Autore Topic: Autori con la pipa in bocca  (Letto 365146 volte)

Offline Aqualong

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #420 il: 24 Aprile 2010, 17:03:05 »
J.R. MOEHRINGER

(New York City, 7 dicembre 1964)  giornalista e scrittore statunitense.
Diplomato alla Yale University, ha iniziato la sua carriera giornalistica come fattorino al New York Times. Dal 1994 lavora come corrispondente per il Los Angeles Times. Nel 2000 è stato vincitore del premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e costume (feature writing) per il suo " ritratto di Gee's Bend", una isolata comunità fluviale in Alabama dove vivono molti discendenti di schiavi, e di come la loro vita possa cambiare in seguito all'arrivo di un traghetto verso la terraferma

IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE

Il libro costituisce l'opera prima del giornalista J. R. Moehringer, in cui l'autore ripercorre i primi anni della sua giovinezza fino ai venticinque anni


Sembrava Franklin Delano Roosevelt, e io avevo un disperato
bisogno di un uomo che mi dicesse che non c’era niente di cui avere paura tranne la paura stessa.
Invece della sigaretta col bocchino di Roosevelt, il decano stringeva fra i denti una pipa nera che
spandeva un aroma delizioso - brandy, caffè, vaniglia, fumo di legna - l’essenza distillata di un
paterno interessamento. Guardando la colonna di fumo azzurrino della sua pipa, per un attimo ebbi
l’impressione che io e Franklin Decano Roosevelt stessimo facendo una bella chiacchierata davanti
al focolare. Poi ricordai che non eravamo padre e figlio, ma decano e studente; che non ci stavamo
parlando a cuore aperto, ma eravamo seduti uno di fronte all’altro nel suo piccolo ufficio
nell’istituto che stava per cacciarmi. «È complicato» borbottai.
Non potevo parlare di follia e lussuria con un uomo così distinto. Non potevo confessare a
Franklin Decano Roosevelt che ero tormentato da immagini di Sidney con altri uomini. Vede,
decano, non posso concentrarmi su Kant perché continuo a figurarmi un certo laureato che
accarezza la mia ex ragazza mentre lei gli sta a cavalcioni, coi capelli biondi sparsi sul... No. Per
quel decano, Kant era il massimo dell’eccitazione. Kant era il suo «Penthouse». Guardai le sue
pareti tappezzate di libri e mi resi conto che non avrebbe capito perché non trovavo nei libri tutta
l’emozione di cui avevo bisogno. Non lo capivo nemmeno io. Avrebbe perso qualunque simpatia
potesse nutrire per me, e se non riuscivo a ottenere il suo rispetto, potevo almeno aspirare alla sua
pietà. Lasciai passare i secondi scanditi dalla pendola alle mie spalle, gustandomi l’aroma della sua
pipa e fuggendo ostinatamente il suo sguardo. Volevo che fosse lui a rompere il silenzio.
Ma lui non aveva niente da dire. Che si poteva dire su un ragazzo così? Emise uno sbuffo di
fumo e mi osservò, come se fosse allo zoo e io fossi una pigra ma interessante creatura.






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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #421 il: 24 Aprile 2010, 21:46:32 »
Quando gli autori con pipa diventano personaggi (con pipa)
Ovvero scrivendo il mito si entra nel mito.

Leonore Fleischer

Leonore (o a volta Leonora) Fleischer è una scrittrice specializzata in novellizzazioni. Dei tantissimi suoi romanzi basati su sceneggiature di film, ecco quelli usciti in Italia.
1979 - Il Paradiso può attendere (Rizzoli)
1980 - La rosa (Longanesi)
1984 - All’ultimo respiro (Rizzoli)
1989 - Betrayed. Tradita (Sperling & Kupfer)
1989 - Rain Man: l’uomo della pioggia (Longanesi)
1991 - La leggenda del Re Pescatore (Longanesi)
1993 - Eroe per caso (Longanesi)
1994 - Viaggio in Inghilterra (Sperling & Kupfer)
1994 - Rapa Nui (Rizzoli)

Viaggio in Inghilterra


Dalla sceneggiatura (tratta dall’opera teatrale)
William Nicholson, autore del soggetto, della pièce teatrale e della sceneggiatura del film Viaggio in Inghilterra (Shadowlands), nasce nel 1948 in Inghilterra. Laureato letteratura inglese a Cambridge, dirige decine di documentari per la BBC, fra gli anni ’70 e ’80, prima di passare a scrivere per il teatro, televisione e cinema. Fra i film da lui sceneggiati ricordiamo Il primo cavaliere (1995), Grey Owl - Gufo Grigio (1999), Il gladiatore (2000) ed Elizabeth - The Golden Age (2007).
Nel 1985 Nicholson porta il suo Shadowlands prima a teatro poi in televisione, in un film televisivo diretto da Norman Stone, dove C.S. Lewis è interpretato da Joss Ackland e Joy da Claire Bloom. Dopo che la pièce teatrale vince svariati prestigiosi premi, nel 1993 Richard Attenborough porta al cinema la sceneggiatura di Nicholson con il film Viaggio in Inghilterra, dove C.S. Lewis è interpretato da sir Anthony Hopkins e Joy da Debra Winger: quest’ultima e Nicholson vengono candidati al Premio Oscar, senza però vincerlo



Erano ventidue anni che Jack e Warnie Lewis abitavano in quella casa, da buoni fratelli e ancor più da buoni amici, procedendo uniti, tranquillamente, se non intimamente, verso la mezza età.
Le dimensioni dell’abitazione erano più che sufficienti per i loro bisogni e per le loro necessità di riservatezza. Al piano terra c’era un vasto studio che i due fratelli condividevano; era lì che preparavano i loro scritti, ognuno seduto alla propria scrivania, ognuno intento al proprio lavoro, senza disturbarsi. Lo studio era il cuore della casa, una stanza comoda ma trascurata, tappezzata di libri e intrisa di fumo rancido di pipa. Era lì che prendevano il caffè la mattina e spesso anche il tè nel pomeriggio. La signora Young, una governante grassoccia e taciturna, si occupava delle loro necessità domestiche.

Afferrando la sua mezza pinta, Lewis scivolò al suo posto e si accese la pipa. Subito ebbero inizio le consuete discussioni.
«E per l’armadio, Jack. Ho un’osservazione da fare riguardo all’armadio.» Monk si rivolse a Lewis in attesa di chiarimenti.
«Non intendo fare un’altra dannata conversazione intorno alla dannata stanza da giochi di Jack», bofonchiò Riley.
«Ho un treno da prendere», disse con voce pacata Jack. Ma Monk teneva molto alla questione e non intendeva mollare. Determinato a far sentire a tutti la sua domanda, insistette nonostante Riley fosse contrario. «Nel libro dici che la casa appartiene a un vecchio professore che non è sposato. Ma quando la bambina entra nell’armadio magico, lo trova pieno di pellicce.»
«Molto bene, Eddie!» applaudì sardonico Riley.
«È semplice», spiegò Jack. «Appartenevano all’anziana madre del professore.»
«Ah!» gridò Egan trionfante. «Allora, per raggiungere il mondo magico la bambina deve passare attraverso il pelo della madre?»
L’implicazione sessuale non sfuggì a Lewis. «No, assolutamente no», rispose accigliato. «Non c’entra affatto il tuo freudismo a buon mercato.»

A mano a mano che i giorni si accorciavano, Warnie Lewis passava più tempo seduto alla sua scrivania vicino a quella di Jack; a volte lavorava sul manoscritto dei suoi complessi studi di storia francese, altre volte sedeva tranquillo nella sua grossa sedia a fumare la pipa, sorseggiare whisky e leggere con soddisfazione alla luce della lampada finché non veniva l’ora di riempire le borse dell’acqua calda per andare a letto. Warnie non aveva mai parlato molto in nessun caso, e non disse nulla nemmeno della signora Gresham. Sembrava averla dimenticata.
Jack invece risentiva dei giorni più brevi. Ogni momento in cui era sveglio era prezioso. Fra i colloqui alla radio, le conferenze, le lezioni all’università e la sua vita a Oxford, era impegnatissimo. In più era occupato anche dalla stesura del suo nuovo libro, il quarto volume della serie Le cronache di Narnia. Avrebbe dovuto intitolarsi La sedia d’argento, e impegnava Lewis per quasi tutto il tempo che non era al college.

Doveva dirlo a Warnie. Quando ritornò a Oxford, Jack Lewis era determinato a far conoscere il proprio progetto al fratello il più rapidamente possibile. Nonostante questo, lasciò passare due giorni interi prima di dire una parola. Non che ci fosse nella notizia qualcosa da nascondere, o qualcosa che potesse sconvolgere Warnie, ma Jack non era sicuro che il fratello non si sarebbe comunque turbato. Inoltre, non poteva rimandare ancora la comunicazione.
«Avrei qualcosa da dirti, Warnie», esordì con il tono più impassibile. Accese la pipa e aspirò pensosamente.
«Mmmm?» Warnie alzò la testa dal libro che teneva in grembo.
I fratelli erano seduti nel giardino dei Kilns, godendosi il sole primaverile del pomeriggio, mentre alle loro spalle l’anziano giardiniere Paxford spingeva avanti e indietro una vecchia e rumorosa falciatrice. «Ho acconsentito a sposare Joy,» disse Jack tranquillo.

