenzione del turno di notte era un uomo tarchiato, biondo e dalla pelle chiara,
sotto la cinquantina. Portava pantaloni grigi e una camicia a quadri. Stava fumando la pipa.
Quando Bollinger scese i gradini che portavano al corridoio dell'ingresso, la pistola in mano, il
tecnico disse: "Chi diavolo è lei?" Parlava con un leggero accento tedesco.
"Sie sind Herr Schiller, nicht wahr?" Bollinger domandò. Suo nonno e sua nonna erano di origine
tedesca: lui aveva imparato la lingua da bambino e non l'aveva più dimenticata.
Sorpreso nel sentir parlare tedesco, preoccupato dalla pistola, ma confuso dal sorriso di Bollinger,
Schiller rispose: "Ja, ich bin's."
"Es freut mick sehr, Sie kennenzulernen."
Schiller si tolse la pipa di bocca. Si passò nervosamente la lingua sulle labbra. "Die Pistole?"
"Fur den Mord," rispose Bollinger. Sparò due colpi.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #381 il:
17 Marzo 2009, 15:13:05 »
Quando le pipe diventano kafkiane...
Kafka Franz
America
Ma quel dormitorio non era certo un posto tranquillo. Poiché ognuno suddivideva in modo diverso le sue dodici ore di tempo libero per mangiare, dormire, divertirsi e guadagnare qualcosa con un lavoro secondario, nel dormitorio c'era sempre un gran movimento. Alcuni dormivano e si tiravano la coperta fin sopra le orecchie per non sentire nulla; ma se qualcuno veniva svegliato si metteva a gridare così forte sovrastando le grida degli altri, che anche quelli con il sonno più pesante dovevano svegliarsi. Quasi tutti i ragazzi avevano la loro pipa, come una specie di lusso; anche Karl se ne procurò una e ben presto imparò a fumarla con gusto. Ma dato che in servizio non si poteva fumare, ne conseguiva che la notte tutti quelli che non dormivano fumavano, quindi ogni letto era avvolto in una nuvola di fumo e tutto l'ambiente era oscurato come da una nebbia. Anche se la maggior parte di loro era fondamentalmente d'accordo, non si riusciva a ottenere che durante la notte la luce restasse accesa solo a un'estremità della sala. Mettendo in pratica questa proposta, quelli che volevano dormire avrebbero potuto tranquillamente farlo nel buio di una metà della sala - era uno stanzone con quaranta letti - mentre gli altri nella parte illuminata avrebbero potuto giocare a dadi o a carte e fare tutto quello per cui era necessaria la luce. E se qualcuno che aveva il letto nella metà illuminata della sala avesse voluto dormire, avrebbe potuto coricarsi in uno dei letti liberi nella parte buia, perché ce n'erano sempre a sufficienza, e nessuno aveva mai avuto qualcosa da ridire se il suo letto veniva occupato temporaneamente da un altro. Ma questa suddivisione non avveniva mai. Ad esempio c'erano sempre due che dopo aver dormito un poco al buio avevano voglia di giocare a carte su un asse collocato tra i loro letti, e naturalmente accendevano una lampada la cui luce accecante colpiva in viso qualcuno addormentato facendolo sobbalzare. Questo qualcuno restava ancora un po' a rigirarsi nel letto, ma poi non trovava altro da fare se nn mettersi a giocare col suo vicino, anche lui ormai sveglio, accendendo un'altra lampada. E tutti naturalmente riaccendevano la pipa. C'era anche chi voleva dormire ad ogni costo - in genere Karl era tra questi - e che, anziché tenere la testa appoggiata al cuscino, la metteva sotto o l'avvolgeva tra le coperte
Anche i cortili che attraversavano erano quasi del tutto deserti. Solo qua e là un fattorino spingeva davanti a sé un carretto a due ruote, una donna riempiva una brocca d'acqua alla pompa, un postino attraversava il cortile a passo lento, un vecchio dai baffi bianchi sedeva a gambe incrociate davanti a una porta a vetri e fumava la pipa, qualche cassa veniva scaricata davanti a una ditta di spedizioni, i cavalli a riposo giravano la testa con indifferenza, un uomo in camice sorvegliava il lavoro con un foglio in mano. In un ufficio c'era una finestra aperta e un impiegato seduto alla sua scrivania s'era voltato al passaggio di Karl e Delamarche e guardava fuori pensieroso.
Le Metamorfosi
RELAZIONE PER UN' ACCADEMIA
Oggi me ne rendo ben conto: senza una gran calma interiore, non sarei riuscito a districarmi. E, forse, tutto ciò che son divenuto lo devo proprio alla calma che penetrò in me dopo i primi giorni trascorsi sulla nave. Di quella calma, a mia volta, sono debitore agli uomini dell'equipaggio.
Brava gente, nonostante tutto. Ancor oggi mi è piacevole ricordare il suono pesante dei loro passi echeggianti nel mio dormiveglia. Erano abituati a fare ogni cosa con estrema lentezza: se uno voleva stropicciarsi gli occhi, tirava su la mano come fosse un contrappeso. I loro scherzi erano grossolani ma cordiali, e alla loro risata si mescolava sempre una tosse minacciosa all'apparenza, ma priva di significato. Tenevano di continuo in bocca qualcosa da sputare, e sputavano dove capitava. Si lagnavano ad ogni momento per gli assalti delle mie pulci, però in realtà non me ne serbavano rancore: sapendo che il mio vello era la cuccagna delle pulci, e che le pulci saltano, portavano pazienza. Quando erano fuori servizio, talvolta alcuni si sedevano in circolo attorno a me; più che parlare, s'intendevano tra loro a mugolii; fumavano la pipa, sdraiati sulle casse, appena io facevo il minimo movimento, si picchiavano sul ginocchio; ogni tanto qualcuno pigliava una bacchetta e mi solleticava nei miei punti preferiti. Se oggi m'invitassero a fare una traversata su quella nave, certamente rifiuterei, ma è altrettanto certo che lì, sotto coperta, non potrei rievocare soltanto brutti ricordi.
Imitare gli uomini era facilissimo. Già dai primi giorni imparai a sputare; ci si sputava in faccia a vicenda, e la sola differenza era che io, dopo, mi pulivo la faccia con la lingua, loro no. Presto seppi fumare la pipa come un vecchio lupo; se poi cacciavo il pollice dentro il fornello, l'intera sottocoperta si sganasciava dal ridere; soltanto che io non compresi per parecchio tempo che differenza ci fosse tra una pipa vuota e una piena.
Troppo sovente la lezione finiva così. E il mio maestro - sia detto a suo onore - non se la prendeva con me; a volte, anzi, accostava la pipa accesa al mio vello e vi appiccava fuoco in qualche punto che faticavo a raggiungere, ma poi subito lo spegneva con la sua brava manona; non se la prendeva, capiva che lottavamo fianco a fianco contro la natura scimmiesca, e che in quella lotta io avevo la parte più ardua.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #382 il:
17 Marzo 2009, 21:09:05 »
Wilbur Smith
UNA VENA D'ODIO
Nella baracca accanto alla trivella, il texano finì le operazioni di
misura e si alzò dal tavolo di lavoro con un grugnito di
soddisfazione.
Dalla tasca sul fianco estrasse una borsa e una pipa di pannocchia.
Quando l'ebbe riempita e accesa non esistevano più dubbi sul motivo
del suo soprannome di "Popeye", il famoso "Braccio di ferro". Era la
copia sputata del personaggio dei fumetti, mascella aggressiva, occhi
piccoli e sporgenti, gualcito berretto da marinaio in testa e tutto il
resto.
Allen aspirò il fumo con aria compiaciuta, osservando dall'unica
finestra della baracca la sua squadra intenta al noioso lavoro di far
scendere la trivella nel foro. Poi si tolse la pipa di bocca e sputò
fuori dalla finestra, ripose la pipa e si chinò per controllare le
misure.
Il suo caposquadra lo interruppe, comparendo sulla porta.
«Siamo sul fondo, pronti a girare, capo.»
«Huh!» "Popeye" controllò l'orologio. «Due ore e quaranta per arrivar
giù. State attenti a non stancarvi troppo, mi raccomando!»
«Non è male come tempo» protestò il caposquadra.
«Neanche buono, per la miseria! Okay, okay, diamoci un taglio e
facciamola girare.» "Popeye" balzò fuori dalla baracca e si avviò
verso l'impianto di trivellazione, lanciando rapide occhiate attorno a
sé. Il macchinario era formato da una torre di traverse d'acciaio alta
quindici metri e all'interno era sospesa la barra perforante che
compariva nel terreno. I due motori diesel da duecento cavalli che
lavoravano in coppia pulsavano in attesa di fornire l'energia
necessaria, i tubi di scappamento fumavano cupi nel sole delle prime
ore del mattino. Accanto alla torre erano allineate numerose barre di
trivellazione, mentre dietro c'era la cisterna da 45 mila litri che
forniva l'acqua. Questa veniva pompata costantemente all'interno del
foro per lubrificare e raffreddare la punta che perforava la roccia.
«Pronti a farla girare» disse "Popeye" alla squadra, e gli uomini si
portarono ai loro posti. Indossavano tute blu, caschi di fibra
colorati e guanti di cuoio, ed erano pronti e in tensione. Quello era
un momento delicato per tutto il gruppo; bisognava azionare la barra
di 2400 metri con una delicatezza quasi materna altrimenti si sarebbe
piegata spezzandosi.
"Popeye" si arrampicò agilmente sull'orlo del foro e si guardò attorno
per controllare che tutto fosse a posto. Il caposquadra era ai comandi
e lo fissava con espressione assorta tenendo le mani sulle leve.
«Motore!» urlò "Popeye" e con la destra descrisse il solito movimento
circolare. I diesel ruggirono e "Popeye" allungò la sinistra,
appoggiandola sulla barra di trivellazione. Il suo sistema era quello:
"sentiva" la barra con la mano nuda mentre entrava in azione,
valutando la tensione del metallo con le orecchie, gli occhi e il
tatto.
La destra si agitò e delicatamente il caposquadra innestò la frizione.
La barra si mosse sotto la mano di "Popeye"; lui fece un altro gesto e
la barra ruotò lentamente. Sentì che era ormai vicina al punto di
rottura e interruppe immediatamente la forza motrice, poi la fece
reinserire. La sua mano destra si mosse in modo eloquente, con
l'espressività di un direttore d'orchestra, e il capo di quella
squadra specializzata la seguì passo passo.
Lentamente la tensione degli uomini si affievolì mentre le rotazioni
della barra aumentavano costanti, finché "Popeye" strinse il pugno in
segno di okay e scese dal bordo del foro. Il gruppo si sciolse, gli
uomini tornarono ad altre occupazioni. "Popeye" e il caposquadra
rientrarono nella baracca lasciando che la trivella macinasse il
terreno a quattrocento giri al minuto.
«Ho qualcosa per te» disse il caposquadra mentre entravano nella
baracca.
«Cosa?» chiese Allen.
«L'ultimo "Playboy".»
«Mi stai prendendo in giro!» lo accusò "Popeye", divertito, ma l'altro
pescò fuori la rivista dal cestino della colazione.
«Ehi, dammela!» "Popeye" gliela strappò di mano e guardò subito il
manifesto a colori che si trovava al centro del fascicolo.
«Guarda che roba!» fischiò. «Questa potrebbero metterla nel recinto
del bestiame e metterebbe K.O. tutti i tori con gli attributi che si
ritrova!»
Il caposquadra si unì alla discussione sull'anatomia della ragazza e
così per un paio di minuti nessuno dei due si accorse del nuovo rumore
della trivella. Poi "Popeye", pur immerso nei suoi pensieri erotici,
lo sentì. Gettò a terra la rivista e corse verso la porta della
baracca col volto sbiancato.
La baracca distava dalla torre cinquanta metri, ma anche da quella
distanza "Popeye" vide la vibrazione della barra. Sentì la nota
affaticata dei diesel sotto sforzo e si precipitò nel tentativo di
raggiungere i comandi e spegnere i motori prima che accadesse il
peggio.
Sapeva di cosa si trattava. La trivella aveva perforato una delle
tante spaccature che attraversavano quel tratto di terreno, zeppo di
faglie. Il liquido lubrificante del foro era defluito lasciando che la
punta lavorasse a secco contro la roccia. Il calore, dato
dall'attrito, era aumentato; la polvere di taglio non veniva più
rimossa dall'acqua e quindi la barra si era bloccata. Mentre da una
parte la barra era incastrata saldamente, dall'altra due grossi diesel
si sforzavano di farla girare Ancora pochi secondi e si sarebbe
spezzata.
Avrebbe dovuto esserci un uomo ai comandi nel caso si fosse verificata
un'emergenza del genere, ma l'addetto era a una trentina di metri e
stava giusto sbucando dalla baracca delle latrine posta dietro il
serbatoio. Tentava disperatamente, nello stesso tempo, di tirarsi su i
calzoni, allacciarsi la cintura e correre.
«Pezzo di merda che non sei altro!» ruggì "Popeye" all'uomo che
correva. «Dove diavolo sei andato a rintanarti...»
Le parole gli si strozzarono in gola perché giunto sulla porta della
sala motori ci fu uno scoppio simile a una salva di cannone. La barra
si era spezzata e subito i diesel, alleggeriti del sovraccarico,
andarono fuori giri. Troppo tardi. "Popeye" spense i magneti
d'accensione e i motori si spensero, scoppiettando.