Lewis stava raggiungendo il suo studio al Magdalen, e stava per entrare quando vide un giovane dal viso serio fermo ad aspettare. Il ragazzo si schiarì la gola; evidentemente stava aspettando il professor Lewis. «Chi è lei?» chiese Jack.
«Chadwick, signore. Quest’anno sono nel suo corso.»
«Ah sì? Farebbe meglio a entrare allora, non crede?» Insieme, salirono le scale che conducevano allo studio di Lewis. Il ragazzo rimase in piedi nervosamente, finché Jack gli fece cenno di sedersi. Poi prese la sua vecchia pipa, si sedette sull’angolo della scrivania e guardò il ragazzo intanto che riempiva di tabacco la pipa. «Chadwick, ha detto?»
«Sì, signore.»
«Si sieda.»
Lewis accese la pipa e fece una lunga tirata. «Leggiamo per apprendere che non siamo soli.» Guardò di colpo lo studente. «Pensa la stessa cosa?»
«Non ci ho mai pensato prima, signore.» Gli occhi scuri del ragazzo mostravano un timore familiare. Il famoso C.S. Lewis lo stava interrogando.
«Neanch’io», disse Jack tranquillamente. «Immagino che certe persone direbbero che noi amiamo per sapere di non essere soli. Lo pensa anche lei?»



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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #422 il: 25 Aprile 2010, 22:12:46 »
Pipe in guerra

Sven Hassel

pseudonimo di Willy Arberg (Frederiksborg, 19 aprile 1917), è uno scrittore danese, autore di romanzi di guerra basati su esperienze pseudo-autobiografiche durante la seconda guerra mondiale. Lo stile dell'autore, peculiare e immaginoso, sa dare vita a vivide scene "dietro le linee" ma anche a tragiche e movimentate sequenze di battaglia. Il suo modus narrandi incrocia influenze del romanzo picaresco, di Niente di nuovo sul fronte occidentale e delle Avventure del buon soldato Sveik. La sua opera è stata una delle principali fonti di ispirazione per le Sturmtruppen di Bonvi.
Le opere di Hassel sono scritte in prima persona e raccontano le vicende del 27° Panzer Regiment (di disciplina), formato da criminali, "indesiderati" politici e da disertori, giudicati dalla corte marziale.

BATTAGLIONE D’ASSALTO

Lo stile è diretto, crudo e descrive la guerra in tutta la sua violenza. Hassel è abilissimo nel passare da situazioni di ilarità e rilassamento dei protagonisti al pieno dell'azione bellica, dove emergono le paure, il coraggio, l'ingegno dei personaggi. Raramente, nella narrazione, c'è spazio per il militarismo e l'esaltazione della guerra


Il Vecchio arrivò sbuffando: era stato dal comandante. Buttò il fucile mitragliatore nella neve e poi ci si buttò anche lui.
«Che ha detto il puzzone?», chiese Porta guardandosi le mani coperte di geloni purulenti.
Il Vecchio non rispose; si mise a caricare la pipa, la vecchia pipa con coperchio che si era fabbricata da sé. Il legionario gli tese l’accendino: era il migliore accendino del mondo che non faceva mai cilecca. L’aveva fatto con una cartuccia vuota, qualche straccetto di tela calcinata, una scheggetta di legno con un frammento di pietra focaia e un pezzetto di lama di rasoio. La lama faceva sprizzare una scintilla dalla pietra’ focaia, gli straccetti crepitavano, si accendeva la pipa o la sigaretta e poi si spegneva chiudendo il coperchietto. La più furiosa bufera non impediva all’accendino di funzionare e la sua luce debolissima era meno visibile di notte di quella di un fiammifero.
«Dunque, che ha detto?» domandò ancora Porta sputando con impazienza. Fratellino, intanto, si dava manate sulle cosce per scaldarsi.
«Gesù che freddo!» (Si strofinò con cautela la faccia incartapecorita.) «Credete che ci manchi ancora molto a primavera?»
«Imbecille!» esclamò Porta a denti stretti. «Fra tre settimane è Natale. Siamo appena al principio dell’inverno. Ma tu non avrai regali, salvo uno, forse, nella zucca. Te lo manderà Ivan.»1
Il Vecchio tirò fuori una mappa dalla giubba bianca. Con le dita intorpidite la stese sulla neve e con l’indice sporco indicò un punto nell’intrigo dei colori.
«Dobbiamo andare qua, tutto il plotone.»
Fratellino si issò tra i cingoli del carro e cercò di decifrare il nome del villaggio indicato.
«Questo posto qui, dove siamo ora, si chiama Kotilnikovo», spiegò il Vecchio guardandoci. «È a trenta chilometri dalle posizioni tedesche fuori di Stalingrado. Da Kotilnikovo dovremo andare verso Obilnoje per dare una occhiata alla concentrazione di truppe russe. Insomma andiamo in ricognizione dalla parte di Sarpa e lungo il mare. Se restassimo tagliati fuori e non potessimo rientrare», e il Vecchio abbozzò una risatella silenziosa, «abbiamo l’ordine di collegarci con la quarta armata rumena che si trova a sud-est del Volga. Supposto che esista ancora quando saremo là.»
Porta scoppiò a ridere e scorreggiò fragorosamente.
«Di’ un po’, siete pazzi voi due, tu e il puzzone? Ivan non è cieco. Vedrà i nostri carri da cento leghe. Che magnifico bersaglio!»
Il Vecchio si stropicciò il mento e strinse gli occhi. «No, ragazzo mio. La faccenda è tutto un ricamo di raffinata astuzia. Innanzitutto, una volta al giorno, dovremo mandare un messaggio radio al corpo d’armata.» Fece una pausa e tirando lunghe boccate dalla pipa che poi levò di bocca servendosene per grattarsi un orecchio.

Il Vecchio fermò la slitta, si alzò lentamente, si tolse le manopole e cominciò a caricare la pipa. Faceva tutto con calma, accuratamente. Era la sosta e per il Vecchio sosta significava pipata. Col pollice pigiò la brace, poi sorrise. Il sorriso del Vecchio! Ci riscaldava: non c’era niente di veramente terribile se il Vecchio sorrideva.
«Fate come i cani», disse il Vecchio, indicandoli col cannello della pipa. «I nostri dodici compagni a quattro zampe conoscono la musica e sanno che cosa bisogna fare. Un cane da slitta non muore mai di freddo.»

La terza notte, durante il bivacco, il vento cominciò a soffiare e, per la prima volta dopo la partenza, il commissario ci rivolse la parola; o meglio, la rivolse al Vecchio perché noi altri ci disdegnava tutti quanti eravamo.
«Ci sarà una bufera», dichiarò fissando il cielo verso oriente. «Una bufera terribile che durerà parecchi giorni; bisogna montare la tenda.»
Il Vecchio rimase pensieroso; accese la pipa e strinse gli occhi per osservare la fuga di nuvole basse.

«Sapete in quale specie di casa siamo?» domandò il legionario con la risata nella voce.
«Che vuoi dire?»
«Una buona casa, migliore di quanto immaginate! In tempi normali sul portone c’era una lanterna rossa.»
Fratellino spalancò la bocca e saltò giù dal divano.
«Vuoi dire che siamo insediati in una casa di puttane?»
«Precisamente e con servizio di prim’ordine se ti può interessare.»
«Accidenti!» gridò Porta. «Dov’è il personale?»
In un battibaleno Fratellino aveva rimesso a posto i cuscini e si era levati i pantaloni scaraventandoli sopra un armadio.
«Non mi serviranno per un bel po’ di tempo!»
Il Vecchio gli chiese: «E gli stivaloni te li tieni?»
«Certo! Con stivali e cinturone non si ha paura di nessuno!»
Porta si era levato i vestiti anche lui ed era nello stesso abbigliamento: costume d’Adamo, stivali e cinturone con pistola. In più aveva in testa il cilindro giallo; Fratellino sfoggiava la bombetta grigia.
«Pronti!» gridò Porta. «Portate le puttane! Vecchio coloniale, chiama la ruffiana.»
«L’avete già vista. È una troia, non c’è ombra di dubbio. Si versa addosso mezzo litro di profumo ogni mattina per mascherare il tanfo del sudore; non sa che cosa sia coscienza e pesa, ad occhio e croce, céntoventicinque chili. Le ho chiesto quante tonnellate di lardo aveva addosso. Mi ha risposto: ‘novanta chili’, ma ha mentito. Abita in un appartamento! Questo, al confronto, è una topaia. Fuma ininterrottamente una pipa curva e si ingozza di acquavite in gran quantità.»

«È disgustoso crepare da queste parti. Si affonda con tutti i denti e nessun poveraccio ne profitta.»
Cadeva la notte quando i due soldati rientrarono nella piccola città romena e il racconto della loro avventura fu fatto con accompagnamento di vodka e salsicce. Il Vecchio tirava grandi boccate dalla pipa a coperchio e si schiariva la gola.
«Non c’è dubbio, siamo accerchiati. Julius e Sven sono andati verso le retrovie e sono piombati su una compagnia di fanteria con autoblindo.» Rivolto a Porta: «Sei tu che sei andato sulla spiaggia col romeno? Avete visto i tiratori?»
«Quanto basta per sentirsi sfessati. Non si ha proprio voglia di fare una stagione di bagni di mare.»
«Uhmm!» Il Vecchio tirava boccate sempre più lunghe, poi si strinse con le dita il naso: segno che rifletteva intensamente. «Come passarci in mezzo?»
«Arrivano i russi?» chiese una ragazza in parure verde che giocava ai dadi con un caporale romeno.
Non rispose nessuno. La ragazza vinse e dimenticò i russi.


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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #423 il: 26 Aprile 2010, 12:35:52 »
Qualche frammento di pipa

 Dorothy L. Sayers

L’uomo che sapeva come

Pender lo guardò con disagio. Quel sorriso non gli piaceva: non era soltanto beffardo; era compiaciuto, quasi gongolante, trionfante... Pender non riusciva a definirlo.
—Vede — continuò il compagno di viaggio mentre estraeva la pipa e prendeva a riempirla, — è molto strano quanto spesso si legga, sui giornali, la notizia di persone trovate morte nella vasca da bagno. È un incidente davvero molto comune. Rappresenta una vera tentazione. Dopo tutto, nell’omicidio c’è del fascino. Uno comincia a pensarci, a pensarci... In ogni modo, immagino che sia così.
—È molto probabile — disse Pender.
—Io ne sono sicuro. No, non confiderei a nessuno quella formula... nemmeno a una brava persona come lei.
Le lunghe dita bianche premettero per bene il tabacco nel fornello della pipa, poi accesero un fiammifero.

ISABEL ALLENDE

LA SOMMA DEI GIORNI

Io e mia madre andammo a prenderli all’aeroporto e vedemmo comparire tuo fratello, con il suo solito aspetto da adolescente goffo, in compagnia di una persona che avanzava a falcate decise e portava sulle spalle qualcosa che da lontano sembrava un’arma, ma che da vicino risultò essere una custodia per chitarra. Immagino che fosse per irritare sua madre, un tempo reginetta di bellezza in un concorso ai Caraibi, che Celia camminava come John Wayne, si vestiva con pantaloni informi color oliva, scarponcini da alpinista e un cappellino da baseball calcato su un occhio. Bisognava guardarla due volte per accorgersi di quanto fosse carina: lineamenti fini, occhi espressivi, mani eleganti, fianchi larghi e un’intensità alla quale era difficile sottrarsi. La ragazza di cui mio figlio si era innamorato aveva un’aria di sfida, quasi a dire: «Se vi piaccio bene, altrimenti cazzi vostri». Mi sembrò così diversa da Nico che sospettai fosse incinta, ragione per cui stavano progettando di sposarsi entro breve, ma le cose non stavano così. Probabilmente aveva bisogno di scappare in fretta dal suo ambiente, che le stava come una camicia di forza, e si era aggrappata a Nico con la disperazione di un naufrago.
Quando arrivammo a casa, tuo fratello annunciò che il materassino in cucina non era più necessario, perché le cose fra loro erano cambiate. Li sistemai dunque nella stessa stanza. Mia madre mi prese per un braccio e mi trascinò in bagno.
«Se tuo figlio ha scelto quella ragazza, ci sarà un motivo. Ti tocca volerle bene e tenere la bocca chiusa.»
«Ma fuma la pipa, mamma!»
«Sarebbe peggio se fumasse oppio.»

Jacqueline Winspear

MAISIE DOBBS

“Il momento è sempre più vicino”, osservò Maurice. Guardò la pendola che scandiva pazientemente i secondi.
“Sì, vicinissimo. Maurice, voglio portare Billy via da quel posto.”
“Certo. Via da Jenkins. È interessante come in tempo di guerra gli esseri umani diventino più determinati. Specialmente quando questa determinazione, questo potere, per così dire, deriva da qualcosa di tanto essenzialmente malvagio.”
Dalla sua poltrona, Maurice allungò la mano verso il portapipe sulla mensola del camino. Scelse una pipa, afferrò il tabacco e i fiammiferi posati lì accanto e si appoggiò allo schienale, gli occhi sulla pendola. Prese un pizzico di tabacco dalla scatola e lo pressò nel fornello.
“A cosa pensi, Maisie?” Sfregò un fiammifero sui mattoni del camino e accostò la fiammella al tabacco.
Maisie trovava che il profumo del tabacco fosse troppo pungente, ma questo rito dell’accensione della pipa la rilassava. Sapeva che Maurice se lo concedeva solo in prossimità dei momenti cruciali;

Stephen King

Danse macabre

Il padre di Will era in piedi, riempì la sua pipa di tabacco, cercò i fiammiferi nelle tasche, tirò fuori un’armonica rovinata, un temperino, un accendino che non avrebbe funzionato e un blocco dove avrebbe voluto appuntare i pensieri più grandi, cosa che non gli era mai riuscito di fare...

Eva Ibbotson

FANTASMI SOTTO SFRATTO

Zio Blatta era naturalmente facile bersaglio di quelle signore con la puzza sotto il
naso. Lo schernivano perché biascicava sdentato e parlava con accento transilvano; si sganasciavano dal ridere quando si confondeva e si metteva la pipa nell’orecchio e cercava di fumare il cornetto acustico.

Awanaganà

Quando sono andato a fare i provini, il terzo giorno Noël Coutisson mi chiede qual è il mio nome. E io comincio a fargli l'elenco. Arrivato ad Awanagana, lui mi guarda, sempre con la sua pipa in bocca e ripete... Awanaganà hm hm ... au revoir. Un quarto d'ora dopo io ero nei corridoi, lui esce dall'ufficio come una lippa e fa "Monsieur Awanaganà, - mi giro -, génial, vous vous appellerez seulement Awanaganà, lei si chiamerà solamente Awanaganà».


L.Pirandello

Uno Nessuno Centomila

Sapete invece su che poggia tutto? Ve lo dico io. Su una presunzione che Dio vi conservi sempre. La presunzione che la realtà, qual'è per voi, debba essere e sia ugualmente per tutti gli altri. Ci vivete dentro; ci camminate fuori, sicuri. La vedete, la toccate; e dentro anche, se vi piace, ci fumate un sigaro (la pipa? la pipa), e beatamente state a guardare le spire di fumo a poco a poco svanire nell'aria. Senza il minimo sospetto che tutta la realtà che vi sta attorno non ha per gli altri maggiore consistenza di quel fumo.


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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #424 il: 05 Maggio 2010, 00:22:16 »


Edgar Allan Poe

L'INCOMPARABILE AVVENTURA DI UN CERTO HANS PFAALL

Sembrerebbe che il... del mese di... (della data non sono esattamente informato) una folla immensa si fosse radunata, per uno scopo che non è specificato, sulla grande piazza della Borsa nella ricca città di Rotterdam. Faceva caldo, un caldo eccezionale data la stagione; l'aria era ferma, e la gente si assoggettava con piacere alla doccia di un benigno acquazzone largito a tratti dai grossi cumuli di nuvole bianche che si espandevano per l'azzurra volta del cielo. Verso mezzogiorno, tuttavia, si potè notare che la folla era presa da una leggera ma evidente agitazione. Diecimila voci si fecero sentire e, l'istante appresso, diecimila facce si volgevano verso il cielo, diecimila pipe venivano tolte di bocca, e un grido, a niente altro paragonabile che al rumore delle cascate del Niagara, risuonava lungo, alto, formidabile per tutta la città e i dintorni.
La causa di quel tumulto fu ben presto manifesta. Di dietro alla vasta mole di uno di quei nuvoloni nitidamente profilati, si vide spuntare in un aperto spazio d'azzurro una strana cosa eterogenea, solida in apparenza, e così curiosa di forma, così fantasticamente configurata, che la folla di quei ben piantati cittadini i quali di sotto l'osservavano a bocca aperta, non si stancava, pur senza capirne nulla, di ammirarla. Che poteva essere mai? In nome di tutti i diavoli di Rotterdam, che poteva mai significare? Nessuno lo sapeva, nessuno riusciva a indovinarlo; nessuno, nemmeno il borgomastro Mynheer Superbus Von Underduk, si trovava in possesso del più piccolo indizio per chiarire il mistero; dimodoché, non avendo nulla di meglio da fare, si rimisero tutti, non uno eccettuato, la pipa in bocca, e, senza lasciare di tener d'occhio il fenomeno, buttarono fuori una boccata di fumo, si fermarono, si dondolarono da destra a sinistra, poi da sinistra a destra, borbottaron qualcosa,
e tornarono a buttare una boccata di fumo.
L'oggetto di tanta curiosità e di tanto fumo scendeva frattanto sempre più, e in pochi minuti si trovò vicino abbastanza per esser distinto con precisione. Sembrava, anzi certamente era, una specie di pallone, ma un pallone come non se n'erano mai visti di uguali fino allora a Rotterdam. Perché, domando e dico, chi ha mai sentito parlare di un pallone interamente confezionato di vecchi giornali sporchi? In Olanda, nessuno di certo.