Il silenzio era rotto dai singhiozzi di rabbia e di fatica di
"Popeye".
«La barra si è spezzata» si lamentò. «Si è spezzata in profondità. Oh
no! Dio, no!» Forse sarebbero occorse due settimane per ripescare la
barra rotta, pompare cemento nella spaccatura per sigillarla, e poter
ricominciare di nuovo.
Si tolse il cappellino e con tutte le sue forze lo scagliò sul
pavimento della sala motori, saltandovi poi sopra a piedi uniti. Era
la sua solita scena madre. "Popeye" saltava sul suo cappello almeno
una volta la settimana e il caposquadra sapeva che una volta ultimata
l'operazione avrebbe aggredito chiunque gli fosse capitato a tiro.
Silenziosamente, il caposquadra s'infilò dietro il volante del
camioncino Ford e il resto degli uomini si arrampicarono a bordo.
Tutti quanti se la svignarono, traballando lungo la pista segnata dai
solchi delle ruote. Sulla strada principale c'era un chiosco dove di
solito andavano a bersi un caffè in circostanze simili. Quando la
mente di "Popeye" fu abbastanza libera dai fumi dell'ira perché lui
cercasse qualcuno da immolare alla sua rabbia, si guardò intorno e
trovò la zona di trivellazione stranamente immobile e deserta.
«Stupido branco di babbuini fifoni!» muggì deluso verso il camion che
si allontanava, poi non gli restò altro che rientrare nella baracca e
telefonare all'amministratore delegato.
Questo distinto signore, seduto negli uffici dotati di aria
condizionata della Trivellazioni e Cementazioni Hart di Rissik Street,
a Johannesburg, fu colto leggermente di sorpresa nell'apprendere da
"Popeye" Worth che lui, l'amministratore delegato, era il principale
responsabile della rottura di una costosa trivella di diamante al foro
numero 5 della Sonder Ditch.
«Se avesse usato quel mucchio di segatura che passa per cervello,
sarebbe stato alla larga dal fare buchi in questo colabrodo» sbraitò
"Popeye" al telefono. «Preferirei infilare il mio "succhiello" in un
tritacarne piuttosto che piantare una trivella in questo terreno. Fa
schifo vi dico! Non invidio certo quel povero figlio di puttana che
proverà a scavare là sotto!»
Sbatté giù il telefono e riempì la pipa con le mani che gli tremavano.
Dieci minuti dopo il respiro era tornato regolare e le mani ferme.
Risollevò il ricevitore e compose il numero del chiosco. Gli rispose
il proprietario.
«José, dì ai miei ragazzi che tutto è a posto, possono tornare adesso»
disse "Popeye".
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #383 il:
18 Marzo 2009, 19:55:00 »
Pipe King.. e poi anche S.H......
STEPHEN KING
L'OMBRA DELLO SCORPIONE
Fran si rese conto che suo padre aveva smesso di parlare. Se ne stava seduto su un sasso in fondo al suo solco, a riempirsi la pipa e a guardarla.
«Che cos'hai in mente, Frannie?»
Lo guardò confusa per un momento, incerta sul da farsi. Era uscita per dirglielo e ora non era sicura di poterlo fare. Tra loro rimase sospeso il silenzio, dilatandosi sempre più, e alla fine fu un baratro che Fran non riusciva a tollerare. Spiccò il salto.
«Sono incinta,» disse semplicemente.
Lui smise di riempire la pipa e si limitò a guardarla. «Incinta,» ripeté, come se fosse la prima volta che udiva quella parola. Poi disse: «Oh, Frannie... stai scherzando? O mi prendi in giro?»
«No, papà.»
«Vieni a sederti qui vicino a me.»
Obbediente, Fran risalì il solco e gli si sedette accanto. C'era un muretto a secco che separava il loro orto dal vicino parco municipale. Oltre il muro c'era un'intricata siepe prorumata che da tempo immemorabile si era dolcemente inselvatichita. Fran si sentiva martellare la testa e avvertiva un lieve senso di nausea.
«Sei sicura?» le domandò.
«Sicurissima,» rispose lei. E poi, senza neppure un'ombra d'artificio, ma semplicemente perché non poté farne a meno, attaccò a piangere con violenti, rumorosi singhiozzi. Quando le lacrime le traboccarono dagli occhi, si costrinse a fare la domanda che più la preoccupava.
«Papà, mi vuoi ancora bene?»
«Che cosa?» La guardò sconcertato. «Sì. Ti voglio ancora molto bene, Frannie.»
La risposta la fece piangere di nuovo, ma questa volta Peter lasciò che se la sbrigasse da sola mentre si accendeva la pipa. L'aroma del Borkum Riff prese a diffondersi lentamente sulle ali del venticello.
«Sei deluso?» domandò Fran.
«Non lo so. È la prima volta che mi capita di avere una figlia incinta, e non sono sicuro di come debba prenderla.
«Matrimonio o aborto,» disse Peter Goldsmith, tirando una boccata di fumo dalla pipa. «Non una, ma due soluzioni.»
«Sposarlo? Quello che basta per uno basta anche per due, o almeno così dicono.»
«Non credo di poterlo fare. Credo di essermi disamorata di lui, ammesso che ne sia mai stata innamorata.»
«Il bambino?» La pipa tirava bene, adesso, e il fumo profumava l'aria estiva. L'ombra si addensava negli anfratti dell'orto e i grilli cominciavano a frinire.
«No, il motivo non è il bambino. Stava già succedendo.
INCUBI E DELIRI.
Ti prende a poco a poco
Gary Paulson entra nell'emporio con squisita lentezza e richiude meticolosamente la porta.
"'giorno", lo saluta meccanicamente Harley McKissick.
"Ho sentito che hai vinto un tacchino ieri sera, giù alla Grange", commenta il Vecchio Clut, mentre si prepara la pipa.
"Già", conferma Gary.
"Chi sta costruendo l'ala nuova a casa Newall?" chiede finalmente Gary.
Si girano a guardarlo. Per un momento il fiammifero da cucina che il Vecchio Clut ha appena strofinato resta sospeso sopra la pipa a bruciare annerendosi. La capocchia di zolfo diventa grigia e s'arriccia. Finalmente il Vecchio Clut abbassa il fiammifero nel fornello e tira.
"Ala nuova?" domanda Harley.
"Già."
Una membrana azzurra di fumo sale dalla pipa del Vecchio Clut a distendersi sopra la stufa come la rete delicata di un pescatore. Lenny Partridge solleva il mento a tendersi i barbigli del collo e si passa lentamente la mano sulla gola, producendo un fruscio secco.
Era così immerso nelle sue riflessioni che il vento gli stava praticamente fumando tutta la pipa.
"E' stato come piazzarsi davanti allo specchio in bagno con l'idea di farsi la barba e vedersi in testa il primo capello grigio.
Il caso del dottore
Lord Hull era da ogni punto di vista (inclusi quelli dei suoi più vicini e, ehm, più cari), un pessimo individuo e più picchiato di una fascina di grano alla trebbiatura. Comunque ha finito per sempre di praticare cattiverie e stravaganze verso le undici di stamane, esattamente..." e si tolse dalla tasca il cipollone per consultarlo, "... due ore e quaranta minuti fa, quando qualcuno gli ha conficcato un coltello nella schiena mentre era seduto nel suo studio con il testamento aperto sulla scrivania."
"Dunque", commentò pensieroso Holmes mentre si accendeva la pipa, "voi credete che lo studio di questo spregevole Lord Hull sia la perfetta stanza chiusa a chiave dei miei sogni, giusto?" I suoi occhi scintillarono di scetticismo attraverso una trama di fumo azzurrognolo.
"Così credo", affermò in tono pacato Lestrade.
"State scherzando!" gridai io e se Lestrade si era aspettato una reazione del genere da parte di Holmes, restò deluso. Holmes si limitò a riaccendere la pipa e ad annuire come se lo avesse previsto... o avesse previsto qualcosa di simile. "Con i neonati che muoiono di fame nell'East End e i bambini di dodici anni che lavorano cinquanta ore la settimana nelle fabbriche, costui avrebbe lasciato diecimila sterline a... a una pensioni per gatti?"
"Proprio così", confermò di buon animo Lestrade. "E c'è di più . Avrebbe lasciato una cifra ventisette volte maggiore ai mici abbandonati della signora Hemphill se non fosse per ciò che è avvenuto stamane... e per chi ne è responsabile."
Potei solo rimanere a bocca aperta a quell'affermazione, mentre cercavo di moltiplicare mentalmente. Mentre giungevo alla conclusione che Lord Hull aveva avuto intenzione di diseredare moglie e figli in favore di una pensione per felini, Holmes osservava corrucciato Lestrade e diceva qualcosa che a me sembrò del tutto sconclusionato. "Dovrò sternutire, vero?"
Lestrade sorrise. Fu un sorriso di dolcezza trascendentale. "Sì, mio caro Holmes! Spesso e con vigore, temo."
Holmes si tolse dalla bocca la pipa che era appena riuscito a far prendere come era di suo gusto (lo capivo da come si era sistemato meglio contro lo schienale), la osservò per un istante, quindi la sporse sotto la pioggia. Piùdisorientato che mai, lo guardai far cadere fuori il tabacco bagnato.
MISERY
Geoffrey chiuse la porta e salì in coperta. Invece di gettarsi in mare, come aveva meditato di fare, si accese la pipa e fumò lentamente una presa di tabacco, osservando il sole che scendeva dietro quella nuvola lontana che stava scomparendo all'orizzonte, quella nuvola che era la costa dell'Africa.
Poi, poiché non sopportava di fare altrimenti, Paul Sheldon estrasse l'ultima pagina dal rullo della macchina per scrivere e con una penna vergò la parola più amata e odiata nel vocabolario dello scrittore:
Dolores Claiborne
«Vuole accomodarsi, signora?» fa lui, come se l'ufficio era suo
e non di quel poveraccio di Garrett.
Io mi sono seduta e lui mi ha chiesto se gli davo gentilmente
il permesso di fumare. Io gli ho risposto che per me poteva anche
ardere, se gli piaceva, e lui ha ridacchiato come se aveva trovato
la mia battuta divertente... ma i suoi occhi non hanno riso per
niente. Ha tirato fuori dalla tasca della giacca una grande pipa
nera, una radica, e se l'è accesa. Senza però mai staccare gli occhi
da me. Anche dopo, con la pipa stretta fra i denti e il fumo che
saliva, ha continuato a fissarmi. Mi davano il batticuore, quegli
occhi che mi scrutavano attraverso il fumo, e ho pensato di
nuovo a Battiscan Light. Dicono che quella lampada si vede al
largo quasi a due miglia anche in una notte di nebbia fitta da
tagliare con il coltello.
Alla lunga, quando ha visto che non stavo per cascare dalla
sedia e confessare di aver assassinato mio marito, e poco ma sicuro
che il massimo della gioia per lui sarebbe stato vedermi confessa-
re fra lacrime e singhiozzi, si è tolto la pipa dalla bocca e ha detto:
«Signora St. George, lei ha detto all'agente che è stato suo marito
a procurarle quei lividi sul collo».
«Sì.»
«lei pensa che ho spinto mio marito in quel pozzo?»
Un po' ci è rimasto. Ha sbattuto quegli occhi come fari, poi
per qualche secondo gli si sono appannati. Si è messo a trafficare
e armeggiare con la pipa prima di ficcarsela di nuovo in bocca e
succhiare, mentre intanto cercava di decidere come prenderla.
"Va bene, va bene», fa lui e posa la pipa nel portacenere
d'ottone di Garrett e non vi dico il colpo che si è sentito, per la
rabbia con cui l'ha fatto. Ormai aveva gli occhi infuocati e gli si
era dipinta una striscia rossa sulla fronte a fare pendant con i due
pomelli che aveva sulle guance.
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Ultima modifica: 19 Marzo 2009, 09:36:31 da Aqualong
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #384 il:
19 Marzo 2009, 09:37:19 »
Ritorna fuori,ancora una volta, S.H. in un racconto paradossale come il suo autore.....
Alfred Hitchcock.
Sei piccole bare
Un assassino professionista, signore? chiese Snod
man, guardando Moriarty con un'espressione priva di emo
zione. Affascinava sempre Snodman il fatto che un uomo
come Moriarty, per decreto del destino, fosse riuscito ad
essere un commissario di polizia e assomigliasse tanto al
l'immagine di Sherlock Holmes, così come uno se lo im
magina, con quel naso sottile e aquilino, gli occhi grigi e
scaltri, persino la pipa sempre in funzione con la cannuc
cia leggermente incurvata.
Forse il più grande killer in cui si sia mai imbattuta
la polizia rispose il commissario. Si dice che lavori per
il sindacato non più di una volta all'anno e che riceva per
lo meno cinquantamila dollari al colpo. Personalmente so
di almeno cinque lavori che egli ha svolto in varie città.
Snodman, che pure fumava la pipa, appoggiò la cannuc
cia tra le labbra sottili e prese la borsa del tabacco. Co
me può essere sicuro che sono stati tutti opera di... di que
sto Tabaccone, signore? Modus operandi?
Il commissario sorrise. E proprio del suo modus ope
randi che è orgoglioso. Però cambia ogni volta. A Chica
go, nel campo del racket dello sport, si è trattato di un
pallone da pallacanestro esplosivo; due anni fa, Hans Grei
ber, il falsario di passaporti, fu trovato annegato in una
di quelle piccole macchine tedesche riempita d'acqua; e
certamente lei ricorderà quando Joe Besini, che era sul
punto di fornire allo stato le prove contro il sindacato, fu
trovato soffocato da una pizza calda.