Disceso, come ho detto, a cento piedi circa dalla terra, il vecchietto venne improvvisamente colto da una grande agitazione, e non parve disposto ad avvicinarsi di più. Per cui, buttata giù una certa quantità di sabbia, da un sacco che sollevò a fatica, si fermò dov'era. Sempre agitatissimo si affrettò quindi a tirar fuori dalla tasca del soprabito un portafoglio di pelle, che soppesò nella mano con fare sospettoso e, come stupito del suo peso, esaminò con aria di sorpresa estrema. Infine si decise ad aprirlo e ne estrasse una grande lettera sigillata in rosso e legata con nastro rosso che lasciò cadere esattamente ai piedi del borgomastro Superbus von Underduk. Sua Eccellenza si chinò a raccoglierla. Ma l'aeronauta, sempre molto inquieto, e non avendo, a quanto pareva, da sbrigare altro a Rotterdam, già si apparecchiava alla partenza; e siccome, per tornare ad innalzarsi, bisognava scaricasse ancora della zavorra, buttò giù l'uno dopo l'altro, senza darsi la pena di vuotarli, una mezza dozzina di sacchi che caddero tutti sulla schiena del povero borgomastro facendogli fare una mezza dozzina di capriole al cospetto dell'intera cittadinanza di Rotterdam. Non è da supporre che il grande Underduk lasciasse impunita l'impertinenza del vecchietto. Si dice, anzi, che ad ognuna delle sei capriole egli emettesse non meno di sei ben visibili ed energiche boccate di fumo dalla pipa che teneva, con tutta la propria forza, stretta fra i denti, intenzionatissimo a tenersela stretta così, a Dio piacendo, sino al giorno della sua morte.

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #425 il: 05 Maggio 2010, 00:48:52 »
Una nipote rievoca la passata gioventù dei nonni in tempi post bellici e parla di pipe.

Milena Agus

Nata a Genova da genitori sardi, vive a Cagliari dove insegna italiano e storia all’istituto tecnico “Meucci”.


Mal di pietre

Il romanzo, ha vinto il Premio Forte Village (2007) e si è segnalata fra i finalisti del Premio Strega e al secondo posto nel Campiello.


Una sera nonno, prima di sedersi nella poltrona sgangherata vicino alla finestra sul pozzo luce, andò a prendere dalla valigia di sfollato la sua pipa, tirò fuori dalla tasca un sacchetto di tabacco appena comprato e si mise a fumare, per la prima volta dopo quel maggio 1943. Nonna avvicinò lo scanno e rimase seduta a guardarlo.
“Così voi fumate la pipa. Nessuno mai ho visto fumare la pipa”.
E rimasero in silenzio per tutto il tempo. Quando nonno ebbe finito lei gli disse: “Non dovete più spendere i soldi per le donne della Casa Chiusa. Quei soldi dovete spenderli per comprarvi il tabacco e rilassarvi e fare la vostra fumata. Spiegatemi cosa fate con quelle donne e io farò tutto uguale”.

Quei giorni era felice anche se non aveva l’amore, felice delle cose del mondo anche se nonno non la toccava mai se non quando faceva le prestazioni della Casa Chiusa e nel letto continuavano a dormire sulle sponde opposte stando attenti a non sfiorarsi e si dicevano: “Fate una Buonanotte”. “Buonanotte anche a voi”.
E i momenti più belli erano quando nonno si accendeva la pipa a letto dopo le prestazioni e si capiva che stava bene dall’aria che aveva e nonna lo guardava dalla sua sponda e se gli sorrideva lui le diceva: “Te la ridi?” Ma non è che mai aggiungesse qualcos’altro, o la attirasse a sé, la teneva lontana. E nonna sempre si chiedeva come è strano l’amore, che se non vuole arrivare non arriva con il letto e neppure con la gentilezza e le buone azioni ed era strano che proprio quella, che era la cosa più importante, non ci fosse verso di farla venire in nessun modo.
Nonna se l’era sempre cavata egregiamente e dopo ogni prestazione il marito diceva quanto sarebbe costata alla Casa Chiusa e quella cifra la mettevano via per quando avrebbero ricostruito la casa della via Manno e nonna voleva che una piccola parte fosse sempre destinata al tabacco per la pipa.

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #426 il: 05 Maggio 2010, 20:24:56 »
Rimarrà sempre al primo posto fra gl'investigatori affettati, con la pipa in bocca

Arthur Conan Doyle

L’avventura dei Faggi Rossi

«A chi ama l’arte per se stessa» osservò Sherlock Holmes, mettendo via la pagina con gli annunci pubblicitari del Daily Telegraph «piacciono di più gli aspetti meno importanti. E voi, caro Watson, appartenete a questa schiera; ho notato che nei casi e nelle vicende che mi riguardano e di cui avete preso nota, magari abbellendoli un po’, avete scartato le cause celebri, i processi clamorosi per porre l’accento sugli episodi, in apparenza banali, che mi hanno permesso di esplicare quelle facoltà di deduzione e di sintesi logica che considero i miei pregi maggiori.»
«Tuttavia» risposi, sorridendo «non riesco a farmi assolvere del tutto dall’accusa di aver dato ai miei scritti l’impronta del sensazionale.»
Holmes afferrò con le molle un tizzone che ardeva nel caminetto, ci accese la lunga pipa di legno di ciliegio che preferiva a quella di gesso quando era in uno stato d’animo più cavilloso che contemplativo e disse:
«Forse avete sbagliato cercando di aggiungere colore e vita in ciascuno degli episodi invece di limitarvi a registrare la rigida connessione tra causa ed effetto, che costituisce l’aspetto principale e più significativo delle nostre imprese.»
«Quanto a questo, mi sembra di avervi reso piena giustizia» replicai con una certa freddezza perché consideravo l’egocentrismo una delle caratteristiche salienti del carattere del mio amico.
«No, non si tratta né di egoismo né di vanità» disse Holmes, come se mi avesse letto nel pensiero. «Se chiedo piena giustizia per la mia arte è perché è qualcosa di impersonale, al di fuori di me. Il crimine è una cosa comune, la logica è rara. Perciò è sulla logica e non sul crimine che dovete soffermarvi. Invece a volte avete trasformato in una serie di racconti ciò che avrebbe dovuto essere un corso di conferenze.»
Era una fredda mattina all’inizio della primavera e, dopo aver fatto colazione ce ne stavamo seduti davanti a un bel fuoco nel vecchio salotto di Baker Street. Una nebbia spessa aleggiava intorno alle lunghe file di case grigiastre le cui finestre sembravano occhiaie vuote. Nella nostra stanza la lampada a gas era accesa e illuminava la tovaglia, traeva lievi barbagli dalle porcellane e dalle posate perché la tavola non era stata ancora sparecchiata. Quella mattina Holmes era di umore poco ciarliero e non aveva fatto che immergersi nella lettura delle colonne pubblicitarie di diversi giornali finché, abbandonate le sue ricerche, era emerso da quel silenzio con uno stato d’animo tutt’altro che disponibile per farmi un predicozzo sulle mie deficienze letterarie.
«Al tempo stesso» riprese dopo una pausa durante la quale aveva tirato lunghe boccate di fumo dalla sua pipa con lo sguardo fisso sul fuoco, «non posso neanche accusarvi di essere andato alla ricerca del sensazionale a ogni costo perché buona parte dei casi su cui avete scritto non riguardava delitti, non nel senso legale.


L’avventura del piede del diavolo

«Signor Holmes» disse il vicario in tono agitato, «durante la notte è accaduto qualcosa di straordinario, di tragico, qualcosa di inaudito. È un dono della Provvidenza che vi troviate qui in questo momento perché in tutta l’Inghilterra voi siete l’uomo più adatto per aiutarci.»
Lanciai un’occhiataccia al vicario; Holmes, invece, si tolse la pipa di bocca e si raddrizzò, fremente come un cane che segue le tracce della selvaggina.

«Che cosa intendete fare, adesso, signor Holmes?» aggiunse.
Il mio amico sorrise e mi pose una mano sul braccio.
«Credo, Watson, che a questo punto ricorrerò a una fumatina, anche se so che non mi approvate» disse. «Con il vostro permesso, signori, ora torneremo a casa nostra perché qui, per il momento, non abbiamo niente da fare. Ripenserò comunque agli avvenimenti, signor Tregennis e se accadesse di scoprire qualcosa mi metterò immediatamente in contatto con voi e con il vicario. Buongiorno a tutti.»
Solo molto più tardi, dopo esser rientrati al Poldhu Cottage, Holmes ruppe il silenzio. Se ne stava raggomitolato in poltrona e il fumo azzurrino della pipa velava il suo viso magro e ascetico; aveva le sopracciglia contratte, la fronte corrugata, lo sguardo perso nel vuoto. D’improvviso depose la pipa e balzò in piedi.