Raccapricciante commentò Snodman.
C'erano anche le acciughe.
Il commissario Moriarty
scosse il capo come per scacciare i ricordi. Il fatto è che
in ciascuno di questi casi la vittima sapeva di essere de
stinata alla morte e di avere la protezione della polizia. E
in ciascuno di questi casi il Tabaccone avvertiva le vittime
con una di queste poesie. Un gioco leale, dobbiamo am
metterlo.
Già convenne Snodman, cambiando posizione nella
poltrona di pelle perch‚ i pantaloni non si sciupassero trop
po. Era uno dei detective meglio vestiti e ne era orgoglio
samente consapevole. Suppongo che sia stato fatto di tut
to per risalire a lui attraverso le poesie disse.
Il commissario annuì. Come vede, sono scritte a ma
no, con inchiostro e su carta normale. La carta è troppo
comune per significare qualcosa e gli espert¡ in calligrafia
non possono andare oltre al fatto che si tratta di un indi
viduo preciso, accurato, cosa che anche io avrei capito.
Snodman aggrottò la fronte. Ma perchè diavolo spedi
sce le poesie? Non si rende conto che aumentano le sue
possibilità di essere acciuffato?
Il commissario si chinò sulla scrivania. Gioco leale,
Snodman. Gli psicologi dicono che è talmente intelligente
e sicuro di se che la sua coscienza lo costringe ad avver
'tire le vittime. Dicono che il Tabaccone desidera conser
vare l'anonimato però si vanta del suo lavoro e allora scri
veva poesie Alcune sono anche belle
Snodman, che si credeva un esperto in letteratura, fu
tentato di obiettare ma poi preferì lasciar perdere Inoltre,
era curioso di sapere come mai il commissario gli parlava
di questo caso, per cui rimase seduto paziente ad aspetta
re che il capo venisse al nocciolo.
Il fatto è continuò Moriarty, morsicando la cannuc
cia ricurva della sua pipa che un tale di nome Ralph
Capastrani si è convinto a testimoniare, il mese prossimo,
davanti a un Sottocomitato del Senato in udienza sul cri
mine organizzato.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #385 il:
19 Marzo 2009, 13:12:18 »
L'ultimo uomo sulla Terra ,incontra casualmente l'ultima donna,è legge divina quello che dovrebbe seguire,ma.... c'è anche la pipa....
RICHARD MATHESON
Nel 1943 si diploma alla Brooklyn Technical High School ed entra subito nell'esercito, dal quale viene congedato perché ferito in azione. Tornato civile studia giornalismo all'Università del Missouri, e già nel 1950 pubblica il suo primo racconto, Nato d'uomo e di donna
Nel 1951 si trasferisce in California, e l'anno successivo si sposa. L'incontro con la donna che diverrà sua moglie viene descritto nel racconto Fiamma frigida.
Nel 1959 il produttore televisivo Rod Serling convoca Matheson per un progetto a cui sta lavorando: Ai confini della realtà (The Twilight Zone). Matheson si è già fatto un nome nell'ambito televisivo, scrivendo sceneggiature per telefilm come Alfred Hitchcock Presenta, Star Trek ed altri, così lo scrittore accetta di buon grado l'incarico, scrivendo per la nuova trasmissione.
Nel 1960 l'American International Pictures commissiona a Matheson l'adattamento cinematografico del racconto di Edgar Allan Poe The House of Usher. I vivi e i morti è il primo film di una serie che il regista Roger Corman realizza con la collaborazione di Matheson.
L'anno successivo scrive la sceneggiatura di Il padrone del mondo (Master of the World), adattandolo da Robur il conquistatore di Jules Verne, ed il successivo ancora La notte delle streghe (Burn Witch Burn) adattandolo da Ombre del male di Fritz Leiber.
La fama di Matheson come sceneggiatore è ormai tale che nel 1962 viene chiamato da Alfred Hitchcock per lavorare al suo film Gli uccelli (The Birds), tratto da un racconto di Daphne Du Maurier.
Nel 1964 Matheson adatta Io sono leggenda per il film L'ultimo uomo della Terra (The Last Man on Earth), una co-produzione italo-americana con Vincent Price protagonista. Ma il successo rimane nelle produzioni televisive: nel 1971 adatta il suo racconto Duel per la sceneggiatura dell'omonimo film, diretto dall'allora esordiente Steven Spielberg.
IO SONO LEGGENDA
Non pensava più al fatto che Cortman uscisse per cercare di ucciderlo. Era una minaccia trascurabile.
Neville si lasciò cadere sui gradini di un portico con un lento sospiro.
Poi, con indolenza, infilò una mano in tasca e tirò fuori la pipa. Pigramen-te, con il pollice pigiò il tabacco grezzo nel fornello. Dopo pochi istanti anelli di fumo fluttuavano lentamente sulla sua testa nell'aria calda e im-mobile.
Robert Neville rimase seduto a fissare per alcuni minuti la macchia bianca nel campo, prima di capire che si stava muovendo.
Strinse gli occhi e la pelle del viso gli si tese. Un suono rauco gli salì dalla gola, un suono come un incredulo interrogativo. Poi, alzandosi, portò la mano sinistra agli occhi per schermare la luce del sole.
I suoi denti batterono convulsamente sul cannello della pipa.
Una donna.
Non cercò nemmeno di riprendere la pipa quando questa gli cadde dalle labbra. Per un lungo momento trattenne il respiro e rimase sul gradino del portico a osservare.
Chiuse gli occhi, li aprì. Era ancora là. Robert Neville sentì un battito sordo che gli aumentava nel petto, alla vista di quella donna.
Via via che i minuti passavano, poteva quasi sentire che si allontanava da lei. In un certo senso quasi si rammaricava di averla trovata. Attraverso gli anni aveva raggiunto un certo grado di pace. Aveva accettato la solitu-dine, senza trovarla troppo spiacevole. E ora... fine di tutto.
Per riempire il senso di vuoto del momento, prese la pipa e la borsa del tabacco; riempì il fornello della pipa e l'accese. Per un attimo si chiese se avesse dovuto domandarle se la disturbava. Non glielo chiese.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #386 il:
20 Marzo 2009, 15:02:13 »
Wow! 12000 visite,ora ci vuole una chicca!!
Carlo Alberto Pisani Dossi
Erede di una delle tante famiglie antiche e benestanti del paese, è ricordato per il suo grande apporto alla politica ed alla cultura.
Egli nacque nel 1849 a Zenevredo, un piccolo paese in provincia di Pavia dove i Pisani-Dossi possedevano delle proprietà da diverse generazioni. Partecipò giovanissimo al movimento della Scapigliatura milanese, scrivendo articoli sui periodici locali e realizzando opere come L’Altrjeri – nero su bianco, Vita dei Alberto Pisani, Note azzurre, Ritratti umani - dal calamajo di un medico.
Legato il suo nome a quello di Francesco Crispi, divenne ben presto 1870 Console a Bogotá, Ministro Plenipotenziario ad Atene e negli ultimi anni di vita, Governatore dell’Eritrea (a cui pare abbia dato il nome). In seguito alla caduta del governo Crispi (1896), abbandonò la carriera diplomatica e si ritirò nella villa di Corbetta.
Morì nel 1910 a Cardina (Como) nella grandiosa villa da lui fatta costruire su uno sperone di roccia con una magnifica vista sul lago, che ha ancora oggi il nome di Dosso in suo onore.
NOTE AZZURRE
"brani di articoli e corsivi pubblicati su quotidiani milanesi nell'800, ho scelto quelli dove viene menzionata la pipa"
La Malibran morì a Sinigaglia dove cantava durante la fiera. Avea sempre intorno 4 o 5 vecchi ricconi, lauti pagatori - quasi tutti veneti. Quando morì, tant'era il fanatismo per lei che la sua mobiglia fu disputata a prezzi favolosi fra i suoi ammiratori. Si pagò 20 scudi l'uno ogni coccio del pitale dove avea per l'ultima volta pisciato. Tale diede 100 scudi pel cannello d'avorio del clistere di lei, affine di farsene un bocchino da pipa. Un suo voluttuoso canapè con molle stanche salì a una cifra enorme.
Ghiaja di Roma. Lampadine antiche e pipe moderne. Come gli antichi si sbizzarissero a foggiare le terrecotte delle loro lampaduccie. Cit. alcuni tipi di lampade - la pigna, l'oca, il piede, il membro virile - Cit. i vari nomi dei figuli ecc. E così i moderni nel foggiare le terrecotte e la schiuma marina delle loro pipe. La pipa moderna come il lampadino antico era l'oggetto artistico di tutti, dal ricco più sfondato al povero più miserabile. Paragonare alla spicciolata, il gessino colle lampadine plebee e vie via arrivare fino alle lampade auree polilicne ed alle pipe turche ornate di gemme.
(Frammenti di note della 1a visita a Friedrichsruh con Crispi. Mayor tenne e avrà certo ancora un diario particolareggiato). 1 ottobre 1887. Nel nostro vagone-salon, noleggiato dai Fratelli Gondrand e mezzo sconquassato, si giunge la sera a Luneburgo. Con treno espresso mandatoci da Bismarck si arriva a Buchen dove troviamo il conte Erberto di Bismarck. Il conte sale nel nostro vagone assieme al suo segretario conte di Pourtales. Si giunge a Friedric[h]sruh. Il principe-cancelliere è alla stazione a ricevere Crispi. Accoglienza affettuosa. Si va in carrozza a casa distante cinque minuti dalla stazione. Casa signorilmente modesta. Cena. Il principe e la principessa amabilissimi. Ricordi antichi. Avendo Crispi rammentato il trattato di Parigi quasi tutto morto, Bismarck ricorda quello di Berlino osservando che anche di esso “il n'en reste pas grande chose”. Si parla della piccola Prussia, quando Manteuffel ambasciatore prussiano fu lungamente fatto aspettare a Parigi. “Se fossi stato io” dice Bismarck “non avrei certo aspettato”. Si accenna al sistema parlamentare, si parla degli interruzionisti alle Camere. Crispi ricorda di aver detto a uno di essi “qui interrompt ne sait pas parler”. ‹La principessa non fu mai alla Camera.› Dopo pranzo Bismarck offre sigari e fa portare bottiglie di birra. Colla sua lunga pipa in bocca il principe loda i benefici fisici e morali del tabacco. ‹Il principe fuma tre pipe ogni sera.› Essendo un soporifero, rende più calmi i discorsi: poi la preoccupazione di chi ha in mano uno sigaro o in bocca una pipa, perchè non si spenga, dà modo di calcolare e di far risaltare le proprie frasi. - ‹Bism. si meraviglia che Crispi non fumi nè beva.› Salvatore, servo di Crispi, mi riferisce che il cuoco di Bism. gli ha chiesto che cosa il ministro sia venuto a fare a Friedric[h]sruh. - 2 ottobre 1887. Il principe entra alle 10½ nella camera di Crispi dove mi trovavo. Bismarck domanda scusa di essersi levato tardi. Domanda a Crispi se ha preso il suo latte. Cr. gli chiede se non va più a caccia. Risponde: “j'ai pitié de ces pauvres bêtes”. Bism. domanda il permesso di andare ad aprire il suo corriere, dicendo che tornerà da Cr. Dopo un'ora un cameriere viene ad invitar Cr. a nome del principe di passare nel suo studio. I° lungo colloquio col Cancelliere. - Nella giornata passeggiata nel parco. Pioviggina. Il principe e Cr. in una carrozzella. La principessa avvolge Cr. nel mantello del cancelliere - un mantello che aveva veduto la guerra del 1870. A tavola il dott.r Schweninger, medico fidato di Bismarck, che lo aveva salvato da un esaurimento nervoso gravissimo colla cura specialmente delle arringhe salate. Schweninger fa un po' come quel segretario di Sancio Pancia all'isola Barataria che gli inibisce il tale o tal altro piatto. Oggi però Bismarck si trova lontano di posto da Schweninger, e a me che gli sto a sinistra dice mostrandomi una vivanda di cui si serve largamente: “de ceci je ne devrais pas goûter. Mais, le soir, le docteur ne voit pas. Profitons-en”. - Sentendo che io era milanese, Bismarck aveva fatto imbandire quella sera un gran risotto. Mi domandò come mi sembrava. Lo lodai - ma mancava di zafferano. (Le altre note, fatte a matita, sono smarrite).
Carlo Dossi
LA DESINENZA IN A
Ma quì mi avverte la casalinga mia madre che «il miglior modo di conservare su di un camino la legna, è quello di non accènderla o di spègnerla tosto» aggiungendo, che «con un sì sèmplice mètodo, senza mai spesa di spazzacamino si ovvìa ad ogni perìcol d'incendio.»
E ¡guài se suo marito, mio babbo, osa non èsser contento! ¡Apriti cielo! «Staremmo freschi se lei non ci fosse. ¿Chi la ricca? ¿chi la padrona? ¿chi l'avveduta? lei, tutto lei. ¿Che sono mai gli Amaretti a confronto dei Cornabò? regolizia paragonata col zafferano.» Allora, babbo - pòvera pesca spiccatoja - già assuefatto a ubidirla fin da quando pativa da ragioniere sotto il fù Gian Battista padre di lei, e che, mercè il matrimonio, venne a trovarsi in uno stato di minorità - ¡sùbito buci! - riempie la pipa con un quattrino del giornaliero due-soldi di tabacco in corda e ritorna, se è dì di lavoro, al mànico del macinino del Moca o a crivellar la scoviglia, e se è festa a lèggere il suo giornale di quarta mano, che gli descrive i vantaggi del quarantotto e della cacciata degli austrìaci.