L’avventura della faccia livida

E con questo è uscito. Non saprei dire da che parte si sia diretto.»
«Grazie, hai fatto del tuo meglio» così Holmes rassicurò il domestico mentre entravamo in salotto. «Però tutto questo è molto seccante, non trovate, Watson? Al momento ho proprio bisogno di occuparmi di qualcosa e l’impazienza di quell’uomo dimostra che avrebbe potuto trattarsi di un caso importante. Ehi, non è mia quella pipa sul tavolo! Deve avercela lasciata lo sconosciuto. Una magnifica, vecchia pipa di radica con un bel bocchino d’ambra. Mi chiedo quanti bocchini d’ambra autentica esistano a Londra. Bene, dev’essere stato molto sconvolto per dimenticare una pipa a cui evidentemente attribuisce grande valore.»
«Perché questa affermazione, Holmes?»
«Ecco: direi che il prezzo di questa pipa oscilli sui sei, sette pence. Ora, vedete, è stata riparata per ben due volte, una volta nel cannello di legno e una nel bocchino d’ambra; ciascuna riparazione è stata fatta con lamine d’argento che devono esser costate più della pipa stessa. L’uomo deve dunque valutarla molto, se preferisce farla rappezzare piuttosto che comprarne una nuova allo stesso prezzo.»
«Avete scoperto qualche altra cosa?» chiesi, perché Holmes continuava a girare la pipa tra le mani e la osservava, pensoso.
Lui la alzò, la picchiettò con le lunghe dita sottili.
«A volte le pipe sono straordinariamente interessanti» disse. «Niente ha più personalità di una pipa, salvo forse gli orologi e i lacci da stivali. Le indicazioni di questa, comunque, non sono né molto marcate né importanti. Il proprietario è certamente un uomo muscoloso, mancino, ha una dentatura eccellente, si veste senza troppa ricercatezza e non ha bisogno di fare economie.»
Il mio amico buttò là quelle informazioni in tono noncurante, ma sapevo che mi fissava per controllare se seguivo i suoi ragionamenti.
«Pensate che un uomo sia uno scialacquatore solo perché fuma una pipa da sette pence?» azzardai.
«Usa anche la miscela di tabacco Grosvenor che costa otto pence all’oncia» rispose Holmes, versandone un po’ dalla pipa sul palmo della mano. «Potrebbe averne di altrettanto buono a metà prezzo: perciò non bada a spese.»
«E gli altri punti?»
«Ha l’abitudine di accendere la pipa alla fiamma della lampada o al beccuccio del gas. Guardate, il fornello è del tutto carbonizzato da una parte. Naturalmente non può esser stato un fiammifero a ridurlo così. Perché un uomo terrebbe un fiammifero di lato per accendere la pipa? Ma non si può accenderla a una lampada o a un beccuccio senza bruciacchiare il fornello. E tutto questo sul lato sinistro della pipa. Dal che io deduco che quel tale sia mancino. Avvicinate la vostra alla lampada e vedrete che, essendo voi una persona che si serve della mano destra, è il lato destro che tenete sulla fiamma. Potete agire anche al contrario, ma non abitualmente. Questa pipa invece è sempre stata tenuta così. Per mordere così un bocchino d’ambra bisogna essere individui muscolosi, energici e con un’ottima dentatura. Ma, se non mi
sbaglio, ecco che il misterioso visitatore sta salendo le scale, così avremo qualcosa di più interessante della sua pipa per studiarlo a fondo.»
Un istante più tardi la porta si spalancò e un uomo alto e giovane entrò nella stanza. Era sobriamente vestito di grigio e teneva in mano un cappello floscio a tesa larga. Gli avrei dato una trentina d’anni, in seguito appresi che ne aveva qualcuno in più.

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #427 il: 08 Maggio 2010, 12:35:00 »
Frammenti di pipe, secondo round

Alessandro Baricco
OCEANO MARE

Un tavolo, di fianco alla vetrata di ingresso. Un uomo seduto al tavolo, una pipa spenta in mano.
Nessuno sa quando è arrivato lì. Magari è lì da un attimo, magari è lì da sempre.

Michael Ende
LA NOTTE DEI DESIDERI

Con un gesto stanco le fece cenno di lasciar perdere e si avvolse nel fumo della pipa. Poi, con la fronte rannuvolata, rimase lì a rimuginare tra sé e sé. Sapeva che lo aspettavano grosse seccature, molto presto per giunta, al più tardi a mezzanotte - allo scadere dell’anno.
La pipa che il mago fumava aveva la forma di un piccolo teschio, con occhi di
vetro verde che si accendevano a ogni boccata. Le nuvolette di fumo disegnavano nell’aria le figure più strane: numeri e formule, serpenti attorcigliati, pipistrelli, piccoli fantasmi, ma soprattutto tanti punti di domanda.

Valerio Evangelisti
TORTUGA

Le Bon sputò nella sabbia un grumo catarroso, poi portò alla bocca la pipa, come se volesse incrementare la consistenza dei suoi sputacchi. «Da governatore ha dato la caccia ai suoi ex compagni. Da filibustiere, nascondeva la quantità esatta del malloppo per ingannare i fratelli e ingrossare la propria spettanza.

Gnone Elisabetta
L'incanto del buio

Assorto nei suoi ricordi fantastici, il Capitano aspirava lunghe boccate e il tabacco
nella pipa sfrigolava e si accendeva di rosso, mentre il fumo si levava in larghi cerchi
sopra le nostre teste.
— E poi cosa accadde, Capitano?

Ken Follett
LO SCANDALO MODIGLIANI

Gli amici gli dicevano che il quadro era orribile e lui li mandava al diavolo, ribatteva che erano troppo ignoranti per capire che quella era l’arte del ventesimo secolo. Alla fine, quando gli passava, riconosceva che avevano ragione e buttava la tela in un angolo.» Il vecchio aspirò la pipa, si accorse che era spenta e prese i fiammiferi. L’incantesimo s’era spezzato.
Dee si protese in avanti sulla seggiola, dimentica dello spinello che le si consumava tra le dita. La sua voce era vibrante e intensa.
«Che fine hanno fatto quei quadri?»
Il vecchio riaccese la pipa, si appoggiò alla spalliera e aspirò, ritmicamente. A poco a poco il ritmo lo ricondusse nel mondo dei ricordi. «Povero Dedo» disse. «Non poteva pagare l’affitto.

La pigione dello spettro
Henry James

Forse la rivedrò qui?» dissi.
«Oh, sono un vecchio dalle giunture rigide», rispose, «e qui è piuttosto lontano, per me. Devo avermi dei riguardi. Qualche volta sono rimasto seduto per un mese intero a fumare la pipa in poltrona. Ma mi farebbe piacere rivederla.

La maschera
Robert W. Chambers

Si trattava di uno stravagante ritrovo per rimasugli e pezzi di logora tappezzeria. Una vecchia spinetta dal dolce suono, in buono stato, stava vicino alla finestra. C’erano diverse panoplie di armi, alcune vecchie e opache, altre lucide e moderne, supporti di armi Indiane e Turche sopra la cappa del camino, due o tre bei quadri, e un porta-pipe. Era qui che venivamo per godere dei nuovi effetti del fumo. Dubito che non vi fossero presenti in quel portapipe tutti i tipi di pipe esistenti. Quando ne avevamo trovata una, la portavamo immediatamente da qualche altra parte e la fumavamo; infatti il posto era, nel complesso, più deprimente e meno invitante di qualsiasi altro posto della casa. Ma quel pomeriggio il crepuscolo ebbe un effetto calmante; i tappeti e le pelli sul pavimento sembravano scuri e soffici e inducevano al riposo; il grande divano era pieno di cuscini.
Trovai la pipa adatta e mi distesi là per una insolita fumata. Ne avevo scelta una con un cannello lungo e flessibile, e nell’accenderla cominciai a sognare.

Brian Garfield
Il cacciatore di gloria

Dopo cena, si misero tutti e tre a sedere nella veranda. Il sole era dietro la casa e
loro restavano in ombra; mancavano ancora dieci minuti al tramonto. I rossi raggi
obliqui incendiavano Longshot Bluff e l’alta guglia sembrava un segnale di fuoco che
si stagliasse contro il cielo già scuro. L’uomo riuscì a far tirare la pipa come voleva
lui, poi spezzò il fiammifero e contemplò il ragazzo che era venuto a ucciderlo. —
Quanto ti pagano per il mio scalpo, figliolo?


« Ultima modifica: 08 Maggio 2010, 12:36:49 da Aqualong »
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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #428 il: 08 Maggio 2010, 16:12:00 »
Aaaa le statistiche ,quale meravigliosa meraviglia,per citare Il Poeta:
 
quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in orïente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna
 PURGATORIO - Canto XIX

KEITH DEVLIN e GARY LORDEN

Il MATEMATICO e il DETECTIVE


Cobb illustrò la differenza per mezzo di un famoso esempio tratto dalla lunga lotta che medici e scienziati hanno dovuto combattere per vincere sulla potente lobby del tabacco e convincere i governi e la gente che fumare sigarette causa il cancro ai polmoni. La tabella 2 mostra i tassi di mortalità per tre categorie di persone: non fumatori, fumatori di sigarette e fumatori di sigari e pipa.
Non fumatori
20,2
Fumatori dì sigarette
20,5
Fumatori di sigari e pipa
35,3
Tabella 2. Tassi di mortalità per 1000 persone per anno.
A prima vista, le cifre nella tabella 2 sembrano indicare che fumare sigarette non è pericoloso mentre fumare sigari e pipa lo è. Ma le cose non stanno così. C’è una variabile cruciale che si cela dietro ai dati e che i numeri di per sé non rivelano: l’età. L’età media dei non fumatori in quell’indagine era 54,9 anni, l’età media dei fumatori di sigarette era 50,5 anni e l’età media dei fumatori di sigari e pipa era 65,9 anni. Utilizzando tecniche statistiche per tenere conto delle differenze di età, le cifre furono corrette nel modo illustrato dalla tabella 3.
Non fumatori
20,3
Fumatori di sigarette
28,3
Fumatori di sigari e pipa
21,2
Tabella 3. Tassi di mortalità per 1000 persone per anno, corretti per età.
Ora emerge un risultato molto differente, che indica che fumare sigarette è molto pericoloso.
Ogni volta che viene effettuato un calcolo delle probabilità sulla base dei dati osservativi, il massimo che in genere si può concludere è che esiste una correlazione tra due o più fattori. Ciò può essere sufficiente per stimolare ulteriori indagini, ma di per sé questo risultato non stabilisce un rapporto di causalità. C’è sempre la possibilità di una variabile nascosta che giace dietro la correlazione.


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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #429 il: 12 Maggio 2010, 21:47:04 »
La bellezza delle pipe avventurose

Henry Rider Haggard

Un autore che non ha bisogno di commenti se proprio si deve: http://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Rider_Haggard

Le miniere di re Salomone

«Scusatemi», disse, sporgendosi verso di me attraverso la tavola e parlando con voce bassa e profonda, una voce perfettamente in carattere con i grossi polmoni da cui usciva. «Scusate, vi chiamate per caso Allan Quatermain?»
Risposi di sì.
L’omone non fece ulteriori commenti, ma lo sentii mormorare attraverso la barba «fortunatissimo».
Il pranzo finì in fretta. Mentre stavamo lasciando il salone, Sir Henry mi chiese se mi sarebbe andato di raggiungerlo nella sua cabina per una tirata di pipa. Accettai. Ci fece strada fino alla cabina-ponte del Dunkeld. Era una gran bella cabina.

Nella cabina c’era anche un divano, con un tavolinetto davanti. Sir Henry mandò lo steward a prendere una bottiglia di whisky e tutti e tre sedemmo e accendemmo la pipa.

«Che notizie avete avuto sul viaggio di mio fratello a Bamangwato?», chiese Sir Henry, mentre io facevo una pausa per riempire la pipa prima di rispondere a Good.
«Ho sentito dire», risposi, «e non l’ho detto ad anima viva fino ad oggi, che era partito in cerca delle miniere di re Salomone.»

«Bene, signor Quatermain», disse dopo un po’ Sir Henry, «avete pensato alla mia proposta?»
«Già», gli fece eco il capitano, «che ne pensate, signor Quatermain? Spero che ci farete l’onore di accordarci la vostra compagnia fino alle miniere di Salomone, o fino dove possa essersi spinto l’uomo che conoscete come Neville.»
Mi alzai e sgrullai la pipa prima di rispondere. Non mi ero ancora deciso e avevo bisogno di un momento in più per farlo. Prima che la brace della pipa raggiungesse l’acqua, la decisione era presa;

Orbene, ce ne stavamo tutti e tre seduti a chiacchierare, nell’affascinante chiarore lunare, osservando i Cafri che, a qualche metro di distanza, succhiavano il loro intossicante daccha in una pipa col bocchino fatto di corno di eland, finché, uno dopo l’altro, si arrotolarono nelle coperte e si addormentarono accanto al fuoco. Tutti eccetto Umbopa, che se ne stava seduto un po’ discosto (notai che non si mischiava mai molto agli altri Cafri) e teneva il mento poggiato sulla mano. Sembrava assorto in profonde meditazioni.

Tagliammo alcuni pezzi sostanziosi dell’inco che avevamo portato con noi, li arrostimmo sulla punta di alcuni rami appuntiti, come fanno ì Cafri, e li mangiammo con gusto. Dopo esserci ben ben riempiti, accendemmo le pipe e ci concedemmo al piacere del fumo che, paragonato alle traversie che avevamo appena superato, aveva davvero l’aria di un dono celeste.
Il ruscello, le cui rive erano coperte da fitte siepi di una specie di capelvenere gigante, intercalate qua e là da soffici ciuffi di asparagi selvatici, ci scorreva accanto, scrosciando allegramente; l’aria tiepida mormorava tra le foglie argentate degli alberi; alcune tortore tubavano nei dintorni, e uccelli dalle ali lucenti saltavano come gemme viventi di ramo in ramo. Sembrava il paradiso.

Dopo cena riempimmo le pipe e le accendemmo, procedura che lasciò di stucco sia Infadoos che Scragga. I Kukuana erano evidentemente all’oscuro dell’abitudine divina di fumare il tabacco. La pianta veniva coltivata da loro estensivamente, ma, come gli Zulu, l’usavano solo per annusare, non riuscivano assolutamente a riconoscerlo in questa nuova forma.

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #430 il: 12 Maggio 2010, 22:03:55 »
Ancora la coppia pipa e corna

Marc Brandell 1919- 1994

(a volte scritto Brandel) è lo pseudonimo dello sceneggiatore britannico Marcus Beresford
Nasce  a Londra, figlio dell’affermato scrittore John Davis Beresford. Studia al St. Catherine’s College (Cambridge) e al Westminster College. Durante la Seconda guerra mondiale è nella marina mercantile.
Nel 1945 pubblica il suo primo romanzo, a cui faranno seguito una decina di altri titoli nell’arco di quarant’anni. Dal 1951 fino alla fine degli anni Settata è un prolifico sceneggiatore di telefilm e film televisivi.

La mano

Il suo romanzo del 1979, The Lizard’s Tail, viene ripreso da Oliver Stone ed adattato per il film del 1981 dal titolo La mano, diretto da Stone stesso e interpretato da Michael Caine.


Il fatto accadde un venerdì, all’inizio di luglio: era uno di quei giorni d’estate talmente splendidi da fare dimenticare che esista l’inverno nel Vermont. Quel pomeriggio terminai di passare a penna Miguel verso le quattro. Firmai l’ultimo disegno di ogni fumetto, mi riaccesi la pipa e mi crogiolai nel solito senso di soddisfazione che accompagna la fine di ogni lavoro.

Nell’aria c’era odore di fumo stantio. Spalancai la finestra dietro il tavolo da disegno. Quello studio era stato ricavato da un vecchio granaio e aveva grandi finestre panoramiche. La prima settimana cinque uccellini erano morti andando a sbattere contro i vetri. Quel fatto mi aveva talmente angosciato che avevo fatto sostituire le grandi vetrate con dei finestrini a riquadri.
Stesi un foglio di carta sul tavolo da disegno. In ospedale mi ero allenato a usare la mano sinistra: riuscivo a riempire e ad accendere la pipa, ad allacciare tutti i bottoni della camicia tranne quello del polsino sinistro

Guardai la pipa che tenevo in mano, spenta. Anche Best stava fissandola. «Impossibile.» La infilai in tasca. «Non ho svuotato la pipa nel cestino della carta. Non lo faccio mai. E anche se lo avessi fatto il fuoco non avrebbe covato più di dieci ore fra le cartacce.»

«Perché? Vai da qualche parte?»
«Te l’ho detto. Vado a cena con Pierre.»
Sempre Pierre. Per tutta la sera avevo tentato di non pensare a quella sua lettera. Improvvisamente mi venne voglia della mia pipa: era nella tasca della giacca ai piedi del letto. Da quando aveva smesso di fumare Ruth mi aveva detto e ripetuto diverse volte che il fumo le dava noia e io alla fine mi ero rassegnato a fumare solo in sala da pranzo. Presi comunque la pipa e me la misi fra i denti. Solo allora, mordicchiandola e succhiandola, mi sentii calmo abbastanza per parlare di Pierre.
«Hai una relazione con lui?»
«Non una relazione.» Ruth continuava a spalmarsi il viso di crema. «Non in quel senso. No.»
«Non in quale senso?»
«Devi sempre essere così pignolo?»
«Vai a letto con lui?»
«Ma non capisci?» Il suo viso, quando si voltò, era pallido e lucido di crema; i suoi
occhi sembravano più scuri, come quelli di un panda. «Se la metti su questo tono travisi i fatti.»
Forse non comprendevo il suo vero “io”? «Ti ho fatto una domanda.»
«La solita storia. Mi consideri una tua proprietà. Come Miguel.»
«Che cosa c’entra Miguel adesso?» Eravamo perfino comici; Ruth con i suoi occhi da panda e io con la pipa spenta fra i denti. Me ne resi conto, ma non servì ad attenuare la mia infelicità. «Che cosa c’entra Miguel con Pierre?»

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #431 il: 13 Maggio 2010, 01:10:24 »
Frederick Forsyth

Nato ad Ashford, nel 1938, Forsyth frequentò la Tonbridge School. Quindi l'Università di Granada, in Spagna. All'età di 19 anni, divenne uno dei più giovani piloti  che la Royal Air Force abbia mai avuto. Lasciò l'aviazione nel 1958.
Quindi diventò un giornalista. Trascorse tre anni e mezzo lavorando per un piccolo giornale, prima di venire assunto dalla Reuters nel 1961 come corrispondente da Parigi, e successivamente in Germania e Cecoslovacchia. Nel 1965 passò alla BBC come reporter, sia in radio che in televisione. In questi anni prepara le bozze per i suoi primi due romanzi: Il Giorno dello Sciacallo e Dossier Odessa.
Durante la guerra in Nigeria è in Biafra per conto della BBC, ove rimane fino alla fine del 1967. Sul posto conosce la realtà dei mercenari, che descriverà ne I mastini della guerra. Tornato a Londra, la sua indagine sulla guerra in Biafra viene giudicata poco obiettiva, cioè di appoggio alla causa dell'indipendenza della regione. Per questo motivo lascia la BBC.