E intanto, la teatral bergamina si riunisce ai suòi chiusi. Illùminansi i camerini, gusci di altrettante celebrità. La istriona allo specchio si rimposticcia il cuore serale e si «fà il volto», la virtuosa (perocchè in medio stat vìrtus) scioglie, in attesa «di superare sè stessa» a tutto entusiasmo della sorda mammana, il canarino della celeste trachèa; mentre la trinciasalti, come una mosca che si soffreghi i pie' inzaccherati, riavvìa, a tutto profitto della lievemente arrabbiata cagnetta, la polposa loquela delle sue gambe, oppure, mezzo vestita da Dea e sdrajata su 'n canapè dalle molle rotte, si spassa a grattarsi un prurito che possiede zampini. Poichè, di là del telone, quella belva feroce, che è «il rispettàbile e colto» ancor non da segno col trepicchio e col fischio della sua graziosa presenza. Quantunque la piccionaja sia già tutto teste, e sbrìscino nella platèa, ad ogni momento, di quelle brave persone, che a bene godere il proprio denaro non vòglion pèrder neppure la noja del divertimento, l'ombra intimidisce i rumori, ombra assài grata ai servottài del loggione, che stanno insegnando come si alzi il sipario e balli la marionetta, a voi, Colombine, maliziosamente crèdule.
Il che, tutto insieme, è un brulichìo, una nebbia, dove l'incenso sembra fumar da una pipa, da una caffettiera il tabacco, da un incensiere il caffè; dove, nel solenne bordone dell'òrgano galoppa sguajatamente lo strillo dell'organetto, e sul rombo della campana, punteggiato dal tonfo del tamburone, si eleva il ricamato affanno del piano, interrotto quà e là dallo stappo delle gazose, dal fischio de' razzi e dal ruotolìo dei brummi, tintinnanti nei vetri - tutto un grigio, diciamo, di rumori e di odori, nel quale inutilmente si perde il vagito che esala dalle latrine e l'afror di carbone della tradita mansarda, e di cui gli ùltimi echi, sfiorando la prigioniera, aggrappata alle sbarre e smaniosa pur del ceffo aguzzino, vanno a morire, evocatori di non pentiti desìi, in quella lunga corsìa, divo Rocho dicata, dove - in tanti lettini, tutti, fuorchè nel nùmero, eguali; dai tanti consìmili visi, o a meglio dire, ricordi di viso - chiùdonsi tante storie di gioja che ne fanno una sola di pianto.
Ma, ¡ecchè! delle storie con il singhiozzo, ne abbiamo già pieni i cassetti, ed anche le scàtole. ¡Bando ai gufi! ¡Altra mùsica e orchestra! ¡A mè i giovanotti che vìvono all'avventata, facendo l'amore sui pianeròttoli! ¡a mè i prudentìssimi vecchi, che han sempre fatto lo zio e i verginoni senza rammàrico, e i «non indegni di aver perduto la prima!...»
Nata in tempi nei quali ghigliottinàvansi coi vecchi capi i pregiudizi vecchi, la baronessa avèa entusiasticamente adottata l'acconciatura de' nuovi, inneggiando, tra i primi, a quello della fraternità. Troppo bella per èssere casta nè conoscendo l'arte del negare, ella veniva assài facilmente all'ùltima confidenza, anzi al napoleònico «affare di canapè», senza che il pòlline regio le desse mai la nasetta per il plebèo. Non sembra però che alla salute le fosse avverso il peccato. Novella Ninon, la baronessa oltrepassava i novanta, non solo sulle sue gambe (il che sarebbe già molto) ma con tutte le sue rotondità, tutti i capelli ed i bianchìssimi denti benchè pipasse da turco, con l'appetito di settant'anni addietro e uno stòmaco pari,, e così era giunta a quel salto nel zero, che noi chiamiamo la morte, avendo ad inalterate compagne le sue inobbedienze carnali e la giacobina spregiudicatura e la pugnace vivacità dai moti di verduraja e dai «mòccoli» di caserma, non ricordando altro cielo che que' della bocca e del letto ed in nulla fidando fuorchè in Napoleone e sè stessa.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #387 il:
21 Marzo 2009, 19:07:29 »
Bibliophile Jacob
Paul Lacroix, più conosciuto sotto gli pseudonimi di P. L. Jacob, Bibliophile, o di le Bibliophile Jacob, (1806 – Parigi, 11884),giornalista, bibliotecario, poligrafo ed erudito francese.
Scrittore molto prolifico . Dopo una serie di ben venti romanzi storici (Le roi des ribauds : histoire du temps de Louis XII, 1831; L'Homme au masque de fer, 1836; Le marchand du Havre : histoire contemporaine, 1839), si dedicò alla pubblicazioni di opere di pura erudizione, quali una Histoire de l'orfévrerie-joaillerie et des anciennes communautés et confréries d'orfèvres-joailliers de la France et de la Belgique, Storia dell'oreficeria e della gioielleria (1850), La Jeunesse de Molière, La giovinezza di Molière (1857). La sua opera più importante consiste in una serie di libri di curiosità storiche (Curiosités de l'histoire du vieux Paris, Curiosità della storia della vecchia Parigi
La mia Repubblica
Ero così preoccupato e di cattivo umore che dimenticai di togliere la chiave dalla serratura, che restò lì. Quando ebbi richiuso la porta dietro di me, penetrai a tentoni in camera da letto, dove due armadietti Boulle47 racchiudevano il mio tesoro, i libri più preziosi per rarità, bellezza o rilegatura. Lanciai un’esclamazione di sorpresa e di spavento quando vidi che le vetrine di un armadio erano aperte. Non potei vedere di più nella semioscurità in cui mi trovavo; ma mi sembrò che non fossi solo e che delle ombre passassero intorno a me: fu una specie di allucinazione che mi fece credere che alcuni ladri stessero portandomi via i libri e che il mio arrivo imprevisto avesse salvato la biblioteca. Allungai le braccia a destra e a sinistra per fermare i ladri e recuperare i libri; le mie braccia si agitarono invano nel vuoto, non incontrando alcun ostacolo. Restai immobile in ascolto, senza sentir alcun rumore se non quello del mio respiro ansimante.
«C’è qualcuno?» domandai più volte alzando la voce. «Chi sta toccando i miei libri?»
Mi venne l’idea che potesse essere Scevola, ma siccome nessuno rispondeva e i miei occhi, abituandosi al buio che mi circondava, non distinguevano alcuna forma animata, mi convinsi che i ladri si fossero nascosti o che, al mio arrivo, avessero avuto il tempo di scappare, forse dalla finestra aperta. Come procurarmi un po’ di luce senza uscire dall’appartamento, senza chiedere aiuto? Cercai a caso sul caminetto, dove non avevo alcuna possibilità di trovare un acciarino: fu tuttavia il primo oggetto che mi capitò sotto mano, insieme a una pipa e a un sacchetto da tabacco che non avevo certo lasciato io prima della mia partenza per il corpo d’armata dei Pirenei. Una pipa e un sacchetto di tabacco in una biblioteca, a casa di un bibliofilo! Come dubitarne? V’erano i barbari, i ladri!
Battei con forza l’acciarino, inquieto, costernato per lo spettacolo che mi attendeva e, al primo bagliore che illuminò la stanza, mi accorsi con orrore che la pipa era ancora per metà piena e il sacchetto per metà vuoto, come se il fumatore li avesse appena lasciati. Ma volgendo rapidamente lo sguardo verso i due armadi che contenevano i libri, fui piacevolmente sorpreso di non scorgervi la minima traccia di danno: i libri erano o sembravano essere nello stato più soddisfacente, nell’ordine più perfetto. Appena accesa la candela, corsi subito all’armadio che era aperto, e mi bastò un’occhiata per convincermi che non un volume era stato spostato.
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #388 il:
22 Marzo 2009, 20:12:36 »
Pipe sdolcinate,(dipende dal tabacco).....
PATRICK REDMOND
Patrick Redmond (1966) ha studiato legge alla Leicester University e alla University of British Columbia di Vancouver.
Specializzato in diritto internazionale, ha lavorato per una decina d'anni come avvocato in vari studi legali della City di Londra. L'allievo
,il suo primo romanzo, già in fase di manoscritto ha suscitato in tutto il mondo un clamore straordinario.
LUCE DEI MIEI OCCHI
Agosto. Anna sedeva allo scrittoio e stava battendo a macchina l'ultima
infornata di appunti. La finestra era aperta. Un alito di vento agitava ada-
gio il ricciolo di fumo di pipa che Charles Pembroke soffiava nell'aria della
stanza. Fuori la giornata era stupenda.
Con il cannello della pipa stretto fra i denti, Charles stava completando
altri appunti da farle battere a macchina. «Come vanno le cose a Hepton?
Tutto bene?»
Anna si attenne alla versione di facciata. «Stanno facendo progetti per
l'imminente matrimonio di Thomas.»
Charles le parlò di un matrimonio a cui aveva partecipato in America nel
quale la cugina dello sposo aveva avuto le doglie quando la sposa a brac-
cetto del padre era appena a metà navata. L'aneddoto la fece ridere. Le pia-
cevano le storie che raccontava. Mentre parlava, nuvolette di fumo di pipa
si arricciolavano in aria. Si era offerto di non fumare in sua presenza, ma
anche a lei piaceva l'aroma del tabacco da pipa. Le faceva tornare alla
mente piacevoli ricordi di suo padre.Papà fumava la pipa e
mamma gli stava dicendo quanto assomigliava a Ronald Colman, mentre il
loro gatto miagolava forte come se si lamentasse dell'odore del tabacco.
«Non capisco questa frase.»
Anna andò a mostrargli la pagina. Mentre lei leggeva ad alta voce, Char-
les caricò la pipa dopo avere grattato l'interno del fornello con l'apposito
attrezzo per eliminare i residui di incrostazioni. «Ci sono altre parti che
non riesce a decifrare?»
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Aqualong
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Re:Autori con la pipa in bocca
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Risposta #389 il:
23 Marzo 2009, 21:09:36 »
IRA LEVIN
1929-2007
Studiò all'Università di New York, laureandosi in filosofia e inglese.
A 22 anni scrisse il suo primo racconto, Un bacio prima di morire, per il quale vinse anche un premio nel 1954.
Ma il suo romanzo più famoso è senz'altro Rosemary's Baby, una storia horror con risvolti nel satanico e nell'occulto.
Dalla maggior parte dei suoi scritti sono stati tratti film di successo.
I RAGAZZI VENUTI DAL BRASILE
«Ora, perché mai un nazista ce l'ha con me?»
Mengele si voltò. Wheelock sedeva su un divano vittoriano tra le due finestre che si aprivano nella facciata della casa, intento a estrarre prese di tabacco da un vaso di vetro intagliato, posato su un tavolino basso davanti a lui, e a premerle in una tozza pipa nera. Un doberman se ne stava con le zampe anteriori sul tavolino, a guardare.
Un altro doberman, il più grosso, giaceva su un tappeto rotondo tra Wheelock e Mengele, e teneva lo sguardo levato su Mengele, placidamente ma con interesse.
Gli altri due doberman annusavano le gambe di Mengele, la punta delle sue dita.
Wheelock lanciò un'occhiata a Mengele e disse: «Be'?».
Sorridendo, Mengele disse: «Sa, mi riesce molto difficile parlare con...» accennò ai doberman che gli stavano accanto.
«Non si preoccupi» disse Wheelock mentre trafficava con la pipa. «Non le daranno noia, se lei non darà noia a me. Si sieda e parli. Si abitueranno a lei.»
«Racconti in fretta la sua storia» disse Wheelock, sedendosi sul divanetto, sollevando la pipa. «Non mi va di tenerli confinati là dentro troppo a lungo.»
«Vengo subito al punto» disse Mengele «ma prima» alzò il dito «mi piacerebbe prestarle una pistola, in modo che possa difendersi in momenti come questo, quando non ha con sé i cani.»
«Ce l'ho, una pistola» ribatté Wheelock appoggiandosi allo schienale del divano con la pipa tra i denti, le braccia sull'intelaiatura della spalliera, le gambe accavallate. «Una Luger.» Si tolse la pipa di bocca, soffiò il fumo. «E due fucili da caccia e una carabina.»
«Questa è una Browning» disse Mengele, estraendo la pistola dalla fondina. «Preferibile alla Luger, perché il caricatore contiene tredici cartucce.» Abbassò col pollice la sicura e, tenendo la pistola in posizione di tiro, la puntò contro Wheelock. «Alzi le mani» disse. «Prima posi la pipa, lentamente.»
Wheelock lo fissò aggrottando le bianche sopracciglia cespugliose.
«Via» disse Mengele. «Non voglio farle del male. Perché dovrei? Lei è un completo estraneo per me. L'uomo che mi interessa è Liebermann.»
Wheelock si protese lentamente in avanti fulminando Mengele con lo sguardo, il volto arrossato per la collera. Posò la pipa e alzò le mani aperte sopra la testa.
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