Il giorno dello sciacallo

«Noi tutti qui conosciamo le limitate opportunità del Corpo di sorveglianza
presidenziale» disse il commissario Ducret, con voce inespressiva. «Il nostro tempo,
lo passiamo vicino alla persona del Presidente. Sono necessarie indagini molto più
vaste di quelle che potrebbero fare i miei uomini senza trascurare altri compiti di
primaria importanza.»
Nessuno lo contraddisse, perché ogni capo sezione sapeva perfettamente che quello
che Ducret aveva detto corrispondeva a verità. Roger Frey guardò ancora gli uomini
seduti intorno al tavolo, poi si soffermò con lo sguardo sulla figura corpulenta del
commissario Bouvier, all'altra estremità, avvolto da una cortina di fumo.
«Qual è il suo parere, Bouvier? Lei non ha ancora parlato.»
L'agente investigativo si tolse tranquillamente la pipa di bocca, riuscì con l'ultima
boccata di fumo intensamente aromatico a raggiungere in piena faccia Saint-Clair che
s'era girato verso di lui e cominciò a parlare con voce tranquilla, come chi espone
alcuni semplici fatti che gli sono appena venuti in mente.
Di conseguenza, a
me sembra che il nostro primo compito sia quello di dare un nome a quest'uomo:
senza, ogni altra proposta non ha alcun senso. Con un nome abbiamo una faccia, con
una faccia un passaporto, con un passaporto un arresto. Ma trovare il nome, e farlo in
segreto, è puro e semplice lavoro da agente investigativo.»
Tacque di nuovo e si infilò il cannello della pipa fra i denti. Quello che aveva detto
fu assimilato e meditato da ognuno degli uomini intorno alla tavola. E tutti lo
giudicarono ineccepibile.

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #432 il: 14 Maggio 2010, 13:25:50 »
Frammenti 3

WILBUR SMITH
IL DESTINO DEL CACCIATORE

Prese di nuovo la pipa tra le labbra e si mise a succhiare tra rumorosi gorgoglii.
Quando finì di leggere il fascio di carte scritte a mano aveva le ciglia aggrottate.
Senza alzare lo sguardo si tolse la pipa di bocca e la batté con un colpetto contro la
parete dell’ufficio, lasciando schizzi di nicotina gialla sulla calce bianca
dell’intonaco. Riportò la pipa alla bocca e tornò alla prima pagina del documento. Lo
lesse di nuovo con attenzione, lo posò con cura davanti a sé e finalmente alzò il capo.

T. Jefferson Parker
CALIFORNIA GIRL

Lesse le lettere mentre Lynette riempiva una pipa di tabacco in briciole nere e l’accendeva
con un fiammifero da cucina. Poi lei rimase a guardarlo fumando in silenzio; Andy si
sentì come in vetrina. Di solito era lui con le sue domande a far sentire in quel modo
la gente. Però non c’era una domanda più innervosente di quel comportamento.
Lynette sembrava una gatta rannicchiata in quel modo, con i piedi sotto le cosce e gli
occhi nascosti dai capelli. Dopo un po’ la sorella di Janelle mollò la pipa e si fuse con
il divano.

Roger Zelazny
Il mio nome è legione

Ci riflettei sopra mentre si accendeva la pipa e il fumo invadeva le sue larghe basette bianche. Mi stava forse solo prendendo in giro, faceva del sarcasmo o diceva sul serio?
Come per rispondere a questa mia domanda, si alzò in piedi, attraversò la stanza e aprì il cassetto di uno schedario. Vi frugò dentro per un po’ e ne tirò fuori un mazzetto di schede perforate, tenendole come delle carte da poker. Le lasciò cadere sulla scrivania di fronte a me.
— Questo sei tu — disse. — La settimana prossima, come tutti gli altri, verrai inserito nel sistema. — Sbuffò un anello di fumo e si rimise a sedere.

Arthur Wiegall

Vita domestica di un gatto sacro

Una sera afosa stavo fumando la pipa seduto sulla veranda, quando la mia attenzione fu attirata da due topolini che erano strisciati fino a una zona erbosa illuminata dalla luna, davanti ai miei piedi, e che rosicchiavano impavidi le briciole di un cracker che avevo buttato a Pedro, qualche ora prima. Rimasi a guardarli in silenzio per un po’, senza accorgermi che Bastet li aveva a sua volta adocchiati e si stava preparando all’attacco. Non avevo nemmeno notato un enorme gufo bianco seduto tra le rose rampicanti, anch’esso pronto all’offensiva.
All’improvviso, il gufo piombò sui topi dall’alto e, nello stesso istante, Bastet balzò su di loro da una postazione laterale. Seguì un violento tafferuglio,
accompagnato da un turbinio di pelo e piume. Io caddi dalla sedia. Dopodiché, il gufo se ne andò, emettendo versi striduli, in una direzione e la gatta si precipitò nella direzione opposta, mentre i topi, praticamente avvinghiati l’uno all’altro, rimasero pietrificati per qualche istante, troppo inorriditi per muoversi.

Phillips Mark
Enigma 1973

Lewis era un uomo alto e robusto, dall'espressione cordiale. Portava pantaloni di flanella e giacca di tweed scuro che dava risalto ai capelli color grigio acciaio.
Stringeva tra i denti il cannello di una pipa, con tanta forza che Malone si chiese come facesse ad aprire ancora le mascelle. L'agente federale chiuse la porta e il presidente si alzò, tendendogli la mano.
Che cosa esattamente vi ha indotto a venire fin qui? — disse Sir Lewis Carter. Il presidente della SRP aveva acceso la pipa e soffiò una fragrante nuvola di fumo verso il tavolo.

Ken Follett
La cruna dell’ago

David la prese per la mano e la guidò fuori dall’acqua e attraverso gli alberi.
Indicò una vecchia barca di legno a remi, che marciva capovolta sotto un
biancospino. «Da ragazzo di solito remavo fin qui, portandomi dietro una delle pipe
di papà, una scatola di fiammiferi, e una presa di tabacco in un cartoccio. Questo è il
posto dove venivo a fumare.» Erano in una radura, completamente circondata da
cespugli. Il tappeto erboso sotto i loro piedi era pulito e morbido. Lucy si lasciò
cadere a terra.

Sergio Bambarén
Il Guardiano del Faro

Il guardiano sedeva al secondo piano, fissando fuori dalla finestra, osservando i gabbiani incrociare traiettorie nel cielo blu. La sua orgogliosa pipa di legno era accesa, e se la coccolava nella mano destra, tenendosela stretta come una vecchia amica.

Keith Roberts
Molly Zero

L’uomo si alza e va a un tavolino a prendere una pipa e la borsa del tabacco.
Riempie il fornello con aria assente, premendo il tabacco col pollice. — Cosa vuol
dire ne abbiamo avuto abbastanza? Abbastanza di che?

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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #433 il: 15 Maggio 2010, 13:56:45 »
Grande saggezza indiana

MICHAEL BLAKE

nato nel 1945 in Texas
Ha studiato giornalismo all'Università del New Mexico, e successivamente  cinema, a Berkeley.
Oltre al lavoro di giornalista per il Los Angeles Monitors ha scritto romanzi da cui sono stati tratti numerosi film  di successo

BALLA COI LUPI

Sembrava chiaro che ero io il motivo di quella riunione. Ero certo di essere stato
condotto lì al solo scopo di consentire al vecchio di studiarmi da vicino.
È comparsa una pipa e gli uomini hanno cominciato a fumare. Era una pipa dal
cannello molto lungo e da ciò che ho potuto capire, il tabacco era una miscela
indigena molto aspra, perché ero l’unico a essere escluso dal fumarla.
Ero ansioso di fare una buona impressione e avendo desiderio di una delle mie
sigarette, ho cavato la borsa del tabacco e le cartine e le ho offerte al vecchio.
L’indiano tranquillo gli ha detto qualcosa e il vecchio capo ha allungato una delle sue
mani nodose, prendendo la borsa e le cartine. Le ha esaminate accuratamente, poi mi
ha guardato cautamente con quei suoi occhi dall’aria piuttosto crudele sotto le pesanti
palpebre e me le ha restituite. Non sapendo se la mia offerta fosse stata accettata, mi
sono comunque arrotolato una sigaretta. Mentre lo facevo, il vecchio sembrava
interessato.
Ho allungato la sigaretta verso di lui e l’ha presa. Di nuovo, l’indiano tranquillo ha
detto qualcosa e il vecchio me l’ha restituita. Con i gesti, l’indiano tranquillo mi ha
chiesto di fumare e ho aderito alla sua richiesta.
Mentre tutti stavano a osservare, ho acceso la sigaretta, ho aspirato e ho soffiato
fuori il fumo. Prima che potessi tirare un’altra boccata, il vecchio aveva allungato la
mano. Gliel’ho data. L’ha guardata dapprima con sospetto, poi ha aspirato come
avevo fatto io. E, come me, ha soffiato fuori il fumo. Poi ha portato la sigaretta vicino
alla faccia.
Con mio dispiacere, ha cominciato ad arrotolarla fra le dita con rapidi movimenti.
La cenere accesa si è staccata ed è uscito tutto il tabacco. Ha accartocciato con la
mano la cartina e l’ha gettata nel fuoco.
Ha cominciato a sorridere e l’uno dopo l’altro anche tutti gli uomini intorno
stavano ridendo.
Forse ero stato offeso, ma il loro buonumore era tale che ne sono stato contagiato.

Dunbar si accorse che Uccello Saltellante era più che consapevole della presenza
della donna seduta nell’ombra della tenda. Quando offrì per la prima volta la pipa al
suo visitatore speciale, lo fece gettando uno sguardo di lato verso di lei.
Il tenente Dunbar aveva bisogno di assistenza per riuscire a fumare la pipa e
Uccello Saltellante cortesemente lo aiutò a posizionare correttamente le mani sul
lungo cannello e a regolare l’angolatura. Il sapore del tabacco era aspro come il suo
odore, ma il tenente Dunbar lo trovò ricco di aroma. Una buona fumata. La pipa era
fantastica. Pesante quando l’aveva presa in mano, diventò straordinariamente leggera
non appena cominciò a fumare, come se avesse potuto sfuggirgli se avesse allentato
la presa.
Si scambiarono la pipa per alcuni minuti. Poi, Uccello Saltellante la depositò con
cura di fianco a lui. Guardò apertamente Mano Alzata e con un breve movimento del
polso le fece cenno di venire avanti.

Il vecchio era ancora notevolmente in forma
ed era la gobba del bisonte che aveva ucciso quella che stavano arrostendo per prima.
Quando fu pronta, Dieci Orsi stesso ne tagliò via un pezzo. Rivolse qualche parola al
Grande Spirito e onorò il tenente porgendogli il primo pezzo.
Dunbar fece il suo breve inchino, diede un morso e galantemente restituì il pezzo
di carne a Dieci Orsi, un gesto che impressionò notevolmente il vecchio. Accese la
sua pipa e onorò nuovamente il tenente offrendogli la prima boccata di fumo.
La pipa fumata davanti alla tenda di Dieci Orsi segnò l’inizio di una folle notte.
Tutti avevano un fuoco acceso e sopra ogni fuoco arrostiva della carne fresca: gobbe,
costolette e tutta una serie di altri tagli di carne scelta.

Per due giorni il villaggio festeggiò il suo trionfo. A tutti gli uomini vennero
tributati onori a profusione, ma un guerriero spiccava fra tutti. Era Balla-coi-lupi.
Durante tutti i mesi che aveva passato nelle pianure, la visione primitiva che
avevano avuto di lui era mutata molte volte. E ora il cerchio si era chiuso. Ora lo
vedevano in un modo che era molto vicino alla loro idea originaria. Nessuno si fece
avanti per proclamarlo un dio, ma nel modo di vivere di quella gente era la migliore
alternativa subito dopo questo.
A qualsiasi ora del giorno era possibile vedere dei giovani guerrieri che
ciondolavano attorno alla sua tenda. Le ragazze da marito civettavano apertamente
con lui. Il suo nome era in cima ai pensieri di tutti. Nessuna conversazione,
qualunque fosse l’argomento, seguiva il proprio corso senza qualche accenno a Ballacoi-
lupi.
Il massimo encomio venne da Dieci Orsi. Con un atto che non aveva precedenti,
fece dono all’eroe di una delle sue pipe.



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Re:Autori con la pipa in bocca
« Risposta #434 il: 16 Maggio 2010, 14:57:39 »
in un capitolo la sua amicizia con Gianni Brera,la pipa e i sigari accennati fugacemente,
ma si parla di un Gianni autentico.

TITO STAGNO SERGIO BENONI

MISTER MOONLIGHT

Brera era spesso brusco, sgarbato. Ma a me voleva bene. Aveva capito che con Tito, se voleva, poteva togliersi la maschera e lasciarsi un po’ andare. In quella sua stanza al Flora - un covo impestato dal fumo giallastro della pipa e dei sigari, con un disordine che avrebbe fatto tremare Hemingway - ci siamo scolati intere magnum di whisky millenari, facendo l’alba a parlare di calcio, di boxe, di colleghi stronzi o semplicemente cornuti. Gli avevo raccontato del mio scontro con Biagi. E di quell’altra volta, all’inizio della carriera al tg, che il buon Schepis si era lasciato scappare una battuta vagamente minacciosa. «La vedi questa?», gli avevo urlato, stringendo la boccetta d’inchiostro che teneva sul tavolo. «Sai cosa succede se te la getto in faccia? Nulla, perché mi hanno appena consegnato questo certificato: astenia neurovegetativa. Così, mentre ti rimetti in sesto, io me ne vado al mare... a curarmi».
Brera rideva e tossiva come un ossesso, sembrava che il cuore gli dovesse esplodere da un momento all’altro. Diceva che quando mi arrabbiavo gli sembravo un bandito sardo, «con quel muso da cinghiale». Per tutta la vita ha cercato di mettermi al tappeto con l’alcol, ma non gli ho mai dato la soddisfazione. Sin dalla prima volta che sono andato a trovarlo, sul lago di Pusiano, nella sua casa di campagna. Dovevo fargli firmare un contratto da commentatore per la Domenica Sportiva. Nel 1976, dopo l’infame riforma Rai, mi avevano mandato in esilio allo sport e a quel punto, stanco di lottare contro i mulini a vento, avevo scelto di fare di necessità virtù. La mia idea era quella di trasformare il programma della domenica notte, dando la precedenza ai servizi filmati, ma facendo intervenire dal vivo, in studio, uomini di sport che fossero personaggi. Ecco allora Nereo Rocco, Ugo Tognazzi, Omar Sivori. Ecco un corsivista geniale come Beppe Viola. Ecco, soprattutto, il grande Brera. L’intellettuale, il mito del giornalismo sportivo italiano. Ma anche l’autore di romanzi come Naso bugiardo e Il corpo della ragassa.
Così, una sera, in compagnia del fido Carlo Sassi, re indiscusso della moviola, alla guida di un’auto fiammante, mi avventuro in località Bosisio Parini, nella tenuta di campagna vicino a Lecco dove il grande scrittore lombardo si lasciava invecchiare tra le innumerevoli bottiglie del suo prediletto barbaresco e allevava galline prodigiose in grado di sfornare uova gigantesche che lui divorava, fritte nel burro e ricoperte di tartufo d’Alba. L’Orco Brera mi accoglie con in mano una bottiglia di champagne («Almeno non dirai che sono un taccagno» ), ma dopo la firma del contratto ci sediamo a tavola e passiamo alla sua vera passione: il vino rosso. Fiumi di sublime
barbaresco scorrono su quella tavola, bicchiere dopo bicchiere, portata dopo portata, bestemmia dopo bestemmia, risata dopo risata. L’intento di Brera era chiaro: vedermi soccombere, portarmi al collasso, infliggermi un’umiliazione che avrebbe segnato per sempre i nostri rapporti. E invece tengo duro. Mi alzo reggendomi al bordo del tavolo come per caso e non per assoluta necessità, riesco chissà come a tenere una traiettoria diritta, da 10 e lode, sino alla porta, saluto affettuosamente Sua Perfidia, salgo in macchina accanto al mio autista - praticamente astemio, beato lui - e alla prima curva lo faccio fermare. Il pregiato rosso delle Langhe inonda la moquette dell’auto e un’intera piazzola di servizio.
In quella sua stanza al Flora, dove quando era a Roma si barricava per intere giornate a scrivere, fumare e bere, non ho mai visto l’ombra di una femmina. L’unica ammessa era probabilmente mia moglie Edda. Per la quale aveva una sorta di adorazione. Riconosceva in lei la solidità e la schiettezza delle donne padane di una volta: poche chiacchiere e la naturale propensione a fare tesoro di ogni più piccola e insignificante esperienza. Edda ha sempre esercitato un fascino particolare sugli intellettuali. Negli anni Sessanta, la nostra casa era diventata grazie a lei un cenacolo di artisti e uomini di cultura. Di ritorno dai miei pellegrinaggi forzati (Stati Uniti, Estremo Oriente, Terra Santa, Sud America, Australia...) mia moglie, per farmi tornare il buon umore, mi accoglieva con belle cene alle quali invitava poeti come Rafael Alberti, Alfonso Gatto e Yves Lecomte, i pittori José Ortega, Valeriano Trubbiani e Giulio Turcato, attori, gente di spettacolo e scrittori come Zavattini, Giuseppe Berto, Roberto Gervaso. E poi gli amici di sempre. Brando Giordani e Fabiano Fabiani con le mogli, Ruggero Orlando, quando era di passaggio a Roma.
Al termine di una di quelle cene, tutti un po’ su di giri, una sera finiamo a chiacchierare sdraiati sul grande tappeto del soggiorno, con la schiena appoggiata ai divani. Si parla dello snobismo di certi ambienti intellettuali.


Suerte!